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Lavoro e Lotte sociali
Le classi sociali e i cambiamenti futuri

 

di Federico Giusti

La disuguaglianza in Italia, risultato della diseguale distribuzione dei redditi, è maggiore nel nostro paese rispetto ad altri paesi Ue, questa disparità inizia a manifestarsi con i primi anni novanta tra privatizzazioni e esternalizzazioni dei servizi pubblici con il ricorso ad appalti e subappalti.

La crescita delle disuguaglianze non è stata costante nel corso degli ultimi 35 anni, in alcuni periodi sembrava avere subito un certo rallentamento ma sono proprio le due crisi, nel 2008 e nel periodo pandemico, a determinarne la crescita con il diffuso calo del potere di acquisto delle classi sociali.

L’Italia è tra i paesi Ue ove le disuguaglianze sono maggiormente cresciute, gli aumenti salariali sono stati differenziati, e in gran parte inferiori al reale costo della vita, i ceti più abbienti registrano aumenti decisamente maggiori (in percentuale) degli altri. La borghesia è diventata più ricca nell’ultimo trentennio, invariata la condizione di vita della piccola borghesia, tra gli autonomi registriamo un diffuso impoverimento mentre la classe operaia presenta condizioni peggiori del passato alle prese com’è con la perdita del potere di acquisto e diffusa precarizzazione.

Se guardiamo alle retribuzioni effettive, operai e pensionati, rispetto a 40 anni fa, sono tuttavia più distribuiti in alcune face di reddito, molte partite iva scendono verso il basso come le famiglie monoreddito o alle prese con contratti part time, la mobilità sociale vale molto più verso il basso che verso l’alto stando almeno ai dati forniti dalla Banca d’Italia. E prova ne sia anche la tendenza diffusa a raggiungere lo stesso livello di istruzione dei nostri padri, rispetto a 40 anni fa diplomati e laureati sono senza dubbio cresciuti di numero ma intanto sono lontani i tempi in cui la scolarizzazione era premessa per la mobilità sociale verso l’alto, per migliorare le condizioni di lavoro e di retribuzione.

L’ equivoco di fondo è rappresentato da una ricostruzione delle classi sociali in base solo ai consumi e agli stili di vita evitando di relazionarsi con le caratteristiche proprie del modo di produzione capitalista, nei fatti invece, accumulandosi redditi e ricchezze nelle mani di pochi, sono cresciute le famiglie povere risucchiando in questa condizione anche settori della piccola borghesia.

La fine del sogno italiano di diventare classe media arriva a metà degli anni settanta, dopo la crisi petrolifera e la politica dei sacrifici anche se trascorreranno altri anni prima di prendere atto di questa situazione.

Il reddito condiziona le scelte di vita, le spese per l’istruzione per molti anni sono state decisamente basse per molte fasce sociali ma non per le elites che hanno operato investimenti per consentire ai loro figli di acquisire competenze importanti e richieste dal mercato.

L’indebolimento della scuola pubblica ha giocato un ruolo determinante anche nella mancata mobilità sociale, eppure è stata proprio la cultura meritocratica ad illudere moltie di potere accedere alla mobilità sociale. La cultura del merito è stata una formidabile arma ideologica utilizzata all’occorrenza anche per ridurre il potere di acquisto e di contrattazione nella Pubblica amministrazione (la famigerata performance) ma anche uno strumento di controllo sociale per ridurre ai minimi termini la conflittualità (a tal riguardo un ruolo determinante è stato giocato dalla involuzione concertativa dei sindacati).

In ogni caso nelle famiglie con minor grado di istruzione la condizione economica è decisamente peggiore e il collegamento tra bassa scolarizzazione e condizione di vita precaria è ancora oggi valido perché titolo di studio e professione sono ancora oggi connessi.

Ma appartenere alla classe popolare ancora oggi significa accedere a scuole superiori di rango professionale e i livelli di istruzione dipendono sempre più dai redditi familiari posseduti. E analogo discorso potremmo fare per i non occupati, l’esercito industriale di riserva e gli esclusi dal mondo lavorativo sono per lo più o senza istruzione o in possesso di titoli di studio bassi. Pensiamo alla svolta green dell’economia o all’avvento della digitalizzazione per capire che nei prossimi anni avremo un aumento dei disoccupati soprattutto nelle fasce popolari della popolazione anche in virtù del fallimento riscontrato dalle politiche attive del lavoro, di orientamento e formazione.

E per quanto le donne siano svantaggiate rispetto agli uomini nel mercato del lavoro (contratti part time o precari, paghe inferiori) conta più molto la classe del genere, il divario di classe potrà essersi ridotto ma rimane comunque elevato.

Le statistiche ufficiali sulla disoccupazione non sono di aiuto se risultano occupati anche quanti hanno lavorato pochissimi giorni nell’arco dell’anno, fatto sta che i dati Eurostat fotografano la fascia di età dai 25 ai 34 anni come quella caratterizzata dall’elevato numero di persone che non studiano e risultano disoccupate.

Poi un capitolo a parte meriterebbe il divario territoriale e una analisi di classe se ricondotta alle tre aree del paese (Nord, cento, sud e isole) potrebbe anche assumere connotati diverse da una valutazione relativa all’intera nazione. Ma qui entrano anche in gioco i fenomeni migratori che continuano ad essere molto presenti nelle aree meridionali, fatto sta che un eventuale ritorno al sistema delle gabbie salariali determinerebbe condizioni retributive e di vita ancor peggiori nelle aree meno industriali e povere del paese.

Rispetto a 40 o 50 anni fa nel Sud la presenza della piccola e media borghesia continua ad essere inferiore rispetto ad altre aree geografiche.

Le classi sono da tempo scomparse nel discorso pubblico, lo Stato leggero ha sacrificato le politiche attive del lavoro senza per altro ampliare i confini del welfare adattandoli ai nuovi bisogni sociali.

I rapporti di dominio tuttavia non sono mutati, è entrato invece in crisi il conflitto distributivo sul quale si erano soffermati in ambito politico e sindacale. Non è quindi la divisione in classe ad essere scomparsa ma debbono invece essere aggiornate le interpretazioni delle classi stesse alla luce dei cambiamenti produttivi.

E’ invece entrata in crisi la rappresentanza politica e sindacale delle classi popolari in anni nei quali è stato demonizzato il conflitto sociale e quello tra capitale e lavoro soffermandosi invece sulla crisi di identità con la feroce ristrutturazione dell’apparato produttivo che ha visto spostare gli operai dalle fabbriche ai magazzini della logistica e del terziario.

La malsana idea della società liquida è stata perdente, il fascino verso le classi medio alte ha portato a intraprendere percorsi di riduzione del welfare e sistemi fiscali dominati dalla riduzione delle aliquote fiscali.

Ma complessivamente, per chiudere il nostro ragionamento, la classe operaia non è scomparsa, le classi medie sono senza dubbio cresciute come del resto i divari sociali dentro alcuni processi di cambiamento da interpretare non solo in chiave sociologica ma per aggiornare invece la nostra analisi delle classe sociali dalle quali  urge invece ripartire.

 

Data articolo: Tue, 08 Oct 2024 06:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La sfida tra Lula e Bolsonaro continua nelle elezioni municipali in Brasile

Le recenti elezioni municipali in Brasile hanno delineato un quadro politico complesso e polarizzato, anticipando le dinamiche che caratterizzeranno le presidenziali del 2026. I principali protagonisti sono ancora una volta l'attuale presidente Luiz Inácio Lula da Silva e il suo predecessore, l'ex presidente Jair Bolsonaro, come evidenzia teleSUR. Sebbene entrambi abbiano mantenuto un profilo relativamente basso durante la campagna elettorale, i risultati delle urne mostrano chiaramente l'influenza di queste due figure sulle scelte politiche dei cittadini brasiliani.

I risultati

Secondo i dati diffusi dal Tribunale Superiore Elettorale (TSE), il Partito Social Democratico (PSD), di destra ma alleato di Lula, e il Movimento Democratico Brasiliano (MDB), che ha ricevuto il sostegno di Bolsonaro, hanno ottenuto rispettivamente 887 e 863 sindaci eletti in un totale di 5.569 municipi. A queste cifre si aggiunge il risultato del Partito dei Lavoratori (PT), fondato dallo stesso Lula, che ha conquistato 252 municipalità, ampliando la propria rappresentanza soprattutto nelle aree rurali del paese.

Nonostante la destra radicale abbia vinto in alcune delle principali capitali brasiliane, i candidati di sinistra sono riusciti ad accedere al secondo turno in città chiave come San Paolo, Porto Alegre, Fortaleza, Cuiabá, Natal e Aracaju. La seconda tornata elettorale si terrà il 27 ottobre e sarà decisiva per capire il futuro assetto politico di queste grandi metropoli.

A San Paolo, la corsa al ballottaggio sarà tra Guilherme Boulos, leader del Movimento dei Lavoratori Senza Tetto (MTST) e candidato sostenuto da Lula, e l'attuale sindaco Ricardo Nunes, del MDB, vicino a Bolsonaro. Boulos ha ottenuto il 29% dei voti al primo turno, contro il 29,49% di Nunes, dimostrando una forte polarizzazione tra le forze politiche in campo. La traiettoria di Boulos, basata sul suo attivismo sociale e la difesa dei diritti abitativi, rappresenta una nuova corrente progressista nella politica brasiliana, mentre Nunes ha cercato di attrarre l'elettorato di destra avvicinandosi alle posizioni di Bolsonaro.

A Rio de Janeiro, Eduardo Paes, sindaco uscente e candidato centrista sostenuto da Lula, ha vinto con un netto 60,2% dei voti, battendo il candidato bolsonarista Alexandre Ramagem. Con questa vittoria, Paes rinnova il suo mandato per la quarta volta, confermando il suo controllo sulla città nonostante la sfida lanciata dalla destra.

La crescita dei movimenti sociali: MST e MTST in ascesa

Le elezioni hanno anche segnato un momento storico per il Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra (MST), che per la prima volta ha partecipato con propri candidati in diverse municipalità del paese. Il MST ha ottenuto 39 seggi da consigliere comunale in 15 stati brasiliani, dimostrando la propria forza elettorale soprattutto nelle aree rurali del nord-est e del sud-est del Brasile. Tra i principali temi promossi dal movimento ci sono la democratizzazione dell'accesso alla terra, la lotta contro la fame e la promozione di politiche ambientali sostenibili.

Maira Marinho, docente dell'Università Statale di Rio de Janeiro e attivista del MST, è stata eletta consigliera comunale a Rio de Janeiro, portando avanti la lotta contro l'insicurezza alimentare e promuovendo iniziative a favore dell'ecologia. Nel contesto di una crescente polarizzazione politica, il MST ha dovuto affrontare la sfida di contrastare l'influenza delle forze di estrema destra ancora attive in molte regioni del Brasile.

Anche il Movimento dei Lavoratori Senza Tetto (MTST), attraverso la figura di Boulos, ha fatto significativi progressi nelle elezioni, dimostrando la crescente popolarità delle cause popolari e il consolidamento della sinistra sociale nel panorama politico brasiliano.

