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La diffusione del presunto piano di pace statunitense in 28 punti per l’Ucraina ha prodotto un effetto paradossale: invece di avvicinare la fine della guerra, ha messo in luce la profondissima frattura tra Washington, le capitali europee e un governo ucraino sempre più fragile, logorato da scandali e ultimamente incapace di controllare il proprio apparato politico-militare. Nonostante la narrativa mediatica che parla di un piano “condiviso”, il Cremlino ha chiarito che non vi è stata alcuna discussione sostanziale con Mosca. Peskov ha confermato che la Russia non ha ricevuto documenti ufficiali né partecipato in modo significativo alla loro formulazione.
Un’ammissione che fa vacillare l’immagine di un progetto diplomatico multilaterale: di fatto, gli USA hanno elaborato un piano da presentare come ultimatum, più che come negoziato. Il documento prevede il riconoscimento internazionale della sovranità russa su Crimea, Donbass e territori attualmente contesi. Kiev riceverebbe in cambio garanzie di sicurezza occidentali, ma solo se accettasse una drastica riduzione del proprio esercito, la rinuncia definitiva alle armi a lungo raggio, la neutralità permanente e il divieto di ospitare truppe straniere. Una Ucraina smilitarizzata, neutrale e bilingue - con il russo riconosciuto come lingua ufficiale - non è certo lo scenario immaginato dai governi europei che per due anni hanno alimentato la retorica della “resistenza a oltranza”. E infatti la reazione dell’Europa è stata isterica. Dalla Germania alla Polonia, passando per Bruxelles, emerge una chiara ostilità non solo verso il piano, ma verso l’idea stessa che la guerra possa concludersi senza la “vittoria totale” promessa ai cittadini e mai realizzabile sul campo.
È l’Europa bellicista, più che il regime di Kiev, a temere un accordo che chiuda la stagione delle illusioni strategiche e costringa a fare i conti con la realtà: l’intero progetto ucraino degli ultimi dieci anni è fallito. Più debole che mai, il regime di Zelensky risponde con i consueti slogan sull’“inviolabilità dei confini” e sulle sue “linee rosse”, mentre il Paese precipita nella crisi politica. Mentre il fronte occidentale si frantuma, Kiev è paralizzata da uno scandalo di corruzione colossale che coinvolge ministri, oligarchi e lo stesso entourage del presidente. E con la pressione militare russa che aumenta - da Kupyansk al Donbass - le minacce interne di Zelensky ai suoi critici assumono toni sempre più autoritari. In questo quadro, il piano USA non è solo un tentativo di chiudere la guerra: è una diagnosi brutale dell’intera impalcatura narrativa occidentale.
Dimostra che la pace è possibile solo accettando quanto Europa e Kiev hanno rifiutato per anni: la fine dell’espansione NATO, la neutralità ucraina e la necessità di una nuova architettura di sicurezza che includa la Russia. Gli europei continuano a inseguire fantasie di “fermezza” che li hanno già portati alla stagnazione economica, al rischio energetico e all’irrilevanza geopolitica. Mentre Washington, nel momento decisivo, sembra pronta a una svolta realista che lascia Bruxelles e Kiev completamente scoperte. Una pace imperfetta è sempre meglio di una guerra infinita; ma sembra che, in Europa, molti preferiscano la seconda.
Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
Data articolo: Sat, 22 Nov 2025 06:00:00 GMTNegli ultimi sette giorni il fronte ucraino ha subito uno dei peggiori rovesci dall’inizio del conflitto. Mentre le cancellerie europee continuano a ripetere meccanicamente la formula dello “stallo”, le forze russe hanno riconquistato sedici località, inclusa la città chiave di Kupyansk, un nodo logistico il cui controllo era considerato vitale per l’intera difesa ucraina nel settore di Kharkov. Secondo il Ministero della Difesa russo, le unità impegnate nell’operazione hanno avanzato simultaneamente su più assi, liberando Dvurechanskoye, Tsegelnoye e Petropavlovka nella regione di Kharkov, Novosyolovka, Stavki, Maslyakovka, Yampol e Platonovka nella Repubblica Popolare di Donetsk, oltre a Gai, Nechayevka e Radostnoye nella regione di Dnepropetrovsk e diversi centri nello Zaporozhye, tra cui Malaya Tokmachka, Yablokovo, Ravnopolye e Vesyoloye. La riconquista di Kupyansk, in particolare, rappresenta un punto di svolta.
Situata sulle rive del fiume Oskol e protetta da alture strategiche, la città era divenuta uno dei principali bastioni ucraini a nord. Per mesi il regime di Kiev ha tentato di mantenerne il controllo non solo per ragioni militari, ma anche per motivi simbolici: la linea fortificata che si estendeva da Kupyansk verso ovest era la stessa su cui l’Occidente aveva costruito la narrativa della “resistenza ucraina”. La sua caduta apre ora la strada a un arretramento ancora più profondo delle forze ucraine nella regione. Parallelamente all’avanzata sul terreno, Mosca ha condotto una serie di operazioni coordinate contro l’infrastruttura militare ucraina: un attacco massiccioo e sei colpi combinati hanno bersagliato impianti dell’industria militare, infrastrutture energetiche e di trasporto, siti di assemblaggio di droni d’attacco e aree di dispiegamento temporaneo delle unità ucraine, comprese quelle composte da mercenari stranieri. Il bilancio umano e materiale per Kiev è pesantissimo.
Le sei grandi unità russe presenti sul fronte - Nord, Ovest, Sud, Centro, Est e Dnepr - hanno inflitto complessivamente oltre 11.000 perdite ucraine in una sola settimana, distruggendo decine di mezzi blindati, carri armati, sistemi di artiglieria e infrastrutture. Solo il ‘Battlegroup Center’ ha causato più di 3.165 perdite, mentre oltre 1.089 droni ucraini sono stati abbattuti nei cieli, insieme a missili occidentali come Storm Shadow, ATACMS e HIMARS. Nel frattempo, la Marina russa nel Mar Nero ha neutralizzato due droni navali ucraini diretti verso le coste russe, confermando il fallimento dell’ennesimo tentativo di Kiev di ottenere un risultato politico attraverso operazioni ad alta visibilità piuttosto che concrete sul piano militare. Durante una visita al comando del Gruppo Ovest, Vladimir Putin ha commentato con parole taglienti la condotta della leadership ucraina: “La gente che si siede su water d’oro non pensa al destino del proprio popolo”.
Una frase durissima, ma che coglie il punto centrale della crisi attuale: mentre le forze ucraine arretrano ovunque e l’esercito si logora, l’élite di Kiev - sostenuta senza riserve dall’Europa guerrafondaia di von der Leyen, Starmer, Merz e Macron - sembra più concentrata sul proteggere i propri privilegi che sul negoziare una via d’uscita per il Paese. La liberazione di Kupyansk, dunque, non è solo un evento tattico: è l’indicatore di un processo più ampio e ormai evidente. Le linee ucraine stanno cedendo, le capacità operative stanno diminuendo, e gli effetti della mobilitazione forzata sono sempre più visibili sul morale e sulla coesione delle truppe. L’Europa, però, continua a guardare altrove. Intrappolata nella sua stessa retorica bellicista, incapace di ammettere che il paradigma della “vittoria ucraina” non esiste più, preferisce ignorare la realtà sul terreno. Ma la mappa del fronte, questa settimana, ha parlato più chiaramente di qualsiasi analista: Kiev arretra, Mosca avanza, e la narrativa occidentale affonda insieme alle posizioni ucraine.
Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
Data articolo: Sat, 22 Nov 2025 06:00:00 GMT
di Federico Giusti e Emiliano Gentili
«L’evasione fiscale cresce nelle fasi economiche cicliche avverse»: questa, l'affermazione preliminare della Corte dei Conti[1] contenuta nella relazione sulla Legge di Bilancio attualmente in audizione in Parlamento. Il problema del sommerso resta tra i mali endemici di una società come la nostra, nella quale il nanismo dimensionale delle imprese, da sempre, comporta già di per sé lavoro nero ed evasione. Verrebbe da chiedersi se il sistematico ricorso ai condoni delle cartelle esattoriali e la certezza di farla franca in caso di mancato pagamento delle tasse – o di potersela cavare, in fondo, con pagamenti diluiti nel tempo e una sanzione irrisoria – non rappresentino alla fine un incentivo a evadere.
L’evasione in realtà sta tendenzialmente calando. La causa del fenomeno sembra essere la digitalizzazione delle attività di monitoraggio e controllo, che hanno avuto un nuovo impulso a partire dal lockdown. Tuttavia tale calo si è interrotto nel 2022 e ciò, secondo la Corte dei Conti, sarebbe imputabile alla natura transitoria degli effetti del periodo pandemico: tant’è che l’economia sommersa valeva, nel 2023, il 9,2% del PIL (197,6 miliardi di €), più o meno quanto nel biennio 2018-2019.
Un altro fattore determinante nel procurare il temporaneo calo dell’evasione è stata la ripresa del settore delle costruzioni, dove – per effetto degli incentivi fiscali legati ai bonus edilizi, alla ripresa delle opere pubbliche e agli investimenti del PNRR, tutte attività per le quali è necessaria una adeguata rendicontazione economica – il sommerso è passato all’incirca dal 23% del 2018 al 16% del 2023. Anche questa dinamica, com’è intuibile, sarebbe destinata a rientrare nei prossimi anni.
Una conferma della stabilità strutturale dell’evasione nell’economia italiana viene invece fornita dai dati relativi al settore dei servizi alle persone, «che è quello nel quale è più diffusa soprattutto l’incidenza del lavoro irregolare e la conseguente evasione contributiva»[2], per il quale non solo l’evasione si è mostrata stabile negli anni, ma addirittura in leggero aumento.
Un ultimo elemento è rappresentato dalla riduzione del lavoro irregolare osservata fra il 2017 e il 2022 – e in ripresa nel 2023 –, che sarebbe dovuta alla riduzione del tasso di disoccupazione. Questo aspetto, che abbiamo interpretato come risultante della regolarizzazione dei rapporti di lavoro precari e meno tutelati tramite norme ad hoc che rendano più conveniente, per le imprese, praticare l’emersione del rapporto di lavoro, è stato soltanto ipotizzato dalla Corte dei Conti: l’attività ispettiva dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e dell’INPS, difatti, continua a essere segnatamente insufficiente se rapportata alla dimensione del fenomeno dell’evasione fiscale, contributiva e assicurativa degli oneri imprenditoriali connessi al lavoro dipendente.
L’aumento di quasi il 20% del numero di ispettori dell’INL non ha in effetti comportato una riduzione percentuale delle rilevazioni di irregolarità, bensì un loro aumento. Ciò lascia intuire che il fenomeno sia molto più grande di quanto venga normalmente stimato: gli accertamenti in materia di lavoro sono risultati irregolari nel 70% dei casi; quelli in materia previdenziale, nell’84% dei casi; quelli in materia assicurativa addirittura nel 94% dei casi. Il numero di aziende che presentava irregolarità ammontava, invece, al 74%. Si sappia che le percentuali derivate dall’attività ispettiva dell’INPS sono esattamente identiche: ciò confermerebbe la correttezza di tali numeri, da un lato, ma anche l’esistenza di una quantità economica nominale di sommerso molto più grande di quella registrata: il recupero per le casse statali dovuto alle attività ispettive svolte nel 2023 è stato all’incirca 1,22 miliardi per l’INL e di 1,15 per l’INPS[3].
Complessivamente nel 2024 lo Stato ha recuperato ben 33,4 miliardi, dovuti però anche al proliferare dei condoni e al fatto che alcune attività di recupero crediti erano state sospese durante la pandemia e che perciò, di conseguenza, i dati del 2024 potrebbero ancora aver registrato somme relative ad accertamenti di quegli anni.
Tolti questi dati oggettivi passiamo alle valutazioni più generali:
- se la tassa piatta doveva servire alla emersione e al superamento del problema, l'obiettivo è stato clamorosamente mancato: stiamo tuttora parlando di una cifra compresa tra il 9 e il 10% del PIL – per cui anche recuperarne la metà permetterebbe, ad esempio, di ampliare i servizi sociali e gli interventi di manutenzione del territorio;
- il grosso dell’evasione deriva dalle imprese: pagamento dell’Iva, mancati versamenti contributivi e via dicendo… Secondo la Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato[4] la pressione fiscale è cresciuta complessivamente del 74% negli ultimi venti anni (+ 0,3% rispetto al 2024 e + 1,1% sul 2022), ma l’aumento del gettito non sarebbe in grado di ricondurre il sommerso alla regolarità. A nostro parere una patrimoniale riporterebbe all’ovile parte delle risorse non versate;
- il lavoro nero è diffuso da sempre in settori come i servizi alle famiglie e l’agricoltura e tale continuerebbe a essere, a prescindere dalla patrimoniale, in assenza di interventi legislativi decisi. Valga su tutti l’esempio del caporalato – la cui presenza non è relegata al Meridione ma distribuita anche nel Centro e nel Nord del paese – oppure quello delle lavoratrici addette alla cura degli anziani, spesso e volentieri non assicurate. Il fenomeno è difficile da quantificare, per quanto esistano dei modelli statistici che forniscano delle approssimazioni[5].
