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#motociclismo #news #insella.it
Cresce la "febbre" per le enduro stradali che hanno spopolato tra gli anni 80 e 90: monocilindriche, essenziali e dal sapore dakariano. Dalla Yamaha XT alla Honda XL, passando per Suzuki DR e Kawasaki KLR. Vediamo quanto costa metterne una in garage
Probabilmente è il segmento più vivace dei listini attuali - quello delle maxienduro crossover - che ha contribuito a rinfocolare la passione per i vecchi "mono" anni 80/90, specie per chi ha vissuto in prima persona quegli anni. Le cosiddette "endurone" dell'epoca, al contrario delle maxi odierne che oggi spopolano, si distinguono per la loro meccanica essenziale, unita a leggerezza e affidabilità . Un mix che ha fatto breccia nel cuore di molti: specie coloro i quali non temono l'uso del kick-starter e sono disposti a occuparsi in prima persona della basilare messa a punto.
Protagoniste assolute di quel periodo storico, sono state le Case giapponesi: ma quanto c'è da spendere oggi per accaparrarsi alcuni di questi modelli culto?
In un certo senso, la capostipite di questa generazione è stata la Yamaha XT500 presentata già nel 1976 all'IMFA (oggi Intermot). Spinta da un mono 4T SOHC a carter secco da 32 CV abbinato a un cambio 5 marce, per soli 142 Kg di peso. La sua parabola durerà più di un decennio e vedrà l'arrivo dell'impianto elettrico 12V solo nel 1986. Su tutte, la più distintiva è certamente quella con serbatoio in abbinamento nero/alluminio con dettagli in rosso (dal 1981) ... e chi se la scorda?!
Il suo valore di vendita odierno va dai 4.000 ai 7.000 euro, a seconda delle condizioni.
La Yamaha XT500 - nelle versioni post'81 - riceve parafango allungato, cerchi dorati e serbatoio in alluminio lucidato
Tra il 1982 e il 1984 è la volta della Yamaha XT550, diretta evoluzione della 500... ma il vero salto in avanti avvenne con la Yamaha XT 600, modello di maggior successo. Fu prodotta in quattro serie, nella variante "standard" e in quella a vocazione dakariana: la mitica Ténéré.
La prima serie - tipo 43F - debutta sul mercato nel 1983 e rimane a listino fino al 1987 è spinta da un mono raffredato ad aria capace di 45 CV e ha un serbatoio contenuto, da 11,5 Litri. Per ambire a lunghe distanze, meglio quindi il suo alter-ego Ténéré - tipo 34L - che assicura ben 34 Litri di carburante. Entrambe dotate di impianto frenante a disco anteriore e tamburo posteriore, pur di diverse dimensioni.
Yamaha Xt 600 43F (prima serie)
La più "avventurosa" Ténéré 34L (prima serie)
La seconda serie - tipo 2KF - ebbe vita breve, durando solo due anni nei listini: dal 1987 al 1989. Si tratta della cosiddetta "4 Valves", che si caraterizza per una linea diversa, più marcatamente anni 80. Arriva finalmente il doppio disco anteriore/posteriore (solo per la 2KF standard) ed è introdotto il carburatore a doppio stadio, con farfalla e ghigliottina a depressione. Anche qui, troviamo il solo avviamento a pedale; fatta eccezione per la versione Ténéré - tipo 1VJ - che guadagna in esclusiva l'avviamento elettrico.
La XTZ600 Ténéré tipo 1VJ mantiene un faro rettangolare dal piglio rétro
La differenza tra le due versioni si fa netta in modo definitivo a partire dal 1988, con la Ténéré tipo 3AJ che resta a listino fino al 1991 e si distingue per il caratteristico doppio faro frontale, il disco posteriore mutuato dalla sorella 2KF e un serbatoio da 26 Litri. L'avviamento, oramai, è solo elettrico.
Forte della sua linea unica, la Ténéré 3AJ è sicuramente la più intrigante della serie
La terza e penultima serie - tipo 3TB - venne introdotta nel 1990 e durò a listino fino al 1993 col nome XT 600 E, dove "E" sta per "Electric": anche per lei è la volta del solo avviamento elettrico. A differenziarla dalla "sorella" Ténéré questa volta è anche la cilindrata che, in quest'ultima, arriva a 660 cm3: nasce così la Ténéré XTZ 660.
Se preferite la comodità dell'avviamento elettrico, questa fa per voi: Yamaha XT 600 E
La quarta e ultima serie - tipo 4PT - debutta nel 1994 e chiude la saga XT nel 2003... qui però, siamo ormai troppo lontani dai nostri anni di riferimento.
Il valore di vendita odierno delle versioni 43F/2KF/3B (prima, seconda e terza serie) può variare dai 1.800 ai 4.000 euro, a seconda delle condizioni. Per le versioni Ténéré da 600 e 660 cm3, occorre sborsare qualcosa in più: dai 2.500 ai 4.500 euro, sempre a seconda delle condizioni.
Veniamo ora in casa Honda dove, anche qui, non sono mancate proposte su questo stile. Il riferimento è naturalmente alla Honda XL 600 prodotta tra il 1983 e il 1987 nella versione di debutto XL 600 R, alla quale ha fatto seguito nel 1985 la XL 600 LM e nel 1986 la XL 600 RM. La "ricetta" è quella ormai in voga: monocilindrico a 4T con raffreddamento aria/olio a carter secco. Della serie "poca spesa, tanta resa"...
