Oggi è Mercoledi' 24/12/2025 e sono le ore 17:07:52
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Oggi è Mercoledi' 24/12/2025 e sono le ore 17:07:52
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Nostra publicità
Compra su Vinted
Compra su Vinted
#motociclismo #news #insella.it
Per la serie “pillole di Rossiâ€, il Dottore torna a parlare dei suoi duelli al limite con Marquez. Ricorda i sorpassi in Argentina e l’indimenticabile collisione nell’ultima S di Assen
Valentino Rossi torna a parlare della rivalità con Marquez ripercorrendo due degli episodi più “caldiâ€: Argentina e Assen, gare che hanno segnato la tensione tra i due campioni e portato ad una frattura irreparabile.
Il Dottore comincia raccontando la strategia di gara che lo portò alla rimonta in Argentina: “Se te gli recuperi tre decimi al giro, guardi quanti giri mancano… mancano cinque giri, gli recupero tre decimi al giro, lo prendo a metà dell’ultimo. Giro veloce all’ultimo, al penultimo… sorpasso Lorenzo, sorpassato Dovizioso… e comincio a fare i giri veloci uno dietro l’altro e lo vedo che si avvicina, adesso lo prendoâ€. Come tutti sappiamo, il momento decisivo arriva però in curva quando Marquez “tenta†il contatto: “lo passo nella curva destra e lui ha detto: l’unica possibilità che ho è andargli addosso. Cioè lui cerca di stendermi, pieno, nonostante fossi già tutto davanti…â€. L’accusa la conosciamo tutti e, ancora una volta, Rossi non nasconde la frattura: “Da lì il nostro rapporto è andato in frantumi. Lui continuava a far finta di andare d’accordo con me…â€.
A distanza di mesi, Assen regala il secondo atto della sfida. “Facciamo una gara della madonna - ricorda Rossi - lui, io, lui, andiamo via, ma lui è tosto, non mi molla e siamo arrivati all'ultima S e io ho detto guarda lui sicuramente ci prova, io provo a entrare più forte possibile, stacco proprio più forte possibile, vedo come va, stacco forte, la butto dentro ma già non so se ci stavo, ma lui nonostante io faccio questa staccata esagerata lui proprio mi viene addosso un'altra volta perché lui comunque ti viene addosso. E mi ha buttato fuoriâ€. Esattamente come il tifo del pubblico di quel giorno, il racconto Valentino qui si fa concitato: “Solo che io appena naturalmente l'ho sentito arrivarmi addosso, a parte che non è che c'avevo tanta scelta, sono andato dritto, ho tagliato la S e ho vintoâ€.
Al termine della gara Marc, racconta Valentino, "aveva una faccia che non gli avevo mai visto prima". “facile vincere così - mi dice - se tagliâ€. “E io gli ho detto, Marc, se mi vieni addosso nell'ultima S e mi butti nella ghiaia io cosa devo fare? Devo farti vincere?
L'epilogo che tutti conosciamo avvenne a Sepang...
E poi cosa accadde? Valentino Rossi vs Marc Marquez - Stoner: "Lo ha sbattuto fuori dal mondiale
Una scuola di minimoto pensata per avvicinare i bambini al mondo delle due ruote. La Polini Minibike School Cup 2026 si rivolge ai giovanissimi tra i 5 e i 9 anni: oltre al tesseramento, compresi nell’iscrizione ci sono il noleggio delle moto, delle tute e dei caschi. Ecco i dettagli
Organizzata da OPES motori minimoto, la Polini Minibike School Cup 2026 è una scuola minimoto pensata per avvicinare i bambini al mondo delle due ruote in modo educativo, sicuro e divertente. Un progetto ideato per bambini dai 5 ai 9 anni che desiderano muovere i primi passi in pista seguiti da uno staff qualificato. La scuola prevede 6 eventi ufficiali, ognuno dei quali strutturato in 6 turni. L’iscrizione comprende il noleggio della moto, la tessera associativa e tutto ciò che serve per montare in sella in totale sicurezza. Vediamo i dettagli.
La stagione 2026 prevede 6 eventi ufficiali, svolti in concomitanza con il Trofeo OPES, offrendo alle famiglie un contesto organizzativo serio, professionale e stimolante. Ogni evento è strutturato con 6 turni di attività il sabato, dedicati all’apprendimento e alla pratica, seguiti dalla manifestazione della domenica, momento conclusivo di condivisione.
L’iscrizione alla Polini Minibike School Cup 2026 è una formula completa e senza pensieri, che comprende:
• Noleggio Minimoto Polini 910S
• Tessera assicurativa Opes Oro motori e licenza.
• Tuta e casco
• 2 coppie di gomme
• Assistenza tecnica ufficiale Polini
• Cappellino e t-shirt Polini
Il costo complessivo per l’intera stagione è di 1.990,00 euro + IVA.
Per garantire la massima equità sportiva, assicura Polini, tutte le minimoto sono identiche e vengono assegnate tramite estrazione a ogni manifestazione, permettendo ai bambini di concentrarsi esclusivamente sulla guida e sul divertimento. Al termine di ogni evento è prevista una premiazione dedicata Polini, perchè, anche questo è importante, impegno e progressi dei partecipanti vanno sempre premiati.
