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#motociclismo #news #insella.it
Il campione spagnolo ha fatto dell'aggressività in pista uno dei suoi punti di forza, ma in molti si sono lamentati dei suoi comportamenti al limite (e oltre). Facciamo una rapida carrellata
Marc Márquez è stato spesso al centro di polemiche per il suo stile di guida fin troppo aggressivo, e diversi piloti lo hanno accusato di comportamenti scorretti in pista. Gli sconti più celebri sono stati con Valentino Rossi, ma i "nemici" del fuoriclasse spagnolo sono parecchi. Ecco alcuni dei principali episodi e piloti coinvolti.
Marco Bezzecchi ha espresso critiche nei confronti di Marc Marquez in occasione del Gran Premio di Valencia del 2023. In particolare, le dichiarazioni sono state rilasciate dopo un incidente che ha coinvolto i due piloti durante la gara. Bezzecchi è stato costretto al ritiro a causa di un contatto con Marquez nelle prime fasi della gara. In seguito all'incidente, Bezzecchi ha rilasciato dichiarazioni molto dure, definendo Marquez "Il pilota più sporco della MotoGP". Bezzecchi ha anche criticato la gestione dei commissari di gara, sostenendo che Marquez gode di un trattamento di favore.
Il Peugeot Metropolis è tornato quest'ano sul mercato riveduto e corretto. Lo scooter a tre ruote francese è ora proposto in tre versioni più una serie speciale. Al vertice della gamma c’è il Metropolis SW che abbiamo provato,che oltre alle doti tipiche degli scooter a tre ruote offre anche un’elevata capacità di carico.
Al centro dei due quadranti analogici c’è un display TFT pronto a connettersi allo smartphone, che offre anche la navigazione con sistema turn-by-turn
Il telaio è in acciaio e la sospensione anteriore a parallelogramma deformabile, mentre gli ammortizzatori sono regolabili nel precarico e in compressione. I freni sono a disco, ABS e controllo di trazione sono di serie. Il motore monocilindrico da 399 cm3 ha 36,5 CV e offre prestazioni sufficienti per cavarsela anche in autostrada e tangenziale. La dotazione di serie comprende parabrezza regolabile manualmente, accensione con telecomando smartkey, strumentazione che si connette al cellulare e navigatore. Nel retroscudo ci sono due vani, di cui uno con presa USB. La capacità di carico giustifica la sigla SW: oltre all’ampia pedana piatta (il Metropolis è l’unico 3 ruote ad averla) c’è un sottosella largo e poco profondo (ci sta una valigetta) ma collegato direttamente al baule da 54 litri (sufficiente per due caschi integrali). Si ha così a disposizione un maxi vano in grado di contenere oggetti lunghi anche 90 cm.
Il bauletto da 54 litri integrato nella carrozzeria può contenere due caschi integrali. è collegato al vano sottosella, che così accoglie oggetti lunghi fino a 90 cm
La posizione di guida è comoda: la sella è ampia e c’è tanto spazio per le gambe e i piedi. Peso e dimensioni sono da maxi, eppure una volta in movimento si sentono poco e in città , dopo averci preso la mano, ci si muove con grande disinvoltura. In curva le due ruote anteriori si sentono: il Metropolis è preciso e progressivo nei cambi di direzione. Il motore spinge bene ai bassi, resta pieno ai medi e mantiene con facilità andature autostradali. La trasmissione è fluida e ben accordata. Nelle frenate decise, oltre allo stop, si attivano le 4 frecce e un segnale acustico. Il controllo di trazione è ben a punto e aumenta la sicurezza sui fondi con poca aderenza. Efficace la protezione del parabrezza, ben tarate le sospensioni.
Stabile, protettivo e ben rifinito, offre un’elevata sicurezza in ogni condizione di strada e di meteo. La nuova versione top SW è ancora più comoda e offre una capacità di carico quasi doppia grazie al baulone integrato
| Motore | monocilindrico 4 tempi |
| Cilindrata (cm3) | 399 |
| Raffreddamento | liquido |
| Alimentazione | a iniezione |
| Cambio | automatico |
| Potenza CV (kW)/giri | 35,6 (26,2)/7250 |
| Freno anteriore | a doppio disco |
| Freno posteriore | a disco |
| Velocità massima (km/h) | nd |
| Altezza sella (cm) | 78 |
| Interasse (cm) | 150 |
| Lunghezza (cm) | 215,2 |
| Peso (kg) | 280 |
| Pneumatico anteriore | 110/70 - 13" |
| Pneumatico posteriore | 140/70 - 14" |
| Capacità serbatoio (litri) | 13 |
| Riserva litri | nd |
Il peso è un parametro molto importante nella scelta della motocicletta, soprattutto per chi è alle prime armi. Ma quali sono i modelli più leggeri che posso guidare con la patente A2? Scopriamoli insieme
Il peso influisce sulla guidabilità , ma si fa sentire ancora di più in situazioni di emergenza come una frenata improvvisa, perdite di controllo o se vi è caduta la moto da ferma e dovete rialzarla. Soprattutto se vi state avvicinando al mondo delle due ruote, la leggerezza è una fattore chiave per mettersi in sella in serenità e senza timore, ecco perché abbiamo selezionato le 5 moto da patente A2 più leggere che possiate trovare oggi sul mercato. Il peso di riferimento è a secco, quindi con il serbatoio vuoto e la moto prova di liquidi (olio e raffreddamento).

Andando in ordine crescente, al 5° posto c'è la CFmoto 300NK con un peso a secco di 142 kg. Questa naked cinese, moderna e dinamica, ha i fari a LED e un cruscotto TFT a colori per monitorare i parametri di marcia. Il telaio a traliccio in acciaio abbraccia un motore monocilindrico raffreddato a liquido da 292 cm3 e 27,9 CV di potenza massima a 8.750 giri/min ed è supportato da una forcella a steli rovesciati da 37 mm. I freni sono entrambi a disco e i cerchi da 17". Ridotta anche l'altezza della sella che si trova a 79,5 cm da terra, mentre il prezzo è di 3.790 euro f.c.

142 kg di peso a secco anche per la tutto fare italiana, ideale per chi occasionalmente ama immergersi nella natura (se siete curiosi di sapere come va, qui trovate la nostra prova). Le forme sono minimali, quasi schelettriche. Ci sono sospensioni a lunga escurione, gomme tassellate, cerchi a raggi con anteriore da 19" e una sella lunga e stretta per governare il mezzo in ogni situazione. Fuoristrada si, ma la Alp X è stata progettata anche per un utilizzo urbano, motivo per cui troviamo anche i fari a LED, il cruscotto TFT a colori e un motore mono facile facile, raffreddato a liquido e con una cilindrata di 348 cm3. La potenza si ferma a 35 CV, quindi può essere guidata con la A2, mentre il prezzo è di 5.790 euro.

