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#motociclismo #news #insella.it
Nei documenti di omologazione depositati in Cina da Zonsen compare la Cyclone RC700, una sportiva con motore a quattro cilindri in linea con telaio e design inediti. Ecco quello che sappiamo
Cyclone, brand del colosso cinese Zonsen, a quanto pare continua a lavorare sul progetto di una moto sportiva con motore a quattro cilindri in linea. Dopo aver presentato i prototipi RC680R nel 2023 e RC600R nel 2024, l’azienda ha depositato nuovi documenti di brevetto che mostrano un ulteriore sviluppo del progetto. La RC700 (qui sopra un0eleborazione digitale di come potrebbe essere la versione definitiva) mantiene il motore a quattro cilindri in linea di 674 cm³ già visto sui precedenti concept, un’unità che riprende molto da vicine nelle forme dei carter e nelle quote interne il motore della Honda CB650R. Un propulsore che è stato d’ispirazione per molte altre case orientali, come ad esempio QJ Motor e Benda.
Le principali novità dell’evoluzione riportata sugli ultimi documenti riguardano ciclistica e design. A differenza dei prototipi precedenti, che utilizzavano anche un telaio simile a quello delle Honda CB650R e CBR650R, la RC700 adotta una struttura completamente nuova. Osservando le illustrazioni si vede chiaramente una sezione anteriore tubolare abbinata a piastre di rinforzo con perno del forcellone in lega fusa, una soluzione che richiama architetture viste su modelli europei. Il forcellone è in alluminio fuso con capriata di rinforzo inferiore, che si ispira a quello delle moto da competizione. Anche l’impianto di scarico presenta una configurazione inedita, con il catalizzatore integrato nella zona anteriore del forcellone e due silenziatori sovrapposti posizionati in alto, sotto il lato destro della sella.
Per quanto riguarda l’estetica, nell’ultimo aggiornamento sono arrivate novità per quanto riguarda le forme delle sovrastrutture: il frontale è più affilato, mentre per quanto riguarda i gruppi ottici sembra esserci un unico elemento centrale, affiancato da ampie prese d’aria. Al di sotto spicca una grossa ala aerodinamica di grandi dimensioni. Il profilo laterale mette in risalto il lungo serbatoio piatto e con sagomature per le ginocchia, pensate per accucciarsi sui rettilinei e per poter stringere efficacemente la moto fra le gambe. Altra chicca di ispitazione MotoGP sono i convogliatori d’aria posizionati accanto alle pinze radiali J.Juan.
Il progetto di questa sportiva è in continua evolzioe, difficile dire ora quando potrebbe arrivare, probabilmente per capirci qualcosa dovremo aspettare EICMA 2026, e prevedere un debutto nel 2027...
La casa di Tokyo passa al rank C, dove trova KTM e Aprilia. Noale Ha di poco mancato il passaggio alla seconda fascia, Ducati rimane inarrivabile al top
Il nuovo sistema delle concessioni nella MotoGP è stato introdotto sul finale della stagione 2023. È basato su una particolare classifica dei costruttori fotografata in due diversi momenti del campionato. Si basa sul punteggio conseguito dal migliore pilota di ogni casa ed è suddiviso in quattro fasce. In fascia A c’è soltanto Ducati, che ha meno motori a disposizione, meno wild card, meno pneumatici e di conseguenza anche meno test. In fascia B non c’è al momento nessuno, mentre Aprilia con KTM è in fascia C e i due costruttori giapponesi sono partiti in fascia D all’inizio dell’anno, con il maggiore numero di concessioni a disposizione. A fine anno, Honda è passata di livello, raggiungendo Noale e Mattighofen in terza fascia.
Ducati continua a essere il punto di riferimento: il regime delle concessioni di fatto limita lo sviluppo delle Desmosedici e Borgo Panigale ovviamente rimane nel rank A dopo un 2025 di altissimo profilo. Il solo Marc Marquez ha conquistato 11 vittorie nelle gare lunghe e 14 successi nelle Sprint. Il costruttore italiano chiude la stagione con il 94% dei punti dispinibili: era al 98% prima dell'estate 2025, come del resto alla fine della stagione 2024. È vero che Aprilia si è avvicinata nel finale di campionato grazie ai successi di Bezzecchi, ma fino a quando Marc è stato in gioco, la bilancia pendeva totalmente dal suo lato.
