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#motociclismo #news #insella.it
Uno studio svedese sentenzia: una distanza casa - ufficio superiore ai 3 km può avere effetti negativi sulla salute: più stress, più sovrappeso e meno sonno. Se però al lavoro ci andassero in moto…
Loro, nei Paesi del Nord, se la passano piuttosto bene: welfare “generosoâ€, stipendi da farci girare la testa e… non solo! Per inquadrare lo “standardâ€, basti pensare che, secondo una recente ricerca svedese, superare i 3 km di distanza tra casa e ufficio può avere effetti negativi sulla salute: più chilometri, più stress, più sovrappeso e meno sonno. Vadano a dirlo a chi ogni giorno si fa 2 ore tra autostrada, tangenziali, bretelle e raccordi, direbbe qualcuno… Ma torniamo alla ricerca.
Basato sui dati della Swedish Longitudinal Survey of Health raccolti tra il 2012 e il 2018, lo studio ha analizzato le abitudini di circa 13.000 uomini e donne tra i 16 e i 64 anni: stile di vita, attività fisica, consumo di alcol e fumo, tipo di lavoro, eventuale stress o malattie croniche. Il risultato? Chi percorre più di tre chilometri per arrivare al lavoro è più a rischio di sovrappeso, stress e insonnia. E (forse non serviva una squadra di ricercatori per dirlo) se si lavora più di 40 ore a settimana viaggiando oltre cinque ore in totale tra andata e ritorno, i rischi aumentano ulteriormente. La ragione principale sembra piuttosto semplice: più stress meno tempo per fare sport. Al contrario, chi vive a meno di tre chilometri dall’ufficio riesce ad essere più attivo, magari andando a piedi o in bicicletta, oppure ha più tempo libero per un’attività fisica vera.
Possiamo solo prenderne nota. Peccato però che i nostri amici nordici, pur con tutti questi vantaggi, siano frenati dal meteo e dalle notti artiche, che li costringono a tenere ferma la moto per gran parte dell’anno. Se solo potessero usarla un po’ di più, forse, scoprirebbero quanto possa essere pratica per affrontare il pendolarismo senza stress, con trasferimenti più rapidi e, certamente, anche più divertenti se sono oltre 3 km…
La 125 a due tempi della casa di Noale è una delle ottavo di litro a miscela più diffuse e amate tra gli appassionati, ecco qualche segreto per migliorarne le prestazioni
I motori a 2 tempi sono ancora vivi, vivi nel cuore e nella testa di tantissimi appassionati. Moto e scooter a miscela, 50 o 125 che sia, sono ancora molto ricercati da giovani e grandi, e lo confermano anche i numeri dei servizi sulla preparazioni del "2 stroke" che vi abbiamo portato sui nostri canali social e su Youtube. Vi sono piaciuti e allora vi riproponiamo il tema anche qui sul nostro sito, dove vi diamo qualche consiglio per far andar forte la vostrs RS a due tempi, ancora meglio se è un'Aprilia RS125, che chi scrive conosce molto bene!

Iniziamo con i classici lavoretti da "poca spesa ma tanta resa" e il filtro aria è la prima cosa da cambiare. Per migliorare le prestazioni, il motore ha bisogno di respirare più aria, quindi va montato un filtro con una trama meno fitta dell'originale. Sconsiglio di montare filtri a cono o semplici retine, che non si adattano alle turbolenze di aria sotto al codino. Mantenete la cassa filtro e, se avete un po' di manualità con il dremel, si possono allargare i condotti di di aspirazione dell'airbox, spesso sviluppati per limitare la potenza a 15 CV, valore imposto per legge per i 125 dal '97 in su. Attenzione però: aumentare la quantità di aria nella miscela, significa smagrire la carburazione, andando incontro a possibili grippaggi. È quindi fondamentale lavorare in parallelo sul getto del massimo del carburatore, aumentandolo di qualche punto per ripristinare il corretto rapporto stechiometrico.

Lo scarico di serie, anche se "sbloccato", ha performance limitate, d'altronde è stato studiato per un utilizzo stradale e potenze ridotte. Ci sono tantissimi marchi italiani che producono espasioni per i motori a 2 tempi: a seconda del brand e delle conicità dei componenti ci sono scarichi che vi permettono di personalizzare l'erogazione ma anche l'estetica della vostra moto. Oltre ad un sound spettacolare, noterete un notevole aumento di prestazioni solo montanto lo scarico nuovo (e con una controllata alla carburazione). Sulla RS 125, però, è fondamentale montare anche il kit della valvola di scarico, infatti la versione originale e depotenziata a 11 kW ha un blocco che limita l'apertura della luce di scarico.