[1] Si tratta di una analisi articolata, consultabile anche online https://www.corteconti.it/Download?id=c448135e-8a3c-4fc4-9803-5f08959498c4.
[2] Ivi, p. 128.
[3] Ministero dell’Economia e delle Finanze, Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva – Anno 2024, pp. 88, 89, 90, 96 e 97.
[4] Ufficio Studi CGIA, Patrimoniali: esistono già e in 20 anni sono cresciute del 74%, https://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2025/11/Patrimoniale-15.11.2025.pdf.
[5] Cfr. Ministero dell’Economia e delle Finanze, Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva – Anno 2024, Par. III.1.7.
Data articolo: Fri, 21 Nov 2025 09:30:00 GMT
L'intelligenza artificiale non ci salverà. L'innovazione tecnologica non ci salverà. Il tuo politico preferito non ci salverà. I file di Epstein non ci salveranno. La Cina non ci salverà. Gli alieni non ci salveranno.
Nessuno verrà a salvarci. Non esiste una soluzione deus ex machina alla trama della storia umana.
Dovremo salvarci.
Nell'antica Grecia, le opere teatrali si risolvevano con l'intervento degli dei alla fine, per punire i cattivi e premiare gli eroi. Gli attori che interpretavano gli dei venivano calati sul palco da una gru o sollevati da una macchina da una botola sottostante, da cui il termine deus ex machina.
Oggi si usa per riferirsi a qualsiasi risoluzione di trama pigra in cui i protagonisti vengono salvati all'improvviso da una forza esterna piuttosto che dal frutto delle proprie lotte e dello sviluppo del personaggio; se gli dei intervengono solo alla fine per salvarli, allora nulla di ciò che hanno fatto fino a quel momento ha importanza, lasciando il pubblico insoddisfatto e con lo sguardo fisso sullo scrittore invece che sulla storia.
Quando si osservano le crisi esistenziali che l'umanità sta affrontando oggi, si è tentati di trovare speranza nella convinzione che forze esterne possano venire in nostro soccorso senza che noi dobbiamo lottare e cambiare noi stessi. Storie di salvezza di questo tipo si trovano ovunque:
Elon Musk automatizzerà tutto così non dovremo più lavorare e poi aiuterà l'umanità a diventare una specie interplanetaria.
La superintelligenza artificiale è dietro l'angolo e sconvolgerà la nostra comprensione scientifica dell'universo, dando vita a nuove tecnologie rivoluzionarie.
La pubblicazione dei file Epstein metterà a nudo tutta la corruzione che sta avvelenando la nostra società e porterà all'arresto e alla privazione del potere di tutti i cattivi.
Eleggere democratici progressisti o repubblicani populisti può portare alla carica degli eroi che trasformeranno il sistema politico americano per noi.
L'ascesa della Cina rimodellerà l'ordine mondiale e contribuirà a determinare la fine del capitalismo.
La rivelazione degli UFO avverrà da un momento all'altro e porterà con sé tecnologie aliene che salveranno l'umanità dalla distruzione.
E non succede mai. Il dio greco non fa mai il suo ingresso. Gli attori restano lì, in un lungo, imbarazzato silenzio, mentre la scenografia crolla intorno a loro.
Non succederà mai, gente. Apollo non è arrivato e Zeus non si è fatto vedere.
Nessuno ci salverà tranne noi stessi. Dovremo cambiare. Dovremo agire. Continueremo a precipitare verso una distopia tirannica, una catastrofe ambientale e un'armageddon nucleare finché non ci riusciremo.
Dovremo aiutarci a vicenda a uscire dalla trance ipnotica della propaganda e a risvegliarci alla verità su ciò che sta realmente accadendo nel nostro mondo, e a dimostrarci a vicenda che un vero cambiamento è necessario e possibile.
Dovremo svegliarci abbastanza da poter usare il potere dei nostri numeri per costringere i nostri governanti a smettere di derubarci, di opprimerci, di distruggere la nostra biosfera e di assassinare le persone.
Dovremo risvegliarci dalla trance dell'ego e diventare una specie veramente consapevole, così da poter costruire un mondo sano senza ricadere nei nostri schemi autodistruttivi quando la rivoluzione sarà finita.
Tutti vogliono il cambiamento, ma nessuno vuole cambiare. Ecco perché la risoluzione della trama del deus ex machina è preferibile, nella nostra mente.
Ma è solo una fantasia. Il cambiamento non arriva da nessuna parte se non da noi stessi. Mantenere la speranza nella fantasia è il primo ostacolo che ci impedisce di svegliarci alla realtà.
Ogni specie prima o poi raggiunge un punto critico in cui deve adattarsi alle mutevoli condizioni o estinguersi. Oggi ci troviamo in quel momento. Supereremo la prova o non la supereremo, e se la supereremo, sarà grazie ai nostri sforzi, ai nostri sacrifici e alle nostre trasformazioni.
Nessuno lo farà per noi.
________________
(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/
Data articolo: Fri, 21 Nov 2025 09:30:00 GMT
Sebbene Teheran e Mosca abbiano sempre mantenuto buoni rapporti, le azioni dell'Occidente nell'ultimo anno hanno spinto il paese persiano a rafforzare ulteriormente i legami con la nazione slava, ha ribadito il ministro degli Esteri iraniano Seyed Abbas Araghchi in un'intervista al The Economist pubblicata oggi.
"Iran e Russia hanno sempre mantenuto ottimi rapporti. Ci hanno aiutato in molti modi diversi. E abbiamo goduto di una cooperazione in molti campi diversi, comprese le questioni militari", ha spiegato il ministro degli Esteri, riflettendo sulle relazioni bilaterali.
A questo proposito, ha confermato che la Russia ha sostenuto la Repubblica Islamica durante lo scambio di offensive con Israele in seguito all'attacco immotivato dello Stato ebraico dello scorso giugno. "I russi ci hanno aiutato molto durante la 'guerra dei 12 giorni ' e da allora abbiamo collaborato ancora di più di prima , quindi posso dire che ora siamo ancora meglio preparati" nel caso di un altro attacco israeliano, ha sostenuto il capo della diplomazia persiana.
Ha anche affermato che gli attacchi dell'Occidente hanno aperto gli occhi all'Iran. "La nostra politica è sempre stata quella di mantenere relazioni equilibrate sia con l'Oriente che con l'Occidente. Vogliamo essere un Paese veramente indipendente, non dipendente da nessun'altra nazione. Ma dobbiamo riconoscere che sono stati i Paesi occidentali a farci capire che Cina e Russia sono migliori amiche di quanto non lo siano loro stessi".
'Guerra dei dodici giorni'
Nelle prime ore del 13 giugno, Israele lanciò un attacco non provocato contro l'Iran, innescando uno scambio di attacchi missilistici e con droni tra le due nazioni. Durante la cosiddetta "guerra dei 12 giorni", Israele prese di mira gli impianti nucleari della Repubblica Islamica, i comandanti militari, gli alti funzionari e gli scienziati nucleari. Molti di loro furonouccisi, insieme alle loro famiglie.
Lo scontro si intensificò quando gli Stati Uniti si unirono all'aggressione, attaccando tre importanti impianti nucleari iraniani. Teheran rispose all'offensiva statunitense lanciando un attacco alla più grande base militare statunitense in Medio Oriente, situata in Qatar. Il 24 giugno, Tel Aviv e Teheran annunciarono un cessate il fuoco che pose fine ai combattimenti.
In risposta alle ripetute affermazioni del presidente degli Stati Uniti secondo cui i bombardamenti di Washington avevano pienamente raggiunto i loro obiettivi e distrutto l'industria nucleare del paese persiano, la Guida suprema dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei, ha replicato, lo scorso ottobre, che ciò era possibile solo "nei suoi sogni".
Data articolo: Fri, 21 Nov 2025 09:30:00 GMT
Human Rights Watch (HRW) ha dichiarato il 20 novembre che l'espulsione da parte di Israele di decine di migliaia di palestinesi dai campi profughi di Jenin, Tulkarem e Nour Shams all'inizio del 2025 costituisce un crimine di guerra e un crimine contro l'umanità, sottolineando che a nessuna delle famiglie sfollate è stato permesso di tornare mesi dopo l'operazione, soprannominata "Muro di ferro".
Il rapporto di 105 pagine dell'organizzazione, intitolato "Tutti i miei sogni sono stati cancellati", documenta l'espulsione forzata di circa 32.000 residenti durante l'"Operazione Muro di Ferro" tra gennaio e febbraio e la demolizione di centinaia di case.
La ricercatrice di HRW Melina Ansari ha dichiarato alla Reuters che "10 mesi dopo lo sfollamento, nessuno dei residenti della famiglia è riuscito a tornare a casa".
L'esercito israeliano ha affermato di aver demolito le infrastrutture civili affinché i miliziani non potessero sfruttarle e non ha specificato quando i residenti potranno tornare.
L'inchiesta si basa su interviste con 31 sfollati palestinesi, immagini satellitari, ordini di demolizione e video verificati. HRW ha riscontrato oltre 850 strutture distrutte o gravemente danneggiate, mentre una valutazione delle Nazioni Unite stima il numero a 1.460 edifici.
I residenti hanno raccontato di soldati che assaltavano le case, saccheggiavano le proprietà, intimavano alle famiglie di andarsene tramite altoparlanti montati su droni e bulldozer che radevano al suolo gli edifici mentre fuggivano.
Le famiglie sono state costrette a rifugiarsi nelle case dei parenti o a cercare rifugio nelle moschee, nelle scuole e nelle organizzazioni benefiche.
Un residente espulso dal campo di Jenin ha dichiarato all'agenzia che la sua famiglia "non aveva né cibo, né bevande, né medicine, né spese".
HRW osserva che i campi, istituiti negli anni '50 per i palestinesi sfollati dalla fondazione di Israele nel 1948, hanno ospitato generazioni di rifugiati. I funzionari israeliani hanno scritto che l'operazione aveva come obiettivo quelli che hanno definito "elementi terroristici", ma non hanno fornito alcuna motivazione per le espulsioni di massa o il divieto di rimpatrio.
Il gruppo sostiene che l'operazione viola le Convenzioni di Ginevra, che proibiscono lo sfollamento dei civili dai territori occupati, se non temporaneamente per imperativi motivi militari o per la loro sicurezza, e afferma che gli alti funzionari responsabili dovrebbero essere perseguiti per crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
HRW colloca le espulsioni nel contesto di una più ampia escalation nella Cisgiordania occupata a partire dal 7 ottobre 2023, citando quasi 1.000 palestinesi uccisi dalle forze israeliane, l'aumento delle detenzioni senza processo, le demolizioni di case, l'accelerazione della costruzione di insediamenti e un'ondata di violenza da parte dei coloni e di torture nei confronti dei detenuti.
Prende atto che i dati delle Nazioni Unite registrano almeno 264 attacchi di coloni nel mese di ottobre, il totale mensile più alto mai registrato dall'inizio del monitoraggio nel 2006.
L'organizzazione chiede ai governi di imporre sanzioni mirate ai funzionari israeliani, di sospendere le vendite di armi e i benefici commerciali, di vietare i beni degli insediamenti e di far rispettare i mandati di arresto della Corte penale internazionale (CPI) nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dell'ex ministro della Difesa Yoav Gallant, accusati di aver commesso crimini di guerra a Gaza.
Data articolo: Fri, 21 Nov 2025 09:30:00 GMT
di Raffaella Milandri
Il Crazy Horse Memorial è uno di quei luoghi che sembrano fatti apposta per sollevare domande: chi decide cosa ricordare, con quali mezzi, con quali soldi – e a beneficio di chi. Mi raccomando, se volete risposte e cifre, leggete fino al termine dell’articolo: c’è da arrabbiarsi. Ho visitato il memoriale nel 2018 e, da allora, mi riproposi di chiarire molti punti interrogativi. Ne accennai in un mio libro, “Gli Ultimi Guerrieri”, ora ho indagato meglio e deciso di scriverne nella mia rubrica. Il Crazy Horse Memorial nacque come risposta indigena a Mount Rushmore: un eroe Lakota scolpito nelle stesse Black Hills usurpate ai Sioux. Ma il progetto, iniziato nel 1948 e mai completato, è diventato a sua volta oggetto di controversia: gestito da una fondazione non profit dominata dalla famiglia dello scultore, finanziato da biglietti e merchandising, investe molto in musei e università ma restituisce poco, in forma diretta, alle comunità Lakota. Per alcuni è un centro culturale utile; per altri, un enorme business turistico che continua a scavare in una montagna sacra senza aver risolto la domanda fondamentale: chi parla davvero a nome di Crazy Horse?
