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IN PRIMO PIANO
Trump annuncia (senza prove) che gli Usa hanno attaccato una "barca carica di droga partita dal Venezuela"

 

Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato martedì che le truppe del suo Paese, dispiegate nei Caraibi, hanno condotto un'operazione militare culminata con l'attacco a una presunta "nave con droga" che sarebbe partita dal Venezuela.

L'annuncio è stato fatto dal Presidente Trump nel corso di una conferenza stampa tenuta nello Studio Ovale della Casa Bianca. "Letteralmente pochi minuti fa abbiamo abbattuto una nave che trasportava droga, una grande quantità di droga. Lo vedrete e lo leggerete. È successo proprio pochi istanti fa", ha dichiarato il Presidente, affermando di essere stato appena informato della questione dal Presidente del Joint Chiefs of Staff, il Generale Daniel ‘Razin’ Caine. "Abbiamo molta droga che entra nel nostro Paese, da molto tempo, e semplicemente questa proveniva dal Venezuela (...) Molte cose stanno uscendo dal Venezuela, quindi l'abbiamo eliminata", ha aggiunto.

Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha successivamente definito l'azione un "attacco letale", indicando che la "nave con la droga" era partita dal Venezuela ed "era gestita da un'organizzazione narcoterroristica" già sanzionata da Washington. Senza nessuna prova fornita, nessuna foto e nessun messaggio, la "notizia" appare al momento una strategia per aumentare le tensioni. Senza dettagli operativi sull'accaduto, inclusi l'esatta ubicazione dell'attacco, le prove a conferma dell'origine venezuelana dell'imbarcazione o la procedura utilizzata per identificare il cartello responsabile del trasporto il tutto resta sullo scenario di squallide allusioni.

Le tensioni tra Caracas e Washington sono in escalation dallo scorso agosto, quando il Procuratore Generale degli Stati Uniti, Pam Bondi, annunciò un aumento da 25 a 50 milioni di dollari della taglia per informazioni che portassero alla cattura del Presidente venezuelano Nicolás Maduro, accusato senza prove di guidare un'organizzazione dedita al traffico internazionale di droga.

Queste accuse sono state categoricamente smentite dalle autorità venezuelane e respinte da diversi osservatori internazionali. I rapporti pubblicati dalll'ONU presentano il Venezuela come un paese libero da coltivazioni illecite, attraverso il quale circola solo il 5% della cocaina prodotta in Colombia. Secondo le stesse fonti, la maggior parte (87%) delle droghe che transitano dal Sudamerica al Nordamerica lo fanno attraverso la rotta dell'Oceano Pacifico. In un articolo pubblicato anche da l'AntiDiplomatico, Pino Arlacchi, ex Vice Segretario delle Nazioni Unite (ONU) e rinomato esperto di criminalità organizzata, ha pubblicato un'analisi in cui smaschera il vero intento dello schieramento militare statunitense contro il Venezuela, definendola priva di fondamento. Sulla base dei dati del Rapporto mondiale sulle droghe di quest'anno delle Nazioni Unite, Arlacchi sottolinea che "raccontano una storia opposta a quella diffusa dall'amministrazione Trump" e consentono di smantellare "pezzo per pezzo la trama geopolitica costruita attorno al ‘Cartello dei Soli’, un'entità leggendaria quanto il Mostro di Loch Ness".

In risposta al dispiegamento militare statunitense, il Presidente venezuelano Nicolás Maduro ha avvertito in una conferenza stampa con i media internazionali che il suo Paese "sta affrontando la più grande minaccia" dell'ultimo secolo, poiché Washington ha dispiegato otto navi militari, un sottomarino nucleare e 1.200 missili puntati sul territorio venezuelano.

Maduro ha dichiarato con fermezza che “se il Venezuela fosse attaccato, passerebbe immediatamente a un periodo di lotta armata in difesa del territorio nazionale, della storia e del popolo venezuelano". Il Presidente ha aggiunto che il Paese si dichiarerebbe "costituzionalmente la Repubblica in armi. Lotta armata e Repubblica in armi. Da nord a sud, da est a ovest, per garantire la pace, la sovranità e lo sviluppo del Paese in qualsiasi circostanza ci tocchi". Maduro ha spiegato che il Paese bolivariano dispone di “un piano strategico” di difesa “che è stato progettato nel corso di 20 anni e che è stato adattato, rinnovato” e “include due forme di lotta”, quella non armata e quella armata.

La gravità della situazione è stata evidenziata anche a livello regionale. Durante una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC), il Cancelliere venezuelano Yván Gil ha chiesto “il ritiro immediato delle forze militari statunitensi dal Mar dei Caraibi”, ritenendo che si tratti di “una situazione senza precedenti dalla crisi dei missili degli anni '60, quando la pace regionale fu messa a rischio in modo significativo”.

Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 21:00:00 GMT
I media alla guerra
Lo "strano" silenzio sull'incendio nel porto di Amburgo

 

Sui media main stream neanche una riga sulla possibilità che l’incendio nel porto di Amburgo sia stato un sabotaggio e che negli hangar andati distrutti fossero stipati armamenti e munizioni destinati al regime di Kiev. Ipotesi verosimile considerando, ad esempio, le esplosioni che si sono susseguite per cinque giorni e che di certo non avrebbero potuto provenire da “serbatoi di gas pressurizzato” come si è favoleggiato su giornali e TV. Ma, visto che questa Ipotesi evidenzierebbe l’estrema vulnerabilità dei paesi europei nel caso di conflitto con la Russia, tutti zitti.

Di riflesso, tutti i giornalisti di regime ad additare Putin per la presunta neutralizzazione del GPS dell’aereo della von Der Leyen  in volo verso l’aeroporto di Plovdiv in Bulgaria e analoghi fantomatici attacchi ad aerei di linea; “episodi” che, verosimilmente, dovrebbero “giustificare” il bombardamento di una antenna radio nei pressi di Okunevo, a Kaliningrad, l’exclave russa tra Polonia e Lituania.

Intanto, già esiste un primo rapporto ufficiale della Bulgarian Air Traffic Services Authority che ridimensiona l’accaduto mentre Flightradar24 analizzando i dati del trasponder dell’aereo attesta che il velivolo, al pari di altri su quella rotta, non ha fatto nessuna deviazione significativa. Una bolla di sapone (come confermato qui anche da Stephen Bryen) questa faccenda del GPS? Temiamo di no. La faccenda dell’antenna radio nei pressi di Okunevo che, come ci illumina Il Corrieregià tra il 2023 e il 2024 alcuni generali europei proponevano di abbattere o disinnescare” è stata già ripresa da numerosi media che ora farneticano di un misterioso “documento interno dell'Ue redatto a maggio” secondo il quale, addirittura, già migliaia di voli aerei civili sarebbero stati disturbati nei GPS, evidentemente  dai russi.

Un crash aereo da addebitare a Putin?

Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 20:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Putin incontra Fico a Pechino: la sintesi delle principali dichiarazioni

 

Il Presidente russo Vladimir Putin ha ribadito durante un incontro con il Primo Ministro slovacco Robert Fico che l'adesione dell'Ucraina alla NATO è «inaccettabile» per Mosca, poiché contraria ai suoi interessi di sicurezza nazionale. Nel corso del colloquio avvenuto a Pechino, i due leader hanno toccato diversi temi, dalle relazioni bilaterali al conflitto ucraino, fino alla cooperazione con gli Stati Uniti.

Putin ha respinto con forza le accuse occidentali alla Russia. Ha definito i piani «aggressivi della Russia nei confronti dell'Europa» come «assolutamente privi di senso e di fondamento», aggiungendo che le azioni della NATO mirano ad assorbire l'intero spazio post-sovietico.

«Di fronte a questo, non abbiamo avuto altra scelta che reagire», ha affermato il leader russo, paragonando i paesi dell'Alleanza Atlantica a «produttori di film horror» intenti ad alimentare l'isteria. «Continuano a raccontare storie spaventose sui piani aggressivi che la Russia starebbe tramando. Penso che per chiunque sia sano di mente questo sembri una chiara provocazione o una prova di totale incompetenza».

Riguardo al conflitto in Ucraina, Putin ha negato qualsiasi responsabilità diretta, attribuendo la causa principale all'Occidente per aver «incoraggiato un colpo di Stato» a Kiev. Ha dichiarato che la Russia è stata «costretta a difendere i propri interessi e la propria popolazione nel Donbass», e che gli sviluppi in Crimea e nel sud-est ucraino ne sono stati una diretta conseguenza.

Sugli attacchi alle infrastrutture energetiche, Putin ha sostenuto che Mosca ha «tollerato per molto tempo» gli assalti delle forze ucraine prima di iniziare a «rispondere in modo serio». Nonostante ciò, ha tenuto a precisare che «la Russia rimane un fornitore affidabile di risorse energetiche».


Prospettive di Dialogo e la Posizione sull'Ucraina

Nonostante le posizioni dure, il Presidente russo si è detto ottimista sulla possibilità di trovare un consenso riguardo alla sicurezza dell'Ucraina, rivelando di aver discusso opzioni concrete con l'ex Presidente statunitense Donald Trump durante i loro colloqui in Alaska.

«La nostra posizione sull'adesione dell'Ucraina alla NATO è ben nota. Riteniamo che sia inaccettabile per noi», ha dichiarato Putin, sottolineando come la sicurezza di un paese non possa essere costruita «a scapito della sicurezza di altri, in particolare della Russia». Ha specificato, invece, che Mosca non si è mai opposta all'ingresso di Kiev nell'Unione Europea.

Putin ha espresso soddisfazione per il recente dialogo con Washington, affermando che con l'amministrazione Trump sta emergendo una «comprensione reciproca» che prima mancava. Ha anche annunciato la disponibilità russa a considerare una cooperazione con Stati Uniti e Ucraina sulla centrale nucleare di Zaporozhye (ZNPP), e futuri progetti nucleari congiunti con gli USA in Slovacchia.

Rivolgendosi a Fico, Putin ha dichiarato di aver molto apprezzato la «politica estera indipendente» perseguita dal governo di Fico, che sta dando «risultati positivi» soprattutto in campo economico. Ha evidenziato come diverse aziende slovacche continuino a operare con successo sul mercato russo, a vantaggio dell'economia nazionale slovacca.

Pur lamentando un drastico calo del volume d'affari bilaterale – da 10 miliardi di dollari a meno del 4% a causa delle «restrizioni esterne» – Putin ha espresso speranza che le positive tendenze commerciali emerse recentemente possano «rafforzarsi e mantenersi».

A sua volta, il Primo Ministro slovacco Robert Fico ha dichiarato di voler portare le conclusioni di questo colloquio al presidente ucraino Zelensky, e ha parlato della creazione di un nuovo ordine mondiale con un mondo multipolare e un nuovo equilibrio di potere, che per lui è importante per la stabilità internazionale. E, conclude Fico, con una colorita valutazione sull'Unione Europea, paragonandola a un «rospo in fondo a un pozzo» che «non vede nulla intorno a sé».

Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 20:00:00 GMT
Italia
Nuova via sul Gran Sasso dedicata alla Palestina. Il Club Alpino Accademico insorge

 

Il CAI, il club alpino italiano, dedica un percorso alpinistico alla Palestina. La via è dedicata a "tutti i palestinesi che lottano contro i sionisti". Cioè alla Resistenza.
 
E partono polemiche e censura da parte del Club Alpino Accademico che si rifiuta di riconoscere e catalogare la nuova strada. Perché? Perché, in sintesi, era accettabile che si dedicasse la nuova via al genocidio, alle vittime inermi, ma guai ad esaltare la resistenza del popolo palestinese contro il terrorismo di Israele, contro il sionismo.
 
Perché questo episodio è importante? Perché rispecchia un atteggiamento emblematico che contraddistingue, qualifica e descrive perfettamente la distopia cognitiva del dibattito attuale sulla Palestina, da parte del cosiddetto "mondo occidentale".
 
Chi vuole potrà approndire la vicenda attraverso le poche riviste di alpinismo che oggi ne danno notizia.
 
È  sufficiente qui riportare la motivazione dell'accademia contro la decisione del Club Alpino italiano.

"1-Il CAAI non ha una posizione ufficiale in merito alle faccende politiche nel mondo, né è necessario ed opportuno che ce l'abbia, tanto più sulla questione Palestinese, veramente complessa nella sua globalità.

Facciamo quindi notare come LA DEDICA della salita "Dal Fiume al Mare" richiami la lotta politica (“dedicata a tutti i Palestinesi che lottano contro i Sionisti”) e non il genocidio di una comunità, sulla cui condanna si ritiene che non possano esserci dubbi."
 
L'affollamento mediatico dell'ultimo minuto (di VIP e meno vip) per solidarizzare con il popolo palestinese, dopo quasi due anni di orrore, di olocausto, di sterminio in diretta streaming, sembra rappresentare le stesse caratteristiche.

Il trendy del momento è assumere la tragedia di Gaza come "questione umanitaria", ma senza denunciare il colonialismo, senza additare i colpevoli, senza condannare la complicità, senza chiedere di interrompere ogni rapporto con Israele.
 
E, soprattutto, condannando la resistenza....
Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 18:00:00 GMT
OP-ED
Pepe Escobar - A Tianjin si balla al ritmo multipolare

 

di Pepe Escobar 

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

E, oh, che spettacolo è stato! Un ballo pan-asiatico, pan-Eurasia, crossover del Sud Globale, con la scintillante dinamo Tianjin come sfondo, goduto come tale dalla stragrande maggioranza del pianeta, mentre ha prevedibilmente generato cascate di uva acerba tra l'Occidente frammentato – dall'onnipotente Impero del Caos alla Coalizione dei Chihuahua Sdentati.