Considerando le ottime prestazioni nella fase finale della stagione, Aprilia sembrava sul punto di approdare in seconda fascia, invece non ce l'ha ancora fatta. Il controllo di fine anno prende in esame tutta la stagione e si registra un grosso step in avanti, ma ancora non sufficiente per il cambio di ranking. In questo mondiale Aprilia ha vinto 4 gran premi, mai così tanti in una stagione. Nell'estate 2024 Noale era al 49% mentre a fine anno al 41%, arrivando poi alla pausa estiva del 2025 - con Martin out per la maggior parte del tempo - al 37%. Dopo l'impressionante striscia di Marco Bezzecchi nella seconda parte del 2025, oltre al successo di Raul Fernandez con il team Trackhouse in Australia, ha chiuso il 2025 con un 51% in progresso rispetto all'anno passato.
KTM chiude il 2025 con un 46%, in sensibile miglioramento rispetto al 40% pre-estate. Un buon punto di partenza dopo un 2025 difficile: al termine del 2024 la casa austriaca era al 44%, quindi, nel complesso, c'è stato un piccolo passo avanti.
La casa di Tokyo è quella che ha fatto il balzo in avanti più importante nel 2025. Con la sua peggiore striscia nella seconda metà dell'anno passato, HRC era arrivata alla sorprendente quota del 10% dei punti possibili, la cifra più bassa per qualunque costruttore in venti anni, stagione del debutto a parte. Da quel misero 10%, nell'estate 2025 la percentuale è salita al 23% e ora è al 35%: quanto basta per passare al rank C. Tutto questo anche con il settimo posto conquistato da Luca Marini nell'ultima gara dell'anno: fosse stato rallentato (bastava una posizione in meno), Honda avrebbe potuto godere ancora dei benefici concessi alla fascia D. Eppure, nonostante una situazione sulla carta migliore, restare tra gli ultimi era considerato un disonore dai manager giapponesi.
Yamaha sta attraversando un periodo difficile, non è un mistero. Salutata la precedente configurazione del motore nella domenica di Valencia, la Casa di Iwata ha presentato la YZR-M1 con motore V4 nei suoi box, durante il test di martedì. Un impegno notevole, a un solo anno di distanza da un importante cambiamento regolamentare. A fine 2024, Yamaha aveva toccato la cifra minore, pari al 17%, salendo poi al 25% nell'estate 2025. A fine stagione è al 30%, un bel passo in avanti rispetto a dodici mesi fa, anche se ancora non abbastanza. Riuscirà la YZR-M1 V4 a permettere finalmente un netto salto in avanti per Quartararo e compagni?
Nel 2026 tornerà la Suzuki GSX-R 1000, di lei si sapeva già tutto tranne il prezzo: lacuna colmata oggi. La Gixxer è il top della casa di Hamamatsu e non è certo regalata...
Tra le supersportive più attese degli ultimi mesi c’è senza dubbio la Suzuki GSX-R1000R, modello che rappresenta l’ultima evoluzione della SBK giapponese che arriva nell’anno in cui Suzuki celebra i 40 anni della famiglia GSX-R. La moto è stata presentata in anteprima mondiale lo scorso agosto sul circuito di Suzuka, durante la 8 Ore, per poi debuttare ufficialmente in Europa al Bol d’Or di Le Castellet e successivamente a EICMA.
La nuova GSX-R1000R mantiene fede al suo cuore storico, il quattro cilindri in linea di 999,8 cm³, ottimizzato per aumentare l’efficienza termica e rispettare le normative Euro 5+, con interventi su aspirazione, scarico e distribuzione, tra cui pistoni forgiati e un silenziatore in titanio ridisegnato. I valori dichiarati sono di 195 CV a 13.200 giri, con un picco di coppia di 110 Nm a 11.000 giri. Un grande step è stato fatto nell’elettronica, con la piattaforma Suzuki Intelligent Ride System (S.I.R.S.) che comprende: traction control regolabile su 10 livelli, launch control aggiornato, quickshifter bidirezionale e Motion Track Brake System, che ottimizza la frenata anche a moto inclinata. Il tutto è gestito da una nuova piattaforma IMU Bosch, più leggera e precisa rispetto alla precedente. Non manca l’attenzione all’aerodinamica, con alette laterali in carbonio derivate dall’esperienza maturata nelle competizioni endurance, studiate per aumentare la stabilità alle alte velocità . Per tutte le caratteristiche tecniche vi rimandiamo però al nostro articolo di presentazione.
La nuova Suzuki GSX-R1000R sarà disponibile presso la rete vendita Suzuki a partire dalla prossima primavera e viene proposta a un prezzo di 20.490 euro f.c.