Per tutti i dettagli e per procedere all’iscrizione (che apriranno da gennaio 2026), è possibile scrivere a Alessandro: info@opesmotori.it, telefonare al numero 347 5851702 o visitare il sito www.opesmotori.it
Maxi campagna di richiamo per Ducati che, a causa di un problema ai fusibili, chiama a raccolta le Panigale V2 MY 2025 e Streetfighter V2 MY 2025–2026
Ducati ha avviato una campagna di richiamo che interessa due delle sue bicilindriche più diffuse: la Panigale V2 MY 2025 e la Streetfighter V2 MY 2025, con una parte della produzione della naked estesa al MY 2026. Il richiamo riguarda potenziali problemi ai fusibili dell’ABS che, se montati in modo errato, potrebbero compromettere il funzionamento dell’impianto.
Secondo quanto riportato dalla documentazione ufficiale, durante l’assemblaggio del cablaggio i fusibili dell’ABS della Panigale e Streetfighter V2 potrebbero essere stati invertiti. In particolare, il fusibile da 25A destinato alla pompa e quello da 10A per la centralina, oppure i rispettivi portafusibili, potrebbero essere stati montati al contrario. In questo scenario, la pompa ABS risulterebbe protetta dal fusibile da 10A anziché dal 25A previsto.
In caso di frenata prolungata con intervento dell'ABS, il fusibile da 10A potrebbe saltare, disattivando il sistema antibloccaggio. Il malfunzionamento potrebbe portare al bloccaggio della ruota anteriore o posteriore, con possibile perdita di controllo della moto e aumento del rischio di incidente. In presenza del difetto, il sistema segnala immediatamente l’anomalia con il messaggio “ABS error†e l’accensione della spia dedicata, mentre la funzione rimane disattivata.
Il controllo e l’eventuale correzione del montaggio dei fusibili e dei portafusibili verranno effettuati gratuitamente dai concessionari autorizzati. L’operazione consiste semplicemente nel verificare la posizione dei componenti e ripristinare il corretto montaggio, garantendo così il pieno funzionamento dell’ABS.
Il richiamo interessa i seguenti modelli e relative annate:
Ducati ha inoltre precisato che dal 13 giugno 2025 la produzione è stata verificata, con fusibili e portafusibili correttamente montati.
Nate con lo scopo di allargare il mercato di un marchio o per innovare con linee audaci, hanno semplicemente fallito l'obiettivo. Andiamo a conoscere 6 casi clamorosi
Le moto di successo le ricordiamo tutti: regine del mercato o sogni proibiti, riempiono le strade e popolano i sogni dei motociclisti. Nessuno o quasi si ricorda invece dei flop che hanno fatto dannare le case e che sono a loro volta – loro malgrado- diventati dei simboli nel mondo delle due ruote. Ecco le sei moto/scooter che non hanno certo fatto breccia nel cuore degli appassionati di ieri e di oggi.
La Cosa viene prodotta dalla Piaggio tra il 1988 e il 1995. Nata come erede della Vespa PX, sulla base di un progetto che costa ben 35 miliardi di lire, sconta aspettative alte. Si rivela un insuccesso commerciale clamoroso per la casa di Pontedera, che deve correre ai ripari mettendo in produzione nel 1993 la vecchia Vespa PX in una veste aggiornata.
Il progetto tecnico della Cosa in realtà è valido, diverse le principali novità rispetto al passato: componenti della carrozzeria realizzate in plastica (parafango anteriore, spoiler e copri manubrio), il vano sotto sella che è in grado di ospitare un casco. Nuova la trasmissione, molto più precisa negli innesti e l’impianto frenante a pedale, sempre composto da tamburi, ma con frenata idraulica integrale. Rinnovate anche le sospensioni, più confortevoli e con un braccio posteriore più robusto. La linea non si discosta troppo da quella del PX e a conti fatti, forse sarebbe bastato non cambiare il nome per avere una migliore risposta dal pubblico.

Il nome completo è Aprilia Motò 6.5, in cui 6.5 ricorda la cilindrata del motore. Viene prodotta tra il 1995 e il 1996, sulla base dell'originale tratto del archistar Philippe Starck, che le attribuisce linee rotondeggianti e il caratteristico scarico avvolgente, sotto il motore. Dei pochi esemplari prodotti (circa 6mila) più della metà sono venduti all'estero, soprattutto nel nord Europa. Meccanicamente è dotata del collaudato propulsore monocilindrico a 4 tempi prodotto dall'austriaca Rotax, che già equipaggia la Pegaso, ma con un carburatore più piccolo per avere una potenza inferiore e una migliore fluidità di erogazione. Pensata per il mercato dei neo-patentati e per avvicinare i non-motociclisti alle due ruote, non farà mai breccia nel segmento delle naked e anche con gli anni non sembra avere guadagnati fascino. Risulta però un esperimenti di marketing ben riustito, grazie a lei (e al nome del suo designer) farà perlare di Aprilia per mesi su tutti i giornali.

