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#news #antidiplomatico
di Patrick Lawrence* - ScheerPost
Trump non ha ancora terminato il suo primo anno alla Casa Bianca, e non riesco a immaginare come la nostra repubblica in rovina sopravviverà ad altri tre anni di questo bambinone e dei disadattati e dei delinquenti di cui si è circondato. E ultimamente mi rendo conto che né io né nessun altro dovremmo immaginare alcun tipo di futuro – buono, cattivo, intermedio – oltre il 20 gennaio 2029, quando il Presidente Trump non sarà più presidente. Il futuro non sarà più il punto. A quel punto dovremmo vivere in un passato immaginario che non dovremo immaginare perché il passato immaginario sarà il presente reale.
Non sono passati nemmeno tre mesi da quando Trump ha emesso un ordine esecutivo che definisce "antifa", l'"organizzazione" più o meno fittizia di antifascisti, un'"organizzazione terroristica interna". Nella versione della Casa Bianca di Trump, l'antifa "chiede esplicitamente il rovesciamento del governo degli Stati Uniti, delle forze dell'ordine e del nostro sistema legale". A tal fine, organizza e attua vaste campagne di violenza. Coordina tutto questo in tutto il paese. Recluta e radicalizza i giovani, "quindi impiega mezzi e meccanismi elaborati per nascondere l'identità dei suoi agenti, nascondere le sue fonti di finanziamento e le sue operazioni nel tentativo di frustrare le forze dell'ordine e reclutare ulteriori membri".
Non ho preso minimamente sul serio l'ordine esecutivo contenente questo tipo di linguaggio quando è stato emanato il 22 settembre. L'Antifa, per quanto ne so, non esiste davvero. È uno stato d'animo, o indica un insieme condiviso di sentimenti politici vagamente orientati verso l'anarchismo tradizionale – un ultralibertarismo iper-individualista se tradotto nel contesto americano.
L'ordine esecutivo di Trump che descrive l'antifa come un'organizzazione terroristica organizzata non mi ha ricordato altro che quei vecchi bacucchi degli anni della Guerra Fredda che, nostalgici di un'epoca più semplice ma senza capire nulla, continuavano a parlare di "agitatori esterni" come della radice dei mali dell'America.
Mi sbagliavo su un aspetto, forse di più, riguardo a Trump e ai suoi aiutanti e a ciò che hanno in mente. Queste persone non sono superficiali. Sanno esattamente cosa stanno facendo e si stanno muovendo rapidamente per realizzarlo. È ora di prendere sul serio, voglio dire, la totale mancanza di serietà dei piani del regime di Trump per una nazione in cui sarebbe impossibile vivere se mai dovesse nascere. La salvezza in questo caso è che non possono assolutamente creare l'America che hanno in mente. Ma, devo aggiungere, combineranno un disastro infernale sulla loro strada verso il fallimento.
Tre giorni dopo l'ordine esecutivo antifa, la Casa Bianca ha reso pubblico un memorandum presidenziale sulla sicurezza nazionale intitolato "Contrastare il terrorismo interno e la violenza politica organizzata".
NSPM-7, come è noto questo documento, è formalmente indirizzato a Marco Rubio, segretario di Stato di Trump, al segretario al Tesoro Scott Bessent, al procuratore generale Pam Bondi e a Kristi Noem, segretario alla sicurezza interna.
Questo articolo riprende da dove finisce l'ordine esecutivo di una sola pagina. Cita vari omicidi e tentati omicidi – Charlie Kirk, Brian Thompson, l'amministratore delegato di United Healthcare, i due attentati alla vita di Trump durante la sua campagna del 2024 – ed è abbastanza giusto, anche se definire la violenza politica come violenza terroristica è un gioco di prestigio eccessivo. È quando l'NSPM-7 evoca le recenti proteste contro gli agenti dell'Immigration and Customs Enforcement e le "rivolte a Los Angeles e Portland" che si intuisce il pericolo che si profila.
Dalla prima delle cinque sezioni del documento:
Questa violenza politica non è una serie di episodi isolati e non emerge in modo organico. È piuttosto il culmine di sofisticate e organizzate campagne di intimidazione mirata, radicalizzazione, minacce e violenza, progettate per mettere a tacere le opinioni di opposizione, limitare l'attività politica, modificare o orientare i risultati delle politiche e impedire il funzionamento di una società democratica. È necessaria una nuova strategia di applicazione della legge che indaghi su tutti i partecipanti a queste cospirazioni criminali e terroristiche, comprese le strutture organizzate, le reti, le entità, le organizzazioni, le fonti di finanziamento e le azioni preconcette che le sostengono.
Ciò che serve, a quanto pare, è un'operazione di sorveglianza istituzionalizzata che vada ben oltre il Patriot Act. "Questa guida", si legge nella Sezione 2, "dovrà anche includere l'identificazione di eventuali comportamenti, modelli di fatto, motivazioni ricorrenti o altri indizi comuni alle organizzazioni e alle entità che coordinano queste azioni, al fine di indirizzare gli sforzi per identificare e prevenire potenziali attività violente".
E poi NSPM–7 arriva al punto in cui il regime di Trump vuole veramente arrivare:
I fili conduttori che animano questa condotta violenta includono l'antiamericanismo, l'anticapitalismo e l'anticristianesimo; il sostegno al rovesciamento del governo degli Stati Uniti; l'estremismo su migrazione, razza e genere; e l'ostilità verso coloro che hanno idee tradizionali americane su famiglia, religione e moralità.
Non lascerò che l'ala liberale del Partito della Guerra Tardo-Imperiale al potere, comunemente noto come Democratici, se ne scappi da questa faccenda del terrorismo interno. Joe Biden ha continuato a insistere su questo argomento ogni volta che gli è sembrato politicamente opportuno per tutto il suo mandato confuso, e ora assistiamo alle conseguenze di tutti i suoi discorsi superficiali e opportunistici. Di fatto, Biden ha premesso ciò che il regime di Trump sta gradualmente codificando in legge.
