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#motociclismo #news #insella.it
La cas aindiana ha presentato al raduno Motoverse 2025 la Continental GT-R 750, versione da gara che anticipa la futura Continental GT 750 di serie
Royal Enfield si prepara ad ampliare la propria gamma introducendo il motore 750, evoluzione dell'attuale bicilindrico parallelo 650 di cui mantiene l’architettura, incrementando però la cilindrata e di conseguenza i valori di potenza e coppia. Il sistema di raffreddamento è sempre misto aria/olio, ma è stato rivisto per gestire al meglio la nuova unità .
Ecco la versione da pista, così come è stata presentata al Motoverse, in alto e in gallery le nostre elaborazioni digitali di come potrebbe essere con un bel faro anteriore
Il nuovo motore sarà montato sulla Himalayan 750, per vedere la versione definitiva della crossover bisognerà aspettare EICMA 2026, mentre per la sportiva non abbiamo indicazioni ufficiali, ma è presumibile che seguirà le medesime tempistiche.
La Continental GT 750 è stata anticipata dalla versione da pista Continental GT-R che sarà utilizzata nel campionato monomarca organizzato in India. Questa versione è stata presentata al Motoverse 2025, mega raduno che si svolge ogni anno nella regione di Goa richiamando decine di migliaia di appassionati.
Il terminale di scarico laterale è un altro richiamo al mondo delle Café Racer
La Continental GT-R 750 sfoggia una linea da café-racer caratterizzata da una semi-carenatura con grosso cupolino, sella monoposto con gobba posteriore, semimanubri bassi e pedane leggermente arretrate. Elementi che, sella a parte, dovremmo ritrovare anche sulla versione stradale.
Ecco un'altra nostra elaborazione digitale della Continental 750
Il telaio in tubi non sembra cambiare rispetto a quello della GT 650 tutt’ora presente nei listini Royal Enfield, mentre sulla GT-R abbiamo sospensioni Showa, con forcella a steli tradizionali e doppio ammortizzatore posteriore. L’impianto frenante si affida a un doppio disco anteriore e ad un disco posteriore con pinze ByBre. I cerchi sono in lega, entrambi da 18 pollici con gomme stradali/sportive 110/80 all'anteriore e 150/65 al posteriore.
Il raffreddamento è ad aria/olio, la fitta alettatura dei cilindri aiuta a dissipare il calore
Spinta da un bicilindrico da 750 cm³ di nuova generazione, la moto dovrebbe raggiungere una potenza massima di 55 CV, con un picco di coppia di 60 Nm e adottare un cambio a sei marce con frizione antisaltellamento. La Continental GT-R 750 sostituirà le attuali protagoniste della Continental GT Cup nel corso del prossimo anno.
Il cruscotto vede due contagiri analogici di forma circolare, un chiaro richiamo al passato. Tuttavia sulla versione di serie è probabile che ci sia una strumentazione "mista"
La versione stradale potrebbe essere proposta anche in due versioni: con o senza carenatura.
La Honda CB1000GT è fra le novità più interessanti viste a EICMA. Si tratta di una crossover nata per viaggiare ma con un carattere grintoso. La GT nasce sulla stessa piattaforma della CB1000 Hornet, monta un motore a quattro cilindri in linea derivato da quello della CBR1000RR Fireblade ed inserito in un telaio in acciaio con schema a diamante.
Tutti i gruppi ottici hanno luci full-LED, compresi gli indicatori di direzione che si disattivano automaticamente dopo aver cambiato corsia. Nelle frenate di emergenza, grazie al sistema ESS, gli indicatori lampeggiano simultaneamente
L’estetica è caratterizzata da linee molto affilate con i fianchetti che si estendono in avanti, mentre al centro del frontale troviamo il faro con luci a LED così come il resto dei gruppi ottici. Il parabrezza è regolabile manualmente su 5 posizioni, mentre la carenatura ai lati è piuttosto ampia. Rispetto alla Hornet i tecnici giapponesi hanno rivisto il telaietto posteriore, irrigidendolo e allungandolo così da incrementarne l’abitabilità e la capacità di carico. Nella dotazione di serie sono incluse le valigie laterali, con una capienza di 37 litri per quella di sinistra e 28 litri per quella di destra. Sempre di serie vengono offerti i paramani, il cavalletto centrale, le manopole riscaldate, il cruise control, il cambio elettronico bidirezionale e il sistema di avviamento keyless.
Per quanto riguarda la tecnica invece, sotto al vestito da moto turistica troviamo il quattro cilindri in linea di 1.000 cm³ che, come dicevamo, deriva da quello della CBR1000RR Fireblade m.y. 2017-2019 (qui vi raccontiamo la storia di questa eccezionale supersportiva). Un propulsore ovviamente aggiornato alla Euro 5+ e adattato all’utilizzo stradale, con una curva di erogazione addolcita. Parlando di numeri, sono 150 i CV di potenza massima erogati a 11.000 giri, con un picco di coppia di 102 Nm a 8.750 giri.
A differenza della Hornet, la GT è dotata di piattaforma inerziale che include ABS e controllo di trazione cornering, oltre a cinque modalità di guida, ciascuna delle quali modifica le impostazioni dell'erogazione di potenza, del freno motore e del controllo della trazione. Il tutto si gestisce da un display TFT a colori da 5†che dialoga con lo smartphone attraverso l’app Honda RoadSync.
Il display è realizzato utilizzando la tecnica dell’incollaggio ottico che, sigillando lo spazio tra il vetro di copertura e il display con una resina, riduce il riflesso e migliora l’effetto della retroilluminazione
Ad abbracciare il motore troviamo un telaio a doppio trave con struttura a diamante in acciaio abbinato ad un forcellone bibraccio in alluminio, che rispetto a quello della Hornet è stato allungato di 16 mm a tutto vantaggio della stabilità . I cerchi sono in lega da 17 pollici con pneumatici nelle misure 180/55 al posteriore e 120/70 all’anteriore. L’impianto frenante vede una coppia di dischi anteriori di 310 mm di diametro con pinze Nissin ad attacco radiale, mentre al posteriore c’è un disco singolo da 240 mm. ABS e controllo di trazione sono cornering, cioè funzionano anche in curva
Debuttano sulla GT le sospensioni Showa EERA semiattive, che adattano costantemente le regolazioni di forcella in compressione ed estensione in base a tre parametri: velocità , informazioni trasmesse dalla piattaforma inerziale e al movimento della forcella rilevato grazie a un sensore di corsa. Il monoammortizzatore offre poi anche la regolazione elettronica automatica del precarico molla. Interasse, avancorsa e inclinazione del cannotto di sterzo valgono rispettivamente 1.465 mm, 106,3 mm e 25°. Il peso dichiarato è di 229 kg in ordine di marcia con il serbatoio di 21 litri completamente pieno.