La tanto attesa versione superbike del grande bicilindrico a V di KTM utilizzato sulla Adventure 990 viene preceduta da una altrettanto grande attesa, ma sconta diversi ritardi di produzione, ed è finalmente lanciata sul mercato solo nel 2008. La RC8 si rivela però un vero e proprio fallimento e viene tolta dai listini nel 2015. Il progetto patisce innanzitutto una tempistica sbagliata: viene costruita con l'intenzione di competere nel mondiale superbike, ma il cambiamento dei regolamenti in fase di completamento della moto la rende poco competitiva ancora prima del mancato debutto (correrà solo nel mondiale Super Stock e nella sbk tedesca). Tecnicamente è equipaggiata con un bicilindrico prima da 1148 cm3 e poi da 1195 cm3 di cubatura, distribuzione a bialbero con 4 valvole per cilindro e disposizione a 75° dei due cilindri e potenza di 154 cavalli. Il telaio è un traliccio in tubi d'acciaio, su strada e in pista la moto è appagante, leggera e divertente. Perché non ha funzionato? Forse il marchio non è sufficiente “stradale†o forse i risultati non hanno aiutato.

Anche in questo caso parliamo di un progetto audace, che vuole rompere gli schemi a cui il marchio è associato dalla clientela. La XR1200 per costruire una moto dalle prestazioni idonee a soddisfare i gusti dei motociclisti europei, prendendo ispirazione dalla leggendaria XR750 da pista. La XR1200, nel 2008, si rivela un fiasco. Il grosso bicilindrico ha potenza a sufficienza (91 cavalli), ma il peso è di ben 260 chili. Nel 2010 segue una generazione aggiornata, con sospensioni regolabili migliorate, ma il mercato non risponde e in un paio di anni finisce fuori produzione.

Lo scooter con il tetto e la cintura di sicurezza che si guida senza casco. Caratteristiche sensazionali per il BMW C1, nato come prototipo nei primi anni '90 e diventato poi realtà nel 1997. Questo commuter urbano fu una vera e propria rivoluzione, non solo per l'idea tecnica che c'era dietro, ma anche perché per omologarlo fu rivisto il codice della strada. La base è quella di un classico scooter, disponibile sia in versione 125 che 200 (quest'ultima con cilindrata di 176 cm3): la seduta del guidatore, però, non è una classica sella bensì un vero e proprio sedile automobilistico con schienale e cinture di sicurezza, il tutto riparato da un tetto rigido in alluminio per essere protetti da interperie e cadute. Infatti, come vi abbiamo anticipato, questa particolarità gli permetteva di essere guidato senza casco. La struttura supplementare, però, alzava notevolmente il peso che arrivava a circa 180 kg. La grande praticità andava quindi un po' in conflitto con le prestazioni e anche l'estetica, decisamente poco slanciata e per nulla accattivante. Inoltre, rimuovendo il bauletto si ricavava una seduta per il passeggero che, però, era seduto esternamente alla cellula in alluminio e quindi doveva mettere il casco. I proprietari di questo mezzo ne sono stati follemente innamorati, ma in generale il C1 ebbe poco successo, motivo per cui nel 2003 ne venne interrotta la produzione.

Dopo particolari esperimenti del XX secolo, nel 2008 la casa di Noale ripropone il cambio automatico sulle moto. Venne montato sulla Mana 850, una naked elegante perfetta per muoversi tutti i giorni in città e per godersi il fine settimana tra le curve. A differenza delle più recenti tecnologie di trasmissione automatica, il bicilindrico da 76 CV di Aprilia era supportato da un cambio CVT. Niente leva della frizione perché c'era un vero e proprio variatore come sugli scooter, ma sì alla leva del cambio. Infatti, il pilota poteva scegliere tra due modalità , automatico e manuale: nella prima il principio di funzionamento è quello dello scooter: acceleri e vai; nella seconda, invece, l'elettronica bloccava il variatore in una determinata rapportatura per simulare un cambio tradizionale e dare così la possibilità al pilota di cambiare marcia (c'erano sette rapporti a disposizione). Il cambio automatico sulle moto inizia ad essere capito oggi, ma immaginatevi la reazione del pubblico quasi 20 anni fa: una moto con il variatore... e infatti, la Mana 850 automatica non venne così apprezzata (qui trovate la nostra prova).
L’hanno si chiude con una crescita del 12% e si tratta di un grande risultato visto che è circa tre volte la crescita del mercato scooter totale
È stato un 2025 a tutto gas per SYM Italia, ma la filiale del marchio taiwanese è decisa a spingere ancora di più sull’acceleratore. L’hanno si chiude con una crescita del 12% e si tratta di un grande risultato visto che è circa tre volte la crescita del mercato scooter totale: le immatricolazioni sono passate dalle 9000 del 2019 alle oltre 22.000 previste entro la fine di quest’anno che ha visto SYM a lungo terza nel ranking nazionale degli scooter targati con una quota di mercato dell’11%, e quarta assoluta. Significa che ci sono oltre 220.000 veicoli SYM in circolazione qua da noi, grazie anche al potenziamento della rete dei concessionari.
