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#motociclismo #news #insella.it
Presente su tutti gli impianti di scario omologati, il Db killer è un elemento fondamentale per ridurre a norma di legge le emissioni sonore. Chi lo toglie rischia multe pesanti, ecco tutto quello che c'è da sapere
Montato su tutti i terminali, a prescindere che siano di serie oppure aftermarket, il dB Killer meccanico che serve a ridurre le emissioni sonore della moto. A fini dell'omologazione, infatti, lo scarico deve rientrare entro un limite di emissioni misurate in decibel.
In base alla normativa Europea, il limite massimo per i motocicli, con motore a scoppio superiore ai 175 cm3 è fissato tra i 75 e gli 80 dB.
Gli argomenti per chiedere l’applicazione dell’art. 72 sono:
Le moto con linee moderne vi hanno stufati? Compratevi una “classica†con meccanica moderna ma ben nascosta sotto linee retrò. I modelli con qualche anno sulle spalle costano poco e si fanno buoni affari
Le moto modern classic piacciono tanto e la moda non sembra rallentare. Ci sono modelli che hanno ormai oltre 15 anni sulle spalle, sono quasi d'epoca nonostante motori e ciclistiche comunque attuali. Vista l'età si trovano a prezzi piuttosto interessanti, vi facciamo qualche esempio qui sotto. Scegliete quello che preferite!
Prodotta dal 2006 al 2010, è la stradale classic secondo Ducati. Il motore 1000 raffreddato ad aria è irregolare ai bassi regimi, ma ai medi ha grinta da vendere e allunga bene agli alti regimi. La posizione di guida è comoda, il busto è leggermente inclinato e le braccia ben distese ad impugnare il largo manubrio. In curva è precisa anche se va guidata di corpo, agendo con decisione per farla scendere in piega. I freni sono efficaci ma il comfort però è limitato dalla rigidità delle sospensioni, in particolare i due ammortizzatori dietro. Soffre anche il passeggero.
Qualche problemuccio qui e là delle parti elettriche, con le classiche spie che non si accendono; comunque nulla di grave. Controllate lo stato dei silenziatori, esposti agli urti. Il comando della frizione duro può essere ammorbidito montando l’attuatore del catalogo Ducati performance.
da 3.500 a 6.000 euro

La prima serie della V7 (prodotta dal 2007 al 2012) è una tranquilla stradale, facile da guidare e maneggevole. Il motore ha pochi cavalli (38,5 rilevati alla ruota), ma più che sufficienti per cavarsela in città . La V7 va bene anche per qualche gitarella senza troppa fretta e accoglie più che dignitosamente il passeggero.
I freni non sono male, le finiture sufficienti anche se c’è troppa plastica. Deludono un po’ il cambio (lento e non sempre preciso) e la sospensione posteriore rigida e decisamente in difficoltà sui pavé.
Non spaventatevi se vedete tracce d’olio sul foro di scarico della marmitta. D’obbligo invece un controllo generale sulla funzionalità dell’impianto elettrico (fari, frecce, spie sul cruscotto). Controllate con cura la carrozzeria che può soffrire per le vibrazioni del motore. La ruggine può attaccare i dischi freno e l’impianto di scarico. Problemi anche all’impianto di iniezione (spegnimenti etc etc).
da 2.000 a 3.800 euro
Gli esemplari più vecchi della “piccola†Harley-Davidson si trovano ormai a prezzi poco impegnativi. Da scegliere i modelli dal 2004 in avanti perché il motore è montato su supporti in gomma che smorzano efficacemente le vibrazioni. I modelli precedenti invece trasmettono vibrazioni e “pulsazioni†molto fastidiose.
La 883 è facile da guidare e abbastanza agile, nonostante il peso. Il motore è tranquillo e ben gestibile, mentre i freni sono da strizzare con decisione, perché faticano a rallentare gli oltre 250 kg in ordine di marcia. Mettete in conto anche il cambio lento e rumoroso.
Le Harley originali “come mamma le ha fatte†non esistono: chi compra queste moto primo o poi le personalizza. Bisogna vedere a chi si è affidato e se ha usato accessori originali oppure no. In generale le moto troppo pasticciate o “fatte in casa†sono da evitare perché possono dare noie. Occhio agli scarichi aperti: possono causare problemi alle valvole di scarico se l’alimentazione non è ben regolata. Buttate un occhio allo stato dei freni e al libretto dei tagliandi: l’assistenza H-D costa cara, ma è una garanzia.
da 3.000 a 7.500 euro
È una Kawa al 100%: il carattere sportivo non le manca. L’assetto è rigido e i freni con pinze a sei pistoncini mordono forte. Il motore 1200 spinge come una furia già da 4.000 giri e sale rapido di giri.
La distanza tra sella e pedane è ridotta, chi è sopra il metro e ottanta è costretto a piegare troppo le gambe. In movimento la ZRX è stabile e precisa ma poco agile: va “convinta†a scendere in piega agendo con decisione su pedane e manubrio, ma risulta sempre lenta nei cambi di direzione. Il motore beve parecchio. In città è un po’ impacciata.
Il discorso è analogo alla CB 1300: la ZRX è una moto di sostanza, capace di digerire chilometraggi elevati. Occhio solo allo stato dei dischi (stressati dalle pinze a sei pistoncini) e a quello delle sospensioni, in particolare i due ammortizzatori. Silenziatore esposto agli urti.
da 1.000 a 2.000 euro

Bella, affidabile e maneggevole, la W 650 è una stradale “da passeggioâ€, comoda e ospitale anche per il passeggero. Il motore bicilindrico è ben gestibile e va bene anche per chi ha poca esperienza, ma non chiedetegli prestazioni elevate e grinta da sportiva. Il peso da noi rilevato era di 204 kg in ordine di marcia: da fermo la W 650 si manovra quindi senza difficoltà , la sella bassa e il manubrio largo facilitano le cose.