La storia registrerà che, per quanto i BRICS siano finalmente saliti alla ribalta al vertice di Kazan nel 2024, l'OCS ha replicato la mossa al vertice di Tianjin nel 2025.

In mezzo a una festa di momenti salienti – difficile da superare Putin e Modi che camminano mano nella mano – questo è stato, ovviamente, il ballo dell'MC, Xi. I RIC originali (Russia, India, Cina), come concettualizzati dal Grande Primakov alla fine degli anni '90, erano finalmente tornati in gioco, insieme.

Ma è stato Xi a stabilire personalmente le linee guida principali – proponendo nientemeno che un nuovo modello di Governance Globale, completo di importanti ramificazioni come un ritorno allo sviluppo dell'OCS, che dovrebbe integrare la NDB dei BRICS, così come una stretta cooperazione nell'intelligenza artificiale in contrasto con il tecno-feudalesimo della Silicon Valley.

La Governance Globale, alla maniera cinese, comprende cinque principi fondamentali. La più cruciale, senza dubbio, è l'uguaglianza sovrana. Ciò si collega al rispetto dello stato di diritto internazionale – e non a un "ordine internazionale basato su regole" che cambia forma, a volontà. La Governance Globale promuove il multilateralismo. E incoraggia inevitabilmente anche un approccio "incentrato sulle persone", molto lodato, lontano dagli interessi acquisiti.

Putin, da parte sua, ha descritto il ruolo dell'OCS come "veicolo per un autentico multilateralismo", in sintonia con questa nuova Governance Globale. E ha invocato in modo cruciale un modello di sicurezza pan-eurasiatico. Questa è esattamente l'"indivisibilità della sicurezza" che il Cremlino ha proposto a Washington nel dicembre 2021 – ed è stata accolta con una risposta non-risposta.

Quindi, presi insieme, i BRICS e l'OCS sono totalmente impegnati a seppellire la mentalità dell'era della Guerra Fredda, un mondo diviso da blocchi; e allo stesso tempo sono abbastanza lungimiranti da chiedere che il sistema delle Nazioni Unite sia rispettato così come è stato originariamente concepito.

Infine, quella sarà proprio la Madre di tutte le Salite Ardue – comprendendo tutto, dal portare le Nazioni Unite fuori da New York alla completa ristrutturazione del Consiglio di Sicurezza.

 

La danza dell'Orso, del Drago e dell'Elefante

Se Xi avesse stabilito le linee guida a Tianjin, l'ospite d'onore strategico doveva essere Putin. E questo si è ripercuotato sul loro incontro faccia a faccia martedì allo Zhongnanhai di Pechino: molto privato, dato che solo le conversazioni speciali si tengono nell'ex palazzo imperiale. Xi ha salutato il suo "vecchio amico" in russo

Putin sottolineava, in modo molto cinese, il ruolo centrale del Programma di Sviluppo dell'OCS per i prossimi 10 anni – soprattutto quando si trattava di tutti quei successivi piani quinquennali di successo.

Queste tabelle di marcia sono essenziali per definire strategie a lungo termine. E nel caso dell'OCS, ciò significa organizzare il suo progressivo passaggio da un meccanismo antiterrorismo a una complessa piattaforma multilaterale che coordina lo sviluppo delle infrastrutture e la geoeconomia.

Ed è qui che entra in gioco la nuova idea della Cina: l'istituzione della Banca di Sviluppo dell'OCS. È un'istituzione speculare alla NDB – la banca BRICS con sede a Shanghai, e parallela all'Asia Infrastructure Investment Bank (AIIB), la banca multilaterale con sede a Pechino.

Ancora una volta, BRICS e l'OCS si trovano intrecciati, poiché il loro obiettivo principale è quello di abbandonare progressivamente la dipendenza dai paradigmi occidentali e allo stesso tempo combattere l'effetto delle sanzioni, che non a caso hanno colpito duramente i quattro membri principali di entrambi i BRICS e l'OCS: Russia, Cina, India e Iran.

E naturalmente, in mezzo a tutto il cameratismo a Tianjin, c'era Modi in Cina per la prima volta in 7 anni. Xi è andato dritto al punto: "La Cina e l'India sono grandi civiltà le cui responsabilità vanno oltre le questioni bilaterali." E l'MC Xi si è di nuovo scatenato sulla pista da ballo: il futuro è "nella danza del drago e dell'elefante". Spunto per i Tre Amigos dell'Eurasia che chiacchierano amichevolmente nei corridoi.

La Dichiarazione di Tianjin – non così estesa come quella di Kazan l'anno scorso – è riuscita comunque a sottolineare i punti chiave che si applicano all'Eurasia: la sovranità, sopra ogni altra cosa; non ingerenza negli affari interni degli Stati membri; e il rifiuto totale delle sanzioni unilaterali come strumenti di coercizione.

Fondamentalmente, ciò dovrebbe valere non solo per gli Stati membri dell'OCS, ma anche per i partner – dalle petromonarchie arabe alle potenze del sud-est asiatico. Le strategie di sviluppo di diverse nazioni già cooperano, nella pratica, con i progetti BRI, dal Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC) al Parco Industriale Cina-Bielorussia, estrapolando all'e-commerce transfrontaliero, all'Intelligenza Artificiale e ai Big Data.

La sbalorditiva scala geografica dell'OCS, combinata con la metà della popolazione mondiale, ha un enorme potenziale in tutto lo spettro – ad esempio per quanto riguarda il commercio, le infrastrutture di trasporto, gli investimenti transfrontalieri e le transazioni finanziarie. Il potenziale è ben lungi dall'essere realizzato.

Ma i treni ad alta velocità son già in partenza: gli imperativi geopolitici stanno guidando l'aumento dell'interazione geoeconomica pan-eurasiatica.

 

Lo spirito di Shanghai sviscera la "Guerra al Terrore"

Quindi questo è il punto principale dello Spettacolo di Tianjin: l'OCS che si afferma come un solido polo strategico che unisce gran parte della Maggioranza Globale. E tutto questo senza la necessità di trasformarsi in un colosso militare offensivo come la NATO.

E' molto lontano da un padiglione in un parco di Shanghai nel 2001, solo tre mesi prima dell'11 settembre – che è stato commercializzato dall'Impero del Caos come la prima pietra della "guerra al terrore". L'altra pietra miliare inizialmente modesta – con la Russia, la Cina e tre "stan" dell'Asia centrale – è stato lo "spirito di Shanghai": un insieme di principi basati sulla fiducia e il beneficio reciproci, l'uguaglianza, la consultazione, il rispetto per la diversità delle civiltà e l'enfasi sullo sviluppo economico comune.

Come lo spirito di Shanghai sia sopravvissuto alla "guerra al terrore" ci lascia molto su cui riflettere.

Nel suo brindisi all'elegante banchetto offerto a Tianjin per gli ospiti dell'OCS, Xi ha dovuto citare un proverbio: "In una gara di cento barche, chi rema più forte comanderà."

