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#motociclismo #news #insella.it
In alcune strade europee stanno comparendo segnali stradali con bordo verde. Non si tratta né di obblighi né di divieti, ma di semplici “consigliâ€. Segnali insomma che invitano gli utenti della strada alla prudenza
L’introduzione dei limiti di velocità “verdi†sulle strade europee cambia il modo in cui la segnaletica comunica con chi guida. Alla vista ricordano i tradizionali cartelli circolari dei limiti di velocità , ma il bordo verde trasmette un concetto diverso: non si tratta di un obblico o di un divieto, ma di un invito alla prudenza. In Italia, questo tipo di segnale non è ancora presente, ma nei Paesi come Regno Unito e Francia, invece, è già comparso in aree sensibili o complesse.
I cartelli con bordo verde consigliano la velocità , senza costituire un obbligo. Il numero indicato al centro è definito dagli enti gestori del tratto stradale, sulla base di valutazioni tecniche riguardanti sicurezza, visibilità e fluidità del traffico. Se il bordo rosso ordina, il bordo verde raccomanda. Superare la velocità suggerita non comporta infrazioni, purché - è chiaro - ci si mantenga entro i limiti previsti dai segnali ufficiali. Questi cartelli hanno l’obiettivo di indurre alla prudenza in prossimità di scuole, ospedali o aree residenziali, ridurre frenate improvvise e congestioni, e proteggere pedoni e bambini nelle zone a maggiore rischio. In sostanza, potremmo dire, i limiti verdi puntano a una adesione ragionata del conducente, favorendo una guida più sicura e fluida.
I limiti verdi rappresentano un modello di mobilità che educa e persuade attraverso la ragionevolezza, promuovendo responsabilità e consapevolezza. Nei Paesi che li hanno adottati si osserva una maggiore cultura di guida, con riduzione spontanea della velocità in presenza di condizioni critiche, anche in assenza di controlli. Segnali che, è bene ricordarlo vista l’epoca in cui ci troviamo, diventano anche compatibili con sistemi di guida assistita, in grado di interpretarli e suggerire la velocità più adatta, anticipando un futuro in cui infrastrutture e veicoli dialogheranno in tempo reale.
Come accennato, nel nostro Paese non esistono cartelli circolari con bordo verde riconosciuti dal Codice della Strada. È presente, invece, un segnale quadrato blu con numero bianco, utilizzato come indicazione di velocità consigliata in curve impegnative o tratti con visibilità ridotta. La logica è identica a quella europea, ma la grafica differente evita sovrapposizioni visive con i limiti obbligatori, distinguendo chiaramente indicazione e prescrizione.
Per rimanere in tema: Autovelox: dove si possono mettere e come vanno segnalati
Dai piccoli Liberty 125 di Piaggio al maxi AK550 di Kymco, passando per MP3, Maxsym 400 GT e BMW C 400 GT, in fatto di sconti per gli scooter c’è solo l’imbarazzo della scelta
BMW C 400 X prezzo di listino: 7.990 euro
Il BMW C 400 X è un midi sportiveggiante dedicato a chi cerca un mezzo per gli spostamenti giornalieri ma non disdegna la gitarella domenicale. A spingerlo è il collaudato monocilindrico BMW dotato di acceleratore elettronico e controllo di trazione, mentre l'ABS gestisce tre dischi freno da 265 mm di diametro ciascuno.
Il vano sottosella può ampliare la capacità di carico con un soffietto attivabile quando si parcheggia, mentre il portaoggetti nel retroscudo è dotato di una presa di ricarica USB. La sella è larga e comoda, anche per il passeggero, lo spazio sulle pedane è abbondante, ma la protezione dall’aria è solo discreta: se si va spesso in autostrada, meglio montare un parabrezza alto. L’accelerazione è pronta e l’allungo è fluido e deciso. Buona la maneggevolezza, nel misto diverte senza diventare mai nervoso. L’assetto un po’ rigido consente di tenere bene le traiettorie e migliora la stabilità . Potenti i due dischi anteriori, meno incisivo il posteriore.
AK 550 prezzo di listino: 9.990 euro
L’AK 550 è lo scooter più potente e lussuoso della gamma Kymco, accoglie bene piloti di tutte le taglie, ha un motore bicilindrico da 550 cc in mezzo alla pedana e ciclistica con telaio in alluminio e potenti freni Brembo. La trasmissione finale è a cinghia dentata e non richiede manutenzione. Nel sottosella c’è spazio per un casco integrale e un jet, mentre nel retroscudo ci sono due piccoli vani, di cui uno con presa USB (entrambi senza serratura). Di serie il sistema Noodoe che si collega al cellulare e permette di avere anche il navigatore.