Il contesto politico e sociale del Brasile

Queste elezioni municipali si sono svolte in un momento delicato per il Brasile, segnato da una forte polarizzazione politica e da emergenze ambientali come incendi record e siccità. Tuttavia, il tema ambientale è stato quasi assente dal dibattito elettorale, dominato invece da questioni legate alla disinformazione e alle "fake news". La campagna elettorale è stata inoltre influenzata dalla temporanea sospensione della piattaforma social X (precedentemente nota come Twitter), ritenuta responsabile di diffondere disinformazione. Sebbene Elon Musk abbia successivamente pagato le multe e ripristinato il servizio, il periodo di assenza ha reso la comunicazione più difficile per molti candidati.

Con un'affluenza del 78,29%, i brasiliani hanno mostrato una significativa partecipazione nonostante il voto sia obbligatorio. La presidente del TSE, Carmen Lúcia Antunes, ha elogiato l'efficienza del sistema di voto elettronico, sottolineando che solo lo 0,6% delle urne ha presentato problemi, risolti rapidamente.

Le elezioni municipali in Brasile rappresentano dunque un'importante prova per le forze politiche nazionali, tracciando una mappa del potere a livello locale che avrà ripercussioni dirette sulle future elezioni presidenziali. Lula e Bolsonaro restano i principali punti di riferimento, ma la crescita di movimenti sociali come l'MST e l'MTST dimostra che nuovi attori, anche dal punto di vista elettorale, stanno emergendo sulla scena politica brasiliana.

Data articolo: Mon, 07 Oct 2024 16:02:00 GMT
Il Principe
Le istituzioni e i media braccia armate del colonialismo imperialista

 

di Giuseppe Giannini

C'è un tratto in comune che lega le attuali prese di posizione occidentali concernenti i conflitti in corso in Ucraina e Medio Oriente. Riguarda la continuità delle secolari politiche imperialiste con quelle coloniali, che di queste rappresentano un aspetto non trascurabile, poichè entrambe mirano al dominio su aree, più o meno estese, mettendo a rischio la sopravvivenza di popoli e territori.

Al fine di giustificare le mire predatorie i protagonisti e i loro complici utilizzano ogni strumento possibile, e fanno dell'indottrinamento l'arma più usata per asservire. Una tattica diventata prassi già all'indomani della narrazione parziale sul covid, che sta lì a dimostrare come la democrazia, quale libertà di manifestazione del pensiero e del dissenso, sia qualcosa di puramente formale. Quando ci sono interessi economici e/o militari preminenti bisogna sacrificare le regole scritte, con buona pace di chi ancora si ostina a credere nel rispetto del diritto.

Così l'orrore messo in pratica dal disegno criminale di Israele - la più lunga guerra della sua storia, con un numero di morti in proporzione superiore a quello degli altri recenti decennali conflitti (Siria, ex Jugoslavia), vista anche la asimmetria del conflitto -  viene considerato necessario dagli alleati occidentali perchè " Israele ha il diritto di difendersi" ripetono sino allo sfinimento. A parte il fatto che, come ricorda l'ONU, la legittima difesa non vale per i territori occupati, non è che  forse questi intendono che il regime sionista ha il diritto di attaccare? Perchè quello messo in atto dall'estrema destra razzista al governo in combutta con i settori più esaltati e fanatici dell'integralismo religioso ebreo è una guerra di distruzione su più campi. Il pretesto è stato l'attentato di Hamas. Attualmente sono sette i fronti di guerra aperti. Innanzitutto Gaza, dove continuano i bombardamenti nonostante più di 40 mila morti, e centinaia di migliaia di dispersi e sfollati. E inoltre la distruzione delle infrastrutture essenziali, degli ospedali, e delle scuole (scolasticidio). Annientare il sistema formativo, le università, gli archivi, mira a cancellare la civiltà di un popolo e con essa la memoria da tramandare. Un'operazione che ricorda quanto fatto dall'Isis, che abbattendo siti archeologici e monumenti, ha cercato di riscrivere la storia. Accanto alla striscia di Gaza ci sono i crimini dei coloni in Cisgiordania, e i missili in Libano e Siria. E gli interventi militari in Iran, Iraq e Yemen.

Tale estensione del conflitto non preoccupa Israele, sicura del sostegno degli USA, però tirando in ballo le alleanze dei Paesi coinvolti passivamente dall'esportazione della loro guerra potrà chiamare in causa non solo tutto il mondo arabo, ma ancora una volta la Russia, già accerchiata dalle basi Nato e che ha strette relazioni politico-diplomatiche con l'Iran e la Siria.

Le provocazioni di Israele e la propaganda di parte, che ha assunto una sfacciataggine al pari di quella verso l'Ucraina.

Eravamo, in un certo senso, abituati a sopportare il gioco occidentale che ad Israele permetteva di tutto: dall'illegalità degli insediamenti alle continue violazioni del diritto internazionale, e il mancato rispetto delle risoluzioni dell'Onu ( come gli USA). La Nakba del 1948 (prima guerra arabo - israeliana) ha rappresentato solo l'inizio delle violenze che si perpetrano all'infinito, dove gli abusi, gli arresti arbitrari e le uccisoni facili, i fermi amministrativi anche in mancanza di prove pure nei confronti dei minori, e le torture, rappresentano la triste realtà per chi vive sotto occupazione dal 1967 (guerra dei sei giorni) . Dopo l'attacco di Hamas la legittimità di ogni illegalità è diventata l'ulteriore prezzo da pagare per i palestinesi, già prostrati dal vivere sotto un regime di apartheid (confermato dalla legge che dal 2018 definisce Israele lo Stato-nazione del solo popolo ebraico). Discriminazioni evidenziate dalla Corte internazionale di giustizia poichè in Cisgiordania e a Gerusalemme i coloni attuano la segregazione razziale.

Oggi la tolleranza accordata ai crimini israeliani vede uniti i governi di diversi Paesi, che insieme agli inquietanti venditori di notizie, che ancora si spacciano per giornalisti, provoca per chi gli ascolta sgomento, rabbia, indignazione. Non passa giorno che, in qualsiasi trasmissione televisiva o giornale, ci si imbatta nelle alte cariche istituzionali che ci ricordano l'importanza della libertà di informazione e della democrazia. La loro concezione di democrazia, quella che mette in guardia dalle fake news provenienti dalla Russia (come se gli italiani si informassero attraverso i canali russi) ma finge di non sapere come la rete e i social siano gli stessi canali che, attraverso fact checkers e algoritmi poco intelligenti, censurano, bloccano o rendono difficile la condivisione di notizie scomode al potere "democratico". Quando sono loro a diffondere news fuorvianti allora va bene? Istituzioni che, a giorni alterni, scomodano la Costituzione e i Trattati internazionali mentre nel frattempo violano gli art. 10 e 11 della stessa, ed inviano armi. Evidentemente, considerano talmente ingenui i cittadini-utenti da potersi permettere di ribaltare la narrazione dei fatti. Ad esempio, quando parlano di Israele iniziano mettendo in mezzo l'Olocausto, arrivando al punto di dire che i palestinesi, invece che l'estremismo islamico, vogliono cancellare lo Stato di Israele. Cosi, quando militari superarmati, facenti parte di uno degli eserciti più potenti al mondo, rimangono vittime della superbia del proprio Paese ecco che i nostri pseudo comunicatori, fedeli al pensiero unico del potere coloniale – imperialista, in uno slancio emotivo pieno di enfasi, misto alla teatralità da principianti, ci raccontano il triste episodio delle "giovani vite cadute". A ribadire come le esistenze degli assaliti, spesso civili disarmati – donne, bambini, anziani, malati – non contano. Ed è quanto avviene anche nella narrazione pro Ucraina, dove l'invenzione dell'eroismo di un regime corrotto serve a celare i crimini verso i disertori  e le parentele con i settori nazisti. Secondo questa visione tendente ad esaltare una certa appartenenza, contigua agli interessi occidentali, le vite degne di essere vissute sono solo quelle che sposano tale assimilazione. Viene accettato solo chi è in via di occidentalizzazione e, in questo senso, le prossime adesioni dell'Ucraina alla Nato e alla UE sono emblematiche circa la disparità di trattamento che spetta a chi fugge da quei territori, accolti con orgoglio rispetto agli altri esodi derivanti dalle inique scelte politiche del mondo ricco. Tanto che quest'ultimi, nella migliore delle ipotesi, vengono definiti migranti ( e gli ucraini invece?) se non clandestini o terroristi.

Il doppiopesismo dei vassalli della Nato, disposti ad accettare le brutalità del sionismo, che mentre condanna l'invasione russa, tacendo colpevolmente sugli antefatti e le ingerenze, finge di non sapere/ vedere gli sconfinamenti nei territori altrui da parte di Israele. Che, oltre ad invadere Paesi sovrani, provoca con gli attentati, le bombe, i missili. Pur di non criticare Israele, e le mire espansionistiche degli USA/NATO nel caso ucraino,  i sudditi europei sono propensi ad approvare la guerra globale ed il sacrificio di centinaia di migliaia di vittime innocenti. Del resto, sono talmente abituati a violentare le vite di scarto (Iraq, Afganistan) che, una destabilizzazione qua ed un genocidio da non pronunciare là, vengono consentite dalle loro sporche coscienze, che una volta si vantavano di avere radici cristiane.

L'attualità della questione mediorientale, la cui mancata risoluzione nei decenni passati, l'ha fatta diventare quel groviglio inestricabile oggi tramutatosi in dramma umano. Il peso morale che tira in ballo le future generazioni e con esso la possibilità di immaginare ancora la convivenza fra culture e civiltà diverse.

 

Data articolo: Mon, 07 Oct 2024 15:16:00 GMT
WORLD AFFAIRS
IRCG: “il generale di brigata Esmail Qaani è in buona salute”

 

Il comandante della forza Quds dell'IRGC iraniana, il generale di brigata Ismail Qaani, ha consegna un messaggio a un vertice tenutosi nel primo anniversario dell’operazione di Hamas Tempesta di Al Aqsa.

 il vicecomandante del coordinamento della forza Quds, Iraj Masjedi, ha dichiarato che il generale di brigata Esmail Qaani è in buona salute e sta svolgendo i suoi compiti come al solito.

“Molti ci chiedono delle condizioni del generale di brigata Qaani. È sano e salvo e sta portando avanti le sue attività”, ha spiegato Masjedi.

I suoi commenti hanno fatto seguito alle speculazioni dei media sul ferimento o sul martirio di Qaani nel quartiere densamente popolato di Al-Dahiyeh, nel sud di Beirut, durante un massiccio attacco israeliano la scorsa settimana che, secondo quanto riferito, aveva preso di mira l'alto funzionario di Hezbollah Hashem Safieddine.

