Oggi è Venerdi' 28/11/2025 e sono le ore 12:37:17
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Oggi è Venerdi' 28/11/2025 e sono le ore 12:37:17
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Nostra publicità
Compra su Vinted
Compra su Vinted
#motociclismo #news #insella.it
Un emendamento alla manovra punta ad aumentare l’imposta sulla garanzia “infortunio del conducente†delle polizze Rc auto. Una modifica apparentemente tecnica che rischia però di trasformarsi in un salasso per tutti i cittadini
Una modifica apparentemente tecnica ma che rischia concretamente di trasformarsi nell’ennesima batosta per noi cittadini. Tra gli emendamenti alla manovra in discussione in Parlamento ce n’è infatti uno, a firma Matteo Gelmetti (Fratelli d’Italia), che potrebbe far lievitare i costi delle polizze Rc auto. Il nodo riguarda la garanzia accessoria “infortunio del conducenteâ€, la copertura cioè che indennizza il guidatore in caso di lesioni anche se è colpevole. Ed è proprio su questa voce che lo Stato punta a incassare di più. Cerchiamo di fare chiarezza.
L’emendamento prevede che, dal gennaio 2026, l’imposta applicata alla garanzia infortuni salga dal 2,5% al 12,5%. Una crescita di dieci punti percentuali che, secondo le stime, porterebbe allo Stato circa 100 milioni di euro all’anno. Soldi che verranno prelevati dalle nostre tasche, seppur non direttamente. Per legge, infatti, l’imposta è a carico del cliente, e non delle compagnie assicurative, che di fatto fungono solo da sostituto d’imposta.
Il vero problema è però un altro, vale a dire la lettura retroattiva dell’Agenzia delle Entrate. Secondo il Fisco, l’aliquota sulla garanzia infortuni non sarebbe infatti mai dovuta essere quella ridotta, ma quella più alta già dagli anni Ottanta. In pratica, quindi, per l’Agenzia le compagnie per decenni avrebbero applicato l’aliquota sbagliata e, adesso, va saldato il conto degli ultimi dieci anni (quelli precedenti, fortunatamente, sono ormai prescritti). Importo? Circa un miliardo di euro, che le assicurazioni dovrebbero versare allo Stato al netto di sanzioni e interessi.
Domanda retorica. Purtroppo, ci siamo abituati, il conto ricadrà su noi guidatori. La prima ed inevitabile conseguenza sarà l’aumento diretto della garanzia infortuni che, dal 2026, potrebbe al pari dell’aliquota quintuplicare. Ma non solo: se da una parte le assicurazioni recupereranno la maggiore tassazione aumentando la garanzia accessoria in questione, dovranno dall’altra trovare un modo per recuperare le somme retroattive anticipate. Conseguenza: aspettiamoci anche un generale rincaro su tutta la Rc auto. Chiamate a fronteggiare una richiesta potenziale da un miliardo di euro, è chiaro che le compagnie potrebbero cercare vie per riequilibrare i conti. E storicamente, quando le assicurazioni devono recuperare margini, i listini Rc auto non sono mai rimasti a guardare. Insomma, benché la diatriba tra Fisco e compagnie riguardi interpretazioni normative, pareri degli anni Ottanta e letture retroattive, alla fine, la parte più fragile della catena è sempre la stessa: chi paga la polizza.
Tanto per girare il dito nella piaga: RC: in Italia è più cara che nel resto d'Europa
Verrà realizzata dal reparto Honda Racing di Louth, lo stesso che gestisce la partecipazione di Honda Racing UK al British Superbike e alle gare stradali
Honda UK, filiale britannica della Casa giapponese, ha allestito una versione da pista della CBR600RR destinata ai clienti più sportivi e l’ha svelata nel corso dell’MCL (Motor Cycle Live), il salone al National Exhibition Center di Birmingham. Il prezzo sale dalle 10.999 £ (circa 12.500 €) della moto stradale a 18.000 £ (circa 20.460 €), ma viene promesso un grosso miglioramento sia in termini di prestazioni che in termini di maneggevolezza.
