Oggi è Domenica 28/12/2025 e sono le ore 11:48:12
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Oggi è Domenica 28/12/2025 e sono le ore 11:48:12
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Nostra publicità
Compra su Vinted
Compra su Vinted
#news #antidiplomatico
Il governo nigeriano ha chiarito la propria posizione riguardo ai recenti bombardamenti nel nordovest del Paese, respingendo la cornice religiosa in cui il presidente statunitense Donald Trump ha voluto inquadrare l’operazione. A pochi giorni dagli attacchi aerei condotti congiuntamente dagli Stati Uniti e approvati da Abuja, il ministro degli Esteri nigeriano, Yusuf Tuggar, ha ribadito che l’obiettivo dell’azione militare era esclusivamente antiterrorista e non legato a una presunta difesa del cristianesimo.
Trump, in un messaggio pubblicato sulla piattaforma Truth Social, aveva definito l’intervento come una risposta a una “massacro di cristiani” e parte di una campagna globale per “salvare il cristianesimo”. Una narrazione che, secondo Tuggar, non corrisponde alla realtà sul terreno. “Non si tratta di religione, si tratta di nigeriani, civili innocenti”, ha affermato il ministro, sottolineando che le vittime degli attacchi terroristici appartengono a tutte le fedi - musulmani, cristiani, appartenenti ad altre religioni o non credenti - e che la violenza jihadista rappresenta un’offesa ai valori fondanti della Nigeria e alla sicurezza internazionale.
L’operazione, condotta nello Stato di Sokoto con l’approvazione personale del presidente Bola Tinubu, è stata preceduta da una lunga conversazione tra Tuggar e il segretario di Stato USA Marco Rubio. Il ministro ha tenuto a precisare che si è trattato di uno sforzo congiunto, ma ha messo in guardia contro qualsiasi forma di intervento che possa minare la sovranità nazionale. Pur non escludendo una maggiore collaborazione con Washington - già manifestatasi in passato con la fornitura di aerei Super Tucano durante la prima amministrazione Trump - Tuggar ha ribadito che ogni futura cooperazione dovrà rispettare l’integrità territoriale e la piena autonomia decisionale della Nigeria.
Di fronte alle accuse di Trump, che da settimane denunciava un presunto genocidio dei cristiani in Nigeria e aveva persino minacciato un intervento militare diretto, il governo nigeriano ha respinto con fermezza l’idea di una persecuzione religiosa sistematica. In un comunicato ufficiale, il ministero degli Esteri ha ricordato come nigeriani di diverse confessioni abbiano convissuto pacificamente per decenni, praticando liberamente la propria fede. Al tempo stesso, ha chiesto maggiore sostegno internazionale nella lotta al terrorismo, riconoscendo la complessità della minaccia rappresentata dal ramo locale dello Stato Islamico.
Nel frattempo, il segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth ha assicurato che “ci saranno altri” bombardamenti contro il gruppo terroristico. Tuttavia, dal punto di vista nigeriano, ogni azione futura dovrà inserirsi in una strategia condivisa, rispettosa della leadership locale e focalizzata sulla protezione di tutti i civili, senza distinzioni di fede. La Nigeria, dunque, rifiuta di farsi strumentalizzare in una narrazione che divide per religione, insistendo invece sulla natura universale della minaccia terroristica e sull’unità nazionale come fondamento della propria risposta.
Data articolo: Sat, 27 Dec 2025 16:50:00 GMT
di Fabrizio Verde
Il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro, ha lanciato una forte accusa, diretta e senza mezzi termini, contro gli Stati Uniti, dipingendo un quadro di aggressione sistematica il cui fine ultimo è palesemente il controllo delle immense risorse naturali del paese sudamericano. In un discorso tenuto durante il Consiglio dei Ministri nella capitale Caracas, Maduro ha smontato le narrative costruite da Washington, affermando che dietro la campagna internazionale contro il governo bolivariano non vi è la persona di "Maduro", ma piuttosto il petrolio, l'oro, le terre rare e la ricchezza del sottosuolo venezuelano. "Non possono dire di Maduro che ha armi di distruzione di massa, nessuno gli crederebbe. Non possono dire che ha armi biologiche o chimiche, o che sta costruendo una bomba atomica", ha dichiarato il leader bolivariano, sottolineando come, in assenza di queste classiche accuse utilizzate dall’imperilialismo per scatenare guerre, le autorità statunitensi ripetano "permanentemente quattro o cinque menzogne".