Il gradino più basso del podio va alla Honda CB300R, modern classic giapponese da 137 kg a secco. Il design è strettamente legato alla sorella maggiore a quattro cilindri CB650R e le finiture sono eccellenti. Si fa notare il faro circolare a LED ancorato alla forcella a steli rovesciati Showa SFF-BP da 41 mm con pinza radiale a quattro pistoncini. In più l'ABS a due canali è supportato dalla piattaforma inerziale IMU per una frenata ottimale in tutte le situazioni. Prestazioni brillanti per il motore a singolo cilindro da 31,4 CV dotato di raffreddamento a liquido e cambio a 6 rapporti. Sella a 79,9 cm da terra, prezzo 5.590 euro, quattro le colorazioni disponibili. Qui l'articolo con tutte le informazioni.

Segue un’altra giapponese, la Kawasaki W230 con 133 kg. Classicità ai massimi livelli con il sue linee semplici e senza tempo: serbatoio a goccia, silenziatore a collo di bottiglia e cerchi a raggi cromati con anteriore da 18" e posteriore da 17". Non mancano dettagli più moderni in nome della sicurezza come il faro davanti a LED, i freni a disco e la presenza dell'ABS su entrambi gli assi. Il motore monocilindrico a due valvole è raffreddato ad aria e ha una cilindrata di 233 cm3. La potenza è contenuta come il peso: 18 CV a 7.000 giri/min. Il prezzo è di 4.990 euro.

E infine, la più leggera di tutte con 128 kg a secco: la Mondial Spartan 250, una piccola scrambler che stupisce anche per il prezzo di 2.990 euro. La sella si trova ad un'altezza di 80 cm da terra, ma i fianchi snelli agevolano l'appoggio dei piedi a terra per motociclisti di tutte le taglie. Davanti troviamo un faro a LED circolare e una forcella a steli tradizionali da 37 mm, dietro doppio ammortizzatore. I cerchi a raggi sono entrambi da 17" e i freni a disco con ABS. Super accessibili anche le prestazioni: il motore monocilindrico raffreddato a liquido ha una potenza di 16,3 CV, ma il cambio è a 6 rapporti. Qui la nostra prova della sorella 125 con cui condivide la ciclistica.
Lo scooter più amato al mondo è stato proposto in decine di versioni diverse. Ma quali sono gli esemplari più ambiti?
Il mondo Vespa è sconfinato: una storia di quasi 80 anni, decine di modelli, migliaia di appassionati e di attività legate al primo e inimitabile scooter di Piaggio. È difficile ridurre questa grande passione a una selezione degli esemplari più storici, ma effettivamente ci sono modelli che sono un vero e proprio punto di riferimento, capaci di andare al di là delle mode del momento. Veri e propri evergreen, che andiamo a elencare.
È lei la prima Vespa, la progenitrice di tutte le altre. È equipaggiata con un motore di 98cc di cilindrata, eroga una potenza di 3,2 CV a 4.500 giri/minuto, per una velocità di 60 chilometri orari. Rimane in produzione per due anni, per poco più di 18mila esemplari, quindi viene introdotta la 125, dotata di sospensione posteriore. Nel 1953 viene aggiornato il propulsore nelle misure di alesaggio e corsa, compare il faro alto. Nel frattempo la Vespa è già diventata una icona internazionale, grazie anche alla popolarità guadagnata con film di grandi successo come Vacanze Romane, in cui Gregory Peck e Audrey Hepburn girano per Roma in sella a una 125 (V31T).

Viene definito da numerosi esperti come il modello più apprezzato e riconosciuto come la “vera†Vespa. È introdotta nel 1955, le innovazioni sono numerose: per la prima volta appaiono il motore da 150cc di cilindrata, il cambio a 4 marce, la sella lunga di serie, il gruppo manubrio-fanale in un unico elemento, le ruote con pneumatici da 10â€. Le prestazioni segnano un balzo in avanti, grazie al contributo del reparto corse al progetto: la nuova Vespa raggiunge i 100 chilometri orari. Anche il design cambia, con una carrozzeria decisamente più filante. Nel 1962 viene introdotta la versione 160: il profilo è decisamente più moderno, ma anche a livello tecnico, la performance migliora. La potenza è di 8,2 CV a 6.500 giri.

Viene introdotta nel 1968 ed è da subito uno dei modelli più fortunati, ma è sul mercato dell'usato che diventa una vera e propria icona a decenni di distanza. Tra le small frame è il modello più longevo. Deriva dalla “nuova 125†ma presenta notevoli differenze nel propulsore, che consente un incremento di potenza (ora di 5,56 cavalli a 5.500 giri) e di 10 chilometri orari nella velocità massima. L'eleganza delle finiture e la brillantezza su strada ne determinano il successo sul mercato. Viene affiancata, nel 1976, dalla versione Primavera ET3, un modello caratterizzato dall’accensione elettronica, i tre travasi sul cilindro (da qui la sigla), una nuova marmitta allungata ripresa dalla 90 SS, la chiave di contatto sul manubrio. Tutto si traduce in prestazioni ancora superiori, a rinverdire il mito di sportività della Primavera. Rimane in produzione fino al 1982.
Dopo il grande successo ottenuto dalla Vespa 180, Piaggio nel 1972 presenta una nuova “ammiragliaâ€, che tocca per la prima volta la cilindrata di 200cc. Il nuovo motore da 12 cavalli a 5700 giri spinge la Rally fino a 110 km/h. Esteticamente risulta subito riconoscibile dalle strisce adesive poste sulle sacche e sul parafango, presenta una comoda doppia sella e il cassetto dietro lo scudo anteriore, finiture di pregio come la ruota di scorta “copertaâ€. È presente lateralmente la scritta “electronicâ€, a significare che il propulsore è dotato di accensione elettronica, una soluzione tecnologica adottata per la prima volta da Piaggio su questo modello. Viene prodotta per 7 anni in oltre 41.700 esemplari. Le quotazioni di questo modello sono oggi in costante crescita.