Una delle caratteristiche più perniciose tra le tante discutibili della NSPM-7 merita di essere immediatamente sottolineata. Si tratta della vaghezza del suo linguaggio. Ogni volta che vedo documenti ufficiali di questo tipo, la mia mente torna alla Cina imperiale, i cui mandarini erano altamente legalisti ma mantenevano il diritto scritto volutamente ambiguo per massimizzare le prerogative del potere imperiale. Un eccesso di leggi, tutte da interpretare nel modo più confacente al trono.
Dallo scorso fine settimana sappiamo come Pam Bondi, il procuratore generale palesemente fascista di Trump, intende interpretare la NSPM-7. Questo è possibile grazie a un memorandum del Dipartimento di Giustizia di cui Ken Klippenstein, l'esemplare giornalista investigativo, ha parlato (ma non ha pubblicato integralmente) sabato 6 dicembre. Si tratta di un'esclusiva di Klippenstein. Ecco l'inizio dell'articolo che ha pubblicato nella sua newsletter Substack con il titolo "L'FBI sta compilando una lista di 'estremisti' americani, rivela un memorandum trapelato":
Il procuratore generale Pam Bondi ha ordinato all'FBI di "compilare un elenco di gruppi o entità coinvolti in atti che potrebbero costituire terrorismo interno"... L'obiettivo sono coloro che esprimono "opposizione alla legge e all'applicazione delle leggi sull'immigrazione; opinioni estreme a favore dell'immigrazione di massa e delle frontiere aperte; adesione all'ideologia di genere radicale", nonché "antiamericanismo", "anticapitalismo" e "anticristianesimo".
Per definire tutte queste minacce terroristiche interne, riporta Klippenstein, il memorandum del Dipartimento di Giustizia cita "punti di vista estremi sull'immigrazione, ideologia di genere radicale e sentimento antiamericano". Per quanto riguarda l'applicazione della legge, il memorandum autorizza l'FBI ad aprire una hotline tramite la quale i cittadini americani possono segnalare informazioni su altri cittadini americani, insieme a "un sistema di ricompensa in denaro" che la accompagni. L'agenzia dovrà inoltre sviluppare una schiera di informatori ("collaboratori"); i governi statali e locali dovranno essere finanziati per sviluppare i propri programmi in conformità con le direttive del Dipartimento di Giustizia. Quelle che il memorandum definisce Task Force congiunte antiterrorismo dovranno "mappare l'intera rete di attori colpevoli".
Questo è più di quello che oggi chiamiamo un programma di sorveglianza e applicazione di leggi che coinvolge l'intero governo e che mette fuori legge in modo netto una serie di diritti costituzionali. È un'operazione che coinvolge l'intera società e che induce a paragoni con regimi storici che non avrei mai immaginato di evocare in un contesto simile. I "punti di vista estremisti" devono essere criminalizzati? Sono un fuorilegge se critico il cristianesimo ortodosso, se sono "ostile" alla famiglia nucleare, alla moralità tradizionale e così via? Quanto vicino al controllo del pensiero intende navigare il regime di Trump?
Mentre leggevo l'eccellente lavoro di Klippenstein, mi sono imbattuto in un altro rapporto che vale la pena menzionare.
Martedì 9 dicembre, la Corte Suprema ha iniziato ad ascoltare le argomentazioni in un caso presentato da gruppi di pressione politica repubblicani che chiedono alla Corte di rimuovere alcuni degli ultimi limiti rimanenti al finanziamento delle campagne elettorali. In un eccellente rapporto sulle argomentazioni del giorno di apertura, la CBS News ha citato Sonia Sotomayor, che fa parte della minoranza progressista della Corte, in questo modo: "Una volta eliminato questo limite di spesa coordinata, cosa rimane? Ciò che rimane è il nulla, nessun controllo di sorta".
Nessun controllo di sorta, senza vincoli di stato di diritto, Costituzione, controllo legislativo. A undici mesi dall'inizio del secondo mandato di Trump, questo emerge come l'agenda di coloro che risiedono nella parte più lontana del giardino di Trump. Alla Corte Suprema – questo caso sarà probabilmente deciso la prossima primavera – il tema è l'ulteriore sequestro del potere attraverso la più o meno completa monetizzazione e aziendalizzazione del processo politico. In un momento in cui le élite politiche sono sempre meno responsabili nei confronti degli elettori, la Corte sta valutando non di correggere questa situazione ma, come ha affermato Sotomayor durante la discussione introduttiva, di "peggiorare la situazione".
Rileggete NSPM–7 e il reportage di Klippenstein e riflettete su cosa passa per la testa di chi lavora alla Casa Bianca di Trump e al Dipartimento di Giustizia di Bondi. "Antiamericanismo", "frontiere aperte", "anticapitalismo", "ideologia di genere radicale" e così via. Queste persone si sono prefissate di riportare l'America a uno stato rigidamente ideologico, bianco, cristiano e pre-femminista che non è mai esistito nella storia, ma vive solo nella loro immaginazione.
Come rifletteva la mia collega Cara Marianna mentre scrivevo questo commento: "I liberali avevano la loro tesi della 'fine della storia' alla fine della Guerra Fredda. Questo è il momento della 'fine della storia' dei repubblicani. Intendono distruggere qualsiasi visione del futuro che si discosti dalla loro. Non può esserci una versione della realtà che si discosti dalla versione di Trump".
Di solito evito termini come "totalitario" e "fascista", perché le iperboli non servono mai alla causa della comprensione. Ma ho descritto Pam Bondi con quest'ultimo termine, come i lettori avranno notato. Ci stiamo muovendo rapidamente in questa direzione, mi spingono a dire questi ultimi documenti del regime di Trump: illegalità in nome della legge.
Stephen Holmes, professore alla New York University e commentatore energico di attualità, ha pubblicato un interessante articolo su Project Syndicate il 1° dicembre, intitolato "MAGA's Death Wish". Holmes esprime il suo punto di vista con ammirevole chiarezza:
Poiché il futuro che il MAGA desidera non può essere raggiunto, il movimento non ha un programma costruttivo. Non può costruire nulla, perché nulla di ciò che costruisce lo soddisferebbe. Tutto ciò che può fare è distruggere... La rabbia che anima il MAGA è la rabbia dell'impossibile, la furia che nasce dal desiderare qualcosa che non si può avere... Questo è ciò che accade quando un movimento politico promette di ripristinare un passato irrecuperabile. Incapace di mantenere la promessa, può solo demolire.
