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Fulvio Grimaldi - Alla ricerca della Bastiglia. OCCIDENTE DA CARCERARE

 

di Fulvio Grimaldi per l'AntiDiplomatico

Cosa ha detto dell’Europa lo squinternato capo dell’Impero. Sembrava Gino Bartali, che non dava scampo a correzioni: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Finita la nostra civiltà (anche per merito suo), finita la libertà, tutti censurati, una specie di Titanic alla vista dell’iceberg. E ha ragione, tutte le ragioni. La cosa grottesca, drammatica è che una condanna così, senza attenuanti, ci venga, mica da Putin, ma da uno come lui: Il diavolo che da del cornuto a Mefistofele.

Osvald Spengler, “Il tramonto dell’Occidente”. Libro epocale del 1923, opera in due volumi di filosofia della storia che mia madre mi diede da leggere quando avevo 10 anni. Era l’aprile del 1945, la guerra era persa e Churchill stava radendo al suolo una città d’arte dopo l’altra, senza più ombra di soldati. Colonia, Francoforte, Dresda, Lipsia, Monaco…Il Medioevo, il Rinascimento, il Barocco, il Guglielmino.  Gli eventi davano senso al libro. Per il filosofo tedesco le civiltà, analogamente all'organismo umano, possiedono le quattro fasi di età: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. Per lui, analista più che visionario, l’ultima era quella che stavamo attraversando noi. Et pour cause, come stiamo percependo con la chiarezza di un cristallo lucidato.

Intendendo per Occidente quello che intendiamo, cioè Stati Uniti al piano di sopra, Israele, nell’appartamento sullo stesso pianerottolo (occupato abusivamente), Europa nella dependance, con l’incarico di tener fuori dai cancelli i propri popoli. Il tutto dotato di un tasso di criminalità senza pari nella storia della specie. L’unica ad esserne provvista.

Ammiragli neologisti

L’idiotismo militarista ha assunto una frenesia psicotica che non conosce né limiti, né raziocinio. L’Ammiraglio ne ha dato prova.  Ci ha dato l’impressione di assistere a una telenovela sudamericana, ornato da baffoni alla Umberto,  appesantito sul lato sinistro, destro di chi guarda, da mezzo chilo di medaglie conquistate nelle eroiche e defatiganti battaglie in difesa della patria aggredita, invasa, occupata. Ieri, tramite un giornale di pari grado suprematista, il Financial Times, ha raccomandato che è il caso di attaccare prima di essere attaccati. La logica della cui asserzione sfugge insieme ai candidati che, nei sudati incubi notturni di Cavo Dragone, sono lì, pugnale nei denti, pronti ad attaccarci: kosovari? Quelli del Benin? I malesi con Sandokan?

O i russi? Questo, il medagliato dei mille eroismi, non l’ha detto, ma l’ha pensato. Innovatore neologista, ha abbandonato il nom de plume con il quale gli ammiragli di oggi, chiamano l’attacco: Difesa. La sua pensata è stata più temeraria, da vero soldato: ha detto pane al pane, vino al vino (molto) e, appunto, attacco all‘Attacco. Anche a quello che ancora i vari Merz, Macron, Starmer, Crosetto, da umoristi conservatori, chiamano Difesa. E dopo Cavo Dragone, non più. Tana, liberi tutti.

Ma siccome è arduo trovare ammiragli e generali che pensano, è da escludere che quel pensiero sia stato suo. E’ di tutti quelli, da noi eletti perché pensassero al nostro bene Infatti, di qua e di là dall’Atlantico, si vanno operando a prosciugarci anche dell’ultima goccia di sangue (mille grazie, era mediaticamente infetto da Covid) per farne cingoli di carro armato, ali di bombardiere, fosforo, uranio impoverito (di cui le nostre centrali nucleari non sanno come disfarsi), incantevoli prodotti per la guerra ibrida. Su tutti la I.A., meraviglia delle meraviglie, grazie alla quale moriremo credendo di essere stati uccisi da Putin, invece era uno che stamane aveva saltato la fila del cappuccino al bar perché ammiraglio.

Di questa cosa. con cui un ometto, accecatoci con il popo’ delle sue abbaglianti medaglie, ottenute nelle aggressioni di un’Alleanza consacrata difensiva, aveva celebrato la fine dell’era apertasi a Piazzale Loreto, se ne è parlato grazie a un furibondo Mattarella, guardiano della Costituzione e custode di noi tutti? Neanche un sospiro. Neanche del suo consigliere spifferone Garofani, caro a Schlein. Macchè. Se i macigni fatti rotolare sul quotidiano dei padroni anglosassoni hanno riverberato, se ne è parlato grazie a qualche eretico quotidiano e a qualche manifestamente spazientita trasmissione. Per quante ore? 48? 72? Non esageriamo. Se tace Mattarella, il silenzio è d’oro per tutti. Qualche cittadino che si vede consegnato dai pupari di un ammiraglio di cartapesta, ma luccicante, alla mira di un contractor False Flag, magari il solito, collaudato, jihadista (ora detto russo), potrebbe fare come i ragazzi, uomini, anziani ucraini che, pur di sfuggire ai rastrellatori di Zelensky, si mutilano di tre dita.

Al buon Cavo Dragone era stato assegnato il compito di aprire le dighe onde potessimo tutti essere irrigati di fervore patriottico e affogare sì, ma al suono del Piave che mormorò. Il clamore del motto “attaccare per primi”, lanciato dalla camarilla politico-mediatica dell’Occidente per voce di un souffleur nascosto da una balconata di medaglie, ha di colpo fatto ammutolire i fin ieri assordanti echi delle esplosioni di Hiroshima, Dresda, Saigon, Gaza, Baghdad, Damasco, Tripoli, Belfast, Kabul. Quelli che si erano rannicchiati nel nostro subconscio, a sentinella perpetua contro i guerrafondai della sempre rinnovabile accumulazione capitalista, quando le altre rapine hanno esaurito il bottino e serve un’emergenza per tenerci a testa china mentre passa quest’altra, di accumulazioni.

Dove vai se la False Flag non ce l’hai?

E tutto questiomicidiale ambaradan come hanno fatto a renderlo una normalità per gente nata e cresciuta nell’idea che nessuno mai avrebbe osato a mettere in dubbio il primato della pace? Almeno a casa nostra, che siamo quelli giusti e civili e democratici. Nemo problema. Basta far volare un paio di droni sui paesi baltici o scandinavi, far apparire un sommergibile russo dove aveva pieno diritto di stare, ma ha un’espressione molto minacciosa, scoprire in Canada un aerostato meteorico cinese, finitovi per il vento, colpire una casa polacca con un missile russo, che poi era ucraino, causare un piccolo ritardo al volo di Stato della Supercommissaria tedesca, dire che la Romania è stata sorvolata da un Mig ed ecco che siamo in piena guerra ibrida di Putin.

Come giurano coloro, esponenti di 6 milioni di europei, metà infelici russi, su 450, a cui abbiamo affidato il nostro destino militare, economico, geopolitico: Kallas, Estonia, Esteri e Sicurezza, Dombrovskis, Lettonia, Economia, Kubilius, Lituania, Guerra. Chi meglio di loro? Quasi quasi mi faccio rappresentare dal mio bassotto.