Verrà realizzata dal reparto Honda Racing di Louth, lo stesso che gestisce la partecipazione di Honda Racing UK al British Superbike e alle gare stradali, ed è previsto un tempo di consegna di sei settimane. Le moto verranno prodotte su ordinazione, alcune modifiche verranno apportate direttamente in Giappone e l’assemblaggio finale avverrà presso la sede centrale del team, nel Lincolnshire. Particolare importante, in questa configurazione la CBR600RR rimane un modello a piena potenza, dunque senza rimappatura non potrà correre nel mondiale Sportbike che nel 2026 sostituirà la categoria Supersport 300.
Numerose le modifiche che l’hanno trasformata in una moto da pista. Si parte dalla carrozzeria in fibra di carbonio Carbonin Avio Fibre, per proseguire con il radiatore Evotech Performance e i paraleva prodotti dalla stessa Honda Racing britannica.
Le moto arriveranno dal Giappone con una guarnizione della testata più sottile, di 0,55 mm, per portare il rapporto di compressione da 12,2:1 a 12,4:1, e avranno un cablaggio e una centralina Racing che permetterà di aumentare di 1000 giri il limite massimo, portandolo a 16.500 girei/minuto. A completare il tutto un radiatore Racing, molle frizione maggiorate e l’immancabile scarico Akrapovic quattro in uno che integra i catalizzatori e permette di rientrare nei limiti dell’Euro 5 per l’uso stradale.
Sono stati mutuati dalla moto vincitrice della Supersport britannica guidata da Jack Kennedy i carter motore GB Racing e i tubi freno anteriori e posteriori in treccia metallica Goodridge, ci saranno manubri Spider e pedane arretrate da corsa, oltre a catena e corona 520, ed è prevista anche la verniciatura, ad opera della Spray Bay di Birmingham.
Tra i punti più qualificanti le sospensioni Showa da pista: ammortizzatore con regolazione remota del precarico e forcella di serie ma con componenti interni factory, molto differenti da quelli della versione stradale.
Il 2025 da incubo di Bagnaia cambia le gerarchie a Borgo Panigale: Alex Márquez promosso a riferimento per lo sviluppo, mentre Tardozzi avvisa: "Pecco deve tornare a dimostrare chi è"
Il finale di stagione a Valencia e i successivi test in ottica 2026 hanno scoperchiato un vaso di Pandora che a Borgo Panigale faticavano a tenere chiuso ormai da svariati mesi. Il rapporto tra Francesco Bagnaia e la Ducati, un tempo idilliaco, sembra essere arrivato a un punto di non ritorno. Nonostante un contratto che lega il piemontese alla Rossa fino alla fine del 2026, l'aria nel box è diventata irrespirabile. La notizia che fa più rumore è il ridimensionamento tecnico del due volte iridato: i vertici di Ducati Corse hanno deciso di puntare su Alex Marquez come pilota di riferimento per lo sviluppo della futura GP26 e del prototipo 2027. Una scelta che suona come una bocciatura netta per Pecco, scavalcato nelle gerarchie proprio dal minore dei fratelli Marquez, ritenuto ora più affidabile per dare la direzione agli ingegneri.
La comunicazione sarebbe arrivata al pilota già prima dei test valenciani, sancendo di fatto un passaggio di consegne doloroso. Il motivo? Una stagione 2025 disastrosa, condita da sole quattro vittorie su 44 gare (tra Sprint e GP) e una cronica mancanza di feeling con la GP25. A pesare come un macigno c’è il confronto impietoso con Marc Marquez, capace di dominare il mondiale pur saltando le ultime nove gare, mentre Bagnaia continuava a chiedere modifiche e ritorni alla configurazione 2024, senza mai trovare il bandolo della matassa. Questa confusione nelle richieste ha convinto Dall'Igna e i suoi uomini che la "bussola" dello sviluppo non potesse più essere nelle mani dell'italiano.
Se le indiscrezioni tecniche sono pesanti, le parole del team manager Davide Tardozzi suonano come una sentenza. Abbandonati i toni diplomatici, Tardozzi ha fotografato la situazione con una franchezza disarmante: "Pecco è un campione, ma deve tornare a dimostrarlo. Non è normale vederlo in quelle posizioni". La frustrazione del team nasce dagli sforzi profusi inutilmente: a Borgo Panigale hanno provato ogni soluzione per ridare fiducia al pilota, ma il feeling non è mai tornato.