La primissima XL 600 R è anch'essa erede di un progetto precedente, la XL 500, dalla quale si distingueva per una linea che strizzava l'occhio alle nuove tendenze del decennio 1980-1990 e sopratutto per il rinnovato motore monoalbero con testata RFVC (Radial Four Valves Combustion).
Tra tutte, la più essenziale è la prima serie denominata "R"
Honda non è poi da meno quando si tratta di offrire al proprio pubblico una variante orientata alle lunghe avventure: è così la volta della XL 600 LM dotata di serbatoio da 28 Litri, doppio avviamento (a pedale ed elettrico) e innovativi cerchi tubeless. Il motore è identico a quello della versione "R" standard, cambia invece la colorazione dello stesso, che è in rosso per il primo anno di produzione (1985) e successivamente in nero.

La versione "LM" del 1985, con blocco motore in rosso
La terza e ultima versione a vedere la luce si chiama XL 600 RM ed è quella che offre il maggiore compromesso rispetto alle due precedenti. Cambia l'ergonomia, rimane il pratico doppio avviamento, ma il serbatoio ha un volume più modesto, di 12 Litri. Rispetto alla concorrente Yamaha, non riceve upgrade all'impianto frenante, che al posteriore rimane a tamburo.
La versione più "moderna" della Honda XL 600 è la RM prodotta fino al 1989
Il valore di vendita odierno oscilla dai 2.000 ai 3.500 euro per una XL 600 R, mentre per la versione XL 600 LM si passa dai 3.000 ai 4.500. In una fascia più ristretta la versione RM, per la quale occorrono dai 2.000 ai 3.000 euro.
Un po' più sottotraccia rispetto ai due colossi Honda e Yamaha, troviamo l'altrettanto valida Suzuki con la DR 600 S. Anche in questo caso, un modello erede di una precedente e più "piccola" versione (DR 500 S), che vide la luce con un certo ritardo rispetto alla concorrenza di cui sopra, dopo una parentesi poco felice per il marchio Hamamatsu. Siamo infatti nel 1985 quando debutta l'inedita DR 600 S: è spinta da un mono da 589 cm3 capace di 43 CV, alimentato da un Mikuni a valvola piatta da 38 e, come le "altre", raffreddato ad aria . A proposito di raffreddamento, la sua particolarità è certamente il sistema SACS (Suzuki Advanced Cooling System) che prevede l'adozione di un radiatore olio, non presente sulle competitor. C'è inoltre la doppia accensione a distinguere il progetto Suzuki, che vede quindi l'adozione di due candele sul singolo cilindro.
La capostipite è lei: la DR 600 S con cui Suzuki, in cerca di riscatto, presenta soluzioni innovative per l'epoca
In scia alla concorrenza, già nel 1986 arriva la versione Djebel (dall'arabo "montagna") che riprende i concetti dakariani, adottando un serbatoio da 21 Litri. La sua linea originale le farà guadagnare da subito un certo fascino e rimarrà a listino fino al 1990.
La versione Djebel, disponibile anche in versione 650 per le ultime serie, era commercializzata in alcuni Paesi col nome "Dakar"
Proprio nel 1990 la cilindrata cresce a 650 cm3, la potenza fa altrettanto con 46 CV e l'estetica cambia profondamente: arriva così la più "stradale" DR 650 R (con il solo kickstarter) alla quale fa seguito, l'anno successivo, la versione RSE con avviamento elettrico.
In scia alla tendenza del momento, con l'arrivo della Honda Dominator, anche Suzuki sia adegua al trend "stradale"
Ultimo tassello della serie è la DR 650 SE lanciata nel 1996 che riceve un nuovo propulsore, meno potente e più fluido nell'erogazione. Suzuki ritorna così ad adottare linee più classiche, vocate all'off-road, dal momento che è ormai pronta al debutto la più stradale Freewind. In Italia, rimarrà in vendita fino al 2004.
Un ritorno al classico con quest'ultima versione, tramontata nel 2004 ma tutt'oggi commercializzata in alcuni Paesi
Per portarsi a casa una tra queste di casa Suzuki, servono meno quattrini: per una primissima DR 600 S andiamo dai 1.500 ai 2.500 euro a seconda delle condizioni; stessa quotazione per la più moderna versione 650 RSE, che a tutt'altro sapore rispetto all'antenata. Poco di più per la versione Djebel, per la quale i valori salgono dai 2.000 ai 3.500 euro (comunque meno delle sue concorrenti dakariane).
Nel frattempo neppure Kawasaki resta alla finestra. Nel 1984 scende anche lei nell'arena delle endurone stradali con la KLR 600, spinta a sua volta da un mono di 564 cm3 erogante 42 CV ma... raffreddato a liquido e con distribuzione DOHC! Unica nel suo genere a presentare queste soluzioni, pur offerta con un prezzo per l'epoca concorrenziale (inferiore ai 6 milioni di lire). Già nel 1985 è la volta della KLR 600 E, che introduce l'avviamento elettrico di serie.
Al pari di Suzuki, anche Kawasaki dovette escogitare qualche "asso" da giocare sul piano tecnico per fronteggiare i concorrenti
Nel 1987 debutta la KLR 650 e l'estetica del modello si orienta all'uso stradale, una scelta un po' infelice che scontenta gli amanti del tassello, nonostante la maggior cilindrata e la maggiore potenza di cui è capace (48 CV). Kawasaki mette così "una pezza" con la KLR 570 che, in un certo senso, è possibile considerare come versione molto basica della prima 600. Nel 1989 si ritorna sulla retta via con l'arrivo della KLR 600 S - prodotta fino al 1995 - che sfoggia un look più essenziale e mirato al fuoristrada. Nello stesso periodo viene introdotta una versione con carenatura più abbondante, è la KLR 650 Tengai, disegnata dalla matita nostrana di Roberto Maccioni e basata sulla omonima KLR 650.