Naturalmente l’autenticità della paternità di queste “provocazioni” è pari a quella degli ordigni di termite piazzate nei vari piani delle Torri Gemelle lungo le strutture d’acciaio, i cui effetti sono stati fatti passare per quelli causati da finti aerei Boeing lanciati contro gli edifici.

Ma intanto è diventato normale, anzi necessario, che le infrastrutture europee – strade, ponti, aeroporti, porti, ospedali , scuole, caserme dei vigili del fuoco, edifici pubblici – venissero orientate a svolgere nuove funzioni determinate dai comandi ad annullamento di tutte le altre (è la Schengen militare); che ponti insensati venissero costruiti per farci scappare da chi ci attacca da sud e che fosse così stupido da non fare la prima cosa che andrebbe fatta, bombardare quel ponte; che la leva sostituisse una gioventù dissipata in scapestratezze, o addirittura in studi e lavori, facendola volontaria, semivolontaria, obbligatoria, (e lì che si andrà a finire), a sorteggio, a lotteria, a piacere, donne sì, non binari rigorosamente no.

E poi, subito subito, che soldati venissero in classe a raccontare ai bambini delle elementari la bellezza ecologica della difesa della patria (perennemente minacciata dai russi) e ai ragazzi delle superiori quanto dulce et decorum est pro patria mori. Ovviamente rompendo teste locali, di ragazzi come noi, che so, in Afghanistan, o Niger. O che, viceversa, bambini e ragazzi venissero in poligono a veder cosa ci vuole, col mitra, a fare secco un bersaglio a forma di uomo, o come sta bene la bimbetta di 5 anni con un bel giubbotto antiproiettile. O che alle fiere degli armamenti più sofisticati e lucidi, che nelle piazze vanno ormai sostituendo le sagre del vermicello, i presidi portassero, su ordinanza del ministro-generale Piantedosi, bimbetti e adolescenti perché provino il brivido di sedersi nel cockpit di un F-35 a immaginare di bombardare una città. Come bene insegnano i videogiochi.

Modelli dell’Occidente

Ce l’hanno insegnato loro. I virgulti prediletti. Modelli esibiti come madonne pellegrine ovunque ci fosse una telecamera. Lo Zelensky che pur di fornire la sua ghenga di rubinetti d’oro, acquisiti con quei nostri eurosoldi che avrebbero dovuto difendere, non un esercito di capri espiatori spendibili, ma un manipolo di nazisti ladri. Il Netaniahu che, pur di continuare a masticare bambini, donne, bipedi e quadrupedi di ogni genere, e terre, da sostituire con coloni al cui confronto Mengele, Attila, o Nikolaj Džurmongaliev, kazako considerato il peggiore serial killer della Storia. Non li teniamo forse in piedi con le nostre armi, i soldi dei nostri ospedali, scuole, case, i nostri sorrisi?

E allora l’eroico Zelensky’ per la cui “causa” ci siamo privati di miliardi in armi che avevamo pagato per diventare nostre strade, case, ospedali, scuole, pensioni e che lì sono diventati bancarelle dove l’entourage del presidente intascava miliardi per ville, cessi d’oro, o vendeva quelle armi al primo mafioso o terrorista interessati.

E allora Trump, The Donald? Quello che ci ha fatto disimparare che il diritto prevale sulla forza, teorizzando e praticando il contrario, sparando dazi, puttanate da energumeno attempato e un po’ andato e altre da vegliardo infantilito e, soprattutto, tirando cazzotti verbali e muscolari un po’ dove gli gira. Capo dell’Occidente, plurinquisito e pluricondannato per zozzerie, sodale di uno che, per aver fatto del ricatto sessuale ai potenti la tecnica di arruolamento del Mossad, rigurgito di angiporto quanto di orride speculazioni immobiliari, uno per il quale etica ed estetica si identificano con una Trump Tower in faccia al Cremlino e una Las Vegas piantata su scheletri lungo le coste di Gaza. Uno che se c’è da saccheggiare e rapinare, si fa la pace; in caso contrario si mandano flotte, aviazione, Marines e CIA per l’ennesimo olocausto.

In Argentina, che con Milei s’è vista ridotta al 57% di poveri assoluti, ha intimato: o lo rivotate presidente, o non vi faccio avere quei 40 miliardi di dollari con i quali qualche buccia di banana potrebbe ancora arrivarvi. In Honduras, per far fuori alle elezioni coloro che avevano sconfitto il colpo di Stato di Obama e Hillary, a forza di minacce analoghe (e forse di manomissione del sistema di trasmissione di dati) ha fatto arrivare primi due pendagli da forca della cosca di Juan Orlando Hernandez, ex presidente honduregno, condannato nel 2024 per narcotraffico e in galera negli USA.

E se il presidente dello Stato razzista, Herzog, può amnistiare un genocida come Netaniahu, non può forse il presidente degli USA amnistiare un boss del narcotraffico, Juan Orlando, ex presidente honduregno, condannato, “dai giudici comunisti di Biden” a 24 anni per narcotraffico, perché si riprenda la repubblica e la faccia tornare quella “delle banane”? Sempre che non ci pensi, forte di narcoinvestitura, Nasry Asfura, indicato proprio da Donald, che di Juan Orlando è il figlioccio. E pensare che gli honduregni, faro rivoluzionario del Centroamerica ci avevano messo 10 anni per liquidare la dittatura installata con il golpe di Obama e Hillary nel 2009.

Del resto, siamo stati sempre bravi adepti. Quanto sopra non ha nulla di qualitativamente diverso da ciò che Meloni, Nordio, Piantedosi, questa nostra meravigliosa triade, hanno fatto, nel nome della legge uguale per tutti, tranne quella della Corte Penale Internazionale, con il torturatore libico Almasri.

Etica del potere: conflitto di interessi

Stiamo con un monarca assoluto che, per la gioia di cultori e corifei della guerra dei ricchi contro i poveri, è come Giosuè che ordinava alla sua tribù egiziana nomade, ma vogliosa di terre, di non lasciare vivi né neonato, né agnello, né tutti coloro che li curavano. E che per legittimare tutto questo sta mettendo il conflitto d’interesse a capo di ogni cosa. Regola numero uno: senza conflitto d’interesse (agevolato dalla nostra abolizione dell’Abuso d’Ufficio) non si fregano gli interessati legittimi e non si governa nel segno dello spirito del tempo. Che soffia impetuoso per chi prima vende e poi compra, o viceversa. Tipo Crosetto, già capo dell’AIAD, Federazione dei produttori d’armi, poi suo ministro.

O tipo Cingolani, AD dell’industria della morte Leonardo, quello dello “Scudo di Michelangelo”, a imitazione dell’Iron Dome israeliano, abbondantemente bucato da iraniani e yemeniti. L’altro giorno ha detto le davvero fatidiche parole. ”Sono in conflitto di interessi, ma vi dico chiaramente che bisogna investire sulla difesa (la chiama ancora così), perché non sta finendo la guerra, sta iniziando la nuova guerra… e senza nuove tecnologie ci sterminano”.

Credete che vi sia stato un cronista che gli abbia chiesto: “Chi ci stermina?” Ma noi lo sappiamo: ci assalteranno gli arcieri della Papuasia. Non è forse che dal Sud, come previsto da Tajani, ci arriva la minaccia e che, dunque, non si può fare assolutamente a meno della via di fuga costituita dal Ponte. Il peggio dal punto di vista logica e ambiente, ma, perbacco, il migliore dal punto di vista delle bombe.