Una fatica. I cui risultati possono essere visti da chiunque si trovi di fronte allo spettacolare sviluppo di Tianjin. Questo non ha assolutamente nulla a che fare con la "democrazia" – degradata dai suoi praticanti come lo è in tutto l'Occidente collettivo – opposta agli "autocrati", o ai "cattivi", o all'Asse dell'Insurrezione, o a qualsiasi altra scemenza. Si tratta sempre di duro lavoro – per il bene comune. Ed è proprio per questo che lottano i BRICS e l'OCS.

Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 17:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Francia: mandato d'arresto per Assad

 

di Francesco Fustaneo

 

La magistratura francese ha emesso martedì un ulteriore mandato di cattura per l'ex presidente siriano Bashar al-Assad e altri sei alti funzionari del suo regime. L’accusa è correlata al bombardamento di un centro stampa a Homs il 22 febbraio 2012.

Nell'attacco, che i giudici francesi imputano alle forze armate di Assad, persero la vita la giornalista americana Marie Colvin (del Sunday Times) e il fotografo francese Rémi Ochlik. Rimasero feriti il fotoreporter Paul Conroy, la reporter Edith Bouvier e il traduttore Wael Omar.

Durante il bombardamento, Colvin e il francese Ochlik decisero di uscire dall’edificio. Una volta fuori, furono colpiti in modo letale da un colpo di mortaio. Le tre persone rimaste all’interno rimasero invece ferite.

Oltre ad Assad, sono ricercati suo fratello Maher al-Assad (allora comandante della Quarta Divisione Corazzata), il capo dell'intelligence Ali Mamlouk e l'ex capo di stato maggiore Ali Ayoub.

L'azione della giustizia francese si scontra con la realtà politica: Assad, detronizzato di fatto nel 2024, si trova dal dicembre dello scorso anno sotto l’asilo politico della Russia, ed è impensabile pensare a una sua estradizione.

Politicamente, occorre ricordare che la Francia ha salutato con enfasi la caduta di Assad e il nuovo corso governativo siriano, finanche legittimando – con l’invito istituzionale a Parigi nello scorso maggio alla presenza di Macron – la figura di Al Jolani (A?mad ?usayn al-Shar?), autoproclamatosi presidente siriano dopo la presa di Damasco a capo della formazione HTS e con un pedigree da terrorista jihadista di tutto rispetto, prima delle operazioni di restyling della sua figura da parte di ambasciate occidentali e media.

Un restyling che, a onor del vero, già allo scoppio del conflitto siriano nel 2011  e negli anni a seguire  in Siria aveva interessato anche formazioni come Jabhat al-Nusra e altre organizzazioni terroristiche e gruppi affini, per renderle presentabili al mondo e legittimarne i tentativi di rovesciamento di Bashar al-Assad.

Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 16:00:00 GMT
OP-ED
Caitlin Johnstone: "Non è un genocidio" non è un'affermazione difendibile nel 2025

 

di Caitlin Johnstone*

L'Associazione Internazionale degli Studiosi del Genocidio (IAGS) ha stabilito che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza.

Si tratta della più grande associazione mondiale di studiosi del genocidio, con circa 500 esperti in materia, tra cui molti studiosi dell'Olocausto. Il consenso è stato raggiunto da una schiacciante maggioranza degli esperti: l'86%, per la precisione.

Tutti devono capire che "non c'è genocidio a Gaza" non è un'affermazione che può essere presa sul serio nel 2025. Amnesty InternationalHuman Rights Watchesperti delle Nazioni Unite per i diritti umani, gruppi israeliani per i diritti umani come B'Tselem e la stragrande maggioranza degli studiosi del genocidio concordano sul fatto che si tratti di un genocidio. Il dibattito è chiuso. Gli hasbaristi hanno perso.

Il Ministero degli Esteri israeliano sostiene ovviamente che la valutazione dell'IAGS è "interamente basata sulla campagna di menzogne di Hamas". Esatto, gente, gli studiosi del genocidio sono Hamas.

Sono semplicemente incredibilmente malvagi. Nessuno che non sia un supercriminale dei cartoni animati o in CGI ha il diritto di essere così malvagio. Se vuoi essere così follemente malvagio, dovresti essere animato e ridacchiare mentre ti torci i baffi ricci tutto il tempo.

Forse la cosa più stupida che ci viene chiesto di credere sulla Palestina è che ogni importante istituzione per i diritti umani sulla Terra faccia parte di una segreta cospirazione antisemita basata sulla diffamazione del sangue. Questo genocidio è un insulto continuo alla nostra intelligenza.

Secondo quanto riferito, Israele starebbe pianificando di interrompere la piccola quantità di aiuti che ha consentito l'ingresso nel nord di Gaza. Questo avviene dopo che sia i gruppi di monitoraggio, sostenuti dalle Nazioni Unite che quelli finanziati dagli Stati Uniti, hanno stabilito che Israele sta causando una carestia a Gaza, preceduta da settimane in cui Israele ha negato furiosamente di star affamando Gaza, precedute dall'annuncio aperto da parte dei funzionari israeliani della loro intenzione di affamare Gaza.

La stampa occidentale ha ripetuto a pappagallo la linea dei governi statunitense e israeliano secondo cui il piano di Trump per la pulizia etnica di Gaza sarà "volontario" nei loro titoli.

"Il piano postbellico di Gaza prevede il trasferimento 'volontario' dell'intera popolazione", si legge in un titolo del Washington Post.

"La 'Riviera di Gaza' gestita dagli Stati Uniti: il piano di riqualificazione postbellica prevede il 'trasferimento volontario' di milioni di persone", titola la CNBC.

"Il piano di Trump per Gaza prevede il trasferimento 'volontario' dei palestinesi e l'assegnazione di 5.000 dollari a ciascuno", per The Independent.

"Il piano postbellico di Gaza propone un trasferimento 'volontario', 'gettoni' in cambio di terra ", secondo France 24.

In futuro sentiremo spesso questo slogan sul trasferimento "volontario", e tutti dovrebbero capire che è una bugia. Non c'è nulla di "volontario" nell'abbandonare un'area che viene deliberatamente resa inabitabile da qualcuno che ha potere su di te. È esattamente come costringere qualcuno ad andarsene sotto la minaccia delle armi.

È propaganda e cattiva condotta giornalistica da parte dei media occidentali promuovere questo slogan.

Ho visto un tweet dell'influencer liberale Steven Bonnell, alias Destiny, che diceva: "La Palestina è solo una moda per la sinistra".

I sostenitori di Biden lo dicono continuamente, e questo rivela molto sulla loro visione del mondo. Non riescono a comprendere il concetto di qualcuno che si oppone a un genocidio perché il genocidio è un male; può essere solo una sorta di dichiarazione di moda, perché è ciò che va di moda in questo momento.

Si tratta di persone che non sono motivate dalla moralità, dai fatti e dalla logica, ma esclusivamente da impulsi egoistici e cinici che poi proiettano su tutti gli altri. Non riescono a immaginare che qualcuno faccia qualcosa perché è la cosa giusta da fare, quindi devono inventare una ragione per cui ci debba essere qualcosa di utile per loro affinché le loro azioni abbiano senso.