"Le soluzioni di quest'anno non erano lontane da quelle del 2024, ma lui avvertiva qualcosa di diverso", ha spiegato Tardozzi, sottolineando come ormai la squadra sia "con le spalle al muro". Il problema, secondo i tecnici, non è nel motore o nella moto – tanto che nei test si è continuato a lavorare sulla specifica attuale – ma è un blocco che sembra ormai insanabile tra il pilota e il mezzo. In una MotoGP dove se non sei al 100% non vinci, la crisi di Bagnaia è diventata un problema strutturale per il team ufficiale, che ora guarda al 2026 con più dubbi che certezze e un clima interno che definire "pesante" è un eufemismo.
ZXMoto ha catturato la scena con una gamma parecchio interessante e ora annuncia il progetto di un motore boxer. Ma quando è nato e chi c’è alle spalle di questo brand?
In Cina esistono oltre 200 marchi motociclistici, che sommati raggiungono più della metà della produzione mondiale di veicoli a due ruote. Molti di questi non li conosciamo, perché la loro distribuzione è “limitata†all’interno del paese o al continente asiatico, ma realtà più strutturate stanno velocemente emergendo con l’obiettivo di sbarcare in Europa. Tra questi, ZXMoto è una di quelle con il biglietto da visita più interessante. L’azienda è stata ufficialmente lanciata alla fine del 2024 e ha debuttato in Europa solo poche settimane fa ad EICMA. Ecco cosa sappiamo di lei e dei suoi progetti.
La supersportiva ZXMoto 820RR esposta ad EICMA 2025
A Milano ZXMoto ha svelato ben 9 modelli, alcuni dal design molto particolare, altri, come spesso accade, sono ispirati senza troppi filtri ad già visti. Ne è un esempio la nuda retrò ZX 500F, la copia in piccolo della Honda CB1000F e ancora di più della Super Four. Tuttavia, ciò che ha colpito maggiormente di questi modelli è la loro raffinatezza: motori a tre o quattro cilindri in linea, componenti di pregio e dotazioni tecniche all’avanguardia.
Dietro questo nome si cela una figura importante: Zhang Xue. Appassionato di fuoristrada sin da ragazzo, nel 2017 è stato colui che, in società con altri investitori, ha creato il marchio Kove, diventando il volto pubblico dell’azienda nel suo periodo di massima crescita. Tuttavia, divergenze interne sulla direzione strategica avrebbero portato al suo allontanamento e, quindi alla decisione di fondare ZXMoto.
Accanto ai modelli presentati per il 2026, Zhang Xue ha mostrato, durante la conferenza stampa tenutasi in fiera, un progetto molto più ambizioso: il primo motore boxer di ZXMoto, destinato al debutto commerciale non prima del 2027. Le specifiche tecniche complete non sono ancora state diffuse, ma sono emersi alcuni dettagli: una cilindrata di circa 1.000 cm³, con un layout a cilindri orizzontali di 180° e una potenza massima superiore ai 100 CV. Proseguendo con le caratteristiche, si nota un certo parallelismo con il boxer BMW. Il sistema di raffreddamento è interamente a liquido, i condotti di aspirazione sono posizionati sopra i cilindri mentre gli scarichi si trovano nella parte inferiore: una scelta introdotta da BMW dal 2013 che migliora la compattezza del propulsore e l’ergonomia del veicolo. L’albero motore è poi disposto longitudinalmente, mentre la trasmissione finale è a cardano.
Zhang Xue ha poi annunciato che questo motore verrà introdotto sul mercato sia con cambio meccanico tradizionale, sia con un cambio automatico AMT, concettualmente simile al sistema ASA BMW.
Non si sa ancora su quale modello debutterà questo propulsore, ma se dovessimo scommettere, viste le tendenze del mercato, diremmo una adventure o una crossover.