Ma tutto questo sono quisquilie. Saranno curate dal tempo, come le crepe ignorate che hanno fatto finire nel Bisagno 43 persone in attraversamento. Mica sono stati arrestati! Come quelli della Commissione e dell’Europarlamento, poi scudati dall’omertà parlamentare, almeno la Gualmini, per la Moretti si vedrà.

E per un Occidente al tramonto, secondo Spengler, e da carcerare secondo tutti noi, ecco che la rincorsa al fondo del buco nero della corruzione e del malaffare vede l’UE superare di qualche incollatura il padrino fondatore USA. E a noi italiani, ne incameriamo il merito, facendoci, come d’abitudine, riconoscere. I mejo fichi del bigoncio.

UE: un Italian Job dopo l’altro

Ci aveva insegnato qualcosa il Qatargate, quella robaccia per cui un paesuccolo, senza popolazione, ma con una famiglia regnante di alcune migliaia di sbafatori e un sottofondo di schiavi importati, aveva riempito di dollari, trovati a riempire sacchi a casa loro, una schiera di eletti al nostro sommo consesso legislativo continentale. Meriti?  I soliti: quelli di essere stati tanto gentili da non parlare male di un paese, anzi di esaltarne i diritti umani, dove le donne non esistono (e poi parlano dell’Iran, dove sono la maggioranza dei laureati) e gli uomini muoiono come le mosche cadendo dai malfermi ponteggi delle Grandi Opere (Mondiali di calcio del 22). E fu la decapitazione morale di una ciurma di venduti, quasi tutti italiani. Come anche, poco dopo, quelli del caso Huawei, politici e lobbisti che raccattavano mazzette per non far escludere la società cinese dallo sviluppo della rete.

Ma questo è niente, siamo al plus ultra del rilievo dei personaggi e del carico di malaffare. Tanto da imporre sbalorditivi arresti (con rilasci veloci, come conviene in quei casi, ma processi duri a venire). Federica Mogherini, nientepopo’ di meno che ministra degli Esteri di Draghi (come stupirsi!) e poi addirittura Vicepresidente UE e Lady PESC (Commissaria  Esteri UE), e, fino all’arresto, capa del Collegio d’Europa Bruges. E di seguito, a colmare la discarica, Stefano Sannino ambasciatore, Cesare Zegretti dirigente Accademia UE e Capo Commissione per Medioriente e Nordafrica. Tutti nostri concittadini che avrebbero frodato, si sarebbero fatti corrompere o avrebbero corrotto in materia di appalti, in vista della nuova accademia per diplomatici europei, nel segno immarcescibile del conflitto d’interessi. Certo, come è che si biascica in questi casi? “Piena fiducia nella magistratura, ci mancherebbe. Chiarirò tutto”.

Nell’immondezzaio, poi, si sarebbero trovati in confortante compagnia di connazionali. I veterani del Qatargate con tanto di infiltrazioni marocchine. Con molta calma, e con pieno sconcerto del garantista Nordio, la Procura Federale di Bruxelles è arrivata a disporre la revoca dell’immunità parlamentare ad Alessandra Moretti, ma, pietosamente, non per Elisabetta Gualdini (entrambe PD). Nell’inchiesta hanno raggiunto l’eurodem Pier Antonio Panzeri, l’allora vicepresidente del Parlamento Eva Kaili e Francesco Giorgi, assistente del primo e compagno della seconda. Per rinfoltire la combriccola vi sopravvivono ancora Andrea Cozzolino, arrestato, Marc Tarabella e Maria Arena tutti trovati con colline di soldi in casa. L’iter è tuttora in corso.

Il pantano degli squali (chiedendo scusa a quelli con le pinne)

Tutto, del resto, nasce all’insegna della corruzione, della degenerazione legale, del nepotismo e amichettismo, della sopraffazione. A partire dall’ineffabile baronessa acquisita, von der Leyen, da ministro della Difesa nella Bundesrepubblik inquisita per un amichettismo che concorre con i vertiginosi primati del regime meloniano. Aveva reclutato per il suo ministero più consulenti, superpagati, ma di dubbia competenza, di quanti cortigiani avesse radunato il Re Sole. Non se ne è parlato più. Come non si parla più dell’oscenissimo Pfizergate. L’accordo tra Ursula e il compare Bourla per miliardi di nostri euro in cambio di miliardi di vaccini (in buona parte buttati), concordati in camera caritatis chattiana tra questa gatta e questa volpe. SMS che, quando qualcuno nel parlamento si è svegliato dal torpore euroindotto e ne ha chiesto ragioni e prove, non c’erano più. Ursula li aveva cancellati. Robetta, scambi tra innamorati. 

Ma oggi grazie al Belgio, la cui magistratura non si è trovato di fronte, a spingarda puntata, un qualche tonitruante Nordio, si è arrivati all’esito che in qualche modo conferma l’inequivocabile realtà del tramonto dell’Occidentale: l’arresto di intoccabili grazie a una legge che, mentre sotto Meloni, Trump, Netanyahu o Zelensky, deve essere uguale solo per chi si fa pestare dalle loro scarpe, per gli incorreggibili eurogiudici e quelli belgi resta ancora quella antica, uguale per tutti.

A questo punto toccherebbe trovare la Bastiglia. Ma la Bastiglia dov’è? Qualcuno ce la sa indicare?

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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Tue, 09 Dec 2025 06:00:00 GMT
OP-ED
Arnaldo Lomuti - Delrio, Israele e l'Italia


di Arnaldo Lomuti

Siamo l’ultima delle colonie, la più serva, al pari della nostra stampa e del nostro governo.

Prima o poi la verità viene a galla, le bugie vengono scoperte e le azioni (soprattutto quelle sbagliate) hanno delle conseguenze, proprio come i nodi nei capelli che, se non sciolti, vengono inevitabilmente alla luce quando ci si pettina, rendendo necessaria una soluzione.

Sorvolando sulla visita di Fassino alla Knesset (non per denunciarne i crimini ma per elogiarne il modello democratico), se dovessi commentare il disegno di legge a prima firma Delrio, la prima cosa che mi viene in mente sono i nodi che prima o poi vengono al pettine.

Partiamo dal titolo: “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto all'antisemitismo e per il rafforzamento della strategia nazionale per la lotta contro l'antisemitismo nonché delega al governo in materia di contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme online” che tradotto sarebbe “recepire la definizione di antisemitismo”. Una definizione che non è da costruire perchè una enunciazione c’è già, quella della International holocaust remembrance alliance (IHRA) e che a parere di molti critici ed esperti di diritto, renderebbe inquisibili anche le critiche politiche allo Stato di Israele e al suo governo.

Nella sostanza, rispetto ai crimini commessi ai danni dei palestinesi da’ Netanyahu e dal suo Governo, con questa norma oggi avremmo mezzo parlamento italiano imbavagliato e l’altra metà avrebbe una buona scusa per far tacere la propria coscienza.

Non solo, la questione palestinese ha portato in piazza centinaia di migliaia di cittadini fino ad allora delusi e disaffezionati. 

La disaffezione alla politica in Italia è palpabile, con un calo della partecipazione tradizionale (comizi, cortei) e con l’aumento di influencer che diventano punti di riferimento politici.

In un momento di depressione politica evidente, nelle principali città italiane (e non solo), il popolo è sceso in piazza in sciopero e ha manifestato per la Palestina. Circa un milione il 5 ottobre a Roma.

