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#motociclismo #news #insella.it
La nuova V85 TT è cambiata parecchio rispetto alla precedente versione, lo confermano anche i dati del nostro centro prove
Moto Guzzi ha introdotto tante novità sulla V85 TT my 2024, anzitutto il motore rispetta i nuovi standard Euro5+, ha visto l'adozione di un sistema di fasatura variabile che influisce sull’erogazione della coppia e ha ora la distribuzione a 4 valvole. Ciò che conta però, oltre alle dichiarazioni ufficiali, sono i responsi del banco prova, e della nostra strumentazione satellitare, vediamoli nel dettaglio!
Il picco di potenza massima registrato* si attesta a
Il picco di coppia massima registrata* si attesta a
Se il valore di potenza è sostanzialmente identico alla precedente versione, a impressionare è la coppia - che ci conferma quanto già sottolineato dal produttore - che conta +7,5 Nm rispetto a quanto riscontrato sulla versione TT 2023. Non solo, tale valore assoluto è raggiunto a un regime inferiore di 2.800 giri rispetto alla soglia precedente (6.970 giri/min per la versione 2023). Merito indiscusso del variatore di fase di cui è dotato il nuovo motore.
*Valori rilevati con 20° di temperatura atmosferica.
Veniamo ora allo scatto e alla velocità di punta della nuova Moto Guzzi V85 (Strada)
Anche in questo caso i miglioramenti sono evidenti, soprattutto per quel che riguarda l'accelerazione.
È una voce non trascurabile per una "viaggiatrice" di questo calibro; i nostri dati evidenziano anche in questo caso un considerevole miglioramento a favore della versione 2024.
Il miglioramento si sente anche sul fronte aerodinamico, dove effettivamente si patiscono meno turbolenze rispetto al passato, almeno entro la soglia dei 120 Km/h. Una considerazione a parte la merita però la versione Travel, che beneficia di ulteriori protezioni, in grado di renderla ancor più orientata al viaggio e alle lunghe percorrenze. Discorso comune a tutte le versioni è invece quello relativo alle vibrazioni: non sono fastidiose e si avvertono appena sui punti di appoggio, ma è innegabile che agli alti regimi siano comunque maggiori rispetto a buona parte della concorrenza.


All'anteriore troviamo una forcella Kayaba da 41mm, regolabile nel precarico e in estensione, con un'escursione di 170 mm; il mono è altrettanto regolabile nel precarico e in estensione e vanta un'escursione ruota di 170 mm. Sul fronte della frenata c'è invece il pacchetto Brembo costituito da pinze ad attacco radiale e dischi anteriori da 320 mm, con pinza flottante e disco da 260 mm al posteriore. I cerchi sono differenti a seconda dell'allestimento scelto e la versione Strada utilizzata per i nostri test è l'unica che vede l'adozione di ruote in lega. Pneumatici uguali per tutte e tre le sorelle:
Nel complesso la V85 assorbe con efficacia le sollecitazioni in un buon compromesso tra affondamento e durezza, e risulta piacevolmente precisa anche nella guida un po' allegra: soprattutto la versione Strada, scende rapida in curva ed è lesta nei cambi di direzione, anche per merito del minor peso dei cerchi di cui è dotata.
La frenata è molto modulabile e buono il feeling con la leva, che se strizzata forte dimostrata un inaspettato mordente. Anche al posteriore la frenata è più che buona ed aiuta nella guida tra le curve, con un ABS poco intrusivo.

Sulla bilancia, la "nostra" Moto Guzzi V85 Strada ha segnato i 218 Kg. Un valore in grado di esser "digerito" anche da chi è di media statura, per via della seduta che misura degli abbordabili 830 mm di altezza.

I prezzi, così come le colorazioni, si differenziano per i tre diversi allestimenti come segue:
Per il conseguimento della patente occorre sostenere un esame in sella ad un veicolo simile a quello che poi si guiderà . Cosa succede se la pratica si fa con un mezzo dotato di cambio automatico? Facciamo chiarezza
È possibile sostenere l’esame pratico per la patente con un mezzo dotato di cambio automatico, ma la patente così ottenuta consentirà di guidare solo moto automatiche. Non vale invece il contrario: sostenendo l’esame in sella ad una moto con cambio manuale, si potranno guidare anche moto con cambio automatico.
Chi effettua la prova pratica in sella ad una moto automatica, si troverà nella colonna destra del retro della patente la sigla 78, che serve per indicare la limitazione al cambio automatico.