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Dove siamo e che cos’è il Crazy Horse Memorial
Il Crazy Horse Memorial è una gigantesca scultura montana in corso d’opera dal 1948 nelle Black Hills del South Dakota, non lontano da Mount Rushmore. È stata pensata per rappresentare l’Oglala Lakota Crazy Horse a cavallo, con il braccio teso a indicare le terre ancestrali del suo popolo. L’idea nasce alla fine degli anni ’30 per iniziativa del capo Henry Standing Bear (Mato Naji), che chiede allo scultore di origine polacca Korczak Ziolkowski di realizzare un monumento “per mostrare all’uomo bianco che anche l’uomo rosso ha grandi eroi”. La prima dinamite esplode nel 1948. Da allora sono passati oltre 75 anni: oggi è completata la testa di Crazy Horse (circa 25 metri, più grande di quelle di Mount Rushmore, alte 18 metri), il foro che rappresenterà lo spazio tra il braccio e il cavallo, e solo in tempi recentissimi si è arrivati a definire la mano e parti del braccio. Non esiste una data ufficiale di completamento: il progetto è dichiaratamente “intergenerazionale”.

Un “contro-monumento” a Mount Rushmore
Per capire il senso del Crazy Horse Memorial bisogna affiancarlo a Mount Rushmore.
Mount Rushmore (1927–1941) è un progetto federale, pensato per il turismo e per celebrare quattro presidenti degli Stati Uniti; è scolpito nel cuore delle Black Hills, territorio sacro ai Lakota (Paha Sapa) garantito loro dal trattato di Fort Laramie del 1868 e poi espropriato dopo la scoperta dell’oro illegalmente, tanto è vero che i Lakota hanno anche vinto un risarcimento, non accettato (United States v. Sioux Nation of Indians, 448 U.S. 371, 1980). Luther e poi Henry Standing Bear, negli anni ’30, propongono inizialmente di inserire il volto di Crazy Horse sullo stesso Mount Rushmore: l’idea viene ignorata – ovviamente - da Gutzon Borglum, lo scultore del monumento presidenziale. Il memoriale di Crazy Horse nasce quindi come risposta simbolica: un eroe nativo inciso su una montagna, più grande delle teste presidenziali, nello stesso massiccio di granito. Ma questa mossa – usare la stessa grammatica monumentale dello Stato coloniale – aprirà un vaso di Pandora: chi parla a nome dei Lakota? E a chi appartiene davvero la montagna?
Come nasce e come viene finanziato il progetto
La scelta del finanziamento privato Korczak Ziolkowski e Henry Standing Bear decidono molto presto che il memoriale non accetterà fondi federali o statali. Lo scultore è convinto che i finanziatori pubblici finirebbero per controllare il progetto e ridimensionarne la componente educativa e culturale a favore dei nativi. Nel corso dei decenni il governo federale offre più volte milioni di dollari per accelerare i lavori; l’offerta viene rifiutata, come ricorda anche un’inchiesta del New Yorker, proprio per mantenere l’autonomia del progetto (della famiglia dello scultore).
Oggi il memoriale è gestito dal Crazy Horse Memorial Foundation, un ente non profit 501(c)(3). I finanziamenti arrivano principalmente da:
Secondo i dati più recenti di analisi sui Form 990 dell’IRS, la fondazione registra:
Quindi sì: dal punto di vista formale siamo di fronte a un grande ente non profit turistico-culturale, non a un’azienda privata in senso stretto. Però…
Perché il memoriale non è mai stato finito?
Le ragioni sono molteplici e intrecciate.
Scala tecnica e scelta politica
Il progetto è gigantesco: nella versione completa, la scultura misura circa 195 metri di lunghezza per 172 di altezza, con Crazy Horse a cavallo e il braccio teso.
Appena lo vidi, mi chiesi innanzitutto se la mole di roccia fosse sufficiente a realizzare l’intero progetto. Forse, nei prossimi decenni, lo vedremo.
Solo la testa (finita nel 1998) ha richiesto decenni di lavoro, con una squadra relativamente piccola e metodi di scavo che, soprattutto nei primi decenni, erano lenti e pericolosi. Mount Rushmore, pur impressionante, è in realtà molto più piccolo e concentrato su quattro teste; fu completato in 14 anni con massicci fondi federali e oltre 400 operai.
Qui invece:
Da scultura a “complesso culturale”
Dalla morte di Korczak (1982) il progetto viene portato avanti dalla moglie Ruth e poi dai figli e nipoti, che scelgono di investire fortemente su:
Questa scelta sposta una parte consistente di risorse (umane, finanziarie, organizzative) dall’opera scultorea in senso stretto alle infrastrutture culturali. È una scelta legittima, coerente con la missione dichiarata (“preservare la cultura e le tradizioni dei nativi nordamericani”), ma ha l’effetto evidente di dilatare all’infinito i tempi della scultura.
Un “cantiere perenne” come modello di business?
Qui entrano in gioco le critiche più taglienti.
Diversi osservatori – inclusi Lakota e altri nativi – notano che, pur con ricavi annui a otto cifre e un patrimonio in forte crescita, il ritmo della scultura resta sorprendentemente lento. Nel 2018, ad esempio, la fondazione dichiarava 12,5 milioni di dollari di entrate e 77 milioni di patrimonio netto; oggi il patrimonio ha superato i 120 milioni. Per alcuni critici, questo suggerisce che il memoriale funzioni “anche” come impresa turistica stabile, per la quale un cantiere eterno è parte del prodotto:
C’è chi arriva a dire che “la montagna è ormai un monumento alla famiglia Ziolkowski più che a Crazy Horse”. È la lettura proposta, tra gli altri, da Brooke Jarvis sul New Yorker, riportando voci Lakota che vedono nel memoriale un’appropriazione dell’immagine di Crazy Horse e delle Black Hills.
I soldi dei biglietti: beneficenza o business familiare?
Che cosa dicono i numeri
Formalmente, i soldi dei biglietti non “vanno nelle tasche della famiglia” in modo diretto:
Da queste dichiarazioni emerge che:
In parallelo, la fondazione sottolinea:
Quindi: una parte del denaro va sì in progetti educativi a favore di studenti nativi, ma la maggioranza delle risorse resta all’interno del “sistema Crazy Horse” (carving, musei, infrastrutture, stipendi, riserve patrimoniali).
Le critiche dal mondo Lakota
Ed è qui che si inserisce la mia impressione avuta nel 2018. Molti Lakota e nativi della regione sostengono che:
Un articolo di commento legato alla Boston University sottolinea, ad esempio, che in un anno fiscale recente la fondazione ha incassato 13,1 milioni di dollari “senza che un solo dollaro andasse direttamente ad aiutare gli Oglala Lakota”, citando l’ex senatore statale Jim Bradford, Oglala, secondo cui il memoriale “sembra ormai prima di tutto un business”. La pagina di Wikipedia stessa riporta le parole di Seth Big Crow – discendente di una zia di Crazy Horse – che dichiara di interrogarsi sui “milioni di dollari raccolti con il nome del suo antenato” e di chiedersi se il progetto “non sia andato nella direzione sbagliata quando si è cominciato a fare soldi invece di cercare di completare l’opera”. Altri, come l’uomo di medicina John Fire Lame Deer e l’attivista Lakota Russell Means, criticano non solo l’uso del denaro, ma l’idea stessa di scolpire una montagna sacra: Means ha paragonato l’intervento a “scolpire il Monte Sion in Israele”, un atto percepito come insulto spirituale.
Quindi: chi ha ragione?
Riassumendo in modo secco:
La tensione sta tutta qui: missione dichiarata di tutela culturale vs percezione locale di appropriazione e business.
Detto questo, il quadro non è monolitico.
Esiste quindi anche una narrazione che vede il Crazy Horse Memorial come:
Il problema – da un punto di vista antropologico – è che questi benefici convivono con il dato originario: la montagna è nelle Black Hills, territorio sacro conteso, e il monumento è nato da un accordo tra un singolo leader Lakota e uno scultore bianco, senza un consenso familiare e collettivo largo rispetto alla figura di Crazy Horse.
Conclusione: un monumento incompiuto come sintomo
Alla fine, forse il fatto che il Crazy Horse Memorial non sia mai “finito” è meno un incidente di percorso, e più il riflesso di tensioni irrisolte:
Formalmente: i soldi dei biglietti vanno alla Crazy Horse Memorial Foundation, ente non profit; non risultano come “stipendio diretto” alla famiglia.
Di fatto: la famiglia Ziolkowski controlla la fondazione, percepisce stipendi/ruoli e la quota che arriva in beneficenza diretta alle comunità Lakota è limitata, motivo per cui molti Lakota parlano di grande business turistico e appropriazione. Dalle dichiarazioni fiscali più recenti (ProPublica, Charity Navigator etc.) diversi membri della famiglia Ziolkowski figurano tra i dirigenti più pagati della Crazy Horse Memorial Foundation. Per l’anno fiscale 2024:
Caleb Ziolkowski: compenso annuo 170.000 dollari più 18.000 di altri benefit;
Monique Ziolkowski: 115.000 dollari più circa 16.000 in benefit. La stessa Monique nel 2018 ha percepito 162.885 dollari di stipendio più 16.726 in benefit.
Andando indietro troviamo nei rendiconti anche gli alti stipendi di Ruth Ziolkowski, vedova dello scuoltore, CEO per molti anni, di Jadwiga Ziolkowski e di Vaughn Ziolkowski. Nel Form 990 però troviamo solo officer e key employees e i dipendenti oltre i 100.000 dollari l’anno, quindi se – per esempio – figurano 10 nipoti che percepiscono 80.000 dollari l’anno, non lo vediamo.
Ma ATTENZIONE: ci sono attività commerciali “parallele” di proprietà della famiglia.
Accanto alla Crazy Horse Memorial Foundation (non profit) esiste una società privata legata alla famiglia, chiamata Korczak’s Heritage, Inc.
Da fonti ufficiali e da materiali promozionali risulta che Korczak’s Heritage:
gestisce l’“Official Gift Shop of Crazy Horse Memorial” (negozio di souvenir e gadget);
gestisce il Laughing Water Restaurant, il ristorante panoramico sul sito del memoriale;
si occupa anche di altri servizi collegati (food & beverage, tour, ecc.), come indicato in vari profili aziendali.
Data articolo: Fri, 21 Nov 2025 08:00:00 GMT
I testi di Radio Gaza, puntata 13: “Amico mio, sai cos'è il terrore? Il terrore questa mattina è la pioggia”.
E’ disponibile la tredicesima puntata di Radio Gaza, pubblicata sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico.
Guarda la puntata 13:
“Radio Gaza - cronache dalla Resistenza”, ogni giovedì alle 18, sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico, è un programma a cura di Michelangelo Severgnini e Rabi Bouallegue.
“Gaza ha vinto”, il quinto episodio del film in progress, sarà proiettato per la prima volta a Genova questa sera venerdì 21 novembre alle ore 18 presso BB Service, Via XX Settembre 41.
Lo scorso lunedì 17 novembre, la campagna “Apocalisse Gaza” è arrivata al suo 150° giorno, avendo raccolto 115.628 euro da 1.502 donazioni e avendo già inviato a Gaza valuta pari a 114.874 euro.
Per donazioni: https://paypal.me/
C/C Kairos aps IBAN: IT15H0538723300000003654391 - Causale: Apocalisse Gaza
FB: RadioGazaAD
Di seguito I testi della tredicesima puntata.
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Radio Gaza - cronache dalla Resistenza
Un programma di Michelangelo Severgnini e Rabi Bouallegue
In contatto diretto con il popolo di Gaza che resiste e che ha qualcosa da dire al mondo…
Puntata numero 13 del 20 novembre 2025
Lunedì il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato a favore dell'adozione di una risoluzione redatta dagli Stati Uniti che sostiene il piano del presidente Donald Trump.
Il voto è passato con l’astensione di Russia e Cina, le quali non potevano avallare l’idea di vedere eventualmente militari americani a Gaza, ma che in qualche modo scelgono di vedere dove questo piano può arrivare.
Il voto autorizza la creazione di un “Board of Peace”, un Consiglio di pace previsto dal piano di Trump per Gaza, che dovrebbe fungere da autorità di transizione incaricata di supervisionare la ricostruzione della Striscia. Il consiglio dovrebbe essere presieduto da Trump. L'unico altro membro proposto da Trump fino ad oggi è l'ex primo ministro britannico Tony Blair.
Questo consiglio autorizza inoltre una “forza internazionale di stabilizzazione”, che garantirà un processo di smilitarizzazione di Gaza, anche attraverso la dismissione delle armi e la distruzione delle infrastrutture militari.