Ci sono grandi progetti per il futuro: l’apertura della nuova sede e un forte impegno nella formazione tecnica dei meccanici, per elevare ulteriormente la competenza post vendita. Inoltre verrà potenziata la capacità distributiva sia dei veicoli che dei ricambi, per sostenere un mercato in espansione. Confermata la garanzia di quattro anni con assistenza stradale inclusa, un plus di sicurezza che gli utenti hanno dimostrato di apprezzare notevolmente.
È tutto parte di una strategia che per il 2026 punta ad ampliare ulteriormente la gamma, innalzare la qualità percepita e il valore dei modelli nel tempo, consolidare la capillarità della rete, rafforzare i servizi post vendita lungo tutto il ciclo di vita del veicolo ed esplorare nuove soluzioni di mobilità .
L’Italia per SYM oggi è un mercato pilota, rappresenta circa un terzo del mercato europeo del marchio ed è un punto di osservazione privilegiato per comprendere le dinamiche e i gusti dei clienti; la filiale nazionale sottolinea che il nostro Paese in questo senso avrà un ruolo sempre più centrale. La campagna di posizionamento attuata proprio in questo anno ha segnato una svolta portando forza e nuova chiarezza al marchio.
“La crescita di SYM Italia è il risultato di una visione condivisa: prodotti di qualità , una rete forte e un’esperienza cliente che continua ad evolvere – ha dichiarato Domenico Lojacono, Sales&Marketing Director di SYM Italia –. Il 2025 ha segnato un punto di svolta, ma è nel 2026 che vogliamo compiere un passo ancora più deciso, unendo innovazione e identità in un ecosistema digitale più completo e interconnesso. Essere SYM significa non smettere mai di crescere, mai di ascoltare e mai di evolvereâ€.
È un modello da collezione prodotto in 293 esemplari numerati e firmati da Marc Marquéz per celebrare il settimo titolo conquistato nella massima categoria dello spagnolo
Festa in famiglia per la Ducati che ha celebrato insieme ai propri dipendenti i successi sportivi del 2025, in particolare la vittoria del titolo MotoGP di Marc Márquez, nel corso di un evento all’interno dello stabilimento. Hanno sfilato tra gli applausi, compiendo un giro dell’azienda in sella alle loro moto da gara Marc Márquez, Francesco Bagnaia, Ãlex Márquez, FermÃn Aldeguer e Fabio Di Giannantonio in sella alle loro Desmosedici GP, Nicolò Bulega con la Panigale V4R Superbike, Tony Cairoli e Jeremy Seewer con la Desmo450 MX e Alessandro Lupino con la Desmo250 MX, e i dipendenti li hanno poi potuti incontrare da vicino. È stata una festa all’insegna della grande passione da cui sono legati tutti quelli che lavorano per la “Rossaâ€, qualunque sia la loro funzione, uniti da un filo che nasce a borgo Panigale e si allunga fino alle Ducati sparse in tutto il mondo.
La giornata è stata aperta dalla presentazione della Panigale V4 Marquéz 2025 World Champion Replica, un modello da collezione prodotto in 293 esemplari numerati e firmati in originale sulla cover serbatoio da Marc Marquéz. Celebra il settimo titolo conquistato nella massima categoria dello spagnolo ed ha una livrea ispirata a quella della moto con cui ha centrato il successo. Rispetto alla versione di serie ha una dotazione tecnica di livello ancora più elevato ed un peso ancora minore.
Tra le sue particolarità il silenziatore omologato AkrapoviÄ che ha ridotto il peso di 2,5 kg ed ha portato la potenza massima a 218,5 CV con una diversa calibratura del motore. Su questa versione speciale della Panigale V4 sono stati adottati i Corner Sidepods, gli elementi aerodinamici che generano un effetto suolo agli angoli di piega più accentuati garantendo un maggiore grip agli pneumatici, mentre i cerchi in fibra di carbonio a cinque razze sono più leggeri di 0,950 kg rispetto a quelli forgiati della Panigale V4 S con vantaggi anche nella riduzione del momento di inerzia.
Ii Corner Sidepods sono elementi aerodinamici che generano un effetto suolo agli angoli di piega più accentuati garantendo un maggiore grip agli pneumatici
Un’altra chicca è l’impianto frenante anteriore Front Brake Pro+, composto da due dischi Brembo T-Drive alettati di 338,5 mm Ø e 6,2 mm di spessore, e pinze GP4 Sport Production ricavate dal pieno e dotate di alettatura di raffreddamento, simili a quelle usate nel mondiale Superbike, con pompa freno anteriore MCS 19.21 con registro remoto.
La frizione a secco è un'opera d'arte
Completano la parure la frizione a secco, le pedane regolabili in alluminio ricavate dal pieno e il modulo GPS. Per chi vorrà scendere in pista ci sono anche il tappo serbatoio Racing in alluminio ricavato dal pieno, i convogliatori pinze freno, il coperchio frizione aperto in fibra di carbonio e il kit per la rimozione del portatarga, forniti a corredo. Tocchi di finezza, la sella in alcantara, il plexiglass racing e l’animazione dedicata del cruscotto all’accensione. Sulla piastra di sterzo sono riportati il nome del modello e il numero dell’esemplare, riportato anche sulla chiave di contatto. Fanno parte del pacchetto la cassa di legno personalizzata in cui la moto verrà consegnata, il certificato di autenticità , il telo coprimoto dedicato e l’opportunità di incontrare Marqueze e farsi scattare una foto con lui durante una tappa del campionato MotoGP 2026 o in occasione del World Ducati Week 2026.