I freni sono discreti: dietro c’è un tamburo poco potente mentre il disco davanti è efficace. Intorno ai 5.000 giri si sentono delle vibrazioni che alla lunga diventano fastidiose. Le sospensioni sono morbide e mal digeriscono la guida “d’attaccoâ€.
I sostegni del faro davanti soffrono le vibrazioni trasmesse dal motore e possono rompersi. Occhio ai freni: il tamburo può essere “cotto†dopo 20.000 km, il disco dopo 30.000 km. Anche gli ammortizzatori (di tipo economico) vanno KO dopo poco tempo (20.000 km).
da 1.500 a 3.500 euro
Un classico della gamma Triumph. La prima serie prodotta dal 2001 al 2013, nel corso degli anni ha subito poche modifiche: la più importante è stata l’aumento della cilindrata (da 790 a 865 cm3). La “Bonnie†è una moto valida, buona per la città e per qualche gita o viaggio poco impegnativo. Anche se non è un “fuscello†(218 kg rilevati), in movimento è agile e facile da manovrare.
Il bicilindrico inglese è piuttosto tranquillo, regolare nel trasmettere i cavalli, sale di giri senza fretta e consuma il giusto. L’impianto frenante è sufficiente, ma il disco davanti fatica un po’ a gestire la mole della moto. Rigida la sospensione posteriore, buona la sistemazione del passeggero. Finiture discrete, ma non di lusso.
Le cromature sono “sensibili†alla ruggine: occhio soprattutto a fari, ruote e carter motore. Possibile formazione di condensa all’interno del cruscotto. Controllate la frizione: se innesta le marce in maniera brusca può essere la campana deformata. Gli scarichi sulle moto Euro 3 possono cuocere e assumere una colorazione azzurrognola. I carburatori (se ci sono) vanno sincronizzati in caso di problemi di avviamento a freddo.
da 2.000 a 4.500 euro
L’aspetto è grintoso e il motore 1300 non delude: è fluido ma bello “sveglio†sin dai regimi medio-bassi ed è capace di buone prestazioni. La XJR però è anche molto confortevole: le sospensioni sono morbide (quindi poco adatte alla guida sportiva) e assorbono bene buche e pavé, mentre la sella da parte sua non delude, larga il giusto, ben imbottita e ospitale anche per il passeggero che ha tanto spazio a disposizione.
La grossa cilindrata si fa sentire dal benzinaio: i consumi sono sempre alti, difficile andare oltre i 14/15 km/litro. Ottime le finiture: verniciature e componentistica sono di tipica qualità “giapponese†(cioè elevata).
Possibili perdite d’olio dal sistema idraulico della frizione. Occhio anche alla testata: l’ammortizzatore di sterzo è collegato ad essa e col passare del tempo le sollecitazioni a cui è sottoposta possono danneggiare la guarnizione della testata. Qualche raro caso di problema alla ruota libera del motorino di avviamento. Occhio anche agli ammortizzatori (si “scaricano†in fretta) mentre gli specchietti si allentano facilmente.
da 1.500 a 6.800 euro
L'Honda SH è un punto di riferimento tra gli scooter fin dal 2007. Il più potente è il 350i che offre prestazioni brillanti e una stabilità eccellente. Ma come si comporta davvero nella giungla urbana? Ecco tutti i rilevamenti
La famiglia degli SH è da sempre in testa alle classifiche di vendita e infatti il 350 tra i midi scooter è il più gettonato. Tante le qualità , che il nostro centro prove ha messo messo su bianco con i dati delle prestazioni. Eccole qui sotto.
Nonostante le prestazioni brillanti, l'SH 350i si dimostra parco nei consumi, consentendo di percorrere lunghe distanze senza dover ricorrere troppo spesso al rifornimento.
Potenza massima: 23,1 CV/17,2-7.000 giri
Coppia massima: 2,62 kgm/27,7 Nm-5400 giri
Peso: 172,5 kg
L'Honda SH 350i è disponibile a 5.990 euro, un prezzo competitivo, considerando le sue prestazioni, la sua dotazione e la sua affidabilità . Il bauletto da 37 litri incluso nella dotazione di serie aumenta ulteriormente la sua praticità e il suo valore.
Il parabrezza è offerto di serie e si apre con la smart-key
La posizione di guida dell'SH 350i è naturale e confortevole, grazie alla sella ampia e al manubrio alto e vicino al pilota. La pedana piatta offre ampio spazio per i piedi e permette di caricare anche un piccolo zaino. Il parabrezza, soprattutto per i piloti pià alti, può risultare un po' vicino al casco risultando così un po' scomodo, soprattutto quando piove. Il telaio a semi doppia culla in tubi d'acciaio dell'SH 350i è leggero e rigido, e garantisce una buona stabilità anche alle alte velocità . I due ammortizzatori posteriori sono regolabili nel precarico molla su cinque posizioni e offrono un buon compromesso tra comfort e sportività , anche se in città possono risultare un po' rigidi.
L'impianto frenante dell'SH 350i è all'altezza delle prestazioni. I due dischi freno garantiscono spazi di arresto contenuti e l'ABS interviene in modo efficace e poco invasivo. Il sistema di lampeggio delle frecce in caso di frenata brusca, poi, aumenta ulteriormente la sicurezza attiva. L'Honda SH 350i è dotato di serie di tutto ciò che serve per muoversi in città e fuori porta con comfort e sicurezza. Oltre al bauletto da 37 litri, cisono le luci a LED, paramani, parabrezza alto e una smart key per l'avviamento senza chiave.
Nel 2000 il prototipo di Hamamatsu riuscì a conquistare il mondiale, interrompendo il dominio Honda che durava dal 1994. Meno potente della rivale, aveva il suo punto di forza nella maneggevolezza
Le vittorie mondiali di Suzuki nella classe regina del motociclismo sportivo in questo ultimo quarto di secolo sono state solo due: il campionato conquistato da Joan Mir con la GSX-RR nel 2020 e quello di due decenni prima, vinto da Kenny Roberts Junior con la RGV Γ 500. In entrambe le occasioni si è trattato di affermazioni sporadiche, ma con moto decisamente “indovinate†sotto il profilo tecnico. La Gamma in particolare è stata l'ultima esponente della saga delle due tempi di Hamamatsu nel motomondiale, l'ultima capace di rompere il dominio di Honda, al tramonto della categoria.
