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News antidiplomatico

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OP-ED
Andrea Zhok - Caso Hannoun. E gli aiuti militari al terrorismo di Israele?

 

di Andrea Zhok*

 

A quanto pare alcune associazioni italiane hanno raccolto nel corso di 20 anni fino a 7 milioni di euro per sostenere Hamas.

Orsù indigniamoci tutti in coro.

Non si fa!

Non si fa perché Hamas è un gruppo armato che ha commesso atti terroristici. 

Nel frattempo, solo dal 7 ottobre 2023 ad oggi gli Stati Uniti hanno trasferito 21 miliardi di dollari in aiuti militari ad Israele, che li ha usati per bombardare 7 paesi, aggredirli unilateralmente, commettere omicidi mirati di militari e civili, uccidere al minimo 65.000 palestinesi (di cui 18.400 bambini).

Questo naturalmente non è terrorismo, è legittima difesa. Se un bambino ti guarda storto una sventagliata di Uzi è il minimo.

In sostanza, se ho capito bene, 7 milioni in 20 anni per un gruppo armato a sostegno dei palestinesi è uno scandalo immorale, mentre  21 miliardi di armi in 2 anni per uno stato che ha ripetutamente agito in forme terroristiche è un lodevole dettaglio.

Non bisogna armare Hamas, i palestinesi devono solo porgere l'altra guancia - quando hanno la fortuna di averne ancora una - mentre i soldi si potevano raccogliere legittimamente solo per l'acquisto dei sacchi per le salme.


E' davvero scandaloso che questa gente non si lasci ammazzare e imbustare in silenzio.


......
...... 

Ma voi, sepolcri imbiancati del giornalismo e della politica, riuscite ancora a vergognarvi, o dovete pagare qualcuno per farlo al vostro posto?

 

*Post Facebook del 28 dicembre 2025

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 20:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Maduro: "L'Erode moderno non sconfiggerà il Venezuela"

In un messaggio diffuso domenica 28 dicembre, in occasione della commemorazione della Giornata dei Santi Innocenti, il Presidente venezuelano Nicolás Maduro ha tracciato un parallelo tra il racconto biblico e l’attuale momento storico del Paese sudamericano segnato da sazioni e assedio militare statunitense. La data ricorda la strage ordinata dal re Erode contro i bambini di Betlemme, nel tentativo di eliminare il neonato Gesù, visto come una minaccia al suo potere.

Attraverso i propri canali social, il leader bolivariano ha lanciato un messaggio di fermezza e ottimismo, affermando che, così come Erode fallì di fronte a Gesù, oggi le forze imperialiste non prevarranno contro la nazione sudamericana: "Così come Erode fallì di fronte a nostro Signore Gesù Cristo, oggi non prevarrà neppure contro la nazione sudamericana", le sue parole. Maduro ha inoltre sottolineato come la resistenza del popolo venezuelano sia sorretta da una speranza incrollabile in un futuro migliore. 

Sulla stessa linea, la diplomazia venezuelana ha ampliato la riflessione allo scenario internazionale. Il ministro degli Esteri Yván Gil ha espresso profonda preoccupazione per la ripetizione di antiche tragedie in territorio palestinese, paragonando la situazione dei bambini nella Striscia di Gaza al massacro degli innocenti di Betlemme.

Il Ministro degli Esteri ha denunciato una politica di sterminio condotta da attori che, protetti da poteri imperiali in declino, agirebbero con la stessa crudeltà dell'Erode biblico. Gil ha definito quanto accade a Gaza un tentativo mortale che colpisce migliaia di innocenti, lanciando un appello globale per la tutela dei diritti fondamentali dell’infanzia.

Il diplomatico ha aggiunto che il Venezuela si unisce alla richiesta internazionale di un mondo in cui i minori possano crescere lontani da guerre, abusi e violenza, sottolineando l’urgenza di garantire alle nuove generazioni una vita piena e serena, dove prosperità e felicità sostituiscano il dolore dei conflitti.

In ultima analisi, il Governo bolivariano ha riaffermato il proprio impegno per la pace e la giustizia sociale, insistendo sul fatto che il vero significato di questa commemorazione risieda nella difesa attiva dei più vulnerabili. Caracas ha così commemorato la giornata del 28 dicembre ribadendo la speranza in un nuovo ordine mondiale capace di preservare la vita dei bambini in ogni angolo del pianeta.

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 19:28:00 GMT
IN PRIMO PIANO
USA: Trump ha avuto chiamata "produttiva" con Putin prima di incontrare Zelensky

Il presidente statunitense Donald Trump ha avuto una "buona e molto produttiva" conversazione telefonica con il suo omologo russo Vladimir Putin, poche ore prima di incontrare, alla presenza della stampa nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida, il leader ucraino Vladimir Zelensky. La chiamata, confermata dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, è avvenuta su iniziativa di Washington e ha gettato le basi per l'imminente confronto con Kiev.