Le più diffuse sono le valvole rave, con la forma a ghigliottina, a controllo elettronico: il kit comprende un solenoide, un cavo, la valvola con il suo cappuccio e una centralina aggiuntiva che ne definisce l'apertura (più diffusa la 7800, più rara e usata nel racing la 8400). La versione a gestione elettronica garantisce una spinta immediata ed esplosiva, in quanto la valvola o è sempre chiusa o sempre aperta al range indicato dal modello della centralina. Esistono anche però valvole pneumatiche che, oltre a permettere di regolare il numero di giri dell'apertura, garantiscono una un'erogazione molto più lineare dai medi fino agli alti, motivo per cui è preferita da chi usa queste piccole sportive principalmente su strada.

Ancora non abbiamo toccato il motore, ma ci arriviamo. Prima di smontare testa, cilindro e pistone ci vuole un bel carburatore. Praticamente tutte le 125 moderne uscivano di serie con il 28 (cioè il diametro del diffusore), misura un po' limitata ma usata anche in Sport Production, quindi da non sottovalutare. A prescindere dalle dimensioni, si consiglia la sostituzione del carburatore dei modelli Euro3: dal 2006 in poi, infatti, la RS 125 montava un modello a controllo elettronico che limita notevolmente le prestazioni in caso di elaborazioni. Si può comunque fare un bello step in avanti montando un VHSB 34 LD, ottimo compromesso tra stabilità della carburazione e prestazioni. Non dimenticatevi infatti che aumentare a dismisura le dimensioni del carburatore (39, 40, 41... e così via) porta sì ad un aumento delle performance, ma la carburazione diventa più sensibile alle condizioni ambientali. Traduzione, se la carburazione non è ottimale il motore sarà scorbutico, la potenza cala e rischiate di bruciare numerose candele, o ancora peggio, di grippare rovinosamente.

E a proposito di candele, potrebbe essere arrivato il momento di investire su modelli più racing, che hanno comunque costi contenuti, 10-15 euro, a tutto vantaggio della salute del motore. Infine puntiamo il dito sul miscelatore, tanto comodo quanto "inutile": in molti lo tolgono per paura di essere traditi da un malfunzionamento, ma la sua rimozione è molto utile anche per guadagnare cavalli e ridurre il peso. Infatti il sistema è azionato meccanicamente dal motore quindi, anche se piccolo, genera un assorbimento di potenza in più. Inoltre, il blocco miscelatore è composto da ingombranti componenti (come il serbatoio dell'olio) che possono far risparmiare chilogrammi importanti.

La cosa più facile, ma più costosa, che si può fare è investire su un kit a cilindrata maggiorata e ci sono svariati produttori che hanno a catalogo gruppi termici dai 144 ai 160 cm3. In questa configurazione l'Aprilia RS 125 può raggiungere tranquillamente i 37 CV senza compremettere troppo l'affidabilità . Se però vi piace mettere mano al vostro motore rimanendo sulla cilindrata originale, potete sperimentare su più fronti montando un pistone monofascia (che riduce gli attriti ma va sostituito più in fretta) oppure giocando con le fasature, lo squish e il rapporto di compressione. Vi abbiamo dato tanti consigli nei nostri video su YouTube (a fine articolo trovare i link relativi), ma lo ripetiamo anche qui: su moto stradali meglio non scendere sotto 1 mm per lo squish e non superare il 12,5:1 per il rapporto di compressione.

Chiude il pacchetto un bel kit trasmissione passo 415. L'Aprilia RS125 monta una catena 520, più duratura sicuramente ma anche più grossa e pesante. Se vi divertite tra i cordoli e avete quindi anche l'esigenza di cambiare rapportatura a seconda del circuito, la catena 415 è si più delicata ma anche molto più leggera e scorrevole. Solo sostituendo il set catena, corona e pignone la moto può guadagnare facilmente 1-2 CV alla ruota... e allora perché non farlo anche su strada?!