Un nuovo brevetto di Kawasaki mostra una disposizione della batteria in posizione più favorevole per il raffreddamento: i disegni che lo accompagnano mostrano un progetto che potrebbe essere quello di uno scooter
Di motorizzazioni ibride si parla tanto, nel settore auto sono ormai diffuse e in quello delle due ruote ci si sta lavorando parecchio. Qui però sorgono problemi diversi, perché in una motocicletta lo spazio a disposizione per due gruppi propulsori completi è piuttosto risicato: non è semplice alloggiare sia il motore endotermico con i gruppi di aspirazione e scarico e il serbatoio del carburante, sia il motore elettrico con le voluminose batterie, in entrambi i casi insieme alle varie centraline dell’elettronica e ai sistemi di raffreddamento. Diventa necessario aumentare il volume e le dimensioni delle motociclette.
Però diverse aziende, Yamaha in particolare, stanno lavorando a progetti del genere e Kawasaki ha già in produzione la Ninja 7 Hybrid e la Z7 Hybrid. Qui il serbatoio del carburante è in posizione convenzionale e tutta l’elettronica è alloggiata nello spazio tra la trasmissione e sotto la sella, ma la Casa di Akashi sta studiando disposizioni diverse per modelli differenti. Lo scorso anno aveva depositato brevetti in cui comparivano una Eliminator Hybrid e una Versys Hybrid con le batterie nel posto in cui normalmente viene sistemato il serbatoio del carburante, sopra il motore, ma sagomato in modo da riempire gli spazi vuoti a fianco del motore stesso, e nella Versys con una conformazione che si spingeva fin sotto il manubrio collegandosi al cupolino.
Ora è stato depositato un nuovo brevetto per una disposizione della batteria in posizione più favorevole per il raffreddamento: i disegni che lo accompagnano mostrano un telaio a traliccio nel quale il cannotto di sterzo si spinge più avanti del consueto, mentre il radiatore del liquido di raffreddamento è posizionato più in basso del solito. Nello spazio che si crea viene inserito il pacco batterie, investito da un flusso d’aria decisamente maggiore di quanto non avvenisse sotto la sella. Questo permetterebbe di impiegare senza surriscaldamento per un tempo molto maggiore la funzione E-Boost presente sulle Z7 e Ninja 7 Hybrid, che consente di spingere al massimo contemporaneamente sia il motore elettrico che quello termico. Di contro, portare avanti il cannotto di sterzo significa allungare l’interasse; ma soprattutto un peso notevole come quello delle batterie, situato in una posizione del genere, rischia di rendere lo sterzo pesante e la moto poco maneggevole.
In questo brevetto il pacco batteria è vicino al cannotto di sterzo
Nel brevetto depositato il serbatoio è spostato nello spazio rimasto libero sotto la sella, e si fa riferimento specifico a pedane che corrono lungo i lati del motore e si estendono fino al perno del forcellone: fa pensare ad uno scooter anche se il disegno sembra quello di una moto. Il serbatoio è sagomato in modo da poter ospitare un casco, e anche questa è una scelta da scooter. Non è la categoria di veicoli più cara alla Kawasaki, che non ne ha quasi mai prodotti limitandosi ad un’uscita con scooter da Kymco leggermente rivisitati sul piano estetico; ma i tempi cambiano e un veicolo utilitario in grado di percorrere un certo chilometraggio in “solo elettrico†potrebbe incontrare grosso successo tra i pendolari di lungo corso che devono accedere ai centri storici.
Per tutti è il padre della Vespa, simbolo di un’Italia che riparte e si rimette in movimento. Ma prima, e forse soprattutto, Corradino D’Ascanio fu un uomo del cielo, ingegnere del volo e pioniere dell’elicottero. La sua è la storia di un successo planetario che coincide, paradossalmente, con l’obbligata rinuncia alla più intima vocazione
Prima che lo scooter per antonomasia ne fissasse per sempre il nome nell’immaginario collettivo, Corradino D’Ascanio fu soprattutto altro. Fu ingegnere aeronautico in senso pieno, progettista visionario, uomo del volo prima ancora che dell’industria, cresciuto in un’epoca in cui l’ingegneria non conosceva compartimenti stagni e in cui l’invenzione nasceva spesso da un’ossessione personale più che da una commessa. La sua storia, letta da questa prospettiva, restituisce il profilo di un tecnico inquieto, continuamente proiettato in avanti e solo in parte riconciliato con il successo che arriverà , paradossalmente, dal progetto che meno sentiva suo…
D’Ascanio nasce a Popoli, in Abruzzo, nel 1891. Qui, ancora bambino, sviluppa una fascinazione per il volo, alimentata dall’osservazione degli uccelli e dalla lettura delle intuizioni leonardesche sulle macchine volanti. Quando nel 1903 la notizia del primo volo dei fratelli Wright arriva anche in Italia, la fantasia del giovane Corradino s’infiamma. È un ragazzino curioso: osserva, misura, annota. Studia il modo in cui i volatili planano, il rapporto tra peso e apertura alare, il ruolo delle correnti ascensionali. Alla maniera leonardesca, integra l’osservazione empirica con lo studio anatomico, analizzando ali e ossature degli uccelli che il padre, cacciatore, porta a casa. Nel 1906, a soli quindici anni, costruisce un deltaplano artigianale, probabilmente il primo in Abruzzo e tra i primi in Italia. Usa stecche di legno e lenzuola sottratte di nascosto al letto materno, poi si lancia da un colle sopra Popoli e riesce a staccarsi da terra per alcuni metri. Non è un gioco, ma il primo atto concreto di una vocazione.