Secondo il resoconto dell’assistente presidenziale russo Yuri Ushakov, Trump avrebbe sottolineato "la necessità di terminare la guerra quanto prima", evocando al tempo stesso "le impressionanti prospettive di cooperazione economica" che si aprirebbero dopo un accordo di pace. L’inquilino della Casa Bianca si sarebbe detto nuovamente convinto dell'impegno di Mosca per una soluzione politico-diplomatica, intendendo strutturare il successivo colloquio con Zelensky alla luce di questo scambio.

Dal Cremlino arriva però un netto monito al regime di Kiev. Ushakov ha affermato che per porre fine alle ostilità in modo definitivo è necessaria, da parte ucraina, "una decisione politica coraggiosa e responsabile" riguardante il Donbass, da adottarsi "senza indugio" considerando la situazione sul fronte. Sia Putin che Trump condividerebbero, in generale, la valutazione che l'opzione sostenuta da Kiev e da alcuni europei per un cessate il fuoco temporaneo - giustificato con la preparazione di un referendum o altri pretesti - non farebbe che prolungare il conflitto.

Lo scambio tra Washington e Mosca avviene su uno sfondo negoziale complesso. Nella settimana precedente, Stati Uniti e Ucraina hanno scambiato bozze sul piano di pace, ma la proposta in venti punti che Zelensky porterebbe con sé negli USA è stata definita dal Ministero degli Esteri russo "radicalmente distante" dalla versione discussa dalle due potenze. Già venerdì Trump aveva lasciato intendere uno scarso entusiasmo, affermando che Zelensky "non avrà nulla" senza la sua approvazione personale. Fonti di Politico riferiscono di un presidente USA tiepido e senza fretta di appoggiare l'iniziativa ucraina, che include l'istituzione di una zona smilitarizzata e garanzie di sicurezza da parte statunitense.

Mentre si attende l'esito del faccia a faccia di Mar-a-Lago, il dialogo russo-statunitense dimostra di essere, come ha commentato l'inviato speciale della presidenza russa Kirill Dmitriev, "il più importante" e quello che continua. Tutto sembra ora dipendere dalla capacità di Trump di mediare tra le posizioni, e dalla risposta di uno Zelensky che spalleggiato dai guerrafondai eruopei sembra essere più propenso a continuare le ostilità fino all'ultimo ucraino.

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 19:01:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Lavrov: "Se qualcuno decidesse di attaccare la Russia, la risposta sarà travolgente"

I circoli governativi della maggior parte dei paesi europei esagerano la fantomatica "minaccia russa" e "alimentano sentimenti russofobi e militaristi nella società", mentre "la Russia non ha mai intrapreso iniziative ostili verso i suoi vicini europei", ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov in un'intervista all'agenzia TASS.

"Ai poco perspicaci politici europei, ai quali spero venga mostrata questa intervista, ripeto ancora una volta: non c'è motivo di temere che la Russia attacchi qualcuno. Ma se qualcuno decidesse di attaccare la Russia, la risposta sarà travolgente", ha affermato, ribadendo gli avvertimenti pubblici di Vladimir Putin.

Allo stesso modo, Lavrov ha ricordato che qualsiasi contingente militare europeo inviato in Ucraina come "coalizione di volontari" - qualora venisse presa tale decisione - costituirà un "bersaglio legittimo" per le Forze Armate russe.

Mosca ha sottolineato in numerose occasioni che non pianifica alcun attacco contro i paesi europei.

La scorsa settimana Vladimir Putin ha denunciato come in certi paesi europei alla gente "vengano inculcati" timori su un presunto scontro inevitabile con la Russia, il che non è altro che una menzogna. "L'ho già detto più volte: questa è una menzogna, un'assurdità, semplicemente una follia sulla presunta minaccia russa per i paesi europei. Ma lo si fa in piena consapevolezza", ha dichiarato il presidente russo. "La verità è che la Russia, anche nelle circostanze più difficili, ha sempre cercato - fino all'ultimo, finché esisteva la minima possibilità - di trovare soluzioni diplomatiche alle contraddizioni e ai conflitti", ha sottolineato.

 

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 18:18:00 GMT
Dalla parte del lavoro
ANPI, Napoli e il doppio standard di guerra


di Giorgio Cremaschi*

La segreteria nazionale dell’ANPI ha sconfessato le sua sezione di Napoli, che il 22 dicembre aveva organizzato all’Università Federico II un incontro con il professor Angelo D’Orsi e con Alessandro di Battista sulla guerra in Ucraina.

L’incontro, partecipatissimo, aveva subito alla fine lo scatenamento di un gruppo di radicali, di sostenitori del regime di Zelensky e di estremisti di centro vari. Qualcuno era salito in piedi sul tavolo, altri avevano tentato di strappare il microfono dagli oratori, un altro aveva urlato: perche siete andati in Russia? Per chi l’aveva subìto e per gli stessi organizzatori dell’ANPI locale quello avvenuto è stato un atto squadrista, ma per la segreteria nazionale dell’organizzazione si è trattata di un semplice “flashmob di contestazione”. Sostanzialmente giustificato visto che la Russia è l’aggressore da condannare.