Data articolo: Mon, 07 Oct 2024 15:12:00 GMT
IN PRIMO PIANO
“Explosion pagers”. Il Washington Post rivela: il piano di Israele ideato prima del 7 ottobre

 

Emirates ha vietato walkie-talkie e cercapersone a bordo dei propri aerei, in conseguenza ai due attacchi tecnologici condotti da Israele, in varie località del
Libano, il 17 e 18 settembre. L’avviso è apparso nei giorni scorsi, sul sito ufficiale della compagnia. Il divieto riguarda sia il bagaglio a mano che quello inviato in stiva. Saranno sottoposti a confisca della polizia i dispositivi rinvenuti durante i controlli pre-imbarco, in violazione delle nuove restrizioni.

Come avevamo sottolineato in una precedente analisi, l’operazione denominata “explosion pagers” condotta dal’'intelligence israeliani contro Hezbollah, ha segnato uno spartiacque nella guerra elettronica e allertato molti Paesi per la sua potenziale minaccia alla sicurezza (e dunque alla libertà) dei propri cittadini.

La reazione dei servizi russi

I dispositivi elettronici da portare addosso, come quelli utilizzati da Israele per far esplodere i cercapersone dei membri di Hezbollah in Libano e Siria, rappresentano una minaccia diretta per la sicurezza della Russia e di altri ex stati sovietici. Lo ha dichiarato il capo dei servizi di sicurezza russi (FSB), Alexander Bortnikov, intervenendo a un incontro dei capi dei servizi speciali della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI):

"Come dimostrato dalle recenti azioni con l'esplosione di cercapersone e walkie-talkie in Libano e Siria – ha affermato -  i risultati del lavoro dei servizi segreti nemici per raccogliere informazioni sulla vulnerabilità delle risorse informative e l'introduzione segreta di "bookmakers" non possono essere utilizzati solo per distruggere le infrastrutture informative critiche, ma anche per organizzare gli omicidi dei funzionari governativi al momento giusto con l’aiuto dell’elettronica indossabile”.

Inoltre, secondo quanto riportato Reuters, per ragioni di sicurezza l’Iran avrebbe iniziato ad importare dispositivi di comunicazione da Cina e Russia, anche se il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, non ha confermato tali indiscrezioni.

Timore anche per l’India

L’India affronta un’importante minaccia, dal momento in cui la maggior parte della sua componentistica per i dispositivi di comunicazione è importata dall’estero. L’allarme arriva da Pradip R. Sagar, un analista strategico della testata India Today.

La capacità di colpire attraverso dispositivi manomessi è un’azione piuttosto “normale” per le agenzie di sicurezza. Ad esempio l’SBU ha più volte compiuto esecuzioni extragiudiziali contro individui considerati ostili, come Daria Dugina o Vladlen  Tatarsky, utilizzando ordigni esplosivi nascosti in auto o oggetti personali.

L’attacco tecnologico contro il Libano segna una svolta nelle operazioni di sabotaggio, per l’intervento a livello di supply chain, che ha consentito di intercettare un ampio stock di dispositivi e manometterli contemporaneamente. Ciò apre un nuovo capitolo nella guerra informatica per la potenzialità di colpire in maniera diffusa, su larga scala, obiettivi connessi a Internet, ad esempio sistemi di comunicazione civili e militari o reti elettriche, per paralizzare un Paese in guerra. La guerra informatica si evolve e viene inaugurata l’era della guerra informatica cinetica.

“Mentre gli attacchi informatici comportano un tentativo di danneggiare i computer o le reti informatiche di un'altra nazione tramite virus o attacchi denial-of-service, gli attacchi informatici cinetici utilizzano attacchi informatici per infliggere danni cinetici (o fisici) alle infrastrutture o causare lesioni o morte alle persone. La crescita dei sistemi informatici fisici in ogni bene, dalle automobili, agli aerei, ai gadget personali e agli elettrodomestici, alle grandi risorse nazionali/militari, apre spaventose possibilità di atti di sabotaggio con elementi sia fisici che informatici”, scrive Sagar.

La guerra arriva nelle nostre case, nelle nostre borse, nelle nostre tasche.

Nuovi dettagli dell’attacco tecnologico rivelati dal Washington Post

Il piano per colpire Hezbollah con pager trasformati in ordigni esplosivi azionabili da remoto, è stato concepito prima dell’attacco del 7 ottobre in Israele, nella sede centrale del Mossad a Tel Aviv. L’intelligence israeliana si è avvalsa di un gruppo di agenti e complici inconsapevoli in tutto il mondo. Lo si apprende da un dettagliato report pubblicato sabato 5 ottobre dal Washington post. Alcune parti del piano sono state sviluppate anni prima. Il Mossad ha iniziato ad inserire in Libano gli walkie talkie con trappole esplosive nel 2015. Contenevano batterie sovradimensionate, un esplosivo nascosto e un sistema di trasmissione che dava a Israele accesso completo alle comunicazioni di Hezbollah.  “Per nove anni, gli israeliani si sono accontentati di origliare Hezbollah, riservandosi l'opzione di trasformare i walkie-talkie in bombe in una crisi futura”, scrive il WP, citando funzionari sotto anonimato. L’occasione è arrivata quando Hezbollah si è mostrata interessata ai cercapersone Apollo, un modello “leggermente ingombrante ma robusto, costruito per sopravvivere alle condizioni del campo di battaglia”. La batteria sovradimensionata, infatti, poteva funzionare per mesi senza essere ricaricata. Inoltre la casa produttrice (taiwanese) non era riconducibile a Israele. Quello che Hezbollah non poteva sapere era che la produzione dei lotti ordinati fosse stata esternalizzata ed i dispositivi assemblati in Israele sotto la supervisione del Mossad, tramite un intermediario.

I cercapersone “ciascuno del peso di meno di tre once, includevano una caratteristica unica: un pacco batteria che nascondeva una piccola quantità di un potente esplosivo, secondo i funzionari a conoscenza della trama”, viene riferito.

Anche se il dispositivo fosse stato smontato, l’esplosivo era stato nascosto con tanta cura da non poter essere rilevato neanche ai raggi X. Invisibile a qualsiasi controllo. Ed è esattamente questo che desta la preoccupazione delle agenzie di sicurezza di tutto il mondo.

Invisibile era anche l'accesso remoto del Mossad ai dispositivi. Ad innescare contemporaneamente l’esplosione di migliaia di dispositivi era un segnale elettronico dal servizio di intelligence. Per garantire il massimo danno, l'esplosione era innescata da una speciale procedura in due fasi richiesta per visualizzare messaggi sicuri che erano stati crittografati. Al destinatario veniva chiesto di premere contemporaneamente due pulsanti per leggere poter leggere un messaggio crittografato, in modo da ferire o amputare entrambe le mani e renderlo incapace di combattere.


Le conseguenze sulla sicurezza globale

Hezbollah aveva iniziato ad utilizzare tecnologia “legacy” per ragioni di sicurezza, in quanto i vertici del gruppo ritenevano tali sistemi irrintracciabili e non hackerabili dai servizi israeliani. Ciò non ha impedito all’intelligence israeliana di sfruttare le vulnerabilità di questi dispositivi, causando un'interruzione diffusa dei sistemi di comunicazione delle milizie sciite e creando caos nei protocolli di risposta alle emergenze. L’attacco con i cercapersona ha anche dimostrato come persino tecnologie apparentemente innocue possano essere trasformate in moderne armi della guerra informatica.

Sono notevoli le conseguenze sulla dimensione psicologica: la popolazione è scioccata, impaurita e vive in un diffuso senso di insicurezza dall’attacco informatico-cinetico.

Le ripercussioni principali, però, riguardano la sicurezza informatica. Secondo il sito specializzato Techdotreviews l’attacco informatico-cinetico mette in luce non solo le vulnerabilità di sistemi considerati sicuri in quanto obsoleti, ma dei servizi critici in generale. Il rischio di una loro compromissione rappresenta una sfida non solo per la sicurezza nazionale ma anche pubblica.

Di conseguenza la minaccia di un attacco tecnologico, simile a quello lanciato da Israele, non riguarda soltanto gli attori della regione, ma tutto il mondo. La nuova guerra informatica non conosce confini. 

Data articolo: Mon, 07 Oct 2024 15:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Burkina Faso e Mali denunciano l'Ucraina all'ONU per collaborazione con gruppi terroristici

Negli ultimi mesi, diverse nazioni e media internazionali hanno accusato il governo ucraino di collaborare con gruppi terroristici e di reclutare militanti islamisti per sostenere il proprio esercito. Queste accuse mettono in risalto il "carattere terrorista" delle autorità di Kiev, come evidenziato dalla portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, e da altri esponenti del governo russo.

Durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il ministro degli Affari Esteri del Burkina Faso, Karamoko Jean-Marie Traoré, ha denunciato pubblicamente il sostegno dell'Ucraina al terrorismo nella regione del Sahel. Insieme a Mali e Niger, i Paesi della Confederazione degli Stati del Sahel (CES) hanno presentato una formale protesta al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, accusando l'Ucraina di fornire supporto logistico e armamenti ai gruppi ribelli operanti nella regione.

Il conflitto diplomatico tra Kiev e i Paesi africani si è intensificato ad agosto, quando il Mali ha interrotto le relazioni con l’Ucraina dopo che funzionari ucraini hanno espresso pubblicamente il loro sostegno ai gruppi terroristici responsabili di attacchi contro le forze armate maliane. Il Burkina Faso ha fatto appello alla comunità internazionale affinché prenda provvedimenti decisi contro il regime di Kiev, seguito poi dal Niger, che ha preso la stessa decisione.

A complicare ulteriormente la situazione, secondo il quotidiano francese Le Monde, militanti tuareg della coalizione maliana "Quadro strategico per la difesa del popolo di Azawad" si sarebbero recati in Ucraina per ricevere addestramento sull'uso di droni esplosivi. Tali sviluppi hanno portato alla rottura diplomatica tra i Paesi del Sahel e il regime di Kiev, gettando ombre sulla condotta ucraina nel contesto africano.

Il coinvolgimento ucraino si estenderebbe anche al Medio Oriente. Fonti russe e turche hanno riferito che l'esercito ucraino avrebbe stretto alleanze con gruppi islamisti radicali, tra cui Hayat Tahrir al-Sham, per organizzare operazioni segrete contro la Russia. L’Ucraina avrebbe persino offerto droni in cambio della liberazione di combattenti jihadisti.

Queste accuse, che coinvolgono anche la presunta partecipazione ucraina a una provocazione con armi chimiche in Siria, sono state respinte dal regime di Kiev. Tuttavia, la portavoce russa Zakharova ha avvertito che "la piovra terroristica ucraina continua a crescere", rappresentando una minaccia per la sicurezza globale. Le tensioni diplomatiche sono quindi destinate a rimanere alte, in attesa di eventuali risposte ufficiali da parte delle Nazioni Unite e delle principali potenze mondiali.

Data articolo: Mon, 07 Oct 2024 13:27:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Un missile russo fa saltare in aria una nave ucraina che scarica munizioni

Le forze russe hanno distrutto una nave ucraina che trasportava munizioni di fabbricazione occidentale attraccata nella regione di Odessa, ha dichiarato il Ministero della Difesa di Mosca, pubblicando un video dell'attacco.