Negli anni 80 la classe 400 cm³ in Giappone visse una evoluzione tecnica stupefacente, con moto derivate dalle corse è purtroppo (quasi) mai importate ufficialmente in Italia
Tra gli anni 80 e 90, il mercato giapponese è stato teatro di una competizione tecnica feroce tra i quattro grandi costruttori, focalizzata sulla categoria TTF-3 (Tourist Trophy Formula 3). Questa classe, che ammetteva motori a 4 tempi fino a 400 cm³ e 2 tempi fino a 250 cm³, divenne il laboratorio per lo sviluppo delle "Race Replica": moto stradali che copiavano in tutto e per tutto le soluzioni delle moto da gara. Se le 250 a miscela hanno avuto gloria anche in Europa, le sorelle a 4 tempi da 400 cm³ sono rimaste per lo più confinate in patria, diventando oggi oggetti di culto per i collezionisti. Vediamo le più interessanti.
Il ruolo di pioniera assoluta spetta a Suzuki. Nel marzo del 1984, un anno dopo aver sconvolto il mercato con la RG250 Gamma, la casa di Hamamatsu presentò la GSX-R (nota poi come GSX-R400). Fu la prima 4 cilindri della categoria a montare un telaio in alluminio e un motore raffreddato a liquido, soluzioni che le permisero di fermare l'ago della bilancia oltre 10 kg sotto le rivali dell'epoca. Nonostante la potenza fosse limitata per legge a 59 CV, il rapporto peso/potenza era eccezionale. Il successo commerciale fu trainato anche dalle vittorie in pista: la GSX-R preparata da Yoshimura vinse la prestigiosa 4 Ore di Suzuka nel 1986 e 1987. Il modello continuò ad evolversi costantemente fino al 1997.
Honda rispose inizialmente con la CBR400F raffreddata ad aria, ma dovette presto adeguarsi. Dopo il tentativo poco apprezzato della CBR400R carenata "Aero" del 1986, la svolta arrivò nel dicembre 1987 con la CBR400RR. Questa moto abbandonava ogni compromesso turistico per abbracciare un design puramente racing, con telaio a doppio trave in alluminio e un baricentro bassissimo. Il modello raggiunse la sua maturità tecnica e stilistica con la versione del 1990, caratterizzata dal forcellone a banana per ospitare lo scarico, diventando un punto di riferimento per guidabilità ed equilibrio tra le 4 cilindri in linea.
Parallelamente alla linea CBR, Honda sviluppò la famiglia V4, considerata la vera replica delle moto ufficiali da gara (le RVF). Nel 1986 debuttò la VFR400R, che portava su strada la raffinata distribuzione a cascata di ingranaggi, marchio di fabbrica dei V4 di Tokyo. L'evoluzione fu rapida: nel 1987 arrivò il monobraccio posteriore, soluzione derivata direttamente dall'Endurance. La stirpe si concluse con la RVF400 lanciata nel 1994, dotata di forcella a steli rovesciati e condotti dell'aria per il raffreddamento dei freni, rimasta in produzione fino al 2001.
Yamaha entrò nella partita delle repliche pure nel 1986 con la FZR400. La moto introduceva il telaio perimetrale in alluminio Deltabox e il motore "Genesis", caratterizzato dai cilindri inclinati in avanti di 45 gradi per ottimizzare l'aspirazione e il baricentro. Particolarmente ricercata fu la versione FZR400R del 1987, una serie speciale dotata di valvola allo scarico EXUP (che migliorava l'erogazione ai medi regimi), cambio a rapporti ravvicinati e codone monoposto. Nel 1989 la moto fu completamente rivista diventando FZR400RR, con l'ultima versione SP prodotta fino al 1995.

Kawasaki arrivò per ultima nel segmento delle repliche da pista, avendo puntato a lungo sulla popolare ma più stradale GPZ400R. Il primo tentativo di colmare il gap tecnico avvenne nel 1988 con la ZX-4 (qui sotto), che vantava un telaio in alluminio e carburatori downdraft per un flusso d'aspirazione rettilineo. Tuttavia, fu solo nel 1989 con la ZXR400 che Kawasaki conquistò il cuore degli appassionati. Dotata di forcella a steli rovesciati e dei caratteristici tubi di aspirazione che portavano aria dalla carena al motore attraversando il serbatoio, la ZXR fu l'unica delle 400 race replica ad arrivare sul nostro mercato, aveva un look aggressivo e inconfondibile che le permise di rimanere sulla breccia fino al 2000.