La Circolare protocollo n. 9412 dell’11/04/2013 ha definito come veicolo con cambio manuale “un veicolo nel quale è presente un pedale della frizione – o leva azionata manualmente per le categorie A, A2 e A1 – che deve essere azionato dal conducente quando avvia o ferma il veicolo e cambia le marce.†Ne consegue che tutte le moto prive della leva della frizione sono considerate automatiche.
Il quickshift è il sistema che permette di cambiare senza usare la frizione, non si sostituisce al cambio manuale ma semplifica la vita e permette cambiate più rapide. Le moto con sistema quickshift hanno la leva frizione ed il pedale del cambio e risultano a tutti gli effetti veicoli a marce. Pertanto le patenti con codice “78†(ottenute in sella ad una moto con cambio automatico) non permettono di guidare moto con cambio elettronico quickshift.
Per cancellare il codice 78 e quindi poter guidare tutti i tipi di moto, bisogna sostenere l'esame pratico in sella ad una moto con cambio manuale.
Chi si mette alla guida di una moto con cambio manuale con patente limitata va incontro a seri rischi dal punto di vista legale e assicurativo.
Se fermato dalle forze dell’ordine potrebbe infatti essere sanzionato per guida senza aver conseguito la corrispondente patente e pertanto punito con un’ammenda da 2.257 a 9.032 euro, più la sanzione accessoria del fermo amministrativo di 3 mesi. Ugualmente, in caso di sinistro, l’assicurazione potrebbe appellarsi al fatto che il conducente non aveva la patente idonea e quindi chiedere indietro all’assicurato quanto speso per il risarcimento.
La presenza del cambio automatico non ha alcuna influenza con la potenza e la cilindrata del mezzo con cui si sostiene l’esame pratico. Per le caratteristiche di potenza e cilindrata dei veicoli d'esame valgono infatti le regole generali.
- Patente A1: motociclo di categoria A1 senza sidecar, di una potenza nominale massima di 11 kW e con un rapporto potenza/peso non superiore a 0,1 kW/kg e capace di sviluppare una velocità di almeno 90 km/h. Se il motociclo è a motore a combustione interna, la cilindrata del motore è almeno di 120 cm3. Se il motociclo è a motore elettrico, il rapporto potenza/peso del veicolo è di almeno 0,08 kW/kg.
- Patente A2: motociclo senza sidecar, di una potenza nominale di almeno 20 kW ma non superiore a 35 kW e con un rapporto potenza/peso non superiore a 0,2 kW/kg Se il motociclo è a motore a combustione interna, la cilindrata del motore è almeno di 250 cm3. Se il motociclo è a motore elettrico, il rapporto potenza/peso del veicolo è di almeno 0,15 kW/kg.
- Patenti A: (senza limiti): motociclo senza sidecar, la cui massa a vuoto supera 180 kg, con potenza nominale di almeno 50 kW. Lo Stato membro può accettare una tolleranza di 5 kg sotto la massa minima prescritta. Se il motociclo è a motore a combustione interna, la cilindrata del motore è almeno di 600 cm3. Se il motociclo è a motore elettrico, il rapporto potenza/peso del veicolo è di almeno 0,25 kW/kg Fino al 31 dicembre 2018 è consentito l’utilizzo di motocicli di potenza di 40KW.
Cliccando qui trovate tutte le informazioni sull'esame pratico della patente A.
Fisico possente, sguardo truce e una capacità di soffrire fuori dal comune, il crossista svedese Carlqvist era un personaggio e, sulla terribile pista di Namur, mise in scena uno spettacolo degno di Valentino Rossi
Lo svedese Hakan Carlqvist, campione del mondo di cross 250 (1070) e 500 (1983) quando si correva con le scorbutiche due tempi, non è mai stato un personaggio malleabile. Fisico possente, sguardo truce e una capacità di soffrire che più volte lo ha portato a correre e vincere con le ossa rotte. Duro con se stesso e con gli altri: più volte ha sfondato a pugni la porta del suo furgone in uno sfogo di rabbia, in altre occasioni ha scaraventato a terra la sua Yamaha ufficiale che lo aveva costretto al ritiro, un tecnico giapponese non voleva ammettere che la carburazione era sbagliata e ricevette un pugno, e per dimostrare a un tecnico delle gomme che la mescola era troppo morbida strappò un tassello con le dita e glielo mise sotto il naso.
Meglio non contraddirlo nelle giornate storte, eppure era amatissimo e rispettato per la sua grinta, la sua generosità e il suo carattere indomito.