La stessa ANPI nazionale precedentemente aveva espresso piena solidarietà all’esponente del PD Emanuele Fiano, fondatore della “Sinistra per Israele” e contestato da un gruppo di studenti filopalestinesi all’Università di Venezia. Sempre l’ANPI nazionale aveva definito “ assalto di sapore squadrista” la manifestazione di giovani a Torino nei locali del quotidiano La Stampa.

A Napoli invece il metro di misura è stato diverso e, anche se gli aggrediti erano addirittura? parte della propria organizzazione, la segreteria nazionale dell’ANPI non ha speso una parola per difenderli, anzi.

Mentre Carlo Calenda rivendicava dannunzianamente l’impresa napoletana, c’era chi piegava la testa e chiedeva pietosamente di “abbassare i toni”.

Questa viltà della segreteria nazionale dell’ANPI non è solo frutto del suo totale collateralismo con il PD e con i suoi equilibri interni. C’è qualcosa di più grave e profondo: lo scivolamento di tutti i palazzi della politica italiana verso la logica della guerra.

Il massimo rappresentante di questa deriva è proprio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha appena affermato che il riarmo è necessario anche se impopolare, dopo aver pubblicamente sostenuto che la Russia sia il nuovo Terzo Reich. È evidente che se si afferma questo, chi sostiene un punto di vista critico sulla guerra e sulla NATO diventi nemico del paese. Antitaliano urlano quelli di Giorgia Meloni.

Papa Leone XIV ha appena sommessamente lamentato che chi rivendica la pace venga poi accusato di essere un agente del nemico. È? l’intolleranza verso il dissenso, che diventa tanto più forte e brutale quanto più l’Italia affonda nella politica di guerra.

La Russia è il nemico e ci vuole aggredire, la NATO è la nostra Patria e Israele, con tutti i suoi difetti, il nostro alleato. Questi sono i cardini del sistema politico italiano, e chi li viola va trattato da nemico. Per questo a Napoli non c’è stato squadrismo, mentre a Torino sì.

La segreteria nazionale ANPI ha fatto proprio il doppio standard guerrafondaio che governa la nostra politica e infatti ha sì affermato che “bisogna fermare la folle corsa al riamo”, ma contemporaneamente ha respinto “radicalmente qualsiasi accusa al Presidente della Repubblica che rappresenta l’unità nazionale”. E che del riarmo è il primo sostenitore.

Solidarietà a chi si oppone e subisce lo squadrismo di palazzo, il vero assalto alla democrazia.

Ecco il vergognoso comunicato della segretaria nazionale ANPI.

*Tratto da Facebook

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 18:09:00 GMT
Dalla Russia
Liquidazione del nazista Kapustin


di Marinella Mondaini

In risultato dell’attacco di un drone russo sulla direzione di Zaporiž’e, nei pressi di Guljaipole, è stato ucciso stamattina il fondatore dell'organizzazione “Corpo volontario russo” (RDK), vietata nella Federazione Russa e riconosciuta come terroristica, Denis Kapustin, inserito nella lista degli estremisti e dei terroristi della Federazione Russa. Lo hanno riferito la stessa organizzazione e i siti ukrobanderisti. 
Kapustin era un neonazista trasferitosi in Ucraina, dove fondò il “Corpo Volontario Russo” che combatte contro le Forze Armate russe.
In Russia è stato condannato in contumacia all'ergastolo dal tribunale militare per crimini di guerra e per tradimento di Stato. Aveva organizzato l’invasione della regione di Brjansk da parte dei sabotatori delle forze armate ucraine nel 2023, e commesso un’altra serie di crimini.

Denis Kapustin è un terrorista ed estremista, “rifugiato ebreo” in Germania. Un ebreo nazista.
Suo nonno Efim Karpman è un veterano della Grande Guerra Patriottica. Per quasi 20 anni è stato il direttore artistico del circo di Sochi.  In Germania viveva con la madre. Tuttavia, la donna ha da tempo interrotto ogni rapporto con il figlio a causa delle sue idee estremiste.
Nel 2019  in Germania gli era stato revocato il permesso di soggiorno. Le autorità tedesche gli hanno pure imposto il divieto di entrata nel paese, poiché hanno riconosciuto che “le sue aspirazioni sono dirette contro l’ordine sociale libero e democratico”, scrive il sito

https://ukraina.ru/20251227/1073705544.html

 

Gli inquilini del condominio nella zona est di Mosca, dove la famiglia Kapustin ha vissuto negli anni '90 prima di trasferirsi in Germania, hanno affermato che “il nonno lo avrebbe ucciso con le sue mani, se fosse stato ancora vivo”.
In Russia, tra l'altro, Kapustin aveva cambiato il cognome in Nikitin.