La Casa di Mandello a Milano ha portato solo nuove livree... Resta la domanda: perché non osare un po' di più? Ecco una buona idea per il futuro
L’attesa per EICMA è, per tradizione, legata alle grandi sorprese e ai prototipi inattesi, specie da parte di marchi che hanno fatto la storia. Moto Guzzi pero, in occasione dell'edizione 2025, ha scelto una strategia parecchio conservativa, proponendo per il 2026 solo aggiornamenti di livree per i modelli già a listino.
Se da un lato è innegabile l'efficacia di riproporre le icone del marchio con nuove colorazioni (come il Rosso Monza sulla V7 Sport o il Blu Zefiro sulla V85 TT Travel), dall'altro gli appassionati hanno avvertito la mancanza di un modello inedito o di un esercizio di stile che facesse sognare un po'. Non è necessario stravolgere intere piattaforme o investire in motorizzazioni completamente nuove per stimolare l’interesse. A volte, un’operazione mirata sul design e sulle sovrastrutture può fare la differenza.

La V7 Sport per il 2026 sarà disponibile anche in Rosso Monza. Bellissima... ma anche la nostra V7 Monza non è male...
La casa di Mandello del Lario possiede nel proprio DNA un patrimonio stilistico ineguagliabile e un motore bicilindrico trasversale che si presta in modo naturale a interpretazioni diverse. E proprio su questa base tecnica ci piacerebbe vedere qualcosa di nuovo.
Che la gente voglia di più e che a volte basta solo un po' di ingegno per accontentarla, lo sa bene Oberdan Bezzi in arte Obiboi, che in tempi non sospetti ha provato a immaginare come sarebbe potuta essere una V7 con semicarene destinata alla produzione. Prendendo come base la storica e intramontabile V7, bastano interventi relativamente contenuti: l'adozione di una semicarena avvolgente, che incornici il faro anteriore circolare, un puntale ridotto e un serbatoio con un profilo allungato, che si raccordi in modo organico con la sella monoposto o biposto dal taglio sportivo. Noi abbiamo preso il disegno di Bezzi e lo abbiamo "calato" nello stand di un salone. L'esemplare immaginato, con il suo rosso acceso e lo scarico dal profilo lineare, pur mantenendo l'inconfondibile bicilindrico trasversale e la trasmissione a cardano, si allontanerebbe dal concetto Modern Classic per abbracciare pienamente quello della Sport Classic più pura. Non si tratterebbe di una rivoluzione tecnica, ma di una rivoluzione estetica, capace di offrire una moto dal sapore forte, grintosa e con una personalità che, purtroppo, è mancata tra le novità di prodotto di quest'anno.
La WalzWerk X-Plorer riporta in strada il fascino delle GS anni Ottanta, fondendo artigianalità , componenti di qualità e un lavoro di fino su ogni dettaglio
Da 35 anni WalzWerk è uno dei nomi più prolifici del custom europeo, con oltre 1.000 realizzazioni all’attivo e una lunga tradizione di boxer BMW, soprattutto grazie alla serie Schizzo. Con la X-Plorer di cui vi parliamo ora però, il laboratorio fondato da Marcus Walz entra in un terreno diverso, quello cioè delle enduro neo-retro su base BMW R100GS. Un progetto nato per assecondare i clienti che desideravano una moto capace di evocare le regine della Parigi-Dakar degli anni Ottanta, ma aggiornata nelle parti tecniche per risultare utilizzabile e affidabile ogni giorno.
WalzWerk ha scelto la R100GS per un motivo semplice: è la “vecchia GS più giovane†disponibile, prodotta tra 1987 e 1994, con vantaggi tecnici importanti rispetto alla R80G/S. Il motore ad esempio è più potente e il Paralever posteriore ben più efficace sul piano dinamico. La X-Plorer è proposta in due configurazioni: Rally (qui sotto un rendering per vedere come è fatta), con frontale più compatto e cupolino ridotto e Raid (quella in foto) con impostazione più “da viaggioâ€, carenatura originale, serbatoio da 26 litri e protezioni tubolari. Da qui, entrambe vengono completate con una lunga lista di componenti proprietari WalzWerk.