Il contesto di questa nuova denuncia è l’escalation militare e diplomatica che Caracas denuncia – a ragion veduta - come un vero e proprio assedio militare. Da agosto, gli Stati Uniti mantengono nel Mar dei Caraibi il più ampio dispiegamento navale e aereo degli ultimi decenni, inizialmente giustificato con la lotta al narcotraffico ma che, come evidenzia il governo venezuelano, ha mostrato il suo vero volto. La narrazione ufficiale di Washington, infatti, ha subito una prevedibile torsione, passando dalla guerra alla droga a un discorso apertamente centrato sul controllo delle risorse energetiche del Venezuela. Azioni concrete, come la recente requisizione (illegale) di almeno due petroliere da parte statunitense - definita da Caracas un atto di "pirateria" e "furto" -, conferma queste affermazioni. L’operazione ha avuto anche un costo umano: più di cento persone sono morte in oltre venti bombardamenti contro piccole imbarcazioni nelle acque caraibiche e del Pacifico, senza che Washington abbia pubblicamente dimostrato alcun legame di queste con attività illecite.
La tensione ha raggiunto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, convocato d’urgenza su richiesta del Venezuela. Davanti al consesso internazionale, il rappresentante permanente venezuelano, Samuel Moncada, ha condannato le azioni statunitensi definendole come "la riconquista di tutto il continente" e una "massiccia violazione del diritto internazionale". Una posizione che ha trovato un forte sostegno nella Russia, il cui ambasciatore Vasili Nebenzia ha avvertito che quanto accade al Venezuela potrebbe diventare un "modello per future azioni militari contro altri Stati latinoamericani". Anche Cina, Nicaragua, Cuba e diversi paesi della regione, tra cui Messico, Brasile e Colombia, hanno espresso solidarietà a Caracas.
Nel suo intervento, Maduro ha tracciato una cronistoria dei tentativi, tutti fallimentari, di Washington e dei suoi alleati interni di imporre un cambio di regime in Venezuela attraverso il sostegno a leader dell’opposizione estremista e golpista. Ha ricordato figure come Pedro Carmona Estanga, protagonista del golpe del 2002, Henrique Capriles Radonski, sconfitto nelle elezioni del 2013, e Leopoldo López. Con tono particolarmente duro, ha accusato ex funzionari della Casa Bianca - John Bolton, Rex Tillerson, John Kelly e Mike Pompeo - di aver "inventato" Juan Guaidó, investendo in lui "migliaia di milioni di dollari". Oggi, ha affermato, la stessa strategia si ripete evidentemente con María Corina Machado, da lui descritta come "la nuova versione di Guaidó", soprannominata "la Sayona", di "pensiero estremista e mente isterica". "Hanno sempre scommesso sull'estremismo", ha dichiarato Maduro, contrapponendo a questa strategia la costruzione da parte del chavismo di una "patria rafforzata, bella, pacifica e sovrana".
Il fulcro della risposta venezuelana è però una ferma dichiarazione di resistenza nazionale. Con un passaggio in inglese, il presidente ha scandito che è "impossible" per gli Stati Uniti imporre un modello di "dominazione coloniale e schiavista" per depredare le risorse del paese. "Qui c'è un popolo radicato nel territorio, nelle comunità, nelle università, nelle fabbriche, nelle caserme", ha proclamato, "e questo popolo ha dimostrato sufficiente capacità di condurre la nostra patria per il buon cammino". Un messaggio che vuole essere al tempo stesso di fermezza e di apertura al dialogo, ma solo se basato sul "rispetto reciproco". Maduro ha infine lanciato un appello ai media statunitensi, invitandoli a liberarsi dall'influenza delle molti "lobby" – da quella petrolifera ai corrotti di Miami - e ad aprire gli occhi sulla "Venezuela profonda che vuole la pace", che ha dalla sua "la ragione storica, legale, giuridica" e, ha concluso, "le benedizioni di Nostro Signore Gesù Cristo".
Data articolo: Sat, 27 Dec 2025 16:00:00 GMT
di Agata Iacono

di Federico Giusti
Le spese militari? A legge di Bilancio non ancora approvata sappiamo già che cresceranno esponenzialmente, basta invocare nuovi pericoli nazionali ed internazionale per accrescere i capitoli di spesa a fini di guerra.