L'RDK è noto come un'unità che non ha combattuto molto. Sì, hanno attaccato sia la regione di Belgorod che quella di Kursk. Ma la funzione dell'RDK non era militare, bensì punitiva. Come i polizaj durante la Grande Guerra Patriottica. Terrorizzare i civili, maltrattarli, sparare ai bambini. E scattare belle foto. Come durante l'attacco terroristico alla regione di Brjansk, dove i collaborazionisti dell'RDK si sono fatti notare per la prima volta proprio in un'azione punitiva contro il popolo russo, prendendo anche in ostaggio molti civili.

L'RDK è sempre stata e rimane una cellula terroristica sotto l'egida del GUR, l’Intelligence militare ucraina. E aveva due compiti principali. Primo: dimostrare che ci sono dei “russi che combattono” (preferibilmente sui social con “belle foto”) contro il “sanguinario Cremlino per un'Ucraina libera e una Russia libera”. Secondo: coprivano gli attentati terroristici compiuti dal GUR in Russia. Ad esempio, Kapustin ha dichiarato che l'omicidio di Daria Dugina è stato “un'azione dell'RDK”.

I canali russi sono in fibrillazione e non nascondono la soddisfazione. “In effetti, scrive il giornalista russo Andrej Medvedev,” Kapustin ha avuto la sua punizione sotto forma di un drone russo oppure è stato semplicemente ucciso come un cane dai suoi padroni del GUR, perché non avevano più bisogno di lui. Da tempo avevano smesso di invitarlo ai programmi televisivi ucraini. Onestamente, questa è la versione più credibile. Attendiamo conferma dai nostri servizi segreti”.

Altri blogger russi scrivono che “Il traditore è sempre una morte vergognosa e una vita senza senso. Nessuno rispetta i traditori, nemmeno quelli a cui loro leccano i piedi. Il nazista dichiarato ha trovato la sua meritata fine nella regione di Zaporiž’e sotto i colpi dell'FPV-drone. Che la terra gli sia di cemento”.

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 17:23:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Gemellaggi saltati, censure nelle scuole e arresti di palestinesi


di Agata Iacono

Stavo per raccontare uno dei tanti episodi di sionismo nelle scuole italiane.
A Vicenza, la preside del liceo  Fogazzaro nega un'assemblea sulla situazione in Palestina, poiché "manca il contraddittorio".
Cioè gli studenti sono colpevoli  di non aver invitato i soldati israeliani in pausa blindata antistress in Italia, poiché psicologicamente provati dall'uccisione indiscriminata di bambini.

La preside non si è svegliata la mattina con la luna storta o in vena di iperbole.
Stessi gravissimi episodi emblematici di deriva autoritaria si sono manifestati in questi mesi in tutte le scuole italiane.
«Se organizziamo un incontro sulla violenza di genere dobbiamo invitare anche i violentatori?». 

È questa la domanda che si fanno i docenti delle scuole, dopo la circolare del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che limita la libertà di insegnamento e censura gli appuntamenti didattici relativi sia alla vera storia  del conflitto in Ucraina sia a qualsiasi evento riguardi la Palestina.
Formalmente il ministro impone che negli incontri con personalità esterne sia «garantito il pluralismo», una sorta di par condicio o di contraddittorio che però, sottolineano i docenti, è "inapplicabile se riguarda temi come i diritti umani".

Avevamo già raccontato come lo stesso ministro Valditara abbia vietato un corso di formazione dei docenti italiani sulla Pace e contro la militarizzazione delle scuole, con conseguente disciplinari, con queste motivazioni.

Non contento, ha criminalizzato le scuole che hanno osato ospitare il rappresentante ONU Francesca Albanese, avviando addirittura un'indagine...

Mi sembrava, in realtà mi sembra ogni volta, che il limite sia stato superato, che oltre non sia possibile spingersi, se non altro per non fomentare proprio quel clima di avversione, orrore , disgusto, contro lo stato genocida di Israele, che chiamano impropriamente "antisemitismo".

E, invece, pare che siano davvero convinti che la formuletta "solidarietà alla Palestina=terrorismo" possa realmente funzionare per intimidire, ricattare, tacitare per sempre la solidarietà di milioni di italiani nei confronti di Gaza e della Cisgiordania.

In questo quadro si inserisce la bocciatura del gemellaggio tra il paese di Riace e Gaza.

Perché fosse ratificato regolarmente il gemellaggio, già celebrato mesi fa con il sindaco di Gaza, presente da remoto, occorreva il placet del Ministero per gli affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli.
Un iter scontato, una prassi burocratica caratterizzata solitamente da automatismo.

E invece il sindaco Mimmo Lucano riceve una lettera a firma del ministro, che nega l'assenso al gemellaggio.

