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#news #antidiplomatico
"La questione Taiwan è diventata un punto di svolta strategico per l’intero Indo-Pacifico".
Le dichiarazioni senza precedenti della premier giapponese Takaichi, le mire della Nato del Pacifico e le risposte (presenti e future) della Cina nel nuovo video-editoriale del Prof. Fabio Massimo Parenti in esclusiva su l'AntiDiplomatico.
Buona visione.
di Marco Travaglio - Fatto Quotidiano, 19 novembre 2025
Il sismografo del Quirinale registra scosse ondulatorie e sussultorie, più uno “scossone”. Domenica, al Bundestag, il presidente Mattarella ha ricordato le guerre del ’900, ha auspicato che “si cessi di guardare alla guerra come strumento per risolvere le controversie fra gli Stati”, ha aggiunto che “la sovranità di un popolo non si esprime nel diritto di portare guerra al vicino”, perché “la guerra di aggressione è un crimine” e chi colpisce civili “bombardando le aree abitate non può restare impunito”. Parole sante, se non fosse che nel 1999 il governo di cui Mattarella era vicepremier partecipò alla guerra d’aggressione della Nato (contro l’Onu) alla vicina Federazione Jugoslava, bombardando per 78 giorni le aree abitate piene di civili a Belgrado e non solo per risolvere una controversia – la guerra civile serbo-kosovara – su cui si stava trattando a Rambouillet. Poi l’Italia e tutto l’Occidente riconobbero la secessione del Kosovo sebbene la risoluzione Onu 1244 vi avesse ribadito la sovranità jugoslava. E fornì a Putin un bel precedente per fare lo stesso in Crimea. Mattarella deve aver rimosso tutto, sennò non reclamerebbe una Norimberga anche per se stesso.
Lunedì Mattarella ha riunito il Consiglio supremo di difesa, che è entrato a piedi giunti in una decisione che spetta al Parlamento: se, cioè, tenere aperto o chiudere il Bancomat per Kiev, visto che ogni giorno di guerra in più comporta territori e soldati in meno (senza contare i danni all’economia Ue) e molti “aiuti” finiscono letteralmente nel cesso (d’oro). Ovviamente si è deciso di continuare, denunciando “la minaccia ibrida da Russia e altri attori stranieri ostili” che “manipola lo spazio cognitivo con campagne di disinformazione, interferenze nei processi democratici, narrazioni polarizzanti… per indebolire la fiducia nelle istituzioni e minare la coesione sociale”. Quindi, se le istituzioni sono così screditate, non è per le balle che raccontano sulle cause della guerra, sulla vittoria ucraina, sui negoziati sabotati, sulla salute di Putin, sull’economia russa e su quelle europee, sullo spaventoso riarmo che distrugge il Welfare e calpesta la Costituzione. Ma per le bugie russe, così efficaci che l’Italia non ha mai avuto governi così filo-Nato come dal 2021 a oggi e non passa giorno senza che venga cacciato o censurato un artista russo o un intellettuale considerato “filo-russo”.
Ieri la Verità ha beccato in un locale il consigliere per la Difesa del Quirinale, Francesco Saverio Garofani, che discettava di “scossoni provvidenziali” per far vincere il centrosinistra e tener lontana la Meloni dal Colle. Giustamente Mattarella rifiuta di commentare. Ma Garofani ha solo due
Data articolo: Wed, 19 Nov 2025 07:00:00 GMT
di Alessandro Volpi*
L’Ucraina si trova al centro di una doppia tempesta politica e finanziaria. Da un lato, uno scandalo di corruzione nel settore energetico scuote il Paese e, secondo The Economist, minaccia persino il futuro politico di Volodymyr Zelensky. L’inchiesta della NABU - l’agenzia anticorruzione nata su richiesta dell’Occidente - ha portato all’arresto di cinque persone e individuato sette sospetti in una presunta rete di tangenti da 100 milioni di dollari. Tra gli implicati spunta il nome di Timur Mindich, considerato la “cassaforte” del presidente.
All’interno dell’élite ucraina cresce ora la frattura: c’è chi invoca un ricambio totale del governo e chi vede nello scandalo l’occasione per Zelensky di liberarsi dei suoi uomini più compromessi. Un funzionario, citato dalla stampa britannica, parla di “giorno decisivo”: o il presidente “amputa una gamba, o rischia un’infezione mortale”.