La KLR 650 R con il suo frontale... abbondante
La carenata Tengai è quella dalla vocazione più dakariana... anche se la partecipazione di Kawasaki al raid fu davvero minima
L'ultimo acuto è del 1993, quando la versione KLR 650 viene a sua volta rinnovata con un'estetica più "leggera" che le permette di sopravvivere nei listini europei fino al 2004.
L'ultima versione da 650 cm3 è stata la più duratura e ha riscosso successo in diversi Paesi
Chi volesse prenderla in considerazione per l'acquisto, troverà la prima KLR 600 e KLR 600 E entro la fascia di prezzo 1.500-2.500 euro. Mentre per le più moderne versioni KLR 650, tra cui la "viaggiatrice" Tengai, si parte da poco meno di 2.000 (specie le serie più datate) fino a toccare la soglia dei 3.000 euro per esemplari più recenti e ben conservati.
Tra le Case più attive c’è la cinese Benda Motorcycles, che a EICMA ha portato tantissime novità , tutte caratterizzate da uno stile molto personale e tecnologie innovative
Se da un lato il mercato moto sta vivendo un appiattimento tecnico generale con piattaforme sempre più simili e votate alla versatilità , dall’altro ci sono aziende come Benda Motorcycles che fanno dell’innovazione il loro punto di forza. A EICMA l’azienda cinese ha infatti portato numerose novità , ognuna caratterizzata da soluzioni innovative e tecnicamente interessanti. Prima fra tutte la P51, che con il suo motore bicilindrico boxer ibrido mira a ridurre le emissioni dirette incrementando al contempo le prestazioni. Sul filone della moto facile e accessibile arriva poi la Rock 250 CVT, con motore V2 di 249 cm³ e trasmissione automatica CVT, mentre la Rock 707 debutta con soluzioni high-tech: sospensione posteriore pneumatica che permette di variare l’assetto e frizione elettroassistita. Ma non è tutto! Vediamo nello specifico tutte le novità Benda che arriveranno nel 2026 e nel 2027.
È stata fra le novità tecnicamente più interessanti di questa edizione di EICMA la P51, ovvero la cruiser-stradale ibrida che vedete qui sopra in foto, che unisce un motore boxer bicilindrico di 250 cm³ a un propulsore elettrico. Il sistema raggiunge una potenza combinata di 62 CV e oltre 100 Nm di coppia, con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 3,7 secondi. Prestazioni che un motore endotermico di pari cubatura si sogna...
Il telaio è una struttura leggera in alluminio e grazie al baricentro basso -assicurano i tecnici- la moto offrirà una maneggevolezza da riferimento. Il design è neoretrò di ispirazione aeronautica, combinando ad esso soluzioni moderne come i gruppi ottici full-LED e il display TFT. Non sappiamo ancora quando la moto arriverà in produzione, ma vista la rapidità con la quale questa Azienda è cresciuta ed ha saputo affermarsi nei mercati europei e mondiali crediamo arriverà in un futuro non troppo lontano.
Sembra la solita maxicruiser cinese e invece la Dark Flag 950 nasconde sotto le linee tipiche di questo segmento un motore V4 di 948 cm³ in grado di sviluppare 108 CV di potenza massima e 85 Nm di coppia, garantendo a detta della Casa uno 0-100 km/h in appena 3,8 secondi! Il motore, raffreddato a liquido e con distribuzione bialbero, è abbinato a un cambio a sei rapporti, con trasmissione finale a cinghia. Il telaio è un’unità a doppia culla in acciaio, abbinato a una forcella a steli rovesciati e a un doppio ammortizzatore regolabile nel precarico. Non mancano ABS e controllo di trazione disinseribili, frizione antisaltellamento, sistema TPMS, display TFT e porta USB-C. Il peso è di 242 kg in ordine di marcia, che promettono di essere gestiti con facilità grazie a una sella che si trova a soli 69 cm da terra.
Modello di punta dell’attuale gamma, la LFC 700 Pro è una power cruiser nata attorno al quattro cilindri in linea di 676 cm³ accreditato di una potenza massima di 86 CV e con un picco di coppia di 60 Nm. Ad abbracciare il propulsore troviamo un raffinato telaio a doppia trave in alluminio, con forcellone monobraccio di grossa sezione e maxi pneumatico di 300 mm. Per il nuovo anno viene confermata anche l’estetica ricercata e molto personale, frutto del reparto di ricerca e sviluppo interno a Benda, così come l’impianto frenante con pinze Brembo all’avantreno. La novità è l’arrivo dell’ammortizzatore elettronico, che permette di regolarne i registri idraulici da remoto.
