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#news #antidiplomatico
Il presidente russo Vladimir Putin ha ricevuto giovedì un rapporto sulla completa liberazione della città di Seversk, situata nella Repubblica Popolare di Donetsk. Lo ha riferito il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, al termine di una riunione presidenziale dedicata alla situazione nella zona dell'operazione militare speciale e allo sviluppo degli eventi nel nord della Repubblica. Lo riporta Tass.
Nel corso dell'incontro, Putin ha lodato l'esercito per aver mantenuto la parola data, ricordando che l'alto comando si era impegnato a portare Seversk sotto controllo russo entro il 15 dicembre. "Ora voglio restituire queste parole a lei e a tutti i suoi comandanti e soldati: L'ha detto e l'ha fatto. Un vero uomo!", ha dichiarato il presidente, rievocando un elogio ricevuto in passato da una civile del Daghestan.
Un obiettivo di valore strategico
La località è stata teatro di duri combattimenti per settimane, poiché era stata precedentemente rinforzata con fortificazioni in cemento. Il capo di Stato Maggiore russo, Valery Gerasimov, aveva già informato in precedenza che a Seversk erano in corso intensi combattimenti urbani.
Gli esperti militari hanno sottolineato l'importanza strategica della città per le forze armate ucraine, che la utilizzavano come centro logistico cruciale. L'esercito ucraino la impiegava come un hub per l'accumulo di truppe, da cui i soldati venivano inviati verso la linea di contatto.
Il Ministero della Difesa russo ha diffuso giovedì le prime immagini della città liberata. Secondo il comunicato dell'ente, dopo la presa del controllo, i militari russi hanno perlustrato gli edifici residenziali e hanno offerto assistenza medica, cibo, acqua potabile e medicine ai civili rimasti. Le forze russe stanno anche ispezionando l'area alla ricerca di ordigni esplosivi e offrono agli abitanti la possibilità di essere evacuati in zone sicure.
Seversk si aggiunge a una serie di località che, secondo le dichiarazioni russe, sono state liberate negli ultimi giorni, tra cui Novodanilovka nella provincia di Zaporizhzhia, e Chervonoye e Rovnoye nella Repubblica Popolare di Donetsk. Inoltre, Gerasimov ha riferito che la parte meridionale della città strategicamente importante di Dimitrov (Mirnograd per l'Ucraina) è sotto il totale controllo dell'esercito russo.
Putin, nel commentare gli sviluppi, ha sottolineato la "buona dinamica" delle truppe russe su tutti i fronti, affermando che l'iniziativa strategica sul campo di battaglia è completamente nelle mani dell'esercito russo.
Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 19:00:00 GMT
di Marinella Mondaini*
di Fabrizio Verde
Mercoledì 10 dicembre 2025, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato pubblicamente il sequestro di una petroliera nelle acque adiacenti al Venezuela, dichiarando senza alcun imbarazzo: “Beh, ce la teniamo, immagino”. Con queste parole, pronunciate con un tono quasi scherzoso davanti ai giornalisti, Washington ha dato il via a un’operazione che Caracas ha immediatamente definito “palese furto” e “atto di pirateria internazionale”. Si tratta di un episodio che non solo viola i fondamenti del diritto marittimo internazionale, ma che smaschera con rara chiarezza le vere intenzioni strategiche ed economiche che da anni animano l’aggressività statunitense nei confronti della Repubblica Bolivariana del Venezuela.
???? Trump sobre el petrolero incautado a Venezuela:
— Extra News Mundo (@extranewsmundo) December 11, 2025
“Nos vamos a quedar con el petróleo”.
El mandatario presume del buque: “El más grande que se haya visto nunca”.