La CB1000GT accoglie senza problemi anche i piloti oltre i 180 cm, lo spazio per le gambe è abbondante e le pedane, ben distanziate dalla sella, permettono di guidare rilassati. La seduta si trova a 82,5 cm da terra, è sufficientemente spaziosa e, grazie ai fianchi snelli, consente di mettere i piedi a terra con sicurezza. Il riparo dall'aria offerto dalle carene è eccellente, mentre è solo sufficiente quello del parabrezza. Nella posizione più alta devia efficacemente l’aria dalla parte centrale del busto, ma lascia scoperti casco e spalle, sui quali si creano vortici d’aria che in autostrada possono affaticare. Tra gli accessori Honda è presente un parabrezza maggiorato, che pensiamo possa risolvere questo aspetto.
Il motore è un vero gioiellino: fluido e regolare nella parte bassa del contagiri, offre una spinta decisa già ai medi regimi, per poi sfoderare tanta grinta e un allungo più che soddisfacente nella guida sportiva. Ottimo anche il cambio elettronico bidirezionale, preciso e rapido negli innesti.
Fra le curve la CB1000GT è efficace e prevedibile: l’avantreno è svelto e trasmette tanta confidenza, la moto è ben bilanciata e le sospensioni semiattive svolgono un ottimo lavoro. Molto bene la frenata: c’è tanta potenza all'anteriore ma è sempre ben modulabile, mentre il comando posteriore, molto progressivo nell’intervento, è perfetto per eventuali correzioni di traiettoria in curva. ABS e controllo di trazione hanno entrambi funzione cornering e sono una sicurezza in più sia nella guida sportiva sia nell’utilizzo quotidiano.
La nuova Honda CB1000GT sarà disponibile a partire da maggio 2026 in tre colorazioni: Grand Prix Red, Pearl Deep Mud Gray e Graphite Black. Ancora da definire il prezzo esatto per il mercato italiano, ma da Honda dicono che si aggirerà attorno ai 14.000 euro.
Per la CB1000GT Hornet è disponibile una vasta gamma di Accessori Originali Honda, acquistabili singolarmente o in pacchetti.
COMFORT PACK
Il Comfort Pack è stato ideato per esaltare le doti turistiche della GT e comprende selle Comfort per pilota e passeggero, manopole riscaldabili, parabrezza alto, deflettori superiori e inferiori e fari antinebbia.
SPORT PACK
Lo Sport Pack rende il look della GT più aggressivo con puntale sottocoppa, decalcomanie per il serbatoio, protezioni per il motore e adesivi per i cerchi.
URBAN PACK
L’Urban Pack è pensato per esaltare la praticità e la capacità di carico della moto con portapacchi, bauletto da 50 litri, schienale e pannello per il bauletto.
L'ultima nata della Casa giapponese ha tanto carattere, un motore potente ma sfruttabile, sospensioni semiattive e una dotazione tecnica completa
| Motore | quattro cilindri in linea |
| Cilindrata (cm3) | 1.000 |
| Raffreddamento | a liquido |
| Alimentazione | a iniezione |
| Cambio | elettronico a 6 rapporti |
| Potenza CV (kW)/giri | 150 (110,1)/11.000 |
| Freno anteriore | a doppio disco di 310 mm |
| Freno posteriore | a disco di 240 mm |
| Velocità massima (km/h) | 200 km/h |
| Altezza sella (cm) | 82,5 |
| Interasse (cm) | 146,5 |
| Lunghezza (cm) | 213,5 |
| Peso (kg) in o.d.m. | 229 |
| Pneumatico anteriore | 120/70 |
| Pneumatico posteriore | 180/55 |
| Capacità serbatoio (litri) | 21 |
| Riserva litri | n.d. |
La Legge di Bilancio 2026 apre la strada a una possibile “rottamazione locale†dei tributi non pagati. Oltre a a Imu, Tari e canoni per occupazione suolo pubblico, ci sono anche il bollo auto e le multe stradali, sanabili con sanzioni ridotte e rateizzazioni. Ecco come dovrebbe funzionare
Dal 1° gennaio 2026, Comuni e Regioni potranno attivare una definizione agevolata dei tributi locali, su base volontaria. Inserita nella Legge di Bilancio, la misura, consente di “sanare†debiti accumulati con il pagamento di imposte o multe, riducendo o cancellando sanzioni e interessi. Non si tratta di un obbligo: ogni ente decide autonomamente se adottarla e con quali modalità . L’iniziativa riguarda principalmente tributi come Imu, Tari, canoni per occupazione suolo pubblico, imposta di soggiorno, bollo auto e moto e le sanzioni per violazioni al Codice della Strada. Sono esclusi invece addizionali Irpef, Irap e tributi già oggetto di altre definizioni non perfezionate.
Per i proprietari di auto e moto con bollo non pagato, la rottamazione locale può rappresentare un’opportunità concreta. Gli enti locali potranno offrire sconti sulle sanzioni e la possibilità di pagare solo l’importo principale in rate, con eventuali interessi al 4% annuo. Questo significa che, se il proprio Comune aderisce, sarà possibile regolarizzare la posizione evitando ulteriori aggravi. Anche per le multe stradali è prevista la possibilità di sanatoria. Attenzione però: il beneficio riguarda solo l’importo della sanzione pecuniaria, mentre eventuali punti decurtati dalla patente non possono essere annullati. Come per il bollo, spetta però al Comune decidere modalità e termini per aderire.
La rottamazione locale non si attiva automaticamente. Serve una delibera comunale o regionale, che definisca termini, tributi interessati e modalità di adesione. Una volta approvata, la delibera deve essere pubblicata online e trasmessa al portale del federalismo fiscale. La misura può riguardare accertamenti in corso, cartelle già notificate e, in alcuni casi, pendenze in contenzioso non definitive, ma non si applica a debiti già coperti da sentenze passate in giudicato.