Novità fresca fresca, la Rock 707 è una moto che combina lo stile classico delle cruiser americane con una dotazione moderna, ma soprattutto sovversiva per il segmento, che senz’altro farà storcere il naso agli integralisti di questo genere. Il motore è un bicilindrico a V di 691 cm³ che eroga circa 73 CV di potenza massima raggiungendo i 68 Nm di coppia, abbinato a una frizione elettroassistita BEC MK-II, che consente di cambiare marcia senza dover necessariamente utilizzare la leva. Sarà quindi possibile scegliere se lasciare alla moto il compito di gestione della cambiata o effettuarla personalmente. Tra le novità figurano la sospensione pneumatica elettronica a doppia camera, capace di regolare automaticamente l'assetto, l'altezza sella (tra 690 e 720 mm) e la rigidità in funzione del carico e del fondo stradale. Completano la dotazione: ABS, controllo di trazione, cruise control, schermo TFT a colori, ricarica USB/Type-C e fanaleria a LED. Il serbatoio da 16 litri e il peso contenuto in 218 kg la rendono adatta sia al commuting che ai viaggi.
Pensata per chi desidera una guida intuitiva e utilizza la moto principalmente in ambito urbano, la Rock 250 CVT adotta un motore V2 di 249 cm³ con 25,8 CV di potenza massima e 25 Nm di coppia, abbinato a una trasmissione automatica CVT. L’estetica è da cruiser, con forme classiche ma dotazioni moderne; ci sono infatti gruppi ottici con luci full-LED e display digitale. La sella si trova a 72 cm da terra e rende la Rock 250 accessibile a tutti, mentre la ciclistica è di qualità : forcella a steli rovesciati e doppi ammortizzatori regolabili nel precarico, con cerchi in lega e pneumatici CST. Completano la dotazione ABS e traction control.
La bicilindrica indiana è un progetto riuscito. Ma Messa alla prova, quanto fa e quanto consuma? Ecco i nostri rilevamenti
Il motore è il noto bicilindrico parallelo di 650 cm³ raffreddato ad aria. Un’unità dall’erogazione dolce e progressiva, che predilige una guida rilassata e fluida e dà il meglio tra i medi regimi. Secondo i nostri rilevamenti:
La ciclistica è classica: forcella tradizionale con soffietti e doppio ammortizzatore posteriore con serbatoio separato. L’impianto frenante è firmato ByBre, con disco anteriore da 320 mm.
La Interceptor 650 fa registrare consumi interessanti, a patto di non forzarne troppo l’andatura. Il serbatoio ha una capacità di 11,5 litri, di cui 3,5 di riserva. Secondo i nostri rilevamenti:
Qui tutti i dettagli: Royal Enfield Interceptor, ancora più bella e confortevole
Tra i marchi amati dal mitico Oberdan Bezzi ci sono anche le Gilera, i bozzetti che ha prodotto di recente sono ispirati al glorioso passato della casa di Arcore. Ecco i più belli
Nata nel 1909, la casa di Arcore è stata rilevata dal gruppo Piaggio nel 1969, una lunga storia che è terminata nel 2020 con l'uscita di produzione dello scooter Runner.
Un rilancio di Gilera è nei sogni di tanti appassionati, tra questi Oberdan Bezzi uno dei designer italiani più celebri. Il "nostro" Obiboi ha voluto immaginare come potrebbe rinascere la casa di Arcore, proponendo alcuni storici modelli in chiave modern-retrò.
A scatenare l'estro creativo del designer romagnolo è stato l'arrivo del nuovo motore bicilindrico Aprilia 400 che ha debuttato sulla RS 457, un'unità leggera, potente e moderna, perfetta per provare a "costruirci attorno" nuovi modelli con nomi storici come Saturno, Arcore e Regolarità . Qui sotto ecco i più belli.
Quella pensata da Obiboi è una moto di sostanza, tecnicamente tradizionale, con telaio in tubi, doppi ammortizzatori, ruote a raggi e un motore monocilindrico bialbero raffreddato a liquido da 400 cm3. Un motore piacevole da usare, in grado di offrire prestazioni brillanti a fronte di consumi contenuti. Dimensionata per il pubblico occidentale, ha una sella confortevole, manubrio rialzato e assetto comodo e rilassato, adatto a tutti. Esteticamente è ispirata alle "sorelle" 125 e 150 dei primi anni 70, da cui riprende anche il nome. Dedicata a chi vuole una moto "semplice" e solidissima, una stradale pura, con ottima tenuta di strada, massima sicurezza e prestazioni ottime per la categoria.
Questo è un concept di raffinata semplicità , esteticamente sobrio e "asciutto", tanto da essere inconfondibile. Caratteristiche che danno vita ad una proposta dedicata al filone delle café racer, tecnicamente semplici ma emotivamente coinvolgenti, sempre più nel mirino delle Case. Insomma, Piaggio, se ci sei... batti un colpo!
La Gilera 124 5V sia nella versione stradale che in quella da regolarità era di sicuro tra i più sognati dai ragazzi di metà anni 60.
Esteticamente appagante e con prestazioni brillanti, la 124 ha lasciato ricordi indelebili a chi l'ha posseduta.
A distanza di decenni Obiboi propone una rivisitazione moderna ma filosoficamente aderente al progetto originale: motore pronto e gestibile, leggera, ciclisticamente tradizionale, molto ben frenata e ammortizzata, assetto di guida vagamente sportivo ed il fantastico e inconfondibile look ammantato di grigio argento.
Una proposta nell'ambito del filone Modern Classic, la Gilera Regolarità Casa è, secondo Obiboi, una probabile erede della 124 Regolarità di metà anni 60 della Casa di Arcore.
Allora un mezzo da competizione, quella pensata da Bezzi è una affascinante crossover adatta ad ogni scopo, facile da condurre, dalle ottime prestazioni, parca nei consumi e dall'immagine affascinante.