Venezuela alerta de una agresión militar y denuncia que Washington busca apropiarse de recursos regionales.#Trump… pic.twitter.com/OOb7xY0ExN
Il comunicato ufficiale del governo venezuelano, diffuso dal ministro degli Esteri Yván Gil, sottolinea che non si tratta di un’azione isolata. Già durante la campagna elettorale del 2024, Trump aveva dichiarato apertamente che il suo obiettivo era “impadronirsi del petrolio venezuelano senza versare alcun compenso in cambio”. Questa ammissione, unita al furto spacciato per sequestro, non lascia dubbi: la cosiddetta “politica di pressione” contro Caracas non è mai stata motivata da preoccupazioni umanitarie, democratiche o di sicurezza, ma da un piano deliberato di saccheggio delle risorse energetiche del paese sudamericano, che possiede le più vaste riserve petrolifere accertate al mondo. Senza dimenticare altre risporse come oro, minerali e acqua dolce di cui il Venezuela è ricco.
#COMUNICADO | La República Bolivariana de Venezuela denuncia y repudia enérgicamente lo que constituye un robo descarado y un acto de piratería internacional, anunciado de manera pública por el presidente de los Estados Unidos, quien confesó el asalto de un buque petrolero en el… pic.twitter.com/a5IFcSRQkp
— teleSUR TV (@teleSURtv) December 10, 2025
L’operazione, condotta da unità del Federal Bureau of Investigation (FBI), della Homeland Security Investigations (HSI), della Guardia Costiera e del Dipartimento della Difesa, è stata immortalata in un video pubblicato dalla stessa procuratrice generale USA, Pam Bondi. Le immagini mostrano un elicottero militare statunitense che si posiziona sopra la nave, da cui scendono agenti armati che irrompono a bordo. Nessuna autorizzazione internazionale, nessun mandato emesso da un tribunale neutrale, nessuna prova presentata pubblicamente: soltanto una forza armata che si appropria arbitrariamente di un bene che, come evidenzia Caracas, appartiene al popolo venezuelano.
????Estados Unidos difunde video de piratería contra tanquero en costas venezolanas
— teleSUR TV (@teleSURtv) December 10, 2025
????La fiscal Pam Bondi difundió imágenes de la incautación de un petrolero, acción que se enmarca en la escalada militar de Washington y las denuncias venezolanas sobre agresiones en el Caribe.… pic.twitter.com/nwkh25k8g8
Washington ha giustificato l’azione come una “procedura giudiziaria esecutiva contro una nave apolide”, sostenendo che il petrolio trasportato sarebbe stato oggetto di sanzioni. Tuttavia, questa motivazione appare fragile, se non pretestuosa. In primo luogo, il concetto di “nave apolide” è spesso usato in modo strumentale per eludere le norme sulla sovranità e la protezione dei beni statali. In secondo luogo, il governo venezuelano ricorda che lo stesso Stato nordamericano, attraverso la compagnia Chevron, continua a operare legalmente in Venezuela e a comprare petrolio venezuelano grazie a licenze speciali concesse dal Tesoro statunitense. Come osserva il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov: “Chevron opera in Venezuela e acquista petrolio venezuelano. Allora, quali volumi ‘illegali’ di greggio erano su quella nave? È una domanda che va chiarita”.
La reazione internazionale è stata netta e articolata. L’Iran ha condannato “l’azione illegale e ingiustificata” degli Stati Uniti, definendola una “grave violazione del diritto internazionale” e un tentativo di “promuovere l’anarchia”. Cuba, attraverso il suo ministro degli Esteri Bruno Rodríguez, ha denunciato un “vile atto di pirateria”, in palese violazione della libertà di navigazione e del libero commercio. La Russia, invece, ha scelto un tono più diplomatico ma altrettanto fermo: Lavrov ha chiesto trasparenza sulle basi legali dell’operazione e ha ribadito che questioni come la sicurezza marittima devono essere affrontate collettivamente, non tramite “azioni unilaterali che impongono fatti compiuti”. Nella stessa giornata, il presidente Vladimir Putin ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo venezuelano Nicolás Maduro, nel quale ha espresso solidarietà a Caracas e ha riaffermato l’impegno a sviluppare cooperazioni strategiche nei settori energetico, finanziario e commerciale.
