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di Fulvio Grimaldi per l'AntiDiplomatico
Cosa ha detto dell’Europa lo squinternato capo dell’Impero. Sembrava Gino Bartali, che non dava scampo a correzioni: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Finita la nostra civiltà (anche per merito suo), finita la libertà, tutti censurati, una specie di Titanic alla vista dell’iceberg. E ha ragione, tutte le ragioni. La cosa grottesca, drammatica è che una condanna così, senza attenuanti, ci venga, mica da Putin, ma da uno come lui: Il diavolo che da del cornuto a Mefistofele.
Osvald Spengler, “Il tramonto dell’Occidente”. Libro epocale del 1923, opera in due volumi di filosofia della storia che mia madre mi diede da leggere quando avevo 10 anni. Era l’aprile del 1945, la guerra era persa e Churchill stava radendo al suolo una città d’arte dopo l’altra, senza più ombra di soldati. Colonia, Francoforte, Dresda, Lipsia, Monaco…Il Medioevo, il Rinascimento, il Barocco, il Guglielmino. Gli eventi davano senso al libro. Per il filosofo tedesco le civiltà, analogamente all'organismo umano, possiedono le quattro fasi di età: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. Per lui, analista più che visionario, l’ultima era quella che stavamo attraversando noi. Et pour cause, come stiamo percependo con la chiarezza di un cristallo lucidato.
Intendendo per Occidente quello che intendiamo, cioè Stati Uniti al piano di sopra, Israele, nell’appartamento sullo stesso pianerottolo (occupato abusivamente), Europa nella dependance, con l’incarico di tener fuori dai cancelli i propri popoli. Il tutto dotato di un tasso di criminalità senza pari nella storia della specie. L’unica ad esserne provvista.
Ammiragli neologisti
L’idiotismo militarista ha assunto una frenesia psicotica che non conosce né limiti, né raziocinio. L’Ammiraglio ne ha dato prova. Ci ha dato l’impressione di assistere a una telenovela sudamericana, ornato da baffoni alla Umberto, appesantito sul lato sinistro, destro di chi guarda, da mezzo chilo di medaglie conquistate nelle eroiche e defatiganti battaglie in difesa della patria aggredita, invasa, occupata. Ieri, tramite un giornale di pari grado suprematista, il Financial Times, ha raccomandato che è il caso di attaccare prima di essere attaccati. La logica della cui asserzione sfugge insieme ai candidati che, nei sudati incubi notturni di Cavo Dragone, sono lì, pugnale nei denti, pronti ad attaccarci: kosovari? Quelli del Benin? I malesi con Sandokan?

O i russi? Questo, il medagliato dei mille eroismi, non l’ha detto, ma l’ha pensato. Innovatore neologista, ha abbandonato il nom de plume con il quale gli ammiragli di oggi, chiamano l’attacco: Difesa. La sua pensata è stata più temeraria, da vero soldato: ha detto pane al pane, vino al vino (molto) e, appunto, attacco all‘Attacco. Anche a quello che ancora i vari Merz, Macron, Starmer, Crosetto, da umoristi conservatori, chiamano Difesa. E dopo Cavo Dragone, non più. Tana, liberi tutti.
Ma siccome è arduo trovare ammiragli e generali che pensano, è da escludere che quel pensiero sia stato suo. E’ di tutti quelli, da noi eletti perché pensassero al nostro bene Infatti, di qua e di là dall’Atlantico, si vanno operando a prosciugarci anche dell’ultima goccia di sangue (mille grazie, era mediaticamente infetto da Covid) per farne cingoli di carro armato, ali di bombardiere, fosforo, uranio impoverito (di cui le nostre centrali nucleari non sanno come disfarsi), incantevoli prodotti per la guerra ibrida. Su tutti la I.A., meraviglia delle meraviglie, grazie alla quale moriremo credendo di essere stati uccisi da Putin, invece era uno che stamane aveva saltato la fila del cappuccino al bar perché ammiraglio.
Di questa cosa. con cui un ometto, accecatoci con il popo’ delle sue abbaglianti medaglie, ottenute nelle aggressioni di un’Alleanza consacrata difensiva, aveva celebrato la fine dell’era apertasi a Piazzale Loreto, se ne è parlato grazie a un furibondo Mattarella, guardiano della Costituzione e custode di noi tutti? Neanche un sospiro. Neanche del suo consigliere spifferone Garofani, caro a Schlein. Macchè. Se i macigni fatti rotolare sul quotidiano dei padroni anglosassoni hanno riverberato, se ne è parlato grazie a qualche eretico quotidiano e a qualche manifestamente spazientita trasmissione. Per quante ore? 48? 72? Non esageriamo. Se tace Mattarella, il silenzio è d’oro per tutti. Qualche cittadino che si vede consegnato dai pupari di un ammiraglio di cartapesta, ma luccicante, alla mira di un contractor False Flag, magari il solito, collaudato, jihadista (ora detto russo), potrebbe fare come i ragazzi, uomini, anziani ucraini che, pur di sfuggire ai rastrellatori di Zelensky, si mutilano di tre dita.

Al buon Cavo Dragone era stato assegnato il compito di aprire le dighe onde potessimo tutti essere irrigati di fervore patriottico e affogare sì, ma al suono del Piave che mormorò. Il clamore del motto “attaccare per primi”, lanciato dalla camarilla politico-mediatica dell’Occidente per voce di un souffleur nascosto da una balconata di medaglie, ha di colpo fatto ammutolire i fin ieri assordanti echi delle esplosioni di Hiroshima, Dresda, Saigon, Gaza, Baghdad, Damasco, Tripoli, Belfast, Kabul. Quelli che si erano rannicchiati nel nostro subconscio, a sentinella perpetua contro i guerrafondai della sempre rinnovabile accumulazione capitalista, quando le altre rapine hanno esaurito il bottino e serve un’emergenza per tenerci a testa china mentre passa quest’altra, di accumulazioni.
Dove vai se la False Flag non ce l’hai?
E tutto questiomicidiale ambaradan come hanno fatto a renderlo una normalità per gente nata e cresciuta nell’idea che nessuno mai avrebbe osato a mettere in dubbio il primato della pace? Almeno a casa nostra, che siamo quelli giusti e civili e democratici. Nemo problema. Basta far volare un paio di droni sui paesi baltici o scandinavi, far apparire un sommergibile russo dove aveva pieno diritto di stare, ma ha un’espressione molto minacciosa, scoprire in Canada un aerostato meteorico cinese, finitovi per il vento, colpire una casa polacca con un missile russo, che poi era ucraino, causare un piccolo ritardo al volo di Stato della Supercommissaria tedesca, dire che la Romania è stata sorvolata da un Mig ed ecco che siamo in piena guerra ibrida di Putin.
Come giurano coloro, esponenti di 6 milioni di europei, metà infelici russi, su 450, a cui abbiamo affidato il nostro destino militare, economico, geopolitico: Kallas, Estonia, Esteri e Sicurezza, Dombrovskis, Lettonia, Economia, Kubilius, Lituania, Guerra. Chi meglio di loro? Quasi quasi mi faccio rappresentare dal mio bassotto.