Tradizionale nella parte ciclistica, la Regolarità punta tutto sulla qualità costruttiva e sul fascino per giocarsela nel settore vivace delle scrambler.
Il pilota spagnolo ha vissuto una stagione terribile, riassunta nel documentario di Dorna From heaven to hell. Riuscirà a voltare pagina? Il rischio è diventare una meteora nella storia del motomondiale
Jorge Martin: from heaven to hell è il titolo di un bel documentario di Dorna che ripercorre il 2025 terribile del pilota spagnolo, che con il numero uno sul cupolino ha visto ben poca luce nel corso di una stagione martoriata da infortuni, incomprensioni tecniche e tensioni contrattuali. Un anno da lasciarsi alle spalle, come per Pecco Bagnaia, un campionato che si può riassumere in alcuni momenti critici che il provider di contenuti del mondiale ha condensato nel video rilasciato.
“La prima difficoltà stagionale è arrivata in Malesia. Jorge mi ha chiamato dall’ospedale. Ha iniziato a piangere e anch’io ho fatto lo stesso. È stata una tragediaâ€. Sono le parole di Maria Monfort, la fidanzata di Martin, che ha spiegato l'impatto emotivo del primo momento difficile dell'anno. Niente lasciava immaginare però che fosse solo l'inizio. Dopo quel primo infortunio ne sono arrivati infatti altri, anche più gravi: “Dopo l’incidente di Sepang ha trascorso due settimane totalmente impegnato nel recupero. Ha usato tutte le sue energie per tornare il prima possibile ma, come ben sappiamo, si è nuovamente fermato per un altro infortunio in motardâ€.
L'avvio complicato è stato confermato nel gran premio del Qatar, nel quarto appuntamento del campionato, dopo il contatto con Fabio Di Giannantonio. È ancora Maria a parlare: “Sono entrata nella stanza d’ospedale, ho guardato Jorge e abbiamo subito iniziato a piangere. Era come dirsi: ‘Non so cosa succederà , ma ti amo’. Abbiamo pianto a lungo. Soffriva tanto ed eravamo terrorizzati. Mi ha detto che era sicuro che sarebbe morto. Era distrutto, dubitava persino di poter correre ancoraâ€.
C'è stato poi il corteggiamento di Honda, e ci sono state le parole del manager Albert Valera, una vera e propria bomba esplosa in mezzo al paddock: “Honda ha fatto una offerta, potremmo andarceneâ€, intenzione poi confermata dallo stesso Martin. Il gran capo di Aprilia Racing però si è fatto sentire. “Mi dispiace, ma non ti lascerò andare. Tu non te ne vai perché io so ora meglio di te cosa è meglio per teâ€.
Martin è successivamente riuscito a recuperare e a re-inserirsi in una squadra che ha saputo perdonargli molto, ma successivamente è caduto ancora al via del gran premio del Giappone e la sua stagione si è conclusa prima del previsto, senza avere trovato nemmeno un vero feeling con la RS-GP.
Il 2025 di Martin insomma è da dimenticare: il campione del mondo 2024 ora spera di invertire il trend a partire dal prossimo inverno, ancora in sella all’Aprilia. C'è un anno di contratto per dimostrare di essere un campione di quelli che restano, e non una meteora, seppure in un firmamento luminosissimo. La storia della categoria d'altronde è ricca di piloti che sono stati iridati una volta sola in classe regina: Fabio Quartararo, Joan Mir, Nicky Hayden e – andando a ritroso alla classe 500- si arriva a Kenny Roberts jr., Alex Criville, Kevin Schwantz, solo per fermarsi agli anni '90.
Alcuni di loro, come Hayden o Schwantz, sono ancora nei cuori degli appassionati. Altri sono stati quasi dimenticati. Jorge però il 29 gennaio compirà solo 28 anni: è un pilota nel pieno della maturità e ha tutte le carte a disposizione per provare a lasciare un segno più incisivo nella storia di questo sport.
I costi per gli assicurati sono aumentati a dismisura, ma i risarcimenti sono sempre più esigui. Ecco alcuni degli stratagemmi utilizzati dalle compagnie per garantire utili miliardari
La slitta trainata da cinque Vespa Primavera in livrea RED, è esposta a Milano e potete salirci per fare un selfie natalizio da mandare agli amici
Certamente non è così che vi immaginate la slitta di Babbo Natale ma Vespa è anche questo: un modo differente e originale per giocare con le feste in arrivo. Approfittatene! La slitta con le inconfondibili forme del famoso scudo, trainata da cinque Vespa Primavera in livrea RED, è esposta a Milano e potete salirvi sopra per fare un selfie natalizio da mandare agli amici. Tutto in una dolcissima atmosfera natalizia ma con gli elementi stilistici che fanno parte dell’identità stessa della Vespa, linee morbide ed accoglienti e una piacevole sensazione familiare.
La trovate nel Vespa The Empty Space, il concept store dello scooter più famoso del mondo che Piaggio da poco ha aperto in via Broletto 13, a due passi dal Duomo. Uno spazio nel quale anche l’architettura e il design sono ispirati al linguaggio Vespa, cioè non ci sono linee rette né spigoli, ma pareti curve in acciaio sullo stile della famosa scocca metallica che fa anche da carrozzeria. All’interno il Vespa Café, un luogo di incontro che richiama l’anima libera e amichevole del marchio. Tre le aree tematiche: la prima con una selezione delle Vespa più rappresentative, la seconda dedicata alla moda con collezioni uniche, infine la zona lifestyle. Un luogo piacevole da vedere e nel quale è piacevole anche ritornare, perché cambia continuamente e sarà il centro di iniziative sempre nuove.