Anche in America Latina la condanna verso le azioni ostili degli USA è significativa. Sebbene con toni cauti, governi come quelli di Colombia, Messico e Brasile hanno espresso preoccupazione per l’escalation militare statunitense e hanno ricordato l’importanza del principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati. Parallelamente, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha criticato le recenti operazioni navali USA, definendole “esecuzioni sommarie” che violano il diritto internazionale umanitario. A rendere ancora più inquietante il contesto è il fatto che, secondo le stesse agenzie degli Stati Uniti come la Drug Enforcement Administration (DEA), la rotta venezuelana rappresenta meno del 20% del traffico di droga diretto negli Stati Uniti, con oltre l’80% delle sostanze che entra via Pacifico. I bombardamenti condotti da Washington contro presunte “narcoimbarcazioni” - che hanno causato la morte di oltre ottanta persone - appaiono dunque come una copertura per operazioni di natura ben diversa. In quest’ottica il furto della petroliera venezuelana può essere definito paradigmatico.
La acción ilegal del gobierno de Estados Unidos para incautar un buque petrolero venezolano sin ninguna razón justificada y legal en el Mar #Caribe es una grave violación de las leyes y normas internacionales, incluyendo el principio inviolable de la libertad de los mares y la… pic.twitter.com/QHEWZPUYi7
— Embajada de la R. I. de Irán en Venezuela (@Eiranencaracas) December 11, 2025
Già dal mese di agosto, infatti, gli Stati Uniti hanno mantenuto un imponente schieramento militare al largo delle coste venezuelane: cacciatorpediniere, un sottomarino nucleare, caccia da combatimento e truppe speciali, ufficialmente mobilitati nell’ambito dell’“Operazione Lancia del Sud”, presentata come anti-narcotraffico. Ma Caracas non crede a questa narrazione. Il ministro della Difesa venezuelano, Vladimir Padrino López, ha più volte avvertito: “L’imperialismo vuole dominare e fare suo questo continente”. E ha lanciato un monito all’intera regione: “Allerta, Venezuela! Allerta, America Latina!”. Secondo il governo bolivariano, il vero obiettivo è un cambio di regime finalizzato all’appropriazione di risorse strategiche: petrolio, gas, oro, persino acqua.
Ma allora, perché proprio ora? Perché gli Stati Uniti sembrano disposti a mettere in discussione la propria credibilità internazionale per un ingente carico di petrolio?
La risposta va cercata nei dati economici più recenti sul futuro dell’industria estrattiva statunitense. Secondo un rapporto dell’Enverus Intelligence Research pubblicato nel dicembre 2025, il costo marginale del petrolio da scisto negli Stati Uniti - finora pilastro dell’indipendenza energetica statunitense - è destinato a salire in modo drammatico. Si passerebbe dagli attuali 70 dollari al barile a ben 95 dollari entro la metà degli anni Trenta. Questo incremento è dovuto all’esaurimento progressivo dei giacimenti più ricchi e accessibili (il cosiddetto “core inventory”) e al conseguente spostamento verso aree più speculative e costose da sfruttare.
Alex Ljubojevic, direttore di Enverus, ha dichiarato: “L’egemonia del Nord America nel soddisfare la crescita della domanda globale di petrolio sta venendo meno. Nei prossimi dieci anni, il suo contributo scenderà al di sotto del 50%, a differenza del decennio precedente, in cui ha coperto oltre il 100% della domanda aggiuntiva”. In altre parole, il “miracolo dello shale oil” sta esaurendo la sua spinta. Eppure, la domanda mondiale di energia continua a crescere. In questo contesto strategico, il Venezuela - con le sue riserve petrolifere stimate in oltre 300 miliardi di barili - diventa un’opportunità troppo grande per essere ignorata.
Non a caso, Trump ha esultato per le dimensioni della petroliera sequestrata: “Una nave grande. Molto grande. La più grande che si sia mai vista”. E ha aggiunto con ambiguità: “Stanno accadendo altre cose che vedrete presto”. Queste parole, unite all’annuncio esplicito di voler trattenere il carico di greggio, rivelano una logica predatoria che non ha più bisogno di nascondersi dietro la retorica sui diritti umani o sulla democrazia. Come ha affermato la vicepresidente venezuelana Delcy Rodríguez: “Cadono le maschere. La verità è stata svelata. L’obiettivo reale degli Stati Uniti è il petrolio del Venezuela: rubarlo e appropriarsene illegittimamente, senza pagare nulla”.
