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IN PRIMO PIANO
Tregua a rischio: le bombe continuano a cadere su Gaza

Nonostante l’annuncio di un cessate il fuoco tra Hamas e Israele, previsto per entrare in vigore domenica 19 gennaio, il conflitto nella Striscia di Gaza non accenna a fermarsi. Gli attacchi aerei israeliani hanno colpito numerosi obiettivi civili, causando un bilancio drammatico: oltre 46.000 morti palestinesi dall’inizio delle ostilità, di cui 81 uccisi solo dopo l’annuncio della tregua. Tra le vittime si contano più di 20 bambini e 25 donne.

Le forze israeliane hanno bombardato quartieri residenziali come Al-Daraj e Al-Shuja’iyya, scuole per sfollati come Al-Zaytoun, e case private, lasciando dietro di sé decine di morti e feriti. Secondo il Ministero della Salute di Gaza, più di 230 persone sono rimaste ferite solo nelle ultime 24 ore.

Un raid ha colpito anche un edificio dove si trovava una delle ostaggi israeliane che Hamas aveva promesso di liberare, complicando ulteriormente l’accordo. Israele ha giustificato gli attacchi dichiarando di aver colpito “obiettivi terroristici”, mentre Hamas accusa Tel Aviv di sabotare il fragile accordo.

Intanto, il governo israeliano ha rinviato il voto sulla ratifica della tregua, tra le pressioni di alcuni partiti di estrema destra contrari al compromesso. Mentre i palestinesi continuano a pagare un prezzo altissimo, la comunità internazionale resta a guardare. L’efficacia di questa tregua è già messa in dubbio, alimentando timori su un possibile ritorno alla violenza su larga scala.

*Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati

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https://www.aljazeera.com/news/liveblog/2025/1/16/live-celebrations-in-gaza-as-israel-hamas-reach-ceasefire-deal

 

https://www.telesurtv.net/israel-viola-alto-al-fuego-y-asesina-al-menos-81-palestinos-en-las-ultima-24-horas/

 

https://www.bbc.com/news/articles/crke088e27lo

Data articolo: Fri, 17 Jan 2025 09:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
La Francia prepara una risposta all'“ostilità” algerina

Il presidente francese Emmanuel Macron si riunirà con il suo governo per discutere della situazione con l'Algeria, in risposta alla sua "postura ostile". Le tensioni tra i due paesi sono aumentate dopo che Macron ha manifestato sostegno a un piano marocchino per il Sahara occidentale, andando contro la posizione diplomatica tradizionale della Francia.

L'Algeria, che sostiene il Fronte Polisario, un gruppo separatista che chiede l'autodeterminazione del popolo saharawi, ha criticato questa decisione come una violazione del diritto internazionale. Le relazioni sono state ulteriormente danneggiate quando l'Algeria ha richiamato il suo ambasciatore a Parigi e ha annullato una visita ufficiale del presidente Tebboune in Francia.

Quest'ultimo ha inoltre accusato la Francia di genocidio durante il periodo coloniale.

*Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati

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https://www.reuters.com/world/france-decide-response-algeria-hostility-tensions-mount-minister-2025-01-15/

Data articolo: Fri, 17 Jan 2025 09:00:00 GMT
OP-ED
La volontà di potenza globale di una “persona facoltosa”

di Adriana Bernardeschi - Futura Società

Sebbene al momento smentito, l’accordo fra Elon Musk e il governo italiano si subodora da più di un elemento in gioco. L’immenso potere mediatico ed economico del magnate è sempre più strumento di una volontà di potenza che mira a dirigere la politica globale.

In epoca di delicati equilibri di guerra e visite diplomatiche lampo oltreoceano in cui ci si indebita con Trump in cambio del favore di esentarci dall’estradare Mohammad Abedini Najafabadi (in quel momento incarcerato senza concessione di garanzie e diritti, esattamente come lamentato per la giornalista Cecilia Sala, la cui liberazione è stata fulminea dopo la visita a Washington, seguita dal rilascio di Abedini pochi giorni dopo), molto si è parlato di un presunto accordo tra la nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il magnate della tecnologia, Ceo di Tesla e SpaceX, Elon Musk, in cui sarebbe previsto un contratto pluriennale di 1,5 miliardi fra il governo italiano e il magnate per una serie di servizi di telecomunicazione affidati ai satelliti Starlink.

L’accordo, sebbene ufficialmente smentito dal nostro governo, è già stato al centro di molte speculazioni. Musk, figura emblematica della Silicon Valley e simbolo del capitalismo globale, ha sempre operato con l’intento di ridefinire le dinamiche di potere attraverso l’innovazione tecnologica. Il suo impero economico, che spazia dalle automobili elettriche Tesla fino alla conquista dello spazio con SpaceX, è di fatto attore di un imperialismo tecnologico che interagisce con governi e strutture di potere a livello globale per rafforzare la sua posizione e quella dei grandi gruppi tecnologici e industriali suoi alleati. Un accordo con l’Italia andrebbe, dunque, collocato nella logica di una egemonia Usa sempre più forte e prepotente con i suoi Stati vassalli, alla faccia del sovranismo di facciata di Meloni.