La pensata di Delrio è una dichiarazione aperta di ostilità verso l’enorme mobilitazione che attraverso manifestazioni di massa, ha chiesto il cessate il fuoco e lo stop alla vendita di armi a Israele. Con un'opinione pubblica sempre più attenta alla situazione e alle ingiustizie percepite, milioni di donne e uomini hanno chiesto un maggiore impegno umanitario per la palestina.

I dati rilasciati dalle Nazioni Unite sono sconcertanti ed evidenziano una situazione estremamente critica delle condizioni di vita e un bilancio di vittime elevato: si registrano infatti oltre 234.000 persone tra morti e feriti. Negli ultimi due anni un bambino ogni 52 minuti è stato ucciso (oltre 20.000) e quasi un terzo dei decessi totali riguardano minori di 18 anni. Esprimiamo cordoglio e condanne,  ma restiamo complici di un sistema di guerra che disumanizza un intero popolo.

Cosa c’è di antisemita in queste denunce? 

L'attivismo si manifesta con richieste di giustizia, condanna delle ipocrisie e pressioni politiche, che riflettono una coscienza diffusa sui temi.
Torniamo in Italia. La proposta di Delrio segue a quelle identiche di Lega, con Massimiliano Romeo, e Italia Viva, Ivan Scalfarotto. Tutte e tre vogliono un AGCOM manganellatore e scuole e università censurate. Ma quella di Delrio fa discutere più di tutte perchè fa riemergere le spaccature del PD.
C’è una nota stonata, qualcosa che non torna ciclicamente quando c’è di mezzo Israele.

Dalla presenza di parlamentari italiani alla Knesset, alle leggi bavaglio lanciate come bombe a mano dalla trincea approssimativa dell’antisemitismo.
La carneficina di Israele su Gaza prosegue con il cordoglio delle massime rappresentanze politico-istituzionali.

Condanniamo Netanyahu (prossimo alla grazia Herzoghiana), ma continuiamo firmare contratti, a spedire armi, a mantenere accordi di cooperazione con uno Stato i cui vertici perpetrano crimini contro la popolazione civile.

Sono certo che sarebbe inutile spiegare a Delrio che difendere i diritti dei palestinesi non significa odiare gli ebrei. Lui e i suoi lo sanno benissimo.
Inutile significargli che anche quando è scomodo, bisogna prendere posizione contro una guerra di sterminio e che uscire dalle confort zone per rifiutare le logiche del “due pesi e due misure” è propedeutico a non svilire la nostra democrazia. Queste cose lasciamole ai sovranisti peracottari nostrani che ci stanno abituando, proprio loro, a obbedire alle influenze esterne a partire da Israele. Siamo l’ultima delle colonie, la più serva, al pari della nostra stampa e del nostro governo.

Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 20:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Orban: "L'UE si prepara a una guerra con la Russia nel 2030"

Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha dichiarato che l'Unione Europea si sta preparando a dichiarare guerra alla Russia nel 2030.

Nubi scure incombono sull'Europa. Bruxelles si prepara alla guerra con la Russia e c'è già una data prevista per l'inizio delle ostilità: il 2030”, ha scritto il politico sui suoi canali social.

Secondo le sue parole, “l'obiettivo dichiarato del programma di riarmo avviato da Bruxelles” è quello di prepararsi al conflitto armato.

Orban ha precisato che lo stesso anno scade il termine per il processo di adesione accelerata dell'Ucraina all'Unione Europea. Nel frattempo, il trattato del blocco comunitario “stabilisce che ‘in caso di attacco armato contro il territorio di uno degli Stati membri, gli altri Stati membri sono tenuti a fornire tutto l'aiuto possibile a tale Stato’”, ha sottolineato.

Pertanto, l'adesione all'UE di un'Ucraina in guerra provocherebbe una guerra immediata”.

In questo contesto, il politico ha ribadito che le elezioni parlamentari che si terranno in Ungheria nel 2026 “potrebbero essere le ultime in cui potremo davvero decidere sulla questione della guerra e della pace”. “Se prendiamo una decisione sbagliata nel 2026, alle prossime elezioni, nel 2030, sarà troppo tardi per correggerla. Non è un gioco. Chi vuole la pace, si unisca a noi!”, ha sottolineato.

 

 

 

Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 17:08:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Protesta a Oslo contro il Nobel a Machado

Una scelta che provoca ripudio e indigna. L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2024 all’oppositrice golpista venezuelana Maria Corina Machado alimenta forti polemiche, trasformando il riconoscimento in un campo di battaglia e in uno strumento per raggiungere bend eterminati obiettivi geopolitici. A Oslo, un’alleanza di organizzazioni norvegesi per la solidarietà internazionale scenderà in piazza martedì per ripudiare pubblicamente la decisione del Comitato Nobel, accusandola di tradire lo spirito del testamento di Alfred Nobel e di legittimare pericolose ingerenze militari in America Latina.

Il motivo della contestazione, guidata da personalità come Gro Standnes della Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà, è molto chiaro: un premio concepito per promuovere la convivenza e il dialogo non può essere conferito a figure che sostengono azioni belliche e violazioni del diritto internazionale. “Quando il premio va a un politico che appoggia interferenze militari e azioni contrarie al diritto internazionale, si spezza il suo scopo stesso”, afferma Standnes. Un concetto ribadito con forza da Lina Alvarez, del Comitato Norvegese di Solidarietà con l’America Latina, che mette in guardia dall’accettare l’uso del Nobel per avallare le minacce e le operazioni militari statunitensi nella regione. “Gli interventi militari degli USA non hanno mai portato pace o prosperità”, sottolinea Alvarez, ricordando le recenti azioni in acque caraibiche che hanno causato decine di vittime.

I contestatori indicano in Machado non un simbolo di pace, ma un’attivista di estrema destra che ha esplicitamente invocato un intervento armato contro il Venezuela, sostenuto le dure sanzioni economiche statunitensi e coordinato azioni destabilizzanti e golpiste in collaborazione con gli USA. Il fatto che l'oppositrice venezuelana abbia dedicato il premio al presidente degli Stati Uniti Donald Trump - proprio mentre Washington conduce operazioni definite come esecuzioni extragiudiziali - è una circostanza che conferma questa pericolosa deriva. La polemica internazionale su Machado include anche le sue posizioni sul conflitto israelo-palestinese, avendo il suo partito siglato un accordo di cooperazione con il Likud del genocida israeliano Benjamin Netanyahu.

Dall’altra parte dell’oceano, il presidente venezuelano Nicolás Maduro esulta invece per una diversa mobilitazione globale. Attraverso i suoi canali, definisce “straordinario” e “storico” il sostegno raccolto durante la recente Giornata Mondiale di Solidarità contro l’aggressione statunitense nel Mar dei Caraibi. Ringrazia per le marce di protesta in numerosi paesi contro le sanzioni unilaterali e condanna ciò che chiama il tentativo imperiale di scatenare una guerra per impadronirsi delle risorse energetiche e minerali del Venezuela. “¡Venezuela no está sola!”, proclama, in un messaggio di resistenza che risuona in tutta la regione.