Perchè, a scanso di equivoci, è bene sapere che nuovi sistemi di arma frutto di anni di ricerca e di complicate produzioni dovranno essere testate in un campo di battaglia. Non si costruiscono cannoni a fin di pace, tutte le storielle sulla deterrenza armata non hanno mai retto al cospetto della storia, le guerre spaziali negli Usa, tra gli anni ottanta e inizio novanta avevano l'obiettivo di mandare in crisi il blocco sovietico (incapace di reggere la competizione) ma anche di spianare la strada a processi di innovazione tecnologica duale (civile e militare)
Mentre il Parlamento italiano è ancora impegnato nella approvazione della Legge di Bilancio, leggendo i documenti aggiuntivi redatti dal Mef si inizia a comprendere come ogni uscita del Ministro Crosetto non sia occasionale ma ben studiata
Nel momento in cui si parlava di minacce interne e guerre ibride, la conferenza stampa in Parlamento sulla riforma dell'esercito annunciata per inizio 2026 mentre in Germania le piazze si riempivano contro la leva obbligatoria, puntualmente il ministro Crosetto interveniva con alcune puntualizzazioni che poi abbiamo ritrovato nei programmi di Governo.
Il peso di questo ministro nell'Esecutivo Meloni è senza dubbio tra i più rilevanti.
Le prossime settimana saranno dedicate intanto alla riorganizzazione della Difesa, quali saranno le linee guida le apprendiamo dalla nota integrativa al disegno delle Legge di Bilancio
- eliminare le duplicazioni e velocizzare il processo decisionale;
- attestare e razionalizzare le funzioni critiche, di policy e indirizzo, all’Autorità Politica;
- rivedere e modernizzare la formazione del personale, definendo le competenze necessarie e creando i percorsi per acquisirle;
- rivedere e rendere più dinamica la gestione della comunicazione; - dare impulso alla ricerca e sviluppo, razionalizzando le capacità interne e coinvolgendo gli attori esterni, pubblici e privati;
- rivedere il corpo normativo e proporre modifiche per snellire e velocizzare le procedure.
DLBNOT1C_120.pdf
Gli argomenti trattati sono sempre gli stessi, a pensarci bene non rappresentano una novità, si parla da tempo di evitare doppioni anche nella produzione dei sistemi di arma ma tra il dire e il fare c'è sempre grande differenza come dimostra il riarmo europeo delle ultime settimane, l'acquisto da parte tedesca di sistemi missilistici dagli Usa (anche da Israele?) quando avrebbe potuto attingere da produzioni europee.
Non basta la sinergia tra aziende per dotarsi di una politica militar industriale competitiva con Usa e Israele, molto dipende dai tempi del riarmo, dalle spinte costruite ad arte da parte degli Usa per favorire corposi e veloci acquisti di armi bruciando sul tempo il complesso Ue. E se guardiamo alla alleanza tra due colossi del settore militare europeo, una azienda tedesca e una italiana si capisce che entrambe guardano con crescente interesse alla produzione negli Usa in sinergia con marchi locali, al contrario di quanto invece vorrebbe la Francia di Macron.
E, a nostro modesto avviso, per ragioni differenti tra loro, tanto la Germania quanto l'Italia potrebbero essere i paesi che maggiormente spingono in una certa direzione auspicata, guarda caso, dagli Usa.
E nel frattempo Crosetto spiega quali saranno gli indirizzi della riforma del sistema militare che sarà ancora costruito su base volontaria.
Urge tuttavia ridurre l’età media del personale, al progressivo “invecchiamento” dei Graduati si risponde con una corsia preferenziale agli ex militari nella Pubblica amministrazione, regole previdenziali differenti dai civili e senza dubbio più favorevoli, un welfare potenziato, la formazione per destinare militari avanti negli anni ad altre mansioni, da qui la necessità di sviluppare e padroneggiare le nuove tecnologie (in primis dominio dello spazio e cyber).
Ma quello che temiamo è ben altro ossia l'acquisire da parte del settore militare una peso sempre maggiore nello Stato e nella comunità secondo quei dettami da economia di guerra già sperimentati nel da altri paesi. Serviranno poi percorsi celeri per far passare i militari inidonei ai servizi civili favorendo l'immediata assunzione in ruolo di nuove e più giovani figure professionali in campo bellico, sarà necessario intervenire nella legislazione vigente e favorire la capacità reclutativa fino alla istituzione di una “Forza di Riserva” (sul modello israeliano e in parte tedesco), aggiuntiva alle Forze regolari.