Il “colonialismo tecnologico” che si consoliderebbe con tale accordo porterebbe a un ulteriore svuotamento del potere decisionale delle nostre istituzioni, nel momento in cui già moltissime decisioni fondamentali riguardanti l’economia digitale, l’energia, la sostenibilità, sono sempre di più prese negli States. Superfluo ricordare, riguardo alla proclamata ideologia “green” promossa da Musk, che sotto la maschera della sostenibilità quello che viene portato avanti è un modello di sviluppo che continua a perpetuare logiche imperialiste, approfittando delle risorse dei Paesi più poveri mentre concentra la ricchezza nelle mani di una élite globale. L’espansione di Musk e delle sue aziende si inserisce, infatti, in un modello che consolida la divisione fra Paesi più ricchi e industrializzati come centri di innovazione e produzione avanzata, e Paesi più poveri relegati a ruoli subalterni nell’estrazione di risorse e nella gestione delle fasi meno allettanti della produzione. Tutto questo attraverso il controllo delle risorse energetiche e minerarie e il dominio delle reti digitali e delle infrastrutture globali.

C’è, però, un altro aspetto della questione che assume tratti particolarmente inquietanti. Oggi orbitano attorno al nostro pianeta oltre settemila satelliti, la fetta di gran lunga maggiore dei quali di proprietà Starlink, cioè dell’azienda di Musk, il quale si è di fatto appropriato dello spazio extra-atmosferico, peraltro contravvenendo agli accordi del Trattato sulle attività nello spazio extra-atmosferico siglato a Washington nel 1967 e approvato successivamente da quasi tutti i Paesi membri dell’Onu. L’uso dello spazio extra-atmosferico da parte delle migliaia di satelliti di proprietà di Musk (e non solo) non avviene infatti, come prevederebbe il trattato, “a beneficio e nell’interesse di tutti i Paesi”, bensì a vantaggio degli interessi di Musk, che può accumulare illegittimamente profitto e potere utilizzando uno spazio che appartiene a tutta l’umanità. Il paventato contratto Musk-Italia significherebbe, dunque, affidare al controllo del magnate tutte le informazioni diplomatiche, militari, le comunicazioni in tema di sicurezza pubblica, di protezione civile, i dati dei servizi segreti dello Stato.

L’arroganza sfacciata con cui Musk si sente in diritto di interferire nella politica dei Paesi europei è stata eclatante. In Inghilterra ha attaccato con offese esaltate il premier inglese Keir Starmer e la ministra laburista Jess Phillips, avanzato ingerenze sulla leadership del partito sovranista Reform UK, sostenuto l’attivista fascista Tommy Robinson. In Germania ha espresso il proprio sostegno nelle prossime elezioni tedesche all’estrema destra di Alternative für Deutschland, offrendo ad Alice Weidel il palcoscenico della sua piattaforma social X – e qui la candidata si è lanciata in falsi storici su Hitler, che è stato definito “libertario” e “comunista socialista”. Nel nostro Paese è entrato a gamba tesa nel sistema giudiziario, attaccando i giudici del tribunale di Roma che hanno sospeso la convalida del trattenimento per sette migranti nel Cpr in Albania. Sempre in tema migrazioni, ha definito “organizzazione criminale” l’organizzazione umanitaria Sea Watch che si occupa di salvataggi in mare.

Non si tratta semplicemente, come dichiarato da Meloni, di una “persona facoltosa” che “esprime le sue posizioni”. Musk è, infatti, non solo padrone di un impero aziendale, ma anche un futuro ministro dell’amministrazione Trump. E l’oligarca tecnologico, per tornare alla questione del mondo della comunicazione e di Starlink, possiede un potere di condizionamento politico enorme attraverso la sua piattaforma X e il quasi monopolio della trasmissione satellitare di informazioni.

Le smentite della presidente del Consiglio non sono convincenti. In alcuni talk show il direttore del «Secolo d’Italia», Italo Bocchino, quindi assai vicino politicamente alla premier, ha ripetutamente affermato che l’affidamento a Musk è pressoché obbligatorio in quanto egli detiene un numero di satelliti di ordine assai superiore agli altri e quindi sarebbe in grado di offrire un servizio migliore. Queste sue esternazioni lasciano intuire che potremmo essere di fronte a una decisione già presa.

La vicinanza estrema di Meloni con l’uomo più ricco del pianeta, si siano parlati o meno dell’affare, assume in ogni caso una rilevanza enorme. Mentre Musk, tramite la sua impresa, tratta con il governo italiano per ottenere il monopolio di un delicatissimo ramo, la presidente del Consiglio lo elogia come un paladino della libertà e quindi il più probabile assegnatario del contratto. Quindi, non serve che Meloni parli con Musk perché quest’ultimo ha già praticamente in tasca la concessione.

È di questi giorni anche la notizia che Elkann, il patron di Stellantis, anch’egli – guarda caso – elogiato da Meloni, nonostante abbia concorso allo smantellamento dell’industria automobilistica italiana, ha stipulato un accordo con Tesla di Musk per bypassare le sanzioni dell’Ue in fatto di emissioni di CO2. Si tratta di comprare dalla casa americana i crediti, previsti dal vergognoso accordo Cop, che, come le indulgenze, purificano dal peccato di inquinamento atmosferico al costo di 10 miliardi di euro.

Alla luce di tutto ciò, bisogna fare una riflessione accurata sull’opportunità di affidare a SpaceX la gestione delle comunicazioni del nostro Paese. Come Meloni stessa ha detto, si tratta infatti di “tema di sicurezza nazionale”. Fra l’altro, nel caso si arrivasse ad affidare a Musk la gestione delle comunicazioni di Stato italiane, vanno tenute presenti le implicazioni che ciò avrebbe anche sul piano della tutela della privacy dei cittadini, essendo la piattaforma digitale di Musk uno strumento di profilazione degli utenti, ed essendo il proprietario in procinto di avere un ruolo di rilievo nel governo Usa.