Non ho mai capito da dove provengano tutte queste fantasticherie sulla fine della storia.
Francis Fukuyama, il ciarlatano da ragazzino che rese popolare questo pensiero a un anno dall'inizio del terribile trionfalismo del primo decennio post-Guerra Fredda, era un burocrate mediocre al Dipartimento di Stato quando scrisse "La fine della storia e l'ultimo uomo" (Free Press, 1992). Forse questo lo spiega: l'America come parola finale, il migliore dei mondi possibili, è un sottoinsieme ideologico della coscienza eccezionalista.
Comunque sia, la situazione si andrà in rovina in modo ridicolo, per non dire pericoloso, man mano che Trump e i suoi luogotenenti ci proveranno. Fortunatamente, la storia continuerà quando vedremo la loro fine e inizierà il lavoro per riparare al disastro che stanno combinando.
(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
*Patrick Lawrence, per molti anni corrispondente all'estero, soprattutto per l'International Herald Tribune, è editorialista, saggista, conferenziere e autore, di recente, di Journalists and Their Shadows, disponibile presso Clarity Press o su Amazon. Tra gli altri libri ricordiamo Time No Longer: Americans After the American Century. Il suo account Twitter, @thefloutist, è stato definitivamente oscurato.
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Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 11:30:00 GMT
di Pepe Escobar – Sputnik
[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]
FIRENZE, Italia - La nuova Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, nella versione del dicembre 2025, è una creatura ibrida intrigante, eccentrica, in stile Bosch. Non è esattamente ciò che sembra.
Uno tsunami di titoli in tutto l'Occidente scombussolato si è concentrato su una apparente spinta verso la normalizzazione tra Washington e Mosca. Ma questo è ben lontano dal fulcro principale di questa creazione di La Bella e la Bestia.
Per cominciare, quale centauro ha progettato la Bestia NSS? Potrebbe essere stato Trump? Improbabile. Non poteva essere il Segretario buffone delle Guerre Eterne. Non potrebbe essere Marco Rubio – che a malapena riesce a indicare qualcosa al di fuori di Venezuela e Cuba su una mappa. Allora, chi l'ha fatto?
Il fuoco nel ventre della Bestia NSS è contro la partnership strategica Russia-Cina: cercare di minarla con ogni mezzo necessario. Trump, istintivamente, e le classi dirigenti classiche e benestanti americane potrebbero finalmente aver concluso che è inutile investire in una guerra frontale contro due concorrenti strategicamente allineati tra Russia e Cina. Quindi si torna, ancora una volta, al Divide et Impera. E per tutti gli altri, al Saccheggio.
Il NSS apparentemente offre a Mosca una serie di carote geoeconomiche e geopolitiche mentre inserisce meticolosamente i bastoni in formati ibridi - inclini a provocare la frammentazione delle élite russe attirandole di nuovo verso il mercato americano e i "valori" americani, oppure a far precipitare la Federazione Russa in "tensioni" etniche, coordinate da guerra cibernetica.
Non vi è alcuna garanzia che il Team Trump 2.0 sia abbastanza sofisticato da riuscirci. In poche parole, in un linguaggio non diplomatico, ciò equivarrebbe a “isolare” nuovamente Mosca e a “contenere” la Cina. Mosca e Pechino non ci cascheranno.
Quello che è chiaro finora è che con il nuovo NSS, l'etica della Guerra Eterna rimane. Ma ora sotto un nuovo marchio: le guerre saranno per lo più ibride, indirette e a basso costo.
Benvenuti nella Multipolarità Gestita
Anche riducendo la NSS al ruolo di un'altra narrazione – l'Impero del Caos è un maestro produttore di narrazioni – sembrano essere in atto sostanziali cambiamenti retorici. L'ex "nazione indispensabile" ora non è più caratterizzata come un Robocop Globale che impone la propria egemonia, ma come un Robocop Regionale, in latitudini selezionate (principalmente nell'emisfero occidentale). Europa e Asia occidentale sono state declassate a priorità di secondo livello.
A complicare il cambiamento (pragmatico?) di realpolitik, questo è ora, almeno in tesi, un Impero Non Ideologico. Le "autocrazie" vanno bene, purché giochino al gioco imperiale; ora sono i chihuahua dell'UE a essere etichettati come "antidemocratici". Trump 2.0 sosterrà una serie di partiti europei "patriottici": che prevedibilmente hanno scatenato attacchi cardiaci in serie in tutta la sfera vassallizzata di Bruxelles.
Il NSS ha anche un marchio per una propria versione del mondo multipolare. Chiamiamola la Multipolarità Gestita – come nel Giappone che "gestisce" l'Asia orientale e i vassalli israelo-arabi che "gestiscono" l'Asia occidentale tramite gli Accordi di Abramo, con il "controterrorismo" imposto dalle viscide petro-monarchie del Golfo. In entrambi i casi, avremo l'Impero del Caos che guiderà da dietro.
La NATO è stata gettata, a tutti gli effetti, nel territorio del Banchetto dei Mendicanti. L'Impero monopolizza tutto: armi, distribuzione dei fondi, garanzie nucleari. Spetta alla collezione dei vassalli adattarsi a ogni richiesta imperiale, specialmente al 5% dei loro esigui budget per l'acquisto di armi.
Non ci sarà più espansione della NATO: dopotutto le vere priorità sono l'emisfero occidentale e l'"Indo-Pacifico", quella formulazione inesistente applicata alla reale Asia-Pacifica.
La combo NATO/UE d'ora in poi si qualifica al massimo come un fastidio – come le zanzare in un resort a cinque stelle. Anche con l'Articolo 5 e l'ombrello nucleare ancora in vigore. Eppure spetta agli euro-chihuahua pagare, e pagare e pagare. Altrimenti, l'Impero vi punirà.
Il Sud Globale/ la Maggioranza Globale riesce a malapena a contenere le aspettative quando arriverà – e arriverà – che la Russia sigilli la definitiva sconfitta strategica dell'Occidente collettivo sul suolo nero della Novorossiya.