Aspettiamoci allora una vera e propria riforma del sistema pensionistico per i militari, una sorta di "previdenza dedicata" che sarà senza dubbio vantaggiosa rispetto alle norme adottate in ambito civile.
Ove si parla di valorizzare le competenze altamente qualificate possiamo anche attenderci aumenti stipendiali assai maggiori di quelli accordati ai lavoratori pubblici.
Uno spazio ad hoc meriterebbe l’introduzione di misure di mitigazione economica, rispetto all’aumento generalizzato del costo della
vita, a favore del personale militare che, con le relative famiglie, è tenuto a trasferirsi per esigenze di servizio in ambito nazionale ed estero. Se un insegnante o un infermiere va a lavorare lontano da casa deve sostenere innumerevoli spese, al contrario il militare avrà una sorta di welfare a sua disposizione, case magari a disposizione e interventi atti ad agevolare il suo trasferimento. Questa è la economia di guerra ossia un sistema pubblico piegato alla guerra e ai suoi voleri.
Nel giro di poche ore, la mossa diplomatica di Israele ha scatenato un terremoto geopolitico. Dopo che Tel Aviv ha riconosciuto ufficialmente la repubblica autoproclamata di Somaliland come Stato indipendente e sovrano, diventandone il primo alleato internazionale, l'attenzione si è immediatamente spostata sulla reazione degli Stati Uniti. Tuttavia, il presidente Donald Trump ha bruscamente spento ogni speculazione, prendendo le distanze dall'iniziativa israeliana con un secco rifiuto. "Chi sa veramente cos'è Somaliland?", ha dichiarato telefonicamente al New York Post da un campo da golf in Florida, aggiungendo, quando interrogato su un eventuale riconoscimento USA: "Semplicemente di no".
La freddezza di Trump contrasta con le intenzioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che aveva annunciato di voler discutere con il presidente statunitense, in un incontro previsto per lunedì, della possibile adesione di Somaliland agli Accordi di Abramo. Questi accordi, siglati nel 2020 su impulso della stessa amministrazione Trump, avevano normalizzato le relazioni tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Netanyahu ha giustificato il riconoscimento di Somaliland proprio come un'espansione di quello "spirito". Tuttavia, Trump ha chiarito di non volersi lasciare influenzare, auspicando piuttosto che il colloquio con Netanyahu si concentri sulla situazione nella Striscia di Gaza.
La decisione israeliana, presa in un momento di crescente isolamento internazionale per le sue operazioni militari (leggi genocidio) a Gaza, è ampiamente interpretata come una mossa strategica per aprirsi un varco nel Corno d'Africa. Analisti israeliani sottolineano la necessità di acquisire alleati nella regione del Mar Rosso, cruciale per le rotte commerciali e per possibili scenari di confronto con gli Houthi dello Yemen. La posizione strategica di Somaliland, affacciata sul Golfo di Aden, ne fa un partner potenziale di valore.
Questa logica, però, si scontra con un muro di condanne internazionali. La manovra è stata definita un "fatto compiuto" che mina il diritto internazionale e la stabilità regionale. Oltre cinquanta paesi, insieme all'Unione Africana e a governi chiave come Turchia, Egitto e Gibuti, hanno respinto con forza il riconoscimento. L'Unione Africana ha espresso "profonda preoccupazione", ribadendo il sostegno all'integrità territoriale della Somalia e avvertendo che si crea un "precedente pericoloso" per tutto il continente.
La Turchia ha bollato la decisione come un "nuovo esempio di azioni illegali" che generano instabilità, paragonando la negazione del diritto alla statualità per la Palestina alla creazione artificiale di nuovi Stati in Africa. Il governo somalo, dal canto suo, ha denunciato un "attacco deliberato" alla sua sovranità, ricordando che il Somaliland è una parte inalienabile del suo territorio.
Mentre Trump chiude la porta a un impegno USA, la comunità internazionale si stringe attorno alla Somalia, lasciando Israele solo, per ora, nel suo riconoscimento. La partita sul Somaliland si rivela così non solo una questione di autodeterminazione, ma uno specchio delle tensioni geopolitiche globali, dove le alleanze si frammentano e il diritto internazionale viene sfidato da calcoli di pura realpolitik.