Lui stesso dichiara:

"Rimango senza parole alla vigilia di queste festività. Anche se il periodo storico che il mondo sta vivendo ci porta a trascorrere il Natale 2025 come uno dei più drammatici della storia dell’umanità, normalmente un sindaco, in questi giorni, si aspetta gli auguri dalle altre istituzioni. A Riace, invece, arriva una lettera con la quale il governo Meloni, per bocca del ministro leghista Calderoli, ci dice che non abbiamo il suo assenso al gemellaggio del mio Comune con la città di Gaza, per oltre due anni assediata da un vero e proprio genocidio messo in atto da Israele”.
È una lettera che reputo gravissima perché, senza alcuna spiegazione nel merito, il ministero degli Esteri accusa il sindaco di Gaza di essere legato ad Hamas. Come la nostra iniziativa possa arrecare danno alla politica estera italiana dovrebbe chiarirlo il ministro Antonio Tajani che, assieme a tutto il governo, sembra più interessato a capire cosa accade a Riace, piuttosto che impegnarsi in un reale percorso di pace in Palestina. Aver voluto a tutti i costi fare il gemellaggio tra Riace e Gaza è stato un atto di fraternità umana con il quale abbiamo, nel nostro piccolo, voluto riconoscere un popolo martoriato dalla guerra. Volevamo trasformare il dolore in speranza e unirci al messaggio di un mondo che nei palestinesi vede esseri umani e non terroristi, come fa invece il nostro ministero degli Esteri.
Rimango esterrefatto, perché quello che ho letto non è altro che un tentativo di azzerare una decisione di un Comune che non si occupa solo di buche nelle strade e che, a differenza del governo Meloni, non si gira dall’altra parte davanti ai bambini uccisi a Gaza”.
 

Ecco il testo della lettera:

"Gentile Sindaco,

mi riferisco alla missiva del 26 novembre 2025, con la quale è stato trasmesso lo schema del gemellaggio tra codesto Comune di Riace e la Città di Gaza (Palestina).

Al riguardo, a conclusione dell'istruttoria esperita presso le Amministrazioni interessate, si rappresenta che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha espresso parere negativo alla sottoscrizione del gemellaggio.

In particolare, il citato Dicastero ha evidenziato che "sussistono rilevanti motivi ostativi, connessi al legame esistente tra consigli locali e sindaci di Gaza e l'organizzazione terroristica Hamas, sottoposta a sanzioni da parte dell'Unione europea. Pertanto, ove effettivamente concluso, il gemellaggio in questione sarebbe suscettibile di arrecare un grave pregiudizio alla politica estera italiana. L'Italia, infatti, sostiene senza ambiguità la necessità di escludere Hamas da qualsivoglia futuro politico e securitario nella Striscia".

Ciò posto, tenuto conto delle considerazioni sopra riportate, non si ravvisano le condizioni necessarie al rilascio del prescritto assenso finalizzato alla sottoscrizione del gemellaggio in questione.
 
Roberto Calderoli".
 
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In sintesi il concetto è:  "Se aiuti il popolo palestinese aiuti Hamas e quindi sei un terrorista".
In altri termini, fino a quando i gazawi non accetteranno di essere  percepiti quali vittime di una catastrofe naturale senza colpevoli, e oseranno resistere, saranno tutti considerati terroristi, anche quelli nati ieri e morti di freddo.

Ed è proprio secondo tale distopia cognitiva e manipolazione sillogica, che oggi sono stati arrestati 9 attivisti volontari di associazioni che raccoglievano donazioni per fare arrivare cibo, acqua, coperte, medicine, tende, a Gaza.

L'accusa è quella di aver "dirottato parte dei 7,2 milioni di euro di donazioni alle milizie e non ai civili".
 
Insomma, siamo davanti alla solita fialetta di Colin Powell.
 
Nel mirino ci sono tre realtà benefiche. La prima è l'Associazione Benefica di Solidarietà col Popolo Palestinese (A.B.S.P.P.), fondata nel 1994 con sede a Genova; l'Organizzazione di Volontariato (A.B.S.P.P. O.D.V.), costituita nel 2003, sempre nel capoluogo ligure, l'Associazione Benefica La Cupola d'Oro, con sede a Milano, nata nel dicembre 2023.

Non è bastata la figuraccia che il governo italiano ha fatto arrestando e cercando di estradare Mohamed Shahin, Imam della moschea di S. Salvario, a Torino, tornato in libertà dopo 21 giorni di detenzione nel Centro per il rimpatrio di Caltanissetta dove si trovava, in seguito ad un decreto di espulsione firmato dal Ministro Piantedosi.

Adesso ci riprovano arrestando il presidente di API, l'Associazione dei palestinesi in Italia, Mohammad Hannoun.
Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 17:06:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La solidarietà degli studenti di Napoli al prof. D'Orsi


Il 22 dicembre scorso un manipolo di estremisti europeisti, accompagnati da alcuni imboscati ucraini, ha fatto irruzione nella sede della conferenza organizzata dall’ANPI di Napoli, “Russofobia, russofobia: verità”, contestando gli intervenuti e arrivando a strappare di mano il microfono al professor Angelo D’Orsi. Dopo questo episodio di grave intimidazione, né l’ANPI nazionale né le forze politiche locali hanno espresso la benché minima solidarietà; al contrario, di concerto con gran parte della stampa filo-europea, sono state lanciate accuse e insulti nei confronti delle vittime dell’accaduto.