Ci troviamo, dunque, di fronte alla complessa interazione di interessi politici, economici, personali, istituzionali, che ormai hanno sdoganato il paletto della democrazia liberale e delineano un futuro tecnologico all’insegna del sostegno alle oligarchie finanziarie. E dove l’Europa è sempre più elemento strategico nella guerra, commerciale e militare, che gli Usa portano avanti verso la parte del mondo non allineata al proprio impero.

Data articolo: Thu, 16 Jan 2025 22:50:00 GMT
Cultura e Resistenza
L'omologazione totalitaria del modello estetico e la dittatura della banalità

 


di Angela Fais per l'AntiDiplomatico


E’ sufficiente una semplice passeggiata per rendersi conto che il ricorso alla chirurgia e alla medicina estetica è scappato un pò di mano. Accade sempre più spesso di imbattersi in persone sfigurate, dalle sembianze inquietanti che hanno del monstrum, del prodigium. In clinica si parla non a caso di “sindrome da riempimento eccessivo”, una complicanza dovuta alla stratificazione di filler troppo ravvicinati che portano a una vera e propria distorsione facciale. In Gran Bretagna è dovuto intervenire il legislatore vietando per legge il ricorso delle minorenni alle iniezioni botuliniche.

Solo in Italia rispetto al 2020 il ricorso a medicina e chirurgia estetica ha avuto un incremento del 130%. Questo determina serie e molteplici problematiche. Il presidente della SIME, Società Italiana di Medicina Estetica, Emanuele Bartoletti osserva infatti che con l’aumentare del numero degli interventi, statisticamente si rischia di trovare medici senza scrupoli o troppo accondiscendenti verso richieste del tutto prive di senso. Purtroppo infatti la legge italiana non prevede la necessità di essere medici specialistici per poter praticare la medicina estetica, quindi la possibilità di incorrere in figure professionali non all’altezza si fa seriamente concreta, a danno dei professionisti seri e sopratutto dei cittadini.

A quanto pare un giovane su tre al di sotto dei 25 anni ha già fatto ricorso ai trattamenti in questione.

L’ 87,1%, ossia 9 intervistati su 10, dichiara che la principale motivazione è di carattere estetico. A usufruirne sono donne ma anche uomini. Ciò non confermerebbe quanto detto da molte autrici femministe per cui le donne “sarebbero private del loro corpo”. L’insoddisfazione maschile verso il proprio corpo infatti sta crescendo con stime che vanno dal 50 al 70%. Si vuol precisare da subito che il ricorso alla chirurgia e ai trattamenti estetici non è affatto di per sé indicatore di psicopatologia. Nè tantomeno si vuole demonizzare. Ma il fenomeno va osservato da una prospettiva diversa; giacchè un conto è “cancellare” una ruga o intervenire su un naso obiettivamente poco estetico, altro è far continuamente ricorso a interventi per inseguire modelli estetici non realistici dove il corpo viene sostenuto da fantasie di rimodellamento, autocreazione, trasformazione e correzione (A.Lemma), secondo ‘una ideologia del modellamento senza limiti’ per cui in luogo della materialità e della storicità del corpo abbiamo una plasticità culturale con precisi stereotipi estetici cui aderire.

I disturbi del dismorfismo corporeo sono manifestazioni della patologia individuale ma culturalmente normativi essendo anche figli di una certa cultura che non dovrebbe essere favorita, assecondando ciascun intervento medico purchè venga richiesto dal paziente.

Nella cultura odierna si può parlare addirittura di “malcontento normativo” rispetto ai corpi. Inizialmente la chirurgia estetica, che sappiamo ha origini antichissime, aveva una funzione riparativa rispetto a interazioni violente. Ricordiamo che già nel XVI sec. quando le risse per strada e i duelli erano all’ordine del giorno, il medico chirurgo italiano Gaspare Tagliacozzi, considerato il padre della chirurgia estetica, per primo ricostruì un naso tramite una porzione di pelle prelevata dal braccio del paziente. La attuale chirurgia estetica invece è un prodotto che nasce principalmente negli USA. Qui avviene la transizione da atto riparativo a alterazione di un corpo sano; transizione che è direttamente proporzionale alla esaltazione della cultura dell’immagini che negli Stati Uniti si persegue. Tale cultura dominata e soggiogata dalla seduzione totalitaria dell’immagine si impossessò presto della psiche americana per poi colonizzare drammaticamente il resto dell’Occidente. Già dal 1940 la chirurgia estetica veniva impiegata come trattamento per curare una bassa autostima; sino a oggi che si parla addirittura di “psichiatria con il bisturi”.

Per spiegare il ricorso compulsivo ai trattamenti con i risultati davvero poco estetici che oggi riscontriamo, dobbiamo chiamare in causa due fattori. Uno attinente a problematiche individuali di natura psicopatologica, l’altro a ragioni di ordine culturale e storico.