È proposta con tre livree celebrative 40th Anniversary, che rendono omaggio alla storia sportiva della gamma:
L’ingresso della nuova proprietà statunitense nel Motomondiale segna, secondo Paolo Simoncelli, una frattura profonda con la tradizione delle corse. Tra spettacolarizzazione, memoria sportiva a rischio e scelte che penalizzano le categorie minori, il fondatore della Sic58 racconta un motociclismo che non riconosce più
Intervistato dal Corriere della Sera, Paolo Simoncelli torna a parlare di corse, di presente e di memoria. Lo fa con la franchezza che lo contraddistingue, senza attenuare rabbia e delusione per un motociclismo che sente sempre più lontano da quello che ha conosciuto e vissuto per una vita. A 75 anni, il fondatore del team Sic58 - nato nel 2013 in onore del figlio Marco - ammette che il momento del distacco potrebbe non essere lontano.
Il nodo principale dell’intervista è il rapporto sempre più difficile con la nuova gestione del Motomondiale. L’ingresso di Liberty Media, che ha acquisito Dorna, viene vissuto da Simoncelli come una rottura netta con il passato.
“Questi americani mi hanno già rottoâ€, dice senza giri di parole. Il punto, per lui, non è solo organizzativo, ma culturale: “Mirano a cambiare tutto, sembra che non vada bene niente di quello che abbiamo costruitoâ€. A preoccupare Paolo è soprattutto l’idea di ridimensionare il valore sportivo delle categorie minori, dando peso quasi esclusivo ai titoli MotoGP: “Vogliono togliere dai conteggi ufficiali i titoli vinti nelle categorie inferioriâ€, racconta. “Così mio figlio Marco, i Gresini o i Nieto sparirebbero. Vogliono cancellare la storiaâ€.
È ufficiale: la MotoGP è degli americani. Cosa succede ora?
Una deriva che, secondo lui, rischia di trasformare il motociclismo in puro intrattenimento: “Vogliono solo lo spettacolo, ma allora che facciano un circoâ€.
Non manca una critica strutturale al sistema: piloti sempre più giovani, già plasmati da manager e preparatori, fisici “da MotoGP†a 18 anni e un accesso al Mondiale che arriva troppo tardi. La soluzione, per Simoncelli, sarebbe semplice: “Ogni squadra della MotoGp dovrebbe avere un team in Moto3 e Moto2â€. Ma il senso di inutilità che avverte lo spinge a pensare seriamente di smettere: “A questa età diventa tutto più complicato. Mi mancheranno un sacco le corse. Bisognerà sapere gestire meglio la vita di tutti i giorni e impegnarsi in qualcosa, sennò si diventa vecchi in un attimo. Ma ho una moglie che spinge, mi vuole fare lavorare tutti i giorni. Quindi vedrà che non mi annoierò!â€.
Il cuore più profondo dell’intervista resta però Marco. Il figlio non viene mai raccontato come un’icona, ma come una presenza ancora viva. Le sue ceneri sono nella sua stanza, che non è mai stata cambiata: “Dorme ancora lìâ€. Paolo ammette di sognarlo, anche se su ciò che si dicono preferisce non entrare nei dettagli. Resta il dolore, ma senza rimpianti. “Il destino di Marco era questo. Io e mia moglie abbiamo fatto di tutto affinché fosse felice e lui è morto mentre stava facendo una cosa che lo rendeva feliceâ€. .
Poi c’è il ricordo dell’ultimo giorno, segnato da una sensazione che ancora oggi lo accompagna. “Mi arrivò addosso un vento gelido che sapeva di morte. Mi sono detto: “lo vado a fermareâ€. Ma mancava un minutoâ€.
Dopo la tragedia, Simoncelli non ha mai pensato di abbandonare subito le moto. Al contrario, fondare la Sic58 è stato un modo per restare in piedi: “Ho fondato la squadra per non morireâ€. Le corse, dice, gli hanno regalato quindici anni bellissimi e lo hanno aiutato a sopravvivere al vuoto. Per questo ringrazia Carmelo Ezpeleta, che lo ha sempre sostenuto.