Rimangono non chiare la composizione e le capacità della Forza internazionale di stabilizzazione.
Turchia, Indonesia e Azerbaigian sono stati indicati, insieme all'Egitto, come i principali Paesi pronti all’invio di truppe.
L'ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite, Mike Waltz, ha dichiarato:
“Questi coraggiosi soldati garantiranno la sicurezza delle strade di Gaza, supervisioneranno la smilitarizzazione, proteggeranno i civili e scorteranno gli aiuti attraverso corridoi sicuri, mentre Israele ridurrà gradualmente la sua presenza e una forza di polizia palestinese accuratamente selezionata assumerà un nuovo ruolo”.
Per conquistare il voto del blocco arabo tuttavia, guidato dall’Algeria durante la riunione del Consiglio di Sicurezza, è stato inserito all’ultimo un passaggio che indica che, una volta che l'Autorità Palestinese si sarà riformata e la ricostruzione di Gaza sarà in corso, “potrebbero finalmente esserci le condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la statualità palestinese”.
Netanyahu respinge sdegnato la possibilità.
Trump è tra incudine e martello.
Hamas, a sua volta, ha respinto il voto con queste parole: “La risoluzione impone un meccanismo di tutela internazionale sulla Striscia di Gaza, che il nostro popolo e le sue fazioni rifiutano”.
In sostanza il principio adottato da Hamas sostiene che non ci sarà disarmo fino al giorno della nascita di uno Stato palestinese. Di fatto, quel giorno, quelle armi diventerebbero semplicemente legali, oltre che legittime.
Il Consiglio di pace richiede inoltre la creazione di un comitato tecnocratico palestinese per gestire l'amministrazione quotidiana della Striscia di Gaza e la fornitura dei servizi, ma non è affatto chiaro chi ne farebbe parte.
Questo è lo stato dell’arte attuale.
Come detto la scorsa settimana, questo piano Trump è un tiro alla fune, dove però Trump non è uno dei due a tirare, Trump è proprio la fune. Da un lato tira Israele, dall’altro tira il cosiddetto “blocco musulmano”, che però annovera Paesi come la Turchia, l’Egitto, il Qatar, l’Arabia Saudita,, l’Algeria. Tutti Paesi con i quali Trump non può permettersi di rompere. Senza contare l’Iran che in questa fase osserva il rinnovato attivismo sunnita sulla questione palestinese in vista di una resa dei conti con Israele.
A proposito di Israele. Trump chiede al presidente Herzog di perdonare Netanyahu e sollevarlo dalle accuse di cui deve rispondere in patria.
Dall’altra parte, il neo-sindaco musulmano di New York, Zohran Mamdani, figura di spicco pro-Pal, eletto con un contributo eccezionale alla sua campagna elettorale di 37milioni di dollari elargito dalla Open Society Foundation del magnate ebreo George Soros, dichiara che Netanyahu verrà arrestato la prossima volta che metterà piede nella Grande Mela.
Insomma, Netanyahu è nel mirino di buona parte dell’establishment ebraico e d’ora in avanti dovrà guardarsi le spalle. La sconsideratezza non paga, a cominciare del proprio campo.
Ma abbiamo una domanda per voi: forse qualcuno crede che Steve Witkoff, inviato speciale americano per Gaza, stia incontrando in Egitto in queste settimane il capo di Hamas, Khalil al-Hayya, per capire come liquidare il movimento?
E’ vero, in fondo non sappiamo di cosa stiano parlando. Ma sappiamo cosa ne pensa la gente a Gaza. Perché glielo abbiamo chiesto e ci hanno risposto.
Perché le analisi geopolitiche sono sempre interessanti, ma lasciano il tempo che trovano se non sono in grado di coltivare contatti diretti e soprattutto tradursi in azione.
<<Che la pace sia su di te fratello Rabi, spero che stai bene, e che la pace su di te Michelangelo:
Riguardo la confisca della armi ad ad Hamas, quale sarà la seconda fase?
È un piano che Israele e alcuni esponenti internazionali stanno promuovendo e che riguarda: la guerra a Gaza e comprende la ricostruzione, una nuova amministrazione civile che non sia Hamas, il rifornimento di aiuti, forse un dispiegamento di forze internazionali o arabe, ma la condizione per avviare questa fase è il disarmo di Hamas.
Cosa implica un disarmo di Hamas? Spogliare totalmente il movimento delle sue capacità militari, e questo comprende i razzi, le armi leggere e pesanti, i tunnel e le brigate armate di Al Qassam.
Smantellare la struttura bellica di Hamas e impedirgli di riorganizzarsi in quanto forza armata.
Chi chiede ciò? Israele considera la confisca delle armi una misura di sicurezza prima di qualsiasi processo di definitiva distensione o ricostruzione. Gli Stati Uniti e esponenti europei legano (l'ingresso degli) aiuti con l'indebolimento della forza militare di Hamas.
Alcuni paesi arabi non escludono il disarmo a patto che ciò non sia un pretesto per ripristinare l'occupazione di Gaza, però fratello Rabi, alcuni si chiedono perché la situazione è cosi complicata.
Hamas rifiuta il disarmo perché ciò significa la fine del suo progetto di resistenza, e una sconfitta politica. Il popolo è diviso tra chi vede negli armamenti una protezione e chi pensa che debbano essere organizzate o eliminate, dopo questa incredibile distruzione.
Finora, nessuna autorità attendibile può governare al posto di Hamas, senza un pericoloso vuoto di sicurezza.
Pero, fratello, i paesi che propongono di partecipare nella forza internazionale e di pagare il prezzo per la ricostruzione di Gaza si dividono in tre gruppi principali.
1. paesi arabo - musulmani influenti probabilmente avranno un ruolo politico che implicherà costi materiali: l'Egitto, per esempio, grazie alla sua posizione geografica e la sua influenza su Gaza è la candidata per un ruolo politico e di sicurezza, però con delle condizioni. Qatar è stato il maggiore finanziatore per la ricostruzione di Gaza in passato, e molto probabilmente continuerà il sostegno economico. Gli emirati Arabi e l'Arabia Saudita : probabile offriranno un sostegno economico a delle condizioni chiare, ma legheranno ciò a un operazione politica ben più grande.
La Giordania e la Turchia: probabile ricopriranno un ruolo civile e logistico, soprattutto nei settori dell'assistenza umanitaria, nella sanità e nell’istruzione.
2. La forza occidentale e i paesi benestanti : gli è stato chiesto di finanziare largamente la ricostruzione e la stabilità.
Gli Stati Uniti : potenziale finanziatore (della ricostruzione) però a condizione del disarmo di Hamas e un cambio di governo a Gaza.
L'unione Europea : sosterrà la ricostruzione se ci sarà un ferreo controllo sui finanziamenti e il riarmo di Hamas.
Canada, Giappone, Norvegia, Svizzera : paesi tradizionalmente benestanti che probabilmente finanzieranno l'istruzione, la sanità e le infrastrutture.
3. Ruolo dell'ONU: il ruolo delle Nazioni unite e le organizzazioni internazionali, UNRWA, monitoreranno i progetti di ricostruzione e l'assistenza umanitaria.
Banca mondiale e Fondo monetario internazionale: gestiranno i finanziamenti per la ricostruzione tramite un ente trasparente.
Chi pagherà il prezzo della ricostruzione? Questa è quello che vogliamo, fratello Michelangelo. Il Costo iniziale stimato ammonta tra le 10 e i 15 miliardi di dollari.
I potenziali finanziatori: i paesi del golfo, l'unione Europea, gli Stati Uniti, o enti arabe e internazionali ma il finanziamento è condizionata da una clausola politica: cambio della situazione militare a Gaza, oppure il divieto di finanziare Hamas.
Che la pace sia su di voi>>.
Lo scorso lunedì 17 novembre, la campagna “Apocalisse Gaza” è arrivata al suo 150° giorno, avendo raccolto 115.628 euro da 1.502 donazioni e avendo già inviato a Gaza valuta pari a 114.874 euro.
150 giorni. 1500 donazioni. 115.000 euro raccolti. C’è una sorta di rotondità in questi numeri. E sono numeri straordinari che la flessione di questi ultimi tempi non mette in discussione.
Abbiamo aperto una strada nuova. E non è una strada lastricata. Al contrario è una selva piena di insidie e di spine, di sofferenza, di disillusione, di cruda realtà, di maschere che crollano di fonte all’ipocrisia di chi ancora, fino ad oggi, non ha speso una parola una per quello che stiamo facendo. Se non altro per rendere il servizio di informare i più della nostra esistenza.
Ma non ci fermiamo qui. Questo straordinario traguardo ci dà l’occasione per annunciare la realizzazione del quinto episodio del film in progress.
Per dedicarci a Radio Gaza, abbiamo forse trascurato l’aspetto visivo in questi mesi, ma tutto il materiale raccolto resta in archivio. E pertanto questo nuovo episodio, sempre realizzato con le riprese dei telefonini dei nostri contatti a Gaza, racchiude un periodo che va dal 4 agosto scorso fino a pochi giorni fa. E racchiude un lasso di tempo in cui è successo di tutto. Dalla carestia di agosto, all’operazione militare israeliana e al conseguente esodo di settembre, al contro-esodo di ottobre, fino alle piogge e ai mancati aiuti di novembre.
Questo nuovo episodio si intitola “Gaza ha vinto”, perché troppi si sono intestati la vittoria e i meriti: Trump, Israele, le Flottiglie. Noi, al contrario, crediamo che gli unici meriti vadano alla resistenza popolare di Gaza e all’eroismo della sua popolazione.
Questo episodio, 48 minuti di durata, sarà proiettato per la prima volta a Genova venerdì 21 novembre alle ore 18 presso BB Service, Via XX Settembre 41.
Sarà poi proiettato venerdì 28 novembre a Livorno alle ore 21 presso il Centro Culturale Libertà in via Borgo Cappuccini 25.
In attesa che sia disponibile in rete, altre proiezioni possono essere organizzate contattando gli autori.
Proponiamo ora alcune scene del documentario.
Mentre i colloqui proseguono e ogni parte in causa muove le proprie pedine sullo scacchiere internazionale, intanto a Gaza la situazione non migliora. Anzi, possibilmente peggiora, a causa delle forti piogge di cui ormai tutti hanno sentito e visto.
Anche se l’operazione militare si è fermata, anche se le IDF si sono ritirate dietro la linea gialla, comunque la distruzione resta distruzione. E se nessuno interviene, le conseguenze di questi 2 anni terribili renderanno terribile anche il futuro.
Nel frattempo però ci siamo noi, noi gente comune, che su un piano orizzontale possiamo attivarci inviando valuta all’interno della Striscia per sostenere nel nostro piccolo quel poco di economia residua. Un niente che però reca sollievo e porta da mangiare a decine di persone, nonostante tutto.
<<Che la pace sia su di te Rabi.
Amico mio sai cos'è il terrore? Il terrore questa mattina è la pioggia abbiamo vissuto il profondo terrore e la paura. Quando cadono le piogge, non cadono sulle case, bensì sulle macerie, su tende a pezzi cadono su famiglie che vivono per strada, nei marciapiedi, nelle autostrade. Noi qui nella Striscia di Gaza temiamo molto la pioggia la pioggia significa che saremmo immersi di acqua, fango e terra noi gente di Gaza ciò che più ci terrorizza sono le precipitazioni di pioggia prima le pioggia era un buon presagio, oggi si è trasformato in un presagio di paura e terrore. Le piogge cadono da questa mattina, e cosa ne è stato di noi? Le piogge quando sono precipitate, hanno trasformato le nostre tende in luoghi che non servono a nulla hanno trasformato le nostre tende in stracci bagnati. Bambini che piangono per il freddo. Non abbiamo nulla con cui proteggerli le tende sono a pezzi, le istituzioni internazionali non si preoccupano di fare entrare le tende nella Striscia di Gaza noi stiamo vivendo una situazione di grande terrore. Avevo spiegato in messaggi precedenti, e lo ripeto: le istituzioni non hanno fatto nulla loro fanno solo ciò che filmano, per il resto non abbiamo visto nulla, salvate le famiglie di Gaza dalla rovina, nessuno sta aiutando Gaza città e i suoi abitanti di ritorno nei loro luoghi non vorrei dire "case" perché sono state distrutte, nel campo di Al Shaty più del 70% delle case sono state totalmente distrutte. Siamo nella zona di Al Shaty però viviamo nelle tende e oggi le piogge hanno totalmente distrutto le tende, cerchiamo di mantenere asciutti i vestiti dei nostri bambini.