In questo quadro particolarmente grave, merita invece di essere segnalata positivamente l’iniziativa di un gruppo di studenti dell’Università di Napoli, che ha deciso di diffondere un comunicato di solidarietà al professor D’Orsi.

 


In merito ai fatti del 22/12 

Col Natale alle porte, il 22/12 si è tenuto presso la nostra università, la Federico Il di Napoli, un convegno organizzato dall'ANPI, con gli interventi di Alessandro Di Battista e del prof. Angelo D'Orsi. Mentre c'era chi pregustava struffoli e pandoro, c'era anche chi organizzava una (lecita, in quanto vige ancora seppure debolmente una dimensione democratica) contestazione. Contestazione giustificata con l'accusa di "russofilia" verso gli organizzatori. Al termine del convegno, una manica di militanti liberali (varie sigle: Ora, Radicali, +Europa e l'associazione LiberiOltre), assoldando ideologicamente persone di origine ucraina e di chiaro schieramento anti-russo, hanno messo in piedi un ridicolo flash mob, al quale è seguito un'aggressione verbale (e per poco anche a carattere fisico) ai danni dei medesimi organizzatori del convegno, in nome di una presunta difesa dell'altrettanto supposta lesa "democrazia" e della libertà dell'Ucraina. Tentativi di apporre (democraticamente) spille azovite (simbolo di crimini e violenza terrificanti dal ormai quasi un dodicennio nell'Oriente Ucraino) sul docente D'Orsi; sottrazione (democratica) del microfono dalle mani del suddetto docente; contestazione del viaggio (nondemocratico) del prof. D'Orsi nella cosiddetta "terra del male" (la Russia) e via discorrendo. Nel mentre della contestazione, i nondemocratici (D'Orsi, Di Battista ? organizzatori) ascoltavano il democraticissimo discorso di un giovane esponente liberale. È seguito poi il caos: non contenti, gli squadristi liberali, hanno ritenuto fosse legittimo e democratico inseguire il prof. D'Orsi, in lungo e in largo per l'università, per chiedere spiegazioni in merito al suo viaggio in Russia (non accettabile in una democrazia). II professore è costretto, dunque, a dover lasciare la città, con sdegno e manifestando (giustamente) preoccupazione per quanto accaduto. E pure, il prof. D'Orsi, a cui va tutto il nostro sostegno, la nostra stima e solidarietà, non è nuovo a questo tipo di "contestazione democratica". Già nel mese scorso, infatti, il suo convegno sulla "Russofobia", è stato più volte censurato nella sua Torino: prima dal tandem Picierno-Calenda (fresco di tatuaggio), successivamente dai salesiani, presso i quali doveva tenere tale convegno. Ma non è tutto: negli ultimi 4 anni, chiunque provi a far luce su quanto accade in Ucraina, chiunque provi ad analizzare criticamente la situazione e chiunque provi a dissentire rispetto alla propaganda ufficiale di regime, viene (democraticamente) censurato. È successo al prof. Orsini, ultimamente a Lucio Caracciolo (e alla sua rivista di geopolitica Limes), al giornalista Giorgio Bianchi e molti ancora. Questo è il clima di censura instaurato in Italia (e non solo) in questi anni, difeso a spada tratta dai media, dai partiti e, ora, dai democratici squadristi. Alla luce di questi fatti, come studenti di Storia della Federico II, siamo chiamati a difendere la (vera) libertà di parola, la (vera) libertà di espressione e la verità, e a condannare ogni tentativo di deturpamento di questi principi, da qualsiasi parte politica provenga. In quanto aspiranti storici noi dobbiamo porci come sentinelle della veridicità se non immediatamente della verità storica: non possiamo accettare manipolazioni dei dati, offuscamento della realtà, vittimismo infame e smentito da prove visive e testimonianze degli aggrediti. Vogliamo che emerga dalle occasioni di confronto non il tentativo di inquisire un intero popolo ricco di Storia e di glorie quale quello delle Russie, ma gli effettivi argomenti che consentano di ricostruire il quadro di una guerra che militarmente si disputa da quasi 4 anni apertamente e più di 10 nelle forme più disparate. Si parli di Odessa e dei suoi martiri, di Euromaidan, delle 13 basi americane nascoste al fronte che conduce alle porte di Mosca, dei fondi che l'Occidente ha inviato alle vili élites oligarchiche di Kiev che hanno provocato la morte di un'intera generazione di giovani ucraini. Il nostro augurio è che tra questi due popoli torni a splendere il segno della fratellanza e del bene, contro i nemici che lavorano contro gli interessi di quello che è un nostro vicino (molto di più dei campioni democratici statunitensi) ovverosia la Russia. La nostra solidarietà al prof. D'Orsi, ad Alessandro Di Battista, agli organizzatori dell'ANPI e a tutti i presenti".