In un comunicato di domenica, il ministero ha affermato che un missile balistico a corto raggio Iskander-M ha colpito con successo una nave da trasporto attraccata nel porto marittimo di Yuzhny (noto come Pivdennyi in Ucraina), situato a circa 30 km a est di Odessa.

“L'attacco missilistico è stato effettuato al momento dello scarico. Il filmato di controllo dell'obiettivo mostra la detonazione delle munizioni”, hanno dichiarato i funzionari, aggiungendo che il carico di armi e munizioni proveniva dall'Europa, senza specificare il Paese di origine o il numero esatto di armi distrutte.

Il filmato in bianco e nero del drone, ripreso da alta quota, mostra quello che sembra essere un missile che colpisce la nave mentre il carico viene scaricato e il fuoco che inghiotte la nave.

Data articolo: Mon, 07 Oct 2024 12:55:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Due lavoratori cinesi uccisi da attacco terroristico in Pakistan

Due cittadini cinesi sono stati uccisi e uno è rimasto ferito dopo che un convoglio che trasportava personale cinese della Port Qasim Electric Power Company (Private) Limited è stato attaccato nei pressi dell'aeroporto internazionale Jinnah di Karachi domenica intorno alle 23.00. L'attacco ha causato vittime anche tra i pakistani locali. 

L'Ambasciata e i Consolati generali cinesi in Pakistan hanno condannato fermamente questo attacco terroristico, hanno espresso profondo cordoglio per le vittime innocenti di entrambi i Paesi e hanno offerto sincere condoglianze ai feriti e alle loro famiglie. Stanno facendo ogni sforzo per gestire le conseguenze dell'attacco in collaborazione con la parte pakistana, secondo una dichiarazione rilasciata dall'ambasciata cinese lunedì, come riporta il Global Times.

La parte cinese ha lanciato immediatamente un piano di emergenza, chiedendo alla parte pakistana di indagare a fondo sull'attacco, punire severamente i responsabili e prendere tutte le misure necessarie per proteggere la sicurezza dei cittadini, delle istituzioni e dei progetti cinesi in Pakistan. 

L'ambasciata ha ricordato ai cittadini, alle imprese e ai progetti cinesi in Pakistan di essere vigili, di prestare molta attenzione alla situazione della sicurezza, di rafforzare le misure di sicurezza e di fare ogni sforzo per adottare misure di sicurezza.

Shehbaz Sharif, Primo Ministro del Pakistan, si è detto profondamente scioccato e rattristato dal tragico incidente di Karachi, che ha causato la perdita di due preziose vite cinesi e il ferimento di un'altra. 

Ha condannato con forza questo “atto efferato” e ha offerto le sue più sentite condoglianze alla leadership cinese e al popolo cinese, in particolare alle famiglie delle vittime. 

“Che i feriti possano riprendersi presto. Gli autori di questo scellerato incidente non possono essere pakistani, ma sono nemici giurati del Pakistan. È in corso un'indagine immediata per identificarli e consegnarli alla giustizia. Il Pakistan è impegnato a salvaguardare i nostri amici cinesi. Non lasceremo nulla di intentato per garantire la loro sicurezza e il loro benessere”, ha dichiarato Shehbaz Sharif.

 

Data articolo: Mon, 07 Oct 2024 12:45:00 GMT
OP-ED
Vincenzo Costa - I 7 segnali della disgregazione della UE


di Vincenzo Costa


Giustamente occupati a guardare l'apocalisse possibile che incombe su di noi non stiamo prestando forse attenzione a un elemento decisivo: il processo di disgregazione della UE.

Al di là della retorica, sta emergendo una realtà e un dinamismo sempre più chiaro, che chi dirige questo paese farebbe bene a tenere presente per non trovarsi con il cerino in mano.

La UE è in fase di disgregazione e di decomposizione. Non che sia un processo inesorabile, perché nella storia niente lo è, ma per modificare le cose bisognerebbe invertire molte direzioni, e che questo accada è possibile ma non probabile. Ma perché siamo in fase di disgregazione della UE?

1) Impercettibilmente, l’asse della direzione della UE si è spostata ad Est, le principali cariche istituzionali (compresa la politica estera in un momento decisivo) sono assegnate a paesi dell’est, i cui interessi, la cui cultura e la cui immagine della storia e della politica è molto diversa da quella dell’Europa occidentale.
Sono popoli che mirano da sempre alla distruzione della Russia, della sua cultura, della sua lingua.

Per loro è l’occasione per trascinare tutta l’Europa in una guerra contro la Russia, e stanno esplicitamente cercando di farlo.

2) I paesi dell’Europa occidentale subiscono questo spostamento, con tutta probabilità imposto dagli USA, di cui i paesi dell’Europa dell’Est sono i vassalli fedelissimi.

Ma i mugugni sono sempre più frequenti, tanto più che la Commissione della baronessa von der Leyen continua a inviare fiume di denaro in Ucraina e nei paesi dell’est mentre in Europa occidentale (non solo in Italia, ma anche in Francia, Germania) ci viene detto che “sono necessari sacrifici”. Fiumi di denaro non solo verso l’Ucraina, ma verso tutti i paesi dell’europa dell’est.

La Polonia ha da ora il terzo esercito più potente della NATO, una proporzione del PIL enorme investito in spesa militare. Molti di questi soldi vengono dalla UE, usati per acquistare armamenti USA, e quindi dall’Europa e dalle nostre tasche finiscono direttamente nelle industrie belliche statunitensi.

Non c’è da meravigliarsi che anche i più fanatici in Europa occidentale iniziino a farsi qualche domanda su Ursula: abbiamo un capo di commissione europe che rappresenta interessi di potenze non europee, che testimonia la non sovranità della UE attuale.

3) Polonia e Ucraina sono ai ferri corti tra loro, ma proprio allo scontro, ai dispetti, dopo che i polacchi hanno chiesto che venga riconosciuto l’eccidio ucraino di cittadini e soldati polacchi in Volinia (e anche in Galizia): gli ucraini, sempre più identificati con il nazismo e con la storia dell’ucraina nazista, non ne vogliono sentire parlare, mentre i polacchi, anche quando sono tradizionalisti, il nazismo non lo tollerano proprio per ragione storiche comprensibili.

Di fatto, allo stato attuale le cose stanno bloccate, per non parlare del fatto che è in atto uno scontro sull’agricoltura, dato che i prodotti ucraini danneggiano quelli polacchi.

4) Lo scontro tedesco-polacco è oramai stellare: i tedeschi (proprio il popolo tedesco, e lo si è visto nelle recenti elezioni) dopo avere saputo dalla loro stesse autorità che a far saltare Nord stream sono stati gli ucraini con l’assistenza operativa della Polonia sono stufi. La risposta di Tusk, il grande europeista, è stata piccata: si dovrebbero vergognare i tedeschi di avere un gasdotto con la Russia, non chi lo ha fatto saltare.

L’inimmaginabile è accaduto. Ai tedeschi inizia a divenire chiaro che si sta mirando alla loro distruzione. L’AfD, come anche il partito di destra in Austria, non c’entrano niente con il nazismo (se qualcuno pensa queste scemenze si informi, legga, ascolti i tg tedeschi e austriaci e le dichiarazioni): esprimono, oggi, ostilità a una guerra che percepiscono come diretta non solo contro la Russia ma contro la loro economia.

Di fatto, Scholz ha capito il vento, e cerca di bypassare la Commissione europea e gli altri paesi UE e di cercare una propria via di comunicazione con la Russia, come anche la repubblica slovacca e l’Ungheria. Quindi, un’Europa che si spacca, tenuta insieme solo dalle dichiarazioni di facciata.

5) La Norvegia ha deciso di modificare il contratto con la Germania per la fornitura di idrogeno blu, mostrando che oramai ognuno va per la sua strada. Idrogeno blu significa possibilità di decarbonizzare. Ora gas dalla russia no, idrogeno blu no, sembra che l’economia tedesca sia destinata a crollare.

6) il crollo della Germania inciderà sull’industria del nord italia, e questo lo vedremo nei prossimi anni. Alla retorica europeista si è sostituita quella di quei poveretti di FdI che sono solo capaci di fare spot: pensare e capire non è per loro.

7) L’Italia della Meloni è uno dei punti di attacco alla sovranità europea da parte dei grandi gruppi finanziari americani.

Oltre ad avere svenduto quel resto di sovranità industriale reale e finanziari ai grandi gruppi di blackrock, l’italia si presta, attraverso le sue banche, a operazioni aggressive attraverso cui il capitale finanziario americano mira a dominare e sterminare quello europeo, per esempio con le operazioni verso Commerzbank che Scholz vede come fumo negli occhi.

Sotto le dichiarazioni di facciata l'unità l’Europa si sta disgregando. Il crollo avverrà in maniera rapida, una questione di tempo. Il famoso passaggio dalla quantità alla qualità.

Se ci si arriva, se non saltiamo in aria prima, quando si tratterà di ricostruire l’Ucraina, con quali soldi lo si farà?

Li mandiamo noi mentre le nostre scuole, ponti crollano? Costruiamo ospedali in Ucraina mentre chiudiamo i nostri?

E la Francia è messa peggio.

Per il resto, il grafico sotto mostra un trend chiarissimo: l’Europa sta uscendo dalla storia e non è più una potenza competitiva, questa guerra sta distruggendo del tutto il suo sistema economico. In poco tempo saremo marginali, poveri, costretti a mettere in discussione quel poco di stato sociale rimasto. Poi per noi, tra poco dovremo iniziare a pagare i famosi prestiti del PNRR.

Si diano pace i vecchi che hanno costruito male, senza criterio, in maniera ideologica, senza capacità progettuale. Quello che hanno costruito non solo crollerà, ma sta già crollando, non per l’attacco dei sovranari o di potenze ostile: ma perché hanno costruito senza criterio.
Data articolo: Mon, 07 Oct 2024 12:00:00 GMT
Italia
Contro il toddismo. La rivolta delle matite in Sardegna

 

di Cristiano Sabino

 

«Paura» e «preoccupazione» sono i termini che ricorronomaggiormente, direi ossessivamente, nelle dichiarazioni rilasciate a caldo dal presidente del Consiglio regionale della Sardegna Piero Comandini e dalla governatrice Alessandra Todde, all’indomani della grande mobilitazione popolare che ha scortato al Consiglio Regionale le 210.729 firme in sostegno della legge urbanistica di iniziativa popolare “Pratobello 24”. Una legge che – vale la pena di ricordarlo – si oppone alla colonizzazione energetica dell’isola determinata dal Governo Draghi (Decreto 199 del 2021) e dal decreto “aree idonee” del luglio 2024 (Governo Meloni).

A questi due decreti, assolutamente in continuità, emanati da Governi che insieme rappresentano praticamente tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, le comunità della Sardegna hanno opposto una lunga e crescente mobilitazione popolare che è sfociata nella raccolta firme per la Pratobello 24.