Introdotta nel 1977, segna un nuovo passo avanti nell’estetica (la carrozzeria è interamente ridisegnata) e nelle prestazioni. All'anteriore debutta la sospensione anti-affondamento, al posteriore l'ammortizzatore guadagna due centimetri di escursione. Nello stesso anno viene presentata la P 200 E, dotata di accensione elettronica Ducati. Rispetto al modello 125 vanta la possibilità di essere munita di lubrificazione separata e di lampeggiatori direzionali integrati nella carrozzeria. L'anno successivo viene introdotta la versione con cilindrata di 150cc. L'accensione a puntine rimane in produzione fino al 1981, quando le P 125 X, P 150 X e P 200 E vengono sostituite dalla serie PX. Nel 1982 viene commercializzata la più lussuosa ed efficiente versione Arcobaleno (con indicatore carburante, freno anteriore con camma flottante autocentrante, la forcella anteriore di sezione grande). Due anni più tardi debutta la Elestart, con avviamento elettrico. Esce di produzione definitivamente solo nel 2007, dopo che nel 1998 ha guadagnato anche il freno a disco anteriore.
È il “Vespino†per eccellenza. È l'erede della 50L e viene lanciata sul mercato nel 1969. È riconoscibile fin da subito per il faro squadrato e la mascherina del clacson in materiale plastico. La Special è protagonista di uno dei più celebri spot della casa di Pontedera “Chi Vespa mangia le mele (chi non Vespa no)â€. Con la seconda serie le ruote passano a un diametro di 10â€, con la terza viene introdotto il cambio a quattro velocità . Esiste anche una versione Elestart, dotata del pulsante per l'avviamento. La 50 Special torna alla ribalta nei primi anni Duemila, esaurita la spinta commerciale degli scooter a variatore che hanno dominato la scena e le fantasie degli adolescenti nel decennio precedente. Contribuisce a un ritorno al successo anche la famosa canzone 50 Special dei Lunapop di Cesare Cremonini. È anche uno dei modelli più elaborati e customizzati, da intere generazioni di vespisti.

Dalle prime filettature colorate applicate a pennello sulle moto degli anni ’20, fino alle grafiche totali di oggi. Così l'evoluzione della personalizzazione racconta la parabola, tecnica e culturale del motociclismo
Quando si tratta di due ruote, la decorazione a mano libera è spesso derubricata a mero vezzo estetico che riflette il gusto e lo stile - più o meno apprezzabili - del rider di turno. Una connotazione poco generosa per quella che in fin dei conti è una forma d'arte come altre. L'unica bizzarria è che qui, per trasmettere un messaggio, troviamo un serbatoio o un telaio anziché una tela di cotone e lino.
Scopriamone insieme le origini...
La storia del pinstriping moderno affonda le radici in un'epoca pre-motorizzata. Già nel XIX secolo, infatti, era uso comune personalizzare le carrozze più eleganti con tocchi che ne valorizzassero le forme. Tradizione che all'inizio del Novecento è traslata - pari pari - al nascente settore automobilistico e che ha trovato il massimo della fioritura nella cultura hot rod in voga negli anni 50 sulla costa ovest degli Stati Uniti. Dalle quattro alle due ruote, il passo fu brevissimo...
Qui, artisti come come Kenny "Von Dutch" Howard, Dean Jeffries e Ed "Big Daddy" Roth gettarono le basi per quella che possiamo considerare la "scuola contemporanea" del pinstriping, trasformando una semplice tecnica in un linguaggio estetico distintivo, fatto di simmetrie imperfette, dinamismo e iconografie.

Kenny "Von Dutch" Howard

Dean Jeffries

Ed "Big Daddy" Roth
Nel frattempo, in Europa, la tradizione delle filettature si mantenne più sobria e vincolata a un'idea di eleganza; ma altrettanto apprezzabile per raffinatezza, soprattutto nel mondo delle moto inglesi e tedesche.
Negli anni 70 e 80 la personalizzazione moto trovò nell’airbrush - già impiegato in altri settori quali il cinema - la tecnica ideale per sviluppare vere e proprie narrative. Grazie al controllo millimetrico del getto, l’aerografo permetteva sfumature, effetti tridimensionali e di conseguenza la produzione di veri e propri dipinti su ruote. Figure come Dave Mann, illustratore simbolo della cultura biker, portarono l’aerografia verso soggetti più complessi: teschi, paesaggi onirici, fiamme iperrealistiche.

Dave Mann

Le opere di Dave Mann, pubblicate sul magazine Easyriders a partire dal 1973, incarnano l'anima della custom culture statunitense
In questo scenario fu invece la scuola europea a dare ulteriore impulso alla tecnica, introducendo un approccio più grafico e pittorico, capace di fondere elementi fantasy, tribal e biomeccanici.
L’evoluzione industriale delle vernici diede ulteriore linfa alla fantasia dei customizer: dalle cromature liquide ai candy colors, passando per le tinte perlate multistrato, il ventaglio delle possibilità si aprì in modo prima impensabile. In questo scenario variegato, molti artisti iniziarono a sperimentare combinazioni di pinstriping e aerografia creando superfici stratificate, composte da linee pulite che incorniciavano mondi dipinti, oppure texture inedite che servono da sfondo per lettering tradizionali.