Nata per soddisfare le esigenze delle forze dell'ordine, la V7 fu anche la prima bicilindrica a V di 90° della Casa di Mandello. Da noi sostituì il Falcone (allora in dotazione alle forze di polizia) e negli States le pesanti H-D. Ad uso civile fu quindi seguita dalla V7 Special e, grazie al “magico†telaio Tonti, dall’inarrivabile Sport…
Sono passati ormai più di sessant'anni da quando, nel 1965, Moto Guzzi presentò al mondo un modello destinato a fare storia. Progettata da Giulio Cesare Carcano e sviluppata successivamente da Lino Tonti per dar vita alla versione Sport, la V7 fu la prima bicilindrica a V di 90° della Casa di Mandello: una svolta tecnica ed estetica che ancora oggi influenza le Guzzi moderne. Ma partiamo dall’inizio…
Presentata come novità assoluta al 39° Salone di Milano nel novembre 1965, la V7 700 si distingueva per l’architettura del motore e per l’aspetto imponente. Entrata in produzione nel 1967, fu concepita in un periodo particolarmente difficile per la Moto Guzzi, con vendite in calo e un mercato italiano in crisi. La bicilindrica a V di 90° nacque quindi sia da necessità economiche sia da un’intuizione tecnica di Carcano, che volle creare un motore semplice, robusto e affidabile, capace di ridurre al minimo gli interventi di manutenzione. La produzione iniziale del 1966 vide l’assemblaggio di 87 esemplari, di cui la maggior parte destinati agli Stati Uniti, dove la V7 fu soprannominata “Bufalo†o “Gooseâ€. Nel 1967 la produzione vera e propria iniziò a pieno ritmo, con oltre mille moto assemblate nel primo anno, molte delle quali esportate nel mercato statunitense, aprendo la strada a un successo internazionale che avrebbe consolidato la reputazione della Moto Guzzi nel mondo.
Il cuore della V7 era il bicilindrico a V di 90° da 703 cm3, con alesaggio e corsa di 80x70 mm, bronzine al posto dei cuscinetti a sfere e raffreddamento ottimale dei cilindri, tutti elementi che garantivano affidabilità e silenziosità . Il motore era in grado di erogare circa 50 CV, con un volano di generose dimensioni che assicurava un’elasticità di marcia notevole. Numeri che s traducevano in una velocità massima intorno ai 165‑170 km/h. La trasmissione ad albero eliminava la manutenzione delle catene, mentre il cambio, preciso e robusto, richiedeva una certa attenzione negli innesti a causa della riduzione relativamente bassa tra albero motore e albero di trasmissione.
La ciclistica era solida e adatta alle prestazioni della moto: telaio a doppia culla continua in tubi d’acciaio, forcella idraulica anteriore e ammortizzatori posteriori regolabili su tre posizioni. I freni erano a tamburo, con doppia camma. Il tutto per un peso dichiarato era di 230 kg. Una moto sorprendentemente stabile anche nel misto stretto.
La vulgata vuole che il V Twin della Guzzi nacque come motore equipaggiato dal 3×3 ( o mulo meccanico) in dotazione alle truppe alpine italiane. Come spiegato dallo stesso Carcano però, le cose non andarono esattamente così: “Ho progettato un motore bicilindrico a V di 90° da montare sulla mia FIAT 500. Perché l’ho fatto? Mi piaceva tanto quella vetturetta, ma il suo motore era fiacco. Col mio bicilindrico da 35 CV - racconta Carcano - filava a 135-140 km/h, lasciando tutti di stucco. La Moto Guzzi lo propose anche alla FIAT, ma purtroppo non se ne fece niente. Non è vero, come si dice, che quel motore andò a finire prima sul Mulo Meccanico 3x3, poi sulla V7. Il Mulo Meccanico non l’ho progettato io, ma Antonio Micucci, mentre la paternità della V7 è mia, ma con una motorizzazione che non aveva nulla in comune con quella della vetturetta, salvo l’architettura frontale dei cilindri e l’angolazione a 90°â€.
Fin dai primi prototipi, la V7 fu progettata con un occhio alle esigenze militari. Anzi, la sua nascita si deve proprio alla richiesta della Polizia di avere un veicolo polivalente in grado di sostituire quello che aveva fino ad allora rappresentato il modello tuttofare per molto tempo, il Falcone. Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Corazzieri ricevettero versioni speciali dotate di radio, sirena, lampeggianti, borse laterali e cupolini protettivi.
A riceverla furono anche gli agenti della Polizia di Los Angeles, che smisero le più pesanti Harley-Davidson in favore dell’agile V7 (destinata poi ad essere sostituita dall’ancor più celebre California). C’è anche da dire che i diversi allestimenti dedicati alle forze dell’ordine non solo soddisfacevano le necessità operative, ma testavano anche l’affidabilità della moto in condizioni estreme. Il successo nelle forze armate, confermato dai test su strada e officina, consolidò l’immagine della V7 come un mezzo robusto e versatile, capace di resistere a chilometraggi elevati senza problemi meccanici significativi.