Un concept che sfida le logiche tradizionali della mobilità . Un prototipo che non dipende né dalla benzina né dalle colonnine di ricarica, ma dal sole, chissà che un domani non si trasformi in qualcosa di più concreto…
Le elettriche sono ad oggi una realtà “consolidataâ€, delle ibride si parla ormai da tempo (tra le ultime ricordiamo Kawasaki, Yamaha e Royal Enfield) ma di moto a pannelli solari non se n’erano fino ad ora mai viste. Firmata MASK Architects, cioè dallo studio fondato da Öznur Pınar Cer e Danilo Petta, la Solaris è alimentata esclusivamente dall’energia solare e pensata per funzionare, almeno sulla carta, in totale autonomia. L’idea è tanto semplice quanto radicale: “ali fotovoltaicheâ€.
Una volta parcheggiata, la Solaris apre una serie di pannelli solari retrattili disposti a cerchio, trasformandosi in una piccola centrale energetica in grado di cattura la luce, trasformarla in elettricità ed immagazzinarla nelle batterie agli ioni di litio ad alta capacità di cui è stata munita. Nessun cavo, nessuna presa, nessuna dipendenza dalla rete. Una volta richiusa la struttura, la moto si muove tramite un motore elettrico abbinato ad un sistema di frenata rigenerativa utile a recuperare ulteriore energia. La ciclistica – spiegano da MASK – combina alluminio e carbonio in un telaio leggero, gestito da un sistema intelligente che coordina raccolta, stoccaggio e distribuzione dell’energia, mentre un cockpit digitale e l’app dedicata permettono di monitorare prestazioni e resa solare.
Per quanto riguarda linee e look, l’approccio scelto dai progettisti è stato di tipo “biomimeticoâ€, cioè ispirato – sostengono da MASK – ai movimenti e alla postura di un leopardo. Una scelta che dovrebbe influire su aerodinamica, distribuzione dei pesi e posizione di guida, oltre che sull’impatto visivo complessivo.
Al di là dell’aspetto futuristico, la Solaris nasce per risolvere un problema piuttosto concreto: operare in contesti dove benzina e colonnine non sono disponibili o affidabili. MASK immagina applicazioni in zone remote o regioni in via di sviluppo, progetti di eco-turismo, flotte logistiche leggere e sperimentazioni all’interno di smart city. Un’utopia? Probabilmente sì, ma con una filosofia molto concreta. La moto viene infatti presentata non come un prototipo pronto all’industrializzazione, bensì come “un’esplorazione concettualeâ€. Si trasformerà un giorno in un qualcosa di più concreto?
Ecco le moto più interessanti sul mercato con prezzo di listino inferiore ai 5.000 euro. Sono mezzi ideali per chi è alle prime armi, ma anche per i più esperti che badano al sodo
L'ingresso nel mondo delle due ruote (o il ritorno) non è mai stato così facile. Sul mercato ci sono un gran numero di moto con prezzi sotto i 5.000 euro che offrono prestazioni adeguate, estetica curata e buona dotazione tecnica.
Sono i mezzi giusti per chi è fresco di patente A2, ma anche per i più esperti che cercano una seconda moto agile e dai costi di gestione ridotti all'osso. Qui di seguito i modelli più interessanti in questa fascia di prezzo, spaziando tra cruiser, naked, scrambler e classiche.
La BSA Bantam 350 sfoggia linee che richiamano le motociclette degli anni Sessanta. Il propulsore è un monocilindrico a 4 tempi, raffreddato a liquido, da 334 cm³ che eroga una potenza di circa 29 CV. È maneggevole e facile da guidare, perfettamente a suo agio in città e divertente anche per brevi gitarelle. La sella a 80 cm e il peso in ordine di marcia di 185 kg facilitano le manovre negli spazi stretti.