A proposito di multe e sanzioni: Multe non pagate: prescrizione, rischi e verifiche da fare
Da alcuni documenti apparsi in rete spunta la nuova Kove 475RR: la sportivetta della casa cinese cresce di cilindrata e potenza
Il segmento delle sportive di media cilindrata pluri frazionate, un tempo dominio esclusivo delle case giapponesi, sta vivendo una seconda giovinezza grazie alla spinta dei costruttori cinesi. Dopo il ritorno della Kawasaki con la ZX-4RR, infatti, diversi marchi orientali hanno iniziato a presidiare la fascia attorno ai 500 cm3.
Tra questi Kove, che sembra intenzionata a evolvere rapidamente la sua offerta. Da alcun iregistri aziendali sono emersi i disegni tecnici di una nuova versione della sua sportiva, denominata 475RR. Il modello rappresenta l'evoluzione della precedente 400RR (poi diventata 450RR, ne parliamo qui) con motore da 443 cm3 e punta a un ulteriore incremento delle prestazioni. Le immagini CAD (qui sopra invece una nostra elaborazione per rendere più reali i disegni) confermano quanto anticipato in alcune presentazioni riservate ai rivenditori a inizio anno: il propulsore è un quattro cilindri in linea che, grazie alla nuova cubatura stimata in circa 475 cm3 dovrebbe superare i 70 CV erogati dall'attuale unità , posizionandosi presumibilmente attorno ai 75 CV. Questo permetterebbe a Kove di rispondere alle concorrenti dirette come la CFMoto 500SR (78 CV) e la futura ZXMoto 500RR.
La carica delle 500 (cinesi) a quattro cilindri, leggi qui
Le alette ora sono ancora più pronunciate
Se il motore promette più sostanza, anche l'estetica e la ciclistica mostrano cambiamenti evidenti rispetto al modello attuale. Il telaio rimane una struttura a traliccio in tubi d'acciaio, ma il reparto sospensioni vede l'introduzione di un nuovo forcellone in alluminio, ridisegnato e alleggerito grazie a un’apertura sul lato destro, mentre l'ammortizzatore è dotato di serbatoio separato (piggyback), una soluzione più raffinata rispetto al componente precedente. All'avantreno si conferma la forcella a steli rovesciati e l'impianto frenante con pinze radiali Taisko.
Le sovrastrutture sono state completamente riviste per offrire un look più aggressivo: il frontale presenta un gruppo ottico "incassato", sormontato da una carenatura spigolosa che integra alette aerodinamiche (winglets) più pronunciate, che si estendono verso il basso incorniciando i fianchi. Il raccordo tra serbatoio, sella e codino è stato ridisegnato per snellire la linea complessiva della moto.
La 450RR attuale presenta forme un po' più datate. Il salto estetico è evidente
Non sempre le ciambelle riescono col buco. Ci sono moto che diventano leggendarie per la loro bellezza, altre per le loro prestazioni e altre che... insomma, hanno fatto discutere
Nel mondo delle due ruote, la bellezza è spesso un valore tanto ricercato quanto soggettivo. Tuttavia, alcune moto riescono nell’impresa di mettere tutti d’accordo… in negativo. Che si tratti di scelte estetiche discutibili, esperimenti stilistici finiti male o semplicemente di un approccio troppo radicale al design, certi modelli hanno lasciato il segno più per il loro aspetto che per le qualità su strada. In questa selezione ripercorriamo alcune delle moto più “difficili da guardare†mai prodotte, senza limitarci a un’epoca o a una categoria precisa. Una lista per certi versi amara ma si sa, il tempo cambia rapidamente i giudizi, e i brutti anatroccoli -Andersen insegna- poi diventano cigni...
Disegnata da Philippe Starck, celebre designer industriale, l’Aprilia Motò 6.5 nasceva con l’intento di rivoluzionare l’estetica motociclistica, fondendo arte e ingegneria. Il risultato, però, fu un oggetto più da ammirare che da guidare (almeno la prima serie). Le forme tondeggianti e minimali, il serbatoio a goccia, i fianchetti lisci e lo scarico alto in alluminio satinato le conferirono un aspetto da concept bike futurista… ma fuori tempo massimo. Il motore Rotax da 650 cm³ era affidabile, ma nulla poteva contrastare il generale disinteresse del pubblico verso una moto più simile a un esercizio di stile che a un mezzo quotidiano. Fu però un enorme successo di marketing, perché all'epoca, grazie all'archistar francese, trovò ampio spazio anche sulla stampa non specializzata.
Dati tecnici principali:
La BMW C1 rappresenta uno dei più audaci esperimenti mai visti nel mondo delle due ruote. Invece di limitarsi a costruire un classico scooter, BMW decise di ibridare moto e automobile, dando vita a un veicolo con tettuccio rigido, cintura di sicurezza e sedile da auto. Il risultato? Un mezzo ingombrante, esteticamente discutibile e poco funzionale. Il motore da 125 cm³ offriva prestazioni limitate, mentre il peso superava i 200 kg. L’idea di non dover indossare il casco grazie alla struttura di sicurezza era interessante, ma di fatto non applicabile in molti Paesi per via delle normative. Nonostante le buone intenzioni, fu un insuccesso commerciale.
Dati tecnici principali:
La Honda Rune ha diviso nettamente l’opinione pubblica: da un lato, chi la considera una scultura futuristica su ruote; dall’altro, chi la ritiene un’evoluzione mal riuscita della Valkyrie F6C. Il design appariscente, con il grosso faro frontale, la coda allungata e lo scarico “esageratoâ€, ha oscurato le qualità meccaniche della moto. Costruita attorno a un motore a sei cilindri da quasi 1.800 cm³, la Rune era imponente su strada, ma il prezzo elevato e l’estetica estrema ne hanno limitato il successo. Fu un esperimento costoso e unico nella storia Honda.
Dati tecnici principali:
Erik Buell era un ingegnere brillante, ma il design non era la sua priorità . La RR1200 Battle Twin fu concepita con un obiettivo chiaro: la massima efficienza aerodinamica. E ci riuscì, con uno dei coefficienti di resistenza più bassi dell’epoca. Ma visivamente era un disastro: carene massicce e sproporzionate, cupolino ingombrante, proporzioni bizzarre. La moto aveva prestazioni interessanti per l’epoca, ma un’estetica che faceva scappare anche gli appassionati più fedeli.