E così, dopo il diploma all’Istituto tecnico di Chieti, D’Ascanio si laurea in ingegneria industriale al Politecnico di Torino nel 1914. Allo scoppio della Prima guerra mondiale viene arruolato e assegnato al Battaglione Aviatori, dove mette immediatamente in campo il proprio ingegno. Per l’Esercito sviluppa una serie di dispositivi destinati a lasciare un segno duraturo: un sistema radio installato su aeroplano per le comunicazioni tra pilota e terra, un meccanismo che consente al pilota di lasciare temporaneamente i comandi senza perdere la rotta (un embrione di pilota automatico, potremmo dire) e strumenti per indicare l’inclinazione del velivolo, tra cui il clinometro universale, ceduto poi alla FIAT nonché antesignano dello “sbandometro†moderno.
Conclusa la guerra, D’Ascanio vive una breve - ma deludente- parentesi americana, durante la quale cercò di inserirsi nell’industria aeronautica commerciale collaborando, tra gli altri, con il progettista Ugo Veniero D’Annunzio, figlio di Gabriele, al Technical Bureau of Construction della Caproni Aeroplanes di Detroit. Tornato in Italia, apre uno studio di ingegneria civile e industriale a Popoli, dove dà sfogo a tutta la sua creatività in una serie di progetti che, da soli, rivelano la capacità di osservazione e la precisione che caratterizzeranno ogni sua invenzione. Nascono così il forno elettrico per la cottura di pane e dolci, ideato nel 1921 e antesignano dei più moderni forni regolabili, ed il sistema elettropneumatico per la ricerca di documenti, descrivibile come una sorta di antenato dei motori di ricerca moderni (digitando una parola chiave su una tastiera, il meccanismo permetteva di localizzare automaticamente la scheda corrispondente tra montagne di faldoni e archivi cartacei). Non mancano le invenzioni più curiose e pratiche: un segnalatore di eccesso di velocità per veicoli, precursore degli odierni autovelox, e dispositivi meccanici e ottici destinati a migliorare la sicurezza e la precisione nelle officine aeronautiche. Invenzioni “minori†che non gli procurano la fama mondiale, ma gli garantiscono la sopravvivenza economica e la possibilità di continuare a sperimentare.
Il volo resta però il suo vero orizzonte. Nel 1925, insieme al barone Camillo Trojani, avvia lo sviluppo di un’innovativa macchina volante. L’obiettivo è ambizioso: realizzare un velivolo a decollo verticale, dotato di stabilità automatica e capace di sollevare uomini e carichi senza bisogno di piste. I primi prototipi, il D’AT1 e il D’AT2, (D’Ascanio - Trojani) permettono a Corradino di sviluppare ed affinare rivoluzionarie soluzioni ingegneristiche come l’elica a passo variabile. Proprio quest’ultima, oltre a rappresentare un’innovazione fondamentale per il progetto dell’elicottero, attira l’attenzione della Piaggio, che ne riconosce subito il potenziale tecnico. Nel 1932 l’ingegnere viene quindi chiamato a collaborare come consulente tecnico e capo dell’Ufficio Eliche nello stabilimento di Pontedera. Poco più tardi, nel 1930, il D’AT3 si solleva in aria all’aeroporto di Ciampino e conquista tre primati internazionali: durata del volo (8 minuti e 45 secondi), distanza percorsa (1.078 metri) e altezza raggiunta (18 metri).
Nonostante l’innovazione, in Italia “l’elicottero†resta confinato a prototipi sperimentali: le autorità non rinnovano i finanziamenti e la produzione industriale non decolla. All’estero, invece, l’idea non passa inosservata: negli Stati Uniti Igor Sikorsky studia i principi sviluppati da D’Ascanio e, nel 1939, realizza il suo VS-300, dando vita alla prima produzione seriale di elicotteri (e pubblicamente anni dopo riconobbe l'importanza delle idee di D'Ascanio).