Piaggio Liberty 125 prezzo listino: 2.590 euro
Il Liberty di Piaggio offre spazio a sufficienza per gambe e piedi del pilota, nel sottosella può caricare un casco jet, mentre nel retroscudo c’è uno vano portaoggetti da 2 litri dove si può avere (optional) una presa USB per caricare il cellulare. La ruota anteriore è da 16 pollici, per dare più sicurezza in curva; quella posteriore da 14 pollici permette di avere la sella bassa. L’impianto frenante misto con disco anteriore e tamburo posteriore è dotato di ABS di serie su 125 e 150, ma controlla solo la ruota anteriore. Il cinquantino invece non ha sistemi di aiuto alla frenata, ma le prestazioni tranquille non mettono mai in difficoltà . La posizione di guida è buona: persino chi è sopra il metro e 80 non tocca lo scudo con le ginocchia, le sospensioni lavorano bene, vivace il motore.
Maxsym TL 508/400 prezzo di listino: 9.499 euro
Il Maxym TL ha un potente motore bicilindrico, telaio a traliccio in tubi d’acciaio, forcella a steli rovesciati da 41 mm e monoammortizzatore (regolabile nel precarico) collegato a un forcellone in alluminio tramite leveraggi progressivi. Anche l’impianto frenante è sportivo: tre dischi con profilo a margherita e pinze radiali a 4 pistoncini. Nel sottosella ci stanno un casco integrale o due jet, nel retroscudo ci sono due portaoggetti di cui uno con presa USB. L’elettronica prevede controllo di trazione e accensione keyless. La posizione di guida è abbastanza comoda, ma lo spazio sulla pedana è ridotto al minimo: non si possono spostare i piedi, mentre se si appoggiano sul retroscudo escono dalla sagoma e sono quindi esposti all’aria.
La tecnica di guida dei motard si è evoluta come quella delle sportive: ora non si guida più con il piedino di fuori, infatti le moto sono cambiate e i piloti si sono inventati un nuovo stile per fare il tempo sul giro
In MotoGP si ricerca il gomito a terra a centro curva per spigolare la traiettoria, con i due tempi si predilige la velocità di percorrenza per tenere il motore "su di giri", in fuoristrada si sta in piedi e in curva si caricando il peso sulla pedana esterna. Ogni disciplina richiede uno stile di guida specifico per sfruttare al massimo le caratteristiche della moto e per adattarsi al tipo di terreno su cui si sta correndo. Il motard, nato nella seconda metà anni '90 ma ancora oggi amatissimo dai sedicenni, è una categoria ibrida dove i circuiti alternano tratti asfaltati e sterrati: per andare forte i piloti si sono dovuti inventare una nuova tecnica di guida... con il piedino di fuori!

Qui sopra la classica impostazione di guida del motard: busto contrapposto e piedino di fuori
Non è solo il particolare layout misto dei circuiti a giustificare questo particolare stile: bisogna anche considerare che il motard è un tipo di moto strettamente derivato dal cross, quindi con un assetto rialzato e con un motore (nel 99% dei casi) monocilindrico, ricco di coppia ai bassi e nervoso su tutto l'arco di erogazione. La sella lunga e stretta permette quindi di mantenere una posizione un po' più avanzata rispetto ad una moto stradale, scelta che aiuta anche a limitare la tendenza all'impennamento di questi mezzi. Non è tutto però: nelle gare di motard l'aerodinamica ha poca rilevanza ed è più importante tenere i gomiti alti e larghi per controllare al meglio i movimenti dell'assetto, tanto che nel gergo si usa dire "dominare la moto".

Molti circuiti del moniale Supermoto fondo settori su asfalto con tratti di sterrato
In molti casi i piloti dei motard sono ex crossisti, o addirittura praticano entrambe le discipline: tirare fuori il piede quindi è quasi più un'abitudine che una reale necessità , ma bisogna anche considerare un dettaglio molto importante. Il motard è una moto alta che, geometricamente e dinamicamente parlando, significa poter raggiungere angoli di piega molto elevati. Ecco allora che il "piedino di fuori" e il busto verso l'esterno della curva giocano un ruolo fondamentale per controllare al meglio il mezzo quando l'aderenza è al limite, come ad esempio tornanti strettissimi o tratti di pista in cui le gomme sono ancora sporche di terra.

I piloti moderni di motard non tirano più fuori la gamba in curva
Nel corso degli anni però lo stile di guida del motard si è evoluto, così come si sono evoluti anche i piloti che prima venivano dal mondo del fuoristrada, oggi invece sono motardisti puri, di nome e di fatto. Cosa significa? Che il "piedino di fuori" e la ricerca del massimo angolo di piega non sono più necessari per andare all'attacco del tempo sul giro. Causa anche un assetto un po' più basso delle moto (studiato ad hoc per la categoria), l'impostazione di guida dei motardisti moderni è decisamente più composta come si vede dalle immagini qui sopra: il busto rimane in linea con la schiena ed entrambi i piedi sono saldamente appoggiati alle pedane. Insomma un vero e proprio mix tra la guida di ginocchio e quella del fuoristradista.