Dati tecnici principali:
Quando si parla della MV Agusta F4, si parla di uno dei capolavori di Massimo Tamburini. Ma la versione realizzata da Zagato per un cliente giapponese è tutto fuorché armoniosa. Questo esemplare unico distorce completamente le linee eleganti dell’originale: carenature massicce, fori casuali, scarichi ridisegnati e una sella dalla forma ambigua. Una reinterpretazione che sembra nata da un esperimento, più che da un progetto estetico coerente. Un caso emblematico di come anche i grandi nomi del design possano inciampare.
Dati tecnici principali:
Tra le elettriche più particolari mai prodotte, la Johammer J1 è un concentrato di soluzioni tecniche radicali e un design che ha lasciato tutti spiazzati. Il profilo da scarabeo, con forcella anteriore a parallelogramma, specchietti su steli lunghi e carrozzeria chiusa, la rende più simile a un veicolo alieno che a una moto. Le prestazioni non sono particolarmente brillanti, ma il prezzo elevato e il look stravagante la rendono un’icona… del cattivo gusto.
Dati tecnici principali:
Chi scrive inserisce questa moto con parecchia fatica, perché a suo tempo (aiuto...) ha avuto modo di guidarla a fondo e apprezzarla parecchio. Detto ciò, non si può negare che la prima versione della Multistrada fu un esperimento non del tutto riuscito. Sebbene il concetto fosse valido — una Ducati per tutte le strade — il design (di Pierre Terblanche, che in Ducati disegnò tra l'altro anche la 999, altra moto poco amata dal punto di visto estetico) risultava scoordinato: frontale esteticamente indifendibile, posteriore spoglio, volumi poco armonici. Fu solo nel 2010 che Ducati riuscì a trovare una sintesi efficace tra forma e funzione, trasformando la Multistrada in un successo globale. Ma le origini furono tutt’altro che memorabili, almeno dal punto di vista stilistico. Ed è un peccato, perché andava davvero bene.
Dati tecnici principali:
Pensata come una tourer futuristica, la K1 fu la risposta di BMW alla ricerca di efficienza aerodinamica. Il risultato? Una moto ingombrante, squadrata, con carenature pesanti e colorazioni sgargianti che sembravano uscite da un film di fantascienza anni ’80. Nonostante la meccanica solida e le buone prestazioni, l’aspetto troppo “avveniristico†la rese impopolare. Fortunatamente ha aperto la strada a modelli BMW più riusciti negli anni successivi.
Dati tecnici principali:
Il nome Katana evoca immediatamente un’immagine precisa: quella della spada giapponese dei samurai, simbolo di disciplina, precisione e onore. Non è un caso che Suzuki abbia scelto questo nome per una delle sue moto più iconiche, affidando il progetto a un team tedesco con il compito di reinterpretare il concetto di sportiva secondo una visione avanguardistica. Il risultato fu la Katana, presentata nel 1981, una moto (basata sulla solida GS 1100) che ruppe completamente con gli schemi estetici dell’epoca. Le linee taglienti, il cupolino squadrato, la sella alta e la coda spezzata rappresentavano un design spigoloso, quasi brutale, pensato più per colpire che per piacere. Se oggi il modello è considerato una pietra miliare e oggetto da collezione, al momento del lancio suscitò più perplessità che entusiasmo. Una moto che, come l’arma da cui prende il nome, divideva chi la osservava: c’era chi ne ammirava il coraggio, e chi la trovava semplicemente fuori luogo.
Dati tecnici principali:
Negli anni '80 ha segnato il debutto di Noale tra le moto on-off che andavano per la maggiore. Disponibile in diverse cilindrate, è stata un successo soprattutto nelle versioni 125
La Tuareg è tornata a calcare la scena del mercato e dei motorally, comprese le più dure maratone africane; la moderna Aprilia da off-road incarna alla perfezione il moderno spirito "adventure", ma a Noale il nome Tuareg è familiare fin dagli anni '80, quando la sua progenitrice divenne uno dei modelli più apprezzati, in particolare nelle versioni 125 che ebbero molto più successo di quelle con motore 350 e 600 4 tempi. Ecco la loro storia.

Nel 1984 Aprilia mette in commercio la ETX 125, una enduro due tempi spinta dal motore Rotax con ammissione lamellare, che vuole essere una versione più addolcita della specialistica RX: manca la valvola pneumatica di scarico. Sulla scia di una popolarità della Parigi-Dakar ormai pervasiva nel panorama mediatico e foriera dei successi commerciali di BMW e Yamaha, l'anno successivo anche in Aprilia decidono di cavalcare l'onda, presentando la Tuareg: condivide con la ETX gran parte della ciclistica ma non le sovrastrutture, come il serbatoio che passa da 10 a 16 litri. Il propulsore è il nuovo Rotax 127 con valvola RAVE allo scarico. Il nuovo motore ottimisticamente indica 26 cavalli all’albero (in realtà sono poco più di una ventina), la velocità massima non raggiunge i 130 km/h, il peso è di 124 kg. La Tuareg viene commercializzata a 3.780.000 lire nei colori rosso/giallo e blu/giallo. L’anno successivo arriva già un primo restyling, che comprende la nuova colorazione bianco/rosso, l’avviamento elettrico (opzionale) e il freno a disco anche sulla ruota posteriore.
Come per la ETX, arriva anche la versione 350: monta però un motore quattro tempi, che eroga 33 CV a 7500 giri, viene inoltre introdotta la prima Tuareg Rally, dalle prestazioni entusiasmanti: il suo motore 2 tempi Rotax da 34 CV a 10.750 giri, alimentato da un carburatore da 34 millimetri, unitamente a un peso dichiarato di soli 100 kg, conferisce al mezzo un comportamento da vera off road e la Tuareg Rally diventa molto ambita, ma ha un mercato di nicchia. La mancanza dell’avviamento elettrico e del miscelatore separato, oltre che il prezzo elevato - vicino ai 5 milioni- la rendono un vero prodotto di nicchia. Sempre in ambito due tempi, della Rally esiste anche la versione 250, equipaggiata con motore Rotax 244-GS. I cavalli sono 45 CV a 8000 giri, il peso rimane contenuto, solo 105 chilogrammi.