La CFMoto 300 CL-X è una naked con linee pulite, il motore è un monocilindrico da 292 cm³ con circa 28 CV in grado di offrire una guida brillante in tutte le situazioni. La ciclistica si avvale di una forcella a steli rovesciati e di un monoammortizzatore regolabile nel precarico. Il peso piuma di 155 kg contribuisce alla maneggevolezza. L’ABS e la strumentazione digitale completano la dotazione.
La Honda GB 350S è una bella stradale dallo stile classico, monta un motore monocilindrico da 350 cm³, raffreddato ad aria con 21 CV dotato anche di controllo di trazione. La posizione di guida è improntata al relax e risulta adatta sia al commuting quotidiano che alle brevi escursioni, mentra la sella a 79 cm da terra permette di metter ei pieid a terra con sicurezza. Le finiture sono discrete.
Anche la Kawasaki W230 è una stradale dal fascino retrò, che unisce elementi classici a una costruzione moderna. Il motore da 233 cm³ eroga 18 CV, ideale per chi cerca una moto leggera (133 kg), poco impegnativa e facile da guidare in città . La sella bassa (75 cm) la rende facile da gestire anche nelle manovre.
La Royal Enfield HNTR 350 ha un motore monocilindrico da 349 cm3 con una potenza di 20 CV abbinato a un cambio a 5 marce. Il design è essenziale e curato. La dotazione comprende ABS e un cruscotto digitale con elementi analogici. La posizione di guida è comoda e la maneggevolezza elevata.
La SWM SiX è una scramblerina che monta un motore monocilindrico da 445 cm³ con una potenza di circa 40 CV, un valore superiore rispetto ai modelli di cilindrata 300-350 cm³, che però agli altri regimi trasmette vibrazioni evidenti. Il peso è contenuto (177 kg), mentre la sella è a 83 cm da terra, chi è sul metro e settanta tocca in punta di piedi. È dotata di sospensioni morbide che vanno bene anche per fare sterrati leggeri.
La Zontes ZT-GK 350 è una roadster che unisce elementi retrò e stile moderno. Il motore monocilindrico da 350 cm³ raggiunge 35 CV, offrendo prestazioni piuttosto brillanti. La componentistica è di buon livello e include ABS, freni a disco con pinza anteriore ad attacco radiale e strumentazione digitale.
La Keeway V302 C è una vera e propria cruiser in miniatura. Il motore bicilindrico da 298 cm³ ha 30 CV, la posizione di guida è comoda e rilassata. È destinata a chi preferisce le linee "americane" senza rinunciare alla maneggevolezza garantita dalle dimensioni contenute.
La QJ Motor SRV 300 è una bella custom dotata di un motore bicilindrico da 296 cm³ e 37 CV che garantiscono prestazioni brillanti. Il cambio a 6 marce è dotato di frizione antisaltellamento e la ciclistica è ben a punto: si arriva in fretta a toccare l'asfalto con lo scarico.
La Meteor 350 è una delle custom di piccola cilindrate più vendute. Monta un motore monocilindrico da 349 cm³, con una potenza di 22 CV, dotato di un buona spinta ai medi regimi. La sella bassa, il manubrio largo e le pedane leggermente avanzate mettono subito il pilota a proprio agio. In città ci si muove bene e anche tra le curve è divertente, sfoderando una discreta precisione, anche se non è un fulmine nello scendere in piega.
La Voge Rally 300 è una enduro stradale leggera, versatile e adatta a chi cerca una moto capace di affrontare città e sterrati leggeri. Il motore da 293 cm³ sviluppa 29 CV, mentre il peso contenuto e l'altezza sella di 82 cm la rendono accessibile e maneggevole.
La Trofeo di Voge è una naked sportiva con motore monocilindrico da 300 cm³ da 25 CV. Le prestazioni sono abbastanza brillanti con vibrazioni quasi del tutto assenti. Su strada è facile e, grazie alla taratura intermedia delle sospensioni, se la cava anche guidando "allegri", a patto di non forzare troppo la mano.