 
 
 
 
 
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 16:22:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La strategia del Giappone nell’Indo-Pacifico preoccupa la Cina

Mentre il dibattito internazionale si intensifica sul futuro della sicurezza nell’Indo-Pacifico, immagini satellitari esclusive ottenute dal quotidiano Global Times rivelano un’accelerazione senza precedenti dei lavori militari giapponesi sull’isola di Mageshima, situata strategicamente all’imbocco dello Stretto di ?sumi. L’isola, fino a poco tempo fa disabitata e acquisita dal governo giapponese nel 2019 per 16 miliardi di yen, si sta rapidamente trasformando in quella che Pechino definisce un’“portaerei inaffondabile”, progettata esplicitamente per contenere la Cina e prepararsi a un eventuale coinvolgimento nella questione di Taiwan.

Le immagini satellitari scattate da satelliti commerciali cinesi tra maggio 2024 e settembre 2025 mostrano un cambiamento drammatico: da un territorio quasi intatto a un vasto cantiere militare. È ormai visibile una pista di volo lunga circa 2.000 metri, depositi di munizioni, serbatoi di carburante, un molo temporaneo per navi da guerra e tutta l’infrastruttura necessaria a supportare operazioni aeree e navali complesse. Secondo fonti del ministero della Difesa giapponese, la base servirà in tempo di pace per addestrare i caccia F-35, F-15 e F-2, inclusi i velivoli imbarcati F-35B. In caso di conflitto, Mageshima diventerebbe una piattaforma logistica e operativa chiave per le Forze di autodifesa giapponesi e per le forze statunitensi stanziate in Giappone.

L’obiettivo strategico, ammesso apertamente da Tokyo, è rafforzare la “difesa offensiva” delle isole sud-occidentali, in risposta a presunte “capacità militari avanzate” di Paesi vicini, tra cui la Cina. Tuttavia, analisti cinesi non nascondono la loro preoccupazione. Zhang Junshe, esperto di questioni militari, definisce la base di Mageshima un passo fondamentale nella preparazione del Giappone a una possibile interferenza nella questione di Taiwan. “L’isola è pensata per controllare lo Stretto di ?sumi, bloccare il passaggio della Marina cinese e fungere da trampolino per attacchi con F-35B verso la costa orientale cinese”, le sue parole.

Zhang va oltre, paragonando la strategia giapponese alle tattiche di “island hopping” utilizzate dal militarismo nipponico durante la Seconda guerra mondiale. “Oggi Tokyo, allineandosi al concetto statunitense di operazioni distribuite, si riarma in modo incompatibile con lo spirito della Costituzione pacifista e con la Dichiarazione di Potsdam, che vieta al Giappone di riarmarsi per scopi bellici”.

Le preoccupazioni cinesi si inseriscono in un contesto politico sempre più teso. Il nuovo primo ministro giapponese, Sanae Takaichi, ha suscitato ampie critiche internazionali per le sue dichiarazioni provocatorie sulla questione di Taiwan, considerata da Pechino parte inalienabile del proprio territorio. Nel frattempo, il Giappone sta schierando missili antinave Type 12 e missili terra-aria Type 03 su isole come Ishigaki e Yonaguni, quest’ultima a soli 150 chilometri dalle coste taiwanesi.

Di fronte a questa escalation, la Cina non nasconde la sua determinazione. “Quest’anno ricorre l’80° anniversario della vittoria nella Guerra di Resistenza contro l’aggressione giapponese e del recupero di Taiwan”, ha ricordato Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese. “La Cina non permetterà mai che forze esterne mettano le mani su Taiwan, né tollererà il ritorno del militarismo giapponese”.

L’analista militare Zhang Junshe ha sottolineato che, in caso di intervento giapponese nella questione di Taiwan, “l’Esercito Popolare di Liberazione ha mezzi più che sufficienti per neutralizzare queste cosiddette ‘portaerei inaffondabili’”. La parata militare del 3 settembre 2025, tenuta per celebrare l’anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale, ha mostrato al mondo missili ipersonici terrestri, marittimi e aerei, capaci di colpire con precisione obiettivi fortificati come Mageshima. “Non spareremo il primo colpo”, ha dichiarato Zhang, “ma non concederemo al Giappone neanche la possibilità di sparare il secondo”.

Parallelamente, Pechino respinge con fermezza le accuse mosse da Tokyo su presunti atti provocatori da parte della Marina cinese. In una conferenza stampa tenuta, il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun ha definito “deliberatamente fuorvianti” le affermazioni giapponesi secondo cui aerei imbarcati cinesi avrebbero illuminato con radar caccia delle Forze di autodifesa. “Le nostre esercitazioni rispettano pienamente il diritto internazionale”, ha ribadito Guo, accusando i jet giapponesi di aver violato lo spazio aereo adibito alle esercitazioni cinesi, conducendo operazioni di sorveglianza ravvicinata per poi presentarsi come vittime. “Chiediamo al Giappone di smettere immediatamente di diffondere disinformazione e di interferire con le nostre attività militari legittime”, ha concluso.

In un momento di crescente tensione regionale, le mosse del Giappone rischiano non solo di destabilizzare l’equilibrio nell’Asia orientale, ma anche di riaprire ferite storiche mai del tutto rimarginate. La Cina, dall’altro lato, sembra decisa a non lasciare spazio a tentativi di revisionismo storico o a nuove minacce alla propria sovranità. Tra passato e futuro, il Pacifico occidentale si conferma una polveriera geopolitica dove ogni scelta strategica ha conseguenze globali.

Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 15:34:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Israele usa video del genocidio di Gaza per commerciare armi ai paesi europei e asiatici

 

di Middle East Eye

Le aziende di difesa israeliane hanno proposto sistemi d'arma a decine di paesi europei e asiatici, sottolineando il loro ruolo nell'attacco di Israele contro i palestinesi a Gaza.

Lunedì e martedì si è svolta la Settimana israeliana della tecnologia della difesa, sponsorizzata in parte dal Ministero della Difesa del Paese e dall'Università di Tel Aviv. 

Secondo il Wall Street Journal, è stato mostrato almeno un video dell'evento in cui si vedono due droni d'attacco israeliani schiantarsi contro un edificio a Gaza, prima che si alzassero colonne di fumo. 

La guerra di Israele contro Gaza è iniziata dopo l'attacco del 7 ottobre 2023 guidato da Hamas contro il sud di Israele, che ha causato la morte di circa 1.200 persone. Israele ha lanciato una feroce risposta che ha causato la morte di oltre 70.100 palestinesi, in quello che decine di esperti di diritti umani, leader mondiali, storici e le Nazioni Unite hanno definito un genocidio. Ogni giorno si continua a morire a causa delle violazioni del cessate il fuoco da parte di Israele. 

Tuttavia, l'evento di difesa di Israele ha attirato oltre 2.000 partecipanti, anche provenienti dall'estero.

Secondo il WSJ, erano presenti rappresentanti di paesi asiatici, tra cui Uzbekistan, Singapore e India, ma anche diversi paesi europei che hanno cercato di dimostrare di prendere le distanze da Israele.

La loro partecipazione all'evento israeliano ha dimostrato quanto fosse superficiale quella censura.

Ad esempio, il governo del Regno Unito ha vietato ai funzionari israeliani di partecipare alla principale fiera delle armi del Paese, a Londra. Il governo ha dichiarato in un comunicato che ai funzionari israeliani non sarebbe stato consentito di partecipare a causa del continuo attacco del Paese a Gaza. Decine di aziende israeliane produttrici di armi legate al governo hanno comunque potuto partecipare. 