Partiamo dal presupposto che il corpo non è mai nostro, ma porta già da sempre le tracce dell’Altro. Innanzitutto l’altro della madre che contribuisce con le sue cure alla formazione di quello che Anzieu ha denominato “io-corpo”; ma anche tracce dell’altro inteso come frutto di una particolare storicità poichè è sempre corpo gettato in un qui e ora, in una particolare situazione emotiva, in una cultura  e non in un’altra; e così via sino alla massima alterità che è la morte. Secondo molti teorici, non solo Anzieu ma anche lo stesso Freud, il contatto è un elemento fondamentale per la costruzione dell’attaccamento. Anzieu in particolare sostiene "il ruolo giocato dal tatto e dalla pelle nello strutturare letteralmente l’Io inteso come rappresentazione che serve al bambino durante le fasi precoci dello sviluppo, per rappresentarsi a sé stesso come un Io che contiene i contenuti psichici”. L’ Io-pelle si strutturerebbe prima ancora dell’ Io in sè. Dunque l’ Io-Pelle sarebbe anteriore alla Fase dello specchio di Lacan. Come dice Jean-Luc Nancy “non c’è egoità nel corpo”. La madre offre al bambino "la prima e più fondante esperienza del corpo: involucro che oltre a fornire calore, alimento (tramite l’allattamento al seno), carezze, dolcezza e cure, deve trasmettere segnali e cercare di interpretare quelli che emette il bambino." Se ciò non accade, perchè le cure sono carenti o eccessive, l’involucro che avrebbe dovuto favorire la sensazione di limite e di benessere, si trasforma in un involucro di angoscia e sofferenza. Ciò porterebbe i pazienti alle fantasie di cui si è appena parlato, ai disturbi del dismorfismo corporeo, a rivendicare un corpo proprio, a invidiare il corpo materno etc etc. Sarebbe auspicabile dunque che prima di intervenire si valutasse opportunamente affinché il paziente possa operare delle scelte autentiche e significative che siano radicate nella realtà, e non siano nutrite da fantasie inconsce. Questo non troppo spesso accade e i risultati li vediamo in giro tra noi.

La modifica della corporeità è oggi un anelito che viene perseguito come mai è accaduto in epoche precedenti. Sia tramite il ricorso sconsiderato e compulsivo a interventi di vario genere, che più semplicemente tramite impegnative sessioni di allenamento o regimi alimentari particolarmente restrittivi. Anelito costantemente sostenuto dai modelli estetici che pubblicità e social impongono come diktat. Si determina una totale e pervasiva adesione a criteri e paradigmi severamente omologanti. Possiamo dire in tal senso di vivere in una dittatura della banalità. Dove a dominare sono figure estetiche che ad essa rimandano. Banalità dei corpi intesa in un duplice senso. Sia come banalità del modello, che in quanto tale è sempre sostituibile: le riviste e i social con le immagini di corpi affusolati, vellutati, perfetti; sia la banalità del ‘qualsiasi’: un corpo qualsiasi, corpo logoro, vecchio, corpo del lavoratore. Corpi entrambi resi banali dal capitale che li riduce a merce; anonima forza lavoro i secondi, altrettanto anonimi modelli del lusso i primi. Si provvede in ogni caso alla rimozione e all’annichilimento della unicità. Non più il Volto. Oggi esistono solo facce. “Faccia”, dal latino facies: faccia, ma anche tra i suoi numerosi significati: "forma esteriore,  apparenza". La faccia non è il Volto. E nemmeno il viso è Volto. Visus è già visto. Mentre il Volto è il luogo della differenza, della alterità assoluta, l’epifania della Alterità. Per dirla con Lévinas “il volto è il modo per eccellenza di essere altri”, “volto è ciò che io non sono”.

E’ interessante notare il fatto che si va verso modelli estetici gender free: donne mascoline e uomini femminilizzati. La differenza si cancella nel “medesimo” e si dissolve nella omologazione, in quella produzione in serie propria di un regime totalitario.

Data articolo: Thu, 16 Jan 2025 18:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La tregua di Gaza, Donald Trump e gli Accordi di Abramo 2.0

 

di Clara Statello per l'AntiDiplomatico


Notte di festa e speranza in Palestina. Le strade di Gaza sono un tripudio di donne, uomini e bambini festosi, colorate da una miriade di bandiere palestinesi e da canti di felicità e vittoria. I video dei convogli con gli aiuti, che finalmente entravano dai valichi sbloccati, segnano la fine della fame e del ricatto. Una svolta.

L’accordo era nell’aria. Già la mattina di martedì il Wall Street Journal e Associated Press avevano anticipato la finalizzazione dell’intesa. L’annuncio ufficiale, riportavano, sarebbe potuto arrivare addirittura in giornata. È arrivato invece mercoledì pomeriggio. Ma era cosa fatta. Come si vede dai filmati pubblicati da Middle East Spectator, poco prima che Mohamed Al Thani comunicasse il fatidico accordo, i miliziani di Hamas e della resistenza palestinese erano già usciti dai tunnel e sfilavano in mezzo alla gente festante. Alcuni con fucili e passamontagna, altri armati ma con il viso scoperto. È stato il segnale della fine dei combattimenti. Per una volta nei cieli di Gaza sono esplosi fuochi pirotecnici.  

Nel suo comunicato ufficiale Hamas ha chiaramente definito l'accordo di cessate il fuoco un risultato “della leggendaria resilienza del nostro popolo e della nostra coraggiosa resistenza nella Striscia di Gaza per oltre 15 mesi". Non una vittoria ma “un punto di svolta nel conflitto con il nemico, sulla strada per raggiungere gli obiettivi di liberazione e ritorno del nostro popolo.”

Il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica in Iran ha salutato la tregua come una "grande vittoria" per i palestinesi e una "sconfitta" di Israele. Ansarallah in Yemen e le forze dell’Asse della Resistenza in Iraq hanno annunciato di conseguenza lo stop agli attacchi contro obiettivi israeliani.

Al di là della comprensibile soddisfazione dei palestinesi, la situazione resta delicata per diverse ragioni.

Innanzitutto la tregua entrerà in vigore soltanto domenica. Mentre a Gaza si continua a morire (almeno 45 vittime dei raid israeliani soltanto stanotte, ma Al Jazeera parla di 75 morti), si teme che Israele possa violare o addirittura far saltare l’accordo. Per i partiti del cosiddetto “sionismo religioso”, guidati da Smotrich e Ben Gvir, il cessate il fuoco è una clamorosa sconfitta.