La nuova versione “americana†della Leoncino è bella da vedere e da guidare. Il bicilindrico a V spinge bene ma, messo alla prova, quanto fa davvero? Ecco i nostri rilevamenti
Le custom sono sempre più numerose nei listini. E non sono tutte grosse e pesanti: ci sono anche quelle facili da comprare e da gestire come la Benelli Leoncino che sfoggia linee muscolose sottolineate dalla coda tronca senza faro (luci e stop sono integrati nelle frecce). Da vera “powercruiser†anche il motore: un inedito bicilindrico a V di 60° da 385 cm³. Ma messo alla prova quanto fa e quanto consuma? Ecco tutti i dati del nostro centro prove.

Il motore è accreditato di 34 CV di potenza massima e 36 Nm di coppia a 4.500 giri. Numeri che alla ruota, secondo i nostri rilevamenti, si traducono in:
Il telaio è un robusto culla chiusa abbinato ad una forcella a steli rovesciati non regolabili e ad un doppio ammortizzatore regolabile nel precarico molla. Davanti c’è un disco singolo da 300 mm con pinza a 4 pistoncini, mentre la ruota è da 16â€.
A patto di non tirargli troppo il collo, il bicilindrico si comporta bene, con consumi contenuti ed una buona autonomia grazie anche al serbatoio da 14 litri.
Noi abbiamo rilevato:
A Teheran cresce il numero di donne che si spostano con le moto. La legge non lo vieta, ma nemmeno lo regolamenta chiaramente ed il governo valuta come rendere legale una pratica ormai diffusa
Nella capitale iraniana, cresce il numero di donne che guidano scooter e moto. Il traffico, i costi elevati di auto, benzina e assicurazioni e le esigenze quotidiane legate al lavoro e alla famiglia hanno spinto molte donne a scegliere moto e scooter come mezzi per gli spostamenti. Una tendenza che, per certi versi, sembrerebbe sfidare consuetudini sociali e norme non esplicite. Rimane però il nodo legislativo: il codice della strada non vieta loro di guidare, ma non chiarisce nemmeno se possano ottenere la patente. Ora il governo sta valutando come regolamentare questa pratica.

La situazione legale resta ambigua. L’articolo 20 del codice della strada stabilisce che la polizia possa rilasciare patenti agli uomini, senza includere le donne. Come ha spiegato il capo della polizia stradale, generale di brigata Teymour Hosseini: “La patente per le donne richiederebbe modifiche formali alla legge, e le forze dell'ordine erano in attesa di una notifica ufficiale sulla guida motociclistica femminile per poter procedere. La Costituzione non vieta alle donne di possedere motociclette. Possono detenere documenti di immatricolazione ufficiali a proprio nome, quindi logicamente dovrebbero anche poter ottenere la licenza di guidaâ€.
Secondo la vicepresidente per le donne e gli affari della famiglia, Zahra Behrouz-Azar, non sono necessarie nuove norme: “Il motociclismo femminile non è diverso dal lavoro delle donne pilota o autiste. Vediamo già donne attive nel trasporto nazionale, internazionale e aereo, ed è naturale che abbiano bisogno di motociclette per la mobilità quotidianaâ€, precisando che l’applicazione delle leggi esistenti richiede collaborazione tra le autorità .
Negli ultimi anni, i grandi movimenti di protesta, come quello scatenato dalla morte di Mahsa Amini, stanno cambiando profondamente le regole non scritte della società iraniana. Nonostante la repressione rimanga intensa - solo nei primi nove mesi del 2025 si sono registrate oltre 1000 esecuzioni - il governo guidato dal riformista Pezeshkian adotta un approccio relativamente cauto sui temi dei costumi sociali. Una prudenza dettata anche dalle circostanze economiche e politiche: con la crisi finanziaria in corso e l’isolamento internazionale del Paese, un inasprimento della repressione rischierebbe di scatenare nuove rivolte interne.