Suzuki può giustamente vantarsi di essere stata la prima casa a vincere con il due tempi nella classe regina del motomondiale. È il 1971 e il neozelandese Jack Findley riscrive i libri di storia in occasione del Gran Premio dell’Ulster. Seguono poi le tante affermazioni di Barry Sheene, i successi dei nostri Marco Lucchinelli e Franco Uncini, le gesta impagabili di Kevin Schwantz.
La prima RGV Gamma nasce nel 1987 in sostituzione della precedente RG con cilindri in quadrato: appare sulla scena insieme all'arrivo in Europa del grande campione texano. Con lui divide equamente vittorie e delusioni: il motore è un superquadro (56x50,6) con aspirazione lamellare nel carter. Solo dieci anni più tardi il propulsore V4 bialbero cambia quote, diventando perfettamente quadro (54x54). La moto è una delle più versatili della griglia ma, dopo il ritiro di Schwantz, Suzuki brancola nel buio tanto sul fronte della leadership in pista che deella direzione tecnica da intraprendere. Tre anni trascorrono senza successi ed è solo con il 1999 che il progetto di Hamamatsu torna a essere vincente.
La nuova Suzuki porta la sigla di progetto XR89 e viene rivoltata come un calzino nelle geometrie da Warren Willing, che la rende ancora più maneggevole. Il neo guru proviene dal team di Kenny Roberts e dalla fallimentare esperienza del progetto homemade voluto dal californiano con la sua KR prodotta in collaborazione con Tom Walkinshaw. Willing porta in Suzuki tanta voglia di innovare e anche Junior, fino ad allora considerato sostanzialmente “solo†il figlio del vulcanico padre. La coppia funziona e già nel 1999 la RGV si mostra competitiva. I 180 cavalli espressi non la spingono alle velocità maturate sul dritto dalla Honda NSR, ma la nuova distribuzione dei pesi rende la moto molto efficace. Le masse vengono portate maggiormente verso l'anteriore (54% contro 46% al posteriore), le sospensioni Showa vengono sostituite da delle Öhlins. L'alimentazione a carburatori ha già abbandonato i Mikuni dalla stagione precedente in favore dei più performanti Keihin da 36mm di diametro. La linea, che cerca di sfruttare al meglio l'aerodinamica, può piacere o meno: è inconfondibile con il grande codone che guarda all'ingiù e che diventa un marchio di fabbrica anche per le GSX-R di produzione. Il peso è di 132 chilogrammi.
Il successo arriva già nel gran premio di apertura della stagione, con Kenny Roberts Junior che riesce a imporsi su Carlos Checa e Mick Doohan, bissando il successo anche nella successiva gara in Giappone. L'uscita di scena del 5 volte campione del mondo australiano a Jerez de la Frontera per infortunio trasforma il mondiale in un affare a due tra il californiano e Alex Criville. A fine stagione Roberts Jr. però non riesce a recuperare sullo spagnolo e una Honda globalmente più performante: chiude staccato di 47 punti, con 4 vittorie all'attivo.

La ricetta per l'anno 2000 non cambia: maneggevolezza invece di potenza bruta. La NSR vanta una quindicina di cavalli in più, ma i 185 espressi dalla Suzuki sono più che sufficienti, grazie a una curva di erogazione migliorata tra i 5000 e i 9000 giri/min e a un allungo che riesce finalmente a spingersi oltre il muro dei 14.000 giri/min. L'angolo tra i cilindri – con misure di alesaggio x corsa ora di 54,0x54,5- viene allargato, portandolo da 70° a 80°, in modo da alloggiare meglio i pacchi lamellari. Viene anche rivista la configurazione di scoppio: si torna al big-bang, che favorisce la trazione ai medi regimi, anche se permane qualche problema di consumo gomma dovuto all'eccesso di freno motore. Suzuki sperimenta la soluzione da 16,5†per la ruota anteriore, ma si decide poi di mantenere la 17†per l'intero campionato.
La stagione parte bene quanto la precedente, o forse meglio. Junior centra due vittorie e un secondo posto nelle prime quattro gare. Mentre Valentino Rossi apprende i segreti della mezzo di litro, Max Biaggi non trova la quadra con la sua Yamaha e Alex Criville è l'ombra del campione del 1999, il pilota Suzuki prende il largo in classifica. Nel corso della stagione la sua RGV Γ si dimostra una moto molto efficace sul bagnato e il californiano è bravo a giocarsi bene tutte le carte a proprio favore. Anche nel 2000, Roberts Jr. vince “solo†4 gare, ma arriva altrettante volte secondo al traguardo e va sempre a punti, con l'eccezione di un solo ritiro. Nel gran premio del Brasile Kenny si laurea campione, a vent'anni di distanza esatti dal successo di suo padre.

Il 2001 è l'ultimo anno di vita della RGV Gamma, che però non onora al meglio il numero uno sul cupolino. Arriva solo una vittoria e nemmeno per mano del campione in carica, ma del compagno di squadra Sete Gibernau. In Suzuki la mente è già rivolta all'anno successivo e alla prima quattro tempi della nuova era MotoGP. La GSV-R non avrà gran fortuna e otterrà un solo successo – sul bagnato, con Vermeulen nel 2006- nella sua lunga carriera. Ma questa è un'altra storia.
Le nuove marmitte For Race 2 sono state completamente riprogettate con l’obiettivo di offrire il massimo in termini di prestazioni
Per togliersi delle soddisfazioni nell’enduro e nel motard ci vogliono motori con dei cavalli e pure un buon tiro in basso, cosa non semplicissima da ottenere quando si ha a disposizione una cilindrata di soli 50 cm³. Polini Motori vi dà una mano con le nuove marmitte For Race 2, completamente riprogettate con l’obiettivo di offrire il massimo in termini di prestazioni.