Lancio un messaggio e un urlo attraverso Radio Gaza, la piattaforma mediatica che si è fatto carico delle nostre sofferenze, delle nostre speranze e di tutti i nostri problemi: salvate Gaza, salvate Gaza Città, nessun aiuto è stato offerto a Gaza città. A Gaza città nulla entra, siamo privati di qualsiasi cosa, persino le tende. Il nylon con cui ripararci a Gaza città non c'è indirizzate I vostri appelli alle istituzioni internazionali affinché si occupino di Gaza città forse hanno aiutato il Sud? Sì, a Khan Younis, nel centro (di Gaza), ma non hanno fatto nulla a Gaza Città che è stata, ed è, colpita dalla distruzione delle ultime operazioni militari israeliane>>.
Data articolo: Fri, 21 Nov 2025 07:00:00 GMTLa crisi politica che investe il regime di Kiev si approfondisce di giorno in giorno, mentre il cosiddetto “caso Míndich” esplode al centro del potere ucraino. Le dichiarazioni di Vladimir Putin, che ha definito la leadership di Kiev “una banda criminale aggrappata al potere”, trovano nuova eco dopo la pubblicazione dei documenti del NABU che coinvolgono l’entourage più vicino al presidente Zelensky.
Il mega-scandalo ruota attorno all’imprenditore collaterale al regime Timur Míndich, considerato il “portafoglio” personale di Zelensky, accusato di aver orchestrato un vasto sistema di tangenti nel settore energetico. Le indagini parlano di mazzette milionarie, contratti pilotati e perfino di un water d’oro trovato in uno degli appartamenti perquisiti: simboli di un potere sempre più distante dal paese in guerra. Il colpo più duro arriva però dall’interno: nel dossier del NABU compaiono i nomi dello stesso Zelensky e dell’ex ministro della Difesa Rustem Umerov, mentre in Parlamento monta la richiesta di dimissioni del governo e del capo dell’Ufficio del Presidente Andrej Ermak.
Intanto, dei sondaggi riservati indicano un crollo del consenso: ll ntasso di approvazione di Zelensky sarebbe sceso sotto il 20%. Anche tra i partner occidentali cresce il disagio. Varsavia avverte che l’Ucraina, con questi livelli di corruzione, non può pensare all’ingresso nell’UE, mentre negli Stati Uniti si moltiplicano le pressioni affinché a Kiev si avvii un processo di “transizione controllata”. Nonostante queste circostanze, nuove elezioni restano improbabili: il paese è in guerra, il sistema politico è fragile e qualsiasi voto potrebbe aprire una fase incontrollabile, sono le giustificazioni Zelensky e della sua cricca.
Ma la sensazione, sempre più diffusa tra analisti e cittadini ucraini, è che il ciclo politico di Zelensky stia entrando nella sua fase finale: con il Míndichgate destinato a rimanere uno spartiacque nella crisi del regime di Kiev.
Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
Data articolo: Fri, 21 Nov 2025 06:00:00 GMT
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Sta dunque per vedere la luce il nuovo piano USA per una soluzione del conflitto in Ucraina che, tra l'altro, quantunque al momento ne siano stati resi noti solo i tratti quadro, prevede il riconoscimento di Crimea e Donbass russi. A dir poco curioso il fatto secondo cui, dopo l'annuncio del piano, i deputati alla Rada starebbero già discutendo delle dimissioni di Andrej Ermak, di una nuova coalizione alla Rada e della formazione di un governo di transizione che dovrebbe firmare l'accordo con la Russia e organizzare le elezioni, sottintendendo quindi l'uscita di scena di Vladimir Zelenskij.
I punti chiave del piano, secondo quanto riportato da Axios e Financial Times, prevedono lo status di lingua di Stato per il russo e il riconoscimento dello status ufficiale in Ucraina alla Chiesa ortodossa ucraina; riduzione degli aiuti militari USA a Kiev, che rinuncerà all'intero Donbass, mentre le sue Forze armate saranno ridotte della metà. Previsto il trasferimento alla Russia dei territori del Donbass controllati da Kiev, in cambio di garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti; verranno congelate le linee di contatto nelle regioni di ZaporoĹľ'e e Kherson; i territori del Donbass ceduti da Kiev saranno considerati zona demilitarizzata, mentre non è previsto alcun dispiegamento di truppe straniere, né tantomeno l'adesione di Kiev alla NATO; a Kiev non verranno più fornite armi occidentali in grado di colpire in profondità il territorio russo. Stando alla Reuters, Washington avrebbe imposto a Zelenskij di accettare il piano di pace, premendo su di lui perché arrivi a un accordo quadro con la Russia.
Mentre la CBS riferisce dell'arrivo a Kiev del Segretario dell'Esercito USA, Daniel Driscoll, per discutere l'accordo, Axios riporta che Steven Witkoff e Kirill Dmitriev stanno tenendo "consultazioni segrete" sul nuovo piano in 28 punti, divisi in quattro categorie: pace in Ucraina, garanzie di sicurezza, sicurezza in Europa e future relazioni degli Stati Uniti con Russia e Ucraina.
Secondo The Wall Street Journal, il nuovo piano Trump sembra corrispondere alla proposte avanzate da Vladimir Putin già al summit in Alaska dell'agosto scorso, anche perché, come ha detto il portavoce presidenziale russo, non ci sono state novità per un accordo dopo l'incontro di Anchorage tra Putin e Trump. Al momento, rimane tuttavia poco chiaro, osserva RIA Novosti, come reagiranno Kiev e i suoi alleati europei al piano elaborato da Witkoff, J.D. Vance, Marco Rubio e Jared Kushner.
D'altronde, nota l'osservatore di Ukraina.ru Aleksandr Skubcenko, è ancora presto per definirlo un piano ufficiale, dato che né Russia né Stati Uniti lo hanno confermato ufficialmente. Ma se il piano è questo, allora per il regime di Zelenskij è la fine. Ci sono persone in Ucraina pronte ad attuarlo, o uno simile approvato da Mosca. A Zelenskij, dice Skubcenko, dovrebbe «piacere in particolar modo il punto che lo riguarda personalmente. O te ne vai (cioè: pace in Ucraina) e allora saranno i londinesi a farti fuori; o rimani (guerra) e gli yankee ti metteranno in galera. È una scelta difficile. Ma il processo di pace deve iniziare con la sua uscita di scena. In prigione o nella tomba: la scelta sta allo stesso Zelenskij. Non ne ha altre».
E Ivan Gracev, su Komsomol'skaja pravda, osserva che ora tutti i pezzi del puzzle sono al loro posto: gli USA hanno smascherato l'impero ladresco di Zelenskij, per obbligarlo alla pace entro la fine di novembre. In sole due settimane di rivelazioni sulla corruzione ai vertici ucraini, che hanno travolto non solo Kiev, ma anche Europa e USA, quello che veniva accolto nei paesi occidentali come un “nuovo Churchill” si è rivelato il capo di una mafia che rubava denaro occidentale.
Tutti, ovviamente, hanno sempre saputo, o sospettato, che denaro e armi occidentali venissero rubati in Ucraina. Ma si considerava un necessario effetto collaterale nella “giusta guerra” contro la Russia. Che Zelenskij e soci si concedessero pure qualche sfizio in ville e conti bancari in Costa Azzurra: l'importante era che combattessero. A ogni buon conto, ogni centesimo di quanto inviato veniva diligentemente annotato. Dunque, ora, chi ha fatto trapelare i fatti? Con quale intento?
Non si danno banali casualità, quando è in gioco un nuovo ordine mondiale. Così, azzarda Gracev, allo scoppiare aperto dello scandalo, i leader europei si danno a borbottare qualcosa del tipo "Zelenskij ha iniziato a combattere la corruzione; diamo all'Ucraina ancora più soldi".
Ora, tanto per ricordare a grandi linee: il NABU, l'Ufficio anticorruzione, era stato istituito nel 2015, per volere yankee, non tanto per combattere la corruzione, quanto per tenere d'occhio l'élite ucraina e sinora aveva mantenuto un basso profilo, raccogliendo informazioni su burocrati e oligarchi. Improvvisamente, il 10 novembre, il NABU ha reso pubbliche le ormai famose intercettazioni telefoniche. Stupore in Europa, non certo perché, con la guerra in corso, a Kiev ci si desse al ladrocinio, bensì perché qualcuno, in Occidente, avesse consentito che se ne parlasse. Chi ha permesso il "Mindicgate"?
Il 17 novembre, Zelenskij vola a Parigi, apparentemente per acquistare 100 caccia Rafale - che non si sa quando verranno prodotti e non si sa con che soldi verranno pagati – ma in realtà perché il nazigolpista-capo vuole dimostrare al mondo che non tutti lo hanno abbandonato. E mentre chi ha ordinato lo scandalo comincia a spazientirsi, a Kiev i rivali di Zelenskij gli stanno alle calcagna. La vecchia guardia majdanista, – Porošenko, Klichkò, Timošenko – chiedono le dimissioni di Ermak e la formazione di un nuovo governo, mentre alla Rada molti deputati abbandonano la frazione presidenziale “Servo del popolo”.
In definitiva, domanda retoricamente Gracev, cosa «chiedono al "Churchill" ucraino? Chi c'è dietro il "Mindicgate"? Il “committente” sono gli Stati Uniti, stanchi dell'ostinazione di Zelenskij, incapace di fare concessioni su un accordo di pace con la Russia e pronto a combattere all'infinito: dopotutto, i soldi stanno arrivando a fiumi». Trump sta facendo pressione su Mosca con dure sanzioni e su Kiev con materiale compromettente del NABU. Finora, «l'Europa ha sostenuto Zelenskij, "eroe della guerra con la Russia"; ma difendere Zelenskij, corrotto, è un'altra cosa». Così che in Europa si sceglie il silenzio tombale. Mentre a Kiev l'ex portavoce di Pravij Sektor, Borislav Bereza, definisce inaccettabile il punto del piano di pace USA che prevede una riduzione del 50% delle Forze armate ucraine, la deputata della Rada Anna Skorokhod afferma che Kiev ha perso l'occasione di firmare un accordo accettabile con la Russia, quando era ancora possibile e, dopo l'esplosione dello scandalo, prevede che verrà nominato un governo ad interim, incaricato di preparare le elezioni e firmare un accordo di pace. Credo, ha detto, che «sia iniziato il processo della fine di questo governo e dello Stato ucraino nel suo complesso. Chiunque firmerà l'accordo con Mosca, andrà incontro a un suicidio politico... Dobbiamo capire chi si suiciderà e chi si unirà a questo governo di transizione temporaneo, chi sarà pronto a preparare il Paese per le elezioni e per un accordo di pace».
Di contro, in Russia, c'è chi, come lo storico Igor Šiškin, guarda con sospetto alle mosse USA. Trump sta cercando di imporre una pace che renderà la sicurezza della Russia dipendente dagli Stati Uniti, afferma Šiškin: «Trump sta evitando uno scontro con la Russia. Sta cercando di creare una pace in Ucraina in cui la sicurezza della Russia dipenderà dalla volontà di Washington. Non ha bisogno dello smembramento della Russia, come Biden. Deve costringere la Russia a seguire gli USA sulla loro strada. È a questo che mirano le iniziative di pace di Trump». In effetti, nel corso di dieci mesi la Russia non ha accettato le iniziative di pace di Trump. Gli accordi di Istanbul costituivano un compromesso molto serio. E se la Russia «continua a rifiutare ciò che Trump propone, significa che sia peggiore di quanto stabilito a Istanbul; è una sfida per la sicurezza. La Russia non accetterà accordi che non tengano conto della propria sicurezza. E le proposte avanzate dalla controparte rendono inevitabilmente la Russia dipendente, in termini di sicurezza, dalla volontà di Washington».
D'altra parte, le cancellerie europee si mostrano isteriche riguardo alle nuove proposte e ritengono che qualsiasi fine delle ostilità, che non comporti il collasso della Russia, sia una condanna a morte per la UE, le cui risoluzioni stabiliscono che questa sia una lotta di natura esistenziale e incalzano Trump perché prema ancor più energicamente su Mosca. Tanta è la “volontà di pace” delle capitali europee che, interrompendo temporaneamente il flusso delle aperte dichiarazioni di guerra, si contrabbanda per necessità di “sicurezza” la rinnovata insistenza sulla questione di una "Schengen militare": le normative esistenti non consentono un rapido trasferimento di armi e attrezzature militari tra i paesi UE, richiedendo complesse e lunghe procedure. Ora, la questione è sul tappeto almeno da una decina d'anni e riguarda l'adeguamento delle strutture viarie, ferroviarie e quant'altro, al doppio standard civile-militare, così che tutto sia pronto per il passaggio di uomini e mezzi della NATO, al momento in cui, statene certi, «la Russia attaccherà l'Europa».