Il suo capolavoro fu nel GP del Belgio 1988, penultima gara del Mondiale 500. Aveva 34 anni, correva da privato con una Kawasaki e aveva deciso che a fine stagione si sarebbe ritirato. Ma sulla terribile pista di Namur era fortissimo, tanto da essere sicuro che avrebbe vinto lui. Aveva preparato tutto con cura e aveva chiesto di segnalargli il vantaggio soltanto a tre quarti di gara. Gli servivano almeno 20 secondi sul primo degli inseguitori per quello che aveva in mente, e invece ne aveva addirittura 45.
Lo Chalet du Monument era il punto affollato dalla tifoseria più agguerrita e più competente, lì dove uscendo da un tratto di bosco i piloti imboccavano a tutto gas la strada asfaltata per lanciarsi verso un salto. Invece Carlqvist mentre era al comando si fermò, tra lo sgomento della folla. Suo fratello era lì pronto e gli allungò un boccale di birra ghiacciata. Hakan, che aveva un casco jet e non un integrale, sollevò la mascherina e se la scolò tra lo stupore della folla. Lo vedete qui sotto in un'immagine ricavata da un filmato della televisione belga. Gli altri dovevano ancora arrivare. Riparti tra l’entusiasmo degli appassionati, vinse solitario e qualche ora dopo vinse anche la seconda manche. Tanta fu la soddisfazione che decise di appendere il casco al chiodo con una gara di anticipo, saltando l’ultimo Gran premio che si sarebbe corso in Lussemburgo. Tanto, cosa altro avrebbe avuto da dimostrare?

Aperta la strada dalla V7 prima e dalla V7 Sport firmata Tonti poi, Moto Guzzi affina la propria idea di sportività . Con le 750 S e S3, Mandello aggiorna tecnica e contenuti, cercando una risposta concreta ai nuovi standard del mercato. Due modelli di transizione, fondamentali per arrivare alla Le Mans
Archiviato un periodo difficile fatto di crisi del mercato ed agitazioni sindacali, all’inizio degli anni Settanta Moto Guzzi è finalmente pronta a ridare lustro alla propria immagine sportiva. Subentrata alla famiglia Parodi il 16 giugno del 1969, la SEIMM (cioè la Società Esercizio Industrie Moto Meccaniche), garantisce capitali e stabilità economica, mentre nel reparto progettazione figurano nomi del calibro di Lino Tonti. Le premesse sono ottime. Non per nulla, proprio sotto la supervisione di Tonti, nel 1971 arriva la V7 Sport, bicilindrica che segna di fatto il ritorno di Moto Guzzi nelle corse e, più in generale, nel cuore degli appassionati.
Con il suo telaio Tonti e il bicilindrico a V di 90° da 748,4 cm³, la Sport ( a sua volta derivata dalla V7 “normaleâ€) è una moto completa e (quasi) perfetta. Ma c’è un difetto che emerge subito: la frenata, ancora affidata a un grosso tamburo anteriore da 220 mm, non è più sufficiente a contenere la potenza del motore, soprattutto di fronte ai nuovi modelli giapponesi che adottano il disco anteriore di serie, come l’Honda CB750 del 1969. Moto Guzzi non resta a guardare e così, per venire incontro agli appassionati più esigenti, nel 1973 viene messo in vendita un kit completo di doppio disco anteriore, pinze Brembo a singolo pistoncino, gambali forcella e accessori vari, pensato per un montaggio domestico anche da parte del motociclista privato. È una soluzione tampone, che prepara la strada alla vera erede della Sport: la 750 S.
Moto Guzzi V7 Sport, l'incedibile storia di un mito nato in uno scantinato
Presentata ufficialmente nel novembre 1973, la 750 S rappresenta il primo vero passo avanti nella gamma sportiva post-V7. L’aggiornamento estetico è evidente: il sellone sportivo, leggermente rastremato e terminante con una sorta di coda, slancia il retrotreno e conferisce alla moto un profilo più filante. Il carattere sportivo della S è ulteriormente sottolineato dalla nuova livrea: serbatoio e fianchetti in smalto nero, impreziositi da larghe strisce rosse, arancio o verdi, conferiscono un aspetto aggressivo e immediatamente riconoscibile. Inoltre, le grosse marmitte cromate della Sport lasciano spazio a due silenziatori bruniti Lafranconi, estetici e performanti, che completano il quadro di una moto pronta a sfidare le concorrenti.