Sono destinati ai motori Minarelli AM6 e Derbi 50 a due tempi ed hanno una conformazione a serpentone, cioè passano alti così da non rischiare di toccare sotto nelle “pieghe†più accentuate o nei passaggi su fondi molto scabrosi. Il disegno è stato studiato in modo che si adattino ai telai dei principali marchi impegnati in questo segmento, così da rendere semplice il montaggio. I tecnici del reparto esperienze bergamasco li hanno progettati con l’attenzione ad ottenere una risposta pronta e un buon tiro ai regimi medi e alti.
Gli scarichi sono in lamiera di acciaio e sono dotati di un nuovo silenziatore finale in alluminio anodizzato nero con fondello ricavato dal pieno, smontabile per facilitare la sostituzione del materiale fonoassorbente; sul silenziatore e su uno scarico il logo Polini For Race inciso al laser.
Sono prodotti in sei modelli, per le moto di cinque costruttori: codice 200.0501 Fantic, codice 200.0503 Rieju, codice 200.0504 Derbi, codice 200.0505 Sherco, mentre per la Beta ci sono sia il codice 200.0506 (Beta ES) e che il codice 200.0507 (Beta E3/E4). I prezzi al pubblico partono da 268 € più Iva.
Sono perfette per chi vuole imparare ad andare in fuoristrada, ma risultano divertenti anche per chi ha già una buona esperienza
Quando parliamo di moto dedicate ai patentati con A2, si pensa subito a modelli facili rivolti a chi ha poca esperienza. Se però si passa alla categoria delle Adventure, il discorso in parte cambia: questi modelli vanno bene anche per chi ha esperienza e in fuoristrada ci sa andare ma è alla ricerca di un mezzo leggero e con prestazioni gestibili senza fatica. Ecco quindi cinque modelli guidabili con la patente A2, con cerchio anteriore da 21â€, pesi inferiori ai 200 kg, spiccate doti fuoristradistiche e... buon prezzo!
La 450 MTè uno dei modelli più interessanti del produttore cinese. Si tratta di una adventure spinta dal bicilindrico parallelo di 449 cm3 che ritroniamo anche sulla sportiva SR, sulla naked NK e sulla cruiser CL-C. Dotato di fasatura a 270 gradi e 47 CV di potenza massima, è inserito all’interno di un telaio in tubi di acciaio. Di qualità il reparto sospensioni, che vede unità Kayaba regolabili nell’idraulica e nel precarico, con forcella a steli rovesciati di 41 mm di diametro e monoammortizzatore con serbatoio separato. L’impianto frenante è firmato J.Juan e utilizza due dischi: 320 mm davanti e 240 mm dietro, con ABS disinseribile per la guida in fuoristrada. I cerchi sono a raggi: 21†l’anteriore e 18†il posteriore, con pneumatici leggermente tassellati. Il peso è di 173 kg a secco.
Prezzo: 5.990 euro f.c.
Sognare non costa nulla... per questo motivo abbiamo inserito in questa rassegna anche la Kove 450 Rally che ha un prezzo decisamente superiore rispetto a tutte le altre.
Si tratta però di un modello specialistico praticamente pronto gara, ma comunque adatta per imparare a guidare in offroad. È spinta da un motore monocilindrico di 449 cm3 accreditato di 42 CV a 8.000 giri/min., inserita in un telaio a doppia trave in acciaio, a cui quale sono abbinate una forcella a steli rovesciati di 43 mm regolabile nell'idraulica e un monoammortizzatore con link progressivo. L'escursione è da vera moto da rally, nella versione Hight è di 305 mm all'avantreno e 300 mm al retrotreno. Le ruote sono a raggi, l’anteriore da 21†e la posteriore da 18â€, con pneumatici tassellati rispettivamente 90/90 e 140/80. Il peso dichiarato è di appena 155 kg in ordine di marcia.
Prezzo: 9.690 euro f.c.
Anche la Casa di Trivolzio entra nel segmento con la ALLTRHIKE, una Adventure pensata per il fuoristrada anche impegnativo. È spinta da un bicilindrico in linea di 450 cm3, con 4 valvole per cilindro con una potenza massima di 44,2 CV a 8500 giri/min. Il telaio è a traliccio in acciaio, mentre il forcellone è in alluminio. Completamente regolabili le sospensioni, con forcella KYB a steli rovesciati da 41 mm di diametro ed escursione ruota di 210 mm e monoammortizzatore con escursione di 190 mm. L’impianto frenante vede un disco di 320 mm all’avantreno e uno di 255 mm al retrotreno, con ABS disinseribile. I cerchi sono a raggi da 21†l’anteriore e 18†il posteriore, mentre il peso è di 170 kg a secco.È disponibile in versione standard o "High Equipped" con paramani, sella e manopole riscaldate.
Prezzi: 5.890 - 6.140 euro f.c.
Si tratta di una adventure spinta da un bicilindrico parallelo frontemarcia con 47 CV di potenza massima, distribuzione a doppio albero a camme in testa, otto valvole, iniezione elettronica, raffreddamento a liquido e cambio a sei marce. Un’unità progettata sulla falsariga del twin parallelo di Honda, che equipaggia la gamma 500 della Casa dell’Ala. A livello ciclistico la Rieju Aventura sfoggia un telaio in tubi d’acciaio, abbinato a sospensioni con escursione di 190 mm: dietro un forcellone in alluminio con unico ammortizzatore centrale, davanti una forcella a steli rovesciati di 43 mm di diametro. I dischi freno sono a margherita: l’anteriore da 298 mm, il posteriore da 240 mm, entrambi con ABS. Le ruote a raggi montano pneumatici tassellati nelle misure 90/90-21†davanti e 150/70-18†dietro. Il peso è di 190 kg in ordine di marcia.
Prezzo: 7.920 euro f.c.