Per entrambe le cilindrate è disponibile un kit competizione che comprende filtro aria, getti carburatore del massimo più grandi e marmitta libera (non omologata).

La Tuareg Rally prima serie era disponibile con motore 125 e 250

Nel 1987 arriva la versione "maxi" della Tuareg 8qui sopra), in linea con le tendenze stilistiche dell'epoca: doppio faro e parafango basso, nelle colorazioni blu/bianco con sella blu e rosso/bianco con sella rossa. Il motore è il nuovo Rotax 127 derivato da quello della AF1 Project 108, con valvola RAVE 2 e avviamento elettrico. La potenza rimane invariata. L'anno successivo viene introdotta la versione Wind (qui sotto): i cavalli diventano 28, ma la moto nel complesso è più pesante e ingombrante.

Finalmente sul mercato viene introdotta anche una versione media, che ha l'obiettivo di rivaleggiare con Honda Dominator, Yamaha Ténéré e Cagiva Elefant. La Tuareg 600 Wind pesa 148 chilogrammi, ha un'altezza sella di 86 centimetri, monta il motore Rotax di 562cc (94x81) con distribuzione monoalbero a quattro valvole e cinghia dentata, oltre al controalbero di equilibratura. Il propulsore, alimentato da un carburatore Dell'Orto da 34 millimetri, è raffreddato ad aria. È un vero "trattore", capace comunque di 46 cavalli a 7000 giri. All'anteriore la Tuareg monta un doppio disco da 250mm.

L'Aprilia Tuareg Wind 600 aveva una linea "africana" e i classici colori pastello della moto di Noale degli anni 80
Nel 1989 la Tuareg viene anche schierata alla Parigi-Dakar: i piloti sono Andrea Balestrieri e Alessandro Zanichelli. La moto si avvicina molto a quella di serie, se non fosse per i serbatoi maggiorati, un radiatore dell'olio aggiuntivo, un nuovo forcellone e il rapporto di compressione rivisto. Balestrieri si classifica ventesimo, Zanichelli si ritira alla quinta tappa. Non ci sarà un seguito all'avventura dakariana e nel 1990 la Tuareg viene tolta dal mercato, ormai soppiantata dalla nuova Pegaso 650.

Nel 1989 viene modificata ulteriormente la Rally: disponibile solo nella cilindrata 125 a oltre 6 milioni, presenta una carenatura con doppio faro, e parafango anteriore alto che la rende subito distinguibile. L’avviamento è ancora a pedale ma viene aggiunto il miscelatore separato. La nuova Rally, alimentata da un carburatore VHSB 34 LD, riesce a sviluppare oltre 32 CV alla ruota, per una velocità massima superiore ai 140 km/h. Tra il 1990 e il '92 viene commercializzata anche una versione da 50cc per i quattordicenni.

Commercializzata in moltissime versioni, la Tuareg oggi è ricercata soprattutto nella versione Rally 125, tecnicamente il vero fiore all'occhiello di Noale. Per quanto riguarda la 600, il motore Rotax è una garanzia in termini di affidabilità e robustezza, i pezzi di ricambio sono comunque facili da trovare. Plastiche e parti elettriche non presentano usure anomale, la Tuareg è ancora una moto piacevole nell'uso dual.
L’altezza della sella può essere uno dei principali problemi per chi sogna le due ruote ma non è di gamba lunga. Ecco i modelli su cui puntare per stare bassi e guidare senza pensieri
La facilità di guida di una moto, oltre che dalla potenza del motore e dal peso, dipende dall’altezza della sella. Toccare terra solo con la punta dei piedi, magari con una sola gamba e la moto inclinata su un lato, non è certo la condizione ideale, soprattutto per chi è alle prime armi e deve prendere confidenza.
Se non siete particolarmente lunghi di gamba e siete in cerca di una “prima moto†facile da gestire, è quindi importante tenere in considerazione questo aspetto e iniziare a fare una selezione tra i modelli più adatti.
Escludendo le crossover dalla lista dei desideri – soprattutto quelle con cerchio anteriore da 21†e sospensioni a lunga escursione, che spesso portano la sella oltre i 90 cm da terra – le categorie che offrono la miglior quota sella-terreno sono le piccole cruiser. Si tratta di modelli generalmente facili da gestire, di dimensioni contenute e con pesi inferiori ai 200 kg. Ecco i 5 modelli più interessanti.
In ordine di altezza della sella, la più bassa è la Honda CMX 500 Rebel, con i suoi 69 cm da terra. Si tratta di una cruiser spinta da un bicilindrico parallelo di 471 cc, lo stesso che equipaggia tutta la gamma Honda per possessori di patente A2, con una potenza massima di 46 CV a 8.500 giri/min. A livello ciclistico, monta un robusto telaio in acciaio con forcellone bibraccio, una coppia di ammortizzatori posteriori regolabili nel precarico e una forcella a steli tradizionali. L’impianto frenante è affidato a un disco da 296 mm all’avantreno e uno da 240 mm al retrotreno. Interasse, lunghezza e peso in ordine di marcia sono rispettivamente: 1.490 mm, 2.205 mm, 191 kg. Prezzo: 6.490 euro f.c.
Sullo stesso filone stilistico e concettuale troviamo la Kawasaki Eliminator 500, con una seduta appena più alta (73 cm da terra). Anch’essa è spinta da un bicilindrico parallelo di 451 cc, capace di 45 CV a 9.000 giri/min., racchiuso in un telaio a traliccio in acciaio, sostenuto da una forcella a steli tradizionali e da una coppia di ammortizzatori posteriori regolabili nel precarico. L’impianto frenante prevede due dischi: 310 mm all’anteriore e 240 mm al posteriore, entrambi con ABS. Leggermente più lunga della Honda (2.250 mm) e con un interasse di 1.520 mm, è però più leggera: 176 kg in ordine di marcia. Prezzo: 6.490 euro f.c., ma fino alla fine di luglio 2025 è in promozione a 5.690 euro f.c.