Scoppia, nel frattempo, la Seconda guerra mondiale e Piaggio si concentra sulla produzione bellica progettando e costruendo motori e componenti per aerei militari e velivoli da trasporto. Dall’alto della sua esperienza, D’Ascanio continua a fornire consulenza tecnica all’azienda per lo sviluppo, in particolare, di eliche a passo variabile. Pur dovendosi concentrare sulle esigenze di guerra, D’Ascanio, che manteneva viva la passione per il volo verticale ed il “suo†elicottero, lavora discretamente su progetti “propri†sfruttando i ritagli di tempo tra una consulenza e l’altra. Gli ingenti danni provocati agli stabilimenti di Pisa e Pontedera dai bombardamenti Alleati del 1943 compromettono però ogni lavoro e la produzione e lo sviluppo di nuovi prototipi aeronautici si interrompono bruscamente.
Finita la guerra, Piaggio si trova di fronte alla necessità di riconvertire la produzione dagli impianti bellici a quella civile. Non viene però escluso “ritorno†allo sviluppo aeronautico. D’Ascanio è la persona giusta: riprende i mano i progetti mai abbandonati e, partendo dal D’AT3, sviluppa nuovi brevetti e realizza nuovi prototipi. Il sogno sembra ormai a portata di mano ma, come già successo con lo scoppio della guerra prima e con i bombardamenti alleati poi, una nuova tragedia l’interrompe bruscamente, questa volta per sempre. Durante una prova di volo, un prototipo di elicottero si schianta rovinosamente a terra, causando la morte del collaudatore, padre di famiglia. L’evento, oltre a mettere in evidenza i rischi ancora elevati della sperimentazione aeronautica in quegli anni, si rivela un drammatico colpo emotivo per Enrico Piaggio che, rimasto fortemente scioccato dalla tragedia, decide di abbandonare definitivamente lo sviluppo degli elicotteri. È un brutto colpo anche per D’Ascanio, un evento che segna la fine della sua più grande ambizione. Il suo progetto di elicottero, che avrebbe potuto portare l’Italia in prima fila nella storia dell’aviazione, resta fermo tra ricordi e prototipi distrutti.
Rimasto in azienda perché legato da un rapporto di fiducia e da anni di collaborazione, a D’Ascanio viene affidato un incarico completamente diverso: progettare un veicolo a due ruote economico, pratico e accessibile, pensato per un’Italia appena uscita dalla guerra, in cui la mobilità civile diventa una priorità . Superfluo, qui, dilungarsi sulla genialità della Vespa e sull’incredibile successo riscosso a livello planetario dallo scooter di Pontedera. Una magra consolazione: “A me, la Vespa mi ha punto!â€, amava ripetere D’Ascanio sottolineando il paradosso della propria vita. La Vespa gli regala notorietà e fama mondiale, ma diventa anche un pesante fardello che lo ancora a terra, così distante dalla sua vera e più intima vocazione: librarsi nell’aria. Una vocazione inseguita fino all'ultimo: il suo ultimo progetto, firmato nel 1964 all'età di 73 anni, fu non a caso un aliante per l'addestramento dei piloti di elicotteri realizzato su commessa dell'Augusta SpA.
Guardando alla storia da un’altra prospettiva: Le 5 idee geniali che hanno reso unica la Vespa
Grazie all’intervento indiano KTM è oggi salva, ma la ristrutturazione del marchio austriaco non è solo industriale: è economica, sociale e politica. E riguarda un intero territorio che ora vive “sospesoâ€"
A Mattighofen, cittadina dell’Alta Austria da circa 8.000 abitanti, la crisi di KTM non si misura solo in bilanci aziendali o piani di ristrutturazione, ma anche e soprattutto nei costi che salgono e negli indotti che scendono. Il Comune non è formalmente in dissesto, ma dopo anni di relativa tranquillità finanziaria, oggi ogni voce di spesa viene sopesata con attenzione. “Ci manca circa un milione di euro nel bilancio, dobbiamo stringere la cinghiaâ€, ha ammesso il sindaco Daniel Lang. Una cifra che coincide quasi perfettamente con quanto Mattighofen ha perso, su base annua, in entrate fiscali legate a KTM. D’altra parte, il benessere della città austriaca corre ormai da anni parallelo a quello di KTM: quando l’azienda funziona, Mattighofen prospera. E viceversa. La crisi del marchio s’è in un attimo riflessa sui cittadini: meno occupazione, meno commesse per le aziende dell’indotto, famiglie che si trasferiscono altrove, nuovi cantieri che non partono. Solo il taglio del personale ha comportato una riduzione di circa un milione di euro all’anno di gettito dalla Kommunalsteuer, cioè l’imposta comunale austriaca che grava sui datori di lavoro, nonché una delle principali fonti di entrata per il Comune. A questo si aggiungono gli effetti indiretti, tra fornitori locali che perdono contratti e abitazioni rimaste invendute. Certo, la ristrutturazione è sempre e comunque meglio della liquidazione paventata nei momenti più bui della crisi, ma il tunnel è ancora lungo.