Data articolo: Sat, 27 Dec 2025 14:22:00 GMTIl governo venezuelano ha posto nuovamente sotto i riflettori internazionali la dura questione delle sanzioni statunitensi, questa volta attraverso un rapporto di esperti delle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri Yván Gil ha diffuso tramite i suoi canali ufficiali il documento, definendo il blocco navale imposto da Washington "illecito e unilaterale". Secondo Caracas, queste misure rappresentano una palese aggressione non solo contro il paese sudamericano, ma contro l'intera regione, minacciando diritti fondamentali come la pace, il libero commercio e la navigazione.
Gli esperti delle Nazioni Unite, i cui pareri sono stati fatti propri dal governo venezuelano, sollevano un'accusa gravissima. Questi sostengono che non esista alcun diritto a imporre sanzioni unilaterali attraverso un blocco, arrivando a qualificare tale azione come un vero e proprio "attacco armato". Questa definizione, che richiama l'articolo 51 della Carta ONU, apre a scenari giuridici di notevole peso, poiché quel articolo sancisce il diritto all'autodifesa in caso di aggressione.
Il rapporto degli specialisti internazionali avanza preoccupazioni precise, sottolineando come le sanzioni possano configurarsi come illegali, sproporzionate e punitive secondo il diritto internazionale. La condanna si estende oltre l'aspetto economico, toccando un nervo scoperto: il diritto alla vita. Gli esperti, infatti, collegano le misure coercitive alle esecuzioni extragiudiziali, denunciando come queste ultime costituiscano una violazione arbitraria e inumana di un diritto inviolabile.
Il Ministero degli Esteri venezuelano, nel ribadire il suo totale ripudio, ha espresso apprezzamento per l'appello contenuto nel comunicato ONU a un'azione collettiva degli Stati membri. L'obiettivo dichiarato è la protezione e la salvaguardia del diritto internazionale, che si trova sotto un pesante attacco portato dalle tracotanti politiche unilaterali di Washington. Questa presa di posizione rafforza la campagna diplomatica del governo bolivariano, che è impegnato nel costruire un fronte di consenso contro le pressioni statunitensi, inquadrando la contesa non come una questione bilaterale, ma come una minaccia all'ordine multilaterale e ai principi della Carta delle Nazioni Unite.
Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 17:25:00 GMT
di Francesco Santoianni
In settimana evidenziavamo l’abissale livello raggiunto dai mass media di regime (e il conseguente crollo di lettori) segnalando un articolo apparso su Repubblica sui soldati di Putin costretti a scappare a dorso di cavalli o asinelli di fronte all’avanzare dell’esercito ucraino; articolo anonimo e, forse, imposto dalla direzione editoriale. Oggi Repubblica sfodera un altro capolavoro, questa volta firmato dal suo giornalista di punta, intitolato: << La guerra di Putin uccide in Finlandia: i lupi sconfinano e fanno strage di renne. I cacciatori si sono dovuti arruolare e così questi predatori si riproducono indisturbati e cercano cibo al di là della frontiera >>; una “notizia” (creata su un controverso articolo della CNN <<Le "renne di Babbo Natale" sono a rischio. La colpa è dei lupi russi?>>) che si direbbe faccia da pendant con un’altra subdola campagna stampa contro la Russia basata su un altro simpatico animale: il “delfino di Putin”.
Ma addentriamoci nella disamina dell’articolo della CNN il cui titolo, a differenza di quello di Repubblica, si conclude con un punto interrogativo e che, sostanzialmente, si limita a riportare, con sorprendente cautela, la teoria dei bracconieri russi (in Russia, circa 100.000 esemplari, il lupo è una specie protetta) che sarebbero ora impegnati in Ucraina.