Naturalmente l’autenticità della paternità di queste “provocazioni” è pari a quella degli ordigni di termite piazzate nei vari piani delle Torri Gemelle lungo le strutture d’acciaio, i cui effetti sono stati fatti passare per quelli causati da finti aerei Boeing lanciati contro gli edifici.

Ma intanto è diventato normale, anzi necessario, che le infrastrutture europee – strade, ponti, aeroporti, porti, ospedali , scuole, caserme dei vigili del fuoco, edifici pubblici – venissero orientate a svolgere nuove funzioni determinate dai comandi ad annullamento di tutte le altre (è la Schengen militare); che ponti insensati venissero costruiti per farci scappare da chi ci attacca da sud e che fosse così stupido da non fare la prima cosa che andrebbe fatta, bombardare quel ponte; che la leva sostituisse una gioventù dissipata in scapestratezze, o addirittura in studi e lavori, facendola volontaria, semivolontaria, obbligatoria, (e lì che si andrà a finire), a sorteggio, a lotteria, a piacere, donne sì, non binari rigorosamente no.
E poi, subito subito, che soldati venissero in classe a raccontare ai bambini delle elementari la bellezza ecologica della difesa della patria (perennemente minacciata dai russi) e ai ragazzi delle superiori quanto dulce et decorum est pro patria mori. Ovviamente rompendo teste locali, di ragazzi come noi, che so, in Afghanistan, o Niger. O che, viceversa, bambini e ragazzi venissero in poligono a veder cosa ci vuole, col mitra, a fare secco un bersaglio a forma di uomo, o come sta bene la bimbetta di 5 anni con un bel giubbotto antiproiettile. O che alle fiere degli armamenti più sofisticati e lucidi, che nelle piazze vanno ormai sostituendo le sagre del vermicello, i presidi portassero, su ordinanza del ministro-generale Piantedosi, bimbetti e adolescenti perché provino il brivido di sedersi nel cockpit di un F-35 a immaginare di bombardare una città. Come bene insegnano i videogiochi.
Modelli dell’Occidente
Ce l’hanno insegnato loro. I virgulti prediletti. Modelli esibiti come madonne pellegrine ovunque ci fosse una telecamera. Lo Zelensky che pur di fornire la sua ghenga di rubinetti d’oro, acquisiti con quei nostri eurosoldi che avrebbero dovuto difendere, non un esercito di capri espiatori spendibili, ma un manipolo di nazisti ladri. Il Netaniahu che, pur di continuare a masticare bambini, donne, bipedi e quadrupedi di ogni genere, e terre, da sostituire con coloni al cui confronto Mengele, Attila, o Nikolaj DÅžurmongaliev, kazako considerato il peggiore serial killer della Storia. Non li teniamo forse in piedi con le nostre armi, i soldi dei nostri ospedali, scuole, case, i nostri sorrisi?

E allora l’eroico Zelensky’ per la cui “causa” ci siamo privati di miliardi in armi che avevamo pagato per diventare nostre strade, case, ospedali, scuole, pensioni e che lì sono diventati bancarelle dove l’entourage del presidente intascava miliardi per ville, cessi d’oro, o vendeva quelle armi al primo mafioso o terrorista interessati.
E allora Trump, The Donald? Quello che ci ha fatto disimparare che il diritto prevale sulla forza, teorizzando e praticando il contrario, sparando dazi, puttanate da energumeno attempato e un po’ andato e altre da vegliardo infantilito e, soprattutto, tirando cazzotti verbali e muscolari un po’ dove gli gira. Capo dell’Occidente, plurinquisito e pluricondannato per zozzerie, sodale di uno che, per aver fatto del ricatto sessuale ai potenti la tecnica di arruolamento del Mossad, rigurgito di angiporto quanto di orride speculazioni immobiliari, uno per il quale etica ed estetica si identificano con una Trump Tower in faccia al Cremlino e una Las Vegas piantata su scheletri lungo le coste di Gaza. Uno che se c’è da saccheggiare e rapinare, si fa la pace; in caso contrario si mandano flotte, aviazione, Marines e CIA per l’ennesimo olocausto.
In Argentina, che con Milei s’è vista ridotta al 57% di poveri assoluti, ha intimato: o lo rivotate presidente, o non vi faccio avere quei 40 miliardi di dollari con i quali qualche buccia di banana potrebbe ancora arrivarvi. In Honduras, per far fuori alle elezioni coloro che avevano sconfitto il colpo di Stato di Obama e Hillary, a forza di minacce analoghe (e forse di manomissione del sistema di trasmissione di dati) ha fatto arrivare primi due pendagli da forca della cosca di Juan Orlando Hernandez, ex presidente honduregno, condannato nel 2024 per narcotraffico e in galera negli USA.
E se il presidente dello Stato razzista, Herzog, può amnistiare un genocida come Netaniahu, non può forse il presidente degli USA amnistiare un boss del narcotraffico, Juan Orlando, ex presidente honduregno, condannato, “dai giudici comunisti di Biden” a 24 anni per narcotraffico, perché si riprenda la repubblica e la faccia tornare quella “delle banane”? Sempre che non ci pensi, forte di narcoinvestitura, Nasry Asfura, indicato proprio da Donald, che di Juan Orlando è il figlioccio. E pensare che gli honduregni, faro rivoluzionario del Centroamerica ci avevano messo 10 anni per liquidare la dittatura installata con il golpe di Obama e Hillary nel 2009.
Del resto, siamo stati sempre bravi adepti. Quanto sopra non ha nulla di qualitativamente diverso da ciò che Meloni, Nordio, Piantedosi, questa nostra meravigliosa triade, hanno fatto, nel nome della legge uguale per tutti, tranne quella della Corte Penale Internazionale, con il torturatore libico Almasri.
Etica del potere: conflitto di interessi
Stiamo con un monarca assoluto che, per la gioia di cultori e corifei della guerra dei ricchi contro i poveri, è come Giosuè che ordinava alla sua tribù egiziana nomade, ma vogliosa di terre, di non lasciare vivi né neonato, né agnello, né tutti coloro che li curavano. E che per legittimare tutto questo sta mettendo il conflitto d’interesse a capo di ogni cosa. Regola numero uno: senza conflitto d’interesse (agevolato dalla nostra abolizione dell’Abuso d’Ufficio) non si fregano gli interessati legittimi e non si governa nel segno dello spirito del tempo. Che soffia impetuoso per chi prima vende e poi compra, o viceversa. Tipo Crosetto, già capo dell’AIAD, Federazione dei produttori d’armi, poi suo ministro.
O tipo Cingolani, AD dell’industria della morte Leonardo, quello dello “Scudo di Michelangelo”, a imitazione dell’Iron Dome israeliano, abbondantemente bucato da iraniani e yemeniti. L’altro giorno ha detto le davvero fatidiche parole. ”Sono in conflitto di interessi, ma vi dico chiaramente che bisogna investire sulla difesa (la chiama ancora così), perché non sta finendo la guerra, sta iniziando la nuova guerra… e senza nuove tecnologie ci sterminano”.