La Himalayan 450, fra le cinque, è la più essenziale nello stile e nell’estetica. È spinta da un monocilindrico raffreddato a liquido di 452 cc, con cambio a 6 marce, acceleratore ride-by-wire e due riding mode (Eco e Performance). La potenza massima è di 40 CV a 8.000 giri/min. Il telaio è una struttura a doppia trave in acciaio, su cui “lavorano†una forcella a steli rovesciati di 43 mm di diametro e un monoammortizzatore regolabile nel precarico, entrambi con 200 mm di escursione. L’impianto frenante è composto da un disco anteriore da 320 mm e uno posteriore da 270 mm. I cerchi sono a raggi: 21†l’anteriore e 17†il posteriore. Il peso dichiarato è di 196 kg a secco.
Prezzo: a partire da 5.900 euro f.c.
Kawasaki aveva sviluppato una meravigliosa 750 cm³ a due tempi quattro cilindri in quadrato stradale, ma le norme Usa sulle emissioni inquinanti cancellarono il suo sviluppo
Oramai di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, ma non si finisce mai di scoprire storie interessanti. Dal Giappone rimbalza la notizia che all’inizio degli anni ‘70 la Kawasaki aveva sviluppato una meravigliosa 750 cm³ a due tempi quattro cilindri in quadrato stradale. Una bomba che rimase inesplosa a causa del Muskie Act statunitense, la legge sul controllo delle emissioni inquinanti: vennero introdotti limiti sui gas di scarico ritenuti troppo restrittivi per un motore a due tempi, al punto che nel 1973 la Casa di Akashi decise di abbandonare il progetto quando era oramai in dirittura di arrivo.
C'erano tre diverse moto allo studio, che avrebbero dovuto dare continuità al grande successo della Z1 900. Uno era una sei cilindri di 1000 cm³, un altro era caratterizzato dal motore Wankel che in quel momento aveva suscitato notevole interesse presso tutti i costruttori, il terzo era il mostro di 750 cm³ a due tempi quattro cilindri in quadrato; la stessa disposizione che negli anni successivi si sarebbe affermata tra le 500 da Gran Premio, con Suzuki.
Il motore di Hamamatsu però aveva l’ammissione controllata da dischi rotanti mentre in quello della Kawasaki era controllata dal movimento del pistone. Le due bancate, anteriore e posteriore, erano collegate da una catena e ruotavano nello stesso senso, e l’ordine di scoppio con gli alberi motore sfasati di 90° l’uno dall’altro portava a quattro fasi attive per ogni giro, garantendo una notevole fluidità di erogazione.
Un’architettura del genere porta però a difficoltà di collocazione dei carburatori, e per questo motivo ce n’erano due soltanto, e ognuno di essi alimentava una coppia di cilindri. Gli scarichi uscivano di fianco e confluivano in due marmitte, una per lato, entrambe con due uscite indipendenti. Si stava già considerando l’ipotesi di un’alimentazione a iniezione che per quei tempi sarebbe stata una scelta avanzatissima. L’avviamento era elettrico ma il motore era dotato anche di kick starter.
Gli ingegneri avevano già ottenuto una potenza rilevante, 75 CV, ed avevano già iniziato a sviluppare anche una versione da corsa, ma nel 1973 il progetto venne fermato.
Non ebbero fortuna nemmeno gli altri due studi: il motore Wankel aveva diversi problemi che portarono alla decisione di abbandonarlo, mentre il sei cilindri non aveva un temperamento grintoso conforme agli standard Kawasaki di quel periodo e fece la stessa fine.
Offrono percorsi in fuoristrada con differenti gradi di difficoltà e tanti servizi che rendono le giornate in sella alle bici elettriche ancora più divertenti. Ecco i migliori d'Italia
I bike park sono veri e propri parchi divertimenti per le due ruote a pedali, con percorsi caratterizzati da difficoltà crescenti identificate dai colori verde, blu, rosso e nero. Tracciati affiancati spesso da percorsi studiati per affinare tecniche specifiche o da itinerari escursionistici per pedalare in relax. In più offrono numerosi servizi, come il nolo di e-bike, caschi e kit di protezione, tour guidati, officine di riparazione e bike hotels con proposte su misura per i ciclisti. Qui sotto trovate una carrellata delle migliori strutture presenti lungo la Penisola: Amiata Freeride Bikepark, Mottolino di Livigno, Bike Park Val di Sole, Cimone Bike Park, Kronplatz Bike Park Brunico, Maggiora Bike Park, Sellata Trail Center, Vittoria Park.
Si pedala immersi nella faggeta Amiatina raggiunta tramite seggiovia o shuttle (20 euro circa) per poi scendere scegliendo uno dei 10 trail, comprese due “nere†impegnative, la Dirty Sanchez con passaggi tra rocce vulcaniche e l’Amante, 2 km di pura adrenalina. Per i piccoli c’è il Fun Park con tre linee (verde, rossa e nera), per i principianti l’8 Volante e la Froggy e per gli altri tracciati con crescente difficoltà e aree tecniche come la Jump e l’Hip Hop. Alternative apprezzate sono la vicina Pump Track di Castel di Piano, i tracciati escursionistici sui sentieri dell’Amiata e i bike tour lungo le strade bianche toscane pedalando sulle colline della Val d’Orcia o alla scoperta di borghi e mare della Maremma. I prezzi variano da 7,5 euro per una risalita ai 28 euro della giornata (23 per i junior), ma ci sono diverse opzioni da scegliere. Numerosi i servizi: dal nolo fino alla bike school.
amiatafreeridebikeresort.com

La struttura nel “piccolo Tibet†è tra le più apprezzate dai bikers nazionali e stranieri, in particolare da quelli che amano il downhill. A richiamarli sono soprattutto le piste estreme come la Black Eye, con pendenza del 31,9%, e la Sic58, già trail del Downhill World Championship. In alternativa ci sono altri 12 percorsi con differenti difficoltà , le linee speciali come la Jump Area e la Slopestyle Area e innumerevoli percorsi escursionistici immersi nella natura. Ottima la qualità dei servizi. Il giornaliero costa 40 euro, ma ci sono anche il mattiniero (29,50 euro), il pomeridiano (34 euro) e pacchetti all inclusive vantaggiosi.