Tecnicamente, la 750 S riprende gran parte delle soluzioni della V7 Sport: motore a V di 750 cm³ derivato dalla V7 Special, trasmissione finale a cardano, frizione a secco, telaio a doppia culla in acciaio al cromo-molibdeno e semi-manubri regolabili. Oltre all’atteso doppio disco, tra le novità c’è anche la possibilità di spostare il comando del cambio sulla sinistra tramite un apposito kit, in linea con lo standard internazionale ormai consolidato, con cambio a sinistra e freno posteriore a destra. La ciclistica resta invariata: la regolazione rapida dei semi-manubri consente di trasformare in pochi istanti l’impostazione da sportiva a turistica, un elemento di grande versatilità per il motociclista dell’epoca.
La 750 S resta in listino per due anni senza grandi modifiche, se non l’introduzione degli indicatori di direzione nel 1974, obbligatori per legge. Alla fine della produzione, nell’autunno 1975, sono stati assemblati oltre 1000 esemplari.
Nel novembre 1975, al Salone di Milano, Moto Guzzi presenta la 750 S3, evoluzione della S caratterizzata dall’adozione di un disco posteriore in aggiunta ai due anteriori. La grande novità (di cui Guzzi andrà tra l’altro parecchio fiera) sta nel sistema di frenatura integrale: premendo il pedale, uno dei due dischi anteriori e quello posteriore vengono azionati simultaneamente; tirando la leva al manubrio entra in funzione anche il secondo disco anteriore, da usare in condizioni di emergenza o ad alta velocità . Una soluzione che, per quanto avanti, non accontenta proprio tutti, con molti piloti pronti a lamentare l’impossibilità di gestire in modo autonomo la frenata anteriore, magari su fondi particolarmente scivolosi.
In ogni caso, la S3 rappresenta un deciso passo avanti in termini di sicurezza, come sottolineano i depliant dell’epoca: “La moto diventa oggi più sicuraâ€. Nella fase di collaudo, la Casa di Mandello si avvale di piloti e collaudatori di grande esperienza, tra cui Vittorio Brambilla e Antonio Piazzalunga, testando anche prototipi da competizione con motore da 850 cm³, in previsione della futura Le Mans. Nonostante qualche critica sull’“indipendenza limitata†del pilota nel modulare la frenata, i test confermano che gli spazi di arresto si riducono sensibilmente, aumentando la sicurezza per chi non è esperto o per chi affronta strade impegnative. La fiducia nel sistema è tale che, nel 1975, la frenata integrale viene montata di serie su tutta la produzione di grossa cilindrata della Casa, compresi i modelli I-Convert e 850 Le Mans. In aggiunta, la S3 propone un elegante cupolino trasparente a protezione del faro, già visto su alcuni esemplari della S, e mostra un motore dal look vicino a quello delle sorelle maggiori da 850 e 1.000 cm³, con coperchi punterie e forcellone aggiornati.
Ormai matura, l’S3 avrà vita breve e uscirà di produzione già l’anno successivo, cioè nel 1976. Nello stesso anno arriverà quindi la 850 Le Mans erede tanto dello spirito sportivo delle V7 quanto delle soluzioni tecniche sperimentate in quegli anni, ma con maggiore cilindrata e, in generale, un’impostazione più matura da sport-tourer. Ma quella è un’altra storia…
Ve la raccontavamo qui: Moto Guzzi Le Mans, storia ed evoluzione di un mito italiano
Seguendo l’inflazione prevista per il 2026, dal 1 gennaio aumentano anche i pedaggi autostradali. La media è del + 1,5%, ma ci sono alcune eccezioni. Il Ministero delle Infrastrutture punta il dito contro Consulta e Autorità , ma a pagare il conto saremo, come sempre, noi cittadini…
Puntuale, ecco il canonico aumento. Dal 1° gennaio automobilisti e motociclisti italiani si troveranno a pagare pedaggi più cari: l’aumento previsto sulle autostrade è dell’1,5%, corrispondente all’indice di inflazione 2026. Lo confermano sia la Corte Costituzionale che l’Autorità di regolazione dei trasporti, ma la decisione non è passata inosservata al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che non ha nascosto la propria irritazione. In un comunicato, il Mit sottolinea: “La sentenza della Corte Costituzionale contraria ai nostri intenti ha vanificato lo sforzo del ministro Matteo Salvini e del governo di congelare le tariffe fino alla definizione dei nuovi Pef regolatori. L’Art ha poi stabilito che l’adeguamento all’inflazione sarà del 1,5%". Tradotto: la colpa, come al solito, è degli altri. Al di là delle polemiche, di cui non ce ne facciamo proprio nulla, vediamo di fatto quanto andremo a pagare - più di quanto già facciamo - al casello.