Israele non ha raggiunto gli obiettivi strategici di distruggere Hamas e di insediarsi a Gaza. Questa è indubbiamente una vittoria della resistenza palestinese. Ma è una vittoria parziale pagata, con un prezzo altissimo. Si ferma lo sterminio dei palestinesi, migliaia di prigionieri – anche con lunghe condanne – saranno liberati, ma l’assedio di Gaza continuerà, come continueranno la brutale occupazione e le politiche di Apartheid in Israele. Non si prevede un riconoscimento della Palestina come Stato. Il sionismo come ideologia e politica coloniale non è affatto giunto al capolinea.

Per capire chi ha ottenuto una vittoria totale, occorre guardare la tempistica: il cessate il fuoco entrerà in vigore il 19 gennaio. Il giorno seguente Donald Trump assumerà l’incarico presidenziale alla Casa Bianca. Sarà lui a gestire le varie fasi dell’accordo. Potrà rivendicare il merito di aver posto fine ad un sanguinoso massacro prima del suo insediamento, come aveva promesso in campagna elettorale.

Ed in effetti è stato il primo ad aver annunciato un accordo per la liberazione degli ostaggi, non Al Thani. Ufficiosamente, con un post del suo social network, Truth. La CNN ha tentato di mostrare l’accordo come il risultato del lavoro congiunto delle squadre di Trump e Biden impegnate nei negoziati in Qatar.

“La cooperazione tra i due è stata "quasi senza precedenti" e resa possibile grazie a “un raro incrocio di interessi tra acerrimi rivali che hanno entrambi visto un'apertura dopo la vittoria di Trump”.

La proposta approvata è sostanzialmente quella presentata da Biden a maggio, ma l’arrivo di Trump per il  Financial Time è stato il fattore X, ovvero l’acceleratore che ha consentito di finalizzare l’accordo dopo tanti mesi di trattative e annunci a vuoto.

Netanyahu non ha margini per opporsi a Trump, come ha fatto finora con Biden. E Trump ha fatto capire agli israeliani che non vuole trovarsi a dover gestire una guerra in Medio Oriente, una volta insediato alla Casa Bianca.

Il premier israeliano dovrà dunque far digerire l’accordo alla destra estremista, sua alleata di governo, e mantenere quanto concordato con Washington.

La pace nella regione, per gli Stati Uniti è soltanto un tassello della più ampia partita geopolitica con la Cina. Trump ha bisogno di resettare l’area ad una situazione pre-7 ottobre, per normalizzare i rapporti  tra Israele e Arabia Saudita. Un nuovo patto servirà a contenere da un lato l’Iran dall’altro l’espansione della via della Seta.

In un post su Truth in cui si attribuisce ogni merito per “questo EPICO accordo di cessate il fuoco”, Trump promette che ne sfrutterà lo slancio per “espandere ulteriormente gli storici accordi di Abramo”. Ciò consentirà di sbloccare quei progetti regionali fortemente sostenuti dagli Stati Uniti per creare un’alternativa alla via della Seta, come il corridoio India-Medio Oriente-Europa. Meglio noto come Via del Cotone, il progetto prevede la creazione di una rotta che colleghi Europa ed India attraverso una serie di infrastrutture, per lo più porti, ferrovie e cavi sottomarini). Il corridoio comprenderebbe anche Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Israele. Nel settembre del 2023, la Casa Bianca aveva annunciato la creazione della Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII) per finanziare i progetti. Meno di un mese dopo l’operazione tempesta Al Aqsa ha riportato sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale la questione palestinese, mettendo in imbarazzo quei paesi arabi che stavano aprendo a Israele. Adesso la Casa Bianca ha un’opportunità per far ripartire quei progetti che sostanzialmente potranno rallentare l’affermazione del mondo multipolare, mettendo un freno all’espansione dell’influenza della Cina e mantenendo l’egemonia statunitense nella regione.

D’altra parte i commenti di Trump, che ha promesso di sradicare la resistenza palestinese da Gaza, ed il suo sostegno incondizionato e radicale ad Israele, macchiano di un’inquietante ombra questa vittoria, che dovrebbe garantire il ritiro totale delle forze israeliane da Gaza.

È troppo presto per un bilancio o previsioni, ma oltre a condividere la felicità degli abitanti di Gaza per la fine di un incubo, bisogna tenere ben presente che Washington non mira alla pace o ad una soluzione giusta e definitiva della questione palestinese, ma soltanto a mantenere e consolidare il proprio primato di potenza a guida dell’ordine internazionale globale.

Bisogna anche tenere ben in mente, affinché non si ripetano più, gli orrori di questa spietata guerra durata quindici mesi, con un pesantissimo bilancio quasi 47 mila persone uccise dalle bombe israeliane, tra cui più di 17 mila bambini. Non potremo mai dimenticare i numeri scritti a penna sugli arti dei bambini, per il riconoscimento in caso di morte, le tante madri che non riuscivano a staccarsi dall’ultimo abbraccio ai fagottini bianchi, le fosse comuni, i carri armati negli ospedali, medici e infermieri arrestati come criminali, torturati, giustiziati. Orrori resi possibili dal sostegno e dall’omertà delle democrazie liberali di Occidente.