www.mottolino.com

Paradiso dei bikers nel cuore del Trentino, con molti servizi bike friendly e 4 tracciati spettacolari, compresa la celebre “nera†Black Snake che dal 2006 è sede fissa della Coppa del Mondo di Mountain Bike. Altrettanto emozionante la Wilde Grizzly, pista “rosso-nera†riservata agli esperti, e le due suggestive rosse Golden Eagle e White Wolf. Oltre alle piste del bike park si può salire in telecabina da Commezzadura fino a quota 2.000 metri per affrontare il trail enduro o per ristorarsi nei rifugi Solander ed Orso Bruno. Per i meno esperti ci sono le ciclabili a valle e il vicino Bike Park Ponte Tonale. Il giornaliero è di 44 euro, ma si può risparmiare con il pass di 2 ore (33 euro) o il pomeridiano e il mattutino (39 euro). Sconti per Junior e bambini.
www.centrobikevaldisole.com
Nel cuore dell’appennino modenese c’è un comprensorio dedicato agli amanti degli sport invernali, del trekking e del ciclismo. Immerso nel Parco Regionale del Frignano, il bike park si snoda sulle pendici del Monte Cimone offrendo diversi percorsi con quattro livelli di difficoltà (facile, intermedio, medio-difficile e difficile) per un totale di 375 km di lunghezza. Si raggiunge con le seggiovie di Sestola e dal Lago della Ninfa o con gli shuttle con porta bici e comprende diverse infrastrutture per l’accoglienza turistica e per l’assistenza ai biker, nonché servizi come il noleggio di bici a pedalata assistita. Il bike pass di 27 euro (22 i ragazzi), scende a 19 per il mattiniero e a 18 per il pomeridiano. Disponibili anche pacchetti soggiorno interessanti.
www.cimonesci.it

Nel comprensorio del Plan de Corones nel cuore delle Dolomiti, il Kronplatz è immerso in uno scenario unico al mondo da godersi uno dei 18 trail raggiungibili dai 5 impianti di risalita che portano fino a 2.275 metri. Percorsi corti e lunghi (da 491 a 7.446 metri di sviluppo), con diversi livelli di difficoltà e differenti fondi artificiali e naturali per divertirsi nella modalità preferita. Per rilassarsi si può optare anche per i molti percorsi cicloturistici pensati per godersi la scenografia montana a ritmo lento. Possibilità di nolo, di corsi personalizzati e pernottamento in bike hotel. Il giornaliero costa 49 euro, ma ci sono pacchetti scontati per più giorni (incluso lo stagionale a 299 euro) e riduzioni per gli under 16.
www.kronplatz.com

Tempio del Motocross italiano con lo spettacolare circuito del “Mottaccio del Balmone†che ospita il MXGP of Italy, la struttura del novarese offre spazio e risorse anche agli amanti delle MTB. Ai percorsi dedicati a Trail ed Enduro all’interno del parco del Fenera si aggiungono tracciati specifici per praticare il dirt jump e lo slope style per tutti i livelli, due pump track e linee salti con drop, step-up e un big airbag. Si possono fare corsi tecnici, escursioni guidate e...un tuffo in piscina. Disponibile il noleggio di e-MTB. Per accedere è necessario sottoscrivere una tessera annuale di 10 euro e pagare l’ingresso giornaliero di 10 euro, con un extra di 5 euro per “volare†sull’airbag.
maggiorapark.com

È in Basilicata il primo bike park del Sud Italia. Situato all’interno del Parco Nazionale dell'Appennino lucano, offre oltre 100 km di tracciati immersi nella natura e 5 single track per gli amanti dell’enduro, del freeride e del downhill. Si va da percorsi escursionistici a piste con tratti tecnici e ripidi con fondo roccioso dedicate ai più esperti. Ci sono attrattive nelle vicinanze, come il “volo dell’angelo†nel borgo di Pietrapertosa e il percorso dei ponti tibetani di Sasso di Castalda. Proposte escursioni guidate a pedali, il nolo delle bici, lo shuttle per la risalita e altri servizi utili. Il giornaliero costa 30 euro, la mezza giornata 20 euro.
www.sellata.info

Più piccolo e con offerta inferiore alla concorrenza, il Park di Brembate (BG) si raggiunge con facilità dalle principali città del Nord Italia e offre tracciati tecnici artificiali dove testare la propria abilità . Ci sono la Pump Track con fondo ondulato e curve sopraelevate, l’Airbag Trick dove provare le tecniche di salto sicuri di un atterraggio morbido, la Bike Skill Area per apprendere le basi del freestyle, il Drop per imparare a fare i salti o l’Hard Uphill per avventurarsi in salita con la MTB. A questi si aggiungono i percorsi con fondo sassoso, pavé e ghiaia, il circuito gravel e quello dedicato alle bici da corsa. I prezzi partono da 14 euro per la mezza giornata infrasettimanale e arrivano ai 20 euro per il full day nel weekend. Molti i servizi presenti, inclusi il noleggio di e-bike, del casco e dei kit di protezione e corsi tecnici personalizzati.
int.vittoria.com

La Casa di Akashi ha rinnovato e migliorato modelli storici come Z650, Z900, Z900 RS, oltre alle maxi Z1100, Z1100 SE, ZX-10R ed RR. C’è poi il grande ritorno della KLE 500, offerta ad un prezzo parecchio interessante. Vediamole una per una
La “piccola†di Akashi si aggiorna per il nuovo anno introducendo svariate migliorie, a partire dalla posizione di guida. Le pedane sono state riposizionate, il manubrio rialzato e le nuove selle sono state progettate per incrementare il comfort: quella del pilota è più ampia e imbottita (+15 mm), mentre la seduta passeggero cresce di 20 mm in larghezza e 10 mm in spessore. Cambia anche l’estetica, con un design più muscoloso che riprende i tratti della sorella maggiore Z900, con frontale ridisegnato dotato di fari, indicatori e fanaleria full LED. Debutta anche un display TFT da 4,3†con luminosità automatica e doppia grafica per il contagiri, compatibile con l’app Rideology. Il motore resta il bicilindrico parallelo da 649 cm³, ora equipaggiato con controllo di trazione di serie e con un’erogazione rivista per enfatizzare la coppia ai medi. Il telaio a traliccio in acciaio è di nuova concezione, mentre la frenata è affidata a due dischi anteriori di 300 mm e uno posteriore di 220 mm, entrambi sorvegliati da ABS. Per tutte le caratteristiche vi rimandiamo al nostro articolo di presentazione.