Finitura impreziosita con "metal flakes" e abbinata a un classico della decorazione: le fiamme stilizzate
Escludendo dal novero delle arti il sempre più diffuso vinile e la più complessa cubicatura, entrambe tecniche che hanno rivoluzionato il settore, consentendo grafiche replicabili e più accessibili, possiamo affermare senza dubbio che il fascino del “fatto a mano†è - ancora oggi - più saldo che mai.
Il valore di una pennellata o di una sfumatura irripetibile rimane impareggiabile e, ancor più su una moto, rappresenta un’estensione della propria storia e contiene il fascino di un gesto di libertà .
Prodotta dal 1977 al 1985, la V 50, presenza familiare sulle strade in quegli anni, ebbe un buon successo commerciale, affermandosi fin da subito come un modello robusto, economico e facile da gestire. Tuttora è una moto usabile senza problemi e anche abbastanza ricercata
Il progetto della V 50 nasceva dall'esigenza di Moto Guzzi di entrare nel segmento delle medie cilindrate, in un mercato cioè dominato dalle Moto Morini 3 1/2 e dalle sportive nipponiche marchiate Honda, Suzuki e Kawasaki. L’idea di Guzzi fu quella di rispondere con un bicilindrico a V di 500 cm³ in grado di mantenere lo schema del motore già utilizzato sue sorelle maggiori. Parole chiave furono in tal senso robustezza, affidabilità e un'eccellente gestione dei consumi. La prima ad arrivare fu la V 50, presto seguita dalla V 50 II e dalla V50 III, nonchè da varianti più specifiche come la V 50 Monza e la Custom V 50 C, oltre alle versioni destinate a Polizia, Carabinieri ed Esercito. Vediamole una per una.
Presentata nel1976, la prima versione della V50 fu accolta positivamente grazie in particolare alla facilità di guida e alla prontezza del motore. Con un peso contenuto e una frenata integrale, che tramite il pedale del freno attivava un disco anteriore e quello psoteriore, si rivelò infatti molto maneggevole, nonché ideale per chi era alla ricerca di una moto adatta sia ai percorsi cittadini che al misto. Il motore era un bicilindrico 4 tempi con cilindri a V di 90° fronte marcia raffreddato ad aria, ovviamente con distribuzione ad aste e bilanceri, capace di 45 CV a 7.500 giri e coppia massima di 41,69 Nm a 6.500 giri. Il telaio era a doppia culla scomponibile in tubi d’acciaio, abbinato davanti ad una forcella idraulica con corsa di 125 mm e, al posteriore, ad un forcellone con ammortizzatori idraulici regolabili su 5 posizioni e corsa di 69 mm. Infine il sistema frenante integrale con all’anteriore due dischi da 260 mm e al posteriore un disco singolo da 235 mm morsi da pinze Brembo. Il tutto per un peso a vuoto di 153 kg ed una velocità massima di 170 km/h.
Nonostante le buone prestazioni generali, non mancarono però alcuni difetti di non poco conto, tra cui la scomodità della sella e la mancanza di un cupolino. Problemi che furono risolti solo in parte con le successive versioni.
Il prezzo? 2.349.000 lire. A titolo di confronto, tra le concorrenti per cilindrata e tipologia, c’erano in quegli anni la Laverda 500 bicilindrica a 2.497.500, la Ducati 500 GTL a 2.092.500 e la Honda CB500 Four, in listino a 2.444.750 lire.
Nel 1979 arrivò la seconda versione, la V50 II, forte di alcuni miglioramenti tecnici. Il motore, ora dotato di un rivestimento superficiale al Nikasil sui cilindri (precedentemente cromati), garantiva per esempio maggiore resistenza e minore usura, mentre i nuovi collettori e la coppa dell’olio ingrandita assicuravano un miglior raffreddamento. Le prestazioni ringraziano, e la V 50 II diventa più sciolta e un poco più briosa rispetto alla prima serie.
Anche esteticamente si presentava più “curata†rispetto alla versione precedente, con nuove colorazioni e dettagli cromati (oltre al nuovo “rosso Imola†è disponibile l’azzurro metallizzato con filettature su serbatoio e fiancatine) e un cruscotto completamente ridisegnato. Altro punto di forza della V 50 II erano i consumi che, grazie ai rapporti lunghi, rimanevano particolarmente contenuti, attestandosi intorno ai 20 km/l anche a velocità di crociera sostenute. Ciò nonostante, rimasero alcuni difetti di non poco conto, tra cui le finiture (il tappo del serbatoio in plastica lascia ad esempio trafilare benzina col pieno) e, sopratutto, le sospensioni, considerate “sotto tonoâ€, specialmente con la moto carica o in coppia. Il prezzo era invece di 3.800.000 lire.
L’ultima evoluzione della serie, la V50 III, arrivò nel 1981 con ulteriori perfezionamenti. Il blocco motore veniva ora prodotto con nuove e più avanzate tecnologie che permisero di migliorarne ulteriormente resistenza e durata, il rivestimento dei cilindri era un Nigusil (Nikel-Guzzi-Silicio), una lega particolare sviluppata da Guzzi. È quello della sportiva Monza presrntata qualche mese prima, quindi valvole maggiorate (aspirazione da 32 a 34 mm, scarico da 27 a 30 mm) e cilindri (con canna al Nigusil) meglio lubrificati. Inoltre sono montati carburatori Dell’Orto più grossi, con diffusore da 28 mm anziché da 24, e del nuovo tipo PHBH in luogo dei vecchi VHB. Le prestazioni non erano certo al livello di tante concorrenti nipponiche (160 km/h di velocità massima non erano poi molti), ma nonostante questo, la V 50 III sapeva difendersi bene anche nel misto, riuscendo a tenere testa a modelli di cilindrata superiore. Velocità e grinta del motore a parte, rimasero tuttavia alcune criticità ancora irrisolte, come la qualità delle finiture e, sopratutto, il comfort, davvero scarso per via della sella dura e delle sospensioni poco reattive. L’impianto mantiene i due dischi anteriori da 260 mm ed il posteriore da 235 mm, con pompa però montata direttamente sul manubrio (sulle prime due versioni della V 50 la pompa era nascosta sotto il serbatoio e sormontata dal barilotto per il liquido idraulico, con conseguente durezza della leva a manubrio). Rispetto alle precedenti cambiano anche il parafango anteriore, la sella ed il serbatoio, che però non sono inediti, ma “copiati†da quelli della V 35 II uscita nel 1980. Il prezzo era di 3.591.000 lire.