La V7 “civile†rimase in produzione fino alla fine del 1969, subendo modifiche tecniche minime ma significative, come l’adozione dei carburatori Dell’Orto VHB a vaschetta incorporata e l’aggiornamento dei coperchi punterie e della sella. Nel 1969 la V7 cedette il passo alla V7 Special 750, più rifinita e potente. Nuova era anche la riuscitissima verniciatura bicolore bianco e nera, impreziosita da filetti rossi e da ampie zone cromate sul serbatoio. L’aumento di potenza veniva richiesto in modo particolare dagli importatori americani, dove l’interesse per la V7 stava crescendo rapidamente. Negli Stati Uniti la moto veniva commercializzata con il nome di V7 Ambassador, adottando colorazioni differenti e la leva del cambio spostata sul lato sinistro. Il motore della V7 Special era - sempre - il bicilindrico a V longitudinale di 90°, ma con carter, cilindri e teste realizzati in lega leggera. La produzione durò solo un paio di anni e cessò nel 1972 con il lancio della 850 GT, direttamente derivata dalla V7 Special ma con cilindrata portata ad 850 cm³ e cambio a cinque rapporti. Prima, però, arrivò la Sport con telaio Tonti.
La nascita della V7 e la nuova gestione della SEIMM segnano anche il ritorno alle competizioni, atteso dopo il ritiro dal Mondiale nel 1957. Il progetto viene affidato a Lino Tonti, affiancato da Umberto Todero. Nel 1971 nasce la celebre pre-serie della V7 Sport, con 150 esemplari dotati di telaio verniciato in rosso, destinati alle concessionarie per “creare aspettativa†e permettere test su strada. Oltre al motore più prestante (bicilindrico a V di 90°, 748,4 cm³, con valvole in testa e distribuzione ad aste e bilancieri da 72 CV a 7.000 giri/min), l’aspetto più interessante della Sport era rappresentato dal telaio progettato da Tonti, sempre a doppia culla ma non più chiusa come sulla V7 Special, bensì abbinato ad una forcella teleidraulica ed, dietro, ai preziosi ammortizzatori Koni regolabili. I cerchi erano Borrani da 18†ed i freni (aggiornati poi con i dischi nella versione S3) a tamburo da 220 mm. Il tutto per un peso in ordine di marcia di 225 kg, I risultati furo impressionanti: 19 record mondiali, tra cui l’ora (217 km/h), i 100 km (218 km/h) e i 1.000 km (205 km/h). Nei bienni 1971‑1972, la V7 Sport partecipa al Bol d’Or di Le Mans con due equipaggi e, successivamente, alla 200 Miglia di Imola con motori portati a 850 cm3, anticipando la futura 850 Le Mans. Con l’arrivo di De Tomaso, però, l’attività sportiva e i progetti futuri furono abbandonati…
Della Sport ve ne parlavamo qui: Moto Guzzi V7 Sport, l'incedibile storia di un mito nato in uno scantinato
Hanno motori a misura di patente A2, ma nel misto stretto Aprilia Tuono 457 e Mondial Piega 452 hanno poche rivali. Agili e perfette per fare esperienza,hanno una dotazione elettronica completa e costano il giusto. Le abbiamo messe a confronto sotto tutti gli aspetti, prestazioni comprese
Le nude “da patente A2†sono la scelta ideale per chi vuole fare esperienza avvicinandosi per gradi alle cilindrate superiori. Tra le proposte più interessanti nel segmento ci sono la Aprilia Tuono 457 e la Mondial Piega 452, due naked bicilindriche progettate e sviluppate in Italia ma prodotte in oriente per contenere i costi. Entrambe hanno linee moderne ed affilate, montano motori bicilindrici frontemarcia con fasatura a 270°, offrono buone dotazioni elettroniche e ciclistiche sportive.
La Tuono 457 nasce attorno al twin di 457 cm³ e 45,9 CV (rilevati alla ruota) con raffreddamento a liquido, acceleratore elettronico e tre modalità di guida (Eco, Rain, Sport),la stessa unità utilizzata sulla sorella sportiva RS 457. La dotazione elettronica comprende tre livelli del controllo di trazione e due modalità di intervento dell’ABS; full oppure escluso al posteriore. La Piega 452 riprende il nome della superbike dei primi anni duemila ma oggi monta il bicilindrico CFMoto di 449,5 cm³ capace di 50,2 CV (rilevati alla ruota) e offre due modalità di guida: Piega e Race, con quest’ultima che esclude l’intervento di ABS e controllo di trazione. Differenti le scelte telaistiche: doppio trave in alluminio per Aprilia, traliccio in tubi di acciaio per Mondial.