Nel frattempo, sul fronte militare, il viaggio di Zelensky a Parigi ha prodotto titoli altisonanti: 100 caccia Rafale, sistemi SAMP-T, radar e armamenti avanzati. Ma secondo Politico, né Kiev né Parigi hanno le risorse per trasformare l’annuncio in realtà. Il costo dei Rafale - fra 70 e 100 milioni di euro l’uno, fino a 250 con armamento completo - rende l’operazione insostenibile senza massicci aiuti esterni. Da qui l’idea di ricorrere ai 140 miliardi di euro provenienti dagli asset russi congelati, soluzione che l’UE considera la meno dolorosa in un contesto economico già in affanno.
Analisti avvertono che, anche se l’accordo andasse avanti, i tempi sarebbero lunghissimi e l’Ucraina non sarebbe comunque in grado di mantenere da sola una flotta superiore ai 200 velivoli. Dal Cremlino arriva un monito: la Francia “continua ad armare Kiev”, alimentando una spirale che allontana ogni prospettiva di pace. Tra scandali interni e promesse belliche ancora sulla carta, l’Ucraina si ritrova oggi sospesa tra fragilità politica e dipendenza totale dagli aiuti occidentali: in un mondo che, sempre più apertamente, si sta spostando verso un nuovo equilibrio multipolare.
Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
Data articolo: Wed, 19 Nov 2025 06:00:00 GMT
di Loretta Napoleoni per l'AntiDiplomatico
Xinjiang - novembre 2025
Nelle distese aride del deserto del Gobi sta nascendo qualcosa di straordinario, qualcosa che sfida le concezioni tradizionali di sviluppo e modernizzazione. Lo Xinjiang, vasta regione nel cuore dell'Eurasia a due passi dalla Mongolia, non è semplicemente una provincia cinese in via di sviluppo - è il laboratorio vivente dove si sta scrivendo il futuro energetico del pianeta..jpg)
Ciò che colpisce immediatamente arrivando qui è la contraddizione apparente che invece funziona perfettamente. Un sistema socialista con un'economia capitalista, un partito unico che guida un mercato vibrante e innovativo. Mentre l'Occidente si arrovella su ideologie obsolete, la Cina ha creato qualcosa di unico: un ibrido che combina pianificazione statale lungimirante con l'agilità del mercato e l’innovazione tecnologica.
Quando scrivevo "Maonomics" oltre un decennio fa, avevo intuito il potenziale di questo modello, ma non avevo previsto che i risultati positivi arrivassero tanto velocemente. Oggi, vedendolo all'opera nello Xinjiang, posso confermare: le mie previsioni non solo si sono avverate, ma la realtà le ha superate. La Cina si è modernizzata in modo pacifico, in tempi record e lo ha fatto mantenendo la propria identità culturale. A differenza della Corea del Nord, si è aperta al mondo, un’apertura che non ha comportato l’omogeneizzarsi alla cultura occidentale. Nello Xinjiang non si trovano McDonald's a ogni angolo di strada, ma ristoranti che offrono piatti provenienti dalle 23 etnie presenti nella regione e si respira un'aria di autenticità e diversità che ormai in Occidente abbiamo dimenticato.
I dati sono impressionanti: 104,8 milioni di kW di capacità rinnovabile installata, con 40,37 milioni di kW aggiunti solo nel 2024. Ma i numeri da soli non rendono giustizia alla portata di ciò che sta accadendo. Quello che vediamo qui è la trasformazione di una provincia con grandi potenzialità energetiche in un modello nuovo globale.
Le riserve? 450 miliardi di tonnellate di carbone (25% del totale cinese), 4,2 miliardi di kW di potenziale solare (26,9% nazionale), 1 miliardo di kW di potenziale eolico (18% nazionale). Ma la vera rivoluzione non sta nell'abbondanza delle risorse, bensì nella visione strategica con cui tutte vengono gestite.
A Hami, conversando con Liu Xiaobo, presidente della Commissione per lo Sviluppo e le Riforme, ho capito la profondità della transizione. In dieci anni, la capacità installata è più che raddoppiata, superando i 23 GW. Oltre il 40 per cento del mix energetico locale è già rinnovabile. Ma ciò che veramente conta è come stanno risolvendo il problema fondamentale delle rinnovabili: l'intermittenza.