Credete che vi sia stato un cronista che gli abbia chiesto: “Chi ci stermina?” Ma noi lo sappiamo: ci assalteranno gli arcieri della Papuasia. Non è forse che dal Sud, come previsto da Tajani, ci arriva la minaccia e che, dunque, non si può fare assolutamente a meno della via di fuga costituita dal Ponte. Il peggio dal punto di vista logica e ambiente, ma, perbacco, il migliore dal punto di vista delle bombe.
Ma tutto questo sono quisquilie. Saranno curate dal tempo, come le crepe ignorate che hanno fatto finire nel Bisagno 43 persone in attraversamento. Mica sono stati arrestati! Come quelli della Commissione e dell’Europarlamento, poi scudati dall’omertà parlamentare, almeno la Gualmini, per la Moretti si vedrà.
E per un Occidente al tramonto, secondo Spengler, e da carcerare secondo tutti noi, ecco che la rincorsa al fondo del buco nero della corruzione e del malaffare vede l’UE superare di qualche incollatura il padrino fondatore USA. E a noi italiani, ne incameriamo il merito, facendoci, come d’abitudine, riconoscere. I mejo fichi del bigoncio.
UE: un Italian Job dopo l’altro

Ci aveva insegnato qualcosa il Qatargate, quella robaccia per cui un paesuccolo, senza popolazione, ma con una famiglia regnante di alcune migliaia di sbafatori e un sottofondo di schiavi importati, aveva riempito di dollari, trovati a riempire sacchi a casa loro, una schiera di eletti al nostro sommo consesso legislativo continentale. Meriti? I soliti: quelli di essere stati tanto gentili da non parlare male di un paese, anzi di esaltarne i diritti umani, dove le donne non esistono (e poi parlano dell’Iran, dove sono la maggioranza dei laureati) e gli uomini muoiono come le mosche cadendo dai malfermi ponteggi delle Grandi Opere (Mondiali di calcio del 22). E fu la decapitazione morale di una ciurma di venduti, quasi tutti italiani. Come anche, poco dopo, quelli del caso Huawei, politici e lobbisti che raccattavano mazzette per non far escludere la società cinese dallo sviluppo della rete.
Ma questo è niente, siamo al plus ultra del rilievo dei personaggi e del carico di malaffare. Tanto da imporre sbalorditivi arresti (con rilasci veloci, come conviene in quei casi, ma processi duri a venire). Federica Mogherini, nientepopo’ di meno che ministra degli Esteri di Draghi (come stupirsi!) e poi addirittura Vicepresidente UE e Lady PESC (Commissaria Esteri UE), e, fino all’arresto, capa del Collegio d’Europa Bruges. E di seguito, a colmare la discarica, Stefano Sannino ambasciatore, Cesare Zegretti dirigente Accademia UE e Capo Commissione per Medioriente e Nordafrica. Tutti nostri concittadini che avrebbero frodato, si sarebbero fatti corrompere o avrebbero corrotto in materia di appalti, in vista della nuova accademia per diplomatici europei, nel segno immarcescibile del conflitto d’interessi. Certo, come è che si biascica in questi casi? “Piena fiducia nella magistratura, ci mancherebbe. Chiarirò tutto”.
Nell’immondezzaio, poi, si sarebbero trovati in confortante compagnia di connazionali. I veterani del Qatargate con tanto di infiltrazioni marocchine. Con molta calma, e con pieno sconcerto del garantista Nordio, la Procura Federale di Bruxelles è arrivata a disporre la revoca dell’immunità parlamentare ad Alessandra Moretti, ma, pietosamente, non per Elisabetta Gualdini (entrambe PD). Nell’inchiesta hanno raggiunto l’eurodem Pier Antonio Panzeri, l’allora vicepresidente del Parlamento Eva Kaili e Francesco Giorgi, assistente del primo e compagno della seconda. Per rinfoltire la combriccola vi sopravvivono ancora Andrea Cozzolino, arrestato, Marc Tarabella e Maria Arena tutti trovati con colline di soldi in casa. L’iter è tuttora in corso.
Il pantano degli squali (chiedendo scusa a quelli con le pinne)

Tutto, del resto, nasce all’insegna della corruzione, della degenerazione legale, del nepotismo e amichettismo, della sopraffazione. A partire dall’ineffabile baronessa acquisita, von der Leyen, da ministro della Difesa nella Bundesrepubblik inquisita per un amichettismo che concorre con i vertiginosi primati del regime meloniano. Aveva reclutato per il suo ministero più consulenti, superpagati, ma di dubbia competenza, di quanti cortigiani avesse radunato il Re Sole. Non se ne è parlato più. Come non si parla più dell’oscenissimo Pfizergate. L’accordo tra Ursula e il compare Bourla per miliardi di nostri euro in cambio di miliardi di vaccini (in buona parte buttati), concordati in camera caritatis chattiana tra questa gatta e questa volpe. SMS che, quando qualcuno nel parlamento si è svegliato dal torpore euroindotto e ne ha chiesto ragioni e prove, non c’erano più. Ursula li aveva cancellati. Robetta, scambi tra innamorati.
Ma oggi grazie al Belgio, la cui magistratura non si è trovato di fronte, a spingarda puntata, un qualche tonitruante Nordio, si è arrivati all’esito che in qualche modo conferma l’inequivocabile realtà del tramonto dell’Occidentale: l’arresto di intoccabili grazie a una legge che, mentre sotto Meloni, Trump, Netanyahu o Zelensky, deve essere uguale solo per chi si fa pestare dalle loro scarpe, per gli incorreggibili eurogiudici e quelli belgi resta ancora quella antica, uguale per tutti.
A questo punto toccherebbe trovare la Bastiglia. Ma la Bastiglia dov’è? Qualcuno ce la sa indicare?

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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Tue, 09 Dec 2025 06:00:00 GMT
Le aziende di difesa israeliane hanno proposto sistemi d'arma a decine di paesi europei e asiatici, sottolineando il loro ruolo nell'attacco di Israele contro i palestinesi a Gaza.
Lunedì e martedì si è svolta la Settimana israeliana della tecnologia della difesa, sponsorizzata in parte dal Ministero della Difesa del Paese e dall'Università di Tel Aviv.
Secondo il Wall Street Journal, è stato mostrato almeno un video dell'evento in cui si vedono due droni d'attacco israeliani schiantarsi contro un edificio a Gaza, prima che si alzassero colonne di fumo.
La guerra di Israele contro Gaza è iniziata dopo l'attacco del 7 ottobre 2023 guidato da Hamas contro il sud di Israele, che ha causato la morte di circa 1.200 persone. Israele ha lanciato una feroce risposta che ha causato la morte di oltre 70.100 palestinesi, in quello che decine di esperti di diritti umani, leader mondiali, storici e le Nazioni Unite hanno definito un genocidio. Ogni giorno si continua a morire a causa delle violazioni del cessate il fuoco da parte di Israele.
Tuttavia, l'evento di difesa di Israele ha attirato oltre 2.000 partecipanti, anche provenienti dall'estero.
La loro partecipazione all'evento israeliano ha dimostrato quanto fosse superficiale quella censura.