Tuono 457 e Piega 452 offrono una posizione in sella differente. Sulla “piccola†di Noale si sta con il busto leggermente caricato in avanti e le gambe piegate indietro. Sulla Piega si resta invece più eretti, con le braccia larghe, le gambe piegate il giusto. La vera differenza si avverte però nella guida. La Tuono eredita il DNA sportivo delle sorelle maggiori, è rapidissima nello scendere in piega e imposta le curve in maniera molto precisa. I cambi di direzione sono fulminei, grazie ad un avantreno tanto svelto quanto stabile e capace di infondere parecchia fiducia anche quando si alza il ritmo. La Piega, nonostante un interasse e un’avancorsa davvero contenuti, richiede una guida maggiormente fisica, specie nelle curve strette e quando si guida a velocità ridotta. Per inserirla è necessario sporgersi con il corpo e spingere sulle pedane più di quanto si faccia abitualmente con moto di pare categoria, e con la Aprilia. Sul veloce mostra invece più naturalezza, sia in percorrenza sia sui rettilinei, dove emerge una stabilità da riferimento una buona precisione nel mantenere la traiettoria.
Entrambi i motori offrono una bella progressione già ai bassi regimi, con un’erogazione corposa e senza vuoti. La Tuono ha un’ottima risposta al comando del gas, mentre la Piega ha un leggero effetto on-off. Ai medi e agli alti la spinta è decisa per entrambi i bicilindrici, che mostrano un ottimo carattere nella guida sportiva. Preciso e rapido il cambio della Mondial, peccato solo per la poca progressione del comando della frizione. Il quickshift Aprilia funziona a dovere in inserimento, mentre ha mostrato qualche incertezza nelle scalate in rapida successione. Per quanto riguarda la frenata, la Tuono ha comandi molto modulabili e progressivi nell’intervento, mentre la Piega frena forte sin dal primo tocco. Entrambi gli ABS risultano un filo invasivi nelle pinzate decise.
| Modello | Acc. 0-400 m | Acc 0-1000 m | Acc 0-100 km/h |
| Tuono 457 | 13,3 | 26,4 | 4,6 |
| Piega 452 | 13,3 | 26,3 | 4,5 |
| Modello | Ripresa 400 m | Ripresa 1000 m | Vel. max |
| Tuono 457 | 14 | 27,1 | 176,6 |
| Piega 452 | 13,8 | 26,8 | 177,7 |
| Modello | Potenza | Coppia |
| Tuono 457 | 45,9 (34,2)/ 9.200 | 41,2 (4,2)/ 6.900 |
| Piega 452 | 50,2 (37,4)/ 11.600 | 39,3 (4)/ 5.700 |
| Modello | Autostrada | Extraurbano | 90 km/l |
| Tuono 457 | 23,3 | 32,4 | 31,5 |
| Piega 452 | 19,4 | 29 | 25,8 |
| Modello | 120 km/h | Al massimo | Capacità serbatoio |
| Tuono 457 | 256 | 143 | 12 |
| Piega 452 | 198 | 106 | 12,7 |
L’acquisizione da parte di Bajaj mette in sicurezza il futuro di KTM, ma apre una fase di profonde riflessioni industriali. Tra ricerca, sviluppo e assemblaggio, Mattighofen resterà il cuore del marchio, ma la riduzione dei costi sarà un passaggio obbligato. Un film già visto?
Il messaggio che arriva dall’India è chiaro, almeno nelle intenzioni: KTM resterà un’azienda austriaca. Altrettanto chiaro è però il “sottotesto†che accompagna il sì di Bajaj: senza una drastica riduzione dei costi, il futuro del marchio di Mattighofen non è sostenibile. Dopo il perfezionamento definitivo dell’acquisizione di maggioranza da parte del colosso indiano, in Austria sono tornati a circolare timori già sentiti: tagli, razionalizzazioni e, soprattutto, una possibile delocalizzazione produttiva. A fare chiarezza è stato l’incontro tra una delegazione economica dell’Alta Austria e il vertice Bajaj, avvenuto direttamente in India. Vediamo cosa è emerso dall’incontro…
Durante il confronto con il consigliere regionale Markus Achleitner, Rajiv Bajaj - CEO di Bajaj Auto - ha ribadito un concetto che suona come una rassicurazione: KTM resterà un’azienda austriaca, con il proprio baricentro in termini di ricerca, design e produzione di modelli specializzati. KTM e Bajaj, nelle parole dell’imprenditore indiano, continueranno a essere due realtà distinte, ciascuna con un ruolo ben definito. Tradotto: l’identità del marchio non è in discussione. Lo è però il modo in cui questa identità verrà “sostenuta economicamenteâ€.