Data articolo: Thu, 16 Jan 2025 18:00:00 GMT
Lavoro e Lotte sociali
AUMENTARE LA PRODUTTIVITÀ PER NON OTTENERE NULLA

 

di Emiliano Gentili e Federico Giusti

In nome della produttività e del suo rilancio "per il Bene dell'economia" sono stati compiuti degli autentici misfatti che hanno eroso il potere di acquisto e di contrattazione della forza lavoro.

In nome della produttività hanno preso piede accordi di secondo livello che scambiano l’incremento dei ritmi lavorativi e la riduzione delle pause con porzioni irrisorie di salario, o il più delle volte con bonus (cd. “welfare aziendale”). Il peso dell’“efficientamento” dei processi lavorativi, dunque, è stato scaricato sulla forza lavoro.

Ma la produttività dipende da innumerevoli fattori e non poche sarebbero le responsabilità aziendali. Al contrario, una velenosa narrazione racconta che tutto, o quasi, dipenderebbe dai comportamenti individuali e collettivi di una forza lavoro perennemente stanca e incline all’assenteismo, che andrebbero perciò corretti con le deroghe contrattuali e col ricorso strutturale agli straordinari e alla flessibilità, oraria e di mansione.

Nonostante quanto appena detto, una recente analisi dell'Istat[1] che prende in esame gli anni compresi tra il 1995 e il 2023 (28 anni nel corso dei quali si è innalzata l'età pensionabile, è cresciuta la precarietà, è stato eroso il potere di acquisto di salari e pensioni, sono aumentati i finanziamenti e gli sgravi fiscali alle imprese ma è crollato lo Stato sociale…) rivela che la produttività delle imprese italiane non è cresciuta, nonostante il progressivo deterioramento delle nostre condizioni di vita e lavorative.

A fronte di un +0,5% di incremento medio della produttività fra il 2014 e il 2023 i dati di quest’ultimo anno rilevano addirittura un – 2,5% (alla faccia dei “risultati” economici del Governo…), dovuto a «un aumento delle ore lavorate maggiore del valore aggiunto». Se, proporzionalmente, le ore lavorate crescono più dei profitti, significa che abbiamo un sistema imprenditoriale che non riesce a investire nei processi hi-tech e di efficientamento, finendo per aumentare le ore lavorate soltanto nei settori meno tecnologici e sviluppati. Gli appelli confindustriali all’aumento della produttività, quindi, in Italia sono serviti innanzitutto a coprire l’incapacità degli imprenditori nostrani a effettuare piani di investimento seri e strategici sulle strutture industriali e logistiche (ma in fondo la situazione è abbastanza simile in tutti i settori, dall'agricoltura ai l’industria, dai servizi al commercio).

E se i padroni non hanno operato investimenti tecnologici e hanno speso poco e male sulla formazione, per forza di cose il capitalismo italiano ha finito per perdere terreno al cospetto di tutti i paesi Ue: la produttività del capitale cala sensibilmente (– 0,9%) e l’efficienza della nostra economia nel suo complesso diminuisce in maniera ancor più evidente (– 2,5% Tfp[2]). Evidentemente, però, i capitalisti italiani preferiscono delocalizzare e dividere i profitti tra gli azionisti, affidando poi ingenti risorse alle speculazioni finanziarie anziché agli investimenti strategici. Questi ultimi, comunque, non porterebbero nulla di buono al lavoro dipendente… tuttavia pensiamo sia giusto rivendicare una giusta attribuzione di responsabilità: se non cresce la produttività è colpa non degli operai ma del capitale pubblico e soprattutto privato, in grave ritardo sul fronte delle innovazioni.

[1] Istat: Misure di produttività | Anni 1995-2023. Nel 2023 rallenta la crescita economica e diminuisce la produttività, 9 Gennaio 2025.

[2] La Total Factor Productivity «riflette progresso tecnico, cambiamenti nella conoscenza e variazioni nell’efficienza dei processi produttivi».

Data articolo: Thu, 16 Jan 2025 17:20:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Un giornalista interrompe l'ultima conferenza stampa di Blinken e pone le giuste domande


In conferenza stampa, la sua ultima nel ruolo di Segretario di Stato degli Stati Uniti, Blinken è stato interrotto da un grande giornalista, Max Bluementhal che in meno di un minuto gli ha posto le giuste domande.

Non vi anticipiamo nulla. Ascoltate con attenzione questo minuto (magistrale).




E qui soffermatevi ad osservare il primo piano di Blinken. E il suo silenzio. Non può rispondere e no, caro Blinken, la storia non ti assolverà mai.

Data articolo: Thu, 16 Jan 2025 17:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Gaza: è saltato l'accordo di cessate il fuoco?

Unione Democratica Araba-palestinese - UDAP*

 
Nonostante le tensioni interne e le dichiarazioni di Netanyahu, più che l'accordo per il cessate il fuoco, sembra essere la tenuta del governo israeliano quella "in bilico".

LA TREGUA A GAZA È “IN BILICO”?
Negli ultimi giorni, numerose testate giornalistiche hanno riportato la notizia che l’accordo per il cessate il fuoco, annunciato mercoledì sera, stia per saltare. La causa di questa situazione sarebbe, secondo le dichiarazioni di Netanyahu, “il mancato rispetto degli accordi da parte di Hamas”.
L’entrata in vigore del cessate il fuoco è prevista per domenica 19 gennaio, ma le contrastanti notizie e dichiarazioni stanno generando molta incertezza.

ISRAELE E I CESSATE IL FUOCO
Storicamente, le forze d’occupazione israeliane hanno sempre sfruttato i lassi di tempo tra la firma degli accordi di cessate il fuoco e la loro entrata in vigore per intensificare i bombardamenti su Gaza.
Questa pratica mira a creare il massimo danno possibile prima che le operazioni di attacco vengano ufficialmente fermate - per questo abbiamo assistito a un’intensificarsi dei bombardamenti dopo l’annuncio dell’accordo.