Questa settimana, i funzionari dell'ambasciata britannica hanno visitato l'evento, esaminando i sistemi d'arma e la tecnologia militare israeliani commercializzati, in parte, in base al loro ruolo negli attacchi di Israele a Gaza e in Libano.

L'ambasciata britannica in Israele ha confermato al WSJ che i suoi funzionari hanno partecipato all'evento.

Un altro esempio è la Norvegia, i cui funzionari hanno partecipato alla fiera delle armi.

Ad agosto, il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo, aveva annunciato di aver disinvestito dal produttore americano di attrezzature edili Caterpillar Inc. e da cinque banche israeliane a causa delle violazioni dei diritti umani a Gaza.

Il consiglio esecutivo del fondo da 1,9 trilioni di dollari ha dichiarato di aver deciso di disinvestire da tutte e sei le entità, seguendo il parere del suo consiglio etico, che ha affermato che tutte "contribuiscono a gravi violazioni dei diritti degli individui in situazioni di guerra e conflitto".

Tuttavia, secondo il WSJ, all'evento hanno partecipato anche funzionari norvegesi. Il fondo sovrano è di proprietà del governo, ma è gestito  in modo indipendente dalle decisioni politiche. 

Crollo della popolarità globale, aumento delle esportazioni di armi

La popolarità di Israele è crollata dopo la guerra a Gaza. Un sondaggio pubblicato da Pew a giugno ha mostrato che, dall'Italia al Giappone, la maggior parte delle persone nel mondo ha ora un'opinione negativa di Israele.

Questo cambiamento si è verificato anche negli Stati Uniti, dove è particolarmente evidente tra i giovani che si identificano sia a sinistra che a destra nella politica americana.

Un sondaggio Pew di aprile ha rilevato che i giovani repubblicani, ovvero quelli sotto i 50 anni, sono ora più propensi ad avere un'opinione negativa di Israele, con il 50% dei sondaggi che scommette in quella direzione. Il sostegno a Israele tra gli elettori democratici era già inferiore prima del 7 ottobre 2023.

Ciononostante, i governi di tutto il mondo hanno dimostrato un forte interesse per l'equipaggiamento militare israeliano.

Secondo il Ministero della Difesa israeliano, nel 2024  le esportazioni di armi israeliane hanno raggiunto il massimo storico di 14,7 miliardi di dollari, con un forte aumento degli accordi con gli stati arabi.

Circa il 57 percento degli accordi firmati nel 2024 erano "mega-accordi" del valore di almeno 100 milioni di dollari ciascuno, ha affermato il ministero in una dichiarazione rilasciata a giugno, aggiungendo che i "risultati operativi" nella guerra a Gaza hanno spinto la domanda. 

Le vendite ai paesi arabi che hanno firmato accordi di normalizzazione con Israele, denominati Accordi di Abramo, sono aumentate dal 3% nel 2023 al 12% lo scorso anno. Ma l'Europa è stata il principale acquirente, rappresentando il 54% delle esportazioni lo scorso anno.

Questa settimana, Israele ha simbolicamente consegnato il suo sistema di difesa missilistica a lungo raggio Arrow 3 all'Aeronautica Militare tedesca durante una cerimonia presso una base aerea a sud di Berlino. L'acquisto da parte di Berlino dell'intercettore missilistico per 4 miliardi di euro (4,6 miliardi di dollari) è stato il più grande accordo di esportazione di prodotti per la difesa nella storia di Israele. La vendita era stata originariamente firmata nel settembre 2023.

Molti paesi dell'Europa orientale e centrale si stanno riarmando, dopo la guerra in Ucraina. A luglio, la Romania ha annunciato che avrebbe acquistato un sistema di difesa aerea da 2 miliardi di dollari dalla società israeliana Rafael. 

Più vicino alla regione, la Grecia ha acquistato equipaggiamento militare israeliano per milioni di dollari. Nonostante la sua storica vicinanza ai palestinesi, Grecia e Israele hanno avviato una partnership negli ultimi anni, spinti dalla comune preoccupazione per la Turchia.

Il parlamento greco ha approvato giovedì sera l'acquisto di 36 sistemi di artiglieria missilistica PULS da Israele per un valore di 757,84 milioni di dollari, ha riportato Reuters.

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 10:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
MEE: la CPI respinge le richieste degli USA di abbandonare l'indagine sui crimini di guerra di Israele e di modificare il trattato

 

di Middle East Eye

L'organismo di controllo della Corte penale internazionale (CPI) ha respinto le richieste degli Stati Uniti affinché la corte abbandoni le indagini sui crimini di guerra israeliani e modifichi il suo trattato istitutivo per impedire l'azione penale contro cittadini di paesi che non riconoscono la giurisdizione della corte, seondo quanto rivelato da Middle East Eye.

In una dichiarazione rilasciata mercoledì dopo la riunione annuale tenutasi all'Aia all'inizio di questa settimana, l'Assemblea degli Stati parti (ASP) si è impegnata a sostenere l'integrità dello Statuto di Roma e ha ribadito di essere "gravemente preoccupata" per le minacce e le misure coercitive che prendono di mira la corte.

L'incontro si è svolto all'ombra delle sanzioni statunitensi già imposte a numerosi alti funzionari della CPI, tra cui giudici e il procuratore capo Karim Khan.

I diplomatici intervenuti a margine dell'evento hanno riferito a MEE che l'amministrazione Trump aveva cercato di esercitare ulteriori pressioni sulla CPI in vista della riunione dell'ASP, chiedendo alla corte di abbandonare le indagini sui crimini di guerra in Palestina e Afghanistan come condizione per la revoca delle sanzioni.

Gli Stati Uniti hanno inoltre invitato gli Stati membri a modificare lo Statuto di Roma per vietare i procedimenti giudiziari contro cittadini di Stati non firmatari, una mossa che avrebbe di fatto garantito l'immunità ai cittadini americani e israeliani. Un emendamento di tale natura porrebbe inoltre fine all'indagine sull'Ucraina sui presunti crimini di guerra commessi dalla Russia, paese non membro della CPI.

Sulla base di briefing tenuti da tre diplomatici a conoscenza della questione, MEE ha potuto confermare che i rappresentanti degli stati membri della CPI hanno ricevuto le richieste degli Stati Uniti da un diplomatico di uno stato dell'UE durante un incontro il mese scorso.

Un diplomatico di alto rango, che ha parlato con MEE a margine della riunione dell'ASP, ha affermato che la dichiarazione finale adottata all'unanimità era una "versione raffinata" di proposte meno inequivocabili avanzate il mese scorso per cercare di placare l'amministrazione Trump. 

"Questa dichiarazione è un buon compromesso che trasmette un messaggio forte: gli Stati sostengono la Corte", ha detto a MEE il diplomatico, membro dell'ASP, a condizione di anonimato.

Altri hanno sostenuto che se avessimo inviato un forte messaggio di unità e di sfida alle sanzioni statunitensi, queste sarebbero state immediatamente istituite.

"Quindi, si sono detti, perché non aprire la porta al dialogo? Chi proponeva questa soluzione non stava necessariamente dicendo 'accettiamo di emendare', ma stava cercando di dire: 'non chiudiamo tutte le porte alla possibilità di dialogo, apriamo la porta agli emendamenti'". 

Il testo dell'ultima dichiarazione dell'ASP conteneva un unico riferimento al dialogo con i non membri, "per garantire che la Corte continui a essere un'istituzione giudiziaria efficace e indipendente".