Lo schema, in realtà , è già noto. La produzione di massa continuerà a essere concentrata in India, mentre a Mattighofen resteranno le attività a più alto valore aggiunto: sviluppo, progettazione e assemblaggio dei modelli che devono incarnare la “qualità KTMâ€. Un equilibrio che consentirà a KTM di beneficiare dei vantaggi di costo garantiti dalla filiera indiana e, allo stesso tempo, a Bajaj di attingere al know-how industriale e tecnico austriaco e, questo lo aggiungiamo noi, beneficiare del “prestigio†goduto da una casa europea come KTM. Un film già visto, verrebbe da dire: componenti fondamentali realizzati dove costa meno produrli, assemblaggio finale in loco e marchio saldamente ancorato alla propria origine europea.
Se il messaggio sull’identità è rassicurante, quello sull’efficienza lo è molto meno. Bajaj non ha mai nascosto l’intenzione di “passare al setaccio†l’organizzazione KTM alla ricerca di margini di risparmio. A ribadirlo è stato anche Pradeep Shrivastava, membro del board di Bajaj Auto: l’obiettivo è rendere lo stabilimento del Innviertel più efficiente e riportare l’azienda a una redditività stabile. I numeri, del resto, parlano da soli. Un esempio su tutti: produrre un cambio per moto in India costa il 78% in meno rispetto all’Alta Austria. Una differenza che pesa come un macigno sui conti e che rende inevitabile una riflessione su cosa abbia davvero senso continuare a produrre in Europa.
La sintesi è forse tutta qui. KTM continuerà a sviluppare e assemblare moto a Mattighofen, ma dovrà farlo in modo molto più snello, selettivo e razionale. La manifattura resta in Austria, sì, ma solo laddove aggiunge valore reale. Per il resto, la globalizzazione della filiera sembra un passaggio obbligato.
D'altra parte, qualcosa l'avevamo già intuito: Bajaj: il futuro di KTM non può essere in Europa (che è morta)
L’integrale presentato dal marchio francese Roof va indossato in maniera completamente diversa rispetto agli altri caschi e promette maggiore sicurezza
Questa è una bella rivoluzione per il settore dei caschi da moto: è un integrale presentato dal marchio francese Roof, si chiama Djagger e va indossato in maniera completamente diversa dagli altri caschi dello stesso tipo. La differenza è nel sistema che lo assicura alla testa: niente a che vedere con il classico cinturino, è la porzione inferiore a forma di “U†che si muove e bascula portandosi dietro la nuca. Si mette la testa dentro il casco e si fa scivolare in avanti la parte mobile, una sorta di collare che si collega alla mentoniera, bloccandosi. La posizione del collare è registrabile per adattarla alle misure del proprietario.
La parte posteriore si chiude e ha un collare regolabile che sostituisce il cinturino
Il vantaggio che salta agli occhi è la maggiore praticità rispetto a un cinturino, perché il casco si assicura in attimo. Ma c’è di più: nel malaugurato caso di incidente è possibile accedere più facilmente alla testa, svitando due viti laterali per liberare il viso mantenendo contemporaneamente la testa stabilizzata, evitando così manovre pericolose per il collo e le vertebre.
Il prototipo visto all’EICMA è in fibra di carbonio, ha la bellezza di nove prese d’aria, una finestra facciale che assicura il 210° di visuale ed è previsto che avrà visiera foto cromatica Pinlock Maxvision che si adatta automaticamente alla luce. La commercializzazione è programmata per il 2026.
Non è la prima volta che viene proposto un sistema simile: molti anni fa un altro produttore francese, GPA, ne sviluppò uno nel quale i collari inferiori ad “U†erano due, una metà anteriore e una posteriore, infulcrati all’estremità del casco, ma non erano registrabili. Venne commercializzato e qualche pilota l’usò anche in gara ma il sistema evidenziò grossi problemi e sparì presto dalla circolazione.
Da tenere presente anche il fatto che un dispositivo di chiusura tanto diverso da quelli ormai standardizzati rischia di mettere in difficoltà un soccorritore, perché non sa come aprirlo. Roof è un produttore di grande esperienza, attivo fin dal 1973: troverà il modo di risolvere il problema.
La casa inglese sfodera un mezzo a metà strada tra scooter e scrambler, dotato di un robusto motore 125 con cambio semiautomatico. Piacerebbe anche in Italia?
AJS Motorcycles introdurrà nella sua gamma per il 2026 un robusto “tubone†semiautomatico a quattro velocità , che si chiamerà Imber e che inizialmente sarà distribuito nel Regno Unito e in Irlanda, i mercati di riferimento per il risorto marchio inglese.
Nonostante sparuti accenni di carenatura, la struttura tipica del motorino anni '70-'80 è ben visibile, anche se le caratteristiche tecniche lo avvicinano maggiormente a prodotti di “stazza†più importante, come l'Hunter Cub di Honda.