Il rincaro più consistente, in termini percentuali, colpisce l’autostrada Salerno-Pompei-Napoli, con un aumento dell’1,923%. Per il resto, la maggior parte delle concessioni vede l’incremento “standard†dell’1,50%: Autostrade per l’Italia, Brescia-Padova, Autovia Padana, Salt – Tronco Autocisa, Consorzio Autostrade Siciliane, Milano Serravalle, Tangenziale di Napoli, Rav, Sat, Satap A4, Sav, Sitaf, Fiori – Tronco A6, Cav e Asti-Cuneo. Stesso rincaro anche sulle tratte gestite da CAL, come Pedemontana Lombarda, TE e Brebemi.
Qualche eccezione: il Brennero registra un aumento leggermente più basso, dell’1,46%, mentre non subiscono alcun rincaro l’Autostrada Alto Adriatico e la Strada dei Parchi.
Magra consolazione: Code e cantieri: arrivano i risarcimenti per i disagi in autostrada
Le strade per migliorare le prestazioni o comunque per rendere la guida più divertente sono infinite. Si può arrivare a spendere un capitale per ottenere i risultati desiderati: sospensioni, scarichi, mappature, centraline aggiuntive, lavorazione teste, distribuzione... la lista può allungarsi a dismisura.
Quando si mette mano a una moto, è sempre meglio procedere per piccoli passi. Ma in tempi “di magra†come questi è quasi un obbligo. Inoltre non è detto che piccoli e mirati interventi possano avere solo risultati limitati, anzi... Per fare un esempio concreto, si può intervenire sulla trasmissione secondaria, cioè sulle dimensioni della corona o del pignone. A fronte di una spesa ridotta i risultati, vi garantiamo, sono tutt’altro che trascurabili. Persino (anzi, soprattutto) quando in gioco ci sono potenze ridotte come quelle di 50ini e 125.
Il motore trasmette la potenza alla ruota posteriore grazie alla trasmissione primaria (il cambio) e alla trasmissione finale composta dal pignone (fissato all’albero di uscita del cambio), dalla catena e dalla corona fissata alla ruota motrice. Dalle loro dimensioni deriva il “rapporto di trasmissione†che è il risultato della divisione del numero dei denti della corona per quelli del pignone. Se monteremo una corona più grande o un pignone più piccolo, questo valore diventerà più grande e si dirà che la rapportatura è più “cortaâ€. Un rapporto corto permette di avere un’accelerazione “bruciante†a scapito della velocità massima. Il discorso inverso vale per un rapporto lungo, ottenibile montando una corona più piccola o un pignone più grande. Ricordate comunque che in linea di massima si può ottenere lo stesso risultato o aumentando di tre denti la corona o diminuendo di un dente il pignone. È quindi facilmente intuibile che è preferibile modificare la corona per lavorare più di “finoâ€, mentre è più economico cambiare il pignone. 
Avete una Kawasaki o una Suzuki? Se cambiate i rapporti finali, ricordate che la velocità e i giri indicati dal vostro cruscotto non saranno più quelli “realiâ€. Le supersportive e le naked dei due marchi giapponesi infatti ricavano la velocità dal pignone e non dalla ruota o dal cambio, come quasi tutte le altre moto, che anche cambiando pignone o corona vi daranno sempre una lettura reale. Per sapere a quanto andate vi basterà comunque sapere che aumentando di un dente il pignone, il vostro tachimetro diventerà più “ottimista†sulla velocità di circa il 10%. Quindi andrete più piano!
Cambiare i diametri della corona e del pignone ha un effetto diretto sulla ripresa del motore e sulla velocità massima: la modifica quindi dipenderà da quello che volete ottenere e dove utilizzate la vostra moto. Se siete degli “smanettoni†da piste super-veloci, meglio una rapportatura lunga e lasciar scorrere la moto. Se invece amate la guida più nervosa e cercate una maggior ripresa, allora montate una corona più grande. Attenzione però: ogni intervento ha i suoi pro e i suoi contro. Scegliere ad esempio un rapporto molto corto non è consigliabile se usate la moto soprattutto nel tragitto casa-ufficio: vi basterà entrare in una rotonda con un po’ di traffico per capire che sarebbe stato meglio avere un’erogazione più dolce, con meno strappi. Lo stesso vale per le naked, che già faticano a raggiungere la velocità massima in sesta per la posizione in sella del pilota e per un’aerodinamica sfavorevole: non ha molto senso montare rapporti troppo lunghi, se lo fate la moto andrà di meno! È importante notare che con una diversa rapportatura, saranno diversi anche le forze che agiscono sull’intero sistema di trasmissione, ruote e sospensione comprese. In poche parole modificate l’assetto della moto, l’aderenza del pneumatico e la stabilità . Una rapportatura più corta significa avere una moto meno stabile e che impenna più facilmente. Il consiglio è di intervenire per gradi, così da non stravolgere l’erogazione e l’assetto della vostra moto.