Un simile riferimento è stato ritenuto dai redattori coerente con la missione della Corte, ha affermato il diplomatico. 

"Il dialogo con le parti non statali è importante, ma dipende dall'oggetto del dialogo", ha aggiunto il diplomatico, sottolineando che lo scopo del dialogo dovrebbe essere principalmente quello di invitare altri stati a unirsi alla corte.

"Non prevediamo un dialogo che riguardi un cambiamento dell'orientamento generale della corte o qualcosa che possa comprometterne l'indipendenza", hanno aggiunto.

"C'è una crescente consapevolezza che qualsiasi emendamento allo Statuto di Roma volto a placare coloro che chiedono sanzioni contribuirebbe a distruggere la Corte più delle sanzioni stesse", ha affermato il diplomatico. "Molti Stati ritengono che ci sarebbero poche ragioni per rimanere all'interno della Corte se ciò accadesse".

"O combattiamo o moriamo. O nuotiamo o affondiamo. C'è la determinazione di nuotare controcorrente." 

MEE ha contattato il Dipartimento di Stato americano per un commento.

Contromisure

La riunione dell'ASP, composta dai rappresentanti dei 125 paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma istitutivo della CPI, si è svolta in un momento di minacce senza precedenti alla Corte, provocate principalmente dalle indagini su Israele per presunti crimini di guerra a Gaza e nella Palestina occupata.

Le sanzioni hanno preso di mira anche i giudici che hanno lavorato alle indagini sull'Afghanistan, che dal 2021 hanno perso la priorità nelle indagini sui cittadini statunitensi, concentrandosi invece sui cittadini afghani. 

I giudici della CPI stanno attualmente esaminando un ricorso israeliano alla propria giurisdizione sulla situazione palestinese, e un altro ricorso israeliano, depositato il 17 novembre, mira a squalificare il pubblico ministero per presunta mancanza di imparzialità. Khan è in aspettativa volontaria da maggio in attesa di un'indagine condotta dalle Nazioni Unite sulle accuse, che lui nega fermamente.

Da febbraio, l'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha imposto sanzioni finanziarie e sui visti al procuratore capo, ai suoi due procuratori aggiunti, a sei giudici, al relatore speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina e a tre ONG palestinesi.

Gli Stati Uniti hanno anche minacciato sanzioni contro la corte stessa.

Le sanzioni hanno stravolto la vita quotidiana dei nove funzionari della CPI, hanno impedito loro di recarsi negli Stati Uniti e li hanno di fatto tagliati fuori da gran parte del sistema finanziario globale, anche in Europa.

Nel frattempo, i funzionari della CPI hanno confermato che la corte sta implementando contromisure per proteggersi dalle sanzioni, ma tali misure rimarranno riservate per garantirne l'efficacia. 

La dichiarazione adottata dall'ASP questa settimana ha denunciato l'uso di misure coercitive, comprese sanzioni, contro funzionari eletti o coloro che collaborano con la Corte, comprese le organizzazioni della società civile. Tuttavia, non è stato fatto alcun riferimento agli Stati Uniti.

La sessione dell'ASP si tiene quasi un anno dopo che i giudici della CPI hanno emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della Difesa Yoav Gallant per una serie di accuse incentrate sull'uso della fame come arma di guerra a Gaza dall'ottobre 2023. È stata la prima volta nella storia della corte che i mandati di arresto hanno preso di mira funzionari alleati dell'Occidente.

La decisione presa lo scorso anno dal procuratore capo della corte Khan di richiedere mandati di cattura ha provocato minacce nei suoi confronti e nei confronti della corte da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, tra cui il Regno Unito.

MEE ha rivelato quest'estate che il 23 aprile 2024, mentre Khan si preparava a presentare domanda di mandato per Netanyahu e Gallant, l'allora ministro degli esteri britannico David Cameron minacciò in una telefonata con il procuratore che il Regno Unito avrebbe tagliato i fondi e si sarebbe ritirato dalla CPI se la corte avesse emesso i mandati.

Anche i funzionari della CPI sono stati sottoposti a pressioni e minacce straordinarie da parte di funzionari statunitensi nell'ultimo anno. In un incontro virtuale con i funzionari della CPI nel maggio 2024, il senatore repubblicano statunitense Lindsey Graham ha minacciato sanzioni contro di loro se Khan avesse richiesto i mandati di cattura.

Allo stesso modo, il consigliere legale del Dipartimento di Stato americano Reed Rubinstein ha avvertito a luglio che "tutte le opzioni restano sul tavolo" a meno che non vengano ritirati tutti i mandati di arresto e le indagini sui presunti crimini di guerra israeliani.

"La corte è indipendente"

Ma i diplomatici, i giudici e gli esperti che hanno parlato con MEE questa settimana hanno escluso che la CPI abbandonerà l'indagine o che le minacce degli Stati Uniti costringeranno a porre fine alle indagini sulla Palestina o sull'Afghanistan.

"Ci sono cose che non rientrano nella competenza degli Stati parte. La Corte è indipendente da noi in quanto Stati parte", ha affermato un diplomatico.

"Ecco perché non vedo come le decisioni prese dal tribunale possano essere revocate."

Un esperto senior della CPI ha inoltre escluso che i giudici della CPI avrebbero accettato la contestazione di Israele.

"È più probabile che Israele rispetti il ??cessate il fuoco piuttosto che la Camera d'appello invalidi i mandati di arresto", ha affermato l'esperto con sarcasmo. 

Anche tre giudici sanzionati, parlando con MEE questa settimana a margine dell'ASP, hanno confermato che non si lasceranno scoraggiare dalle sanzioni. 

Gli Stati Uniti e Israele non sono Stati parte dello Statuto di Roma, il trattato che ha istituito la CPI all'Aia nel 2002. 

Entrambi gli Stati si sono opposti all'indagine della Corte sulla situazione in Palestina, avviata per la prima volta dal precedente procuratore della CPI Fatou Bensouda nel 2021. 

La giurisdizione della corte si basa sull'adesione dello Stato di Palestina allo Statuto di Roma nel 2015. Di conseguenza, la corte può indagare su individui israeliani per crimini commessi nella Palestina occupata, che comprende la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est. 

Ma Israele e gli Stati Uniti hanno contestato la giurisdizione della corte, affermando di non riconoscere la Palestina come Stato e che Israele è nella posizione migliore per indagare su se stesso, in base al principio di complementarietà stabilito dall'articolo 17 dello Statuto di Roma.

I due Paesi hanno inoltre respinto la giurisdizione della corte, sulla base dell'articolo 12 dello Statuto di Roma, sostenendo che la corte non dovrebbe avere giurisdizione sui loro cittadini perché non hanno ratificato il trattato. 

La CPI è l'unica corte internazionale permanente al mondo con il potere di perseguire alti funzionari per crimini internazionali. Attualmente sta indagando su una dozzina di casi, tra cui Palestina, Ucraina, Afghanistan, Darfur (Sudan), Libia, Repubblica Democratica del Congo e Filippine.

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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 10:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Il capo del Pentagono interrogato sull'attacco al Venezuela e questa è la sua reazione

 

Il segretario alla Guerra degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha eluso domenica le domande dei giornalisti su quanto gli Stati Uniti siano vicini a lanciare attacchi di terra in Venezuela, nel contesto dell'aggressione di Washington  contro la nazione caraibica.