Ad esempio, il governo del Regno Unito ha vietato ai funzionari israeliani di partecipare alla principale fiera delle armi del Paese, a Londra. Il governo ha dichiarato in un comunicato che ai funzionari israeliani non sarebbe stato consentito di partecipare a causa del continuo attacco del Paese a Gaza. Decine di aziende israeliane produttrici di armi legate al governo hanno comunque potuto partecipare.
Questa settimana, i funzionari dell'ambasciata britannica hanno visitato l'evento, esaminando i sistemi d'arma e la tecnologia militare israeliani commercializzati, in parte, in base al loro ruolo negli attacchi di Israele a Gaza e in Libano.
L'ambasciata britannica in Israele ha confermato al WSJ che i suoi funzionari hanno partecipato all'evento.
Un altro esempio è la Norvegia, i cui funzionari hanno partecipato alla fiera delle armi.
Ad agosto, il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo, aveva annunciato di aver disinvestito dal produttore americano di attrezzature edili Caterpillar Inc. e da cinque banche israeliane a causa delle violazioni dei diritti umani a Gaza.
Il consiglio esecutivo del fondo da 1,9 trilioni di dollari ha dichiarato di aver deciso di disinvestire da tutte e sei le entità, seguendo il parere del suo consiglio etico, che ha affermato che tutte "contribuiscono a gravi violazioni dei diritti degli individui in situazioni di guerra e conflitto".
Tuttavia, secondo il WSJ, all'evento hanno partecipato anche funzionari norvegesi. Il fondo sovrano è di proprietà del governo, ma è gestito in modo indipendente dalle decisioni politiche.
Crollo della popolarità globale, aumento delle esportazioni di armi
La popolarità di Israele è crollata dopo la guerra a Gaza. Un sondaggio pubblicato da Pew a giugno ha mostrato che, dall'Italia al Giappone, la maggior parte delle persone nel mondo ha ora un'opinione negativa di Israele.
Questo cambiamento si è verificato anche negli Stati Uniti, dove è particolarmente evidente tra i giovani che si identificano sia a sinistra che a destra nella politica americana.
Un sondaggio Pew di aprile ha rilevato che i giovani repubblicani, ovvero quelli sotto i 50 anni, sono ora più propensi ad avere un'opinione negativa di Israele, con il 50% dei sondaggi che scommette in quella direzione. Il sostegno a Israele tra gli elettori democratici era già inferiore prima del 7 ottobre 2023.
Ciononostante, i governi di tutto il mondo hanno dimostrato un forte interesse per l'equipaggiamento militare israeliano.
Secondo il Ministero della Difesa israeliano, nel 2024 le esportazioni di armi israeliane hanno raggiunto il massimo storico di 14,7 miliardi di dollari, con un forte aumento degli accordi con gli stati arabi.
Circa il 57 percento degli accordi firmati nel 2024 erano "mega-accordi" del valore di almeno 100 milioni di dollari ciascuno, ha affermato il ministero in una dichiarazione rilasciata a giugno, aggiungendo che i "risultati operativi" nella guerra a Gaza hanno spinto la domanda.
Le vendite ai paesi arabi che hanno firmato accordi di normalizzazione con Israele, denominati Accordi di Abramo, sono aumentate dal 3% nel 2023 al 12% lo scorso anno. Ma l'Europa è stata il principale acquirente, rappresentando il 54% delle esportazioni lo scorso anno.
Questa settimana, Israele ha simbolicamente consegnato il suo sistema di difesa missilistica a lungo raggio Arrow 3 all'Aeronautica Militare tedesca durante una cerimonia presso una base aerea a sud di Berlino. L'acquisto da parte di Berlino dell'intercettore missilistico per 4 miliardi di euro (4,6 miliardi di dollari) è stato il più grande accordo di esportazione di prodotti per la difesa nella storia di Israele. La vendita era stata originariamente firmata nel settembre 2023.
Molti paesi dell'Europa orientale e centrale si stanno riarmando, dopo la guerra in Ucraina. A luglio, la Romania ha annunciato che avrebbe acquistato un sistema di difesa aerea da 2 miliardi di dollari dalla società israeliana Rafael.
Più vicino alla regione, la Grecia ha acquistato equipaggiamento militare israeliano per milioni di dollari. Nonostante la sua storica vicinanza ai palestinesi, Grecia e Israele hanno avviato una partnership negli ultimi anni, spinti dalla comune preoccupazione per la Turchia.
Il parlamento greco ha approvato giovedì sera l'acquisto di 36 sistemi di artiglieria missilistica PULS da Israele per un valore di 757,84 milioni di dollari, ha riportato Reuters.
(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 10:00:00 GMT
L'organismo di controllo della Corte penale internazionale (CPI) ha respinto le richieste degli Stati Uniti affinché la corte abbandoni le indagini sui crimini di guerra israeliani e modifichi il suo trattato istitutivo per impedire l'azione penale contro cittadini di paesi che non riconoscono la giurisdizione della corte, seondo quanto rivelato da Middle East Eye.
In una dichiarazione rilasciata mercoledì dopo la riunione annuale tenutasi all'Aia all'inizio di questa settimana, l'Assemblea degli Stati parti (ASP) si è impegnata a sostenere l'integrità dello Statuto di Roma e ha ribadito di essere "gravemente preoccupata" per le minacce e le misure coercitive che prendono di mira la corte.
L'incontro si è svolto all'ombra delle sanzioni statunitensi già imposte a numerosi alti funzionari della CPI, tra cui giudici e il procuratore capo Karim Khan.
I diplomatici intervenuti a margine dell'evento hanno riferito a MEE che l'amministrazione Trump aveva cercato di esercitare ulteriori pressioni sulla CPI in vista della riunione dell'ASP, chiedendo alla corte di abbandonare le indagini sui crimini di guerra in Palestina e Afghanistan come condizione per la revoca delle sanzioni.
Gli Stati Uniti hanno inoltre invitato gli Stati membri a modificare lo Statuto di Roma per vietare i procedimenti giudiziari contro cittadini di Stati non firmatari, una mossa che avrebbe di fatto garantito l'immunità ai cittadini americani e israeliani. Un emendamento di tale natura porrebbe inoltre fine all'indagine sull'Ucraina sui presunti crimini di guerra commessi dalla Russia, paese non membro della CPI.
Un diplomatico di alto rango, che ha parlato con MEE a margine della riunione dell'ASP, ha affermato che la dichiarazione finale adottata all'unanimità era una "versione raffinata" di proposte meno inequivocabili avanzate il mese scorso per cercare di placare l'amministrazione Trump.
"Questa dichiarazione è un buon compromesso che trasmette un messaggio forte: gli Stati sostengono la Corte", ha detto a MEE il diplomatico, membro dell'ASP, a condizione di anonimato.
Altri hanno sostenuto che se avessimo inviato un forte messaggio di unità e di sfida alle sanzioni statunitensi, queste sarebbero state immediatamente istituite.
"Quindi, si sono detti, perché non aprire la porta al dialogo? Chi proponeva questa soluzione non stava necessariamente dicendo 'accettiamo di emendare', ma stava cercando di dire: 'non chiudiamo tutte le porte alla possibilità di dialogo, apriamo la porta agli emendamenti'".