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 17:00:00 GMT
OP-ED
L’ARRESTO DI HANNOUN. REPRESSIONE-METODO E MOVIMENTO INNOCUO

 

 

Pasquale Liguori

 

C’è qualcosa di ipnotico nel leggere, in fila, le dichiarazioni di Calenda, Meloni, Renzi, Lupi, Picierno, Salvini e Tajani. Non è politica: è karaoke. Uno spartito unico, un’impressionante omogeneità lessicale, simbolica e politica. Parole d’ordine preconfezionate: infiltrazioni, tolleranza zero, sicurezza, ordine.

L’arresto di Mohammad Hannoun ha un obiettivo tricolore preciso: criminalizzare retroattivamente e in prospettiva l’intero campo palestinese. Non è un caso che Calenda parli di “movimenti infiltrati”, che Picierno ne approfitti per cucire il fantasy del filo “galassia putiniana”-Palestina, che Salvini ironizzi sulle masse e che Meloni celebri l’operazione come una vittoria geopolitica. Tutti mobilitati a ridefinire il perimetro del dicibile.

Dentro questo trionfalismo securitario colpisce soprattutto ciò che manca (al netto della disonestà intellettuale e della profonda ignoranza storico-politica su cosa siano resistenza, Hamas, Gaza). È un’analisi condotta col buco intorno: non esiste occupazione illegale; non esiste idiritto alla resistenza; non esiste la parola genocidio.

Per costoro, bisogna infatti rassicurare i carnefici. Dire a Israele, agli Stati Uniti, all’architettura imperiale occidentale: «Siamo affidabili. Conteniamo il dissenso. Facciamo anche noi il lavoro sporco». È lo stesso ceto politico che esprime esponenti apicali che, senza imbarazzo, dichiarano di voler accogliere sul suolo italiano criminali sionisti ricercati a livello internazionale. Qui il doppio standard non è un inciampo: è la regola. Da questa gente te lo puoi aspettare.

Che Hannoun sia una voce autentica palestinese è evidente a chiunque lo abbia ascoltato. Ed è proprio questo il punto: non il “terrorismo”, ma la legittimità politica di una parola — resistenza — che non chiede permesso all’Occidente per esistere.

La cosa più disgustosa (ma non sorprendente) è un’altra. Una vasta parte del nostrano movimento “ProPal” mostra tutta la sua debolezza strutturale: si ritrae, si disperde, balbetta. Nessuna linea, nessun nerbo, nessuna voce realmente forte, autorevole e acuta. Non riesce a prendere parola ferma e incarnare una posizione di rottura. E Hannoun, in definitiva, appare praticamente solo. Questo isolamento non è casuale: è il prodotto di anni e, soprattutto, di mesi recenti di depoliticizzazione, moralismo e paura di essere “radicali”. La galassia “ProPal”, con buona manualità esperta di selfie arcobaleno, si limita a postare indignazione a bassa intensità: regge finché la solidarietà non costa nulla.

Qui va spezzato un equivoco che circola anche in ambienti che si immaginano radicali e che, purtroppo, funziona come anestetico politico. La repressione non è, di per sé, una rivelazione. Non chiarisce automaticamente il conflitto, né apre inedite possibilità solo perché mostra il volto duro del potere. Senza organizzazione, senza una lettura reale dei rapporti di forza, senza una strategia capace di reggere l’urto, la repressione non è una crepa del sistema: è il suo funzionamento ordinario. È il modo con cui il potere seleziona chi può essere isolato e reso sacrificabile senza costi politici rilevanti. Ed è ciò che sta accadendo. Hannoun e gli altri con lui arrestati non vengono colpiti perché il sistema è in difficoltà, ma perché il campo che avrebbe dovuto difenderlo è stato reso innocuo, moralizzato, frammentato. La repressione non arriva dopo la debolezza: la utilizza. La sfrutta e la mette a valore.

Non si costruisce alcun movimento reale a colpi di indignazione, né brandendo citazioni come lasciapassare identitari. La guerra, la repressione, la pace non si spiegano con gli anatemi, ma seguendo i flussi materiali di potere: il denaro, gli interessi economici, le architetture che rendono conveniente il conflitto e sostenibile la violenza coloniale. Senza questo sguardo, ogni discorso “antimperialista” resta una posa estetica della radicalità, autocompiacimento. Un movimento moltitudinario del comune non nasce dai selfie arcobaleno, né dalla liturgia della purezza, ma dalla capacità di capire chi decide, chi guadagna, chi paga, e come colpire quei nodi. Tutto il resto - rutti ideologici, scomuniche reciproche, citazioni peraltro improprie - non produce forza. Serve solo a mascherare l’impotenza mentre il potere, molto concretamente, seleziona i suoi bersagli.

Questo vuoto, questa incapacità di reagire in modo politico alla repressione, non cade dal cielo. È il risultato diretto di un movimento costruito come sommatoria occasionale di presenze, privo di orientamento, di organizzazione e di senso della lotta. Un campo che ha confuso la massa con la forza, la visibilità con il radicamento, l’evento con il conflitto. Un movimento che non sa - o non vuole - assumere fino in fondo ciò che la resistenza palestinese ha mostrato nella pratica: che senza disciplina, continuità e capacità di reggere il costo politico e umano dello scontro, la solidarietà resta un gesto revocabile, facilmente neutralizzabile.