La Benda BD300, gemella della QJ Motor SRV300, è equipaggiata con un interessante bicilindrico a V longitudinale (in stile Harley-Davidson) da 298 cc, capace di erogare 30 CV a 8.000 giri/min. La sella è a soli 69 cm da terra. Ha un interasse di 1.470 mm, una lunghezza di 2.115 mm e pesa 170 kg (dichiarati con serbatoio da 15 litri vuoto). Prezzo: 5.200 euro f.c.
Questa elegante cruiser si distingue per l’aspetto sofisticato, pur mantenendo una base ciclistica simile a quella delle concorrenti. Monta un bicilindrico in linea da 450 cc, capace di 40 CV (valore da verificare: manca nel testo originale). Il telaio in acciaio è abbinato a una forcella a steli rovesciati da 37 mm e a un monoammortizzatore, entrambi privi di regolazioni. L’impianto frenante include un disco anteriore da 320 mm con pinza radiale a quattro pistoncini e un disco posteriore da 220 mm. La dotazione di serie comprende ABS e controllo di trazione. Lunga appena 2.208 mm, offre una seduta a soli 69 cm da terra e un interasse di 1.486 mm. Prezzo: 5.790 euro f.c.
È una custom di cilindrata media, adatta anche a chi ha poca esperienza. Monta un motore bicilindrico frontemarcia di 693 cc, accreditato di 69 CV a 8.500 giri/min., inserito in una ciclistica classica: telaio in tubi d’acciaio, forcella tradizionale e due ammortizzatori posteriori. L’impianto frenante prevede un doppio disco: 320 mm all’anteriore e 255 mm al posteriore. La sella è a soli 72 cm da terra, mentre le dimensioni sono compatte: lunghezza 2.200 mm, interasse 1.490 mm. Il peso, però, è un po' elevato: 200 kg a secco. Prezzo: 7.090 euro f.c.
Con la promozione Suzuki, fino al 31 dicembre è possibile mettersi in garage una GSX-8 o una V-Strom 800 con sconti pesanti
Chi vi piacciano le grintose GSX-8 o preferiate i lunghi viaggi in sella ad una V-Strom, grazie all'iniziativa Suzuki Smart Choice mettersi in garage un nuovo modello da 800 cm3 sarà fino al 31 dicembre di quest’anno ancor più conveniente. Gli sconti sul prezzo di listino sono consistenti e, in alcuni casi, superano anche i 1.000 euro. La promozione riguarda in particolare le GSX-8R e GSX-8S e le V-STROM 800DE e V-STROM 800SE Euro 5+.
Per maggiori informazioni vi consigliamo di prendere contatto direttamente con una concessionaria ufficiale. Qui sotto invece tutti gli sconti modello per modello. nel dettaglio.
Per l'11 e il 12 dicembre 2025, Andreani Group ha organizzato la seconda edizione del corso dedicato a telemetristi e capotecnici che vogliono affinare la propria esperienza e scoprire i segreti della videometria. Presenzieranno professionisti del calibro di Manuel Poggiali. I posti sono limitati: ecco info e prezzi
Dopo il successo dello scorso anno, la Andreani Group ha organizzato la seconda edizione del corso di applicazione della telemetria e della videometria dedicato a telemetristi e capotecnici che vogliono affinare la materia e arricchire la propria esperienza. D'altronde, dietro ai successi di un grande Campione come Marc Marquez c'è sempre una grande squadra fatta di professionisti e appassionati dediti alla tecnica e all'amore per le corse.
Per vincere, l'elettronica va affinata alla perfezione e l'analisi dati deve essere scrupolosa, ma non è tutto. Negli ultimi anni in MotoGP la figura del videometrista, o più comunemente chiamato rider's coach, è diventata fondamentale per capire ancora al meglio il comportamento dinamico di una motocicletta e per studiare gli avversari in pista.

Durante i due giorni di formazione saranno presenti figure di rilievo nel mondo del motorsport a due ruote come Manuel Poggiali, due volte campione del mondo ed attuale riders’ coach nel team Lenovo Ducati, Alberto Giribuola, storico capotecnico di Dovizioso e ora in Yamaha Pramac, e Giuseppe De Gruttola, capotecnico nel team Gresini MotoE con Matteo Ferrari.
Durante i due giorni di corso, giovedì 11 e venerdì 12 dicembre 2025, verranno trattati numerosi aspetti tecnici, in particolare il rapporto con le diverse figure del team (pilota, capo tecnico, telemetrista e sospensionista), l'interpretazione dei dati della telemetria nelle diverse situazioni e fino a che punto possono aiutare, le strategie per l'ottenimento del massimo della performance della moto analizzando i dati, la gestione delle prove e la gara, il briefing post turno e la manutenzione di un impianto elettrico di una moto. Tra i punti più interessanti e inediti, il significato di videometria e la sua applicazione.

Il corso si terrà presso la sede di Andreani Group (Strada della Romagna 361, Pesaro), entrambi i giorni le lezioni iniziano alle 9:00 e terminano alle 17:00. I partecipanti saranno ospiti a pranzo dell'azienda italiana per entrambi i giorni. I posti sono limitati e il prezzo è di 700 euro più IVA: prenotazioni e maggiori informazioni li trovate a questo link oppure potete scrivere alla mail info@andreanigroup.com.
Cosa c’è di più magico di una moto d’epoca che richiama ai tempi di quando eravate ragazzi e quelle moto le sognavate? Ecco 10 modelli da chiedere a Babbo Natale
Natale è ancora lontano ma cominciano a spuntare i panettoni e le luci. Avete già pensato al vostro regalo? Non a quelli da chiedere ma a quello da fare a voi stessi. Qualcosa di magico come può esserlo una moto d’epoca che richiama ai tempi di quando eravate ragazzi e quelle moto le sognavate. È così che funziona: diventando grandi si desiderano le moto che ci incantavano allora, ai nostri tempi. È anche in base a questo che variano le quotazioni: qualche anno fa per una bella Moto Guzzi Falcone Sport 500 ci volevano 12.000 €, oggi potete averla per 8000 perché la richiesta è precipitata. Quelli che comprano le moto d’epoca oggi erano ragazzi tra gli anni ‘70 ed ‘80, ed è a quelle che si rivolgono.