Presentata al Motor Show di Bologna nel dicembre 1980, la V 50 Monza è la versione sportiva della V 500 II e si basa sulla già apprezzata V 35 Imola. Il motore, migliorato con valvole maggiorate e carburatori più grandi, offre potenza ed elasticità : messa alla frusta raggiunge i 172,980 km/h, posizionandosi tra le migliori 500 ccm3 dell’epoca. Il cupolino si comporta bene anche a velocità elevate, ma è ovvio si tratti di una moto sportiva e non da passeggio: la posizione di guida, con manubrio basso e pedane arretrate, non è ideale per lunghi viaggi, il passeggero soffre sulla sella dura e poco spaziosa e l'installazione di borse laterali è difficile. Disponibile nei colori rosso, azzurro e grigio metallizzati, la Monza si distingue dal punto di vista estetico per le strisce decorative e catarifrangenti sul cupolino.
Nata negli USA, la moda custom comincia negli anni Ottanta a diffondersi anche in Italia. Alle giapponesi spuntano ampi manubri e selloni extra-large, pneumatici posteriori sovradimensionati e serbatoio arrotondati. Moto Guzzi non rimane indietro con la V 50 C (dove la C può stare sia per Custom che per California, a omaggio della maxi sorellona già in produzione). Presentate al Salone di Milano nel novembre 1981 sfoggia un abito completamente nuovo, con serbatoio a goccia, sellone ampio, parafanghi lucidi e manubrio alto e largo. Ovviamente, la ciclistica subisce radicali modifiche: la forcella è presa dalla V 65 e gli ammortizzatori presentano un design oleo-pneumatico, montati in posizione capovolta, il forcellone viene allungato di 4 cm e ampliato per accogliere la nuova gomma da 130/90-16â€. Il motore è invece lo stesso della V 50 Monza.
Sin dalla sua prima versione, la V 50 è stata prodotta in specifici allestimenti per le Forze dell'Ordine, come Polizia Stradale, Carabinieri e Polizia Municipale. Le varianti per le forze di polizia seguono l'evoluzione del modello civile, integrando nel design tutte le innovazioni ripassate qui sopra. “In divisaâ€, V 50 destinate alle Forze dell’Ordine sono equipaggiate con accessori fondamentali per svolgere efficacemente le loro funzioni, come ad esempio sirene e lampeggianti. Particolarità sono il cupolino protettivo con parabrezza, i paracilindri integrati, i paragambe, i paracolpi posteriori e le borse metalliche fisse. La colorazione varia: bianco-celeste per la Polizia Stradale, blu per i Carabinieri e bianco-nero per la Polizia Municipale. Una versione speciale è stata realizzata per le Forze Armate della NATO su base V 50 III, che si distingue per i particolari cromati (come l’impianto di scarico, il manubrio, i tubi paracolpi, i pedali del cambio e del freno) rivestiti in nero opaco. Verniciata in verde opaco la versione NATO sfoggia anche "luci di guerra" e un dispositivo che permette l'accensione del motore anche senza batteria.
Come sempre, i prezzi medi per l'acquisto di moto Guzzi V50 usate variano a seconda del modello e delle condizioni, nonché della reale intenzione di cederla da parte del venditore. Per avere un’idea delle quotazioni, possiamo dire che:
- Moto Guzzi V50 I : prezzi generalmente compresi tra 3.500 e gli 8.000 euro;
- Moto Guzzi V50 II: prezzi che variano tra 1.500 e 4.500 euro;
- Moto Guzzi V50 III: benchè più rara, ha prezzi simili a quelli della V50 II, generalmente a partire da 3.000 fino a circa 5.000 euro.
La Cina più che mai ha dominato la scena e catturato l'attenzione del pubblico durante EICMA. Non solo moto facili ed economiche, ma modelli che puntano ai vertici del mercato per prestazioni, dotazioni e particolarità tecniche. Vediamo insieme i più interessanti
Fra i tanti spunti che l’ultima edizione di EICMA ci ha lasciato c’è la consapevolezza che i costruttori cinesi stanno innalzando drasticamente il livello dei loro prodotti. Moto che non si limitano ormai al segmento delle entry-level, ma puntano ai vertici del mercato. Se n'è accorto anche il pubblico, che forse per la prima volta ha letteralmente preso d’assalto gli stand dei maggiori costruttori orientali.
Se si tratta di semplice curiosità o di un reale interesse ce lo dirà il mercato nel 2026 o nel 2027, quando alcuni o magari tutti i modelli che vedete qui sotto saranno disponibili. Nel frattempo, ecco le novità che riteniamo più interessanti dal punto di vista tecnico e stilistico.
La V4 SR-RR è stata forse la moto più ammirata e discussa della fiera. Si tratta di una superbike con motore V4 di 1.000 cm³ in grado di erogare oltre 210 CV di potenza massima; ha sospensioni elettroniche semi-attive e una raffinata aerodinamica attiva con alette che si muovono in base alla velocità e all’inclinazione della moto. Si tratta ancora di un prototipo, e per questo i dati tecnici a disposizione scarseggiano, ma CF promette che entrerà in produzione e la vedremo in tempi brevi. Sarà la prima superbike cinese in grado di battere i modelli leader del mercato?
Benda è un marchio cinese piuttosto giovane, nato ad Hangzhou nel 2016 ma che ha saputo distinguersi nel panorama motociclistico per modelli originali e tecnicamente raffinati, come la cruiser LFC700 con motore a quattro cilindri in linea. Tra le novità , il nuovo concept P51 segue questa filosofia. Si tratta di una cruiser di dimensioni compatte, alimentata da un motore ibrido. L’unità termica è un raffinato bicilindrico boxer di 250 cm³, abbinato ad un motore elettrico di forma circolare montato al di sotto di esso. I due propulsori, funzionando in parallelo, erogando un totale di 62 CV di potenza massima, con un picco di coppia che, stando al dato dichiarato, sfiora i 100 Nm di coppia. Il peso è piuttosto contenuto: 170 kg a secco, mentre lo scatto da 0 a 100 km/h verrebbe coperto in appena 3,7 secondi.
L’azienda cinese ha portato ad EICMA anche questa crossover stradale con motore a tre cilindri. Si chiama Rino 900 e nasce dalle mani di C-Creative, lo studio di design di Giovanni Castiglioni e Adrian Morton (entrambi ex MV Agusta). Il motore è un’unità a tre cilindri in linea di 900 cm³, in grado di erogare una potenza massima di circa 120 CV. Ad abbracciare il propulsore un telaio misto in acciaio-alluminio, sostenuto da sospensioni Marzocchi regolabili. I cerchi sono in lega di 19 pollici l’anteriore e 17 pollici il posteriore, mentre l’impianto frenante è firmato Brembo.
QJ Motor ha anche presentato la Eqvvs 600, una café racer costruita attorno al suo motore V4 di 561 cm³, che sulla cruiser SRV600V esprime 68 CV di potenza massima. Si tratta di un modello affascinante e della linee molto ricercate, sviluppato su un telaio a ponte in alluminio. Non abbiamo altre informazioni in merito, dato che la Eqvvs è ancora un prototipo.
ZXMoto è un nuovo marchio motociclistico fondato dall’ingegnere Zhan Xue (ex ingegnere di Kove), che ha fatto il suo debutto europeo in occasione di EICMA 2025 con ben 9 novità in anteprima mondiale. Il modello più interessante è la 820ADV, una crossover spinta dal motore a tre cilindri di 819 cm³ e 120 CV condiviso con la naked 820R e la supersportiva 820RR. Il telaio è un’unità in tubi di acciaio a sezione rettangolare, ed è sostenuto da raffinate sospensioni semiattive. I cerchi sono a raggi tubeless di 19 pollici l’anteriore e 17 il posteriore, mentre l’impianto frenante vede all’avantreno una coppia di dischi di 310 mm di diametro con pinze radiali a quattro pistoncini. Al posteriore invece troviamo un disco di 220 mm con pinza flottante a due pistoncini. Interasse, inclinazione del cannotto di sterzo e avancorsa valgono rispettivamente 1.531 mm, 26,5° e 115 mm.
Accanto alla gamma stradale, ZXMoto ha portato ad EICMA la 450 Rally, una specialistica pensata per affrontare i rally. Ha linee e forme tipiche di questa categoria di moto, ed è spinta da un monocilindrico quattro tempi di 450 cm³ e 59 CV di potenza massima. Il telaio è in acciaio ed è sostenuto da sospensioni a lunga escursione, le ruote sono a raggi di 21 pollici e 18 pollici e l'impianto frenante con dischi a margherita. Ulteriori dati non sono stati forniti, ma si tratta di un modello molto interessante.
La monocilindrica austriaca di inizio millennio è stata uno dei prodotti che hanno contribuito il marchio a diventare davvero globale. Dai rally alla strada, ha incarnato alla perfezione la filosofia "ready to race"
La KTM 620/640, nelle sue varie versioni, è stata prodotta tra il 1994 e il 2008. Equipaggiata con il mitico motore LC4, ha segnato un'epoca e ancora oggi rappresenta una famiglia di moto gettonate e dal carattere forte.
La storia di questo modello è cruciale per KTM perché deriva direttamente da un progetto nato nel 1987 e che ha seguito nel corso degli anni continue evoluzioni e cambiamenti, arrivando fino ai giorni nostri. Fino a metà anni '80, il marchio di Mattighofen si era affidato ai motori Rotax monocilindrici raffreddati ad aria per le sue moto fuoristrada a quattro tempi. Il propulsore LC4 nasce originariamente con una cilindrata di 553 cc (95x73mm) ed è destinato alle gare- anche se successivamente ottiene una grande fortuna a livello commerciale e rappresenta letteralmente l'ancora di salvezza attorno a cui KTM rinasce a inizio anni '90.