Il boxer da 980 cm3 è stato smontato completamente e ricostruito con cilindri, pistoni e teste nuovi ed abbinato ad uno scarico 2-in-1 ceramico per una potenza di 70 CV (10 in più dell’originale). Rifatti anche cambio e trasmissione finale, mentre la frizione è ora una Sachs sport rinforzata. Il telaio è stato invece rinforzato e abbinato al classico subframe WalzWerk, derivato da quello della Schizzo ma qui 80 mm più lungo e 20 più largo per migliorare il comfort. Touratech, partner storico di WalzWerk, ha realizzato un assetto dedicato: forcella rivista a fondo, con cartuccia speciale, molle progressive e 200 mm di escursione e ammortizzatore posteriore dedicato, completamente regolabile, con 180 mm di corsa. Mantenuta invece la ruota anteriore da 21â€, mentre dietro la classica 17†viene sostituita con una versione più larga. In alternativa, si può però richiedere una 18†posteriore, ovviamente a raggi e tubeless.
In quanto a confort, la sella, progettata per i lunghi viaggi, è il doppio per spessore rispetto a quella della Schizzo e adotta un’anima in gel-core. È composta da due elementi, col pad passeggero che può essere rimosso in 10 secondi per fare spazio a un portapacchi. Il tutto per un peso di soli 188 kg in ordine di marcia, oltre 20% in meno rispetto all’originale.

Il frontale abbandona il faro quadrato della R100GS per una configurazione più rally: doppio faro, fendinebbia PIAA montati sulle barre paramotore e frecce LED su supporti in gomma. Dietro al cupolino fumé si trova un cockpit, essenziale ma curatissimo: plancia in alluminio su misura, contachilometri Daytona con contagiri integrato, blocchetto chiave, pulsanti ben etichettati, supporto Quad Lock con smorzatore di vibrazioni e ricarica wireless e, sul manubrio, manopole Biltwell, leve freno/frizione Synto e blocchetti elettrici WalzWerk in alluminio. Il tutto completato da una bellissima livrea che richiama le storiche colorazioni GS, quindi telaio blu genziana, gruppo motore e trasmissione in nero.
Come accennato, la serie X-Plorer è realizzata solo su commissione: 28.990 euro per la versione Rally e 29.990 euro per la Raid. Cifre superiori a quelle di una BMW R1300GS Adventure di serie, vero, ma al cuore non si comanda e qui, basta un’occhiata per accorgersene, siamo davanti a una moto completamente ricostruita a mano…
I tecnici della Red Bull hanno lavorato a soluzioni innovative per migliorare la RC16, con una carena diversa dalla concorrenza: basterà per evitare la fuga del campione spagnolo? Il mercato è ai suoi piedi
Insieme a Fabio Quartararo, Pedro Acosta è il pilota più ambito del prossimo mercato MotoGP. Un po' come per il francese, lo spagnolo è in grado di spostare davvero i valori in campo del motomondiale e non c'è casa che non lo vorrebbe in squadra per il 2027.
KTM in questo senso non ha molte possibilità di trattenerlo: le trattative in corso con CFMoto per il passaggio della divisione racing da Mattighofen ai cinesi sono una realtà che potrebbe concretizzarsi anche nel breve-medio periodo, ma gli effetti su quanto vedremo in pista non arriveranno subito e Pedro Pe ha una discreta fretta di trovare una moto con cui dimostrare il proprio valore.
Acosta considera il 2025 un anno perso: non è arrivata la prima vittoria in MotoGP e le possibilità di lottare per il mondiale non si sono mai palesate. Il suo sguardo ormai è rivolto altrove e KTM non ha molte carte da giocarsi per tenerlo oltre la scadenza del contratto, a fine 2026. “A Sepang voglio una moto di mezzo secondo più veloce†ha spiegato lo squalo di Mazzaron, senza tanti giri di parole.
Mattighofen può puntare solo sulla prestazione e lo sforzo messo in campo già a Valencia in questo senso non è stata poca cosa: le novità in campo aerodinamico sono state ingenti e non hanno risparmiato un centimetro della carena della RC16.
A Valencia, KTM ha portato due carene che sono state messe a confronto da Pedro Acosta e Brad Binder. Nella versione non verniciata, i tecnici austriaci - che collaborano con la Red Bull Racing di F1- hanno implementato le soluzioni più radicali. La parte superiore della RC16 si è allineata alle scelte di tendenza: l’asola si integra con il profilo verticale che chiude il gradino, generando un canale sempre più generoso, ma colpisce soprattutto la parte inferiore. Insiste nella ricerca del massimo carico con una sporgenza molto pronunciata per tutto lo sviluppo della carena stessa, con una soluzione ben diversa dalla concorrenza.