La Kawasaki Z900 RS si aggiorna per il model year 2026 senza perdere il suo fascino neoretrò. Il quattro cilindri di 948 cm³ è stato ottimizzato per offrire maggiore fluidità ai bassi e una risposta più pronta agli alti, con un nuovo terminale di scarico e nuovi collettori. Tra le novità spiccano i corpi farfallati ride-by-wire, il cruise control e un pacchetto elettronico avanzato basato su piattaforma inerziale a sei assi, oltre al cambio elettronico bidirezionale. Confermata la ciclistica con forcella a steli rovesciati di 41 mm regolabile nell’idraulica e monoammortizzatore con leveraggio orizzontale. La frenata è affidata a pinze radiali che mordono dischi di 300 mm all’anteriore. Disponibile anche la versione SE, che si distingue per la sospensione posteriore Öhlins con regolazione remota del precarico, impianto frenante Brembo con tubi in treccia e una livrea dedicata ispirata alla storica Z1 “Fireballâ€. Tutte le caratteristiche le trovate qui.
Erede della mitica Z1000, la Z1100 SE 2026 si aggiorna sotto numerosi e differenti aspetti per restare al passo con i tempi e con una concorrenza sempre più agguerrita. Cuore del progetto è il quattro cilindri in linea di 1.099 cm³, propulsore cresciuto in cubatura grazie a una corsa più lunga di 3 mm rispetto a quello della Z1000 e a un volano più pesante per migliorare la spinta ai medi e la risposta alle richieste di potenza. Nonostante l’aumento di cubatura, i CV erogati sono però “solo†136 (6 in meno della sua antenata) a 9.000 giri. Cresce invece la coppia: 113 Nm a 7.600 giri. Non cambia rispetto alla Z1000 la ciclistica, con telaio in alluminio supportato da una forcella a steli rovesciati SFF-BP di 41 mm e da un monoammortizzatore posteriore con schema horizontal back-link. La novità più interessante riguarda l’arrivo della versione SE, arricchita da una tinta più aggressiva e accessori dedicati agli amanti della guida sportiva: impianto frenante Brembo con pinze monoblocco ad attacco radiale, dischi dedicati, tubi in treccia d’acciaio e monoammortizzatore posteriore Öhlins S46 con precarico regolabile da remoto. Sia su questa top di gamma che sulla versione base c’è una nuova posizione del manubrio, più avanzata di 13 mm e più larga di 22 mm, per esaltare il controllo e la connessione con il mezzo. Per tutte le caratteristiche tecniche ecco il nostro articolo di presentazione.
Per il 2026, la Kawasaki Ninja ZX-10R si evolve parecchio, migliorando l’elettronica, la ciclistica, le prestazioni e l’aerodinamica. Il cuore dell’aggiornamento è infatti nel frontale: la carenatura è stata ridisegnata e ora integra appendici aerodinamiche di nuova concezione, i gruppi ottici sono più compatti rispetto al passato mentre la presa d’aria è riposizionata. Il cupolino è poi stato ridisegnato per ridurre la resistenza aerodinamica. Il motore resta il collaudato quattro cilindri in linea di 998 cm³, che ora ottiene l’omologazione Euro 5+, senza – a detta di Kawasaki – perdere nulla in termini di prestazioni (non ancora dichiarate dalla Casa). Sul fronte della ciclistica non ci sono stravolgimenti: viene infatti confermato il telaio a doppio trave in alluminio pressofuso con forcellone bibraccio. Le sospensioni Showa (BFF all’anteriore e BFRC Lite al posteriore), sviluppate in collaborazione con la sezione racing di Kawasaki, ricevono tarature ottimizzate per la guida tra i cordoli. Sia per la 10R che per la più sportiva 10RR arriva di serie l’ammortizzatore di sterzo elettronico Öhlins a doppio tubo, utile per garantire la massima stabilità nelle staccate più violente e alle massime velocità . Per tutte le informazioni, cliccate qui.
La KLE500 di Kawasaki è il modello che segna il ritorno della Casa di Akashi nel segmento delle crossover-adventure di media cilindrata, una fascia di mercato molto combattuta e ricca di proposte.
Nasce per un utilizzo strada/fuoristrada e a spingerla c’è il motore bicilindrico parallelo di 451 cm³ e 45,4 CV (ok quindi per la patente A2) che abbiamo già avuto modo di apprezzare su Z500, Ninja 500 ed Eliminator. Dotato di raffreddamento a liquido e distribuzione bialbero, è abbinato a un cambio a sei rapporti, gestito da una frizione servoassistita con antisaltellamento, che evita i bloccaggi della ruota posteriore se si scala marcia troppo velocemente. Il telaio è a traliccio in acciaio, sostenuto da una forcella a steli rovesciati di 41 mm non regolabile e da un monoammortizzatore collegato al forcellone tramite un leveraggio Uni-Track. L’escursione concessa è rispettivamente di 210 mm per la ruota davanti e di 196 mm per quella dietro. Il serbatoio ha una capienza di 16 litri, che dovrebbero essere sufficienti per concedere una discreta autonomia, mentre il peso dichiarato in ordine di marcia è di 194 kg. Sarà disponibile nelle concessionarie nei primi mesi del 2026 in due versioni: Standard o SE. I prezzi sono rispettivamente 6.390 euro e 6.990 euro. Per tutte le caratteristiche vi rimandiamo al nostro articolo dedicato.