Se siete in Lombardia e volete programmare una breve gitarella, comunque parecchio appagante, vi consigliamo di dirigervi verso la sponda lecchese del lago di Como e fare tappa a Varenna. Ne vale la pena


La Casa cinese per il 2026 allarga ulteriormente la gamma presentando una naked e una crossover con motore tre cilindri, oltre a due scooter 125 con telaio in alluminio, una naked 125 e due scooter bicilindrici. Vediamoli
La gamma Zontes è piuttosto ricca e com moto e scooter nelle cilindrate 125 e 350 cm³, oltre alla raffinata sportiva 703 RR con motore a tre cilindri in linea di 699 cm³ e 95 CV di potenza massima. Su questa piattaforma, che fra le altre caratteristiche di pregio vede telaio e forcellone in alluminio, arrivano per il 2026 anche la naked 703-R e la crossover 703-T, caratterizzata da un equipaggiamento davvero ricco. Sul fronte scooter, Zontes ha presentato i nuovi ZT 125-V e 125-X, due modelli che nascono sulla stessa base tecnica, con motore monocilindrico di 125 cm³ e telaio in alluminio, che permette di contenere parecchio il peso così da ottenere un rapporto potenza/peso davvero interessante. Ad EICMA si sono visti anche i 552 F ed R, due maxiscooter con motore bicilindrico di 531 cm³ e 52 CV, che puntano a giocarsela con i top di gamma della categoria. Vediamo nel dettaglio tutte le novità di Zontes per il 2026.
Zontes ZT 125-V
I nuovi ottavo di litro di Zontes nascono su una base tecnica comune con motore monocilindrico quattro tempi di 125 cm³ e 15 CV (quindi guidabili con patente A1 a sedici anni o la B) e consumi molto bassi: la Casa dichiara 1,8 litri per 100 km. La novità nascosta, però, è il telaio in alluminio, una soluzione raffinata che consente di risparmiare sul peso e che è disponibile solo su altri due scooter: lo Yamaha Tmax e il Kymco AK 550. Tutti gli altri rivali adottano soluzioni in tubi d'acciaio.
Zontes ZT 125-X
La ciclistica comprende poi forcella a steli tradizionali e una coppia di ammortizzatori posteriori regolabili nel precarico. Le ruote sono da 14 pollici all'anteriore e da 13 al posteriore; entrambi i freni sono a disco e dotati di sistema ABS. Il serbatoio ha una capienza di 11 litri, il peso in ordine di marcia è di 112 kg, mentre la sella è a soli 77 cm di altezza. Lato tecnologico, entrambi gli scooter adottano il sistema di accensione keyless, luci full-LED e display digitale. Arriveranno nel 2026, ma i prezzi non sono ancora stati annunciati.
Sulla linea stilistica del 368G (qui vi diciamo come va) Zontes presenta ad EICMA la versione di pre-produzione del 552G, un maxiscooter crossover alimentato da un motore bicilindrico di 531 cm³ e 52 CV di potenza massima (servirà quindi la patente A per guidarlo), 56 Nm di coppia, con trasmissione integrata nel forcellone in alluminio. Il blocco motore è invece solidale al telaio. Per quanto riguarda l’elettronica, l’alimentazione è gestita elettronicamente tramite corpi farfallati ride-by-wire e sono presenti diverse mappe di erogazione, il cruise control e il controllo di trazione, oltre all’ABS obbligatorio per legge. A livello ciclistico troviamo all’avantreno una forcella a steli rovesciati regolabile nell’idraulica, due dischi con pinze radiali a quattro pistoncini e cerchio a raggi di 17 pollici. Al retrotreno la funzione ammortizzante è affidata a un monoammortizzatore regolabile nel precarico; l’impianto frenante vede un solo disco e il cerchio è da 15 pollici. Ricca la dotazione tecnologica, che prevede luci full-LED, diverse prese di ricarica USB, plexi regolabile, sella e manopole riscaldate, telecamere, oltre al display TFT a colori con mirroring per la navigazione. Prezzo da definire.
Sulla stessa base tecnica del 552G, Zontes presenta il maxiscooter sportivo che si pone come antagonista di sua maestà Yamaha T-Max, che proprio quest’anno compie 25 anni. Confermato il pacchetto elettronico con alimentazione RBW, cruise control, modalità di guida e controllo di trazione, così come l’impianto frenante e le sospensioni. I cerchi in questo caso sono entrambi in lega di 15 pollici, con coperture stradali sportive. Cambiano anche le sovrastrutture, più dinamiche e filanti. Non si sa ancora il prezzo, ma visti gli standard di Zontes sarà sicuramente competitivo.
Porta di accesso alla gamma moto, la 125-Z2 è una naked grintosa che si guida con la patente A1 a 16 anni oppure a 18 con la B; ha una seduta ampia e vicina al terreno (79 cm), una posizione di guida d’attacco e una ciclistica di qualità . Il motore è un compatto monocilindrico di 125 cm³ con una potenza dichiarata di 15 CV; il telaio è in tubi di acciaio e il forcellone bibraccio in alluminio. Il tutto è sostenuto da una forcella a steli rovesciati e da un monoammortizzatore regolabile nel precarico molla. Entrambi i freni sono a disco e sorvegliati da ABS, che ricordiamo non essere obbligatorio sull’ottavo di litro, mentre la dotazione tecnologica è piuttosto ricca: display digitale, due prese di ricarica USB e gruppi ottici con luci full-LED. Contenuto il peso: 160 kg in ordine di marcia.