Mentre parlava con la stampa sul red carpet prima della cerimonia di premiazione del Kennedy Center, al capo del Pentagono è stato chiesto quanto gli Stati Uniti siano vicini a compiere attacchi di terra nel paese bolivariano.

"Quanto siamo vicini a un attacco di terra contro il Venezuela, signor Segretario?" ha chiesto un giornalista, ma non ha ricevuto risposta, poiché Hegseth si è allontanato dalla stampa senza replicare. Quando la stessa domanda è stata ripetuta, l'ha ignoata di nuovo, parlando con i partecipanti all'evento.

In precedenza, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva promesso in diverse occasioni che Washington avrebbe iniziato a combattere i presunti cartelli della droga sulla terraferma, allo stesso modo in cui lo fa in mare. 

In questo contesto, ha specificato che tali attacchi di terra sarebbero stati condotti contro "chiunque" producesse droga e la vendesse agli Stati Uniti. "Se entrano attraverso un determinato Paese o qualsiasi Paese, o se pensiamo che stiano costruendo fabbriche per, che si tratti di fentanil o cocaina. [...] Ma sì, chiunque lo faccia e la venda al nostro Paese è soggetto ad attacco.  Non necessariamente solo il Venezuela. No, non solo il Venezuela, no", aveva minacciato Trump.

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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:30:00 GMT
WORLD AFFAIRS
FT: L'UE trova un modo per congelare i beni russi a tempo indeterminato

 

Secondo un'analisi del giornalista del Financial Times Martin Sandbu, l'Unione Europea (UE) ha trovato una clausola nei suoi trattati istitutivi che le consente di prendere decisioni senza il consenso unanime di tutti gli Stati membri, il che le consentirebbe di congelare i beni russi a tempo indeterminato anziché rinnovare la procedura ogni sei mesi  .

Mercoledì la Commissione europea (CE) ha presentato due programmi di finanziamento pluriennali per l'Ucraina: l'emissione di debito sui mercati con una garanzia del bilancio dell'Unione e un cosiddetto "prestito di riparazione" garantito da beni sovrani russi congelati nel territorio dell'UE.

Secondo Politico , lo stanziamento proposto per Kiev ammonterebbe a 165 miliardi di euro (192 miliardi di dollari) finanziati con asset russi: 25 miliardi di euro (29 miliardi di dollari) da conti bancari privati ??nei paesi dell'UE e 140 miliardi di euro (162 miliardi di dollari) dal depositario belga Euroclear, dove è depositata la maggior parte degli asset russi.

In alternativa, la CE ha proposto di concedere all'Ucraina un prestito finanziato con fondi del bilancio dell'UE, ma l'Ungheria ha bloccato questo piano.

Dopo aver analizzato il nuovo pacchetto legislativo dell'UE, l'autore dell'articolo conclude che, "nella migliore delle ipotesi", ciò consentirebbe all'Unione di conservare per sempre le scorte russe sequestrate 

Scappatoia legale

L'analista sostiene che, finora, il rischio è che "le sanzioni vengano rinnovate all'unanimità ogni sei mesi , poiché una sola capitale, Budapest ad esempio, potrebbe garantire a Mosca il rinnovato accesso alle riserve e smantellare l'intera struttura". In questo caso, sottolinea, la possibilità di aggirare il veto dell'Ungheria, o di qualsiasi altro Paese, costituirebbe una "presa di potere molto aggressiva", e la sua base giuridica verrebbe probabilmente contestata in tribunale.

Tuttavia, le nuove leggi mirano a cambiare questa situazione e Bruxelles ha già trovato un articolo nei Trattati UE che, in caso di gravi perturbazioni economiche, le consentirebbe di adottare misure senza l'unanimità. La legislazione propone di usare questo pretesto per congelare i fondi russi a tempo indeterminato fino a quando non verrà presa una decisione proattiva analoga per revocare il blocco.

Inoltre, il FT sottolinea che la cosiddetta iniziativa del "prestito di riparazione" non comporta la confisca dei beni russi in quanto tali, ma piuttosto il fatto che le banche europee stanno prestando forzatamente fondi all'UE  senza interessi.

"A seguito di vari investimenti delle sue riserve valutarie, la Banca Centrale Russa vanta un credito nei confronti di alcuni istituti finanziari dell'Unione. Questi istituti finanziari hanno l'obbligo di rimborsare la Banca Centrale Russa, ma il divieto di trasferimenti alla Banca Centrale Russa impedisce attualmente a tali istituti di soddisfare tale credito [...]", cita il regolamento UE. "Quell'attivo della Banca Centrale Russa – e, di conseguenza, l'obbligo di rimborso dell'istituto finanziario – non verrà toccato ", sottolinea.

Chiarendo questa clausola del regolamento, l'esperto sottolinea che "nessuno sta utilizzando in alcun modo i beni della Russia " e "non vengono prestati né all'UE né all'Ucraina".

Inoltre, Sandbu ha sottolineato che i contribuenti dell'UE finiranno per finanziare un prestito o una sovvenzione all'Ucraina se l'UE non riuscirà a costringere Mosca a pagare. "A meno che non ci sia la volontà di costringere la Russia a pagare, i contribuenti dell'UE finiranno per finanziare un prestito (o una sovvenzione) dell'UE a Kiev", ha sottolineato.

  • Da febbraio 2022, diversi paesi occidentali (tra cui Stati Uniti, paesi dell'UE e Regno Unito) hanno congelato oltre 300 miliardi di dollari in beni statali russi. A settembre, la Commissione Europea (CE) ha proposto di concedere all'Ucraina un  "prestito di riparazione" da 140 miliardi di euro  (162 miliardi di dollari), finanziato con i beni russi congelati.
  • Questa settimana è stata presentata a Bruxelles una proposta per utilizzare i beni congelati per un prestito di  90 miliardi di euro  (circa 105 miliardi di dollari), destinato a coprire le esigenze economiche e militari dell'Ucraina nei prossimi anni.
  • La Russia ha ripetutamente espresso la sua opposizione a qualsiasi utilizzo dei suoi beni congelati. Il Presidente Vladimir Putin  ha denunciato  la potenziale confisca come "furto" e ha avvertito che sono in preparazione contromisure. Ha anche spiegato che l'iniziativa avrebbe " conseguenze negative  per il sistema finanziario globale", poiché ogni fiducia nell'eurozona "crollerebbe".

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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:30:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Trump "deluso". Zelensky "non ha ancora letto" la sua proposta di pace

 

Il leader ucraino Volodymyr Zelensky non ha ancora preso visione della bozza dell'accordo di pace con la Russia preparata dagli Stati Uniti, ha lamentato domenica il presidente americano Donald Trump.

Durante un evento al John F. Kennedy Center for the Performing Arts, il presidente ha risposto a una domanda sui prossimi passi da compiere dopo i colloqui di pace svoltisi durante la settimana.

"Devo dire che sono un po' deluso dal fatto che il presidente Zelensky non abbia ancora letto la proposta", ha commentato Trump.

Ha chiarito che questa informazione risale a poche ore fa e ha osservato che il popolo ucraino "ama" il piano di pace e che "la Russia è d'accordo ".

"La Russia è d'accordo. Tuttavia, non sono sicuro che Zelensky sia d'accordo", ha affermato.

"Alla sua gente piace molto. Ma lui [Zelenski] non l'ha letto. Quindi un giorno dovrai spiegarmelo, Jeff", ha risposto a un giornalista.

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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:30:00 GMT