"La tecnologia di accumulo è la chiave", mi spiega Liu. E infatti vedo all'opera sistemi diversificati: batterie a flusso di vanadio nel Parco Industriale Fotovoltaico di Shichengzi, nel deserto Gobi, pompaggio idroelettrico, e soprattutto una riconversione intelligente del termoelettrico, che da fonte primaria diventa "stabilizzatore" di rete.
La centrale solare termodinamica a torre con sali fusi da 50 MW nel deserto del Gobi è forse la cosa più bella che abbia visto in questo viaggio. Non solo per la sua efficienza - produce energia 24 ore al giorno - ma per la sua estetica. Una distesa immensa di specchi che riflettono il sole verso una torre centrale crea un paesaggio futuristico che sembra uscito da un film di fantascienza.
E poi le batterie. Visitando il parco fotovoltaico di Hami, ho capito che la soluzione all'intermittenza è già qui. La capacità di immagazzinare l'energia rinnovabile cambia tutto e qui ad Hami esiste. Non è più una questione di produzione, ma di gestione dell’energia verde. E in questo, la Cina è anni luce avanti all'Occidente.
All'Istituto Tecnico-Professionale Ferroviario di Hami, che ha appena lanciato il primo corso di laurea in rinnovabili, vedo realizzato ciò che fino a ieri era solo teoria: ogni edificio è una centrale elettrica, una visione futurista che avevo preannunciato in Maonomics e che oggi e’ realta’. Pensiline fotovoltaiche che ricaricano veicoli elettrici, pavimentazioni che producono energia, lampioni ibridi solari-eolici, facciate in perovskite che trasformano gli edifici in generatori.
Tutto cio’ non è solo tecnologia - è una filosofia energetica. L'integrazione tra didattica e industria, tra teoria e pratica, rappresenta l'unica risposta possibile all'avanzare dell'intelligenza artificiale. È la cooperazione "umana" che può prevenire il sopravvento delle macchine e che le può piegare ai bisogni della società.
Data articolo: Wed, 19 Nov 2025 06:00:00 GMT
Tornano "I nuovi mostri", il programma di Federico Greco, Gabriele Germani e Silvia Pegah Scaglione che si registra presso Friccicore in Via delle Acacie 14, Roma.
Martedì passato ospiti erano Gabriele Guzzi con il suo "Eurosuicidio" edito da Fazi Editore e Clara Habte della Rete No Bavaglio.
Buona visione!
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Il Consiglio supremo di difesa, nella riunione del 17 novembre presieduto da Sergio Mattarella, «ha confermato il pieno sostegno all'Ucraina nella difesa della sua libertà», informa il Corriere della Sera, plaudendo anche allo «storico discorso al Parlamento di Berlino, in cui ha condannato come “un crimine” la guerra di aggressione russa». Ci si inchini di fronte a tanto ardore pacifista del presidente della repubblica. Nell'aula del Bundestag, con fermezza e cipiglio quali si addicono al comandante supremo delle italiche forze armate, Mattarella aveva ricordato come, dalla fine della seconda guerra mondiale, «il volto della guerra non si riflette soltanto in quello del combattente, ma diviene quello del bambino, della madre, dell'anziano senza difesa. È quanto accade, oggi, a Kiev, a Gaza», arrivando a un crescendo con cui chiedeva «che non resti impunito chi spara sui civili». Parole sante, come del resto gli avevamo udito pronunciare tante volte, a partire dal 2015, allorché sugli asili di Gorlovka e Novomarievka, sugli ospedali di Stakhanov e Spartak, sui parchi-giochi di Lugansk e Donetsk, sugli edifici civili di Vesëloe, Pervomajsk, Kirovsk e tanti altri centri di DNR e LNR si erano riversati i colpi degli obici ucraini, le bombe a grappolo “Uragan”, le mine dei mortai pesanti e i tiri dei carri armati di Kiev, coi mercenari di “Azov”, “Ajdar”, “C14” che massacravano interi gruppi di civili nei villaggi assaltati.