La moto risponde bruscamente alle aperture del gas e il piacere di guida svanisce. Avete mai sentito parlare di questo fastidioso fenomeno? Vediamo di che si tratta, quali sono le cause e quali i rimedi
L'avvento dell'iniezione elettronica ha rivoluzionato il modo in cui le moto erogano potenza. Tuttavia questa tecnologia ha portato con sé un fenomeno fastidioso che, per quanto sia stato mitigato rispetto ai suoi albori, è possibile riscontrare talvolta ancora oggi: l'effetto on-off. In molti sapranno già di che si tratta, ma anche per chi fosse digiuno del concetto, è facile ricorrere all’immaginazione: pensate di aprire delicatamente il gas e, invece di sentire una progressiva accelerazione, il motore risponde bruscamente, proprio come se avesse un “interruttore†al posto dell'acceleratore.
BMW K100 (1983): la prima moto di serie dotata di iniezione elettronica. In questo caso una Bosch L-Jetronic...
Le cause principali di questo comportamento sono in breve legate alla complessità dei sistemi di iniezione elettronica. La centralina - il "cervello" della moto - gestisce infatti l'iniezione del carburante in base a una serie di parametri ma, se questi parametri non sono ottimizzati o se i sensori che li rilevano sono difettosi, l'erogazione potrebbe diventare irregolare. Un esempio classico ci porta al cosiddetto TPS (Throttle Position Sensor) che rileva la posizione della valvola a farfalla. Se questo sensore fondamentale non funziona correttamente, la centralina riceve informazioni errate circa l’afflusso di aria nei condotti di aspirazione e in tutta risposta… inietta una quantità di carburante inappropriata. A scagionare invece il sensore di posizione, nel caso di un'aspirazione con condotti multipli (quindi moto pluricilindriche) potrebbe essere proprio la mancata sincronizzazione dei corpi farfallati i quali, aprendosi in tempi diversi, potrebbero causare scompensi nell'erogazione. Altro fattore cruciale è poi la taratura degli iniettori. Pensiamo agli iniettori come fossero dei “dosatori†di carburante nebulizzato, la cui apertura è temporizzata ciclicamente: se questi non spruzzano la necessaria quantità di carburante nel momento corretto, si possono creare dei vuoti di potenza, percepiti dal pilota come degli scatti. Da ultimo, la qualità del carburante e un anticipo di accensione non corretto (in termini spicci: lo scoccare della scintilla in relazione alla posizione del pistone) possono anch'essi influenzare la combustione e contribuire all'effetto on-off. Un carburante di bassa qualità può contenere impurità che ostruiscono gli iniettori o alterano la miscela aria-carburante. Così come un anticipo di accensione eccessivo può invece provocare una combustione precoce, generando picchi di pressione che si traducono in una erogazione irregolare.
Funzionamento schematico di un sistema a iniezione diretta, in cui l'iniettore agisce direttamente sulla camera di scoppio (photo courtesy Bosch)
Ci stiamo riferendo, come avrete immaginato, a moto prettamente di serie: apportare modifiche (specie a scarico e aspirazione) potrebbe di per sé cambiare, anche in peggio, la risposta del nostro propulsore. In tal caso toccherà sicuramente lavorare di elettronica per compensare il “misfattoâ€, ma a questo arriveremo dopo…
È infine importante precisare come le case motociclistiche abbiano comunque fatto notevoli progressi nella risoluzione dell'effetto on-off, grazie a sensori più precisi, mappe di iniezione più sofisticate e sistemi come il Ride by Wire, che elimina il collegamento meccanico tra la manopola del gas e la valvola a farfalla. Grossolanamente, potremmo dire che le moto post 2015 offrono un'erogazione della potenza più fluida e progressiva. Ma non sono mancate nel frattempo eccezioni…
Con i carburatori - prima dell'avvento dell'iniezione elettronica - l'alimentazione era totalmente meccanica e sfruttava principi fisici quali depressione ed emulsione. Un sistema complesso, perfezionato nel tempo, talvolta impreciso... ma esente dall'effetto on-off
Oltre a rendere la guida meno piacevole, un'erogazione della potenza così brusca ha un impatto significativo che, in determinate condizioni, può arrivare a compromettere la sicurezza. Senza scomodare “casi limiteâ€, un'accelerazione improvvisa può infatti provocare slittamenti della ruota posteriore soprattutto su fondi scivolosi o con pneumatici usurati. Inoltre, la necessità di dosare continuamente l'acceleratore può complicare (non di poco) la gestione del mezzo in alcuni frangenti cruciali della guida, quali l’uscita di curva, specie dove il motore è mantenuto "in coppia".
Anzitutto è fondamentale verificare, tramite diagnosi computerizzata, che la mappatura della centralina segua gli standard previsti dalla casa, che tutti i sensori siano correttamente calibrati (inclusi il famigerato TPS) e che non presentino anomalie. Non è da escludere inoltre la necessità di:
sincronizzare il corpo farfallato
verificare timing e portata degli iniettori
regolare l'anticipo di accensione
L'utilizzo di un carburante di alta qualità è poi un ulteriore elemento per assicurare una buona combustione. Nel caso però in cui tutto risulti “in ordineâ€, allora occorre prevedere soluzioni alternative per mitigare o eliminare l'effetto on-off: la più efficace è la rimappatura della centralina nell’ottica di una sua ottimizzazione. Per dirla con più precisione, supponendo che il setting previsto dalla casa madre sia quello migliore possibile, potrebbe essere necessario “ingrassare†la carburazione standard, sacrificando leggermente emissioni e performance, ma migliorando l’erogazione.

Una mappatura "dinamica" su bancoa a rulli, eseguita su BMW R1200
Le raccomandazioni da tenere a mente sono sempre le solite e riguardano la corretta conservazione della vostra moto, ma è bene non darle mai per scontate…