Non c’è traccia del diffusore, ma la nuova carena potrebbe avvolgere questo elemento al suo interno. La copertura della KTM lavora in stretta sinergia con i deviatori di flusso in carbonio che si vedono a coprire parzialmente la ruota anteriore e con il profilo alare che sporge in modo più massiccio dal forcellone. Gli ingegneri hanno messo mano anche al codone e il risultato è una moto che mostra di avere preso una direzione ben precisa, che non si limita a “copiare†la concorrenza di Ducati e Aprilia.
Basterà per convincere Acosta? La risposta non è semplice e come sempre l'ultima parola spetterà al cronometro.
Negli anni 70 poteva piacere una tranquilla stradale monocilindrica derivata da una moto militare? No di certo, ma in Guzzi la pensavano diversamente
Il glorioso Falcone costruito tra il 1950 e il 1967 fu uno dei modelli che meglio rappresentava le idee costruttive di Carlo Guzzi e dell'ing. Carcano: leggerezza, semplicità e affidabilità . Frutto delle esperienze vincenti nel mondiale, divenne presto simbolo dell'Italia capace di rialzarsi dopo il dramma della Seconda Guerra Mondiale e non a caso fu il mezzo in dotazione alle forze dell'ordine italiane, dalla Polizia Stradale ai Carabinieri, dalla Guardia di Finanza all'Esercito fino ai Corazzieri del Presidente della Repubblica. Dopo alcuni tentativi (falliti) di aggiornarlo, nel 1969 venne presentata la nuova generazione che avrebbe dovuto rinverdirne i fasti, ma le cose non andarono così...

Ecco il primo Falcone 500, negli anni 50 era una maxi moto sportiva
Tra la fine degli anni 60 e l'inizio dei 70 le moto giapponesi invasero il nostro mercato, modelli che ebbero un impatto dirompente, grazie a motori addirittura a 4 cilindri (per l'epoca una rivoluzione) potenze elevate, qualità e affidabilità . Poteva avere successo una stradale 500 poco potente e pesante? No di certo, per di più se costretta a portare un nome "pesante" che la costringeva a confrontarsi con il passato. Eppure...
Il Nuovo Falcone fu pensato prima di tutto come mezzo da destinare a militari e forze dell'ordine, per questo doveva essere semplice da mantenere e robusto. Pazienza se a scapito di peso e prestazioni.
Il Nuovo Falcone 500 in versione Militare
Già nel 1970 venne messo in vendita il Nuovo Falcone 500 Militare, che era tale e quale al modello dato in dotazione all'Esercito (non a caso i colori disponibili erano il verde oliva e il blu scuro, a cui si aggiungeva un rosso con parti del serbatoio cromate). Nel frattempo, il marchio di Mandello prepara la versione Civile, che arriva nel '71 con tanto di avviamento elettrico a dinamotore simile a quello del Galletto. In meno di due anni, però, l'interesse del pubblico nei confronti di questa moto cala notevolmente, complici anche le soluzioni tecniche troppo legate al passato e la guidabilità ben lontana dalle giapponesi pluricilindriche che in quegli anni stavano spopolando (avete presente la Honda CB500 Four e la Kawasaki 500 H1 a due tempi...?).
Il motore a cilindro orizzontale è un vero marchio di fabbrica delle vecchie Guzzi
Con il suo telaio rosso Guzzi, il serbatoio sagomato bianco in tinta con parafanghi e fianchetti, e il doppio scarico cromato, il Nuovo Falcone 500 Civile si presenta molto bene. La ciclistica e il motore, invece, erano molto (forse troppo) ancorati alla tradizione e pensati per rendere la guida più facile a chi, come molti soldati, non avevano grande esperienza con le due ruote. Il telaio in acciaio a doppia culla abbracciava un monocilindrico orizzontale, raffreddato ad aria e con distribuzione ad aste e bilancieri. Con una cilindrata di 499 cm3, arrivava ad una potenza di 25,4 CV, confermando una ricchissima coppia ai medi/bassi regimi, grande elasticità e una tonalità di scarico da vera Moto Guzzi (d'altronde questo blocco chiude la saga dei "mono" orizzontali durata oltre 55 anni). Presente anche il grosso volano che ha caratterizzato tanti modelli della casa di Mandello, qui però coperto da un ingombrante carter. Il cambio a quattro marce, invece, aveva una rapportatura molto corta, con una prima quasi trialistica: sul modello Civile vennero solo leggermente allungati i rapporti finali con due denti di corona in meno.