Davvero innumerevoli volte, da dieci anni a questa parte, dal presidente della repubblica italiana si erano udite parole di sdegno contro «chi spara sui civili» sventolando drappi hitleriani e sfoggiando insegne da SS. O forse no; non le si erano udite. Mah. Ma ora è d'obbligo lacrimare per Kiev, raccontano dal Corriere, «bersaglio di continui bombardamenti» e con un prezzo per la popolazione definito «sempre più pesante e iniquo». E, in tema di “difesa”, il Consiglio supremo «denuncia l’uso dei droni con cui l’esercito di Putin viola lo spazio aereo Nato e dei Paesi Ue. Ecco perché occorre adeguare le capacità difensive europee alla sfida che viene da Est attraverso “progetti d’innovazione”». Al proposito, è al ministro della guerra Guido Crosetto che spetta l'illustrazione del dossier riservato, così che, riporta ancora il giornale milanese, il «”Non paper sul contrasto alla guerra ibrida” inizia con gli attori principali che minacciano l’Italia. Al primo posto c’è la Russia. Protagonista di “azioni di sabotaggio, disinformazione, influenza politica, pressione su forniture strategiche, cyberattacchi, ricorso a mercenari e uso della migrazione come arma di destabilizzazione”». Manca solo la nebbia in valpadana e il furto dell'asinello al presepe napoletano.
La Russia, certo, il cui “regime autocratico” non può far altro che attentare alle “libere democrazie” europee. Ci mancherebbe, che dai fascio-democristiani venisse un dubbio, appena appena adombrato dalla tragica esperienza degli ultimi settant'anni di storia patria, che attacchi veri e ben più sanguinari possano venire, come è accaduto troppe volte in passato, da agenzie di spionaggio di paesi “alleati”, non solo al di là dell'Atlantico, in combutta con settori italici dediti per natura a efferate macchinazioni antipopolari.
No: i supremi consiglieri di “difesa” ribadiscono che gli unici pericoli per la “democrazia” vengano da Est e, oltre che dalla Russia, ca va sanse dire, dalle altre nazioni che la liberal-beceraggine indica quali “asse del male” o, per concretizzare con il dossier crosettiano, «Cina, Iran e Corea del Nord». Non c'è più ovviamente la Siria, da quando i tagliagole islamisti, oltre che elevarsi alle cariche governative, sono assurti alla cerchia della “civiltà occidentale”, che tale è, come ormai assodato, non per determinazione geografica, ma come categoria “politica” atlantica.
E ben venga «il pieno sostegno all'Ucraina nella difesa della sua libertà»: dalle file della cosiddetta “opposizione” liberale, il solito presidente PD del Copasir Lorenzo Guerini sospira sconsolato, dalle colonne del Corriere della Sera, alla vista di «divisioni nella maggioranza che non fanno bene all’immagine di affidabilità dell’Italia... Non è tempo di ambiguità o interessate titubanze o di posizionamenti per presunti tornaconti elettorali. Putin è uno dei “Dottor Stranamore” cui ha fatto riferimento il capo dello Stato. Quella condotta da lui contro l’Ucraina è una guerra criminale, contro il diritto internazionale, contro la popolazione civile ucraina».
Anche dall'on. Guerini, così come da Mattarella, ci sembra di aver udito infinite volte, a partire dal 2014, 2015 e dopo, sdegnate sferzate contro i bombardamenti dei villaggi dell'Ucraina sudorientale portati dalle forze di Kiev. O no? Mah! «Nel momento più difficile per l’Ucraina di questi ultimi mesi», afferma impettito il democristiano PD, «bisogna aumentare gli sforzi per rafforzarne la capacità di difesa e proteggere popolazione e infrastrutture civili per affrontare l’inverno». Che non si metta in dubbio la fedeltà euro-bellicista della sua confraternita: il «Pd ha sempre presentato e votato le risoluzioni per confermare gli aiuti, anche militari, a Kiev. E appoggiato tutti i pacchetti di aiuti previsti negli undici decreti fin qui approvati... Continueremo a farlo», come si conviene a un sodalizio di farisei liberal-bellicisti le cui scelte guardino agli interessi di profitto dell'industria di guerra, nella convinzione che il «rafforzamento delle capacità militari europee è un’esigenza ineludibile. Da tempo, e ancora di più nello scenario attuale», quando la Russia, perdiana, è lì lì pronta ad attaccare l'Europa.