Un numero di adesioni enorme, se si pensa ai numeri del corpo elettorale sardo (appena 1.447.753 elettori) e alla percentuale dei votanti (poco più del 50%) alle ultime elezioni regionali. Un evento unico nel suo genere, non solo nella storia della Sardegna, ma anche dell’intero stato italiano e, forse, d’Europa. Fatte le dovute proporzioni, è come se la legge sulla cittadinanza, proposta a livello italiano, avesse raggiunto non le 500mila firme, ma ne avesse totalizzato otto milioni.

Tutti i media d’Europa parlerebbero a questo punto della “rivoluzione delle matite” in Italia. Ma siccome siamo in Sardegna, cioè una terra che deve per obblighi atlantici rimanere silenziata e pacificata,e siccome la cortina di ferro della propaganda coloniale circonda e protegge da orecchie e sguardi indiscreti le malefatte dell’élite politica dominante, la notizia rimane confinata dentro gli ambienti dell’opinione pubblica sarda e neanche di tutti, visto che uno dei due maggiori quotidiani sardi, il 3 ottobre apriva a tutta pagina con la notizia dell’importantissimo avvenimento dei turisti finiti a lavorare in un ovile[1]. Lasciamo per un momento da parte questo materiale di interesse socio-antropologico per i futuri studiosi della comunicazione manipolatoria e della propaganda elitaria di inizio millennio, e andiamo al cuore della questione.

Quali sono gli scenari politici che si aprono all’indomani della consegna delle 210. 729 firme e della manifestazione di popolo che ha accompagnato gli scatoloni al protocollo degli uffici della Regione Autonoma della Sardegna? Quali sono le strategie da parte dell’élite per smontare e disinnescare la più grande mobilitazione del popolo sardo dai tempi della nascita del movimento combattenti sardista ad oggi? Cosa sarà e cosa diventerà il Movimento Pratobello 24?

La proiezione come tecnica di conservazione del potere

Fin dai tempi di Freud, in psicanalisi è nota una tecnica manipolatoria utilissima per gestire e volgere a proprio beneficio qualunque conflitto: la proiezione. Si tratta di un meccanismo psicologico attraverso il quale una persona attribuisce ad altri i propri pensieri, sentimenti o impulsi, che trova inaccettabili o scomodi.

La proiezione è un meccanismo manipolatorio di difesa e si attiva quando un soggetto ha difficoltà a gestire o accettare alcuni dei propri pensieri, sentimenti, desideri o impulsi, specialmente se li considera inaccettabili, spiacevoli e soprattutto se risultano contrari all'immagine di sé che vuole mantenere in ambito pubblico.

La proiezione inizia con il rifiuto di riconoscere i propri sentimenti, come la rabbia, che viene inconsciamente respinta. Invece di elaborarla, il soggetto attribuisce questi sentimenti agli altri, accusandoli di provare ciò che in realtà prova esso stesso. Questo trasferimento aiuta temporaneamente a evitare il conflitto interno e quindi permette di non andare in crisi, o almeno di rimandare il momento del collasso.

Che il soggetto sia un individuo o un insieme di persone, o addirittura un apparato di potere o – come in questo caso – una èlite politica e intellettuale nel pieno esercizio del potere sistemico, non fa alcuna differenza. I meccanismi manipolatori sono del tutto analoghi e si muovono tra il conscio e l’inconscio.

 

La proiezione, infatti, implica sempre una distorsione della realtà e questa può essere anche utilizzata consapevolmente come strumento di potere e di dominio, vale a dire come una tecnica politica volta al mantenimento del controllo sul corpo sociale.

Nel dopo 2 ottobre abbiamo avuto vari esempi di cosa significa e cosa implica l’utilizzo della proiezione in ambito politico.

Ci torneremo alla fine del ragionamento, ma nelle dichiarazioni post 2 ottobre dei massimi esponenti della Giunta Regionale, Piero Comandini e Alessandra Todde, possiamo trovare esempi da manuali delle modalità proiettive.

Dalle loro parole si evince una retorica unificata che attribuisce ai sostenitori e ai firmatari della legge di iniziava popolare Pratobello 24 «paura» e «preoccupazione» e non volontà di legiferare e quindi di incidere direttamente sulla realtà politica sarda, sventando il più grave processo di penetrazione coloniale dell’isola dai tempi del disboscamento e dell’estrazione mineraria.

In realtà, come è facile intuire, si tratta appunto di meccanismi proiettivi, perché mentre i sardi non dimostrano di essere affatto preoccupati ma al contrario stanno esercitando una loro consapevole e lucida capacità politica, la preoccupazione e anzi il terrore serpeggiano tra i banchi della neoeletta Giunta. Una psicosi da assedio si diffonde tra i partiti che compongono la maggioranza e, anche se non sono visibili, iniziano a venire fuori le prime crepe che mettono a dura prova la saldezza dell’alleanza. Per questo motivo Comandini e Todde proiettano la paura sul fronte avverso, cercando nello stesso tempo di spaccare il Movimento, utilizzando tutta una serie di strumenti che in parte abbiamo analizzato nelle precedenti analisi e in parte vedremo qui.

Prima di tornare sull’argomento strategico della «paura», dobbiamo fermarci però su un’altraquestione indispensabile per comprendere il meccanismo di funzionamento della contesa in atto tra Movimento Pratobello 24 da una parte e Giunta regionale e Governo statale dall’altra.

 

Guerra d’attrito tra alto e basso

Il Movimento Pratobello 24, lo scorso 2 ottobre, ha dimostrato una forza inedita. Non tanto e non solo per la vagonata di firme raccolte con banchetti autorganizzati nel corso dell’estate, senza avere alle spalle alcuna struttura partitica, associativa e sindacale realmente strutturata e dotata di mezzi (partiti, sindacati confederali, reti associative italiane si sono tenute ben alla larga sia dalle manifestazioni che soprattutto dall’organizzazione dei banchetti). Chiariamoci, la manifestazione di forza non sta nemmeno nell’aver portato, in un giorno feriale e senza alcuno sciopero intercategoriale, migliaia di persone davanti al Consiglio Regionale.

Ciò che descrive bene la maturità del movimento è dunque la capacità di scegliere tempi, modi e contenuti in cui proporsi e in cui misurarsi con la controparte. E anche la stessa capacità di individuare con chiarezza la controparte, senza ambiguità e tentennamenti.

Nei manuali di strategia militare e nella teoria dei giochi viene individuata come prioritaria, per vincere scontri decisivi, la capacità di scegliere il terreno di battaglia e di avere sempre chiaro chi è l’avversario. Un esempio classico è la «strategia di attrito», in cui una forza sceglie campo di battagliae modalità di conflitto, volti a logorare l'avversario nel tempo, cercando di danneggiarlo gradualmente fino a fargli perdere la capacità o la volontà di continuare la lotta o competizione.

È fondamentale sottolineare che non contano le singole battaglie o riuscire a sferrare colpi decisivi eccellenti (da cui il detto popolare, “vincere una battaglia e non la guerra”). Quello che vale è la capacità di reggere il conflitto, in un conflitto lungo e costante, provocando anche piccoli danni che si sommano nel tempo.

Traducendo in ambito politico e sociale il metodo dell’attrito, la lotta che si sta consumando in Sardegna tra agenti della colonizzazione energetica e resistenza popolare, è anche un caso da manuale della «guerra d’attrito», che Gramsci, nei Quaderni del carcere, descrive anche come «guerra di posizione».

Gramsci utilizza questa categoria per spiegare il tipo di lotta politica che deve essere condotta nelle società moderne, in cui non è possibile ottenere una trasformazione radicale solo attraverso una rivoluzione immediata (guerra di movimento, le classiche battaglie decisive del passato!), ma è necessario un lungo lavoro di costruzione di consenso ed egemonia.

Nella guerra di posizione, i subalterni devono conquistare palmo a palmo posizioni sempre maggiori all'interno delle istituzioni della società civile, come la scuola, la Chiesa, i media, le organizzazioni culturali e altre sfere dell'influenza ideologica. Ecco spiegata la rabbia e lo scandalo sul fatto che per la prima volta istanze popolari trovano spazio in un media ufficiale come quello del gruppo editoriale sardo di Sergio Zuncheddu (L’Unione Sarda e Videolina) che ha sposato e veicolato le istanze del movimento contro la «speculazione energetica», seguendo passo passo tutti i momenti salienti della mobilitazione. Al contrario l’altro noto quotidiano sardo, La Nuova Sardegna e il TG3Regione hanno sistematicamente ignorato la mobilitazione e anzi hanno condotta una sistematica campagna stampa per spostare l’opinione pubblica su una accettazione incondizionata dell’eolico e del fotovoltaico in quanto tali, così come imposti dai Governi Draghi e Meloni. Su quest’ultima linea tutta l’informazione italiana, con le sole eccezioni – mi sembra - di L’Antidiplomatico, Quaderni della Decrescita, OttolinaTV, La Fionda e Radio Giubbe Rosse.

Eppure, in uno scenario dove la quasi totalità della stampa italiana e una buona fetta di quella sarda si sono dimostrati ben disposti ad assecondare la trasformazione dell’isola in un hub energetico per il nord Italia e il nord Europa, molteplici espressioni del mondo della politica, del sindacalismo, dell’associazionismo e del mondo intellettuale hanno gridato allo scandalo verso l’impegno «anti speculazione energetica» del gruppo Zuncheddu. Come mai?

Utilizzando gli strumenti gramsciani possiamo rispondere che ciò avviene perché risulta scandaloso che – per qualsiasi ragione – i subalterni abbiano la possibilità di prendere parola e di diffondere il loro punto di vista sulle contraddizioni sociali ed economiche. I subalterni devono essere silenziati, non devono mai parlare con la propria voce e magari anche usando mezzi non propri. L’importante è che non parlino e siano sempre rappresentati e mediati da altri. Se i subalterni rilasciano interviste, affiancano dirette o peggio raccolgono firme per proporre leggi, si grida allo scandalo e si perde la bussola della ragionevolezza. Questo perché se i subalterni parlano con voce propria ogni esito è incerto, ogni scenario è plausibile, compreso quello del rovesciamento e del ribaltamento tra élites e popolo che rappresenta la linea rossa di ogni conservazione sistemica.

I subalterni in questo, nel nostro caso, sono le comunità della Sardegna che si stanno sollevando contro la colonizzazione energetica veicolata dalle élites. Queste sanno creare consenso intorno a una nuova visione del mondo, capace di sfidare l'egemonia dell’élite dominante, facendo emergere in primo piano non le esigenze di una modernizzazione calata e imposta dall’alto, ma i bisogni e le aspirazioni di una nuova politica urbanistica ed energeticamodellata sugli interessi del basso e sotto il controllo democratico delle stesse comunità.