Il Nuovo Falcone è una moto nata da zero e non va considerata un evoluzione del vecchio modello
Nel 1974 Guzzi tenta un rilancio con nuove colori metallizzati, e arriva anche un allestimento Sahara, basato sulla versione Militare, con livrea color sabbia e marmitta più scura. Purtroppo non è abbastanza per smuovere l'interesse degli appassionati, tanto che due soli anni dopo la produzione del Nuovo Falcone 500 si fermò con un totale di 16.000 esemplari di cui 3.000 della versione Civile. Questi numeri, d'altronde, rispecchiano la vera identità di questa moto che era nata prima come moto militare e solo dopo convertita in civile. E le differenze tra le due versioni erano minime, se non prettamente estetiche: serbatoio, sella, cruscotto, faro anteriore, filtro dell'aria e design dei silenziatori. In più il peso era sempre elevato (214 kg), ma non venne fatto niente per diminuirlo o per rendere più brioso il motore. Sulla carta, l'unica nota positiva era l'avviamento elettrico presente solo sul Falcone Civile, che però non era molto affidabile (meno male che c'era la pedivella).
La versione Sahara è arrivata nel 1974 come tentativo di rilancio del modello
Oggi il Nuovo Falcone non è una moto d'epoca abbastanza ricercata, si trovano in vendita molti esemplari (anche ben tenuti) ad un prezzo abbordabile, tra i 3.500 e i 5.000 euro a seconda delle condizioni. Non a nulla a che vedere con il vecchio Falcone che viaggia oltre i 10.000 euro.
Il Nuovo Falcona piace per ciclistica granitica e le prestazioni abbordabili che invogliano ad una guida lenta e tranquilla. Insomma, una moto d'altri tempi ideale per chi è alla ricerca di una storica facile e poco impegnativa.
Il mozzo ruota potrebbe presentare problemi strutturali e così, dopo un'indagine interna condotta a campione, Ducati ha ufficializzato il richiamo per i due modelli spinti dal V4. Ecco gli esemplari coinvolti
Un'indagine interna condotta a campione dalla Casa di Borgo Panigale si è concretizzata lo scorso 10 ottobre nel richiamo pubblicato sul portale di Allerta Rapida della Commissione Europea. Sotto la lente è finito il mozzo ruota posteriore dei modelli Panigale e Streetfighter V4, che su un numero esiguo di esemplari - poco più di una decina al mondo - ha presentato un difetto strutturale che troverebbe alcune concause, tra le quali chilometraggi elevati, coppie di serraggio eccessive o circolazione invernale su strade cosparse di sale.
Modello: Panigale (2018-2024), Streetfighter (2020-2025)
Ducati Panigale V4
Ducati Streetfighter V4
Forbice di produzione: 2018 - 2025
Codice telaio: e3*168/2013*00038 // e3*168/2013*00039 // e49*168/2013*00026 // e49*168/2013*00037 // e49*168/2013*00038 // e49*168/2013*00080 // e49*168/2013*00103 // e5*168/2013*00029 //
e5*168/2013*00066 // e9*168/2013*11506 // e9*168/2013*11507 // e3*168/2013*00045 // e3*168/2013*00046 // e49*168/2013*00042 // e49*168/2013*00081 // e49*168/2013*00104 // e9*168/2013*11552
Codice interno richiamo: 25V570
Difetto segnalato: l'albero della ruota posteriore può perdere la sua integrità strutturale e rompersi, causando la perdita di controllo della motocicletta e aumentando il rischio di incidente.
Cosa capita se ci si mette alla guida di una moto senza la patente corretta? Le multe sono piuttosto salate anche se si è in buona fede
Per andare in moto, o anche solo in motorino, ci vuole la patente, una banalità in teoria, ma in pratica non lo è affatto. Infatti, le norme che stabiliscono cosa si può guidare sono una giungla (qui tutte le informazioni). Così può capitare di mettersi alla guida di una moto con la patente sbagliata senza saperlo. Se capita sono guai, che, ovviamente, diventano ancora più seri se la patente proprio non c’è. Vediamo cosa prevede la legge.
Mettersi alla guida di un 150 con la patente B è il più classico degli errori, ma l’articolo 116 del Codice della strada non fa sconti e prevede multe pesanti. Vediamo quali sono.