Il testo dell'ultima dichiarazione dell'ASP conteneva un unico riferimento al dialogo con i non membri, "per garantire che la Corte continui a essere un'istituzione giudiziaria efficace e indipendente".
Un simile riferimento è stato ritenuto dai redattori coerente con la missione della Corte, ha affermato il diplomatico.
"Il dialogo con le parti non statali è importante, ma dipende dall'oggetto del dialogo", ha aggiunto il diplomatico, sottolineando che lo scopo del dialogo dovrebbe essere principalmente quello di invitare altri stati a unirsi alla corte.
"Non prevediamo un dialogo che riguardi un cambiamento dell'orientamento generale della corte o qualcosa che possa comprometterne l'indipendenza", hanno aggiunto.
"C'è una crescente consapevolezza che qualsiasi emendamento allo Statuto di Roma volto a placare coloro che chiedono sanzioni contribuirebbe a distruggere la Corte più delle sanzioni stesse", ha affermato il diplomatico. "Molti Stati ritengono che ci sarebbero poche ragioni per rimanere all'interno della Corte se ciò accadesse".
"O combattiamo o moriamo. O nuotiamo o affondiamo. C'è la determinazione di nuotare controcorrente."
MEE ha contattato il Dipartimento di Stato americano per un commento.
Contromisure
La riunione dell'ASP, composta dai rappresentanti dei 125 paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma istitutivo della CPI, si è svolta in un momento di minacce senza precedenti alla Corte, provocate principalmente dalle indagini su Israele per presunti crimini di guerra a Gaza e nella Palestina occupata.
Le sanzioni hanno preso di mira anche i giudici che hanno lavorato alle indagini sull'Afghanistan, che dal 2021 hanno perso la priorità nelle indagini sui cittadini statunitensi, concentrandosi invece sui cittadini afghani.
I giudici della CPI stanno attualmente esaminando un ricorso israeliano alla propria giurisdizione sulla situazione palestinese, e un altro ricorso israeliano, depositato il 17 novembre, mira a squalificare il pubblico ministero per presunta mancanza di imparzialità. Khan è in aspettativa volontaria da maggio in attesa di un'indagine condotta dalle Nazioni Unite sulle accuse, che lui nega fermamente.
Da febbraio, l'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha imposto sanzioni finanziarie e sui visti al procuratore capo, ai suoi due procuratori aggiunti, a sei giudici, al relatore speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina e a tre ONG palestinesi.
Gli Stati Uniti hanno anche minacciato sanzioni contro la corte stessa.
Le sanzioni hanno stravolto la vita quotidiana dei nove funzionari della CPI, hanno impedito loro di recarsi negli Stati Uniti e li hanno di fatto tagliati fuori da gran parte del sistema finanziario globale, anche in Europa.
Nel frattempo, i funzionari della CPI hanno confermato che la corte sta implementando contromisure per proteggersi dalle sanzioni, ma tali misure rimarranno riservate per garantirne l'efficacia.
La dichiarazione adottata dall'ASP questa settimana ha denunciato l'uso di misure coercitive, comprese sanzioni, contro funzionari eletti o coloro che collaborano con la Corte, comprese le organizzazioni della società civile. Tuttavia, non è stato fatto alcun riferimento agli Stati Uniti.
La sessione dell'ASP si tiene quasi un anno dopo che i giudici della CPI hanno emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della Difesa Yoav Gallant per una serie di accuse incentrate sull'uso della fame come arma di guerra a Gaza dall'ottobre 2023. È stata la prima volta nella storia della corte che i mandati di arresto hanno preso di mira funzionari alleati dell'Occidente.
La decisione presa lo scorso anno dal procuratore capo della corte Khan di richiedere mandati di cattura ha provocato minacce nei suoi confronti e nei confronti della corte da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, tra cui il Regno Unito.
MEE ha rivelato quest'estate che il 23 aprile 2024, mentre Khan si preparava a presentare domanda di mandato per Netanyahu e Gallant, l'allora ministro degli esteri britannico David Cameron minacciò in una telefonata con il procuratore che il Regno Unito avrebbe tagliato i fondi e si sarebbe ritirato dalla CPI se la corte avesse emesso i mandati.
Anche i funzionari della CPI sono stati sottoposti a pressioni e minacce straordinarie da parte di funzionari statunitensi nell'ultimo anno. In un incontro virtuale con i funzionari della CPI nel maggio 2024, il senatore repubblicano statunitense Lindsey Graham ha minacciato sanzioni contro di loro se Khan avesse richiesto i mandati di cattura.
Allo stesso modo, il consigliere legale del Dipartimento di Stato americano Reed Rubinstein ha avvertito a luglio che "tutte le opzioni restano sul tavolo" a meno che non vengano ritirati tutti i mandati di arresto e le indagini sui presunti crimini di guerra israeliani.
"La corte è indipendente"
Ma i diplomatici, i giudici e gli esperti che hanno parlato con MEE questa settimana hanno escluso che la CPI abbandonerà l'indagine o che le minacce degli Stati Uniti costringeranno a porre fine alle indagini sulla Palestina o sull'Afghanistan.
"Ci sono cose che non rientrano nella competenza degli Stati parte. La Corte è indipendente da noi in quanto Stati parte", ha affermato un diplomatico.
"Ecco perché non vedo come le decisioni prese dal tribunale possano essere revocate."
Un esperto senior della CPI ha inoltre escluso che i giudici della CPI avrebbero accettato la contestazione di Israele.
"È più probabile che Israele rispetti il ??cessate il fuoco piuttosto che la Camera d'appello invalidi i mandati di arresto", ha affermato l'esperto con sarcasmo.
Anche tre giudici sanzionati, parlando con MEE questa settimana a margine dell'ASP, hanno confermato che non si lasceranno scoraggiare dalle sanzioni.
Gli Stati Uniti e Israele non sono Stati parte dello Statuto di Roma, il trattato che ha istituito la CPI all'Aia nel 2002.
Entrambi gli Stati si sono opposti all'indagine della Corte sulla situazione in Palestina, avviata per la prima volta dal precedente procuratore della CPI Fatou Bensouda nel 2021.
La giurisdizione della corte si basa sull'adesione dello Stato di Palestina allo Statuto di Roma nel 2015. Di conseguenza, la corte può indagare su individui israeliani per crimini commessi nella Palestina occupata, che comprende la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Ma Israele e gli Stati Uniti hanno contestato la giurisdizione della corte, affermando di non riconoscere la Palestina come Stato e che Israele è nella posizione migliore per indagare su se stesso, in base al principio di complementarietà stabilito dall'articolo 17 dello Statuto di Roma.
I due Paesi hanno inoltre respinto la giurisdizione della corte, sulla base dell'articolo 12 dello Statuto di Roma, sostenendo che la corte non dovrebbe avere giurisdizione sui loro cittadini perché non hanno ratificato il trattato.