A rendere ancora più complessa la situazione è il coinvolgimento diretto di attori dell’opposizione venezuelana in questa partita geopolitica. Il segretario generale del Partito Socialista Unido del Venezuela (PSUV), Diosdado Cabello, ha rivelato che la multinazionale ExxonMobil avrebbe finanziato con tre milioni di euro la logistica del viaggio di María Corina Machado in Norvegia per il premio Nobel, coprendo spese per oltre duecento persone tra familiari, giornalisti, influencer e politici di destra. Secondo Cabello, Machado avrebbe promesso alla compagnia di ripagarla con petrolio venezuelano, legando così il proprio progetto politico a interessi estranei alla sovranità nazionale. Questo episodio, denunciato a giusta ragione come un tentativo di “svendere il patrimonio nazionale in cambio di appoggio internazionale”, mostra quanto il conflitto in Venezuela non sia più solo interno, ma una battaglia globale per il controllo delle risorse energetiche del futuro.
In ultima analisi, il sequestro della petroliera non è un semplice atto di forza: è un sintomo di un mutamento strutturale nelle strategie imperiali nordamericane. Di fronte al declino della propria capacità produttiva che hanno reso gli un paese esportatore invece che importatore di petrolio, Washington non esita a ricorrere a forme di appropriazione diretta, bypassando il diritto internazionale e legittimando l’uso della forza come strumento di politica commerciale. Questo episodio, se non fermato, potrebbe aprire la strada a un nuovo ciclo di colonialismo energetico, dove la sovranità dei popoli del Sud del mondo viene calpestata a vantaggio di poche multinazionali e di un’agenda geopolitica unilaterale. Il Venezuela, sostenuto da una crescente solidarietà internazionale, si trova oggi in prima linea nella difesa di un principio fondamentale: le risorse naturali appartengono a chi le possiede, non a chi ha le navi più potenti. E come ha affermato Diosdado Cabello: “Contro la dignità di un popolo non possono vincere né le bombe, né i missili, né la guerra psicologica”.
Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 16:17:00 GMT
Alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace, Maria Corina Machado appoggia con entusiasmo l'atto di pirateria militare compiuto dagli Stati Uniti contro una petroliera venezuelana e il furto del suo carico di petrolio.
"Le istituzioni imperialiste occidentali onorano i politici del Sud del mondo che cedono le risorse dei loro paesi". E' il commento del giornalista fondatore di The Gray Zone Max Blumenthal.
Queste le sue parole sottotitolate in italiano.
"Alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace, Maria Corina Machado appoggia con entusiasmo l'atto di pirateria militare compiuto dagli Stati Uniti contro una petroliera venezuelana e il furto del suo carico di petrolio
— l'AntiDiplomatico (@Lantidiplomatic) December 11, 2025
Le istituzioni imperialiste occidentali… pic.twitter.com/zYgp3MI4fA
"Beh, ehm, è collegato a quello che, che ho risposto prima perché, come ho detto, il regime sta usando, ehm, le risorse,
i flussi di denaro che provengono da attività illegali, compreso il mercato nero del petrolio". E ancora: "Quindi sì, questi gruppi criminali devono essere fermati e tagliare le fonti delle attività illegali è un passo molto necessario da fare. Un passo molto necessario da compiere." Parole da Premio Nobel per la NATO.
"Gli Stati Uniti hanno sequestrato una petroliera al largo delle coste del Venezuela. Chiamiamolo con il suo nome: un atto di pirateria". Jeremy Corbyn ha preso oggi la parola nella Camera inglese e ha rivolto questa semplice domanda al ministro degli esteri inglese.
"Il ministro non pensa, in modo responsabile, che il governo sia straordinariamente accondiscendente a una dichiarazione degli Stati Uniti con cui si attribuiscono il diritto di interferire negli affari interni di qualsiasi Paese al mondo con cui non sono d'accordo?"