I toni esasperati di questi mesi, gli strali contro «le manovre della destra» e la retorica messa in piedi da tanti intellettuali e dirigenti politici, ma perfino da sigle di comitati tendenzialmente collaborazionisti e filo governativi, sulla «disinformazione» e sulle «manipolazioni» di un gruppo editoriale (a fronte di decine di altri gruppi editoriali silenti o complici davanti alla colonizzazione), mostrano bene che il movimento Pratobello 24 ha capacità sempre crescenti di condurre una proficua «guerra d’attrito» capace di logorare la controparte. In altri termini, il Movimento ha avuto la capacità di usare in un primo tempo la contrapposizione fisica (i blocchi al porto di Oristano), come trampolino di lancio per una strategia di tutt’altro tipo che, di fatto, ha sorpreso la controparte. Dalla contrapposizione fisica si è infatti ben presto ascesi alla lotta per il potere, per tramite di una proposta di legge di iniziativa popolare che ha contrapposto funzione legislativa elitaria e funzione legislativa popolare.

Parlo di funzione legislativa elitaria perché in Sardegna vige una legge elettorale truffa, profondamente antidemocratica, a suo tempo voluta dal “centro destra” e dal “centro sinistra” per sbarrare il passo all’ascesa del Movimento 5 Stelle e mantenere fuori dalle leve del potere qualunque ipotesi alternativa al duopolio. Una volta integrato il M5S nell’olimpo delle élites, questa legge viene utilizzata (dal M5S stesso) per tenere lontane dal Palazzo, tutte le istanze alternative.

Da questo punto di vista la mobilitazione in sostegno alla legge di iniziativa popolare Pratobello 24 non è da leggersi come una mera risposta tematica ad un’emergenza collettiva delle comunità dei sardi di tipo urbanistico ed energetico, ma si tratta di una vera e propria alternativa al sistema politico che da decenni si rimbalza la gestione esclusiva del potere come in una partita di pingpong, dando da una parte all’elettore l’illusione dell’alternanza democratica e dall’altra la certezza del mantenimento dei medesimi e inamovibili interessi elitari.

Cos’altro sono stati i banchetti di raccolta delle firme se non una straordinaria occasione di costruire e insieme organizzare una volontà collettiva insieme civica e popolare, legale e rivoluzionaria, in alternativa e in rottura con il consueto sistema di gestione delle istituzioni autonomistiche sarde? In questo tipo di lotta, l'elemento centrale non è la violenza o l'uso diretto della forza (come nella guerra di movimento), ma la costruzione di consenso (appunto la «guerra d’attrito» o «guerra di posizione»). Di fatto un salto di qualità mai visto nella storia dei movimenti di emancipazione e in tutte le vertenze sociali, politiche e sindacali della recente storia della Sardegna.

Ed è proprio a causa di questa capacità di porre la questione del potere e dell’egemonia del movimento Pratobello 24 che la controparte, ad un certo punto, sfodera una nuova arma: la «teoria dell’unità per assimilazione» e la necessità di convergere sulla posizione – ovviamente scelta dalle élites – delle «aree idonee», vale a dire il «toddismo».

Si potrebbe chiamare questo cambio di passo in tanti modi, utilizzando i diversi volti che di volta in volta hanno impersonato la costruzione della narrazione dell’«unità per un fine comune», cercando di costruire nell’immaginario archetipico della società sarda la fascinazione dell’«unità dei sardi contro gli speculatori». La stessa categoria di «speculazione energetica» risulta funzionale a questa costruzione archetipica, perché lascia intendere che ad un certo punto arrivano questi fantomatici «speculatori» che si approfittano degli spazi lasciati vuoti dalle istituzioni per ricavarne profitti smodati. Ma le cose stanno in maniera ben diversa, perché gli «speculatori» non sono altro che portatori di interessi privati a cui l’Unione Europea e lo Stato italiano hanno coscientemente spalancato le porte costruendo una architettura giuridica e legale che non solo permette la «speculazione», ma che garantisce e finanzia con risorse pubbliche il saccheggio indiscriminato di alcune zone di sacrificio (come la Sardegna) su cui viene scaricato l’adeguamento alla direttiva europea RED22018/2001 la quale dispone che gli Stati membri provvedono collettivamente a far sì che, nel 2030, la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale lordo di energia dell'Unione sia almeno pari al 32%.(

Vediamo ora in cosa consiste questa narrazione della penetrazione coloniale e come le élites dominanti hanno presto rimodulato la propria voce narrante, anche incamerando e inglobando non solo alcune delle argomentazioni del movimento contro la «speculazione energetica», ma hanno anche assimilato «molecolarmente» alcune sue articolazioni dirigenti.

Dalla fase della delegittimazione alla «teoria dell’unità per assimilazione» o «toddismo»

Gramsci ci ricorda con una immagine di altissimo significo simbolico che l’«assedio è sempre reciproco». Se con il decreto Draghi lo Stato, con a seguito i suoi portatori di interesse, ha assediato la Sardegna, dando mano libera alla più grande penetrazione coloniale della storia recente, le comunità sarde hanno reagito – come abbiamo visto sopra – elaborando le strategie di un contro assedio, a partire dalla creazione di un immaginario collettivo e archetipico di liberazione. A questo inaspettato contro assedio le élites stanno rispondendo in questa fase con un contro-contr’assedio che presenta elementi di novità sofisticati e articolati.

La splendida penna del giornalista Vito Biolchini che già in passato ha dimostrato una certa inimicizia verso la mobilitazione contro la colonizzazione, prende di mira uno dei volti simbolo della raccolta firme, il sindaco di Orgosolo Pasquale Mereu, per non aver presenziato all’incontro voluto dall’antropologo Bachisio Bandinu. Incontro che, come ho già avuto modo di spiegare, assolveva alla funzione di disinnescare la dialettica aperta dal Movimento Pratobello 24 e riassorbirne il grosso delle forze:

«La settimana scorsa il sindaco di Orgosolo Pasquale Mereu non si è presentato a Oristano al dibattito organizzato da Bachisio Bandinu perché doveva vendemmiare. E in effetti la vendemmia è stata portentosa, visto che il successivo 2 ottobre la proposta di legge di iniziativa popolare Pratobello24 arriverà in consiglio regionale sospinta da quasi 150 mila firme. Quindi sì, quando si raccolgono così tanti consensi si sta in una posizione di forza tale che si può anche ritenere di poter fare a meno di sedersi ad un tavolo per provare a discutere di ciò che sta avvenendo in Sardegna sul fronte della transizione energetica»[2].

 

Biolchini, forte in giornalismo, dimostra minore talento in tattica militare e teoria dei giochi, dimenticando la massima di Sun Tzu «conosci il nemico e conosci te stesso; in cento battaglie, non sarai mai in pericolo». Altrimenti avrebbe fatto economia delle metafore sulla «vendemmia» e sul «vino» del sindaco di Orgosolo Pasquale Mereu e sulla diserzione di tutto lo stato maggiore del Movimento Pratobello 24 all’ «incontro per l’unità», che di fatto ha spuntato quella mossa e vanificato la funzione liquidatrice di quell’appello.

Nel mio «Contro Bandinu» pubblicato sull’Antidiplomatico[3] ho analizzato tutte le ragioni che hanno portato l’intellettuale di Bitti a svolgere una «funzione dell’unità per assimilazione», finalizzata a riassorbire la contraddizione – insanabile con mezzi normali – aperta dalla proposta di legge Pratobello 24 e non mi sembra il caso di tornare sul già detto.

Però è interessante un passaggio del ragionamento di Biolchini, cioè quello in cui si chiede «chi si farà carico di trasformare la volontà di 150 mila sardi (secondo le proiezioni di allora) in azione politica». Ovviamente per Biolchini si tratta di una domanda retorica e non di una questione da discutere in maniera aperta:

«Centocinquantamila firme sono un risultato straordinario, frutto di una mobilitazione dalle mille sfaccettature. Ma chi sarà l’enologo che trasformerà quest’uva in vino? Vino buono, s’intende. Il sindaco di Orgosolo Pasquale Mereu? L’avvocato Michele Zuddas? Luigi Pisci del comitato del Sarcidano? Forza Italia? I gruppi indipendentisti? Sergio Zuncheddu e Mauro Pili? Oppure quello che resterà del raccolto verrà banalmente conferito alla cantina dell’opposizione di centrodestra?».

 

Biolchini ricorda il personaggio della spia inglese impersonata da Marlon Brando nel bellissimo film Queimada di Gillo Pontecorvo, dove una volta sostenuta la ribellione degli schiavi impiegati nella raccolta della canna da zucchero in funzione anti portoghese, il protagonista William Walker cerca di convincere il capo degli indigeni ribelli, José Dolores, che il nuovo corso deve essere guidato dagli inglesi e non dai ribelli, i quali non possiedono le tecniche e le competenze basilari per la gestione di uno stato moderno. Il popolo può certamente agitarsi, può nutrire pulsioni, può e deve partecipare marginalmente al rito liberale della modernità (a seconda delle fasi sommosse, rivoluzioni, votazioni truccate dall’organizzazione elitaria del consenso), ma non può e non deve in nessuna misura permettersi di governare in maniera diretta, non può e non deve aspirare a diventare volontà collettiva.

Insomma, non ti ribellare o se ti ribelli fallo sotto tutela, perché altrimenti vai a sbattere, o – per usare l’immagine enologica finale di Biolchini – ti prendi una colossale sbronza.

Ne ho parlato abbondantemente altrove e non è il caso di rifocalizzare il discorso, ma è doveroso ricordare che alla base di questa visione – o per meglio dire di questo stigma – c’è la teoria delle élites di Pareto e il progetto crociano di lavorare ad una «rivoluzione passiva», cioè – nell’accezione di Gramsci – ad una «rivoluzione senza rivoluzione», una modernizzazione calata dall’alto che assorbe alcuni elementi delle istanze popolari tagliandone fuori in parte o del tutto le istanze progressive, la capacità di autogoverno, la capacità di essere «volontà collettiva integrale», nel caso sardo di diventare soggetto legislatore popolare e nazionale[4].

 

La domanda di Biolchini, tradotta in prosa, suona così: a chi andrà questo tesoretto politico delle 210. 729 firme? Mica saranno in grado di intestarsela i portavoce degli schiavi in rivolta (i vari capipopolo Zuddas, Pisci, ec..). Forse ne approfitterà la novella società politico-mediatica del gatto e della volpe di Pili e Zuncheddu. O, più prosaicamente, guideranno le famigerate destre che fondamentalmente hanno orchestrato tutto fin dall’inizio per rovesciare il primo governo progressista, femminista ed ecologista della storia isolana.

Ma se in Biolchini rimane un briciolo di possibilità che non tutto lo «straordinario risultato» possa essere «unicamente addebitato alla poderosa campagna di “disinformazione militante” che l’editore Sergio Zuncheddu e l’ex presidente della Regione Mauro Pili», Paolo Maninchedda tuona, dalle colonne di uno dei think thank più efficaci di cui dispongono le élites sarde, che «l’Unione Sarda ha dimostrato di essere ancora capace di produrre movimenti efficienti ed estesi a tutto il territorio regionale. Può non riuscire a farsi leggere, ma riesce col suo gruppo editoriale a fare movimento. Il suo potere e il suo valore commerciale sono aumentati»[5].