La Casa indiana celebra l'anniversario con una versione esclusiva della Bullet 650 caratterizzata da una particolare livrea cangiante
Royal Enfield nel 2026 raggiungerà un traguardo importante: 125 anni di attività . Per celebrare questo secolo e un quarto di motociclismo, il costruttore indiano a EICMA ha presentato la Bullet 650 (ne parliamo qui) e anche una versione speciale denominata 125 Year Special Edition.
Questa Bullet è caratterizzata dallo stemma “125 Years†dorato e in rilievo sul rosso classico e una verniciatura definita "hypershift" che, a seconda dell'incidenza della luce e dell'angolazione da cui si osserva la moto, muta tonalità passando da un rosso intenso a un dorato brillante. A sottolineare l'esclusività del modello, sul serbatoio è stato applicato un emblema dorato con la dicitura "125 Years".
Sotto la livrea celebrativa, la Bullet 650 Special Edition conferma la base tecnica condivisa con le altre bicilindriche della gamma, inclusa la recente Classic 650. Il cuore rimane il collaudato bicilindrico parallelo frontemarcia da 648 cm³, dotato di distribuzione monoalbero in testa e raffreddamento misto aria/olio. I dati tecnici dichiarati restano in linea con la produzione di serie: il propulsore eroga una potenza massima di 46,3 CV a 7.250 giri/min e una coppia di 52,2 Nm a 5.650 giri/min. Questa versione cangiante della Bullet però dovrebbe essere destinata al solo mercato inglese, ma non è detto che la verniciatura hyprshift non venga utilizzata anche su altri modelli della casa e presentata su altri mercati.
Lo sapete che arriverà anche la Royal Enfield Himalayan 750? Eccola qui
Dainese ha donato a UNICEF Italia il kit N°1 Soleluna Vale46 Anniversario indossato da Valentino Rossi. Il ricavato dell’asta sosterrà il programma Road Safety
Dainese ha scelto di sostenere UNICEF Italia mettendo all’asta il Kit Soleluna Vale46 Anniversario N°1/46, lo stesso indossato da Valentino Rossi durante una sessione di allenamento sul circuito del Mugello. Un pezzo unico, già entrato nel mito, destinato a raccogliere fondi per il programma Road Safety di UNICEF, dedicato alla protezione dei bambini sulle strade di tutto il mondo.
Si tratta dell’unico esemplare utilizzato in pista da Rossi. Il kit comprende la tuta Demone GP D-air® 3X e il casco Pista GP RR, entrambi reinterpretati nella livrea celebrativa Soleluna Vale46 Anniversario. Un dettaglio spicca su tutti: la tartaruga del Dottore, riproposta in una inedita versione oro sulla spalla.
L’asta è aperta su eBay dal 25 novembre 2025 (ore 00:00 UTC) al 29 novembre 2025 (ore 23:59 UTC).
Scegliere di partecipare all’asta significa contribuire a un progetto cruciale. Gli incidenti stradali rappresentano la prima causa di morte per bambini e adolescenti tra 5 e 19 anni, con oltre 600 vittime al giorno. Il programma Road Safety interviene nei punti più critici della mobilità infantile: dall’introduzione di limiti di velocità più bassi vicino alle scuole alla realizzazione di marciapiedi e attraversamenti sicuri, fino alla promozione di seggiolini e caschi e al rafforzamento delle normative. L’obiettivo del progetto è semplice e ambizioso: creare comunità e strade più sicure, affinché ogni bambino possa crescere e muoversi in un ambiente protetto.
La Honda CB1000GT è fra le novità più interessanti viste a EICMA, si tratta di una crossover dedicata a chi ama viaggiare veloce. Sfrutta come base la naked CB1000 Hornet, da cui riprende il motore a quattro cilindri in linea (a sua volta derivato da quello della CBR1000RR Fireblade) e lo schema del telaio in acciaio.
Tutti i gruppi ottici hanno luci full-LED, compresi gli indicatori di direzione che si disattivano automaticamente dopo aver cambiato corsia. Nelle frenate di emergenza, grazie al sistema ESS, gli indicatori lampeggiano simultaneamente
L’estetica è caratterizzata da linee molto affilate con i fianchetti che si estendono in avanti, mentre al centro del frontale troviamo il faro a LED. Il parabrezza è regolabile manualmente su 5 posizioni, mentre la carenatura ai lati è piuttosto ampia. Rispetto alla Hornet i tecnici giapponesi hanno rivisto il telaietto posteriore, irrigidendolo e allungandolo così da incrementarne l’abitabilità e la capacità di carico. Nella dotazione di serie ci sono le valigie laterali (37 litri per quella di sinistra e 28 litri per quella di destra), i paramani, il cavalletto centrale, le manopole riscaldate, il cruise control, il cambio elettronico bidirezionale e il sistema di accensione con telecomando keyless.