La CPI è l'unica corte internazionale permanente al mondo con il potere di perseguire alti funzionari per crimini internazionali. Attualmente sta indagando su una dozzina di casi, tra cui Palestina, Ucraina, Afghanistan, Darfur (Sudan), Libia, Repubblica Democratica del Congo e Filippine.
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 10:00:00 GMT
Il segretario alla Guerra degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha eluso domenica le domande dei giornalisti su quanto gli Stati Uniti siano vicini a lanciare attacchi di terra in Venezuela, nel contesto dell'aggressione di Washington contro la nazione caraibica.
Mentre parlava con la stampa sul red carpet prima della cerimonia di premiazione del Kennedy Center, al capo del Pentagono è stato chiesto quanto gli Stati Uniti siano vicini a compiere attacchi di terra nel paese bolivariano.
????Al capo del Pentagono è stata posta una domanda su un attacco al Venezuela, e questa è la sua reazione: "Quanto siamo vicini a un attacco di terra al Venezuela, signor Segretario?", ha chiesto un giornalista a Pete Hegseth. https://t.co/y4xHXmcUnB pic.twitter.com/dkq9Wz1XXY
– RT en Español (@ActualidadRT) 8 dicembre 2025
"Quanto siamo vicini a un attacco di terra contro il Venezuela, signor Segretario?" ha chiesto un giornalista, ma non ha ricevuto risposta, poiché Hegseth si è allontanato dalla stampa senza replicare. Quando la stessa domanda è stata ripetuta, l'ha ignoata di nuovo, parlando con i partecipanti all'evento.
In precedenza, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva promesso in diverse occasioni che Washington avrebbe iniziato a combattere i presunti cartelli della droga sulla terraferma, allo stesso modo in cui lo fa in mare.
In questo contesto, ha specificato che tali attacchi di terra sarebbero stati condotti contro "chiunque" producesse droga e la vendesse agli Stati Uniti. "Se entrano attraverso un determinato Paese o qualsiasi Paese, o se pensiamo che stiano costruendo fabbriche per, che si tratti di fentanil o cocaina. [...] Ma sì, chiunque lo faccia e la venda al nostro Paese è soggetto ad attacco. Non necessariamente solo il Venezuela. No, non solo il Venezuela, no", aveva minacciato Trump.
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:30:00 GMT
Secondo un'analisi del giornalista del Financial Times Martin Sandbu, l'Unione Europea (UE) ha trovato una clausola nei suoi trattati istitutivi che le consente di prendere decisioni senza il consenso unanime di tutti gli Stati membri, il che le consentirebbe di congelare i beni russi a tempo indeterminato anziché rinnovare la procedura ogni sei mesi .
Mercoledì la Commissione europea (CE) ha presentato due programmi di finanziamento pluriennali per l'Ucraina: l'emissione di debito sui mercati con una garanzia del bilancio dell'Unione e un cosiddetto "prestito di riparazione" garantito da beni sovrani russi congelati nel territorio dell'UE.
Secondo Politico , lo stanziamento proposto per Kiev ammonterebbe a 165 miliardi di euro (192 miliardi di dollari) finanziati con asset russi: 25 miliardi di euro (29 miliardi di dollari) da conti bancari privati ??nei paesi dell'UE e 140 miliardi di euro (162 miliardi di dollari) dal depositario belga Euroclear, dove è depositata la maggior parte degli asset russi.
In alternativa, la CE ha proposto di concedere all'Ucraina un prestito finanziato con fondi del bilancio dell'UE, ma l'Ungheria ha bloccato questo piano.
Dopo aver analizzato il nuovo pacchetto legislativo dell'UE, l'autore dell'articolo conclude che, "nella migliore delle ipotesi", ciò consentirebbe all'Unione di conservare per sempre le scorte russe sequestrate
Scappatoia legale
L'analista sostiene che, finora, il rischio è che "le sanzioni vengano rinnovate all'unanimità ogni sei mesi , poiché una sola capitale, Budapest ad esempio, potrebbe garantire a Mosca il rinnovato accesso alle riserve e smantellare l'intera struttura". In questo caso, sottolinea, la possibilità di aggirare il veto dell'Ungheria, o di qualsiasi altro Paese, costituirebbe una "presa di potere molto aggressiva", e la sua base giuridica verrebbe probabilmente contestata in tribunale.
Tuttavia, le nuove leggi mirano a cambiare questa situazione e Bruxelles ha già trovato un articolo nei Trattati UE che, in caso di gravi perturbazioni economiche, le consentirebbe di adottare misure senza l'unanimità. La legislazione propone di usare questo pretesto per congelare i fondi russi a tempo indeterminato fino a quando non verrà presa una decisione proattiva analoga per revocare il blocco.
Inoltre, il FT sottolinea che la cosiddetta iniziativa del "prestito di riparazione" non comporta la confisca dei beni russi in quanto tali, ma piuttosto il fatto che le banche europee stanno prestando forzatamente fondi all'UE senza interessi.
"A seguito di vari investimenti delle sue riserve valutarie, la Banca Centrale Russa vanta un credito nei confronti di alcuni istituti finanziari dell'Unione. Questi istituti finanziari hanno l'obbligo di rimborsare la Banca Centrale Russa, ma il divieto di trasferimenti alla Banca Centrale Russa impedisce attualmente a tali istituti di soddisfare tale credito [...]", cita il regolamento UE. "Quell'attivo della Banca Centrale Russa – e, di conseguenza, l'obbligo di rimborso dell'istituto finanziario – non verrà toccato ", sottolinea.
Chiarendo questa clausola del regolamento, l'esperto sottolinea che "nessuno sta utilizzando in alcun modo i beni della Russia " e "non vengono prestati né all'UE né all'Ucraina".
Inoltre, Sandbu ha sottolineato che i contribuenti dell'UE finiranno per finanziare un prestito o una sovvenzione all'Ucraina se l'UE non riuscirà a costringere Mosca a pagare. "A meno che non ci sia la volontà di costringere la Russia a pagare, i contribuenti dell'UE finiranno per finanziare un prestito (o una sovvenzione) dell'UE a Kiev", ha sottolineato.
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:30:00 GMT
Il leader ucraino Volodymyr Zelensky non ha ancora preso visione della bozza dell'accordo di pace con la Russia preparata dagli Stati Uniti, ha lamentato domenica il presidente americano Donald Trump.
Durante un evento al John F. Kennedy Center for the Performing Arts, il presidente ha risposto a una domanda sui prossimi passi da compiere dopo i colloqui di pace svoltisi durante la settimana.
??????Trump è "deluso" perché Zelensky "non ha letto" la sua proposta di pace. "Il suo popolo la adora. Ma lui non l'ha letta", ha detto il presidente degli Stati Uniti. https://t.co/4yDHpH9zUR pic.twitter.com/Ouz23aJx3K
– RT en Español (@ActualidadRT) 8 dicembre 2025
"Devo dire che sono un po' deluso dal fatto che il presidente Zelensky non abbia ancora letto la proposta", ha commentato Trump.
Ha chiarito che questa informazione risale a poche ore fa e ha osservato che il popolo ucraino "ama" il piano di pace e che "la Russia è d'accordo ".
"La Russia è d'accordo. Tuttavia, non sono sicuro che Zelensky sia d'accordo", ha affermato.