Ma, ed arriviamo al punto, tempus fugit, la storia è corsa velocemente e la fase è cambiata rispetto a questo vecchio armamentario elitario utile forse a delegittimare un movimento antagonista che non è ancora riuscito a passare alla fase dell’insorgenza popolare, come può essere per esempio il movimento contro l’occupazione militare della Sardegna. Applicate al Movimento Pratobello 24 quelle di Biolchini e Maninchedda sono letture di ciechi capaci di scrivere con una certa e sofisticata tecnica, ma con gli occhi bendati verso l’alba. Biolchini e Maninchedda sono vittime del cosiddetto «wishful thinking», letteralmente "pensiero desiderante”. Si tratta di un «bias cognitivo» che distorce la realtà o porta a ignorare le informazioni contrarie alle speranze o desideri di una persona o di un gruppo sociale. Si crede che qualcosa accada semplicemente perché lo si desidera, anche quando non ci sono basi razionali o fatti che sostengano questa convinzione.

Il discorso di Maninchedda sta tutto nella narrazione standard delle élites che hanno bollato il movimento contro la colonizzazione come etero diretto dal gruppo Zuncheddu e dalla destra. Nel normale ordine della delegittimazione tipica delle élites anche la sua definizione del carattere «terzomondista, cheguevarista, insurrezionalista, e addirittura, da un po’ di tempo, anche razzista» dello stato maggiore della mobilitazione popolare. Di contro alle terribili orde «insurrezionali» frenate dall’irrompere nel palazzo solo dalla paura della forza pubblica, Maninchedda propone il suo «indipendentismo democratico», come se raccogliere oltre 210.000 firme non fosse una prova di democrazia. Ricorrente anche il tema della «paura» che anima la folla, solo che nella narrazione di Maninchedda questa volta la «paura» dei carabinieri sovrasta la «paura» delle pale eoliche. In ogni caso, per Maninchedda come per Todde e Comandini, il popolino in rivolta non sa schiodarsi da queste passioni semplici e dalle pulsioni elementari e fondamentalmente irrazionali:

«l’humus di ieri era chiaramente antistituzionale e fortemente tentato dal gesto rivoluzionario. Il deterrente è stata la consapevolezza che i Carabinieri in Sardegna sono bene organizzati. I partiti tradizionali sono stati salvati dalla paura».

Il finale dell’articolo di Maninchedda coincide con le conclusioni di quello di Biolchini: e adesso che fate? Alla base c’è ovviamente lo stigma etnografico del patrizio verso il plebeo, c’è lo scherno dell’intellettuale olimpico e istituzionale che guarda dall’alto al basso il popolino che si agita animato dalla parte irrazionale e passionale dell’anima e che non arriva alle alte vette della raffinatezza intellettuale delle élites arroccate ai vertici della piramide e forti del loro mandato di origine divina. Una toccatina però Maninchedda la rivolge anche alla governatrice Alessandra Todde e al suo “Movimento”, da poco accolti nel club elitario ma ancora considerati di rango non proprio paritario, perché animati da pulsioni ancora troppo similari a quelle nutrite dal popolino e dai suoi tribuni che inneggiano alla ribellione: «la regina e il suo entourage sono soli e circondati: il risentimento che li guida, li sta avvelenando».

Fino a qui siamo ancora alla fase uno della risposta al movimento contrario alla colonizzazione, la fase del disprezzo, della «reductio ad libidinem» delle istanze politiche e sociali provenienti dal basso.

Quello che tardano a capire Biolchini e Maninchedda è che le élites, attualmente alle leve del comando, sono ancora più raffinate di quanto essi possano credere.

L’appello del prof. Bandinu all’unità per un’«embrionale Assemblea Costituente» dove si ritiene «del tutto necessaria la presenza della Giunta regionale»[6] (rappresenta una fase nuova della strategia delle élites per disinnescare- per dirla con Gramsci – la «crisi di egemonia», insieme culturale e politica, rappresentata dal Movimento Pratobello 24. Non è un caso che questo appello sia stato immediatamente colto e rilanciato da Renato Soru, esperto protagonista di rivoluzioni passive o, se si preferisce utilizzare il suo linguaggio, di «rivoluzioni gentili». E, come si è visto, l’appello è stato calorosamente colto anche dalla stessa Giunta che ne ha approfittato per lanciare il suo progetto di legge che di fatto ha l’obiettivo di disinnescare e liquidare non la «speculazione energetica» che all’articolo 3 viene di fatto garantita perfino nelle aree dichiarate «non idonee», bensì proprio la legge Pratobello 24 e soprattutto il grande movimento popolare che sta alle sue spalle.

Biolchini e Maninchidda sono intellettuali rimasti alla fase primitiva della delegittimazione del movimento. La parte delle élites più capace di elaborare analisi (o per cultura personale, o per cultura di apparato) è già approdata ad una nuova fase che per comodità chiameremo «toddismo», anche se ovviamente non è Alessandra Todde la sua ideologa, ma altre figure ben più attrezzate culturalmente che in questo momento stanno supportando il suo esercizio politico nella gestione di questa difficile – sempre per dirla con Gramsci - «crisi organica di egemonia», cioè della frattura tra la funzione direttiva politica e culturale delle élites al potere e il popolo passato dalla fase della protesta «economico-corporativa» e settoriale alla fase della «volontà collettiva integrale».

 

Il «toddismo» come strategia del contro-contr’assedio

Alla domanda del giornalista Nicola Scano nel corso del programma Radar su che impressione «umana» avesse ricavato dall’incontro con la delegazione della Rete Pratobello 24, il presidente del Consiglio Regionale Piero Comandini risponde così:

«ho incontrato persone che credono molto nel lavoro che hanno portato avanti in questi mesi, ma soprattutto c’è stata la condivisione che la preoccupazione di quelle oltre 200.000 firme, di quelle oltre 200.000 persone che hanno voluto sottoscrivere, non hanno sottoscritto solo la proposta di legge di iniziativa popolare, ma hanno condiviso la stessa preoccupazione che c’è all’interno del Consiglio Regionale fra i 60 consiglieri regionali. Perché quella idea di difesa di una Sardegna è la stessa idea che abbiamo già discusso all’interno del Consiglio Regionale con l’approvazione della legge 5 che abbiamo già messo in campo nel momento in cui dobbiamo gestire una delle trasformazioni più importanti che sta vivendo, non soltanto la Sardegna ma il paese e l’Europa, che è la transizione energetica. Quindi la preoccupazione di molti sottoscrittori è la nostra preoccupazione ed è per questo lavoro che stiamo portando dal primo momento in cui si è aperta questa legislatura di governare la transizione energetica, perché il problema non è altro che dettare le regole in modo che siano i sardi rappresentati anche all’interno del Consiglio Regionale a decidere dove e come gestire e impegnarsi su questa transizione energetica»[7].

Gli oltre duecentodieci mila firmatari della Pratobello 24 per Comandini non rappresentano una volontà collettiva che si è posta su un terreno direttamente politico (nel senso stretto del termine, vale a dire in senso legislativo) per sbarrare la strada alla penetrazione coloniale dell’isola, sancendo in via definitiva che in Sardegna non ci sono aree idonee alla speculazione delle grandi banche d’affari e delle multinazionali e che l’unica transizione energetica che i sardi desiderano è quella gestita direttamente dalle comunità e dalle istituzioni sarde (comunità energetiche, FER sulle superfici già impermeabilizzate e FER lineari). No, i sardi che hanno sottoscritto la Pratobello 24 stanno nell’ordine delle passioni primarie come la «preoccupazione» e la «paura» e sono del tutto incapaci di elevarsi al rango dell’elaborazione razionale e politica, cioè di innalzarsi sul piano della pianificazione e della decisione politica, cioè sono incapaci e comunque non legittimati a diventare volontà e legislatore collettivo. Questa opzione non è nemmeno da prendersi in considerazione e da questo punto di vista Comandini si muove sullo stesso piano intellettuale e politico dei Biolchini e dei Maninchedda, che è l’ideologia delle élites di Pareto[8]. Fino a qui il tono di Comandini verso il popolo è quello dell’adulto verso il bambino e dunque siamo ancora nella “fase uno” della delegittimazione, se pur nascosta dai toni morbidi di un paternalismo di velluto.

La novità sta in quello spirito di identificazione che Comandini avanza quando identifica l’elemento comune della pulsione «preoccupazione» fuori e dentro il palazzo: «hanno condiviso la stessa preoccupazione che c’è all’interno del Consiglio Regionale fra i 60 consiglieri regionali».

Ovviamente è pura e raffinatissima retorica sofistica, perché immediatamente dopo si aggiunge:

«quella idea di difesa di una Sardegna è la stessa idea che abbiamo già discusso all’interno del Consiglio Regionale con l’approvazione della legge 5 che abbiamo già messo in campo nel momento in cui dobbiamo gestire una delle trasformazioni più importanti che sta vivendo non soltanto la Sardegna ma il paese e l’Europa che è la transizione energetica».

Quello che Comandini ovviamente non può dire è che i sardi fuori dal palazzo non hanno raccolto firme in sostegno della legge 5 (la moratoria) e nemmeno per la legge sulle «aree idonee», ma questo è un dettaglio, perché i sardi fuori dal palazzo non volevano realmente diventare legislatori, quindi farsi soggetto politico. No, i firmatari della legge di iniziativa popolare volevano solo esprimere una pulsione e uno spirito di protezione istintivo verso la Sardegna che – assicura Comandini – è condiviso dalle élites dentro il palazzo che sono anche loro sardi, ma dotati oltre che di pulsioni basilari anche di capacità razionali e quindi di possibilità legislative.

La vera novità nel discorso di Comandini a Radar sta nel creare l’illusione dell’unità fra «alto» e «basso», fra «dentro» e «fuori», cioè fra «dirigenti» e «diretti». Non importa che si tratti di un’unità fittizia e del tutto retorica. L’importante è ricucire lo scollamento che si è venuto a creare e iniziare a riaggregare attorno alle élites importanti elementi di consenso. Siamo alla fase due, cioè al contr’assedio, in una parola ad una nuova strategia egemonica che punta a ricollocare l’elemento popolare riottoso e ribelle al suo posto.

Comandini, dopo aver fatto un passaggio sulla necessità di accettare la «transizione energetica» così come questa viene imposta dall’alto, seppure con dei correttivi rispetto al Far West dovuti dal Decreto Draghi del 2021 (emanato dal Governo che le forze attualmente al potere in Sardegna hanno sostenuto a livello statale), rende esplicita la nuova strategia per fronteggiare la crisi organica aperta dalla Pratobello 24. Comandini, auspicando un «atto di fiducia» verso il centro politico da parte del gregge popolare smarrito rivela la liason tra la centrale del potere e la proposta di Bandinu all’«unità». Vediamo in parallelo la narrazione di Comandini e quella di Bandinu.