Il riferimento dell'ex leader del partito laburista è agli atti di pirateria che gli Stati Uniti stanno portando avanti nei Caraibi. "Sequestrando una petroliera e prendendola in custodia senza alcun fondamento nel diritto internazionale e senza alcun tipo di minaccia militare", prosegue Corbyn, siamo fuori dal diritto internazionale.
Video con sottotitoli in italiano
Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 15:00:00 GMT"Gli Stati Uniti hanno sequestrato una petroliera al largo delle coste del Venezuela. Chiamiamolo con il suo nome: un atto di pirateria. "
— l'AntiDiplomatico (@Lantidiplomatic) December 11, 2025
Jeremy Corbyn pic.twitter.com/AoBUPCvJEZ
"Dobbiamo essere pronti, perché alla fine di questo primo quarto del XXI secolo, i conflitti non si combattono più a distanza di sicurezza. Il conflitto
è davanti alla nostra porta. La Russia ha riportato la guerra in Europa, e dobbiamo essere pronti a un livello di sofferenza che i nostri
nonni e bisnonni hanno vissuto".
Lo ha dichiarato il segretario generale della Nato Mark Rutte oggi 11 dicembre in conferenza stampa.
Vi consigliamo caldamente la visione totale del suo intervento che vi abbiamo sottotitolato in italiano per comprendere dove ci sta portando il governo vassallo della Meloni nel seguire supinamente le scelte di Nato e Unione Europea.
Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 15:00:00 GMT"Dobbiamo essere pronti..."
— l'AntiDiplomatico (@Lantidiplomatic) December 11, 2025
Le inquietanti parole del Segretario Nato Rutte oggi pic.twitter.com/eLJe4WZ0vC
Arrestato a La Paz, capitale della Boliva, l'ex presidente Luis Arce da una forza speciale anticorruzione. La detenzione, carica di tensione e accuse incrociate, segna un episodio senza precedenti nel Paese andino e arriva a soli trenta giorni dall'insediamento del nuovo presidente conservatore, Rodrigo Paz, che ha interrotto due decenni di governo socialista del MAS.
L'arresto è legato a un'indagine su presunte malversazioni nel Fondo de Desarrollo para los Pueblos Indígenas Originarios y Comunidades Campesinas (Fondioc), un fondo statale dedicato allo sviluppo delle comunità indigene e contadine, storica base elettorale del Movimento al Socialismo (MAS). Arce, già ministro dell'Economia durante la presidenza di Evo Morales e presidente dal 2020 al 2025, è stato membro del consiglio di amministrazione del fondo dal 2006 al 2017.
Secondo le accuse dell'ufficio del procuratore generale, l'ex presidente sarebbe responsabile dei reati di "incumplimiento de deberes" (inosservanza dei doveri) e "conducta antieconómica" (condotta antieconomica). Un alto funzionario del governo Paz, Marco Antonio Oviedo, ha dichiarato che Arce è ritenuto il "principale responsabile" di un danno erariale stimato in 200 milioni di dollari, accusandolo di aver autorizzato trasferimenti irregolari di denaro pubblico verso conti personali, distraendo fondi destinati a progetti di sviluppo rurale.
???? #GrupoFides | #ANF Joel Lara, abogado del hijo de Marco Antonio Aramayo, principal denunciante del desfalco al Fondo Indígena, informó que ayer enviaron una carta al vicepresidente Edmand Lara para hacerle conocer que Luis Arce firmó los desembolsos de dinero. pic.twitter.com/rVtpSzfmkW
— Agencia de Noticias Fides (@noticiasfides) December 10, 2025
"È la decisione di questo governo combattere la corruzione, e arresteremo tutti i responsabili di questo massiccio peculato", ha affermato Oviedo, presentando l'operazione come l'adempimento di una promessa elettorale fondamentale. Il vicepresidente Edmand Lara ha rilasciato un video per congratularsi con la polizia, dichiarando: "Lo avevamo detto: Luis Arce sarà il primo a finire in prigione e stiamo mantenendo la parola".