<<La teoria è che le renne finlandesi vengano uccise in gran numero dai lupi russi che attraversano il confine di oltre 1.300 chilometri che corre tra i due paesi. Il motivo esatto per cui i lupi in queste regioni di confine russe stiano attraversando il confine con la Finlandia è oggetto di un continuo dibattito scientifico. Alcuni media russi hanno documentato l'impatto dell'industria del legname sugli habitat della fauna selvatica in questa parte del Paese. Un’altra teoria punta (invece) alla guerra in Ucraina. (…)
Sebbene le popolazioni di lupi siano aumentate in tutta Europa, la spiegazione più diffusa in Finlandia per il numero record di attacchi di lupi nelle regioni settentrionali di allevamento delle renne si trova a centinaia di chilometri di distanza: nelle profondità delle trincee russe dell'Ucraina. (…) Si dice che in Russia si stiano cacciando meno lupi, grazie al reclutamento di massa e alla parziale mobilitazione di uomini abili al combattimento – cacciatori inclusi – nello sforzo bellico russo in Ucraina. E questo porterebbe a un'esplosione di predatori come orsi, ghiottoni, linci e lupi, tutti predatori di renne.>>
Ovviamente, dell’aumento del numero degli orsi, dei ghiottoni (mammiferi carnivori della famiglia dei mustelidi) e delle linci, nessuna traccia. In compenso, gli scienziati intervistati dalla CNN si affidano (oltre ad un insolito DNA ritrovato nelle feci di lupi) ad una tabella che dovrebbe attestare il legame tra l’aumento delle aggressioni dei lupi e la guerra in Ucraina.

In realtà, quello che la tabella evidenzia si direbbe un aumento progressivo delle aggressioni dei lupi cominciato nel 2013 e, rispetto al 2021, un vistoso calo del numero delle aggressioni (registrato negli anni 2022, 2023, 2024). Una situazione che, in Finlandia, nonostante l’inconsistenza della documentazione, ha scatenato la psicosi dei “lupi di Putin” e una legge, che abrogando una protezione in vigore dal 1973, permetterà di uccidere ben 65 lupi su una popolazione complessiva di appena 400 esemplari.
Poveri lupi. E povero Babbo Natale che, ora senza renne, si è ridotto a derubare i bambini. Ovviamente, per colpa di Putin.
Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 17:00:00 GMT
Nel cuore della notte di Natale, quando Washington era immersa nelle celebrazioni, un annuncio su Truth Social ha proiettato la Nigeria al centro della politica estera statunitense. "Questa notte, sotto la mia direzione, gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell'ISIS nel nord-ovest della Nigeria". Con queste parole, il presidente Donald Trump ha rivendicato un raid aereo nello Stato nigeriano di Sokoto, scatenando un turbine di reazioni che mescola sicurezza, geopolitica, fede e campagna elettorale.
L'operazione, definita "su richiesta delle autorità nigeriane" dal Comando Africano degli Stati Uniti (AFRICOM) e confermata dal Ministero degli Esteri di Abuja come parte di una "cooperazione strutturata", è stata presentata da Trump come la risposta a una crisi umanitaria di proporzioni storiche. Già a inizio novembre, il presidente aveva tuonato contro quello che definiva un genocidio: "I combattenti dell'ISIS hanno attaccato e brutalmente ucciso cristiani innocenti, a livelli non visti in molti anni, persino secoli!", promettendo che se gli attacchi non fossero cessati, si sarebbe scatenato "un inferno".
At the direction of the President of the United States and the Secretary of War, and in coordination with Nigerian authorities, U.S. Africa Command conducted strikes against ISIS terrorists in Nigeria on Dec. 25, 2025, in Sokoto State.
— U.S. Africa Command (AFRICOM) (@USAfricaCommand) December 26, 2025
Il simbolismo dell'attacco nel giorno del Natale non è stato casuale. "Auguro Buon Natale a tutti, inclusi i terroristi morti, che saranno molti di più se il massacro di cristiani continua", ha scritto Trump. Un messaggio che risuona potentemente tra la sua base: gli elettori cristiani evangelici, tra i suoi sostenitori più ferventi, per i quali la difesa dei correligionari perseguitati all'estero è una priorità assoluta.
PHOTO STORY: Relics of explosive materials in Jabo village of Sokoto State after the US precision strikes on ISIS terrorists in North-West West Nigeria late Thursday.
— LEADERSHIP NEWS (@LeadershipNGA) December 26, 2025
Villagers troop out to catch a glimpse and report no casualties. pic.twitter.com/hzfOsO8k8e
Tuttavia, sul terreno nigeriano, il quadro dipinto da Trump si scontra con una realtà più complessa. Il governo di Abuja ha prontamente respinto le sue accuse di una persecuzione esclusivamente anti-cristiana, sottolineando come i gruppi jihadisti colpiscano indiscriminatamente sia comunità musulmane che cristiane. La sicurezza nazionale, affermano, non può essere ridotta a una narrativa religiosa binaria.