Come non ricordare, ancora una volta, la mirabile telefonata di Mario alla radio, nel film di Nanni Moretti “Ecce Bombo”? L’amico etiope di Mario era sicuro che le gallerie delle autostrade italiane fossero più strette della misura dei treni e che un carro armato non avrebbe avuto la possibilità di passarci. Da lì, l'esigenza di adeguare prontamente gallerie, ponti, linee ferroviarie: il tutto, per le necessità militari dell’Alleanza atlantica. La rete stradale, spesso interrotta da città senza tangenziali, è inadatta al movimento di grandi contingenti di truppe, e anche la capacità ferroviaria è problematica. In parallelo, c'è la necessità di rimuove gli ostacoli di natura burocratica. Ecco che ora Kaja-Fredegonda-Kallas interviene constatando che «L’Europa sta affrontando minacce alla sicurezza senza precedenti: un rapido movimento delle forze armate europee è essenziale per la Difesa europea perché la prontezza difensiva dipende fondamentalmente dal fatto che tu riesca a portare i tuoi carri armati e le tue truppe dove ti servono, quando ne hai bisogno». L’idea, osserva il signor Marco Bresolin su La Stampa del 20 novembre, è di «creare una sorta di “Schengen militare” per rimuovere gli ostacoli esistenti e favorire la libera circolazione delle truppe e dei mezzi entro il 2027 in modo “più rapido, più sicuro e più coordinato”». Occorre quindi «rimuovere le barriere normative, introducendo regole armonizzate a livello Ue al fine di superare l’attuale frammentazione fatta di procedure burocratiche macchinose che limitano i movimenti transfrontalieri a causa delle numerose formalità previste alle dogane». Ci sarà una prassi «unica a livello europeo con procedure d’emergenza e accesso prioritario alle infrastrutture stradali, ferroviarie e aeroportuali per uomini e mezzi degli eserciti coinvolti, mirando a «”rafforzare la resilienza delle infrastrutture di trasporto” – come ponti, gallerie, aeroporti e porti – creando corridoi di mobilità a uso duale per consentire il transito dei carri armati e degli altri mezzi militari di grandi dimensioni».
I farabutti guerrafondai ammaliati di “resilienza” la chiamano ipocritamente “sicurezza”! Ecce Bomboooooo....
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https://ria.ru/20251119/smi-2056129333.html
https://ria.ru/20251120/plan-2056189753.html
https://news-front.su/2025/11/20/mirnyj-proczess-mozhet-nachatsya-tolko-s-uhoda-zelenskogo/
https://www.kp.ru/daily/27745/5172946/
https://news-front.su/2025/11/19/evropa-na-raspute-voennyj-shengen-i-dorozhnye-dilemmy-es/
https://www.lastampa.it/esteri/2025/11/19/news/schengen_militare_europa_kaja_kallas-15402555/
Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 17:16:00 GMT
di Alex Marsaglia
Siamo ormai in un contesto di tensione internazionale talmente forte in cui il primo ad abbassare la pistola puntata verso l’avversario rischia di venir preso per debole ed essere sbranato, facendo la fine dell’agnello in mezzo ai lupi. Inoltre, le numerose fughe in avanti e promesse non mantenute di Trump hanno totalmente minato il clima di fiducia che pur esisteva tra lui e Putin. Così, accade che proprio mentre Trump cerca di rilanciare un piano di Pace per l’Ucraina, provando a ritessere la tela di Anchorage e riproponendo la celebre cartina sottoposta a Zelensky nello studio ovale con il Donbass e la Crimea come territori legittimamente russi, limitazioni all’esercito ucraino e disarmo, più nessuno lo segue. È ciò che accade quando la filosofia della praxis viene disconosciuta: non si fa quel che si dice e non si dice quel che si fa. Il clima di fiducia viene minato e con quello salta la base per un qualsiasi accordo reciproco, che invece ha bisogno per l'appunto della fiducia che consente a chi vorrà fare il primo passo di non essere colpito da un attacco in grado di stroncarlo.
Rispetto a quanto detto da Trump ad Anchorage, nel “piano di pace in 28 punti” che in queste ore viene sottoposto a Kiev, l’Ucraina sarebbe forzata alla sua accettazione.
Questa misura si sarebbe resa evidentemente necessaria per via del totale disimpegno del Governo Zelensky in questi mesi a perseguire la pace. Ma restano le solite pesanti ombre: fonti informate fanno sapere che il piano conterrebbe una sorta di “affitto” da far pagare ai russi per il mantenimento dei diritti di proprietà del Donbass.
Insomma, porcherie degne di rentiers antidemocratici che cercano di trarre profitto a discapito dei processi democratici di autodeterminazione dei popoli.
Ma a ben vedere qui il grosso problema non sembra neanche più tanto essere il Governo Zelensky, comunque sempre più traballante (azzoppato dallo scandalo tangenti e dalle dimissioni con fuga di due ministri), quanto l’Unione Europea più indisposta che mai ad accettare la pace.
La Russia dal canto suo, prima per bocca della portavoce del Ministro degli Esteri Maria Zakharova ha fatto sapere di non aver ricevuto alcuna comunicazione formale, poi tramite il portavoce del Presidente Dmitriy Peskov ha ammesso che “vi sono contatti in corso”.
Evidentemente il Governo Zelensky è nel momento di maggior debolezza di sempre e il fatto che il principale socio del leader ucraino Timur Mindich, l'affarista protetto a lungo dal re degli oligarchi ucraini Ihor Kolomoyskyi (in carcere dal 2023 per riciclaggio), sia recentemente fuggito in Israele evidenzia come non tiri una bella aria neanche per lui. Gli anglosassoni hanno già fatto capire più volte che un regime change in Ucraina non sarebbe impossibile ed anzi sarebbe auspicabile per sbloccare una situazione che si sta incancrenendo.
Gli unici rimasti a coprire le spalle al Governo Zelensky e alla sua “difesa dell’integrità territoriale” sono i leader dell’Unione Europea che si frappongono prepotentemente alla Pace.
Già, perché mentre Trump sembra voler riprendere il discorso iniziato ad Anchorage - non si sa se per l'ennesimo bluff o meno e tantomeno se i russi lo crederanno - gli unici a mantenere una tragica coerenza di guerra sono proprio gli europei che hanno appena finito di approvare una nuova tornata di invio di armamenti all’Ucraina dopo il tour di accattonaggio di Zelensky: su tutti svettano i 100 Rafale e Samp/T ottenuti dalla Francia e finanziati dal sistema PURL e dall’utilizzo degli asset russi congelati. Ma restano pur sempre risorse insufficienti e tardive per invertire la rotta sul fronte di guerra che sta collassando colpito da diserzioni e perdite di uomini sempre più difficilmente rimpiazzabili. E allora qual è la situazione in grado di cambiare le sorti del conflitto? Neanche a dirlo quella più pericolosa dell’allargamento agli altri Paesi NATO, magari con una faccia nuova ai vertici dell’Ucraina. Non a caso la Polonia ha inscenato l'ennesimo casus belli con il sabotaggio agli aiuti di guerra sulla linea ferroviaria nella tratta Varsavia-Lublino che trasporta enormi quantità di materiale bellico in Ucraina, attribuendo la responsabilità ai servizi di spionaggio russi. Non a caso la Germania sta attuando un mastodontico piano di conversione industriale all’economia di guerra, con annessi incrementi di organico a breve termine.
Nel mentre proseguono gli attentati sventati e andati a segno: l'FSB russo ha recentemente sventato un complotto dell'Ucraina per assassinare un alto funzionario russo. Il giornale Moskovskij Komsomolets afferma che il bersaglio era nientemeno che Sergey Shoighu, che è stato ministro della difesa russo dal 2012 al 2024 e ora è segretario del Consiglio di Sicurezza della Russia. A complicare la situazione c'è stato anche l’ennesimo attacco a un’infrastruttura energetica: la più grande raffineria di petrolio dell'Ungheria a Százhalombatta, che tratta petrolio russo consegnato dal gasdotto Druzhba.
Insomma, l’unica vera filosofia della praxis che sta tenendo assieme rigorosamente teoria militarista e imperialista in funzione antirussa e azioni concrete belliciste senza alcun tentennamento è quella dell’Unione Europea che con le parole dell’Alta Rappresentante si è già frapposta al piano: “è necessario che anche gli europei siano d'accordo”, rimbrottando gli Stati Uniti per il mancato coinvolgimento.
Non contenta ha sabotato il “piano di pace in 28 punti” promuovendone un altro parallelo che Zelensky in queste ore sta portando ad Ankara, lasciando i rappresentanti americani indispettiti ad attenderlo.
Anche i principi di giustizia e le garanzie di durata ricordati dalla Kallas si inseriscono nel solco di una filosofia guerresca, per cui la giustizia è quella dei golpisti aggressori in Donbass e le garanzie di durata derivano unicamente dalla sottomissione delle popolazioni russofone. Una situazione che ricalca esattamente quella patita nei lunghi anni intercorsi tra il 2014 e il 2022, di sicuro neanche lontanamente assimilabile alla pace. L’Unione Europea resta quindi l’entità più pericolosa per la pace sulla scena globale, assieme ad Israele, e sarebbe bene iniziare ad appellarla con il nome che si merita: entità, come quell’altra costruzione colonialista rivolta a muovere guerre di aggressione esterne come unico scopo esistenziale ormai. E non è un caso nemmeno che il primo vero attacco verbale al cuore dell’entità sia arrivato dal Presidente del Comitato Centrale del Partito Comunista Russo Gennady Zyuganov che di fronte ai piani di Merz di militarizzazione e ai discorsi di guerra del Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius su una possibilità concreta di guerra tra NATO e Russia ha replicato: "Abbiamo preso Berlino tre volte e, se necessario, la prenderemo una quarta!".
Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 17:07:00 GMT
di Clara Statello per l'AntiDiplomatico
Il cerchio si stringe attorno a Volodymir Zelensky. Non bastava la drammatica situazione al fronte, con Pokrovsk praticamente perduta, Mirnograd accerchiata, Kupyansk e Seversk sotto assalto e le truppe russe in avanzata a Dnipropetrovsk, Zaporozhye e Charkov. Non bastava uno gravissimo scandalo corruzione che ha travolto i più stretti collaboratori e ministri del presidente.
Come un fulmine a ciel sereno, è arrivata ieri la notizia di un piano di pace in 28 punti approvato da Trump, proprio mentre a Kiev il presidente del parlamento Stefanchuk sospendeva la seduta della Verkhovna Rada per via delle proteste di alcuni membri di Servitore del Popolo, che chiedevano le dimissioni di tutti i funzionari coinvolti nella tangentopoli ucraina e la formazione di una nuova coalizione di governo.
Zelensky è sotto scacco: in questa situazione di debolezza strategica e politica, non è nelle condizioni di dire di no a Trump. Nonostante il sostegno incondizionato dei partner europei.
Una capitolazione per Kiev
Le condizioni per la pace in Ucraina sono state segretamente negoziate tra Stati Uniti e Federazione Russa, tenendo fuori la parte ucraina e europea. A fine ottobre, l’inviato speciale del presidente russo, Kirill Dmitriev, ha raggiunto il suo omologo Steve Witkoff negli Stati Uniti. I colloqui si sono tenuti a Miami, per tre giorni, dal 24 al 26 ottobre. Oltre al rappresentante di Trump, vi hanno preso parte il vicepresidente J.D. Vance, il Segretario di Stato Marco Rubio e il genero del presidente Jared Kushner, in base a quanto riferisce NBC citando un alto funzionario americano.
Il piano in 28 punti manterrebbe i principi di Anchorage, ma sarebbe ispirato all’accordo per Gaza. Secondo quanto riporta la stampa britannica e statunitense, prevede:
• La rinuncia di Kiev al Donbass, con il ritiro delle truppe e la cessione dei territori sotto il suo controllo;
• Il riconoscimento di Lugansk, Donetsk e Crimea territori legittimi della Russia da parte di Stati Uniti e altri Paesi, senza chiedere il permesso all'Ucraina.
• L’impossibilità per l’esercito ucraino di possedere alcune tipologie di armi, in particolare missili a lunga gittata in grado di colpire Mosca e San Pietroburgo.
• La riduzione delle forze armate ucraine (saranno ridotte a circa la metà).
• Nessuna truppa europea sul territorio ucraino che resterà sotto il controllo di Kiev.
• Riconoscere lo status ufficiale alla lingua russa nello Stato ucraino.
• Concedere lo status ufficiale alla Chiesa Ortodossa Ucraina afferente al patriarcato di Mosca.
• La rinuncia all’ingresso dell’Ucraina nella NATO.
• La revoca delle sanzioni alla Federazione Russa.
• La non perseguibilità della Russia per i crimini di guerra.
Il giornalista Christofer Miller parla di capitolazione.
Le pressioni americane su Kiev
Oggi pomeriggio Zelensky ha ricevuto ufficialmente dalla parte americana la bozza del piano durante una riunione con il segretario dell’esercito americano Dan Driscoll affiancato dal generale Randy George capo di stato maggiore dell'esercito e da altri alti ufficiali. La delegazione militare è giunta mercoledì a Kiev con lo scopo ufficiale di “contribuire a rilanciare il processo di pace”.