Questo, a livello nazionale. Sul piano “europeista”, la sinfonia pro-majdanista continua con la lettera di Ursula-Demon-Gertrud ai paesi UE sulle “tre strade”, che sia da fondi russi depredati, da prestiti diretti europei o da un cosiddetto prestito di riparazione, per dare ancora 135,7 miliardi di euro alla junta di Kiev. Rientra in questa cornice anche il memorandum sottoscritto da Zelenskij e Macron per 100 Rafale e otto batterie SAMP/T, la cui consegna – tra l'altro, pare, dilazionata in dieci anni - è ancora una volta ostacolata dalla mancanza di finanziamenti, così come per i 100-150 Gripen dalla Svezia. Tutti memorandum che hanno come denominatore comune la mancanza di soldi e l'eventuale “scongelamento” belga dei fondi russi, per cui però la Bruxelles-UE non è per ora disposta a fornire le garanzie di risarcimento richieste dalla Bruxelles-belga, nel caso in cui la Russia adotti misure di ritorsione. Ancora soldi, dunque e mentre si affacciano voci su un possibile coinvolgimenti di alte sfere europee nel “caso Mindic”, per Zelenskij è importante riposizionare l'attenzione mediatica su come i partner occidentali, nonostante lo scandalo, non lo abbiano abbandonato. Come scrive la russa RT, anche se tutti questi memorandum euro-ucraini alla fine non producessero alcun risultato, sul momento svolgeranno una funzione politica e propagandistica non indifferente per Kiev. E possono tornare vantaggiosi anche per i paesi europei e i loro produttori di armi: senza comportare rischi o perdite immediati, se i fondi venissero improvvisamente trovati sarà molto più rapido siglare accordi definitivi.
Ma, al di là dei “protocolli d'intenti”, ancora su RT Serghej Mironov richiama l'attenzione su alcune dichiarazioni belliciste provenienti da paesi europei: «tedeschi, polacchi, francesi, scandinavi si stanno preparando a entrare in guerra con la Russia... qual è il punto di tutta questa isteria? La risposta è semplice: le élite europee vogliono convincere i propri cittadini che la guerra con la Russia sia inevitabile e che debbano assolutamente prepararvisi. Questo significa che debbano stringere la cinghia e pagare, pagare, pagare... E pensare meno a dove vadano a finire quei soldi». Se finiscono in armi, allora è tutto in ordine.
Ormai da anni si instilla nelle persone il terrore di una "aggressione russa", in modo che la gente sia più disponibile a pagare per prevenirla e così si sottraggono soldi alla spesa pubblica, ai bisogni sociali, al lavoro, alla sanità. In fondo, dice Mironov, questo sarebbe un loro affare interno, se non fosse in gioco la vera sicurezza dell'Europa e della Russia. I russofobi rischiano di essere così coinvolti nella guerra con la Russia da non accorgersi nemmeno di come vi siano davvero coinvolti.
A conferma di tali notazioni, il ministro della guerra tedesco Boris Pistorius torna ad allarmare i propri concittadini con la possibilità di una guerra tra Russia e NATO: sulla scia di altri profeti europeisti, pronostica che la Russia raggiungerà un livello che le consentirà di colpire un paese NATO esteuropeo entro il 2028.
I politici tedeschi, è detto in un'altra nota della medesima RT, sono costretti a “dimostrare” ai propri cittadini la necessità dell'aumento delle spese militari. Lo spauracchio della minaccia russa sta diventando semplicemente necessario e, per proteggersi da una «possibile aggressione russa», nuove forze devono essere schierate in Polonia, nei Paesi Baltici, in Finlandia. E se Mosca, in risposta, rafforzasse le proprie forze, allora ci sarebbe un pretesto per un ulteriore spinta all'insù nei bilanci militari. Cosa si dovrebbe fare in questa situazione, si chiede RT? È necessario innanzitutto capire che «l'isteria bellica alimentata in Europa è motivata da ragioni di politica interna, non dal desiderio di essere effettivamente coinvolti in una guerra», per la quale, aggiungiamo noi, al momento, le cancellerie europee esigono che siano i giovani e meno giovani ucraini a sacrificarsi, mandati al macello da una junta nazigolpista al servizio dei piani guerrafondai UE e NATO.