A EICMA 2025, Zontes ha svelato la ZT 703-R, una naked sportiva equipaggiata con il motore tre cilindri in linea di 699 cm³ già adottato sulla Adventure 703 e sulla supersportiva 703-RR. Il propulsore eroga una potenza massima di 95 CV (depotenziabile per A2) e una coppia di 74,4 Nm, valori che la collocano tra le proposte più interessanti del segmento di media cilindrata. L’alimentazione è gestita elettronicamente da corpi farfallati ride-by-wire; ci sono diverse modalità di guida, il cruise control e il controllo di trazione. Il motore è racchiuso all’interno di un raffinato telaio in alluminio pressofuso, sostenuto da sospensioni Marzocchi pluriregolabili, mentre l’impianto frenante è firmato Brembo. Il serbatoio ha una capienza di 18 litri, la sella si trova a 82 cm da terra e il peso dichiarato è di 191 kg in ordine di marcia. Tutte le caratteristiche tecniche le trovate qui.
Sulla stessa piattaforma motore-telaio della naked, della sportiva e della Adventure, la Casa cinese propone per il 2026 questa interessantissima crossover, caratterizzata da una dotazione tecnica di prim’ordine. Il propulsore è la stessa unità e anche in questa configurazione eroga 95 CV di potenza massima ed è affiancato da un pacchetto tecnologico completo: acceleratore ride-by-wire, cruise control, ABS cornering e sistema keyless di ultima generazione. La dotazione standard include anche un impianto di videocamere anteriori e posteriori con registrazione integrata e visione notturna (soluzione inedita per il segmento), telaio in alluminio pressofuso, sospensioni Marzocchi completamente regolabili, impianto frenante KYB con doppio disco anteriore, barre di protezione laterale, plexi regolabile, display TFT con connessione, gruppi ottici full-LED, paramani con frecce integrate e faretti supplementari. Il peso è di 206 kg con il serbatoio da 20 litri pieno. L'arrivo sul mercato è previsto per la primavera 2026, ma per tutte le caratteristiche tecniche vi rimandiamo al nostro articolo di presentazione.
L'eterna rivalità tra le due 125 a 2 tempi più amate e potenti di sempre non ha fine, Sono due sportive nate dalle corse che sono riuscite a sopravvivere ai limiti di potenza imposti dalla legge. Ma qual é la migliore? Ve lo diciamo noi, dati e rilevamenti alla mano
L'era d'oro dei 125 è quella degli anni '90, ve lo abbiamo già detto più volte con nostalglia e magari alcuni di voi hanno avuto anche la fortuna di vivere quel periodo in prima persona, quando tra le 125 a 2 tempi c'era l'imbarazzo della scelta... Aprilia, Cagiva, Honda, Yamaha, Gilera. Erano una più bella dell'altra ma, se proprio dovessimo eleggere una regina, allora dovremmo parlare di duello e, tra l'altro, tutto tricolore perché solo due modelli sono riusciti a sopravvivere ai limiti imposti di potenza (al massimo 15 CV a partire dal 1998) e alla crescita dei motori a 4 tempi anche tra le ottavo di litro. Stiamo parlando, ovviamente della RS 125 e della Mito, qual è la più veloce? Prima facciamo un rapido riassunto della storia di questi due missili a miscela, poi le mettiamo a confronto con i rilevamenti alla mano!

Tante delle qualità tecniche della RS 125 che è arrivata fino ai giorni nostri risalgono al model year 1992. In molti se la ricorderanno per la doppia versione (Extrema o Replica) e per il faro anteriore dalle forme ancora un po' squadrate. Molti elementi, però, non sono più cambiati a conferma del progetto vincente sviluppato dagli ingegneri Aprilia in collaborazione con il reparto corse. Il telaio a doppia trave in alluminio pesava soli 9,75 kg ed era completamente lucidato a specchio, così come il forcellone, divenuto bibraccio e composto da due parti avvitate tra di loro. Moderna la forcella a steli rovesciati da 40 mm, così come l'impianto frenante con all'anteriore un disco da 320 mm e una pinza a quattro pistoncini.

Nel 1996 questa piccola sportiva è stata aggiornata con una carenatura più moderna e tondeggiante e un cruscotto composto da due grossi quadrati analogici per giri motore e velocità più un piccolo schermo per la temperatura dell'acqua motore, l'orologio, il cronometro e il voltaggio della batteria. La novità più rilevante, però è il nuovo propulsore, sempre Rotax ma denominato 122: si tratta di un blocco raffreddato a liquido, sempre con con alesaggio x corsa di 54 x 54,5 mm.

Da qui in poi, causa anche le imminenti restrizioni di performance, lo sviluppo della RS 125 si è arenato e limitato ad aggiornamenti estetici. Due anni dopo è arrivata la versione con le carene "a goccia", come le moto da GP di quegli anni, mentre nel 2006 con le normative Euro2 le forme sono cambiate completamente. Per la prima volta nella sua storia, l'ottavo di litro di Aprilia si dimentica dei prototipi da gran premio ed inizia ad ispirarsi alle superbike stradali come la RSV 1000.