L’ufficio presidenziale ha riferito che Zelensky nei prossimi giorni discuterà con Trump le opportunità diplomatiche esistenti e i punti principali necessari per la pace.
"Il Presidente dell'Ucraina ha indicato i principi fondamentali importanti per il nostro popolo e al termine dell'incontro odierno si è concordato di lavorare sui punti del piano in modo che ciò porti a una degna conclusione della guerra", si legge nella dichiarazione dell'Ufficio del Presidente.
La leadership ucraina, dunque, non dice di no, ma spera di poter rinegoziare alcune condizioni direttamente con il capo della Casa Bianca.
Il no dell’UE
I ministri degli esteri dell'UE, riuniti oggi a Bruxelles, non hanno commentato pubblicamente il piano, ma hanno chiaramente fatto capire che si opporranno a richieste che considerano punitive per Kiev. Inoltre hanno dichiarato che qualsiasi accordo non dovrà privare l'Ucraina della possibilità di difendersi.
Il ministro degli esteri polacco Sikorski ha affermato che l'Ucraina, in quanto vittima del conflitto, non deve subire limitazioni alla sua capacità di difesa.
Il capo della diplomazia europea Kallas ha dichiarato che qualsiasi accordo deve includere il sostegno degli europei e dell'Ucraina stessa. Ha inoltre osservato che il piano di Trump non prevede alcuna concessione da parte della Russia.
Zelensky sotto scacco?
Tuttavia, il sostegno incondizionato dei partner europei potrebbe non essere sufficiente. L’inchiesta Re Mida sta mettendo a dura prova la solidità della leadership ucraina. Le indagini stanno ormai lambendo Zelensky, il cui nome è comparso in un nuovo fascicolo del NABU di accuse contro il suo più stretto socio, Timyur Mindich, assieme a quello di ministri e funzionari di alto profilo.
A quanto pare,Trump ha deciso di sfruttare la situazione per mettere sotto scacco Zelensky e costringerlo a fare concessioni significative sulle condizioni per la fine della guerra. La Casa Bianca vuole concordare con Ucraina e Russia il documento quadro già entro la fine di novembre o addirittura questa settimana. Trump e i suoi ritengono che Zelensky si trovi ora in una posizione tale da essere costretto ad accettare il loro piano, qualunque siano le condizioni. Lo scrive Politico citando una fonte dell'amministrazione americana.
L’amministrazione statunitense ha premura di chiudere la partita in Ucraina. La situazione sul campo è sfavorevole a Kiev. L’esercito ucraino soffre di un’emorragia di uomini, i fronti si sgretolano, le ultime roccaforti del Donbass a difesa di Sloviasnk e Kramatorsk hanno ceduto, le forze russe penetrano progressivamente a Zaporozhye, Dnipropetrovsk, Charkov.
Per Trump non si tratta di segnare una spunta in più nel suo elenco immaginario di guerre concluse di cui si vanta con i media, quanto di non perdere potere negoziale al tavolo delle trattative. Per il momento le regioni rivendicate da Mosca sono quattro. Se i combattimenti non si fermano subito, “diventeranno cinque o sei”, come disse il capo delegazione russa Vladimir Medinsky al primo colloquio con la squadra ucraina lo scorso maggio.
Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 17:00:00 GMT
Il Ministro degli Affari Economici olandese Micky Adriaansens ha annunciato mercoledì la sospensione dell'intervento amministrativo contro Nexperia. Il ministro ha descritto la mossa come "un gesto di buona volontà" e ha promesso di continuare un "dialogo costruttivo" con il governo cinese nel prossimo periodo.
Successivamente, lo stesso giorno, il Ministero del Commercio cinese ha risposto, accogliendo con favore la decisione olandese di sospendere l'ordine amministrativo. La Cina considera questo un primo passo nella giusta direzione per risolvere adeguatamente la questione, ma ha osservato che c'è ancora un divario dall'affrontare la causa principale dell'interruzione della supply chain globale dei semiconduttori, ovvero la piena revoca dell'ordine amministrativo. La Cina spera che i Paesi Bassi continueranno a dimostrare una sincera volontà di cooperare e a presentare soluzioni realmente costruttive.
Il 30 settembre, il governo olandese aveva citato "preoccupazioni di sicurezza nazionale" quando ha congelato per un anno il controllo della cinese Wingtech Technology su Nexperia. La mossa ha causato onde d'urto attraverso la supply chain globale dell'automotive, creando una carenza di chip che ha colpito i produttori di automobili negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone, con le linee di produzione di alcuni modelli di veicoli temporaneamente fermate.
L'ultima dichiarazione dei Paesi Bassi indica che il governo olandese sta restituendo il controllo di Nexperia alla società cinese. Questo riflette un ritorno a un processo decisionale razionale sotto le pressioni del mondo reale. Inoltre, invia un segnale positivo alla catena di approvvigionamento globale.
Questo incidente offre tre lezioni al governo olandese. In primo luogo, la “sicurezza nazionale” non è uno scudo universale. Negli ultimi anni, alcuni paesi occidentali hanno spesso utilizzato la “sicurezza nazionale” come pretesto per imporre restrizioni alle aziende cinesi. Ma nel caso di Nexperia, questa mossa irragionevole ha avuto un effetto contrario: l'acquisizione amministrativa ha direttamente interrotto la catena di approvvigionamento e la forte opposizione da parte dell'industria ha superato di gran lunga le stime del governo olandese. I Paesi Bassi hanno capito che se avessero continuato a forzare l'acquisizione, avrebbero dovuto affrontare enormi costi economici a breve termine e subire danni ancora maggiori alla loro credibilità nazionale nel lungo periodo.
In secondo luogo, è essenziale rispettare la realtà che “la catena tecnologica non può essere disaccoppiata”. Nexperia è uno dei più importanti fornitori mondiali di chip di base, che opera secondo un modello strettamente integrato di “progettazione europea + confezionamento e collaudo cinese”. Qualsiasi tentativo di smantellare con la forza questa struttura industriale attraverso mezzi amministrativi non farebbe altro che infliggere un danno maggiore agli stessi Paesi Bassi e alla catena industriale che fa affidamento su questi prodotti.
Infine, ricorrere a strumenti politici per interferire con la normale cooperazione economica si è rivelato un errore. Negli ultimi anni, i Paesi Bassi hanno dovuto affrontare enormi pressioni esterne sulle loro politiche tecnologiche relative alla Cina. Il caso Nexperia dimostra che un'eccessiva politicizzazione non solo priva le aziende olandesi dei loro mercati, ma può anche rendere i Paesi Bassi vulnerabili lungo la catena di approvvigionamento.
La decisione olandese di sospendere l'intervento in Nexperia è un riconoscimento pragmatico della realtà. Tuttavia, la sospensione dell'intervento non significa che la controversia sia completamente risolta e che gli attriti possano ancora ripresentarsi in alcune fasi. Secondo l'ultima dichiarazione del Ministero del Commercio cinese, entrambe le parti hanno concordato di eliminare l'intervento amministrativo e di sostenere le imprese nella risoluzione delle controversie interne attraverso la consultazione in conformità con la legge, il che non solo proteggerà i diritti legittimi degli investitori, ma creerà anche condizioni migliori per ripristinare la sicurezza e la stabilità dell'industria globale dei semiconduttori. Quindi risulta chiaro che, nelle circostanze attuali, la probabilità di un'escalation sistemica è notevolmente diminuita.
L'impatto del caso Nexperia va ben oltre la risoluzione di una controversia transfrontaliera. Le sue implicazioni positive potrebbero manifestarsi su quattro livelli:
In primo luogo, la governance della catena di approvvigionamento potrebbe passare dalla “politicizzazione” alla ‘professionalizzazione’. I fatti hanno dimostrato che i chip di base sono importanti; essi rappresentano il “sangue” dell'industria automobilistica, degli elettrodomestici e dei sistemi industriali a livello globale. La sospensione olandese segnala che la logica industriale sta iniziando a prevalere sugli impulsi politici.
In secondo luogo, l'Europa potrebbe approfondire la sua riflessione sull'“esagerazione del rischio”. La mossa olandese potrebbe diventare un momento simbolico che spinge a una rivalutazione delle politiche all'interno dell'UE. Si spera che un numero maggiore di governi e aziende si rendano conto che etichettare eccessivamente la Cina non fa altro che causare loro la perdita sia del mercato che dell'iniziativa.
In terzo luogo, la Cina e l'Europa potrebbero definire confini più chiari tra cooperazione e concorrenza nel settore dei semiconduttori. Il caso dimostra che nella catena industriale dei chip fondamentali, le due parti hanno ancora un ampio e insostituibile margine di cooperazione.
In quarto luogo, la catena industriale globale potrebbe ottenere una rara “variabile positiva”. In un periodo di “eccessiva tensione” nella catena industriale globale, qualsiasi passo verso la distensione può avere un effetto amplificato. La sospensione olandese offre anche ad altri paesi un'“opzione non conflittuale” per gestire controversie simili.
In sintesi, la sospensione dell'intervento olandese in Nexperia può sembrare una decisione amministrativa tecnica o procedurale, ma in realtà si tratta di un cambiamento politico altamente simbolico. In un'epoca di crescenti tensioni geopolitiche e di emergente deficit di fiducia economica, qualsiasi paese disposto a frenare e tornare al dialogo merita riconoscimento. Nell'era dei semiconduttori, nessun paese può raggiungere la “sicurezza” da solo; esclusivamente con catene di approvvigionamento stabili l'economia globale può raggiungere una sicurezza reale. Non si tratta di vincitori o vinti: il mondo ha bisogno di decisori più razionali.
(Traduzione de l’AntiDiplomatico)
Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 16:40:00 GMT
Il primo ministro ungherese Viktor Orban lancia un monito severo sull'ipotesi di utilizzare gli asset russi congelati a beneficio dell'Ucraina, definendola una strada piena di rischi che potrebbe portare al "crollo della valuta europea". In un post su Facebook, il leader di Budapest ha dipinto uno scenario fosco per le conseguenze di una tale mossa, prevedendo "lunghe dispute legali, una moltitudine di cause giudiziarie e il crollo dell'euro".
Lo spunto della dichiarazione arriva dalla proposta avanzata dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ai capi di Stato europei per il finanziamento di Kiev nel biennio 2026-2027. Tra le opzioni sul tavolo, figura proprio l'impiego dei fondi russi bloccati. Orban, con tono sarcastico, ha commentato che i funzionari stanno valutando anche l'idea di "fare una colletta volontaria e con gioia" con fondi dei bilanci nazionali, o di contrarre prestiti da far ripagare "ai nostri nipoti".
Al centro del dibattito vi è l'enorme somma, circa 140 miliardi di euro, trattenuta in gran parte in Belgio presso Euroclear. Bruxelles sta esercitando forti pressioni sul governo belga per ottenere il via libera all'utilizzo di queste risorse, finora senza successo. A opporsi con fermezza è il Primo Ministro belga Bart De Wever, il quale ha ribadito alla fine di ottobre che la Commissione non è riuscita a convincerlo della legittimità dell'operazione e sulle conseguenze per la reputazione dell'eurozona.
De Wever condivide le preoccupazioni di Orban, sottolineando che una confisca degli asset colpirebbe gli investitori globali e scatenerebbe una serie infinita di cause legali contro il Belgio. Intanto, l'Ungheria alza ulteriormente la tensione attraverso le parole del ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, che ha accusato direttamente il regime di Kiev. A margine di un incontro dei ministri degli Esteri UE, Szijjarto ha definito lo scandalo corruzione in Ucraina "uno dei più seri nella storia della politica europea" e ha preteso che il governo ucraino renda trasparenti i conti, mostrando quanto del denaro dei contribuenti europei sia "caduto vittima della rete di corruzione" e della "mafia militare".
Da Mosca, le reazioni alla possibile confisca sono state durissime, con accuse di "furto" e definizioni delle proposte di riparazioni come "sganciate dalla realtà". La Russia ha già messo in atto misure di rotorsione, congelando a sua volta gli asset degli investitori dei paesi "non amici". La partita sugli asset russi si conferma così non solo una questione economica e legale di enorme complessità, ma anche un campo minato politico che rischia di approfondire le crepe già esistenti nell'Unione Europea.
Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 16:10:00 GMTIl presidente venezuelano Nicolás Maduro ha supervisionato personalmente i progressi nella Comuna Socialista Guerriere e Guerrieri di Ojo de Agua, attivando ufficialmente il Piano di Sviluppo Integrale per il Corridoio Viario Caraques-La Guaira. Nel corso della visita, il leader bolivariano ha lanciato un duro attacco contro le potenze straniere, condannando quello che ha definito il "genocidio" dei popoli indigeni durante l'epoca coloniale e rinnovando le sue accuse agli Stati Uniti per la loro "aggressione" contro il Sud America.