La trasmissione finale va sostituita mediamente dopo una percorrenza di 30.000 km, anche prima se la moto è usata senza riguardi. Se la vostra moto ha percorso solo 5-10.000 km, potete anche pensare di sostituire solo la corona o il pignone. Con chilometraggi superiori è meglio acquistare un kit completo: se avete una 125 si spendono circa 100-130 euro, per una 1000 si sale a circa 300 euro.
Questo è un lavoro alla portata di tutti, potete farlo anche nel vostro garage con pochi semplici attrezzi. Se deciderete di rivolgervi a un’officina, sappiate che per la sostituzione di catena-corona-pignone serve circa un’ora di lavoro (da 30 a 60 euro), mentre per la sola modifica del pignone o della corona basta un quarto d’ora. Il gioco vale la candela.
Robusta, facile e maneggevole. Se ne state cercando una usata, vi raccontiamo tutto: prestazioni rilevate, punti deboli e valore in base all'anno d'immatricolazione
Ha una posizione di guida molto comoda, che permette di macinare chilometri senza stancarsi troppo. Le sospensioni tarate “morbide†(in particolare la forcella) assorbono a dovere le buche e le imperfezioni dell’asfalto. Il motore ha un’erogazione regolare e sempre facile da gestire in tutte le situazioni. La maneggevolezza è molto buona: lo sterzo stretto permette di manovrare in un fazzoletto, in città la F 700 è anche meglio di uno scooterone. Sui percorsi con molte curve sfodera un avantreno rapido nell’impostare le curve: guidando senza comandi bruschi risulta efficace e divertente. Anche viaggiando allegri, i consumi sono sempre sotto controllo.
Alcune finiture e qualche plastica della carrozzeria sono un po’ troppo economiche. Il parabrezza di serie è basso: per viaggiare è meglio montarne uno più alto, per migliorare la protezione. La forcella mal digerisce la guida sportiva e nelle frenate più decise affonda parecchio. Qualche vibrazioni agli alti regimi. La frenata è ok ma il comando è un po’ spugnoso.


2018 6.900
2017 6.500
2016 5.900
2015 5.400
2014 4.800
2013 4.200
La F 700 GS era la crossover più economica della gamma BMW. Le quotazioni quindi non sono in assoluto elevate, ma come tutte le “tedesche†la svalutazione che si è registrata nel corso degli anni non è elevata, soprattutto se confrontata con quella delle rivali di altre marche. Ma è un usato che si rivende sempre bene.
Il motore tre cilindri spinge forte a tutti i regimi, la maneggevolezza è molto buona e la dotazione completa. Quotazioni interessanti ma occhio alla trasmissione, il motore la stressa parecchio
Il motore tre cilindri Yamaha è compatto e piacevolissimo da usare: riprende bene già da 2.000 giri, spinge forte ai medi regimi (6.000 giri) e sfoggia un allungo da sportivo fino agli 11.000 giri. La posizione di guida è comoda, inoltre il manubrio si può avanzare o arretrare di 10 mm e la sella si può regolare a 84,5 e a 86 cm. La dotazione di serie è ricca: paramani, cavalletto centrale e presa 12V, oltre a tre mappature motore, controllo di trazione e ABS. Le sospensioni della prima serie sono regolabili in estensione e precarico. Con la GT del 2018 invece arrivano una forcella completamente regolabile, il cruise control (finalmente) e le manopole riscaldabili. La ciclistica è a punto e molto svelta: la Tracer scende in piega quasi come una naked. Convince anche la frenata, potente e controllabile.
Le gomme di primo equipaggiamento (Dunlop Sportmax D222) non sono granché e vanno in crisi se si guida (molto) sportivamente. Il parabrezza protegge appena quanto basta: per viaggiare sul serio, soprattutto in autostrada, meglio montarne uno più ampio e protettivo.


La Tracer da nuova è tra le crossover più a buon mercato, considerando anche tutto quello che offre di serie. Per questo anche le quotazioni dell’usato non sono esagerate, ma in ogni caso si tratta di un modello che tiene bene il valore. Per la prima versione il deprezzamento è stato basso, ma va anche meglio con la “nuova†presentata nel 2018 che ha subito avuto un ottimo successo di vendite.