Per quanto riguarda la tecnica invece, sotto al vestito da moto turistica troviamo il quattro cilindri in linea di 1.000 cm³ che, come dicevamo, deriva da quello della CBR1000RR Fireblade m.y. 2017-2019 (qui vi raccontiamo la storia di questa eccezionale supersportiva). Un propulsore ovviamente aggiornato alla Euro 5+ e adattato all’utilizzo stradale, con una curva di erogazione addolcita. Parlando di numeri, sono 150 i CV di potenza massima erogati a 11.000 giri, con un picco di coppia di 102 Nm a 8.750 giri.
A differenza della Hornet, la GT è dotata di piattaforma inerziale che include ABS e controllo di trazione cornering, oltre a cinque modalità di guida, ciascuna delle quali modifica le impostazioni dell'erogazione di potenza, del freno motore e del controllo della trazione. Il tutto si gestisce da un display TFT a colori da 5†che dialoga con lo smartphone attraverso l’app Honda RoadSync.
Il display è realizzato utilizzando la tecnica dell’incollaggio ottico che, sigillando lo spazio tra il vetro di copertura e il display con una resina, riduce il riflesso e migliora l’effetto della retroilluminazione
Ad abbracciare il motore troviamo un telaio a doppio trave con struttura a diamante in acciaio abbinato ad un forcellone bibraccio in alluminio, che rispetto a quello della Hornet è stato allungato di 16 mm a tutto vantaggio della stabilità . I cerchi sono in lega da 17 pollici con pneumatici nelle misure 180/55 al posteriore e 120/70 all’anteriore. L’impianto frenante vede una coppia di dischi anteriori da 310 mm con pinze Nissin ad attacco radiale, mentre al posteriore c’è un disco da 240 mm. ABS e controllo di trazione sono cornering, cioè funzionano anche in curva
Debuttano sulla GT le sospensioni Showa EERA semiattive, che adattano costantemente le regolazioni in compressione ed estensione della forcella in base a tre parametri: velocità , informazioni trasmesse dalla piattaforma inerziale e al movimento della forcella rilevato da un sensore di corsa. Il monoammortizzatore offre poi anche la regolazione elettronica automatica del precarico molla. Interasse, avancorsa e inclinazione del cannotto di sterzo valgono rispettivamente 1.465 mm, 106,3 mm e 25°. Il peso dichiarato è di 229 kg in ordine di marcia con il serbatoio di 21 litri completamente pieno.
La CB1000GT accoglie senza problemi anche i piloti oltre i 180 cm, lo spazio per le gambe è abbondante e le pedane, ben distanziate dalla sella, permettono di guidare rilassati. La seduta si trova a 82,5 cm da terra, è sufficientemente spaziosa e, grazie ai fianchi snelli, consente di mettere i piedi a terra con sicurezza. Il riparo dall'aria offerto dalle carene è eccellente, mentre è solo sufficiente quello del parabrezza. Nella posizione più alta devia efficacemente l’aria dalla parte centrale del busto, ma lascia scoperti casco e spalle, sui quali si creano vortici d’aria che in autostrada possono affaticare. Tra gli accessori Honda è comunque presente un parabrezza maggiorato che dovrebbe risolvere questo problema.
Il motore è un vero gioiellino: fluido e regolare nella parte bassa del contagiri, offre una spinta decisa già ai medi regimi, per poi sfoderare tanta grinta e un allungo più che soddisfacente nella guida sportiva. Ottimo anche il cambio elettronico bidirezionale, preciso e rapido negli innesti.
Fra le curve la CB1000GT è efficace e prevedibile: l’avantreno è svelto e trasmette tanta confidenza, la moto è ben bilanciata e le sospensioni semiattive svolgono un ottimo lavoro. Molto bene la frenata: c’è tanta potenza all'anteriore ma è sempre ben modulabile, mentre il comando posteriore, progressivo nell’intervento, è perfetto per eventuali correzioni di traiettoria in curva.
La nuova Honda CB1000GT sarà disponibile a partire da maggio 2026 in tre colorazioni: Grand Prix Red, Pearl Deep Mud Gray e Graphite Black. Ancora da definire il prezzo esatto per il mercato italiano, ma da Honda dicono che si aggirerà attorno ai 14.000 euro.
Per la CB1000GT Hornet è disponibile una vasta gamma di accessori, acquistabili singolarmente o in 3 pacchetti messi a punto da Honda.
COMFORT PACK
Il Comfort Pack è stato ideato per esaltare le doti turistiche della GT e comprende selle Comfort per pilota e passeggero, manopole riscaldabili, parabrezza alto, deflettori superiori e inferiori e fari antinebbia.