Così eccovi una piccola selezione di sogni, ma non di sogni proibiti: limite di prezzo 5000 €, sapendo che è un dato del tutto indicativo perché varia a seconda delle condizioni del veicolo, della disponibilità dei documenti e tante volte anche in base alla fortuna, se incontrate qualcuno che fa poche storie pur di liberarsi di un oggetto ingombrante che non vuole più tra i piedi.
Dunque apriamo le porte del paese dei balocchi. Partendo dalle piccole cilindrate. E non crucciatevi se non trovate quella che pensavate voi: è una selezione in base al gusto personale, oppure in altri casi il “vostro “modello supera i limiti di prezzo.
Quasi una leggenda per chi aveva 16 anni tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90., quando il mercato delle 125 cm³ tirava fortissimo e le moto avevano prestazioni impressionanti in rapporto alla cilindrata… e all’età del conducente. Per quei tempi, la AF1 125 tecnicamente era all’avanguardia: telaio a doppio trave quando molti erano ancora in tubi, forcellone monobraccio e ruote di 16â€, con una carenatura estremamente aerodinamica. Quasi una moto da corsa. La prima versione del 1987 montato un motore Rotax V 127 monocilindrico due tempi, aveva 27 CV a 8800 giri/minuto e sfiorava i 160 km/h. Nel 1988 arrivò la seconda serie con la forcella a steli rovesciati e il nuovo motore Rotax 123 e la potenza salì a 29 CV a 10.500 giri/minuto, e successivamente arrivò a quasi 30 CV mentre la velocità aumentò fino a sfiorare i 170 km/h. Venne prodotta fino al 1992, oltre per che per la tecnica evolutissima spiccava anche per le colorazioni originalissime di numerose versioni.
Venne prodotta tra il 1971 e il 1986, in tre differenti versioni: la prima, la SE che significa “Seconda Edizione†e la Sport. A distinguerla il brillante motore bicilindrico a due tempi che la metteva in concorrenza con l’Italjet Buccaneer. Era piuttosto essenziale come tutte le moto di quei tempi, nella prima versione il freno anteriore era ancora a tamburo, e l’accensione a puntine. Però le prestazioni erano brillanti, e lo divennero ancora di più con la SE, quando i cilindri in ghisa vennero sostituiti da altri in lega leggera a canna cromata e la potenza salì a 17 CV a 8100 giri/minuto. La velocità massima era intorno a 120 km/h. Chi avesse intenzione di acquistarne una per usarla normalmente farà bene a ricordare che non ha il miscelatore, e siccome da moltissimi anni i distributori non vendono più miscela come invece avveniva allora, per fare rifornimento la miscela bisogna farsela da soli.
Un’altra protagonista assoluta dei tempi d’oro del 125 cm³. Venne prodotta dal 1988 al 2001 in tre versioni, ed era caratterizzata dal telaio a doppia trave costituito da due semi gusci in lega di alluminio pressofusi, imbullonati. Una soluzione adottata per la prima volta in assoluto. Nella terza serie venne mantenuta la stessa costruzione ma fu modificata la forma del telaio, denominato Z-Frame.
Disponibile sia in versione Naked che carenata, aveva un motore monocilindrico a due tempi di 125 cm³ che nella versione più evoluta era arrivato a 27 CV; qualcosa in meno delle rivali Cagiva Mito, Aprilia RS e Gilera SP, in cambio però di una maggiore affidabilità e una maggiore trattabilità . Caratteristiche che, insieme alla forza del marchio Honda, la portarono a una grande diffusione.
La Honda aveva già sfondato sul mercato italiano con la CB 750 Four, una delle prime maxi di grande diffusione, e nel 1972 cominciò a produrre anche questa 350 cm³ resa molto appetibile dal motore a quattro cilindri, e dal fatto che sul mercato nazionale 350 cm³ erano il limite per i diciottenni; cilindrate superiori erano consentite solo a partire dal 21º anno di età . Piacevole e accattivante, aveva una bella linea e sfoggiava soluzioni all’avanguardia per l’epoca, come il freno a disco anteriore e l’avviamento elettrico. L’accensione invece era ancora a spinterogeno con puntine platinate e condensatori. Le prestazioni erano discrete, 34 CV a 9500 giri/minuto, ma era un motore che amava girare “allegroâ€, con l’aiuto di un cambio a sei marce che a quell’epoca non era una cosa scontata.
Il telaio era in tubi tondi e la sospensione posteriore a due ammortizzatori, sulla forcella ancora i copristeli come si usava al tempo. E tuttora un gran bell’oggettino, una delle moto di cilindrata minore più sofisticate mai prodotte, e per giunta si trova a cifre molto contenute.
Ai suoi tempi fu un successone e tuttora è una moto molto appetibile se avete intenzione di usarla sul serio: affidabile, con discrete prestazioni e ottime doti di guida. È quella con cui la Casa bolognese passò alle medie cilindrate, spinta da un motore bicilindrico a V di 72° di 350 cm³ progettata dal brillante tecnico Franco Lambertini. Diverse le particolarità : le testate Heron a camera piatta, uno dei primi cambi a sei rapporti montati su moto di serie, i due cilindri leggermente sfalsati per favorire il raffreddamento di quello posteriore. La distribuzione è ad aste e bilancieri.
Il motore era stato progettato per essere modulare e infatti venne usato per numerosi modelli bicilindrici di 250, 350 e 500 cm³, ed anche per i monocilindrici Morini di 125 e 250 cm³.
Il telaio era a doppia culla chiusa in tubi tondi, con la sospensione posteriore a due ammortizzatori, mentre il freno a tamburo anteriore della prima versione, del 1973, venne subito sostituito da un disco, poi diventati due. In un secondo tempo arrivò anche il freno a disco posteriore
La Moto Morini 3½ venne prodotta dal 1973 al 1983, sia nella versione GT, turistica, che nella più apprezzata versione Sport con i semi manubri. Era una delle 350 più brillanti dell’epoca con i suoi 40 CV, resa ancor più appetibile dal fatto che nel 1976 l’IVA per le moto oltre 350 cm³ passò al 36%, mentre per le 350 rimase al 18%.