- Se si conduce un veicolo che richiede una categoria diversa da quella della patente che si possiede (per esempio si ha la B e ci vuole la A) arriva una multa da 1.001 euro a 4.004 euro.
- Invece esercitarsi alla guida senza essere in possesso del foglio rosa (ricordiamo che per averlo bisogna superare l’esame teorico) “costa†una multa da 422 a 1.697 euro (art. 122).
- Stessa multa da 1.001 euro a 4.004 euro per chi guida veicoli per i quali è richiesta un’abilitazione professionale (come taxi o mototaxi).
- La sanzione (da 410 a 1.643 euro) scatta anche per chi, avendo la materiale disponibilità di un veicolo, lo affida o ne consente la guida a persona che non abbia conseguito la corrispondente patente di guida, o altra abilitazione se prescritta.
Multe ben più pesanti per chi guida senza patente. L’infrazione è stata depenalizzata (D.Lgs. n. 8/2016, entrato in vigore il 06 febbraio 2016), ma al contempo si è provveduto ad elevare l’entità della sanzione, anche se resta soltanto amministrativa: si va da 5.000 a 30.000 euro, ma ci sono degli sconti:
-se si paga entro 60 giorni dalla notifica del verbale, l’importo scende al minimo ed se si chiude la questione in 5 giorni si ha uno sconto del 30% (tranne nelle ipotesi in cui c’è sospensione patente o confisca veicolo). Quindi i “senza patente†se la possono cavare con 3.500 euro, ma oltre alla multa c'è anche il fermo amministrativo del veicolo per tre mesi. Ovviamente prima di disporre il fermo l’agente incaricato alla riscossione notificherà una cartella esattoriale e, trascorsi 60 giorni da questa, l’importo verrà iscritto al ruolo e, solo in seguito a tali adempimenti, e previa comunicazione al debitore, verrà eseguito il fermo del veicolo.
Se poi si ripete l’infrazione entro due anni, l’illecito diventa penale: la recidiva è quindi considerata “reatoâ€, ed è punita con l'arresto fino ad un anno di reclusione e la confisca amministrativa del veicolo che, in seguito, verrà messo all’asta.
Se invece abbiamo la patente del tipo giusto ma ce la dimentichiamo a casa l’articolo 180 del Codice della Strada prevede l’obbligo di portarla nella caserma delle Forze dell’ordine che hanno accertato l’infrazione e per questa dimenticanza la sanzione sarà da un minimo di 42 euro ad un massimo di 173 euro; nel caso si tratti di ciclomotore la sanzione sarà invece da 26 euro a 102 euro.
Se però ci si “dimentica†di recarsi in caserma scatterà una multa da 430 ad 1.731 euro.
Dopo l’anteprima estiva di Frosinone, l’Off Road Expo si prepara al weekend principale del 22 e 23 novembre a Malpensa Fiere. Un appuntamento che riunisce fuoristrada, enduro, vanlife e turismo outdoor, in un formato ancor più ampio
Dopo la tre giorni andata in scena dal 12 al 14 giugno a Frosinone, Off Road Expo si avvicina al momento centrale dell’edizione 2025: l’evento di Malpensa Fiere, in programma il 22 e 23 novembre. Una manifestazione che rappresenta il punto di sintesi del progetto, pensato per riunire appassionati, professionisti e aziende del mondo off-road, enduro, vanlife e outdoor. Vediamo cosa aspettarci…
Facciamo prima un passo indietro. La crescita dell’Off Road Expo parte dai numeri registrati nel 2024, considerato dagli organizzatori come un passaggio chiave. Oltre cento espositori, pubblico superiore alle attese e un programma articolato hanno consolidato l’evento come luogo d’incontro tra marchi affermati, startup e community. Due padiglioni ospitavano l’area espositiva dedicata a 4x4, enduro e vanlife, affiancati da spazi esterni riservati a test, prove dinamiche e attività dimostrative. Il calendario era completato da gare come la Offroad Cup e il Trofeo Mini Enduro FMI, oltre a incontri e talk con figure riconosciute del settore.