In un certo senso, la NSS sta già anticipando quel giorno, con la nuova narrazione che chiarisce che l'Impero ha già voltato pagina.
Contenere di nuovo la Cina
L'America Latina, come nell'emisfero occidentale, sarà sotto la massima pressione secondo il NSS – che riafferma esplicitamente un "corollario Trump" alla Dottrina Monroe. L'Impero vuole riavere il proprio cortile – tutta la combo, così da poter essere depredato correttamente.
Tutto questo riguarda le risorse naturali: vale per Venezuela e Colombia, ma anche, in modo inquietante, per Brasile e Messico. I “rivali non emisferici” – come la Cina – saranno “contrastati”. Una guerra ibrida in atto – ancora una volta.
La narrazione della NSS fa del suo meglio per mascherare l'ossessione per la Cina. La maschera cade quando si rivolge alla Prima Catena di Isole":
"Costruiremo un esercito capace di negare l'aggressione ovunque nella Prima Catena di Isole. Ma l'esercito americano non può, e non dovrebbe doverlo fare, da solo. I nostri alleati devono farsi avanti e spendere - e cosa più importante - fare molto di più per la difesa collettiva."
Traduzione: la "Prima Catena di Isole" - dalle isole Curili in Russia, passando per Okinawa e Taiwan, attraverso le Filippine e fino al Borneo – sarà il culmine della militarizzazione nell'Asia-Pacifico. La NSS essendo una narrazione, presenta questa strategia di accerchiamento della Guerra Fredda come uno scudo protettivo. Pechino non si lascerà ingannare: a tutti gli effetti, questa è la contenimento cinese in Asia-Pacifico sotto steroidi.
Pechino ne è impressionata? Non molto. Soprattutto quando il surplus commerciale della Cina per la prima volta è salito oltre il trilione di dollari, anche considerando il calo delle esportazioni verso gli Stati Uniti durante la Tempesta Tariffaria di Trump. Make Trade, Not Containment. [Facciamo commercio, non contenimento.]
Torniamo al Chihuahuastan. Ora tutto il pianeta sa che la combo UE/NATO si sta preparando a una guerra con la Russia prima del 2030; Potrebbe anche essere l'anno prossimo. E stanno anche considerando un attacco preventivo contro la prima potenza nucleare e ipersonica al mondo.
Lontano dal sollievo comico insito nel lento suicidio politico al rallentatore dell'Europa, nella vita reale sia gli Stati Uniti che il Giappone vassallo hanno rifiutato di unirsi all'ossessione europea di rubare i fondi russi.
Il crollo dell'UE – una costruzione artificiale fin dall'inizio – è inevitabile quanto morte e tasse: incombe all'orizzonte oscuro una nube tossica di uscite in stile Brexit; un'area euro ingovernabile; fughe di capitali seriali; rendimenti obbligazionari sempre più alti; debito pubblico insostenibile; un crollo del mercato unico; paralisi istituzionale; e una perdita totale, irrimediabile, definitiva della legittimità che non avevano mai avuto in primo luogo.
Un libro appena pubblicato in Italia da una giovane economista, Gabrielle Guzzi, racconta tutto nel titolo: Eurosuicidio. Spengler osservò che ogni civiltà prima o poi muore; questo attuale progetto europeo potrebbe essere il canto del cigno – politico, militare, spirituale – di un'area geografica, una penisola dell'Eurasia, che svolge il suo ruolo finale nella Storia, dopo non aver imparato nulla da due precedenti tentativi di suicidio: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.
All'Impero importa? Niente affatto. La Bella muore mentre la Bestia volta pagina.
Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 11:00:00 GMT
di Federico Giusti
Sono ormai decine di migliaia i giovani, e meno giovani, che hanno abbandonato l'Italia per cercare altrove un lavoro ben retribuito e una vita dignitosa, tra loro non ci sono solo i classici cervelli in fuga rifiutati dal sistema universitario ma anche lavoratori senza troppe specializzazioni e con pochissimi titoli. L'Italia non è un paese attrattivo se non per il turismo e quindi non rappresenta la meta ambita per chi voglia stabilizzare e migliorare la propria condizione di vita.
Ascensore sociale fermo da lustri, bassi salari, welfare a dir poco inadeguato, sono queste le cause del declino italico, senza dimenticare la scarsa crescita dell'economia.
L’Italia registra la peggiore performance salariale nell’ultimo decennio anche se la erosione del potere di acquisto è iniziata già 30 anni or sono, sia sufficiente ricordare che poco più di un anno e mezzo fa le buste paga reali risultavano ancora inferiori del 7 per cento rispetto ai livelli antecedenti al covid, la stagnazione salariale e la crisi sanitaria hanno corso parallelamente
Dall'inizio secolo ad oggi sono trascorsi 25 anni ed eccezion fatta per una piccola parentesi il nostro paese ha sempre perso ogni confronto con i paesi occidentali sia se parliamo di crescita economica che di tenuta dei salari e delle pensioni; quando, in alcuni paesi gli stipendi aumentavano vistosamente, in Italia la crescita degli stessi era a dir poco irrisoria, anni e anni nei quali ad ogni rinnovo contrattuale subentrava perdita del potere di acquisto.
I partiti hanno fatto a gara nello scaricare sugli avversari le responsabilità di questa crisi, siamo arrivati al paradosso di criminalizzare perfino il contenimento del tempo determinato utilizzando in questa battaglia regressiva parte dei sindacati rappresentativi eppure sempre nell'ultimo trentennio le scelte operate non hanno mai rimesso in discussione i meccanismi contrattuali vigenti, quelli per i quali il calcolo del costo della vita è sempre al ribasso. Non basta la critica ai sindacati miopi che sottoscrivono intese perdenti, quando si va a rinnovare un contratto esistono meccanismi di calcolo del costo della vita così iniqui da farci perdere, subito potere di acquisto
L'Italia poi ha visto crollare la quota di ricchezza indirizzata verso i salari, se preferiamo potremmo parlare di quota dei salari rispetto al PIL giusto a ricordare che in Italia la rendita, la speculazione in borsa, i dividendi tra gli azionisti beneficiano di vantaggi indubbi rispetto agli altri paesi della Ue.