"Alla sua gente piace molto. Ma lui [Zelenski] non l'ha letto. Quindi un giorno dovrai spiegarmelo, Jeff", ha risposto a un giornalista.
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:30:00 GMT
di Federico Giusti
1) erosione del potere di acquisto e perdita del potere contrattuale
In Italia negli ultimi anni abbiamo perso potere di acquisto mentre in ogni altro paese europeo i salari crescevano. Ci sono comunque differenze tra settori produttivi, ad esempio nella manifattura si è perso meno potere di acquisto di quanto avvenuto nella Pubblica amministrazione ove registriamo i salari più bassi in assoluto (ultimo contratto perdita di quasi il 12% di potere di acquisto)
Stando ai dati Istat non solo si perde potere di acquisto ma ci si allontana sempre più dalla tenuta dei salari rispetto al costo della vita
Poi al resto pensa il fisco non più equo e progressivo a cui aggiungere la natura precaria della occupazione, i contratti part time sono in continua crescita (e le responsabilità sindacali sono evidenti) come anche l’occupazione tra gli over 50 .
Gli investimenti negli ultimi 30 anni al netto del PNRR sono stati inadeguati, la quota di capitali indirizzata ai profitti è cresciuta a discapito della dinamica salariale e dei processi innovativi almeno in alcuni settori. E allo stesso tempo le disuguaglianze salariali sono cresciute a dismisura senza alcun controllo e freno da parte dei contratti nazionali e della stessa azione da parte sindacale.
2) la domanda interna depotenziata e i meccanismi salariali e contrattuali causa della caduta verso il basso delle buste paga
La domanda interna sostiene la dinamica salariale e anche gli investimenti e lo sviluppo, ebbene la erosione dei salari ha indebolito anche la capacità di spesa. Ove cresce la produttività il costo del lavoro resta decisamente indietro e di conseguenza anche i salari. Cresce la produttività nelle imprese a partecipazione pubblica per fare un esempio e a vantaggio dei dividendi non certo dei salari. Una delle proposte avanzate dalla Cgil è inserire l’aumento della produttività direttamente nei ccnl ma prima di ogni altra azione dovremmo intanto potenziare il potere contrattuale, rivedere i meccanismi che assegnano aumenti contrattuali al di sotto del costo della vita reale, eliminare ogni deroga peggiorativa, eliminare il codice Ipca sostituendolo con automatismi effettivi dei salari al costo della vita.
3 il lavoro povero
Oggi un lavoratore povero può anche avere un contratto a tempo indeterminato, povero è anche chi supera il 60% del salario mediano ma la sua busta paga è la sola presente in una famiglia numerosa. Poi ci sono i part time ormai dominanti in interi settori produttivi (ad esempio negli aeroporti, nel verde, nei beni culturali) che non arrivano a metà mese e avranno un domani delle pensioni da fame. Se poi guardiamo alla Pubblica amministrazione siamo in perdita salariale da anni, almeno da 25 anni, la stagnazione retributiva a seguito della crisi del 2008 si va a sommare alla impennata dei prezzi determinata dalla guerra per finire con i contratti nazionali siglati al massimo ribasso. E fermo restando che tra i vari comparti ci sono fin troppe sperequazioni, oggi un dipendente pubblico in Italia guadagna il 30% in meno di un collega tedesco e francese, Ma il vero lavoro povero è nel privato e in particolare negli appalti e nei subappalti, nel mondo delle cooperative.
4) la repressione aziendale
Quanto sta avvenendo in alcuni supermercati italiani è emblematico: sono fatti di cronaca di cui si parla sulla stampa nazionale ma ormai i giornali sono sempre meno diffusi. Se andiamo nei luoghi di lavoro è ormai una rarità trovare qualche giornale che non sia una testata sportiva e locale, il crollo delle vendite dei quotidiani va di pari passo con la crisi della militanza sindacale e politica. Quindi tanti avranno sentito parlare dei fatti ma da qui ad avere una idea precisa degli avvenimenti corre grande differenza.
Non solo negli ipermercati ma in tanti posti di lavoro si applicano tecniche di controllo asfissianti che poi conducono a contestazioni disciplinari, sanzioni e licenziamenti: il personale viene accusato del mancato rispetto dei canonici doveri aziendali. I motivi addotti sono i più disparati e sovente anche pretestuosi: merce esposta in modo non consono dalle indicazioni aziendali, informazioni raccolte dall’utenza sull’operato di singoli lavoratori, contestazioni di mancata sorveglianza a qualche dipendente che poi deve controllare più file e non è oggettivamente responsabile di un eventuale furto. E poi i ritardi sui quali pesano i tagli dei servizi pubblici, il caro parcheggio.
Storie di ordinaria repressione o, se vogliamo, di normale pratica padronale? Le condizioni di vita e di lavoro nel settore del commercio si sono deteriorare nel corso del tempo, basterebbe ricordare quando, anni or sono, il sindacato fu fin troppo arrendevole verso le domeniche lavorative o verso la esternalizzazione di innumerevoli attività ad agenzie interinali che operano sovente dietro le quinte, in orari notturni e disagiati, con contratti e paghe inferiori. Quando siamo arrendevoli alla fine il conto viene presentato e i compromessi del passato si mostrano per quelli che sono ossia l’inizio della fase decadente del sindacato accumulando sconfitta dopo sconfitta.
Altro aspetto rilevante è poi rappresentato dai codici di comportamento aziendali, dall’obbligo di riservatezza, dai codici etici, supporti insostituibili per operare verso i salariati in termini repressivi e preventivi per incutere paura e rassegnazione. Sono argomenti salienti sui quali il sindacato non solo non ha operato una valutazione critica ma si è addirittura piegato a logiche padronali che andavano invece comprese prima e poi debitamente avversate
Nel corso degli anni sono avvenute trasformazioni rilevanti nella organizzazione degli ipermercati, ad esempio le casse automatiche con una operatrice che deve controllare 78 postazioni, aiutare gli utenti nella corretta digitalizzazione dei prodotti (ad esempio la cassa attende autorizzazione per l’acquisto di prodotti alcolici), distribuire buste e accertarsi che l’acquisto delle stesse sia incluso nello scontrino. Insomma, una mole di lavoro impossibile per singoli dipendenti, contestare qualche addebito con le croniche carenze di personale diventa fin troppo facile. Siamo andati in visita a numerosi ipermercati, nei discount l’addetto alla cassa nei momenti di minore affluenza può essere spostato agli scaffali, questa estrema flessibilità di personale accresce i carichi di lavoro, rende meno accurata la prestazione e può dare adito con estrema facilità a provvedimenti disciplinari. La flessibilità poi riduce gli organici e annulla ogni differenzia tra le varie mansioni spingendo le dinamiche salariali al ribasso.