Tuttavia, dalla parte di Arce si alza un coro di proteste che dipinge l'arresto come un atto di pura persecuzione politica. María Nela Prada, ex ministro della Presidenza, ha denunciato un "sequestro totalmente illegale", avvenuto senza un mandato nel quartiere di Sopocachi. Ha raccontato di "persone incappucciate" che avrebbero prelevato l'ex presidente, gettando la famiglia nell'incertezza sul suo destino iniziale. Prada ha sottolineato la violazione del diritto alla difesa e ha lamentato che a un ex presidente spetterebbe un "juicio de responsabilidades" (processo sulle responsabilità), una procedura speciale, e non un arresto in strada.
Le autorità giudiziarie hanno confermato che Arce, dopo essere stato trattenuto nella sede della Fuerza Especial de Lucha Contra el Crimen (Felcc), ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere durante l'interrogatorio. L'ex presidente resterà in custodia fino alla comparizione davanti a un giudice, che deciderà se confermare la custodia cautelare in carcere. I capi d'accusa contro di lui prevedono una pena massima di sei anni di detenzione.
L'episodio riaccende i profondi conflitti nella società boliviana, divisa tra chi vede nell'azione della giustizia un passo necessario per ripulire lo Stato e chi vi legge invece l'inizio di una vendetta politica, uno strumento per criminalizzare l'opposizione e l'ex establishment socialista.
L’arresto dell’ex presidente Luis Arce in Bolivia non è solo un terremoto giudiziario, ma rischia di aprire una nuova e pericolosa linea di conflitto politico. Mentre l’ex presidente è formalmente accusato di peculato e abuso d’ufficio per presunte irregolarità nel Fondo Indígena, dalle file del Movimento al Socialismo (MAS), in una fase di ristrutturazione dopole profonde divisioni che hanno consentito a Rodrigo Paz di ottenere la presidenza, arriva una pesantissima accusa: il vero obiettivo del governo conservatore di Rodrigo Paz sarebbe Evo Morales, il leader storico e padre della Bolivia socialista del ventennio scorso. Primo presidente indigeno del paese andino.
A lanciare l’allarme è Héctor Arce, ex deputato del MAS, che in un’intervista a UNITEL ha denunciato una manovra a più livelli. Secondo l’ex parlamentare, l’esecutivo di Paz cerca di “demonizzare e stigmatizzare” Evo Morales, sfruttando un’inchiesta che riguarda un periodo in cui era proprio Morales a essere presidente (2006-2019). “Rodrigo Paz sta organizzando e montando un circo”, ha affermato Arce con parole durissime. “Vuole mostrare la muscolatura di Rambo o Terminator, cosa che non ha. Quello che vuole causare è impressione, paura”.
La strategia del governo, sempre secondo l’analisi dell’esponente ‘evista’, sarebbe duplice: da un lato presentare il presidente Paz come un leader implacabile nella lotta alla corrupzione, dall’altro deviare l’attenzione dell’opinione pubblica dalle crisi concrete che attanagliano il paese, come la penuria di diesel, l’inflazione sui beni alimentari e altri casi giudiziari spinosi. “Vuole mostrarsi come un presidente implacabile e che lotta contro la corruzione”, ha aggiunto Arce, sottolineando come l’arresto del suo omonimo ex presidente serva proprio a questo scopo.
Tuttavia, Héctor Arce precisa una distinzione cruciale per la difesa di Morales: se è vero che l’ex leader indigeno era al vertice dello Stato, la gestione operativa del Fondo Indigena spettava ai suoi ministri. “Evo Morales era presidente, ma coloro che eseguivano i programmi e i progetti erano i ministri. Pertanto, i diretti responsabili dell’esecuzione sono i ministri e devono essere investigati come si deve”, ha argomentato, implicitamente scagionando il suo leader e circoscrivendo le responsabilità all’allora ministro dell’Economia Luis Arce e ai suoi collaboratori.