Bassi salari, pensioni da fame, lavoro nero, fuga all'estero, part time incolpevole, sono il problema irrisolto, eppure le manovre di Bilancio non hanno mai preso sul serio i dati economici, le indagini statistiche estrapolandone sono parte dei risultati, qui parzialissimi dati corrispondenti ai propri desiderata. Nell'ultimo anno registriamo la crescita degli occupati ma fin troppi sono i contratti part time e quelli a tempo determinato, questo non si racconta nelle narrazioni del Governo.
I dati Istat parlano di dati record del tasso di occupazione con la crescita degli occupati in tutte le classi d’età eccezion fatta nella fascia di età che va dai 25 ai 35 e in particolare sono gli over 50 a beneficiare di questa ripresina.
Se andiamo a vedere come questi dati sono riportati troveremo chi esalta acriticamente l'operato del Governo raccontando di una economia florida e di una occupazione in grande spolvero, altri parleranno invece di crisi occupazionale in una fascia di età rilevante dimenticando al contempo gli altri dati, poi ci saranno i critici osservatori a sostenere che la crescita occupazionale riguarda solo le fasce di età già formate e specializzate denunciando la scarsa propensione della azienda italica a formare la propria manodopera investendo in tecnologie.
Una lettura esaustiva non dovrebbe temere alcun confronto provando a ricostruire la realtà in termini esaustivi per comprendere i reali andamenti dell'occupazione e dell'economia. Da parte nostra ripetiamo spesso e volentieri alcuni concetti relativi alla erosione del potere di acquisto mettendoli in relazione alle dinamiche salariali presenti e future.
Le unità di lavoro irregolari sono sopra 3 milioni e 130 mila unità, stando al Rapporto della Fondazione di Vittorio, il nero è in crescita rispetto a prima della pandemia e allo stesso anno 2022, poi troveremo settori nei quali il nero risulta presente più che in altri ma alla fine ci imbatteremo sempre in tre aree dove il fenomeno prospera: l'agricoltura, il commercio e le costruzioni
E il nero non è un problema da affrontare con l'etica e la morale perchè le aziende che utilizzano il lavoro irregolare potranno ridurre il costo della forza lavoro offrendo servizi e prezzi migliori rispetto a chi invece rispetta le normative. E proprio il nero concorre allla riduzione dei salari e all'accrescimento della precarietà sotto forma di contratti instabili .
Se poi il nero si afferma nei settori a bassa qualificazione le conseguenze saranno devastanti per la forza lavoro meno specializzata e con minori tutele, perdere una fonte di reddito per quanto irregolare sia getta sul lastrico interi nuclei familiari per i quali la ricollocazione sul mercato del lavoro diventa ardua, abbassare poi il costo del lavoro o cercare la competitività sulla contrazione salariale costo significa alla lunga non investire in nuove tecnologie e processi formativi e acuire la distanza da economie con prestazioni decisamente migliori delle nostre.
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 09:00:00 GMTLa nuova proposta di pace USA, presentata da Washington come “compromesso realistico”, è stata immediatamente respinta da Vladimir Zelensky. Il motivo è sempre lo stesso: il Donbass. Nonostante la disfatta militare sul campo e l’avanzata russa in più settori, il regime di Kiev continua a rifiutare qualsiasi soluzione che implichi la rinuncia a territori che non controlla più. La bozza USA, che prevedeva il ritiro delle forze ucraine dalle zone residue e la creazione di una “zona economica libera” neutrale, è stata liquidata dal leader ucraino come ingiusta, dimenticando che la “giustizia” non si misura a colpi di propaganda, ma sui rapporti di forza reali. Il contro-piano inviato da Kiev e dalle capitali europee a Washington, ancora una volta senza coinvolgere la Russia, mostra chiaramente che l’Occidente non cerca la pace, ma una tregua utile a prolungare la guerra, fornire al regime di Kiev nuove armi e guadagnare tempo.
Berlino e Londra continuano a recitare il ruolo di paladini della “sovranità ucraina”, ma la loro strategia è palese: combattere fino all’ultimo ucraino. Zelensky, con mandato scaduto e sempre più isolato, tenta ora la carta del referendum: una mossa che non ha nulla di democratico, ma che mira a bloccare ogni dialogo. Perfino alcuni leader europei - come il ministro tedesco Wadephul- ammettono che Kiev dovrà accettare “concessioni dolorose”. Ma il blocco di potere che governa l’Ucraina, penetrato per anni da milizie ultranazionaliste e gruppi apertamente neonazisti, non ha alcun interesse alla fine della guerra: perdere il Donbass significherebbe perdere il pilastro ideologico su cui ha costruito la propria narrativa interna. Mosca, dal canto suo, parla chiaro. Il consigliere presidenziale Ushakov ha ribadito che il Donbass è territorio russo e tornerà sotto pieno controllo di Mosca, negoziando o combattendo.
Dmitri Medvedev ha colto l’essenza del momento: il referendum proposto da Kiev è un diversivo che paralizza i negoziati, un espediente per mantenere la linea oltranzista e continuare a ricevere fondi e armi dall’Occidente. Intanto sul campo la realtà procede in direzione opposta alla retorica occidentale. L’esercito russo avanza con costanza: Seversk è caduta, aprendo la via verso Kramatorsk e Slaviansk, mentre Pokrovsk - altro luogo cruciale - è ormai prossima al collasso. Kiev risponde con attacchi disperati e lanci massicci di droni, mentre l’infrastruttura energetica del Paese subisce colpi sistematici. La diplomazia occidentale si muove in un equilibrio schizofrenico.