In questo quadro, dunque, il silenzio dominante che oggi circonda Hannoun non è un’anomalia: è una conseguenza. È lo stesso campo che, per mesi, è stato cavalcato opportunisticamente da figure pronte a salire sui palchi quando la solidarietà garantiva consenso e visibilità, ma del tutto indisponibili a esporsi quando il prezzo diventa reale. In particolare, quegli esponenti di partiti “presentabili” che hanno calcato - e persino convocato, applauditissimi - le manifestazioni oceaniche e le iniziative a sostegno di regate nel Mediterraneo, oggi scompaiono. Gli stessi che, di fronte a restrizioni dirette a soggetti più appetibili sul piano mediatico ed elettorale, si erano spesi in roboanti atti di denuncia, ora tacciono. Zero parole, zero conflitto: Hannoun non è un simbolo spendibile, ma una voce palestinese reale; non un testimonial, ma un soggetto politico. È precisamente per questo che può essere lasciato solo. E perciò gli annacquati politici “progressisti”, inebriati dal lusso delle loro decorate e ostentate dimore natalizie, scelgono la confortevole e complice prudenza del singhiozzo: «la giustizia farà il suo corso, siamo garantisti».

Chi oggi applaude o tace non sta “aspettando gli accertamenti”. Sta dicendo che il problema non è il genocidio, ma chi lo nomina; non è l’occupazione, ma chi la contrasta; non è la violenza coloniale, ma chi non si inginocchia. È tutto insieme un mondo decadente, in putrefazione.

 

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 15:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La Nigeria smentisce la narrazione religiosa di Trump sui bombardamenti

Il governo nigeriano ha chiarito la propria posizione riguardo ai recenti bombardamenti nel nordovest del Paese, respingendo la cornice religiosa in cui il presidente statunitense Donald Trump ha voluto inquadrare l’operazione. A pochi giorni dagli attacchi aerei condotti congiuntamente dagli Stati Uniti e approvati da Abuja, il ministro degli Esteri nigeriano, Yusuf Tuggar, ha ribadito che l’obiettivo dell’azione militare era esclusivamente antiterrorista e non legato a una presunta difesa del cristianesimo.

Trump, in un messaggio pubblicato sulla piattaforma Truth Social, aveva definito l’intervento come una risposta a una “massacro di cristiani” e parte di una campagna globale per “salvare il cristianesimo”. Una narrazione che, secondo Tuggar, non corrisponde alla realtà sul terreno. “Non si tratta di religione, si tratta di nigeriani, civili innocenti”, ha affermato il ministro, sottolineando che le vittime degli attacchi terroristici appartengono a tutte le fedi - musulmani, cristiani, appartenenti ad altre religioni o non credenti - e che la violenza jihadista rappresenta un’offesa ai valori fondanti della Nigeria e alla sicurezza internazionale.

L’operazione, condotta nello Stato di Sokoto con l’approvazione personale del presidente Bola Tinubu, è stata preceduta da una lunga conversazione tra Tuggar e il segretario di Stato USA Marco Rubio. Il ministro ha tenuto a precisare che si è trattato di uno sforzo congiunto, ma ha messo in guardia contro qualsiasi forma di intervento che possa minare la sovranità nazionale. Pur non escludendo una maggiore collaborazione con Washington - già manifestatasi in passato con la fornitura di aerei Super Tucano durante la prima amministrazione Trump - Tuggar ha ribadito che ogni futura cooperazione dovrà rispettare l’integrità territoriale e la piena autonomia decisionale della Nigeria.

Di fronte alle accuse di Trump, che da settimane denunciava un presunto genocidio dei cristiani in Nigeria e aveva persino minacciato un intervento militare diretto, il governo nigeriano ha respinto con fermezza l’idea di una persecuzione religiosa sistematica. In un comunicato ufficiale, il ministero degli Esteri ha ricordato come nigeriani di diverse confessioni abbiano convissuto pacificamente per decenni, praticando liberamente la propria fede. Al tempo stesso, ha chiesto maggiore sostegno internazionale nella lotta al terrorismo, riconoscendo la complessità della minaccia rappresentata dal ramo locale dello Stato Islamico.

Nel frattempo, il segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth ha assicurato che “ci saranno altri” bombardamenti contro il gruppo terroristico. Tuttavia, dal punto di vista nigeriano, ogni azione futura dovrà inserirsi in una strategia condivisa, rispettosa della leadership locale e focalizzata sulla protezione di tutti i civili, senza distinzioni di fede. La Nigeria, dunque, rifiuta di farsi strumentalizzare in una narrazione che divide per religione, insistendo invece sulla natura universale della minaccia terroristica e sull’unità nazionale come fondamento della propria risposta.

Data articolo: Sat, 27 Dec 2025 16:50:00 GMT