L’ex deputato ha ribadito di sostenere le indagini quando esistono indizi concreti, ma ha bollato l’arresto di mercoledì come un atto spettacolare e intimidatorio, più che un serio passo della giustizia. Queste dichiarazioni confermano che l’arresto di Arce non chiude la partita, ma anzi la sposta su un livello superiore e ancor più polarizzante: il possibile coinvolgimento di Evo Morales.
Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 14:40:00 GMT
In un’intervista esclusiva rilasciata giovedì a RT, l’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa ha lanciato un severo monito sulla crescente strumentalizzazione della giustizia come arma politica, definendo l’arresto dell’ex presidente boliviano Luis Arce un “punto sensibile” in una strategia orchestrata contro i leader progressisti.
“Sono necessarie istituzioni internazionali molto più efficaci, perché tutti i sistemi giudiziari sono marci”, ha affermato Correa, parlando con il canale internazionale RT poche ore dopo la notizia della detenzione di Arce. L’ex leader ecuadoriano ha deplorato l’uso del potere giudiziario per “colpire” specifici settori politici, descrivendo gli eventi in Bolivia non come una coincidenza ma come il risultato di un’azione “articolata e pensata, razionalizzata”.
La presa di posizione di Correa tocca un nervo scoperto nel dibattito sulla governance globale e sulla sovranità nazionale, mettendo in discussione l’integrità degli apparati giudiziari in America Latina e oltre. Secondo la sua analisi, l’obiettivo immediato dell’arresto di Arce, “indipendentemente da ciò di cui è accusato”, non sarebbe la giustizia, bensì la “vendetta” e la creazione di un “effetto dimostrativo” per intimidire chi non si dimostri “docile”.
“Si tratta di umiliarlo, di spaventarlo”, ha dichiarato, sottolineando come la misura estrema della detenzione appaia sproporzionata. L’ex presidente individua in questa dinamica un duplice bersaglio: da un lato, le élite oligarchiche locali, e dall’altro, “il grande paese del nord”, in un chiaro riferimento agli Stati Uniti, accusati di esercitare un’influenza deleteria su Stati considerati “sotto il controllo delle élite”.
La soluzione proposta da Correa va oltre la denuncia e si colloca in una prospettiva di riforma sistemica. Di fronte a quella che definisce una “crisi mondiale”, egli invoca una lotta collettiva “come umanità, come civiltà” e la necessità di “ristrutturare i sistemi internazionali affinché siano efficaci”. Nella sua visione, organismi come il Sistema Interamericano di Giustizia e le Nazioni Unite dovrebbero essere ripensati “affinché siano davvero di giustizia e non di geopolitica”.
È in questa cornice che Correa colloca il fenomeno del lawfare, o “giudizializzazione della politica”, da lui descritto come lo strumento con cui poteri “mafiosi” e radicati nello Stato cercano di ottenere attraverso i tribunali ciò che non riescono a conseguire democraticamente alle urne. “Il potere mafioso radicato nello Stato rimane intatto. Quindi, hanno preso il potere giudiziario, i pubblici ministeri, i giudici”, ha concluso, dipingendo un quadro di istituzioni catturate e di una regione alle prese con “gravi carenze” nella giustizia.
Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 14:00:00 GMTIl copresidente del Nicaragua, Daniel Ortega, ha condannato le azioni dell'Europa, affermando che, invece di cercare la pace, il continente si sta preparando a un conflitto con la Russia, definendo tale atteggiamento “una totale follia”.
“Gli europei, la Comunità Europea, stanno cercando di capire come raccogliere, credo, 70 miliardi di euro per acquistare e produrre armi. E qual è la giustificazione? Perché la Russia sta lottando per ciò che le appartiene in Ucraina, dicono, o perché vogliono prepararsi a una guerra con la Russia. È una follia totale”, ha dichiarato.
Ortega ha affermato che “le potenze coloniali e imperialiste non hanno imparato la lezione della storia, perché ovunque il colonialismo abbia messo radici, ovunque sia stato instaurato il dominio imperiale, alla fine ha fallito e i popoli sono stati liberati”.