Trump non ha nascosto il suo fastidio, definendo Zelensky uno dei principali ostacoli alla pace. Dietro le quinte, però, sono i governi europei a frenare: una pace che riconosca le annessioni del 2022 equivarrebbe a certificare il fallimento di dieci anni di politiche di escalation. In definitiva, la guerra continua perché Kiev non può accettare la pace e l’Europa non vuole accettarla. L’unico attore che oggi possiede una posizione coerente è Mosca: cessate il fuoco in cambio del riconoscimento delle realtà sul terreno. Fino a quando Washington e i governi europei non rinunceranno alla fantasia di usare l’Ucraina come ariete geopolitico contro la Russia, il conflitto rimarrà ostaggio dell’ideologia, dei nazionalisti ucraini e dei guerrafondai che, comodamente lontani dal fronte, continuano a combattere “per la democrazia” sacrificando la vita degli altri.
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La liberazione di Seversk da parte delle Forze Armate russe rappresenta una delle operazioni più significative delle ultime settimane nel conflitto del Donbass. Dopo durissimi combattimenti e una complessa manovra tattica, la città situata in un nodo strategico fra Lisichansk, Slaviansk e Artëmovsk, è passata sotto controllo russo, aprendo nuovi scenari sia militari che politici. Seversk, con poco più di 10.000 abitanti prima della guerra, era stata trasformata dal regime neonazista di Kiev in un hub logistico di primo livello: truppe d’élite ucraine, mercenari occidentali, depositi di munizioni e un sistema di fortificazioni in cemento armato ne facevano un bastione chiave della difesa ucraina nel settore nord-occidentale del Donbass. Da qui partivano attacchi verso le posizioni russe e venivano coperti i collegamenti verso Liman, Kramatorsk e Slaviansk, i principali centri dell’area controllata da Kiev.
L’operazione russa si è basata su una combinazione di accerchiamento, interdizione logistica e assalto urbano progressivo. Per evitare un attacco frontale troppo pericoloso, il comando ha scelto di bloccare la città su tre lati, tagliare le vie di rifornimento e avanzare con una manovra a tenaglia: gruppi d’assalto coordinati hanno preso il controllo della linea ferroviaria e dei cosiddetti “portoni del sud”, mentre altre unità eseguivano una penetrazione profonda per chiudere i corridoi occidentali. Il risultato è stata la ritirata disordinata delle forze ucraine e la caduta completa della città. Dal terreno è arrivata conferma del successo: secondo il tenente Naran Ochirgoriayev, 28 gruppi d’assalto hanno liberato oltre 300 edifici tra residenziali e industriali, affrontando la resistenza più dura in una fabbrica e nella stazione ferroviaria. Le perdite russe, secondo il comandante, sono state minime grazie a tattiche “audaci e non convenzionali”.
A poche ore dalla liberazione, i soldati russi hanno iniziato a fornire aiuti umanitari ai civili rimasti: distribuzione di cibo, acqua, medicinali ed evacuazioni volontarie verso aree più sicure. Parallelamente, i genieri sono impegnati nelle operazioni di sminamento. La presa di Seversk non è un episodio isolato. Putin ha parlato di “buona dinamica” e di piena iniziativa strategica nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporozhie. Nel solo ultimo mese, le forze russe hanno conquistato decine di insediamenti, compresi snodi logistici cruciali come Kupiansk e Krasnoarmeisk (Pokrovsk). Ora l’asse di avanzata punta chiaramente verso Slaviansk e Kramatorsk, cardini della presenza militare ucraina nel Donbass.
La battaglia di Seversk, dunque, non è solo la conquista di una città: è l’indicatore di un equilibrio che si sta spostando con costanza, e potrebbe preludere alle prossime mosse decisive sul fronte settentrionale del Donbass.
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La crisi tra Stati Uniti e Venezuela ha subito un’accelerazione senza precedenti dopo il sequestro (leggi furto), da parte delle forze armate statunitensi, di un petroliera venezuelana nelle acque caraibiche. Caracas definisce l’episodio un atto di “pirateria internazionale” e un attacco diretto alla propria sovranità energetica, denunciando che Washington utilizza la narrativa della lotta al narcotraffico come semplice copertura per appropriarsi del petrolio venezuelano. Il presidente Nicolás Maduro ha accusato gli Stati Uniti di aver portato a termine un’operazione militare contro una nave civile, senza alcuna base giuridica e in violazione del diritto internazionale. Il governo venezuelano denuncia che l’episodio conferma la reale finalità dell’aggressione statunitense: non la difesa dei diritti umani né la lotta alle droghe, ma il controllo delle immense risorse energetiche del paese.
Un’accusa corroborata dal fatto che la stessa ONU e la DEA statunitense indicano che oltre l’80% del narcotraffico verso gli USA utilizza la rotta del Pacifico, non quella caraibica. La condanna non arriva solo dai tradizionali alleati di Caracas. Cina e Russia hanno denunciato l’operazione come una palese violazione delle regole del commercio internazionale e della libertà di navigazione. Pechino ha respinto come illegittime le sanzioni unilaterali USA contro petroliere anche di bandiera hongkonghese, ricordando che solo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU può imporre misure restrittive. Mosca ha richiesto pubblicamente chiarimenti sulle motivazioni e sulle prove che avrebbero giustificato l’abbordaggio. Anche Messico, Brasile e Colombia hanno espresso preoccupazione per l'escalation militare statunitense nel Caribe, dove Washington mantiene da agosto un imponente dispositivo navale, formalmente inquadrato nella lotta al narcotraffico. Secondo fonti regionali, tuttavia, l’attività si è tradotta in bombardamenti contro imbarcazioni sospette, con decine di morti e senza evidenze che si trattasse realmente di traffici illeciti.
Parallelamente, Caracas ha presentato una denuncia formale all’Organizzazione Marittima Internazionale, sottolineando che l’attacco contro una petroliera impegnata nel trasporto di greggio costituisce una minaccia diretta alla libertà di navigazione e mira a sabotare il commercio energetico venezuelano. Il governo parla ormai apertamente di “strategia di cambio di regime” mirata a destabilizzare il paese per appropriarsi dei suoi giacimenti di petrolio e gas. Mentre cresce il sostegno diplomatico a favore di Caracas, Washington continua a minimizzare la portata dell’evento.