Nel 1987, il nuovo monocilindrico progettato da Sepp Hattinger viene montato sulla 600 GS, una moto da enduro con cui Joachim Sauer e Gianangelo Croci vincono il campionato europeo nelle rispettive classi. Il propulsore, che pesa solo 33 chili grazie all'ampio uso di alluminio ed è raffreddato a liquido, segna un importante balzo in avanti tecnologico. Il monocilindrico arriva a erogare 44 cavalli, che su una moto da 134 kg sono sufficienti a garantire ottime prestazioni. L'assenza di un contralbero di bilanciamento però rende le vibrazioni insopportabili, i carburatori Bing (sostituiti da dei Keihin nella versione stradale) fanno dannare i piloti, costretti all'avviamento a pedale con un motore che quando si ingolfa è una condanna.
Nel 1994, il costruttore austriaco porta la cilindrata a 609cc, la denominazione diventa 620 LC4. Viene rivista la struttura interna: migliorata la lubrificazione degli ingranaggi, c'è un cuscinetto di biella più grande e soprattutto, finalmente, un albero di bilanciamento. Viene lanciata anche la versione Duke, una motard che anticipa i tempi e stupisce per aspetto e prestazioni: linee aggressive, peso di 153 chili per 50 cavalli.

Nel corso degli anni, la LC4 viene costantemente migliorata. Nel 1996, la 640 – ormai nella oggi tradizionale colorazione arancio, che al tempo era una novità - vanta un motore da 625cc (101x78mm) e guadagna potenza, il peso è di 166 chilogrammi. La versione LC4-E viene dotata di avviamento elettrico.
Nel 1997 arriva la versione Adventure, che si rifà direttamente alle moto impiegate nei rally: l'altezza della sella è da vera moto da competizione: 945 millimetri. La linea è caratterizzata da un cupolino molto racing con doppio faro e un serbatoio da 28 litri. Il peso è più contenuto rispetto alle precedenti versioni: 158 chilogrammi. Il motore riceve un nuovo basamento e una seconda pompa dell'olio, per migliorare la lubrificazione.
La Adventure rimane legata a doppio filo alla filosofia ready to race. Già nel 1995 Heinz Kinigadner era riuscito a comandare la mitica Dakar per sette tappe, ma bisogna aspettare il 2001 per vedere Fabrizio Meoni trionfare nel rally più famoso del pianeta, con la versione denominata 660R. La "nave da deserto" monta un motore portato a 654cc, la potenza in versione gara arriva a toccare i 70 cavalli. Le vittorie africane per questo iconico modello saranno 5 e sarebbero state consecutive, se Meoni stesso non si fosse aggiudicato l'edizione 2002 con la mostruosa 950, uscita anche lei dalle officine di Mattighofen. La 660, dopo essere stata impiegata a lungo nel deserto, trova anche uno sbocco commerciale diametralmente opposto con la versione supermono 660 SMC.