— Ministry of Foreign Affairs, Nigeria ???????? (@NigeriaMFA) December 26, 2025
Il raid ha colpito Sokoto, uno Stato a schiacciante maggioranza musulmana. Secondo analisti di sicurezza consultati da AP, il bersaglio più probabile non è la ben nota filiale di Boko Haram, ma un gruppo meno conosciuto affiliato all'ISIS chiamato Lakurawa. Questo gruppo, emerso con forza negli ultimi anni, controlla territori negli Stati nord-occidentali, approfittando del vuoto lasciato dal governo centrale e dalle forze di sicurezza. Come ha ammesso lo stesso ministro della Difesa nigeriano, Christopher Musa, la soluzione alla crisi è solo per il 30% militare; il restante 70% dipende dall'applicazione di politiche efficaci e dallo sviluppo.
È proprio da Sokoto che è arrivata la reazione più veemente e carica di conseguenze politiche. L'influente sceicco musulmano Sheikh Ahmad Abubakr Mahmud Gumi ha condannato il raid come un atto simbolico di una nuova "crociata anti-islamica". In una dichiarazione infuocata, Gumi ha invocato la fine di ogni cooperazione militare con gli Stati Uniti, accusati di "tendenze imperialiste globali". "Il coinvolgimento degli USA, giustificato con la scusa di 'proteggere i cristiani', non farà altro che polarizzare la nostra nazione e violare la nostra sovranità", ha affermato il clerico.
La sua proposta è radicale: abbandonare l'alleato statunitense e rivolgersi a partner considerati più neutrali, come Cina, Turchia e Pakistan, per un supporto militare meno carico di bagagli ideologici. "Come principio, nessuna nazione dovrebbe permettere che la propria terra diventi un teatro di guerra. E nessuna nazione dovrebbe permettere che i suoi vicini diventino i suoi nemici", ha aggiunto Gumi, delineando una visione di non-allineamento.
Mentre il Segretario alla Guerra USA, Pete Hegseth, promette che "ce ne saranno altri", il rischio per la Nigeria è di trovarsi stretta in una morsa pericolosa tra terrorismo e imperialismo statunitense.
Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 16:47:00 GMTIl tentativo dell'Occidente collettivo di mantenere un dominio che sta sfuggendo di mano attraverso misure coercitive unilaterali "in un mondo multipolare non regge". Lo ha affermato la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, lanciando un duro attacco contro la politica sanzionatoria guidata dagli Stati Uniti e dai loro alleati/vassalli.
Secondo la diplomatica, il potere di imporre tali misure spetta esclusivamente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e la prassi delle sanzioni unilaterali ne viola i diritti esclusivi. "Tutti sanno che l'Occidente collettivo vi ricorre frequentemente, mosso principalmente da interessi geopolitici", ha sottolineato Zakharova.
Nel suo intervento, ha definito queste misure "un serio ostacolo all'instaurazione di un ordine mondiale multipolare giusto ed equo" e "uno dei principali strumenti della politica neocoloniale dell'Occidente". Il loro obiettivo, ha accusato, è "aggrapparsi a un dominio che scivola via, privare la maggioranza globale del diritto a una scelta politica indipendente e ostacolarne lo sviluppo economico, tecnologico e industriale".
Zakharova ha anche respinto gli sforzi di chi promuove queste sanzioni per dipingerle come "mezzi pacifici per risolvere le controversie", affermando che tali pretese non reggono a un esame approfondito. Ha evidenziato come le misure coercitive unilaterali, ostacolando il pieno sviluppo socio-economico dei paesi del Sud e dell'Est del mondo, finiscano per minare la risoluzione delle crisi. La loro applicazione indiscriminata, ha aggiunto, viola diritti umani fondamentali, colpendo in modo sproporzionato le fasce più vulnerabili, come più volte condannato in risoluzioni dell'Assemblea Generale e del Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU.
La portavoce ha concluso indicando che il "Gruppo di amici in difesa della Carta delle Nazioni Unite", che include la Russia, è in prima linea nella lotta contro queste pratiche. "Siamo convinti che nella giusta architettura multipolare delle relazioni internazionali a cui aspiriamo non ci sia posto per la coercizione o l'egemonia neocoloniale. Insieme ai nostri partner - membri responsabili della maggioranza globale - continueremo a combattere tutte le vestigia dell'epoca coloniale vergognosa", ha concluso Zakharova.
Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 16:03:00 GMTIl presidente russo Vladimir Putin, nel corso di un incontro sul programma statale per gli armamenti, ha delineato una visione chiara e risoluta del presente e del futuro delle Forze Armate della Federazione Russa, forgiate da quella che definisce "un'esperienza unica" maturata nella zona dell'operazione militare speciale. In un intervento che ha toccato i temi della modernizzazione, della produzione industriale e della disponibilità al dialogo, il capo del Cremlino ha sottolineato come il carattere dinamico del conflitto stia plasmando un esercito senza pari al mondo.
Come evidenziato da Putin, la natura, le forme e i metodi delle azioni di combattimento si evolvono costantemente, e il "bagaglio assolutamente inestimabile" acquisito dalle truppe al fronte viene integralmente trasfuso nella definizione del nuovo profilo delle Forze Armate e del complesso militare-industriale. Un processo di apprendimento continuo che diventa la pietra angolare per lo sviluppo futuro. Il presidente ha quindi ribadito con forza un concetto: le Forze Armate russe sono una realtà totalmente unica, composta da professionisti temprati dal fuoco della battaglia. "Non esiste un esercito simile al mondo. Semplicemente non esiste", ha affermato, riconoscendo al contempo l'esistenza di "molti problemi" ma descrivendo le truppe che ritornano dal fronte come "completamente diverse", ormai "indurite dal combattimento".
Pur nell'evidente orgoglio per questa forza in ascesa, Putin ha voluto riaffermare la tradizionale posizione negoziale di Mosca. "Come prima, siamo pronti ad avviare negoziati e a risolvere in modo pacifico tutti i problemi sorti negli ultimi anni", ha dichiarato, bilanciando la dimostrazione di potenza con un'apertura diplomatica.
Il potenziamento dell'esercito poggia saldamente sulle spalle di un complesso militare-industriale che, stando alle parole del presidente, opera ormai in un regime stabile ed efficiente. Putin ha fornito numeri precisi sulla crescita produttiva, evidenziando aumenti multipli rispetto al 2022 per le categorie più cruciali. La produzione di mezzi di protezione individuale corazzata è cresciuta di quasi 18 volte, mentre quella di munizioni e sistemi di attacco ha superato le 22 volte. Impressionanti anche gli incrementi per la tecnica blindata, i veicoli leggeri corazzati, l'aeronautica e l'armamento missilistico-artiglieristico, i cui volumi produttivi sono saliti, rispettivamente, di 2,2, 3,7, 4,6 e 9,6 volte.
Questo sforzo titanico, reso possibile anche da tempestive misure di sostegno statale, è stato esaltato da Putin, che ha ringraziato i collettivi degli stabilimenti della difesa per il loro "lavoro dedicato e valoroso". Tuttavia, il presidente ha anche indicato come obiettivo ulteriore la riduzione dei costi di produzione, ammettendo che "qui c'è sicuramente ancora su cosa lavorare". Ha poi collegato esplicitamente questo successo industriale alla salute dell'intera economia nazionale, sottolineando come senza una situazione stabile nella finanza e nell'economia nel suo complesso un simile traguardo sarebbe stato irraggiungibile.
Guardando al prossimo decennio, l'incontro ha avuto come obiettivo la definizione dei parametri fondamentali del nuovo Programma Statale per gli Armamenti 2027-2036. Putin ha posto l'accento sulla necessità di sviluppare ulteriormente la base di test e i poligoni, di implementare le tecnologie dell'intelligenza artificiale e di creare materiali avanzati. Questi indirizzi si inseriscono in un quadro strategico più ampio, già illustrato dal Ministro della Difesa Andrey Belousov, che poggia su quattro pilastri: la definizione di priorità chiare (forze nucleari strategiche, mezzi spaziali, difesa aerea, droni e sistemi basati su nuove tecnologie come l'IA), la costruzione del programma in base alle capacità di combattimento future, la sincronizzazione tra sviluppo, acquisizione e infrastrutture, e l'aumento della produttività nel settore della difesa.
Il programma, che interesserà l'intero spettro degli armamenti di nuova generazione, si baserà al massimo grado sull'esperienza acquisita nell'operazione militare speciale. Un'attenzione particolare sarà riservata al potenziamento della triade nucleare, già modernizzata al 95%, e alla creazione di sistemi d'arma moderni per l'aviazione.
Il messaggio che emerge è quello di una Russia che, partendo dalle prove del presente, sta già costruendo metodicamente il proprio strumento di sicurezza e difesa per i decenni a venire.
Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 15:48:00 GMT