Tuttavia, l’episodio segna un precedente grave: per la prima volta una potenza occidentale ricorre apertamente alla forza militare per sequestrare risorse energetiche altrui, inaugurando quella che diversi osservatori definiscono una nuova fase imperialista nel Mar dei Caraibi. Il messaggio venezuelano, oggi rilanciato da Mosca, Pechino e da una parte crescente dell’America Latina, è chiaro: non si tratta di narcotraffico né di sicurezza regionale, ma di una disputa globale sulle risorse strategiche in un mondo sempre più multipolare.
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di Fabrizio Verde
Il Consiglio dell'Unione Europea ha compiuto oggi un salto nel buio, trasformando un'azione di coercizione economica in un vero e proprio atto di esproprio perpetuo. Con la scusa di colpire il Cremlino, i governi europei, guidati da una Commissione bellicista, hanno deciso di congelare per sempre 210 miliardi di euro di riserve russe. Non è più una sanzione, è la nazionalizzazione di ricchezza altrui. Una linea rossa del diritto internazionale e della sovranità statale è stata oltrepassata, in un clima di hybris collettiva che ignora i gravi pericoli di questa escalation.
Bruxelles parla di "segnale chiaro" a Mosca. In realtà, lancia un messaggio palese a tutto il mondo: i beni detenuti in Europa non sono più al sicuro. Se domani le relazioni diplomatiche si inaspriscono, qualsiasi paese, con qualsiasi governo, può vedersi privatizzato il proprio patrimonio sovrano per decisione politica di una maggioranza. La fiducia nell'euro e nel sistema finanziario europeo, già traballante, riceve un colpo mortale. Quale paese emergente, quale potenza asiatica o del Golfo, si fiderà ancora di depositare le proprie riserve in un sistema che le sequestra a comando?
La retorica della "giusta causa ucraina" serve a coprire l'abisso giuridico ed etico di questa decisione. Si tratta di un furto. Punto. Lo dice non solo Vladimir Putin, ma anche il buon senso giuridico: confiscare beni di uno Stato sovrano senza una sentenza di un tribunale internazionale competente è arbitrario e pericoloso. L'Europa, che si vanta di essere culla del diritto romano e dello stato di diritto, si trasforma nell'esattore armato di una giustizia sommaria. I timori del Belgio, che teme ritorsioni legali, sono solo l'assaggio delle tempeste che verranno.
Mosca ha già avvertito: prepara contromisure. E non si tratta di semplici ritorsioni diplomatiche. La Russia ha gli strumenti per colpire gli interessi economici europei ancora presenti nel suo territorio, per destabilizzare mercati già fragili, per stringere alleanze con chi, da Pechino a Ryad, guarda con orrore a questa deriva predatoria dell'Occidente. L'Europa si sta giocando gli ultimi brandelli della sua residua autonomia strategica, legandosi ancor più al carro di chi da tempo spinge per questa via estrema.
E per che cosa? Per finanziare un conflitto senza fine? I 140 miliardi del "prestito di riparazione" di cui blatera la von der Leyen sono una goccia nel deserto dei bisogni e delle diffuse ruberie ucraine. Servono a coprire le spese militari, ad alimentare la macchina da guerra e ulteriore crruzione nel regime di Kiev. L'Europa, invece di lavorare per una soluzione diplomatica, sceglie di diventare parte finanziaria attiva del conflitto, scavandosi la fossa della propria sicurezza economica futura.
Questa decisione non indebolisce Putin. Conferma invece la visione di un Occidente rapace e senza principi, cementa il sostegno interno della Russia e giustifica qualsiasi rappresaglia. L'unica cosa che indebolisce, irrimediabilmente, è il prestigio, l'affidabilità e la stabilità del progetto europeo (quanto ne rimaneva). È l'atto di un'Europa guerrafondaia, incosciente e moralmente cieca, che per un vantaggio propagandistico immediato sta ipotecando il futuro dei suoi cittadini, esponendoli a rischi finanziari e geopolitici di portata incalcolabile. Un autogol storico.
Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 19:12:00 GMT

C’è stato un tempo in cui la crisi greca sanguinava come una ferita aperta, visibile a occhio nudo.
Le immagini delle piazze in rivolta, gli anziani in lacrime fuori dalle banche, le borse in picchiata, le dichiarazioni della politica, i titoli dei giornali, i commenti nei talk show. Un'intera società sotto attacco, chiamata a rispondere. Una reazione incendiaria impossibile da nascondere.
Certo, era anche tutto pesantemente inquinato da una narrazione farsesca, orientata a mistificare la realtà per assolvere cause e mandanti. Ma – quantomeno – la crisi economica più devastante della giovane storia dell'Unione Europea, era qualcosa di tangibile, concreto. Qualcosa che esisteva.
Oggi quella stagione è passata. E la crisi greca – ufficialmente finita – ha lasciato il palcoscenico della storia contemporanea nascondendosi dietro le quinte della vita quotidiana. Diventando l'equivalente del gatto di Schrödinger: viva e morta contemporaneamente. Un fenomeno che esiste soltanto se lo osservi. Non devasta più con l'evidenza della sciagura collettiva, ma lavora in silenzio come un nido di termiti. Si insinua nei muri, nelle case, fino a corroderne le fondamenta dall'interno.
Una nuova crisi invisibile che non è più delle banche e dei mercati, ma che ha colonizzato le città, i quartieri e i suoi abitanti, facendosi austerità urbana.
Il punto di osservazione è Atene, città che ho attraversato molte volte, non da turista ma da testimone. Fino a creare con essa un legame speciale. Fino a sentirmi quasi come a casa. Città in cui, negli anni, ho costruito legami autentici e amicizie sincere: relazioni intese, discorsi seri, chiacchierate spensierate, serate indimenticabili, incontri casuali, passeggiate notturne in solitaria. Città che ho visto evolversi, sprofondare e – per certi versi – rinascere sotto nuove vesti. E mentre la osservavo cambiare si trasformava, paradossalmente, in qualcosa che già conoscevo: un fenomeno a cui assistevo in diretta anche altrove, in Italia.