"Diciamo all'impero del XXI secolo no alle guerre, no al genocidio. I popoli hanno il diritto di vivere, di esistere e di crescere come vogliono", ha dichiarato Maduro, rivolgendosi alla comunità. Il presidente ha poi sottolineato come il Venezuela conti su un popolo consapevole ed emancipato, che non si lascia turbare da minacce esterne. "Il nord imperialista con le sue parole e le sue ambizioni criminali vuole colonizzare e conquistare la nostra America", ha tuonato, rivendicando con forza l'eredità dei cacique indigeni Catia, Tacagua e Guaicamacuto.
#ENVIVO | Presidente de #Venezuela ????????, Nicolás Maduro, visita la "Comuna Socialista Guerreras y Guerreros de Ojo de Agua".
— teleSUR TV (@teleSURtv) November 19, 2025
→ https://t.co/ROUUUfjBZh pic.twitter.com/77xZLPsGg2
Il discorso si è trasformato in un appassionato richiamo alla sovranità nazionale e all'indipendenza economica. "Schiavi, mai più, mai più. Colonia, mai più, mai più. Ribelli e patria giusta e sovrana", ha affermato con enfasi il leader venezuelano, spiegando che il potere che trasforma il Venezuela si esercita dalla base. Ha aggiunto che quando si parla di Sovranità Nazionale ci si riferisce proprio a questo popolo emancipato che vive nella vera democrazia. "L'ordine è non dipendere da nessuno, affinché la Patria sia assolutamente indipendente e libera".
Il modello di sviluppo illustrato da Maduro per la comuna, situata in una zona che comprende 5 Consigli Comunali rappresentanti 1.774 famiglie per un totale di 4.944 persone, si articola in tre assi strategici allineati con le sette linee di trasformazione del governo. Gli assi integrano piani economici, sociali, educativi, sanitari, dei servizi pubblici e della sicurezza. In questo contesto, il presidente ha ratificato l'invito a partecipare alla quarta Consulta Popolare Nazionale del 23 novembre, dove i cittadini potranno scegliere i progetti destinati alle loro comunità.
Sul terreno, il piano prende già forma attraverso progetti concreti di sviluppo economico locale. Sono stati inaugurati un potabilizzatore d'acqua, una ferramenta comunale, una drogheria comunale e un corridoio turistico destinato a generare reddito e occupazione per gli abitanti. Sono in corso anche lavori di recupero di spazi sportivi, con l'obiettivo di trasformarli in un complesso culturale, sportivo e produttivo per gli imprenditori locali. L'amministrazione comunale utilizzerà un vasto terreno all'ingresso di Blandín come centro di distribuzione e produzione di gas per le zone del corridoio.
Maduro, accompagnato dalla Prime Combatiente Cilia Flores e dal sindaco di Caracas Carmen Meléndez, ha definito "Mercoledì della Comuna" questa iniziativa, annunciando che il piano, progettato dalle comunas in soli 25 giorni, è già totalmente finanziato e i lavori di costruzione del corridoio inizieranno il 25 novembre. "Questo corridoio che nasce oggi ha le condizioni per diventare un corridoio modello a livello nazionale", ha precisato, chiedendo ai ministri di mantenere un contatto permanente con la comunità. Per sostenere ulteriormente l'economia locale, il presidente ha annunciato l'arrivo di 200 mucche da latte e di piante di caffè dalla regione di Trujillo, affinché il settore possa avviare una produzione autonoma.
Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 15:13:00 GMTIl ministro degli Interni venezuelano Diosdado Cabello ha denunciato che la CIA ha trafficato stupefacenti verso gli Stati Uniti.
"Ecco, Air America, come la CIA ha trafficato eroina verso gli Stati Uniti per 22 anni", ha dichiarato durante il suo programma settimanale Con el Mazo Dando, un appuntamento fisso davanti alla tv per tanti venezuelani.
Secondo Cabello, l'agenzia di intelligence statunitense pagava "bonus" ai membri dell'Aeronautica Militare, oltre 51.000 dollari al mese, per un totale di 100 ore di volo.
"È così che si è sviluppata la situazione in Afghanistan, è così che la produzione di oppio è aumentata di 1.080 volte quando gli Stati Uniti sono arrivati in Afghanistan", ha aggiunto.
Ha inoltre sottolineato che negli Stati Uniti quasi 30 milioni di persone di età superiore ai 12 anni "soffrono di alcolismo" e ha specificato che 490 persone muoiono ogni giorno a causa del consumo di alcol. "Non fanno nulla. Nessuno bada a questi problemi, ma basta che vogliano rovesciare un governo da qualche parte nel mondo, e approvano risorse per la guerra, ma non le approvano per aiutare il loro popolo", ha concluso.
Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 14:32:00 GMT
Secondo quanto appreso da fonti private dal portale The Cradle, una delegazione russa di alto livello ha visitato il governatorato siriano di Quneitra il 17 novembre, ribadendo l'intenzione di Mosca di rafforzare la propria presenza militare nella delicata regione adiacente alle alture del Golan occupate da Israele.
La delegazione russa era composta da ufficiali dei comandi operativi in ??Siria, accompagnati da un comitato del Ministero della Difesa siriano ed ha effettuato un'ampia visita a diversi siti militari da cui le forze russe si erano precedentemente ritirate.
Contrariamente ad alcune indiscrezioni che suggerivano un coordinamento trilaterale o un ruolo turco nella ristrutturazione della presenza militare nel sud, la delegazione non includeva ufficiali turchi.
Secondo le fonti, l'assenza della parte turca riflette la volontà russa di gestire la questione meridionale esclusivamente attraverso canali tra Damasco e Mosca.
Il tour ha incluso diverse posizioni militari in cui la Russia ha schierato le sue forze nel 2018, alla fine della guerra in Siria. quando i miliziani sostenuti dall'estero dell'ex affiliato di Al-Qaeda, Hayat Tahrir al-Sham (HTS), raggiunsero accordi con le forze siriane e russe per evacuare l'area e dirigersi verso la roccaforte di HTS, il governatorato di Idlib, nella Siria nord-occidentale.
Mosca aveva ridotto la sua presenza a Quneitra dopo che HTS, guidata dall'attuale presidente siriano autoproclamatosi Ahmad al-Sharaa, ha rovesciato il governo dell'ex presidente Bashar al-Assad nel dicembre dello scorso anno.
Tra i siti più importanti visitati dalla delegazione lunedì c'era Tulul al-Hamr, una delle postazioni militari più sensibili della regione per la sua vicinanza alla linea del cessate il fuoco del 1973 e per la sua importanza per le operazioni di monitoraggio e sorveglianza delle forze israeliane che occupano le alture del Golan.
Secondo le informazioni ottenute da The Cradle, il comando russo ha deciso di ridistribuire le sue forze in nove posizioni militari nella Siria meridionale, principalmente nelle campagne di Quneitra e Deraa.
Sono queste le postazioni da cui si è ritirata durante la fase di transizione successiva alla caduta di Assad. Questa mossa fa parte di una nuova strategia russa volta a riposizionare la propria influenza militare lungo il confine meridionale e a garantire che non si crei alcun vuoto che possa essere sfruttato da potenze regionali o locali.
Secondo fonti informate, la delegazione russa ha mantenuto un posto logistico permanente a Quneitra al termine della sua missione. Il posto ha lo scopo di valutare le esigenze tecniche e ingegneristiche e di presentare relazioni dettagliate sulle esigenze di ridispiegamento, tra cui la riabilitazione delle infrastrutture e delle linee di rifornimento, e sulla necessaria prontezza per attivare questi punti nel prossimo periodo.
Questo sviluppo segue una serie di azioni reciproche tra Russia e Siria, la più recente delle quali è stata l'arrivo di una folta delegazione del Ministero della Difesa russo a Damasco qualche giorno fa.
A ciò si aggiunge la telefonata tra il presidente russo Vladimir Putin e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, avvenuta dopo la visita del presidente Sharaa a Mosca. Si stima che la Siria meridionale sia stata un argomento chiave in queste comunicazioni.
Inoltre, si prevede che le misure concrete per il ridispiegamento nella Siria meridionale inizieranno nelle prossime settimane, con Mosca che annuncerà gradualmente la riapertura di alcune delle sue postazioni militari entro la fine dell'anno.
Gli analisti ritengono che il ritorno russo a Quneitra abbia una portata strategica che va oltre le considerazioni militari. Mosca cerca di consolidare la propria influenza nel Paese, mentre le alleanze regionali vengono ricostituite e gli equilibri di potere si spostano dopo la fase di transizione a Damasco.
In particolare, la Russia desidera mantenere la sua base navale di Tartous e la sua base aerea di Hmeimim, sulla costa siriana, per proiettare la sua potenza nel Mediterraneo e verso l'Africa.
Un rapporto tacito tra Russia e Israele è stato rivelato a febbraio, quando Netanyahu si è recato a Washington per presentare ai funzionari statunitensi un "libro bianco" sulla Siria.
Dopo la visita di Netanyahu, la Reuters ha riferito che "Israele sta facendo pressioni sugli Stati Uniti affinché mantengano la Siria debole e decentralizzata, anche consentendo alla Russia di mantenere lì le sue basi militari per contrastare l'influenza della Turchia".
Il Times of Israel commentò in seguito che Tel Aviv stava facendo pressioni sugli "Stati Uniti affinché si opponessero al governo nascente di Sharaa e promuovessero la creazione di una serie decentralizzata di regioni etniche autonome, con quella meridionale al confine con Israele demilitarizzata".
Nel tentativo di dividere la Siria, Israele sta cercando di creare regioni autonome a Suwayda a maggioranza drusa e sulla costa siriana a maggioranza alawita.
Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 10:00:00 GMT
di Federico Giusti
No, no, va tutto bene. È perfettamente normale che le persone lavorino 80 ore a settimana mentre i miliardari si trasformano in triliardari e i plutocrati della tecnologia alimentano tutta la nostra acqua potabile con server di intelligenza artificiale mentre il pianeta muore. Questo è l'unico sistema che potrebbe funzionare.
No, no, è fantastico. Se non puoi permetterti una casa è perché sei pigro e ti senti privilegiato. Smettila di mangiare frutta e verdura pregiata e dormi nel tuo cubicolo. Una volta ho visto un senzatetto con un telefono. Vendi il tuo telefono e usa i soldi per comprarti una casa, idiota.
Cosa intendi quando dici che vuoi che le tasse siano destinate alle infrastrutture e ai sistemi di sicurezza sociale di base? Quei soldi sono per l'industria bellica e per Israele. Se vuoi una rete ferroviaria ad alta velocità, costruiscila tu stesso.
Se sei triste per la povertà, chiedi ai tuoi genitori di prestarti qualche milione di dollari così potrai investirli e diventare ricco. C'è un vero e proprio miscuglio di nuove ed entusiasmanti opportunità all'orizzonte.
C'è ancora tempo per entrare nel vivo dell'industria emergente dei sexbot, ad esempio, o dell'industria dei robot poliziotti militarizzati.
Crea una linea di giocattoli per bambini con funzioni attivabili tramite un piccolo canone mensile con opzioni di pagamento flessibili a livelli.
Prova a progettare una piattaforma di social media altamente coinvolgente che trasmetta le informazioni delle persone direttamente al quartier generale della CIA.
Inventare un sistema di intelligenza artificiale che blocchi automaticamente il denaro digitale delle persone che provano a fondare un sindacato.
Crea una nuova app per la gig economy che aiuti i poveri a vendere e consegnare i propri organi ai ricchi.
Oppure che dire di una barca che affonda se lasci scadere il tuo abbonamento Remain Buoyant?
Si dice che nell'Oceano Pacifico si stiano formando enormi continenti di plastica. Si potrebbero affittare appartamenti lì.
I leader di una setta sono generalmente bravi a estorcere ricchezza ai loro seguaci. Probabilmente potresti creare un chatbot che lo faccia.
Elon Musk sta lavorando a quegli impianti Neuralink per collegare il cervello umano ai computer. Si potrebbe fondare un'azienda che trasmette pubblicità direttamente nella testa delle persone.
A proposito di pubblicità, come mai nessuno ha ancora pensato ai droni con megafoni che trasmettono messaggi pubblicitari ai passanti? È un'industria multimiliardaria. Dovrebbero riempire l'aria di ogni grande città del mondo.
Il capitalismo è il migliore dei mondi che ci sia mai stato, questo è il punto. Non c'è mai stato un momento più entusiasmante per essere una giovane mente laboriosa con un sogno nel cuore e un rotolo di monetine in tasca.
Quindi smettila di lamentarti, comunista.
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(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/
Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 09:30:00 GMT