Comandini:

«Io credo che in questo momento, con tutte queste grandi trasformazioni, anche il rapporto di fiducia nei confronti delle istituzioni deve essere rafforzato perché non ci possiamo più permettere divisioni fra sardi e fra istituzioni»

Scriveva Bandinu nella chiosa del suo appello:

«La battaglia giuridica e politica con Roma non è affatto facile, anzi incontrerà difficoltà enormi, perché nel contenzioso tra Stato e Regione, la Consulta da quasi sempre ragione allo Stato. Un motivo in più per essere uniti. Se c’è un consenso diffuso, l’incontro-dibattito si può mettere in atto, se si ritiene superfluo e inutile, valga almeno il proposito di conciliazione: disarmati tra di noi, armati contro il comune nemico».

In entrambi i casi dietro l’appello all’«unità dei sardi» verso l’esterno (nel caso di Comandini verso il Governo Meloni e non verso lo Stato italiano e la sua funzione coloniale in quanto tale) lavora invece il raffinato tentativodi ricucire lo strappo che esiste tra popolo ed élites sarde, pienamente responsabili della colonizzazione energetica in corso.

Resta da capire quale sia la cerniera tra le due elaborazioni e il ruolo che gioca in tutto questo la «rivoluzione gentile» di Soru con i suoi articolati dentro il movimento. Su questo credo sarà necessario tornare in seguito, per ricostruire nei dettagli la strategia della «teoria dell’unità per assimilazione», la quale ho buone ragioni per credere che sia ampiamente utilizzata non solo nel contesto sardo, ma anche in molti altri contesti dove si aprono conflitti e contraddizioni «organiche» (pacifismo e opposizione alla guerra, movimento di solidarietà per la Palestina, femminismo, ecc...).

Veniamo ora alla governatrice Alessandra Todde la quale, ai microfoni dell’Unione Sarda, ha dichiarato quanto segue:

«Noi abbiamo raccolto, io personalmente ho raccolto, la paura e la preoccupazione delle tante persone che hanno firmato questa iniziativa di legge popolare. La questione è distinguere quello che è il ruolo delle istituzioni. Chi propone una legge di iniziativa popolare mostra chiaramente delle paure e mostra ovviamente la preoccupazione di voler difendere in questo caso il proprio territorio. Le istituzioni devono fare le istituzioni. Noi siamo una Giunta e un Consiglio che sono stati legittimamente eletti e quindi devono fare il compito che gli è stato assegnato dai cittadini durante le lezioni e quindi è importante differenziare questo. noi ascolteremo ovviamente le preoccupazioni, le raccoglieremo all’interno della legge che stiamo proponendo ma è giusto che i legislatori facciano i legislatorie interpretino la volontà considerando che sono stati legittimamente eletti»[9].

I lemmi «paura» e «preoccupazione» ricorrono ossessivamente in pochi secondi di intervista e il nocciolo del discorso è il medesimo di Comandini, anche se la forma è più ingessata e meno abile nella costruzione dell’illusione di quella che Gramsci chiama «connessione sentimentale tra dirigenti e diretti»: Chi ha sostenuto e sottoscritto la Pratobello 24 voleva comunicarci «paure» e «preoccupazioni» che ora noi «accogliamo» nel modo in cui riteniamo opportuno, ovviamente disinnescando la volontà popolare e riassorbendone le istanze di rottura. Il significato del discorso di Todde è il medesimo di quello di Comandini, anche se a naso direi che Comandini maneggia meglio Gramsci (almeno per cultura di apparato) rispetto alla governatrice, ma questi sono dettagli. Il punto è che Todde ha abbandonato il vecchio armamentario narratologico di una manipolazione della volontà collettiva dei sardi da parte di terzi e si è ricollocata su una strategia pseudo unitaria che esprime vicinanza e ascolto, anche se solo in funzione strumentale e fittizia. Anche Todde si è giocoforza adeguata alla necessità di una nuova fase nella guerra d’attrito contro il Movimento Pratobello 24. Inutile usare solo la forza, serve anche l’egemonia!

Siamo dunque alla seconda fase della strategia anti popolare delle élites e il «toddismo» rappresenta l’armamentario politico e culturale con il quale da oggi in poi dobbiamo misurarci. A corredo del «toddismo», ovviamente stanno pezzettini del movimento e quelli che Gramsci chiamava «traditori di classe» che intravedono in questo cambio di passo una possibilità di inserirsi a pettine nelle maglie delle elites. Ma anche su questo rimando al mio La «transizione energetica», Gramsci e la rivoluzione passiva per L’Antidiplomatico.

 

Pratobello 24 cambia tutto Scrive giustamente Omar Onnis su Sardegna Mondo che per il potere «la mobilitazione popolare» è il «nemico pubblico numero uno»[10] e su S’Indipendente avanza un elenco di contraddizioni coloniali legate alla questione energetica su cui si è aggregato un vasto dissenso, trasformatosi presto in un movimento capace di formulare proposte e di costruire intorno a queste una mobilitazione inedita. Scrive ancora Onnis: «la Sardegna non rifiuta le fonti rinnovabili, ma la speculazione e l’aggressione coloniale tramite cui le si sta imponendo sull’isola, contro l’interesse delle nostre comunità e a detrimento di beni e necessità comuni»[11].

Al «toddismo» è necessario contrapporre una prospettiva politica che lavori per trasformare la «crisi organica» in «costruzione egemonica». Siamo a buon punto. Il Movimento Pratobello 24 possiede una direzione «intellettuale e morale» che non è nata oggi, ma che in gran parte proviene da vertenze sull’occupazione militare, dalla difesa della sanità pubblica, dal mondo sindacale di base e soprattutto dal settore scuola, dal mondo della cultura e dalle lotte per il bilinguismo.

Sarà impossibile e perfino controproducente ricavarne un partito vecchio stile, omogeneo e strutturato in maniera statica. Ma sarà anche impossibile restare ad un livello fluido e monotematico. Ci sono questioni legate a doppio filo alla colonizzazione energetica. Ne dico due tanto per aprire le danze della dialettica che ci attende: il no al DL 1660 che di fatto completa la trasformazione dello Stato di diritto in una post-democrazia dove manifestare o anche solo dissentire diventa sempre più rischioso, e l’opposizione alla folle corsa verso l’escalation bellica con il conseguente utilizzo della Sardegna come hub militare strategico. A quest’ultima questione l’energia è legata a filo doppio, visto che il ruolo della Sardegna all’interno del Patto atlantico sarà sempre di più funzionale alle nuove esigenze belliche, sia direttamente (con la fitta presenza di basi e poligoni militari), sia indirettamente (con la produzione di energia a buon mercato per le fabbriche energivore che dovranno sfornare in gran quantità munizioni e carri armati.

E allora riprendiamo la fine dell’articolo di Maninchedda e le sue tre opzioni elitarie di sbocco politico del Movimento Pratobello 24 dopo le 210 mila firme:

opzione 1: il Consiglio rigetta la legge e cosa farà il «Popolo delle firme»? «Griderà al golpe? Scenderà in piazza? E con quali obiettivi? Occuperà il Consiglio?»

opzione 2: «Il Consiglio regionale fa il furbacchione e approva intonsa la legge che, un attimo dopo verrà impugnata dal Governo. Che farà il popolo delle firme? Assedierà le prefetture? Occuperà le caserme?Bloccherà i porti?»

Opzione 3. «Il Consiglio approva e il Governo non impugna. La strada sarebbe spianata a migliaia di leggi di iniziativa popolare che dichiarerebbero inutili i parlamenti. La strada al premierato senza assemblee legislative sarebbe spianata (e forse Giorgia ringrazierebbe) e magari vi sarebbe chi raccoglierebbe le firme per impedire la ricostruzione dell’Ospedale Marino sulla spiaggia del Poetto perché a favore della sua demolizione»

Mi permetto di suggerire anche una quarta opzione all’olimpica e superiore anima di Maninchedda. Il «Popolo delle firme», cioè i 210. 729 sardi che hanno sottoscritto la Pratobello 24 e le altre decine di migliaia che avrebbero voluto firmare ma che per un motivo o per l’altro non hanno potuto, finalmente prendono consapevolezza e attorno al Movimento Pratatobello 24 e alla sua fitta rete territoriale, si organizzano per costruire un’alternativa democratica e popolare ad una èlite politica che ancora una volta si abbassa le mutande davanti agli «spogliatori di cadaveri» e ostenta spocchia (manincheddismo) o cerca di blandire pateticamente il dissenso (toddismo e comandinismo) per portare a casa la pelle (politica).

Sarebbe anche ora che il popolo sardo avesse il suo primo reale movimento di liberazione popolare e nazionale. Liberazione, in primo luogo, da questa misera e parassitaria élite, incapace di costruire alcun legame organico con il popolo che pure si candida sistematicamente a rappresentare, tradendone però puntualmente le istanze e le aspirazioni fondamentali.

NOTE: 

[1] https://www.lanuovasardegna.it/nuoro/cronaca/2024/10/02/news/turisti-al-lavoro-nelle-campagne-di-oliena-in-cambio-di-ospitalita-nel-vecchio-ovile-senza-frontiere-1.100593019.

[2] https://www.vitobiolchini.it/2024/09/28/pratobello24-la-vendemmia-e-stata-abbondante-ma-adesso-il-vino-chi-lo-fa/?fbclid=IwY2xjawFrpvBleHRuA2FlbQIxMQABHS_Qhhy8WHK6pSxHeLsm6r7Fb5e6m9S5Wj3AHOYD0TtWnT7_Oae3efukIg_aem_UhjCVHu1TOrpDbfJyenO7g&sfnsn=scwspwa#google_vignette.

[3] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-contro_bachisio_bandinu_transizione_energetica_neocolonialismo_e_schiavi_che_finalmente_sanno_dire_no/39130_56590/.

[4] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_transizione_energetica_gramsci_e_la_rivoluzione_passiva/39602_56318/.

[5] https://www.sardegnaeliberta.it/manifestazione-riuscita-e-adesso/?fbclid=IwY2xjawFrp0BleHRuA2FlbQIxMQABHUlu0N-ZX_djmN4nnUaBpX5y9D8ISPFhAvPpvWreLSh2wB09qDv5z2fE8w_aem_tT3kUc_RULVYU3dkGn8k7w&sfnsn=scwspwa.

[6] https://www.progettosardegna.it/proposta-di-un-incontro-dibattito/.

[7] https://www.videolina.it/articolo/video/attualita/2024/10/03/radar-oltre-l-attualita-2024-4-ottobre-80-1205394.html.

[8] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-contro_bachisio_bandinu_transizione_energetica_neocolonialismo_e_schiavi_che_finalmente_sanno_dire_no/39130_56590/.

[9] https://www.unionesarda.it/politica/legge-pratobello-todde-niente-scorciatoie-i-legislatori-siamo-noi-ni9l63p1.

[10] https://sardegnamondo.eu/2024/09/01/la-mobilitazione-popolare-nemico-pubblico-numero-uno-per-il-potere/.

[11] https://www.sindipendente.com/blog/pratobello24-linizio-di-una-nuova-fase/

Data articolo: Mon, 07 Oct 2024 12:00:00 GMT