Disponibile in quattro colori (nero, verde, bianco e l'azzurro in foto), l'Imber è alimentato da un piccolo motore monoclindrico a quattro tempi di 125 cm3. Il propulsore, monoalbero a due valvole, eroga una potenza dichiarata di 9,4 cavalli a 8000 giri, e monta un cambio manuale a 4 marce dotato di frizione automatica. In pratica per passare da una rapporto all'altro basta premere il pedale e la frizioen si attiva da sola. L'Imber monta una ciclistica un po' off road con ruota da 18†all'anteriore e da 16†al posteriore, entrambe con freno a disco e gomme semitassellate. L'avviamento è sia elettrico che a calcio, l'altezza sella è di ben 810 millimetri, ma è disponibile anche nella versione bassa da 760.
Lo scarico alto è al riparo da colpi proibiti
Il serbatoio è da 8,5 litri, il consumo dichiarato è di soli 2,1 litri per 100 chilometri. Il peso dichiarato è di 115 chilogrammi in ordine di marcia. Il prezzo è decisamente d'attacco: 2349 sterline, circa 2680 euro al cambio attuale. Chissà se sul mercato italiano potrebbe trovare riscontro.
L'Imber ha un aspetto che può piacere, con quel look un po' retrò che sa di anni '70, la forcella con i soffietti e il faro anteriore tondo (ma a led). Il mix di antico e moderno trova riscontro anche nel manubrio con traversino, nel doppio ammortizzatore posteriore e nella seduta a due selle, ma allo stesso tempo nella disponibilità di una presa USB per ricaricare lo smartphone. L'ampio uso della plastica forse non è sempre gradevole, come nel parafango anteriore dietro la ruota o nel portapacchi di generose dimensioni, a ogni modo sicuramente utile, come il cavalletto centrale.
Il glorioso marchio inglese oggi sopravvive come una piccola azienda legata in patria ancora a molti appassionati. Produce sia scooter che motociclette di piccola cilindrata, tutte costruite intorno a un motore monocilindrico di 125cc (non lo stesso dell'Imber). Sono moto dalle linee marcatamente vintage, dal prezzo decisamente d'attacco e dai bassi costi di gestione.
Nei documenti di omologazione USA compare una "Ducati Formula ’73", è in arrivo una sportiva vintage su base Scrambler 800?
Dai documenti di omologazione pubblicati dal California Air Resources Board (CARB) emerge un nome che ha subito acceso la fantasia degli appassionati: Ducati Formula ’73. Si tratta di un modello che, stando a quanto indicato, dovrebbe arrivare sul mercato nel 2026, ma del quale al momento conosciamo però pochissimi dettagli. Secondo quanto riportato nei documenti, la Formula ’73 dovrebbe montare un motore bicilindrico a L con distribuzione Desmodromica 2 valvole per cilindro, raffreddamento ad aria e una cilindrata di 803 cm³ (qui sopra un'eleborazione digitale di com epotrebbe essere). La stessa unità utilizzata oggi dalla famiglia Ducati Scrambler. Un’indicazione che fa pensare a una base tecnica già collaudata, ma reinterpretata in chiave differenti, più sportiva e celebrativa.
La Formula 73 pescherà a piene mani negli anni 70 della casa di Borgo Panigale
Il nome Formula ’73 non sembra infatti scelto a caso, il riferimento rimanda direttamente alla storia Ducati e in particolare alla 750 Supersport Desmo del 1973, una moto entrata nel mito grazie ai successi sportivi. Quel modello nacque sull’onda dell’impresa alla 200 Miglia di Imola del 1972, dove Paul Smart e Bruno Spaggiari firmarono una storica doppietta con le 750 Imola Desmo, protagoniste anche nella categoria FIM Formula 750. Da lì arrivarono risultati importanti, come il titolo italiano conquistato nel 1975 da Franco Uncini.
Paul Smart e Bruno Spaggiari firmano la storica doppietta alla 200 Miglia di Imola
Al momento, il nome e il motore sono le uniche informazioni ufficiali disponibili. Tuttavia, considerando che il 2026 segnerà il centenario di Ducati, è plausibile immaginare che la Formula ’73 possa essere proposta come edizione speciale o celebrativa, magari in serie limitata. Le ipotesi parlano di una produzione limitata, magari 100 esemplari per i cento anni della Casa, o addirittura 73 unità come richiamo diretto al nome. Dai documenti CARB emerge anche che la Formula ’73 è stata omologata insieme a nuovi modelli Scrambler 2026, ma al momento sono ancora ignote la data di presentazione, così come le specifiche tecniche complete, il prezzo e la disponibilità . Intanto qui sppra potete vedere come l'immaginiamo noi.