LE DINAMICHE POLITICHE INTERNE ISRAELIANE
Quello in corso in queste ore sembra, più che altro, essere una manovra politica interna israeliana, legata alla crisi politica che sta attraversando il governo di Netanyahu; all'interno della coalizione israeliana deve infatti fare i conti con la crisi tra Likud e i partiti di estrema destra come il Partito del Sionismo Religioso e Potere di Israele, guidati da Smotrich e Ben Gvir.
Questi si sono infatti, nel corso degli ultimi mesi, fermamente opposti al cessate il fuoco, con la minaccia di far saltare il governo.
 
RICATTI POLITICI E IL RISCHIO DI ELEZIONI ANTICIPATE
Il ricatto è che, se l’accordo per il cessate il fuoco dovesse essere accettato con condizioni imposte dalla resistenza palestinese, i due esponenti di estrema faranno cadere l'esecutivo, spingendo per elezioni anticipate.
In un tale scenario, Netanyahu si troverebbe in difficoltà, con scarse possibilità di tornare al governo e nel pericolo di dover affrontare le vicende giudiziarie da cui prova a sfuggire.

NOTIZIE CONTRASTANTI
Nonostante quanto riportato dai media sia internazionali che italiani, l’accordo per il cessate il fuoco non sembra essere saltato.
Le posizioni dei partiti israeliani indicano che la maggioranza del governo si schiererà, al momento del voto da parte del gabinetto, a favore dell'accordo - al di là dell’opposizione di Smotrich e Ben Gvir.

A RISCHIO LA TENUTA DELL'ACCORDO O QUELLA DEL GOVERNO?
L’incertezza reale, in queste ore, appare essere quella di Netanyahu che sembra stia disperatamente cercando di prendere tempo per negoziare con Smotrich e Ben Gvir e trovare un compromesso che permetta al governo di rimanere in carica una volta concluse le fasi dell’accordo - è per questo che la convocazione della seduta del gabinetto di governo per la votazione è stata rimandata.

Dobbiamo comunque tenere a mente che Israele ha sempre dimostrato una spregiudicatezza nei confronti degli accordi presi, sfruttando ogni occasione per portare distruzione e spargere sangue e per minare la tenacia e la determinazione del popolo palestinese e della sua resistenza.



Data articolo: Thu, 16 Jan 2025 16:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Venezuela: crescita economica del 9% nel 2024

Il Venezuela si sta affermando come un esempio di portentosa resistenza economica in un contesto internazionale difficile, caratterizzato da sanzioni draconiane e una guerra ibrida condotta dagli Stati Uniti. Nonostante questi ostacoli, il presidente Nicolas Maduro, in occasione del discorso annuale alla nazione davanti all'Assemblea Nazionale, ha annunciato una crescita economica superiore al 9% nel 2024, un risultato confermato dai dati del Banco Central de Venezuela (BCV).

Secondo quanto evidenziato dal presidente Maduro, il Paese bolivariano ha compiuto passi significativi nella costruzione di un nuovo modello economico, recuperando la capacità produttiva nazionale e creando un mercato interno robusto basato sulla produzione “Made in Venezuela”. Attualmente, l’85% dei prodotti disponibili nei supermercati è di origine nazionale, con un forte focus su prodotti organici e privi di organismi geneticamente modificati.

Questa crescita è trainata da diversi settori strategici:

- Costruzioni: crescita del 25,9%.

- Mineraria: aumento del 21%.

- Petrolio: produzione giornaliera che supera il milione di barili, con un incremento del 14%.

- Agricoltura: crescita del 6,2%, con 16 trimestri consecutivi in numeri positivi.

- Commercio e riparazione di veicoli: incremento del 6,2%.

- Manifattura: crescita del 4,6%, con un miglioramento del 45% nelle operazioni industriali.

Il governo ha inoltre avviato un processo di semplificazione burocratica per facilitare le esportazioni. Grazie all’utilizzo di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale, i tempi per completare i protocolli sono stati ridotti da 51 a soli 10 giorni.

Lotta all’inflazione: un traguardo storico

Il 2024 ha segnato un altro importante successo con la riduzione dell’inflazione annualizzata al 48%, il livello più basso degli ultimi 12 anni. Questo risultato rappresenta una svolta rispetto all’iperinflazione record del 344.000% registrata nel 2019. Maduro ha dichiarato che il prossimo obiettivo è eliminare completamente l’inflazione, consolidando una stabilità economica a lungo termine.

Investimenti internazionali e innovazione

Un elemento chiave della ripresa economica venezuelana è rappresentato dagli investimenti internazionali. Il ministro delle Industrie e presidente del Centro Internacional de Inversión Productiva (CIIP), Alex Saab, ha firmato contratti per oltre 52 miliardi di dollari nel 2024, concentrati su settori strategici come petrolio, gas, turismo, chimica, mineraria e industria pesante.

Inoltre, il governo ha istituito il nuovo Ministero del Commercio Estero, guidato da Coromoto Godoy, con l’obiettivo di potenziare la vocazione esportatrice del Paese. Tra le iniziative promosse, spicca la creazione della Liga Nacional del Emprendimiento Venezolano, pensata per sostenere l’innovazione e lo sviluppo di nuovi progetti imprenditoriali.