È una delle crossover più vendute sul nostro mercato, merito anche di un motore molto potente e una ciclistica raffinata. I dati del nostro centro prove lo confermano: la Multi V4 vola!
La Multistrada V4 è il modello Ducati di maggiore successo e stabilmente nella top ten delle moto più vendute ed è anche il top delle crossover, con prestazioni brucianti che la pongono al limite alto del segmento. Ecco quelle rilevate dal nostro Centro Prove per la versione Multistrada V4 S.
“Come te non c’è nessuna†in questa categoria. È una bomba, ma con una erogazione fluida e generosa e l’elettronica a tenere tutto sotto controllo..
Ovviamente prestazioni al top della categoria. Con tutti quei cavalli non ci si poteva aspettare niente di meno.
È il punto debole della Multistrada V4. D’altronde se si vogliono tanti cavalli, bisogna dare loro da bere.
Il serbatoio da 20,5 litri garantisce una buona autonomia, permettendo lunghi tragitti senza frequenti soste per rifornimento: 356,7 km a 120 km/h.
238 kg
Non è un fuscello, eppure nella guida non si sente.
Touring adventure sì ma fino a un certo punto: la Multistrada V4 è una moto che sulle strade tutte curve può dare del filo da torcere alle sportive, può andare a passeggio ma se avete voglia di spalancare il gas le emozioni sono garantite.
Il motore V4 Granturismo di 1158 cm³ ha abbandonato la distribuzione desmodromica, sostituita da una tradizionale nella quale le valvole sono richiamate da molle, con il risultato di una maggiore regolarità ai bassi regimi e un intervallo più lungo per il controllo del gioco valvole, addirittura 60.000 km. Non vi preoccupate, le prestazioni non ne hanno sofferto: un tiro in basso che permette di uscire a testa alta dalle curve anche se si è tenuta una marcia in più, e da 7500 fino a quasi 11.000 giri/minuto una spinta da Luna Park.
L’elettronica naturalmente è di grande aiuto e i dispositivi ci sono tutti, da quattro riding mode a controllo di trazione, anti impennata, ABS cornering, quickshifter bidirezionale e la piattaforma inerziale a sei assi a gestire il tutto. Spicca l’adozione di due radar (opzionale), uno per il cruise control adattivo e l’altro per il monitoraggio dell’angolo cieco, con LED arancioni sugli specchietti che in caso di pericolo si accendono.
La ciclistica è all’altezza del resto. Telaio monoscocca in alluminio e forcellone a due bracci con quote caratteristiche degne di una sportiva: cannotto di sterzo inclinato di 24,5° e 102,5 mm di avancorsa. Spiccano le sospensioni Skyhook semi attive adottate sulla versione S, mentre quelle della V4 “base†sono meccaniche completamente regolabili. La forcella è a steli rovesciati di 50 mm Ø, la sospensione posteriore è dotata di funzione Autolevelling che riconosce il carico e regola autonomamente l’altezza ideale.
Il risultato si può sintetizzare in una guidabilità di alto livello nonostante la lunga escursione della forcella tipica delle “enduroneâ€. Colpisce l’avantreno decisamente più sportivo delle concorrenti di categoria, sorprendentemente agile nonostante la ruota anteriore di 19“, e nonostante un peso significativo; il motore controrotante in questo senso dà grossi vantaggi. Dopo un po’ viene naturale allungare la frenata fin dentro le curve, con la sicurezza che viene dall’ABS cornering, così come è facile equilibrarsi grazie all’impeccabile connessione comando del gas-ruota posteriore.
Di alto livello anche l’impianto frenante: davanti due dischi di 330 mm Ø con pinze Brembo Stylema M4.32 e dietro un disco di 265 mm Ø con pinza a due pistoncini. Potenti e modulabili, forse qualcuno potrebbe chiedere un po’ di cattiveria in più ma è bene ricordare che si tratta pur sempre di una moto touring. Nonostante il carattere brillante se la cava molto bene anche nei lunghi viaggi con bagaglio e passeggero, la rumorosità di marcia è modesta, la protezione dell’aria eccellente e le vibrazioni estremamente contenute.
Il motore per la sua conformazione tende a scaldare la seduta del pilota ma il problema è stato molto ridotto: nelle soste al semaforo la bancata dei cilindri posteriori si spegne automaticamente, mentre in movimento le ampie feritoie ai lati del propulsore e le appendici aerodinamiche di fronte alle gambe del pilota deviano l’aria calda. Sì, è proprio una gran bella moto. Fosse un po’ meno assetata sarebbe perfetta.