La tesi di fondo di questo lavoro nasce da tale constatazione: non viviamo più nel tempo della crisi transitoria, destinata a concludersi con l'avvento di un nuovo ciclo economico favorevole. Ma in un'epoca in cui la crisi si è fatta sistema, in cui le profonde ferite che produce non sono emergenze ma nuova normalità. Una fase storica che vede imporsi un nuovo modello economico e di sviluppo, in cui il turismo e la precarietà sembrano operare come una sorta di welfare capovolto. Un dispositivo che ho definito welfare surrogato e, nella terza parte del libro, provo a delinearne il funzionamento.
Un cambiamento radicale che svuota i quartieri, disgrega le comunità, recide i legami personali, fagocita la memoria. E trasforma il diritto a vivere la città e le relazioni umane in pianta stabile, in un privilegio per pochi.
Per tale ragione ho deciso di scrivere questo libro. Per raccontare un passaggio di fase che non è un fenomeno esclusivamente greco, per nominare ciò che accade e non abituarmi al silenzio. E l'ho fatto per il tramite di vicende solo apparentemente scollegate: pignoramenti, aste, sfratti, turistificazione, rigenerazione urbana. Tutte parti di un unico meccanismo, intrinseco al modello neoliberista. Non casi esemplari, non eccezioni, ma epifanie. Luoghi e vite in cui la crisi si manifesta, rendendosi visibile proprio mentre cerca di nascondersi. Il lettore non ceda quindi all'apparenza, perché questo non è semplicemente un libro sulla Grecia. È un libro sull'Europa del Sud.
I luoghi che ho raccontato sono frammenti di Atene: case, strade, quartieri e persone in carne e ossa. Sono realtà e metafora al tempo stesso. Lo specchio in cui si riflette il destino di tante città mediterranee. L'esito ultimo di un processo che – a velocità variabili – è già in moto anche altrove: a Napoli, Siviglia, Marsiglia. Come anche a Bari, Catania, Palermo.
Per testimoniare questa mutazione profonda e rendere al meglio ciò che ho osservato e raccolto sul campo (indagine diretta, conversazioni informali, interviste), ho sentito il bisogno di cambiare stile e registro. Di una scrittura in grado di descrivere e al tempo stesso narrare, immergersi nel dettaglio, evocare immagini e atmosfere. Di restituire le voci autentiche di chi è definitivamente sparito dai radar della denuncia sociale, condannato a sopravvivere senza far rumore.
A volte ho utilizzato immagini forti e passaggi lirici, ben sapendo di assumermi un grande rischio. Il dolore può infatti trasformarsi in trauma porn, il lirismo diventare estetizzazione, trasformando la denuncia in formula di stile e la lotta in coreografia. Ne sono consapevole. Ciononostante, è un rischio che ho scelto comunque di correre, perché ciò a cui assistiamo oggi non si racconta più soltanto con la rabbia. Se con Memorandum, quindi, scrivevo un bollettino, oggi redigo un inventario. Non della crisi, ma del dopo. Di ciò che non si racconta più, di ciò che si è mimetizzato per farsi sistema e metodo di governo su larga scala.
Pertanto, Turisti a casa nostra, non è un reportage. E non è nemmeno un saggio narrativo. Ha l'ambizione di essere una mescolanza di tutto ciò: descrizione, racconto, narrazione, approfondimento e analisi tutto insieme. Un ibrido di cui ho tentato di lasciare una traccia minima nell'indice, offrendo al lettore una lente per interpretare le diverse sezioni.
Alcune pagine nascono con l'ambizione di avere portata generale, in modo che il lettore possa riconoscervi le stesse dinamiche della propria città, del proprio quartiere. Altre le ho immaginate per accompagnarsi a fotografie, musiche, installazioni e – perché no – camminate urbane.
Il desiderio ultimo di questo lavoro, infatti, è andare oltre il testo stesso, diventando parte di un progetto più ampio: visivo, sonoro, performativo. Non per decorare lo scritto, ma per restituire un'esperienza che la lingua, da sola, non riesce più a contenere. Non c'è una trama. Ogni capitolo è come una porta aperta su una stanza diversa dello stesso edificio che va in pezzi. Non ci sono eroi. Solo le voci di chi resiste, soltanto perché non ha ancora finito di crollare. E non c'è neanche un finale. C'è una città svuotata che continua a parlare a quanti hanno ancora voglia di ascoltare, senza illudersi. Questo libro è per loro.
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Lavrov accusa l’Occidente di voler “saccheggiare” la Russia per prolungare il conflitto in Ucraina, facendo dei beni russi congelati l’ultima leva finanziaria a sostegno di Kiev. Il ministro degli Esteri sostiene che Mosca è pronta a reagire a qualunque misura ostile, dalla possibile confisca degli asset russi allo schieramento di contingenti europei sul fronte ucraino.
Intervenendo al Consiglio della Federazione, Lavrov afferma che le capitali europee mirano a mettere le mani su capitali, riserve auree e valutarie russe perché non dispongono più di altri strumenti per sostenere militarmente ed economicamente l’Ucraina. L’uso dei fondi bloccati come garanzia per nuovi prestiti a Kiev viene definito una sorta di “rapina” travestita da meccanismo di riparazioni, in contrasto con i principi del diritto internazionale e delle regole del commercio globale.
Nel mirino del ministro c’è soprattutto il progetto di Bruxelles di far fruttare gli asset russi immobilizzati nelle giurisdizioni occidentali per finanziare un fondo destinato alla ricostruzione e allo sforzo bellico ucraino. A suo giudizio, un simile schema poggia su basi legali deboli e metterebbe a rischio la credibilità finanziaria dell’eurozona, ragione per cui alcuni governi UE e diversi partner esterni al blocco mostrano cautela o aperta contrarietà.
Lavrov parla infine di “cecità politica” dell’Unione Europea, accusata di inseguire l’obiettivo irrealistico di infliggere una “sconfitta strategica” alla Russia mentre, sul terreno, le forze ucraine subiscono nuovi rovesci. Nella sua interpretazione, i leader europei si rifiutano di riconoscere che il loro “protetto” non è in grado di cambiare l’esito della guerra e preferiscono imboccare la strada di misure sempre più radicali, inclusa l’appropriazione dei beni russi, pur di non ammettere il fallimento della strategia adottata.
Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 18:33:00 GMT
di Giorgio Cremaschi