Ma è positivo che, anche attraverso la loro prospettiva narcisistica ed egocentrica, stiano iniziando a capire che sostenere un genocidio attivo è ormai ampiamente considerato inaccettabile, e che abbandonare questa folle posizione è l'unico modo per ottenere l'accettazione nella società dominante. Chi non può essere rimesso in riga facendo appello alla compassione e alla ragione, può farlo attraverso la pressione dei pari e lo stigma sociale.

Quando si vede il modo in cui gli ebrei pro-genocidio attaccano apertamente gli ebrei contrari al genocidio, si capisce perché non ci siano più ebrei apertamente contrari al genocidio. Questo non significa esonerare nessuno dal proprio obbligo morale di opporsi a un genocidio in atto, ma solo sottolineare uno dei meccanismi di controllo.

Ho visto i sionisti cercare costantemente di convincere l'accademico israeliano-americano Shaiel Ben-Ephraim a ricominciare a bere dopo essere passato dalla difesa del genocidio all'opposizione (ha dichiarato apertamente di essere un alcolista in via di guarigione). Ricevo critiche dai sostenitori di Israele 24 ore su 24, 7 giorni su 7, ma non ho mai dovuto affrontare quel livello di odio al vetriolo e ad alto numero di ottani. I non ebrei come me che si oppongono all'olocausto di Gaza semplicemente non devono affrontare quel livello di veleno. E questo è solo ciò che vedo online.

Di nuovo, questo non giustifica l'obbligo morale che ebrei e non ebrei hanno di opporsi alle atrocità genocide di Israele. Sto solo sottolineando una delle tante dinamiche abusive utilizzate per mantenere lo status quo.

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/

Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 15:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
"Imminente invasione russa in Europa"? La risposta di Putin dalla Cina

 

MOSCA – Nel corso della sua visita ufficiale in Cina, il presidente russo Vladimir Putin ha affrontato martedì il tema di quella che ha definito la “costante isteria sul presunto piano della Russia di attaccare l'Europa”.

“Qualsiasi persona sensata è perfettamente consapevole che la Russia non ha mai avuto, non ha e non avrà alcuna intenzione di attaccare nessuno”, ha dichiarato con forza il leader durante un incontro con il primo ministro slovacco Robert Fico.

Putin ha aggiunto che, a suo parere, per gli individui razionali è evidente come simili accuse rappresentino una chiara “provocazione o di assoluta incompetenza”. Il presidente ha poi polemicamente affermato: “[I paesi occidentali] non sono specialisti in fiabe, sono specialisti in film horror, e quello che vediamo costantemente ora è che si alimenta continuamente l'isteria sul presunto piano della Russia di attaccare l'Europa”.

“Per quanto riguarda i ‘piani aggressivi’ della Russia nei confronti dell'Europa, voglio sottolineare ancora una volta che si tratta di una totale assurdità, che non ha assolutamente alcun fondamento”, ha ribadito.

 

“Difendere i nostri interessi”

D'altra parte, il leader russo ha offerto la sua lettura delle origini del conflitto in Ucraina, spiegando che il “comportamento aggressivo” attribuito a Mosca “è legato al fatto che l'Occidente ha contribuito alla realizzazione di un colpo di Stato in Ucraina”. Ha precisato che la Russia si è vista “costretta a difendere i propri interessi e le persone che legano la loro vita e il loro destino a questo Paese, alla sua storia e alle sue tradizioni”.

“Ecco l'essenza del conflitto. Ecco da dove proviene. E non si tratta affatto di un comportamento aggressivo da parte nostra, ma di un comportamento aggressivo da parte dell'altra fazione. Non abbiamo altro obiettivo che difendere i nostri interessi”, ha concluso Putin, delineando così la posizione del Cremlino.

Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 13:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Gaza, peggiorano le condizioni di salute del dottor Safiya, prigioniero dell’occupazione israeliana

 

Il dottor Abu Safiya, pediatra e neonatologo, è stato rapito dalle forze di occupazione israeliana il 27 dicembre 2024, durante un raid all'ospedale Kamal Adwan, all'epoca l'ultima struttura medica operativa nel nord di Gaza.

Attualmente sta sopportando condizioni brutali nelle prigioni israeliane.

Infatti, il suo avvocato, Gheed Qassem, ha rivelato che il medico è confinato in una quasi totale oscurità, esposto alla luce solare per soli 30 minuti al mese e affetto da scabbia e foruncoli.

Inoltre, il legale ha aggiunto che Abu Safiya e suo nipote Hussam Zaher sono "esposti alla luce del sole solo per trenta minuti al mese, mentre scabbia e foruncoli devastano i loro corpi e sono costretti a indossare gli stessi vestiti".

"Hanno perso un terzo del loro peso corporeo. Hanno un disperato bisogno di dermatologi e farmaci per curare le diffuse malattie e infezioni della pelle", ha raccontato Qassem.

Il legale ha anche trasmesso un messaggio di Abu Safiya, divenuto simbolo di fermezza e resistenza dei palestinesi contro la repressione israeliana. 

"Sono entrato in nome dell'umanità e me ne andrò in nome dell'umanità. Sono io quello che è stato rapito dall'interno dell'ospedale. Resteremo sulla nostra terra e continueremo a fornire assistenza sanitaria alla popolazione, se Dio vuole, anche da una tenda", ha ribadito il medico palestinese.

La famiglia di Abu Safiya ha denunciato che l'uomo ha dovuto sopportare condizioni difficili durante i primi giorni di detenzione, tra cui 24 giorni di isolamento prima di essere trasferito nella prigione di Ofer, nella Cisgiordania occupata, dove continua a subire maltrattamenti.

A tal proposito, è utile ricordare che il carcere di Ofer, situato nei pressi di Ramallah, nella Cisgiordania occupata, è stato oggetto di continue critiche per il sovraffollamento e le pessime condizioni di vita. I rapporti della Commissione palestinese per gli affari dei detenuti e degli ex detenuti evidenziano la negazione dei bisogni primari e frequenti violenze, tra le quali percosse e isolamento.

La famiglia ha esortato la comunità internazionale a fare pressione su Israele affinché fornisca ad Abu Safiya cibo e cure mediche adeguati e ne garantisca l'immediato rilascio.

L'esercito israeliano ha affermato che il cinquantunenne Abu Safiya era tra le persone arrestate per essere interrogate sui presunti legami con il movimento di resistenza palestinese Hamas.

Secondo quanto riportato dai media locale, il medico palestinese avrebbe riportato la frattura di diverse costole a causa delle torture subite dagli inquirenti israeliani. I suoi avvocati hanno riferito che le torture avevano lo scopo di costringere il dottor Abu Safiya a rilasciare false confessioni che sarebbero state usate contro di lui.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e diverse agenzie delle Nazioni Unite hanno dichiarato di non aver ricevuto aggiornamenti sulla sua sicurezza dopo la sua detenzione.