Dalla bambola gonfiabile per prendere in giro Biaggi all'ultimo mondiale celebrato con la maglietta "gallina vecchia fa buon brodo": le gag di Valentino sono passate alla storia
È iniziato tutto con una bambola, e da lì in poi è stato un crescendo di gag memorabili: Valentino Rossi non è un campione inimitabile solo per i risultati ottenuti in pista, ma anche per come ha celebrato alcune delle sue affermazioni più importanti.
La prima esultanza fuori dagli schemi risale al gran premio d'Italia 1997, quando Valentino, al Mugello, festeggia la vittoria in classe 125 portando a spasso nel giro di rientro una bambola gonfiabile ribattezzata per l'occasione "Skiffer" (qui sopra).
Non è tanto un omaggio alla super modella Claudia Schiffer, ma una presa in giro di Max Biaggi, che al tempo era stato “paparazzato†con Naomi Campbell. Bisogna ricordare che nel 1997 Max era già un tre volte campione del mondo avviato verso il quarto titolo, e l'irriverenza di Valentino, appena alla sua quarta vittoria nel motomondiale, denota un certo carattere.
Il 1997 si chiude con un gigantesco numero uno sulla schiena di Rossi e l'inequivocabile scritta “uord cenpionâ€; prima c'era stato un Valentino vestito da Robin Hood sul podio di Donington, l'anno successivo le gag continuano anche in 250. Dopo il gp di Catalogna, i giornalisti si affannano a capire se la Polleria Osvaldo esista davvero: si tratta di un fantomatico sponsor che Rossi sfoggia, tanto nelle scritte quanto con un enorme pollo/mascotte.
Ecco Rossi con il pollo mascotte della polleria Osvaldo
Ma ci sono anche vere e proprie improvvisate, come nel gp di Spagna a Jerez, quando Rossi fa tappa in un bagno chimico sotto le tribune dei tifosi in delirio. “Quando scappa scappa†si giustifica il pesarese. Anche l'avventura in duemmezzo si conclude con un titolo e in Brasile arriva la relativa gag: in moto con Rossi sale un angelo custode a grandezza naturale.
Une delle gag preferite dal Dottore: la capatina al bagno a Jerez
Anche in classe regina Rossi non perde la verve del periodo adolescenziale: nel 2002 al Mugello due improbabili vigili lo multano per eccesso di velocità , nello stesso anno Vale festeggia il quarto titolo mondiale con il fan club vestito da nazionale brasiliana di calcio. VR46 alza al cielo una copia ben riuscita della coppa del mondo.
Altra scenetta mitica: Rossi multato per eccesso di velocità al Mugello
A volte le scenette servono anche a rispondere con un sorriso a certe critiche: a Brno nel 2003, Vale finge — con tanto di palla al piede e aiutato da due personaggi travestiti da carcerati — di colpire una pietra con il piccone. Rossi sale sul podio con il berretto da carcerato, in risposta a chi lo dava in crisi dopo quattro gare senza vittoria.
Rossi carcerato, cioè condannato a vincere
Altra polemica rispedita al mittente è quella dell'anno successivo, quando Valentino — in occasione del gran premio della Malesia — si arma di spazzolone per pulire la pista dopo la vittoria. È la risposta ironica alla penalità (6 secondi sul tempo in qualifica) inflittagli in Qatar la settimana prima, quando alcuni membri dello staff di Rossi avevano gommato con uno scooter quella che sarebbe stata la casella di partenza di Rossi. E mentre alcuni membri del fan club guardavano divertiti il Dottore esibirsi nell'ennesima sceneggiata, ai box Jeremy Burgess mostrava una maglietta con la scritta “impresa di pulizie La Rapida, per togliere lo sporco dalla MotoGPâ€.
Rossi fa ammenda e pulisce la pista, inaugurando l'impresa di pulizie La Rapida
Le esultanze particolari di Rossi arrivano fino al nono titolo, festeggiato con l'inequivocabile maglietta che porta la scritta “Gallina vecchia fa buon brodoâ€, ma ce ne sono parecchie altre prima: Una t-shirt “che spettacolo†per il primo titolo con Yamaha, i sette nani l'anno dopo per il settimo mondiale vinto. E poi ancora il bowling umano di Jerez 2007, o l'ottavo titolo “scusate il ritardoâ€, certificato dal notaio Ottavio Ottaviani.
Rossi festeggia a modo suo il nono titolo. Allora non sapeva che sarebbe stato anche l'ultimo