La KTM 640 rimane in produzione fino al 2008, quando viene sostituita dal modello con sigla 690, che in realtà monta fino al 2012 il motore di cilindrata 654cc.
Lo stato dell'arte per la KTM 640 LC4 Adventure viene raggiunto nel biennio 2006-07: la moto in vendita ha una potenza di 53 cavalli e 52 Nm di coppia per 158 chilogrammi di peso. Il carburatore è un Mikuni da 40mm di diametro, la forcella anteriore una WP da 50 mm. Estensione delle sospensioni di 300 millimetri all'anteriore e 320 al posteriore, stesso valore della luce a terra.
Non si tratta di una moto semplice, sia a livello di guida che di manutenzione. Come per molti prodotti di famiglia, esiste anche in versione enduro e motard, più facilmente reperibili sul mercato. I prezzi sono decisamente variabili a seconda delle condizioni generali, più che del chilometraggio in sé. Non è semplicissimo nemmeno trovare un esemplare completamente originale: proprio per il tipo di utilizzo nel tempo, le 640 sono tra le moto più elaborate, preparate e rimaneggiate. Attualmente non sono tra le più richieste sul mercato delle moto d'epoca, settore in cui stanno iniziando a entrare proprio in questi anni. Il consiglio è comunque quello di una attenta valutazione, a partire dalle condizioni del motore, spesso l'elemento più bistrattato. Attenzione agli intervalli di manutenzione: non sono quelli delle moto moderne.
Dopo il debutto ufficiale ad EICMA 2025, Kawasaki rende noto il prezzo della sua nuova crossover sviluppata sulla piattaforma del bicilindrico parallelo da 451 cm³ e 45 CV
Tra le novità più attese a EICMA 2025 c’era la KLE500 di Kawasaki, modello che segna il ritorno della Casa di Akashi nel segmento delle crossover-adventure di media cilindrata, una fascia di mercato molto combattuta e ricca di proposte.
La KLE500 nasce per un utilizzo strada/fuoristrada, ed è spingerla c'è il motore bicilindrico parallelo di 451 cm³ e 45,4 CV (ok quindi per la patente A2) che abbiamo già avuto modo di apprezzare su Z500, Ninja 500 ed Eliminator. Dotato di raffreddamento a liquido e distribuzione bialbero, è abbinato a un cambio a sei rapporti, gestito da una frizione servoassistita con sistema antisaltellamento, che evita i bloccaggi della ruota posteriore se si scala marcia troppo velocemente.
Ad abbracciare il propulsore troviamo un telaio a traliccio in acciaio, sostenuto da sospensioni a lunga escursione: 210 mm per la ruota davanti, 196 mm per quella dietro. Per le sospensioni abbiamo una forcella a steli rovesciati KYB di 43 mm di diametro e un monoammortizzatore collegato al forcellone tramite leveraggi progressivi Uni-Trak, che consentono di avere una risposta differente della sospensione a seconda delle sollecitazioni. Il serbatoio ha una capienza di 16 litri, che dovrebbero essere sufficienti per concedere una discreta autonomia, mentre il peso dichiarato in ordine di marcia è di 194 kg. Per tutte le caratteristiche vi rimandiamo al nostro articolo di presentazione, ora passiamo al prezzo.
In foto la KLE500SE nella colorazione Metallic Bluish Green
La Kawasaki KLE 500 sarà disponibile nelle concessionarie nei primi mesi del 2026, in due versioni: standard o SE, che si differenzia per strumentazione TFT, parabrezza maggiorato, paramani rinforzati, frecce a LED e slitta paramotore. I prezzi sono rispettivamente di 6.390 euro e 6.990 euro, entrambi franco concessionario. La gamma colori è la seguente:
Cosa c’è di più magico di una moto d’epoca che richiama ai tempi di quando eravate ragazzi e quelle moto le sognavate? Ecco 10 modelli da chiedere a Babbo Natale
Natale è ancora lontano ma cominciano a spuntare i panettoni e le luci. Avete già pensato al vostro regalo? Non a quelli da chiedere ma a quello da fare a voi stessi. Qualcosa di magico come può esserlo una moto d’epoca che richiama ai tempi di quando eravate ragazzi e quelle moto le sognavate. È così che funziona: diventando grandi si desiderano le moto che ci incantavano allora, ai nostri tempi. È anche in base a questo che variano le quotazioni: qualche anno fa per una bella Moto Guzzi Falcone Sport 500 ci volevano 12.000 €, oggi potete averla per 8000 perché la richiesta è precipitata. Quelli che comprano le moto d’epoca oggi erano ragazzi tra gli anni ‘70 ed ‘80, ed è a quelle che si rivolgono.
Così eccovi una piccola selezione di sogni, ma non di sogni proibiti: limite di prezzo 5000 €, sapendo che è un dato del tutto indicativo perché varia a seconda delle condizioni del veicolo, della disponibilità dei documenti e tante volte anche in base alla fortuna, se incontrate qualcuno che fa poche storie pur di liberarsi di un oggetto ingombrante che non vuole più tra i piedi.
Dunque apriamo le porte del paese dei balocchi. Partendo dalle piccole cilindrate. E non crucciatevi se non trovate quella che pensavate voi: è una selezione in base al gusto personale, oppure in altri casi il “vostro “modello supera i limiti di prezzo.
Quasi una leggenda per chi aveva 16 anni tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90., quando il mercato delle 125 cm³ tirava fortissimo e le moto avevano prestazioni impressionanti in rapporto alla cilindrata… e all’età del conducente. Per quei tempi, la AF1 125 tecnicamente era all’avanguardia: telaio a doppio trave quando molti erano ancora in tubi, forcellone monobraccio e ruote di 16â€, con una carenatura estremamente aerodinamica. Quasi una moto da corsa. La prima versione del 1987 montato un motore Rotax V 127 monocilindrico due tempi, aveva 27 CV a 8800 giri/minuto e sfiorava i 160 km/h. Nel 1988 arrivò la seconda serie con la forcella a steli rovesciati e il nuovo motore Rotax 123 e la potenza salì a 29 CV a 10.500 giri/minuto, e successivamente arrivò a quasi 30 CV mentre la velocità aumentò fino a sfiorare i 170 km/h. Venne prodotta fino al 1992, oltre per che per la tecnica evolutissima spiccava anche per le colorazioni originalissime di numerose versioni.
Venne prodotta tra il 1971 e il 1986, in tre differenti versioni: la prima, la SE che significa “Seconda Edizione†e la Sport. A distinguerla il brillante motore bicilindrico a due tempi che la metteva in concorrenza con l’Italjet Buccaneer. Era piuttosto essenziale come tutte le moto di quei tempi, nella prima versione il freno anteriore era ancora a tamburo, e l’accensione a puntine. Però le prestazioni erano brillanti, e lo divennero ancora di più con la SE, quando i cilindri in ghisa vennero sostituiti da altri in lega leggera a canna cromata e la potenza salì a 17 CV a 8100 giri/minuto. La velocità massima era intorno a 120 km/h. Chi avesse intenzione di acquistarne una per usarla normalmente farà bene a ricordare che non ha il miscelatore, e siccome da moltissimi anni i distributori non vendono più miscela come invece avveniva allora, per fare rifornimento la miscela bisogna farsela da soli.
Un’altra protagonista assoluta dei tempi d’oro del 125 cm³. Venne prodotta dal 1988 al 2001 in tre versioni, ed era caratterizzata dal telaio a doppia trave costituito da due semi gusci in lega di alluminio pressofusi, imbullonati. Una soluzione adottata per la prima volta in assoluto. Nella terza serie venne mantenuta la stessa costruzione ma fu modificata la forma del telaio, denominato Z-Frame.
Disponibile sia in versione Naked che carenata, aveva un motore monocilindrico a due tempi di 125 cm³ che nella versione più evoluta era arrivato a 27 CV; qualcosa in meno delle rivali Cagiva Mito, Aprilia RS e Gilera SP, in cambio però di una maggiore affidabilità e una maggiore trattabilità . Caratteristiche che, insieme alla forza del marchio Honda, la portarono a una grande diffusione.
La Honda aveva già sfondato sul mercato italiano con la CB 750 Four, una delle prime maxi di grande diffusione, e nel 1972 cominciò a produrre anche questa 350 cm³ resa molto appetibile dal motore a quattro cilindri, e dal fatto che sul mercato nazionale 350 cm³ erano il limite per i diciottenni; cilindrate superiori erano consentite solo a partire dal 21º anno di età . Piacevole e accattivante, aveva una bella linea e sfoggiava soluzioni all’avanguardia per l’epoca, come il freno a disco anteriore e l’avviamento elettrico. L’accensione invece era ancora a spinterogeno con puntine platinate e condensatori. Le prestazioni erano discrete, 34 CV a 9500 giri/minuto, ma era un motore che amava girare “allegroâ€, con l’aiuto di un cambio a sei marce che a quell’epoca non era una cosa scontata.