Israele ha una lunga storia di crimini di guerra commessi contro il personale medico, nonché di attacchi contro le infrastrutture sanitarie, compresi gli ospedali.

Secondo i dati dell'OMS, almeno il 94% di tutti gli ospedali della Striscia di Gaza sono stati danneggiati o distrutti dall’occupazione israeliana.

 

Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 13:00:00 GMT
Lavoro e Lotte sociali
Salario Minimo: il punto della situazione

 

di Federico Giusti e Emiliano Gentili

Negli ultimi anni in Europa stanno circolando due proposte politiche di grande impatto, che vengono considerate proficue sia per il lavoro dipendente che per l’impresa. Stiamo parlando della riduzione dell’orario lavorativo a parità di salario e di produttività e del salario minimo orario. Sulla prima abbiamo già scritto[1], mentre ora proveremo a fare il punto sulla seconda – quella sul salario minimo –, sulla quale ultimamente sembra starsi concentrando il dibattito politico.

Il dibattito degli ultimi anni

 Nel 2022 l’Unione Europea promulgò una Direttiva[2] – ossia una dichiarazione d’indirizzo che impone agli Stati nazionali di affrontare certe tematiche e perseguire determinati obiettivi a esse inerenti, lasciandoli però liberi di scegliere le modalità con cui farlo – che chiedeva il «miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo». Quindi: non direttamente il salario minimo, bensì l’accesso alla tutela che questo garantisce. Inoltre, «qualora il tasso di copertura della contrattazione collettiva [in uno Stato membro dell’Unione] sia inferiore a una soglia dell’80%», la Direttiva avrebbe imposto la costruzione di «un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con queste ultime» e, quindi, la messa a punto di «un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva». In caso si fosse adottato un salario minimo legale (e solo in questo caso), poi, si sarebbe dovuto ricorrere a dei «valori di riferimento indicativi (…). A tal fine, si possono utilizzare valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale, quali il 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio». Considerando che il salario lordo medio italiano è attualmente di 15,57€/ora e, il netto, di 11,25€/ora[3], appare chiaro che la Direttiva Ue sia semplicemente un timido atto d’indirizzo volto a uniformare il mercato del lavoro comunitario soprattutto per quanto riguarda i Paesi economicamente meno sviluppati, non l’Italia.

Persino la proposta di salario minimo del PD, infatti, è nettamente superiore ai parametri espressi nella Direttiva. Questa dunque era rivolta soprattutto a quei paesi europei dove la contrattazione collettiva non esiste e che poi sono quelli che spesso si prestano a essere destinatari dei processi di esternalizzazione di alcuni servizi – Ungheria, Romania, alcuni paesi dell’ex-Yugoslavia –. La direttiva europea, dunque, doveva servire a placare la competizione intestina nel mercato europeo basata sulla sperequazione del costo del lavoro.

A prescindere da ciò, non tenere conto di una norma europea significa incorrere in procedimenti sanzionatori nei confronti del Paese inadempiente, ragion per cui il Governo dovette elaborare una strategia politica per fare fronte agli obblighi comunitari. Nel luglio 2023 Meloni diede mandato al Cnel di preparare una memoria sul lavoro povero e il salario minimo, che piacque anche ai sindacati confederali. Successivamente – in ottobre – venne avviata la cosiddetta “fase istruttoria tecnica sul lavoro povero e il salario minimo”, durante la quale uscirono fuori dei disaccordi con le parti sindacali (prima con la Cgil e, poco dopo, anche con la Uil)[4]. Proprio in ottobre, tra l’altro, arrivò una storica Sentenza della Corte di Cassazione[5] che, rifacendosi all’Articolo 36 della Costituzione, imponeva al legislatore il riconoscimento di un salario minimo de facto per tutelare un vigilante di un supermercato Carrefour che si era visto cambiare il contratto di lavoro e calare lo stipendio da un momento all’altro.

In tale contesto il Governo chiese al Cnel di fornire una misura della copertura contrattuale dei lavoratori italiani, per verificare che si fosse entro il limite minimo dell’80% fissato dall’Ue. In caso affermativo il Governo avrebbe potuto sostanzialmente ignorare la Direttiva e difatti la ministra del lavoro Calderone (FdI), alcuni mesi fa, ha detto che «non abbiamo bisogno di attuare la direttiva sul salario minimo, perché il livello della contrattazione collettiva nazionale in Italia è superiore all’80%»[6]. A essere sinceri siamo proprio al limite e, in ogni caso, nella percentuale dei “tutelati” vanno inclusi molti lavoratori vittime di contratti pirata fatti ad hoc[7] e firmati anche da una sola organizzazione sindacale, spesso confederale.

Contratti di questo tipo sono relativamente comuni nelle situazioni di appalto e subappalto, dove minori sono i controlli e più bassi i salari e le tutele – spesso vale anche per gli appalti del pubblico, ad esempio quelli della sanità o delle pulizie. Purtroppo la questione dei contratti pirata (edulcorata dalle responsabilità dei confederali) è stata utilizzata mediaticamente come cavallo di troia da Governo e Confindustria che, uniti, mirano a eliminare la possibilità di una contrattazione di secondo livello di miglior favore, come quella che può scaturire da un più alto livello conflittuale – vedi le lotte del SiCobas nella logistica.

Questa prima fase del dibattito sul salario minimo è stata di fondamentale importanza perché con essa non solo si sono definiti meglio i contorni della questione, sia a livello politico che in relazione alle giurisprudenze italiana e, soprattutto, europea: si è anche consumato un passaggio politico importante che ha visto i sindacati confederali – tramite le consuete sponde partitiche nel Parlamento – barattare letteralmente un’opposizione più forte, magari anche di piazza, con la difesa della contrattazione collettiva svolta dai sindacati “maggiormente rappresentativi”. Secondo un comunicato del Cnel «L’intera rappresentanza datoriale, pur nelle sue diverse espressioni di settore, si è dimostrata compatta nel difendere il sistema della contrattazione collettiva, rispetto a soluzioni semplicistiche di un problema complesso, come quello del lavoro povero»[8].

Il vicepresidente del Cnel, espressione ufficiale di Confindustria all’interno dell’organismo, ha parlato esplicitamente di «un piano di azione nazionale, che potrebbe essere anche un utile contributo per consentire a Governo e Parlamento di riorientare, in termini di maggiore efficienza ed effettività, le risorse economiche a sostegno della contrattazione collettiva, dell’occupazione di qualità, del welfare aziendale e della produttività. Si tratta di ingenti risorse pubbliche che andrebbero indirizzate, in termini selettivi, verso i soli sistemi di contrattazione collettiva e bilateralità più consolidati»[9]. Probabilmente, quindi, in questa fase Confindustria spingeva per ottenere sgravi fiscali e incentivi per le imprese in cambio dei rinnovi dei Ccnl (orientati al welfare aziendale e alla produttività), nel tentativo di scaricare sulle finanze pubbliche parte degli oneri contrattuali.