SPORT PACK
Lo Sport Pack rende il look della GT più aggressivo con puntale sottocoppa, decalcomanie per il serbatoio, protezioni per il motore e adesivi per i cerchi.
URBAN PACK
L’Urban Pack è pensato per esaltare la praticità e la capacità di carico della moto con portapacchi, bauletto da 50 litri, schienale e pannello per il bauletto.
L'ultima nata della Casa giapponese ha tanto carattere, un motore potente ma sfruttabile, sospensioni semiattive e una dotazione tecnica completa
| Motore | quattro cilindri in linea |
| Cilindrata (cm3) | 1.000 |
| Raffreddamento | a liquido |
| Alimentazione | a iniezione |
| Cambio | elettronico a 6 rapporti |
| Potenza CV (kW)/giri | 150 (110,1)/11.000 |
| Freno anteriore | a doppio disco di 310 mm |
| Freno posteriore | a disco di 240 mm |
| Velocità massima (km/h) | 200 km/h |
| Altezza sella (cm) | 82,5 |
| Interasse (cm) | 146,5 |
| Lunghezza (cm) | 213,5 |
| Peso (kg) in o.d.m. | 229 |
| Pneumatico anteriore | 120/70 |
| Pneumatico posteriore | 180/55 |
| Capacità serbatoio (litri) | 21 |
| Riserva litri | n.d. |
La Legge di Bilancio 2026 apre la strada a una possibile “rottamazione locale†dei tributi non pagati. Oltre a Imu, Tari e canoni per occupazione suolo pubblico, ci sono anche il bollo auto e le multe stradali, sanabili con sanzioni ridotte e rateizzazioni. Ecco come dovrebbe funzionare
Dal 1° gennaio 2026, Comuni e Regioni potranno attivare una definizione agevolata dei tributi locali, su base volontaria. Inserita nella Legge di Bilancio, la misura, consente di “sanare†debiti accumulati con il pagamento di imposte o multe, riducendo o cancellando sanzioni e interessi. Non si tratta di un obbligo: ogni ente decide autonomamente se adottarla e con quali modalità . L’iniziativa riguarda principalmente tributi come Imu, Tari, canoni per occupazione suolo pubblico, imposta di soggiorno, bollo auto e moto e le sanzioni per violazioni al Codice della Strada. Sono esclusi invece addizionali Irpef, Irap e tributi già oggetto di altre definizioni non perfezionate.
Per i proprietari di auto e moto con bollo non pagato, la rottamazione locale può rappresentare un’opportunità concreta. Gli enti locali potranno offrire sconti sulle sanzioni e la possibilità di pagare solo l’importo principale in rate, con eventuali interessi al 4% annuo. Questo significa che, se il proprio Comune aderisce, sarà possibile regolarizzare la posizione evitando ulteriori aggravi. Anche per le multe stradali è prevista la possibilità di sanatoria. Attenzione però: il beneficio riguarda solo l’importo della sanzione pecuniaria, mentre eventuali punti decurtati dalla patente non possono essere annullati. Come per il bollo, spetta però al Comune decidere modalità e termini per aderire.
La rottamazione locale non si attiva automaticamente. Serve una delibera comunale o regionale, che definisca termini, tributi interessati e modalità di adesione. Una volta approvata, la delibera deve essere pubblicata online e trasmessa al portale del federalismo fiscale. La misura può riguardare accertamenti in corso, cartelle già notificate e, in alcuni casi, pendenze in contenzioso non definitive, ma non si applica a debiti già coperti da sentenze passate in giudicato.
A proposito di multe e sanzioni: Multe non pagate: prescrizione, rischi e verifiche da fare
Da alcuni documenti apparsi in rete spunta la nuova Kove 475RR: la sportivetta della casa cinese cresce di cilindrata e potenza
Il segmento delle sportive di media cilindrata pluri frazionate, un tempo dominio esclusivo delle case giapponesi, sta vivendo una seconda giovinezza grazie alla spinta dei costruttori cinesi. Dopo il ritorno della Kawasaki con la ZX-4RR, infatti, diversi marchi orientali hanno iniziato a presidiare la fascia attorno ai 500 cm3.
Tra questi Kove, che sembra intenzionata a evolvere rapidamente la sua offerta. Da alcun iregistri aziendali sono emersi i disegni tecnici di una nuova versione della sua sportiva, denominata 475RR. Il modello rappresenta l'evoluzione della precedente 400RR (poi diventata 450RR, ne parliamo qui) con motore da 443 cm3 e punta a un ulteriore incremento delle prestazioni. Le immagini CAD (qui sopra invece una nostra elaborazione per rendere più reali i disegni) confermano quanto anticipato in alcune presentazioni riservate ai rivenditori a inizio anno: il propulsore è un quattro cilindri in linea che, grazie alla nuova cubatura stimata in circa 475 cm3 dovrebbe superare i 70 CV erogati dall'attuale unità , posizionandosi presumibilmente attorno ai 75 CV. Questo permetterebbe a Kove di rispondere alle concorrenti dirette come la CFMoto 500SR (78 CV) e la futura ZXMoto 500RR.