FONTE:
https://news-front.su/2025/11/17/memorandum-dlya-finansirovaniya-memorandumov/
https://news-front.su/2025/11/17/o-podgotovke-evropy-k-vojne-s-rossiej/
https://news-front.su/2025/11/17/vojna-mezhdu-rossiej-i-nato-nagnetanie-zapada/
di Agata Iacono
Olocausto Palestinese, di Angela Lano, edizioni Al Hikma, è un testo fondamentale per comprendere veramente la "questione palestinese". È un libro rigoroso, che ripercorre la storia del colonialismo d'insediamento sionista, senza concedere mai spazio a facile e aleatoria emotività. "Olocausto Palestinese" mette anche a nudo, "senza pietà", il falso e pericoloso dibattito interno al mondo ecumenico "Pro-Pal" occidentale, e italiano in particolare, evidenziando l'atteggiamento paternalistico, suprematista e neocoloniale di molte espressioni di solidarietà di questi ultimi 2 anni.
Nella sua prefazione, Pino Cabras, autore dell'ottimo libro "Contro il sionismo reale", scrive: "Tra le molte pubblicazioni che in questi anni hanno cercato di raccontare la tragedia palestinese, questo libro di Angela Lano si distingue per una qualità essenziale: non concede spazio ai malintesi, alle mezze misure, alle spiegazioni accomodanti che spesso finiscono per smarrire il nocciolo della questione. Non è un testo che si limita a denunciare gli ultimi massacri, né un esercizio di solidarietà retorica. È, piuttosto, un antidoto contro la grande incomprensione del fenomeno del Sionismo, incomprensione che può nascere anche in ambienti sinceramente sensibili al tema dei diritti dei palestinesi, ma che finiscono per ridurre la loro attenzione a un gesto episodico, a una bandiera contingente da sventolare nella moda politica del momento".
L'autrice scrive a pagina 102 quella che mi sembra la migliore presentazione possibile.
La riporto integralmente.
"Non ci soffermeremo, qui, a sbugiardare i "complottisti fiancheggiatori di Israele che sostengono che Hamas sia una creatura israeliana. Diciamo solo che questa narrazione è frutto di una prospettiva razzista, islamofobica e suprematista bianco-centrica radicata nell'idea che il colonizzato non sia in grado di produrre una propria autonoma resistenza senza i "consigli", le "linee-guida", possibilmente laiche, degli occidentali "progressisti". Chi ancora, tra i pro-Pal italiani, scrive o sostiene che Hamas, anziché essere una genuina espressione del popolo palestinese che lotta, sia una "creatura/creazione di Israele" non ha capito nulla, ed è o in malafede o è semplicemente un prodotto umano del colonialismo occidentale duro a morire. Infatti, in Brasile, ad esempio, nel vasto ed eterogeneo movimento anti-coloniale e pro-Palestina nessuno condivide questa lettura razzista occidentocentrica. Hamas è considerato per quello che è: un legittimo e popolare movimento di resistenza e di liberazione nazionale".
Il libro racconta e documenta la storia di tutto il colonialismo di insediamento sionista, dalle prime migrazioni alla fine dell’ottocento fino alla Tempesta di al Aqsa, passando naturalmente per la Nakba del '48 e la Naksa del '67.
L’acquisto di questo testo contribuisce alla campagna 1000 coperte per Gaza.
L’intero ricavato della vendita sarà devoluto alla fondazione che sta finanziando l’invio di coperte ai rifugiati della Striscia.
Angela Lano dal 2006 è la direttrice dell'agenzia palestinese-italiana InfoPal.it.
Giornalista professionista, ha una laurea magistrale in Lingua e letteratura Araba, con una tesi sulla storia e la letteratura della Palestina; un PhD in Studi africani e del Medio Oriente e un post-dottorato in Scienza delle Religioni. È ricercatrice e post-dottoranda in Studi sulla decolonizzazione del Nordafrica e del Medio Oriente presso l'Università Federale di Salvador di colonialismo e la islamico-NEPAI, con focus sul colonialismo e la decolonizzazione, in particolare della Palestina Bahia, Brasile, dove ha creato il Nucleo di Studi e Ricerche del mondo arabo e storica.
Ha scritto diversi libri, tra i quali Islam d'Italia, Edizioni Paoline, Milano 2005; Nakba. La tragedia del 1948, Edizioni Al Hikma, Imperia 2009; Verso Gaza. In diretta dalla Freedom Flotilla e centinaia di articoli.
Data articolo: Tue, 18 Nov 2025 17:02:00 GMT