La lettura complessiva del Cnel, infatti, è che il sistema imprenditoriale – e di conseguenza le condizioni di lavoro – sia troppo frammentato affinché si possa applicare una norma unificante come quella sul salario minimo. Probabilmente l’obiettivo è proprio quello di tutelare tutto quel sistema di appalti e subappalti che sfrutta il lavoro povero e, guarda caso, proprio adesso c’è il progetto per il Ponte sullo Stretto, che farà nascere centinaia di appalti diversi…

Ad ogni modo la “giustificazione” ufficiale è che, quando si trovano attive nei settori che foraggiano il “lavoro povero”, per via della loro dimensione ridotta le imprese italiane non possiedono il capitale sufficiente per pagare di più i propri dipendenti riuscendo, al contempo, a rimanere competitive sul mercato… per cui bisogna che si adottino soluzioni ad hoc, gestendo «in modo articolato e mirato le diverse criticità del lavoro povero e dei salari minimi adeguati per tutti i lavoratori»[10]. Tali soluzioni possono essere individuate in contratti “farlocchi” stipulati tramite contrattazione con sindacati di comodo o nell’applicazione illegale di contratti inferiori a quelli previsti, col silenzio complice delle medesime organizzazioni sindacali e, spesso, anche del pubblico. Ciononostante, nel documento del Cnel si prova a scaricare su alcuni elementi del nostro welfare lavoristico la colpa dell’inattuabilità di un salario minimo, ossia sul fatto che «esistono in Italia voci retributive sui generis come la tredicesima, la quattordicesima, l’elemento di garanzia rispetto alla contrattazione decentrata di produttività», che renderebbero difficile alle imprese sopportare un onere salariale aggiuntivo. Ma del resto viviamo in un Paese dove il Governo si vanta della “crescita dell’occupazione” senza considerare lo “strano” fenomeno della concomitante riduzione delle ore lavorate… (guarda caso, sempre nello stesso documento – e, quindi, in tempi non sospetti – proprio il Cnel aveva dichiarato che una buona parte dell’incremento del differenziale retributivo occorso in quel periodo, ossia dell’aumento del gap esistente fra retribuzioni basse e alte, fosse «riconducibile alla diminuzione del numero delle settimane lavorate a tempo pieno». Come a dire: più occupati, ma tutti con salari più bassi, cioè precari).

A proposito del Governo, si è presto visto che il suo vero intento non fosse quello di delegare la questione del “lavoro povero” alla contrattazione coi confederali, nel tentativo di annacquare i problemi e impedirne in tal modo una ricomposizione generale sul piano del dibattito pubblico – come stava avvenendo – o, peggio, su quello degli scioperi. Questo devono aver creduto le dirigenze di Cgil e Uil e del centro-sinistra… ma non certo quelle della Cisl, che infatti votava compatta tutti i documenti del Cnel. Quest’ultima nel frattempo si stava muovendo con una raccolta firme che avrebbe portato alla promulgazione di una legge sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili d’impresa. Con questo provvedimento – scritto quasi “a quattro mani” col Governo, come si evince confrontando la Proposta di Legge originale con l’atto finale – il modello concertativo di relazioni industriali sarebbe stato semplicemente by-passato da un nuovo canale diretto fra rappresentanti filo-aziendali dei lavoratori (anche uno soltanto) e Consiglio d’Amministrazione. Ne abbiamo parlato recentemente, in occasione dell’uscita ufficiale della Legge[11]. Ora, si noti bene: la Proposta di Legge della Cisl venne presentata in Parlamento il giorno 27 Novembre 2023 e la raccolta firme era partita diversi mesi prima.

A questo punto il Partito Democratico – il partito di centro-sinistra con maggiori legami con la Cgil – cambiò strategia e cominciò a promulgare delle norme d’indirizzo sul salario minimo tramite i propri amministratori locali: Sindaci e Presidenti di Regione, ma anche semplici Assessori di Giunta di minoranza che hanno provato a far passare gli stessi contenuti tramite mozioni ad altri provvedimenti. Il primo atto importante venne adottato dal Comune di Firenze il 18 Marzo 2024, appena tre mesi e mezzo dopo l’approdo parlamentare della Proposta di Legge Cisl. Sempre nello stesso anno il Comune di Napoli e la Regione Puglia promulgarono disposizioni simili.

Il punto della situazione

La dialettica che negli scorsi anni si è sviluppata fra Cnel, Governo, imprese e sindacati confederali ha avuto un considerevole riflesso al livello del dibattito pubblico. Anche sindacati di base, organizzazioni politiche extra-parlamentari ed enti del terzo settore sono intervenuti, a volte con delle proprie proposte originali e strutturate su come istituire il salario minimo e sul valore che questo dovrebbe avere.

Mentre sulla questione della riduzione dell’orario lavorativo il Partito Democratico si era mosso congiuntamente a M5S e AVS – con la sponda della Cgil –, sulla tematica del salario minimo ha scelto un ruolo di maggior protagonismo, facendosi diretto portatore di una proposta di 9€/ora non indicizzati all’inflazione. Gli atti d’indirizzo, i protocolli d’intesa e le vere e proprie leggi regionali approvate dalle giunte PD hanno individuato nei 9€ un limite minimo per la retribuzione dei lavoratori dipendenti dell’istituzione locale e dei relativi appalti e subappalti.

Queste disposizioni differiscono nel modo con cui viene considerato tale limite: il Comune di Genova ad esempio si è mostrato molto più tiepido di quello di Firenze, che lo ha assunto in maniera più seria. In entrambi i casi però – come negli altri che abbiamo analizzato –, il salario minimo non è realmente «inderogabile», come invece vorrebbero i testi delle disposizioni. Il primo problema consiste nel fatto che, mentre per i lavoratori direttamente dipendenti dall’ente locale l’istituzione può teoricamente impegnare sé stessa a rispettare in maniera inderogabile il salario di 9€ (il che, per quanto non rappresenti una piena garanzia, può giustamente dare adito a speranze di un miglioramento delle retribuzioni), per i dipendenti in appalto e subappalto servono dei Protocolli d’intesa – fondamentalmente stipulati fra gli organi prefettizi, le istituzioni, le organizzazioni datoriali e i sindacati confederali – che impegnino i firmatari, senza poterli giuridicamente vincolare, al rispetto del suddetto salario minimo nei contratti stipulati in futuro. In alcuni casi, quando non si si sia concepito il Protocollo come un atto puramente simbolico, è stato stipulato anche un Protocollo sugli appalti per conferire maggiore importanza al criterio dei 9€, in un contesto di gara dove comunque la vantaggiosità economica dell’offerta rimane un aspetto fondamentale, spesso determinante per individuare l’azienda vincitrice: «Si lascia all’operatore economico che parteciperà alla gara di accettare o meno, liberamente, tale trattamento economico minimo [il salario minimo]»[12].