Il telaio era in tubi tondi e la sospensione posteriore a due ammortizzatori, sulla forcella ancora i copristeli come si usava al tempo. E tuttora un gran bell’oggettino, una delle moto di cilindrata minore più sofisticate mai prodotte, e per giunta si trova a cifre molto contenute.
Ai suoi tempi fu un successone e tuttora è una moto molto appetibile se avete intenzione di usarla sul serio: affidabile, con discrete prestazioni e ottime doti di guida. È quella con cui la Casa bolognese passò alle medie cilindrate, spinta da un motore bicilindrico a V di 72° di 350 cm³ progettata dal brillante tecnico Franco Lambertini. Diverse le particolarità : le testate Heron a camera piatta, uno dei primi cambi a sei rapporti montati su moto di serie, i due cilindri leggermente sfalsati per favorire il raffreddamento di quello posteriore. La distribuzione è ad aste e bilancieri.
Il motore era stato progettato per essere modulare e infatti venne usato per numerosi modelli bicilindrici di 250, 350 e 500 cm³, ed anche per i monocilindrici Morini di 125 e 250 cm³.
Il telaio era a doppia culla chiusa in tubi tondi, con la sospensione posteriore a due ammortizzatori, mentre il freno a tamburo anteriore della prima versione, del 1973, venne subito sostituito da un disco, poi diventati due. In un secondo tempo arrivò anche il freno a disco posteriore
La Moto Morini 3½ venne prodotta dal 1973 al 1983, sia nella versione GT, turistica, che nella più apprezzata versione Sport con i semi manubri. Era una delle 350 più brillanti dell’epoca con i suoi 40 CV, resa ancor più appetibile dal fatto che nel 1976 l’IVA per le moto oltre 350 cm³ passò al 36%, mentre per le 350 rimase al 18%.
Impossibile trascurarlo anche se stiamo parlando di moto, perché in questo momento sul mercato dell’epoca il signore dei ciclomotori è uno dei veicoli più ricercati. Chi, tra gli “antaâ€, non ha un ricordo legato al ciclomotore progettato dall’ingegner Bruno Gaddi? È rimasto sulla breccia la bellezza di 39 anni, dal 1967 al 2006, rivoluzionario all’esordio e un classico quando uscì dai listini. Costi di produzione e peso ridotti al minimo, stava sotto i 40 kg a secco, saliti poi a 43, e a 48 nelle versioni con miscelatore; il telaio era in lamiera d’acciaio, rigido al posteriore e dotato di una modesta sospensione anteriore a biscottini: il comfort era affidato al molleggio della sella. Freni a tamburo davanti e dietro, il motore era monocilindrico orizzontale a due tempi di 49,77 cm³, con distribuzione regolata da una spalla dell’albero motore e raffreddamento ad aria forzata per mezzo di una ventola ricavata sul volano magnete. Avviamento a pedali, che erano utili anche in salita perché il variatore c’è soltanto in alcune versioni. La velocità era intorno ai 45 km/h e con quella ciclistica andava bene così, ma molti preparatori si sono cimentati realizzando scarichi ad espansione e cilindri per incrementarne le prestazioni.
Attenzione che nonostante la semplicità del Ciao nel tempo sono state apportate numerose modifiche, ci sono state ruote di 19â€, 17â€! e 16â€, profili coprimotore tondi e squadrati, fanali tondi e squadrati e tanto altro ancora, e sono cose che sul prezzo fanno molta differenza. Un “prima versioneâ€, di quelli ancora con la forcella rigida e il freno a cavallotto come le biciclette, può costare uno sproposito. In generale, in questo momento le quotazioni sono salite ma un veicolo così semplice si trova a prezzi comunque molto accessibili.
La Vespa, ancor più del Ciao, in questo momento è al vertice delle richieste e i prezzi sono saliti alle stelle. Quindi se ne volete una d’epoca e il budget deve restare entro i 5000 € la PX è una delle poche praticabili, e comunque una scelta molto interessante. Arrivò nel 1977 ed è rimasta in produzione fino al 2017, cioè la bellezza di quarant’anni nella quale ha mantenuto fondamentalmente la stessa struttura di base. La scocca in acciaio aveva dimensioni più generose di quelle della Primavera, la nuova sospensione anteriore antiaffondamento garantiva una maggiore stabilità in frenata e la sospensione posteriore aveva una maggiore escursione. Nuovo anche il motore, monocilindrico a due tempi r di 125 cm³affreddato ad aria forzata, con l’aspirazione nel carter controllate dalla spalla dell’albero motore. Venne affiancato dalle versioni di 200 e 150 cm³, nel 1984 arrivò anche l’avviamento elettrico.
Anche qui si sono succedute numerose versioni diverse per colorazioni, particolari di carrozzeria ma anche implementate con l’introduzione del freno a disco anteriore e di miglioramenti del motore: aveva il cilindro in ghisa, ma ci fu anche la versione 125 T5 Pole Position a cinque travasi con cilindro in alluminio cromato e differenti misure di alesaggio e corsa, arrivava a 12 CV contro i 7,7 della versione standard, velocità massima 105 km/h contro 97.
Prodotta in numerosissime versioni, venne pensionata nel 1988 con l’arrivo della Cosa, ma a seguito dell’insuccesso di quest’ultima venne riesumata nel 1994. Alla fine del 2007 l’uscita di produzione con il modello denominato non a caso Vespa P125X Ultima Serie. Non era vero: visto quanto vendeva la copia indiana LML, la PX tornò a listino nel 2011, per uscirne definitivamente nel 2017 a causa degli eccessivi costi che avrebbe avuto l’adeguamento alla normativa Euro 4.
È stato uno dei modelli più diffusi, prodotto dal 1969 al 1982, reso popolarissimo da una azzeccata campagna pubblicitaria con slogan che fecero colpo sui giovani, e riportato alla ribalta dal successo della canzone dei Lunapop “50 Specialâ€.
Linea e finiture accurate, nella prima versione aveva il cambio a tre marce e le ruote di 9â€, divenute di 10†nella seconda versione, quella di maggior successo, datata 1972. Nel 1975 arrivò anche la terza con il motore a quattro marce. Spinta da un monocilindrico a due tempi di 50 cm³, nel corso degli anni fondamentalmente è rimasta uguale a se stessa, modificata solo in alcuni particolari. Fu il cavallo di battaglia dei quattordicenni di allora, spesso modificata con il montaggio di una sella a due posti che permetteva di caricare un passeggero, nonostante il Codice della Strada non lo consentisse.
Nei primi anni ‘70 le moto austriache dominavano le gare di enduro, allora denominata regolarità , e i piloti italiani mietevano successi alle Sei Giorni. Una faccenda che non ha niente di speciale perché si è ripetuta molte volte nel tempo, ma in quegli anni il “Kappa†era diventato anche una questione di moda e non lo guidavano soltanto i fuoristradisti sfegatati: i ragazzi delle famiglie “bene†lo usavano come alternativa alla Vespa. Più ruvido, sporcava abbastanza per via dello scarico sfumacchiante del suo motore a due tempi, ma andavo forte. E poi… era il “Kappaâ€. Particolarmente apprezzati quelli che montavano il motore Sachs a sei marce, con serbatoio e fianchetti azzurri. Moto eccellenti per quei tempi, non soprattutto foriere di nostalgici ricordi oggi.
Verso la fine degli anni ‘70 la Moto Guzzi ricavò una versione ridotta del suo motore bicilindrico a V di 500 cm³ per rientrare nella fascia meno tassata e guidabile anche da chi non aveva ancora compiuto 21 anni. Vennero prodotte numerosissime versioni della V 35 di 350 cm³, custom, turistiche e anche sportive. Le due denominate Imola e Imola II furono tra le più apprezzate. La prima restò in gamma dal 1979 al 1983, la seconda dal 1984 al 1987. Erano sportive non esasperate ma piacevoli e impiegavano lo stesso solido telaio di tutta la serie V 35. Cupolino e semi manubri, nella seconda versione anche il puntale, erano stabili ma non troppo maneggevoli, la prima con motore a 2 valvole (qui sopra) non brillava per le prestazioni ma aveva una buona affidabilità , la seconda con motore a 4 valvole (qui sotto) era più potente ma molto più fragile: la distribuzione 4V è di cristallo, ed è meglio farla girare ben al di sotto del regime massimo.