Squadra che vince non si cambia, quindi motore e telaio vengono confermati ma, oltre ad un nuovo look, arriva una forcella aggiorna con piedino ad attacco radiale per far spazio alla nuova pinza freno. Sotto al naso del guidatore, invece, compare una nuova piastra di sterzo, più sagomata e appriscente, e un nuovo cruscotto con un ampio display LCD per velocità e info di bordo e la lancetta per il contagiri. Nota curiosa, in oltre 20 anni di attività della RS 125, Aprilia ha sempre regalato ai suoi appassionati una race replica, dalla mitica Chesterfiel di Max Biaggi alle livree con cui correva Valentino Rossi, passando per la 54 di Manuel Poggiali fino a tornare alla numero 3 firmata Alitalia di Biaggi in SBK.

La Cagiva degli anni '90 non è di certo paragonabile a quella di oggi che, purtroppo, è solo u marchio in attesa di essere resuscitato. In quegli anni era invece protagonista sia nel mondo del fuoristrada, più precisamente nella Dakar, sia nella classe regina del Motomondiale. Potete ben capire come e quanto la Mito (e il nome dice già tutto) fosse nei sogni dei ragazzi di quegli anni. Già la prima serie del 1990 era raffinatissima con la sua carena avvolgente, il doppio faro anteriore circolare, il serbatoio a sgancio rapido e particolari aerodinamici all'altezza di una moto da Gran Premio.

Il telaio è a doppio trave in estruso di alluminio, un capolavoro, così come il forcellone, sempre in alluminio e caratterizzato dal braccio destro a banana per far spazio al controcono dell'espansione di scarico. Il motore monocilindrico con raffreddamento a liquido ha un alesaggio x corsa di 56 x 50,6 mm, un rapporto più superquadro rispetto a quello dell'Aprilia. Ancora oggi molto apprezzato il cambio a 7 rapporti, marchio di fabbrica della Mito, anche se poi nella pratica non dava vantaggi apprezzabili.

Nel 1994 nasce la Mito EV, la cui base tecnica verrà mantenuta fino all'uscita di scena del 125 di Cagiva nel 2012. La si riconosce per la carentura in stile Ducati 916, una garanzia in termini di design. La moto, infatti, è bellissima ancora oggi: il telaio in alluminio, che è rimasto invariato, viene messo in bella mostra e viene trapiantata una forcella Marzocchi a steli rovesciati con tanto di impianto frenante Brembo più performante. Lei è la Mito più longeva di tutte ma attenzione al salto del 1998: complessivamente la moto non è cambiata ma, a causa degli 11 kW di potenza massima imposta per legge, viene messo da parte il cambio "Seven gears" in favore di un più tradizionale a 6 rapporti.

L'ultimo capitolo della storia di questa amatissima ottavo di litro si apre nel 2008 con la SP525 (l'abbiamo anche provata). Non ha avuto un grande successo, causa anche le normative antinquinamento Euro3 che prevedevano un sistema a controllo elettronico sul carburatore. Esteticamente, però, la nuova Mito aveva molto fascino infatti la carenatura non aveva più nessun legame con Ducati perché le forme si rifacevano direttamente alla C594, la mostruosa 500 da Gran Premio con cui correvano Lawson e Kocinski nei primi anni '90.
Quando si parla di guidare una motocicletta, Aprilia e Cagiva hanno sempre adottato due strade diverse per le loro ottavo di litro. L'RS è stata al passo con i tempi, infatti l'impostazione di guida è più moderna e i semimanubri arretrati e aperti privilegiano un ingresso in curva più rapido. La Mito, invece, offre una posizione più distesa, vecchio stile ci viene da dire, infatti i semimanubri sono più chiusi e lontani, e le pedane molto alte. Era meno svelta della sua avversaria, ma anche più stabile grazie all'interasse più lungo e all'ammortizzatore di sterzo di serie. Preferenze estetiche ed ergonimiche a parte, quando si parla di prestazioni è il cronometro a comandare: a causa dei 15 CV imposti per legge non ci è possibile confrontare le reali capacità di queste sportive a 2 tempi nella loro ultima evoluzione, ma sfogliando qualche vecchia rivista del passato siamo riusciti a recuperare dei dati molto più attendibili.
Per questo confronto abbiamo preso come riferimento i model year del 1994, specificando che però l'Aprilia veniva venduta con carburatore da 34 mm, mentre la Cagiva ha praticamente sempre avuto il 28 mm. Con le moto entrambe sul banco a rulli, la potenza massima rilevata all'albero è stata di 36 CV a 11.200 giri/min per la RS 125 e di 33,4 CV sempre a 11.200 giri/min per la Mito. Questo valore è ampiamente a favore della ottavo di litro di Noale che, oltre ad essere più veloce a tutto gas (173,1 km/h a 12.300 giri contro 167 km/h a 12.600 giri) è anche più rapida nel famoso quarto di miglio, che poi sono 400 metri: l'Aprilia ci ha impiegato 14,30 secondi, la Cagiva quasi 3 decimi in più.
Questi ovviamente sono i rilevamenti delle moto "di serie", come appena uscite dal concessionario. In quegli anni elaborare il motore e la ciclistica era all'ordine del giorno, quindi ci sta che sui campi di gara i risultati potessere essere diversi. A tal proposito, se vi piace ancora mettere mano a questi gioiellini, qui vi parliamo di delle elaborazioni più gettonate per far andar più forte un'Aprilia RS 125.