"Devono lavorare per la pace. Ora tutti noi dobbiamo lavorare per la pace. La comunità europea deve lavorare per la pace", ha affermato durante la cerimonia di laurea dei cadetti del Centro Superiore di Studi Militari Eroe Nazionale della Divisione José Dolores Estrada Vado.
“In questo momento, il mondo non può più parlare di nuove guerre. L'umanità ha già vissuto abbastanza guerre da non aver bisogno di altre”, ha aggiunto il copresidente nicaraguense.
Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 13:56:00 GMT
Nitzan Alon, ex coordinatore israeliano per gli affari dei prigionieri, ha ammesso che la maggior parte degli israeliani tenuti prigionieri da Hamas nella città di Jabalia, nel nord di Gaza, sono stati uccisi dai raid aerei dell'esercito.
"Il fuoco israeliano ha ucciso la maggior parte degli ostaggi a Jabalia a causa di lacune nei servizi segreti", ha confermato Alon, ora in pensione, al quotidiano ebraico Yedioth Ahronoth .
Alon ha aggiunto che molti dei prigionieri arrivati ??vivi nella Striscia sono morti poco dopo a causa degli attacchi aerei israeliani che hanno preso di mira gli edifici in cui erano tenuti prigionieri.
Tra loro c'erano tre prigionieri israeliani, uccisi in un attacco israeliano nel dicembre 2023. Ciò fu il risultato di "supposizioni errate sul campo".
"La paura causata dai nostri attacchi aerei è stata ripetutamente menzionata nelle testimonianze degli ostaggi", ha continuato Alon.
Ha inoltre affermato che la pressione interna sul governo e le proteste organizzate dalle famiglie dei prigionieri hanno avuto scarsi effetti sui negoziati.
Alon ha anche ricordato che Israele ha iniziato la guerra con un approccio del tipo "prima gli ostaggi, poi Hamas", ma ha finito per scegliere una strada diversa.
"Se Hamas rimane al potere a Gaza, non abbiamo raggiunto nessuno dei nostri obiettivi. Se verrà smantellato, la gente continuerà a discutere sul prezzo – e molti sosterranno che un accordo simile avrebbe potuto essere raggiunto molto prima", ha concluso.
Solo cinque giorni prima, Alon aveva ammesso a Yedioth Ahronoth che la famiglia Bibas non era stata rapita da Hamas.
Quattro membri della famiglia – un uomo, sua moglie e i loro due figli – furono fatti prigionieri durante l'operazione Al-Aqsa Flood dalle Brigate Mujahideen, l'ala militare del movimento dei Mujahideen palestinesi.
I loro corpi furono consegnati da Hamas nel febbraio 2025. Israele sostiene che i combattenti di Hamas hanno ucciso la famiglia Bibas "a mani nude", ma sia Hamas che le Brigate Mujahideen hanno smentito sostenendo che sono stati uccisi da un attacco israeliano.
"Prendiamo ad esempio la famiglia Bibas. Sapevamo chi li aveva rapiti. Abbiamo informato Hamas sull'identità dei rapitori, in modo che potessero localizzare i corpi e restituirli", ha dichiarato Alon al quotidiano israeliano la scorsa settimana.
Dall'inizio della guerra sono emerse numerose prove sull'attuazione da parte di Israele della direttiva Annibale del 7 ottobre, una misura adottata per impedire la cattura di israeliani anche se ciò metteva a rischio la loro vita.
Secondo quanto confermato dalle testimonianze, elicotteri e carri armati israeliani hanno aperto il fuoco indiscriminatamente contro gli insediamenti presi d'assalto dai combattenti di Hamas quel sabato, provocando distruzioni di massa e numerose vittime israeliane.
I prigionieri liberati hanno anche confermato ai media israeliani di aver avuto più paura di essere uccisi dagli attacchi aerei israeliani che da quelli di Hamas.
All'inizio di quest'anno, Haaretz ha riferito che gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno 20 prigionieri e messo in pericolo la vita di decine di altre persone.
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 11:30:00 GMT