Impossibile trascurarlo anche se stiamo parlando di moto, perché in questo momento sul mercato dell’epoca il signore dei ciclomotori è uno dei veicoli più ricercati. Chi, tra gli “antaâ€, non ha un ricordo legato al ciclomotore progettato dall’ingegner Bruno Gaddi? È rimasto sulla breccia la bellezza di 39 anni, dal 1967 al 2006, rivoluzionario all’esordio e un classico quando uscì dai listini. Costi di produzione e peso ridotti al minimo, stava sotto i 40 kg a secco, saliti poi a 43, e a 48 nelle versioni con miscelatore; il telaio era in lamiera d’acciaio, rigido al posteriore e dotato di una modesta sospensione anteriore a biscottini: il comfort era affidato al molleggio della sella. Freni a tamburo davanti e dietro, il motore era monocilindrico orizzontale a due tempi di 49,77 cm³, con distribuzione regolata da una spalla dell’albero motore e raffreddamento ad aria forzata per mezzo di una ventola ricavata sul volano magnete. Avviamento a pedali, che erano utili anche in salita perché il variatore c’è soltanto in alcune versioni. La velocità era intorno ai 45 km/h e con quella ciclistica andava bene così, ma molti preparatori si sono cimentati realizzando scarichi ad espansione e cilindri per incrementarne le prestazioni.
Attenzione che nonostante la semplicità del Ciao nel tempo sono state apportate numerose modifiche, ci sono state ruote di 19â€, 17â€! e 16â€, profili coprimotore tondi e squadrati, fanali tondi e squadrati e tanto altro ancora, e sono cose che sul prezzo fanno molta differenza. Un “prima versioneâ€, di quelli ancora con la forcella rigida e il freno a cavallotto come le biciclette, può costare uno sproposito. In generale, in questo momento le quotazioni sono salite ma un veicolo così semplice si trova a prezzi comunque molto accessibili.
La Vespa, ancor più del Ciao, in questo momento è al vertice delle richieste e i prezzi sono saliti alle stelle. Quindi se ne volete una d’epoca e il budget deve restare entro i 5000 € la PX è una delle poche praticabili, e comunque una scelta molto interessante. Arrivò nel 1977 ed è rimasta in produzione fino al 2017, cioè la bellezza di quarant’anni nella quale ha mantenuto fondamentalmente la stessa struttura di base. La scocca in acciaio aveva dimensioni più generose di quelle della Primavera, la nuova sospensione anteriore antiaffondamento garantiva una maggiore stabilità in frenata e la sospensione posteriore aveva una maggiore escursione. Nuovo anche il motore, monocilindrico a due tempi r di 125 cm³affreddato ad aria forzata, con l’aspirazione nel carter controllate dalla spalla dell’albero motore. Venne affiancato dalle versioni di 200 e 150 cm³, nel 1984 arrivò anche l’avviamento elettrico.
Anche qui si sono succedute numerose versioni diverse per colorazioni, particolari di carrozzeria ma anche implementate con l’introduzione del freno a disco anteriore e di miglioramenti del motore: aveva il cilindro in ghisa, ma ci fu anche la versione 125 T5 Pole Position a cinque travasi con cilindro in alluminio cromato e differenti misure di alesaggio e corsa, arrivava a 12 CV contro i 7,7 della versione standard, velocità massima 105 km/h contro 97.
Prodotta in numerosissime versioni, venne pensionata nel 1988 con l’arrivo della Cosa, ma a seguito dell’insuccesso di quest’ultima venne riesumata nel 1994. Alla fine del 2007 l’uscita di produzione con il modello denominato non a caso Vespa P125X Ultima Serie. Non era vero: visto quanto vendeva la copia indiana LML, la PX tornò a listino nel 2011, per uscirne definitivamente nel 2017 a causa degli eccessivi costi che avrebbe avuto l’adeguamento alla normativa Euro 4.
È stato uno dei modelli più diffusi, prodotto dal 1969 al 1982, reso popolarissimo da una azzeccata campagna pubblicitaria con slogan che fecero colpo sui giovani, e riportato alla ribalta dal successo della canzone dei Lunapop “50 Specialâ€.
Linea e finiture accurate, nella prima versione aveva il cambio a tre marce e le ruote di 9â€, divenute di 10†nella seconda versione, quella di maggior successo, datata 1972. Nel 1975 arrivò anche la terza con il motore a quattro marce. Spinta da un monocilindrico a due tempi di 50 cm³, nel corso degli anni fondamentalmente è rimasta uguale a se stessa, modificata solo in alcuni particolari. Fu il cavallo di battaglia dei quattordicenni di allora, spesso modificata con il montaggio di una sella a due posti che permetteva di caricare un passeggero, nonostante il Codice della Strada non lo consentisse.
Nei primi anni ‘70 le moto austriache dominavano le gare di enduro, allora denominata regolarità , e i piloti italiani mietevano successi alle Sei Giorni. Una faccenda che non ha niente di speciale perché si è ripetuta molte volte nel tempo, ma in quegli anni il “Kappa†era diventato anche una questione di moda e non lo guidavano soltanto i fuoristradisti sfegatati: i ragazzi delle famiglie “bene†lo usavano come alternativa alla Vespa. Più ruvido, sporcava abbastanza per via dello scarico sfumacchiante del suo motore a due tempi, ma andavo forte. E poi… era il “Kappaâ€. Particolarmente apprezzati quelli che montavano il motore Sachs a sei marce, con serbatoio e fianchetti azzurri. Moto eccellenti per quei tempi, non soprattutto foriere di nostalgici ricordi oggi.
Verso la fine degli anni ‘70 la Moto Guzzi ricavò una versione ridotta del suo motore bicilindrico a V di 500 cm³ per rientrare nella fascia meno tassata e guidabile anche da chi non aveva ancora compiuto 21 anni. Vennero prodotte numerosissime versioni della V 35 di 350 cm³, custom, turistiche e anche sportive. Le due denominate Imola e Imola II furono tra le più apprezzate. La prima restò in gamma dal 1979 al 1983, la seconda dal 1984 al 1987. Erano sportive non esasperate ma piacevoli e impiegavano lo stesso solido telaio di tutta la serie V 35. Cupolino e semi manubri, nella seconda versione anche il puntale, erano stabili ma non troppo maneggevoli, la prima con motore a 2 valvole (qui sopra) non brillava per le prestazioni ma aveva una buona affidabilità , la seconda con motore a 4 valvole (qui sotto) era più potente ma molto più fragile: la distribuzione 4V è di cristallo, ed è meglio farla girare ben al di sotto del regime massimo.