Subentrato a Stefan Pierer, uscito prima dalla gestione e poi dalla governance, Gottfried Neumeister ha un obiettivo chiaro: riportare KTM in utile entro il 2027. Come? Il primo nodo è lo smaltimento dei magazzini, all’interno dei quali rimangono ancora tantissimi modelli invenduti. Oggi lo stabilimento lavora su un solo turno, producendo meno di quanto vende. Entro fine anno, le stime riportate dal settimanale austriaco Profil parlano di 110.000 moto da smaltire, di cui 70.000 presso i concessionari e 40.000 dai depositi interni. Un processo che, secondo Neumeister, sta avanzando più rapidamente del previsto. Il vero problema resta però quello industriale. Già oggi circa 120.000 moto di piccola cilindrata vengono prodotte in India. In Austria restano i modelli di fascia medio-alta, l’offroad e i prodotti a maggiore valore aggiunto, sotto l’etichetta “Made in Austriaâ€. Ma la pressione sui costi è fortissima e Bajaj non lo ha mai nascosto, anzi, lo ha in più occasioni sottolineato: un cambio prodotto in India costa il 78% in meno rispetto all’Alta Austria, faceva notare pochi giorni fa Rajiv Bajaj, lo stesso che qualche settimana prima aveva anche detto che “la produzione europea è mortaâ€. Parole che non lasciano ben sperare, insomma.
Nel frattempo, KTM sta per forza di cose riducendo il perimetro di attività : ceduto il business delle biciclette (che secondo le stime avrebbe generato perdite per circa 400 milioni di euro), uscita dalla partecipazione in MV Agusta e venduta la KTM Sportcar a investitori belgi, sembrerebbe aver cambiato registro. “Non vogliamo essere i più grandi, ma i miglioriâ€, ha detto Neumeister. “Non siamo ancora perduti - ripete - ma dobbiamo davvero rimetterci in rigaâ€.
La quarta stagione della “Busa†non porta stravolgimenti veri propri ma introduce nuovi aggiornamenti, a partire dall’elettronica gestita dalla piattaforma inerziale a sei assi
Con il 2026 la Suzuki Hayabusa arriverà alla quarta generazione, il livello estremo di una supersportiva circondata da un alone leggendario. Era nata nel 1999 con l’obiettivo di diventare la motocicletta di serie più veloce del mondo, tuttora caratterizzata da uno tra i migliori coefficienti di resistenza aerodinamica mai misurati su una moto di serie; nel 2008 la seconda generazione, con cilindrata maggiorata e diversi aggiornamenti tecnici ed elettronici; nel 2021 la terza con profondi interventi su motore, ciclistica e aerodinamica, e l’adozione di un pacchetto elettronico di ultima generazione.
Ora il quarto passo che non porta stravolgimenti veri propri ma introduce nuovi aggiornamenti, a partire dall’elettronica gestita dalla piattaforma inerziale a sei assi. Il Suzuki Drive Mode Selector Alpha (SDMS-α) offre tre modalità di guida predefinite ed altre tre personalizzabili, e ognuna di esse varia automaticamente la logica di intervento del controllo di trazione (10 livelli con possibilità di disattivarlo), della gestione della potenza (3 livelli, modificati in questa versione 2026 con un miglioramento della spinta ai bassi regimi), Quickshift (2 livelli con possibilità di disattivarlo), anti impennata (10 livelli con possibilità di disattivarlo) e controllo del freno motore (3 livelli con possibilità di disattivarlo).
Il pacchetto elettronico comprende anche il limitatore di velocità che permette di impostare il limite evitando di superarlo per distrazione, il Cruise Control che nella nuova versione rimane attivo anche durante i cambi di marcia, il Launch Control a 3 livelli ora modificato nei settaggi, la segnalazione delle frenate di emergenza, l’ABS Cornering, il sistema che controlla le discese in base alla pendenza e quello per le partenze in salita.
Nessun intervento sul motore che già conosciamo, un quattro cilindri in linea di 1340 cm³ per il quale vengono dichiarate una potenza di 140 kW (190 CV) a 9700 giri/minuto e una coppia di 150 Nm a 7000 giri/minuto, così come non è stata modificata la ciclistica. Dunque anche la Hayabusa 2026 è costruita intorno a un telaio a doppia trave in alluminio con forcellone pure in alluminio, realizzati con elementi estrusi ed altri ottenuti per fusione. Le sospensioni sono di produzione KYB, forcella a steli rovesciati di 43 mm Ø e un unico ammortizzatore, mentre l’impianto frenante di questa versione MY2026 è dotato di sistema di frenata integrale Combined Brake System e all’anteriore sfoggia dischi di 320 mm Ø con pinze Brembo Stylema a quattro pistoncini.
Le modifiche non sono solo tecniche: verranno introdotte le nuove livree Nero Memphis, Grigio Pittsburgh e Blu Rodi e una nuova batteria Eliiy Power agli ioni di litio: più leggera ed efficiente.
Ci sarà anche una Special Edition (qui sotto) aratterizzata da carrozzeria e cerchi blu con finiture e accenti bianchi, emblema Suzuki 3D, stemma speciale resinato sul serbatoio, i terminali di scarico e paracalore con finitura anodizzata.
La Special Edition ha dettagli e livrea più ricercati
Ancora da definire la data di arrivo presso i concessionari mentre i prezzi sono già stati stabiliti: 19.990 € f.c. per la versione standard e 20.490 € f.c. per la Special Edition Blu Montreal.