La carica delle 500 (cinesi) a quattro cilindri, leggi qui
Le alette ora sono ancora più pronunciate
Se il motore promette più sostanza, anche l'estetica e la ciclistica mostrano cambiamenti evidenti rispetto al modello attuale. Il telaio rimane una struttura a traliccio in tubi d'acciaio, ma il reparto sospensioni vede l'introduzione di un nuovo forcellone in alluminio, ridisegnato e alleggerito grazie a un’apertura sul lato destro, mentre l'ammortizzatore è dotato di serbatoio separato (piggyback), una soluzione più raffinata rispetto al componente precedente. All'avantreno si conferma la forcella a steli rovesciati e l'impianto frenante con pinze radiali Taisko.
Le sovrastrutture sono state completamente riviste per offrire un look più aggressivo: il frontale presenta un gruppo ottico "incassato", sormontato da una carenatura spigolosa che integra alette aerodinamiche (winglets) più pronunciate, che si estendono verso il basso incorniciando i fianchi. Il raccordo tra serbatoio, sella e codino è stato ridisegnato per snellire la linea complessiva della moto.
La 450RR attuale presenta forme un po' più datate. Il salto estetico è evidente
Non sempre le ciambelle riescono col buco. Ci sono moto che diventano leggendarie per la loro bellezza, altre per le loro prestazioni e altre che... insomma, hanno fatto discutere
Nel mondo delle due ruote, la bellezza è spesso un valore tanto ricercato quanto soggettivo. Tuttavia, alcune moto riescono nell’impresa di mettere tutti d’accordo… in negativo. Che si tratti di scelte estetiche discutibili, esperimenti stilistici finiti male o semplicemente di un approccio troppo radicale al design, certi modelli hanno lasciato il segno più per il loro aspetto che per le qualità su strada. In questa selezione ripercorriamo alcune delle moto più “difficili da guardare†mai prodotte, senza limitarci a un’epoca o a una categoria precisa. Una lista per certi versi amara ma si sa, il tempo cambia rapidamente i giudizi, e i brutti anatroccoli -Andersen insegna- poi diventano cigni...
Disegnata da Philippe Starck, celebre designer industriale, l’Aprilia Motò 6.5 nasceva con l’intento di rivoluzionare l’estetica motociclistica, fondendo arte e ingegneria. Il risultato, però, fu un oggetto più da ammirare che da guidare (almeno la prima serie). Le forme tondeggianti e minimali, il serbatoio a goccia, i fianchetti lisci e lo scarico alto in alluminio satinato le conferirono un aspetto da concept bike futurista… ma fuori tempo massimo. Il motore Rotax da 650 cm³ era affidabile, ma nulla poteva contrastare il generale disinteresse del pubblico verso una moto più simile a un esercizio di stile che a un mezzo quotidiano. Fu però un enorme successo di marketing, perché all'epoca, grazie all'archistar francese, trovò ampio spazio anche sulla stampa non specializzata.
Dati tecnici principali:
La BMW C1 rappresenta uno dei più audaci esperimenti mai visti nel mondo delle due ruote. Invece di limitarsi a costruire un classico scooter, BMW decise di ibridare moto e automobile, dando vita a un veicolo con tettuccio rigido, cintura di sicurezza e sedile da auto. Il risultato? Un mezzo ingombrante, esteticamente discutibile e poco funzionale. Il motore da 125 cm³ offriva prestazioni limitate, mentre il peso superava i 200 kg. L’idea di non dover indossare il casco grazie alla struttura di sicurezza era interessante, ma di fatto non applicabile in molti Paesi per via delle normative. Nonostante le buone intenzioni, fu un insuccesso commerciale.
Dati tecnici principali:
La Honda Rune ha diviso nettamente l’opinione pubblica: da un lato, chi la considera una scultura futuristica su ruote; dall’altro, chi la ritiene un’evoluzione mal riuscita della Valkyrie F6C. Il design appariscente, con il grosso faro frontale, la coda allungata e lo scarico “esageratoâ€, ha oscurato le qualità meccaniche della moto. Costruita attorno a un motore a sei cilindri da quasi 1.800 cm³, la Rune era imponente su strada, ma il prezzo elevato e l’estetica estrema ne hanno limitato il successo. Fu un esperimento costoso e unico nella storia Honda.
Dati tecnici principali:
Erik Buell era un ingegnere brillante, ma il design non era la sua priorità . La RR1200 Battle Twin fu concepita con un obiettivo chiaro: la massima efficienza aerodinamica. E ci riuscì, con uno dei coefficienti di resistenza più bassi dell’epoca. Ma visivamente era un disastro: carene massicce e sproporzionate, cupolino ingombrante, proporzioni bizzarre. La moto aveva prestazioni interessanti per l’epoca, ma un’estetica che faceva scappare anche gli appassionati più fedeli.