Sostegno popolare

Nonostante le sfide politiche e sociali, il Paese gode di una stabilità notevole. Durante il recente programma televisivo “Con El Mazo Dando”, Diosdado Cabello, vicepresidente del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), ha sottolineato il clima di calma e tranquillita che regna nella nazione. Ha anche evidenziato il sostegno popolare al governo di Maduro, nonostante i tentativi di destabilizzazione da parte dell’opposizione e delle potenze straniere.

La crescita economica del Venezuela dimostra che è possibile prosperare anche in un contesto ostile. Grazie a una strategia basata sulla diversificazione produttiva, il sostegno all’imprenditoria e una gestione oculata delle risorse, la Repubblica Bolivariana del Venezuela sta superando le sfide imposte dalle sanzioni e dalle pressioni internazionali. Con un mercato interno forte e una crescente capacità di esportazione, il Venezuela si pone come un modello di resistenza e sviluppo per l’intero continente.

Data articolo: Thu, 16 Jan 2025 15:16:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Sri Lanka-Cina: partnership strategica e prospettive future

Il presidente appena eletto dello Sri Lanka, Anura Kumara Dissanayake, ha realizzato il suo primo viaggio in Cina dopo aver assunto l'incarico. L'attenzione internazionale è focalizzata su questa visita e su come gestirà le relazioni con le grandi potenze, un fattore cruciale per lo sviluppo dello Sri Lanka.

Dissanayake è una figura politica emergente in Sri Lanka, e la sua ascesa evidenzia il desiderio di cambiamento del popolo srilankese dopo la crisi economica degli ultimi anni. Dopo aver partecipato a movimenti politici di base come studente, porta con sé il peso delle riforme. La sua amministrazione ha chiare priorità politiche: rilanciare l'economia, combattere la corruzione e migliorare l'efficienza del governo. Dopo la bancarotta dello Sri Lanka nel 2022, il programma di salvataggio del Fondo Monetario Internazionale ha migliorato alcuni indicatori macroeconomici, ma le misure di austerità hanno aumentato notevolmente il carico gravante sulle spalle della popolazione. Dal 2021, il tasso di povertà dello Sri Lanka è raddoppiato, raggiungendo il 25%.

Misure economiche e lotta alla corruzione

Appena assunto l'incarico, Dissanayake si è concentrato sulla stabilizzazione dei prezzi, sull'implementazione di riduzioni fiscali e sull'aumento del supporto politico per attrarre più investimenti esteri. È anche determinato a combattere la corruzione, ritenendo che essa mini la fiducia e il progresso, e ha promesso di intensificare le indagini e le pene per le attività di corruzione In termini di efficienza governativa, ha istituito il più piccolo gabinetto dello Sri Lanka degli ultimi decenni e supervisiona personalmente ministeri chiave come difesa, finanze, sviluppo economico e economia digitale, dimostrando il suo impegno per la costruzione e lo sviluppo nazionale.

Politica estera e relazioni regionali

Dissanayake è consapevole che, sebbene la ripresa economica e le riforme interne siano importanti, lo sviluppo nazionale non può essere raggiunto senza una solida politica estera. Come paese insulare situato nel crocevia strategico dell'Oceano Indiano, lo Sri Lanka deve affrontare sfide interne e cercare un equilibrio nel complesso contesto internazionale. Gestire le relazioni con le potenze regionali è fondamentale per la sicurezza strategica del paese. Relazioni stabili con i paesi vicini sono una condizione chiave per lo sviluppo nazionale dello Sri Lanka.

La visita di Dissanayake in Cina è di grande importanza per lo sviluppo delle relazioni tra Cina e Sri Lanka. La Cina ha costantemente sostenuto lo sviluppo dello Sri Lanka, fornendo assistenza continua in settori come investimenti diretti esteri, infrastrutture ed energia. Dopo la crisi economica dello Sri Lanka, la Cina ha svolto un ruolo significativo nella ristrutturazione del debito e il suo tempestivo supporto ha ulteriormente rafforzato la profonda amicizia tra le due nazioni.

Durante la visita, il presidente cinese Xi Jinping e Dissanayake hanno assistito alla firma di documenti di cooperazione tra i due paesi, inclusi accordi sull'esportazione di prodotti agricoli dallo Sri Lanka alla Cina. Xi ha dichiarato che la Cina sosterrà attivamente lo Sri Lanka nel concentrarsi sullo sviluppo economico e promuoverà la cooperazione di alta qualità nell'ambito della Belt and Road Initiative, migliorando la collaborazione in settori come l'agricoltura moderna, l'economia digitale e l'economia marina.

Prospettive future

Dissanayake ha espresso il suo apprezzamento per i significativi risultati della Cina nei campi dell'economia, della tecnologia e delle infrastrutture, affermando che la Cina è sempre stata un amico e partner affidabile per lo Sri Lanka. Ha ribadito l'impegno del suo paese nella costruzione congiunta della Belt and Road per migliorare la connettività regionale e ha accolto con favore ulteriori investimenti da parte delle imprese cinesi.

In generale, il viaggio del presidente srilankese in Cina si è concentrato sull'esplorazione di opportunità di sviluppo bilaterale. Lo Sri Lanka ha anche presentato domanda per aderire ai BRICS, con particolare attenzione a diventare membro della New Development Bank. Questo indica la ricerca dello Sri Lanka di percorsi alternativi per risolvere i suoi problemi economici. Da questa prospettiva, è chiaro che prendere posizione o camminare su una corda tesa non sarà la scelta di politica estera dell'amministrazione Dissanayake. Un approccio pragmatico è destinato a portare benefici più tangibili per lo Sri Lanka.

Data articolo: Thu, 16 Jan 2025 14:24:00 GMT