L’edizione di quest’anno viene presentata come la più estesa mai realizzata. Malpensa Fiere ospiterà tre padiglioni per un totale di circa 15.000 metri quadrati espositivi, accompagnati da 50.000 metri quadrati di aree esterne destinate a diverse attività : pista offroad, area enduro, spazi dedicati alla vanlife e zone test drive. Inoltre, i padiglioni raddoppiano rispetto alla scorsa edizione, con aree tematiche che includono moto stradali, quad, Can-Am e mezzi storici off-road. Il programma prevede show tecnici, attività per famiglie, competizioni per varie età ed eventi speciali come l’esposizione del van considerato il più grande d’Italia.
Resta centrale la dimensione solidale: come già avvenuto nel 2024, tutti i ricavi dell’Off Road Expo vengono destinati a iniziative benefiche. L’anno scorso i proventi hanno supportato tre realtà : SuperO, attiva a fianco delle famiglie con bambini affetti da malformazioni agli arti; il Comitato Maria Letizia Verga, impegnato nel supporto ai piccoli pazienti con malattie ematoncologiche; e Heal, dedicata alla ricerca scientifica contro i tumori infantili. Un’impostazione che gli organizzatori confermano anche per la nuova edizione.
I biglietti d’ingresso possono essere acquistati sul sito liveticket.it al prezzo di 10 euro.
Per i ragazzi da 11 a 14 anni compiuti c’è il ridotto L’ingresso è invece gratuito per i bambini fino a 10 anni compiuti, per le persone con disabilità non autosufficienti e per un eventuale accompagnatore.
Il pilota Ducati promuove le novità dei test di Valencia e pur con cautela è positivo sulla direzione intrapresa. "Credo che questa base sia ottima, siamo partiti subito bene". Per esserne certi, attendiamo Sepang
48 ore possono cambiare l'umore di un pilota: assolutamente, anche a stagione finita. A quanto pare Pecco Bagnaia ha ritrovato il sorriso e pur non sbilanciandosi - ha detto chiaramente “bisogna lavorareâ€- ha pure già promosso la Desmosedici 2025 con le prime novità 2026. Le parole rilasciate ai media nel tardo pomeriggio di Valencia, al termine dei test, lasciano poco spazio ai dubbi. “È stata sicuramente una giornata positiva. Rispetto al weekend di gara ,con il prototipo 2026 mi sono trovato bene da subito, siamo riusciti a lavorare bene. Ho provato diverse soluzioni e il ritmo era buono, così come i tempi. Non ho riscontrato difficoltà â€.
Bagnaia ha dato un giudizio positivo sia sulle mappature di elettronica che sull'aerodinamica, soluzioni che a quanto pare hanno cambiato il carattere della sua Ducati anche in frenata. Le parole non sembrano lasciare spazio a dubbi. “Meglio, decisamente meglio. Però è la prima uscita e c’è da lavorare. Credo comunque che questa base qua sia ottima, siamo partiti subito bene se non meglio. Quindi [a Sepang, ndr] bisognerà riuscire a partire da quaâ€.
La cosa più importante era andare in vacanza con sensazioni diverse rispetto a quelle ingoiate con i 5 ritiri consecutivi del finale di stagione e l'obiettivo è stato centrato. “Sono molto contento perché i tempi di questo test sono stati estremamente veloci. Sarebbe stato bello riuscire ad averli anche durante il weekend o comunque in generale avere questo feeling, non solo oggi. Però in generale è positivo averlo trovato e vado in vacanza sicuramente con in un mood migliore rispetto a domenica. Mi sarebbe piaciuto riuscire a fare l’ultimo tentativo di time attack con le soft ma purtroppo ho avuto un piccolissimo problema e non sono riuscitoâ€.
Nel box factory, Gigi Dall'Igna ha ascoltato con attenzione i feedback di Bagnaia e probabilmente ha tirato un mezzo sospiro di sollievo. Borgo Panigale non è certo in ritardo rispetto agli avversari, ma è pur vero che domenica è stato Fabio Di Giannantonio a salvare l'onore con uno “striminzito†- per gli standard Ducati- terzo posto. Inoltre, Marc Marquez probabilmente tornerà a Sepang non ancora al cento per cento e nel frattempo Aprilia continua a sfornare novità .
Insomma, al direttore generale avrà fatto piacere vedere che il suo pilota al momento più importante ha fiducia nel progetto. Certo, una volta che tornerà Marquez, probabilmente anche i riferimenti cronometrici andranno riparametrati, ma al momento Dall'Igna incassa giudizi positivi, un primo passo tecnico nella giusta direzione fatto insieme a Bagnaia. Visto da Valencia, il 2026 sembra già un anno diverso.