Dati tecnici principali:
Quando si parla della MV Agusta F4, si parla di uno dei capolavori di Massimo Tamburini. Ma la versione realizzata da Zagato per un cliente giapponese è tutto fuorché armoniosa. Questo esemplare unico distorce completamente le linee eleganti dell’originale: carenature massicce, fori casuali, scarichi ridisegnati e una sella dalla forma ambigua. Una reinterpretazione che sembra nata da un esperimento, più che da un progetto estetico coerente. Un caso emblematico di come anche i grandi nomi del design possano inciampare.
Dati tecnici principali:
Tra le elettriche più particolari mai prodotte, la Johammer J1 è un concentrato di soluzioni tecniche radicali e un design che ha lasciato tutti spiazzati. Il profilo da scarabeo, con forcella anteriore a parallelogramma, specchietti su steli lunghi e carrozzeria chiusa, la rende più simile a un veicolo alieno che a una moto. Le prestazioni non sono particolarmente brillanti, ma il prezzo elevato e il look stravagante la rendono un’icona… del cattivo gusto.
Dati tecnici principali:
Chi scrive inserisce questa moto con parecchia fatica, perché a suo tempo (aiuto...) ha avuto modo di guidarla a fondo e apprezzarla parecchio. Detto ciò, non si può negare che la prima versione della Multistrada fu un esperimento non del tutto riuscito. Sebbene il concetto fosse valido — una Ducati per tutte le strade — il design (di Pierre Terblanche, che in Ducati disegnò tra l'altro anche la 999, altra moto poco amata dal punto di visto estetico) risultava scoordinato: frontale esteticamente indifendibile, posteriore spoglio, volumi poco armonici. Fu solo nel 2010 che Ducati riuscì a trovare una sintesi efficace tra forma e funzione, trasformando la Multistrada in un successo globale. Ma le origini furono tutt’altro che memorabili, almeno dal punto di vista stilistico. Ed è un peccato, perché andava davvero bene.
Dati tecnici principali:
Pensata come una tourer futuristica, la K1 fu la risposta di BMW alla ricerca di efficienza aerodinamica. Il risultato? Una moto ingombrante, squadrata, con carenature pesanti e colorazioni sgargianti che sembravano uscite da un film di fantascienza anni ’80. Nonostante la meccanica solida e le buone prestazioni, l’aspetto troppo “avveniristico†la rese impopolare. Fortunatamente ha aperto la strada a modelli BMW più riusciti negli anni successivi.
Dati tecnici principali:
Il nome Katana evoca immediatamente un’immagine precisa: quella della spada giapponese dei samurai, simbolo di disciplina, precisione e onore. Non è un caso che Suzuki abbia scelto questo nome per una delle sue moto più iconiche, affidando il progetto a un team tedesco con il compito di reinterpretare il concetto di sportiva secondo una visione avanguardistica. Il risultato fu la Katana, presentata nel 1981, una moto (basata sulla solida GS 1100) che ruppe completamente con gli schemi estetici dell’epoca. Le linee taglienti, il cupolino squadrato, la sella alta e la coda spezzata rappresentavano un design spigoloso, quasi brutale, pensato più per colpire che per piacere. Se oggi il modello è considerato una pietra miliare e oggetto da collezione, al momento del lancio suscitò più perplessità che entusiasmo. Una moto che, come l’arma da cui prende il nome, divideva chi la osservava: c’era chi ne ammirava il coraggio, e chi la trovava semplicemente fuori luogo.
Dati tecnici principali:
Negli anni '80 ha segnato il debutto di Noale tra le moto on-off che andavano per la maggiore. Disponibile in diverse cilindrate, è stata un successo soprattutto nelle versioni 125
La Tuareg è tornata a calcare la scena del mercato e dei motorally, comprese le più dure maratone africane; la moderna Aprilia da off-road incarna alla perfezione il moderno spirito "adventure", ma a Noale il nome Tuareg è familiare fin dagli anni '80, quando la sua progenitrice divenne uno dei modelli più apprezzati, in particolare nelle versioni 125 che ebbero molto più successo di quelle con motore 350 e 600 4 tempi. Ecco la loro storia.