In questo contesto, le donne iraniane stanno conquistando spazi di libertà sempre più ampi. È, per l’appunto, il caso di Zahra Abedini, considerata una delle pioniere del motociclismo femminile in Iran. Sedici anni fa, la sua passione per le moto la costringeva a nascondersi e a subire prese in giro. In un’intervista a France24, Abedini raccontava: “Trovai una pista fuori città che accettò di insegnarmi, e iniziai a fare motocross. A quel tempo, conoscevo solo altre quattro donne appassionate di moto. Per sei mesi tenni tutto nascosto alla mia famiglia, finché mio padre lo scoprì. Quando mi vide saltare con una moto da cross sulle rampe di terra, rimase terrorizzato. Ci volle molto tempo prima che riuscisse ad accettarloâ€. Oggi, invece, Abedini non solo guida liberamente, ma organizza tour e gite fuori porta per altre donne, condividendo con loro la stessa passione che una volta doveva nascondere.
Presentato nelle Filippine il nuovo Brusky 125 nasce dalla collaborazione con la malese Modenas ma non è possibile importarlo nel Vecchio Continente
La gamma Kawasaki si arricchisce di un nuovo modello per il 2026, ma i motociclisti europei (fortunatamente...) non lo troveranno nelle concessionarie. Si chiama Brusky 125 ed è stato lanciato ufficialmente nelle Filippine. A dispetto delle carene verdi e del logo di Akashi, questo scooter non è un prodotto sviluppato interamente dalla casa giapponese.
Si tratta infatti di un’operazione di "rebranding": sotto le plastiche dal taglio sportivo si nasconde il Karisma 125 S, un modello prodotto dalla malese Modenas. L'estetica richiama il family feeling aggressivo delle sportive Ninja, con linee tese e grafiche accattivanti, ma la sostanza tecnica tradisce la natura economica del progetto. Venduto a un prezzo di circa 77.000 pesos (poco più di 1.100 euro al cambio attuale), il Brusky punta tutto sull'accessibilità per i mercati asiatici, rinunciando a dotazioni che nel Vecchio Continente sono ormai considerate standard anche sulle entry-level. La strumentazione, ad esempio, è quasi interamente analogica, con solo un piccolo riquadro digitale per tachimetro e indicatore del carburante, mentre l'illuminazione si affida ancora a lampadine a incandescenza tradizionali.

Non solo non c'è l'ABS, e manca anche il sistema di frenata combinata
La conferma arriva direttamente dalla filiale tedesca di Kawasaki: non c'è alcun piano per importare il Brusky 125 in Europa. Il motivo è puramente tecnico e normativo. Il motore è un monocilindrico a quattro tempi di 125 cm³ raffreddato ad aria, con iniezione elettronica, capace di erogare una potenza modesta di 9,5 CV. Sebbene la casa dichiari una generica omologazione "Euro 4", questo non è sufficiente per le severe normative Euro 5+ attualmente in vigore nell'Unione Europea. A sbarrare definitivamente la strada verso l'Occidente è però la dotazione di sicurezza. Il Brusky 125 monta un freno a disco all'anteriore e un semplice tamburo al posteriore. Manca totalmente il sistema ABS, ma anche la frenata combinata (CBS), che rappresenta il requisito minimo di legge per l'omologazione dei 125 cm³ in Europa. Adattare il progetto agli standard di sicurezza ed emissioni europei richiederebbe investimenti tali da far lievitare il prezzo, annullando il vantaggio competitivo del veicolo.

Basic, non si potrebbe definire altrimenti
Storicamente, Kawasaki è un marchio legato alle prestazioni pure e alle moto, e il suo rapporto con il mondo degli scooter è sempre stato frutto di partnership strategiche piuttosto che di sviluppo interno. Non è la prima volta, infatti, che il marchio verde si affida a costruttori terzi per presidiare questo segmento. Gli appassionati ricorderanno la parentesi europea tra il 2013 e il 2019, quando Kawasaki propose nei listini il J300 e il J125. Anche in quel caso non si trattava di progetti originali, bensì di versioni riviste nell'estetica e nel setup del Kymco Downtown, frutto della collaborazione con il colosso taiwanese. Con l'uscita di scena di quei modelli, Kawasaki ha abbandonato il mercato degli scooter in Europa, preferendo concentrarsi sulle moto e sulle nuove tecnologie ibride ed elettriche, lasciando i piccoli commuter urbani economici ai mercati asiatici dove i volumi di vendita giustificano operazioni come, appunto, quella del Brusky. Ci mancherà ? Difficile...