È possibile che sia preferito il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa a quello del massimo ribasso (rapporto qualità/prezzo versus il semplice prezzo più basso), e che il punteggio economico sia subordinato al cosiddetto “punteggio tecnico”, che deriva dal progetto aziendale, dalle competenze possedute, ecc. Tuttavia, non esiste la possibilità di imporre di non presentare un’offerta economica che preveda un salario inferiore ai 9€/ora, in quanto la disciplina degli appalti è sottoposta al D. Lgs. 36/2023 e la materia è di competenza del Governo nazionale. L’effettiva efficacia di un atto d’indirizzo sul salario minimo stipulato da un ente locale, per conseguenza, dipende dal settore economico considerato e, più in generale, dall’ecosistema economico del territorio. Di conseguenza questi atti d’indirizzo hanno il valore di “correttivi” (o “distorsivi”, a seconda del punto di vista) della concorrenza fra aziende, in quanto possono esercitare un’influenza.

Il secondo problema di queste pseudo-norme sul salario minimo è che non si tratta di disposizioni che mirano a risolvere in toto la questione degli appalti che sfruttano “lavoro povero”, limitandosi all’aspetto della retribuzione oraria. Nulla viene detto, o fatto, a proposito dell’abuso di contratti precari, dei numerosi appalti in cui i lavoratori vengono considerati “beni o servizi” anziché “manodopera” (con conseguente decurtazione dei livelli salariali e delle tutele), del proliferare dei subappalti, delle ingenti risorse pubbliche assorbite da ditte appaltatrici che, indipendentemente da ciò, continuano a pagare poco i propri dipendenti, dell’applicazione di Ccnl pirata, spesso scaduti, con l’assenso dell’amministrazione locale.

Il terzo e ultimo problema – per quanto ne sappiano gli scriventi – consiste nel fatto che questi atti d’indirizzo sul salario minimo vengono impugnati dal Governo nazionale, che ritiene di poter essere l’unico a legiferare sulle retribuzioni degli appalti. Eppure – ci si domanderà –, se la norma non è prescrittiva e quindi non impone per obbligo di legge l’applicazione del minimo di 9€, perché viene impugnata? Probabilmente se il PD non avesse inteso farsi pubblicità con queste pseudo-leggi inconcludenti e avesse semplicemente modificato i criteri di bando, senza pretendere di aver introdotto un salario minimo – visto che non è vero –, il Governo non avrebbe impugnato alcunché.

Conclusioni

Le finte leggi del PD non tutelano realmente i lavoratori esternalizzati degli appalti pubblici, se non in maniera marginale. Per migliorare le condizioni di lavoro servirebbe una norma forte, che possa stabilire ad esempio che in tutti gli appalti pubblici si applichi un contratto nazionale che non preveda servizi esternalizzati – o, in caso contrario, che imponga alle ditte appaltatrici un pagamento non inferiore a quello del contratto summenzionato. In questo modo si stabilirebbe che un lavoratore esternalizzato non debba percepire nemmeno un € in meno rispetto ai contratti applicati ai dipendenti diretti della stazione appaltante. Inoltre verrebbe risolto anche il gap tra contratti pubblici e degli enti locali, che ammonta ormai a circa 200€.

Infine, bisognerebbe ridurre il numero di contratti. Alcuni di questi – come il contratto delle cooperative sociali – sono stati creati per favorire l’esternalizzazione, nonostante al tempo si dichiarasse di stare semplicemente fornendo una sorta di “contratto d’inserimento” nel mondo lavorativo ai più svantaggiati. E infatti, si vede! A lavorare con questi contratti ci vanno, spesso e volentieri, dei laureati. E allora, forse è il momento di prendere atto che tutte le tipologie precarie di contratto nate negli ultimi 35/40 anni sono servite ad abbassare il costo del lavoro, a ridurre il potere d’acquisto e quello di contrattazione. Ne è prova recente il nuovo contratto del settore cargo aeroportuale, firmato da Cgil, Cisl, Uil e Ugl. In esso si prevedono la maggiorazione domenicale di un misero 10%, per una categoria che normalmente lavora 2/3 domeniche al mese, e una risibile somma risarcitoria per le problematiche legate all’utilizzo dei moltissimi dispositivi di protezione[13] (i lavoratori avevano fatto ricorso perché costretti a lavarseli da soli), dell’ammontare di 16,80€ al mese per gli operai e di ben 6,60€ per gli impiegati, per giunta in cambio della firma su un documento di conciliazione individuale che risolva i ricorsi in fase di procedura legale. In tutto ciò, apprendiamo da un comunicato sindacale[14] che prima di siglare il contratto le organizzazioni firmatarie non si sono nemmeno consultate coi lavoratori!

[1] E. Gentili, F. Giusti: Riduzione dell’orario di lavoro: in che direzione si sta procedendo?, https://cub.it/riduzione-dellorario-di-lavoro-in-che-direzione-si-sta-procedendo/

[2] Direttiva UE 2022/2041 del 19 Ottobre 2022, preceduta dall’atto COM(2020)68 (proposta di Direttiva).

[3] Nel 2019 i dati Istat stimavano il salario lordo medio in 14,20€/ora.

[4] Tali dissensi sono sostanzialmente nati con la promulgazione di un importante documento da parte del Cnel, intitolato Elementi di riflessione sul salario minimo in Italia e approvato, con soli 15 voti contrari, dall’Assemblea del 12 Ottobre 2023.

[5] Sentenza n. 27711 della Corte di Cassazione.

[6] A. Giuzio, No al salario minimo. Il governo impugna la legge pugliese, «il Manifesto», 1° Febbraio 2025.

[7] Secondo il Cnel i contratti “pirata” sono poco più di 350 in totale, interessando solo lo 0,4% della forza-lavoro. Nutriamo dubbi su questo dato, in quanto potrebbe esservi una discreta quota di “sommerso”.

[8] Cnel, Comunicato stampa: Salario minimo, approvato primo documento Cnel – i punti salienti, 4 Ottobre 2023.

[9] Dichiarazioni di Botta contenute in “Cnel, op. cit.”.

[10] Cnel, op. cit.

[11]  E. Gentili, F. Giusti, S. Macera, Partecipazione lavoratori agli utili: una critica analitica, https://diogenenotizie.com/partecipazione-lavoratori-agli-utili-una-critica-analitica/

[12] Comune di Firenze, Vademecum per gli enti locali, p. 2.

[13] Stando all’accordo, sono riconosciuti come Dpi «Scarpe antinfortunistica, guanti, gilet alta visibilità, otoprotettori, completo anti-pioggia, giaccone invernale alta visibilità, ginocchiere», mentre restano esclusi gli indumenti da lavoro ordinari, come le uniformi. Cfr. Verbale di accordo del 6 Agosto 2025, stipulato fra Gruppo Bac, Cgil, Cisl, Uil e Ugl, p. 1.

[14] Cub-Trasporti, Comunicato stampa: Cargo aeroportuale: accordi su Dpi e domeniche, un’altra firma contro i lavoratori, 7 Agosto 2025.

Data articolo: Tue, 02 Sep 2025 12:00:00 GMT