Nel 1984 Aprilia mette in commercio la ETX 125, una enduro due tempi spinta dal motore Rotax con ammissione lamellare, che vuole essere una versione più addolcita della specialistica RX: manca la valvola pneumatica di scarico. Sulla scia di una popolarità della Parigi-Dakar ormai pervasiva nel panorama mediatico e foriera dei successi commerciali di BMW e Yamaha, l'anno successivo anche in Aprilia decidono di cavalcare l'onda, presentando la Tuareg: condivide con la ETX gran parte della ciclistica ma non le sovrastrutture, come il serbatoio che passa da 10 a 16 litri. Il propulsore è il nuovo Rotax 127 con valvola RAVE allo scarico. Il nuovo motore ottimisticamente indica 26 cavalli all’albero (in realtà sono poco più di una ventina), la velocità massima non raggiunge i 130 km/h, il peso è di 124 kg. La Tuareg viene commercializzata a 3.780.000 lire nei colori rosso/giallo e blu/giallo. L’anno successivo arriva già un primo restyling, che comprende la nuova colorazione bianco/rosso, l’avviamento elettrico (opzionale) e il freno a disco anche sulla ruota posteriore.
Come per la ETX, arriva anche la versione 350: monta però un motore quattro tempi, che eroga 33 CV a 7500 giri, viene inoltre introdotta la prima Tuareg Rally, dalle prestazioni entusiasmanti: il suo motore 2 tempi Rotax da 34 CV a 10.750 giri, alimentato da un carburatore da 34 millimetri, unitamente a un peso dichiarato di soli 100 kg, conferisce al mezzo un comportamento da vera off road e la Tuareg Rally diventa molto ambita, ma ha un mercato di nicchia. La mancanza dell’avviamento elettrico e del miscelatore separato, oltre che il prezzo elevato - vicino ai 5 milioni- la rendono un vero prodotto di nicchia. Sempre in ambito due tempi, della Rally esiste anche la versione 250, equipaggiata con motore Rotax 244-GS. I cavalli sono 45 CV a 8000 giri, il peso rimane contenuto, solo 105 chilogrammi.
Per entrambe le cilindrate è disponibile un kit competizione che comprende filtro aria, getti carburatore del massimo più grandi e marmitta libera (non omologata).

La Tuareg Rally prima serie era disponibile con motore 125 e 250

Nel 1987 arriva la versione "maxi" della Tuareg 8qui sopra), in linea con le tendenze stilistiche dell'epoca: doppio faro e parafango basso, nelle colorazioni blu/bianco con sella blu e rosso/bianco con sella rossa. Il motore è il nuovo Rotax 127 derivato da quello della AF1 Project 108, con valvola RAVE 2 e avviamento elettrico. La potenza rimane invariata. L'anno successivo viene introdotta la versione Wind (qui sotto): i cavalli diventano 28, ma la moto nel complesso è più pesante e ingombrante.

Finalmente sul mercato viene introdotta anche una versione media, che ha l'obiettivo di rivaleggiare con Honda Dominator, Yamaha Ténéré e Cagiva Elefant. La Tuareg 600 Wind pesa 148 chilogrammi, ha un'altezza sella di 86 centimetri, monta il motore Rotax di 562cc (94x81) con distribuzione monoalbero a quattro valvole e cinghia dentata, oltre al controalbero di equilibratura. Il propulsore, alimentato da un carburatore Dell'Orto da 34 millimetri, è raffreddato ad aria. È un vero "trattore", capace comunque di 46 cavalli a 7000 giri. All'anteriore la Tuareg monta un doppio disco da 250mm.

L'Aprilia Tuareg Wind 600 aveva una linea "africana" e i classici colori pastello della moto di Noale degli anni 80
Nel 1989 la Tuareg viene anche schierata alla Parigi-Dakar: i piloti sono Andrea Balestrieri e Alessandro Zanichelli. La moto si avvicina molto a quella di serie, se non fosse per i serbatoi maggiorati, un radiatore dell'olio aggiuntivo, un nuovo forcellone e il rapporto di compressione rivisto. Balestrieri si classifica ventesimo, Zanichelli si ritira alla quinta tappa. Non ci sarà un seguito all'avventura dakariana e nel 1990 la Tuareg viene tolta dal mercato, ormai soppiantata dalla nuova Pegaso 650.

Nel 1989 viene modificata ulteriormente la Rally: disponibile solo nella cilindrata 125 a oltre 6 milioni, presenta una carenatura con doppio faro, e parafango anteriore alto che la rende subito distinguibile. L’avviamento è ancora a pedale ma viene aggiunto il miscelatore separato. La nuova Rally, alimentata da un carburatore VHSB 34 LD, riesce a sviluppare oltre 32 CV alla ruota, per una velocità massima superiore ai 140 km/h. Tra il 1990 e il '92 viene commercializzata anche una versione da 50cc per i quattordicenni.

Commercializzata in moltissime versioni, la Tuareg oggi è ricercata soprattutto nella versione Rally 125, tecnicamente il vero fiore all'occhiello di Noale. Per quanto riguarda la 600, il motore Rotax è una garanzia in termini di affidabilità e robustezza, i pezzi di ricambio sono comunque facili da trovare. Plastiche e parti elettriche non presentano usure anomale, la Tuareg è ancora una moto piacevole nell'uso dual.