5) il test del carrello ultima invenzione padronale
E per chiudere il famigerato “test carrello”, ossia un ispettore aziendale che occulta volutamente della merce dentro altre confezioni per poi contestare al cassiere di non avere prestato la dovuta attenzione recando un danno economico alla azienda. E da qui partono sanzioni e licenziamenti
Avete capito bene? Prendiamo un giorno del mese di dicembre con file interminabili alle casse, poco personale, oggetti fuori posto tra gli scaffali, un lavoro alla catena vero e proprio, trovarsi un oggetto di piccole dimensioni occultato dentro una confezione più grande. Se il lavoratore dovesse controllare ogni oggetto ci sarebbero file interminabili e subito arriverebbero contestazioni dell’utenza all’esercizio commerciale che si ripercuoterebbero sul dipendente attraverso sanzioni e contestazioni di addebito.
Il cassiere non può controllare ogni pacco ma nonostante l’oggettiva impossibilità, con il test del carrello, viene licenziato dall’azienda. Questo, in estrema sintesi, quanto è accaduto
E invece di accrescere gli organici alle casse o al bancone, invece di predisporre personale nella gestione degli scaffali (gli addetti di solito devono svolgere più mansioni contemporaneamente) si preferiscono gli ispettori preposti al controllo dell’operato dei singoli lavoratori con il trucco del carrello. Ci sembra evidente che la scelta di alcune aziende sia quella repressiva, invece di rimettere in discussione le modalità di gestione del personale e dei servizi si cerca solo il capro espiatorio che poi è sempre il dipendente, la classica “ultima ruota del carro”
Siamo davanti a situazioni inaccettabili e a un vero e proprio ricatto da respingere con forza. Teniamo conto che dopo anni alle celle frigo o alle casse insorgono malattie professionali che limitano le mansioni e potrebbero alla occorrenza anche rappresentare motivo di licenziamento. I sindacati contestano che tra i lavoratori colpiti ci sono fragili, beneficiari della 104, anziani prossimi alla pensione e con numerose prescrizioni. Se tutto ciò venisse confermato saremmo davanti ad una situazione ancora più grave. Urge quindi fare chiarezza ed esprimere la nostra solidarietà alla forza lavoro dei supermercati, quanto accade loro oggi presto farà scuola per noi tutti.
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:00:00 GMT
L’Associazione Italianinformazione ha promosso un tour di 5 date di Pepe Escobar che ha presentato e anticipato alcune delle tematiche del suo ultimo volume “Il Secolo Multipolare” pubblicato in anteprima con la traduzione italiana tra Udine, Trieste, Bologna, Torino e Firenze gettando luce sui profondi cambiamenti in atto in seguito all’aurora del mondo multipolare che si contrappone con sempre maggior decisione all’Occidente collettivo.
Lamberto Rimondini, Cosimo Massaro, Nino Galloni, Nicoletta Forchieri, Bianca Laura Granato, Lorenzo Maria Pacini e altri studiosi e scrittori hanno accompagnato Escobar durante i suoi interventi che hanno delineato nuove prospettive su quanto sta avvenendo nel mondo. Il celebre reporter ha evidenziato come nel’ultimo anno sia definitivamente terminato il paradigma dell’ordine mondiale basato sulle regole. Con il dominio del Trump 2.0 quest’ordine è saltato e tutto è dominato dal caos. Fino ad un anno fa la logica dell’impero era la guerra perpetua contro la Russia per imporre una sconfitta strategica all’ordine multipolare. Da dopo il vertice di Kazan e con la presidenza Trump 2.0 quest’ordine è cambiato radicalmente, generando caos continuo per continuare a sostenere i 38 trilioni di dollari di debito degli Stati Uniti d’America. Il vertice di Kazan è stato il punto di discrimine che ha lanciato i BRICS come vera e propria potenza mondiale, pensato e progettato da Russia, Cina e India con la SCO come motore di quell’iniziativa.
Oggi per l’Impero del Caos c’è un disastro assoluto, di fronte al successo dell’Operazione Militare Speciale. Trump che non è uno stratega, ma essenzialmente un abile affarista e commerciante, cerca di trattare sui singoli punti e fatti che accadono, ma senza una vera strategia di fondo ed è paragonabile ad un attore che improvvisa. Di fronte ad una sconfitta strategica dell’Impero del Caos contro la Cina non c’è un vero piano B. La parte di Trump cerca di fronteggiare i problemi tenendo il palcoscenico e recitando più parti. Marco Rubio aiuta Trump in America Latina, spingendo per disarticolare ogni ipotesi socialista in America Latina.
Trump d’altra parte non ha portato avanti un piano di pace, ma ha fatto un talking points, per tentare di reggere il palco, nulla di più nulla di meno. Il vero tema di fondo che opera dietro le quinte è il colossale debito americano che cuba 9 trilioni di dollari di interessi sul debito l’anno, una quantità insostenibile per qualsiasi potenza capitalistica nella storia, tant’è che gli Stati Uniti passano sistematicamente da uno shutdown all’altro ogni anno. La Russia dal canto suo è ormai votata all’Asia e aperta all’Oriente, in queste ore Putin viene accolto in India come un nuovo Shiva e sta firmando contratti per portare nuove carte di credito a oltre 1 miliardo di indiani. Provate solo ad immaginare il potenziale di sviluppo nell’ambito del credito e della finanza di una simile innovazione.
Lamberto Rimondini ha evidenziato come l’Impero del Caos, non è altro che mafia finanziaria anglo-franco-sionista e sta letteralmente perdendo i pezzi del suo territorio colonizzato nei secoli a partire dalla Compagnia delle Indie alla fine del Settecento. Non è un caso che a Londra e a Parigi vi siano le due banche dei Rothschild. L’Italia anch’essa è stata colonizzata, ma ora ci troviamo all’interno di un cambiamento epocale. C’è una parte di mondo, la maggioranza della popolazione mondiale, che sta andando da un’altra parte. Purtroppo c’è anche un’altra parte di mondo dove questa mafia riesce ancora ad eterodirigere, mandando i governi sotto cosiddetto “pilota automatico”. L’UE è poi la manifestazione più esemplare di questo, avendo un organo esecutivo, la Commissione Europea, come organo non eletto. Gli Stati Uniti dal canto loro sono in una fase di sgancio da questa sorta di cupola massonica e lo stanno cercando di fare con l’aiuto della Russia che a suo tempo è riuscita ad affrancarsi da queste dinamiche.
Nino Galloni da economista ha evidenziato l’importanza della svolta cinese che ha consentito alla Repubblica Popolare di crearsi una solida economia autocentrata. Ed è proprio in seguito a questa fondamentale scelta politica focalizzata sull’accrescimento della domanda interna e sull’incremento del reddito pro-capite che negli anni l’ha sottoposta ad attacchi finanziari da parte delle borse mondiali. La Cina ha però saputo convertire tali attacchi in nuova spinta e rinascere. Lo sviluppo economico e la reindustrializzazione cinese hanno potuto essere attuate proprio in seguito a questa fuga dalla finanziarizzazione. Laddove l’operaio cinese ha preferito acquistare beni e servizi cinesi anziché investire i suoi risparmi in fondi speculativi, magari eterodiretti dalla mafia finanziaria di cui si diceva prima, la Cina si è salvata.
L’unica rivoluzione possibile oggi in Occidente è proprio quella che ha fatto la Cina: ripartire dalle nostre imprese, senza strozzarle, investire sull’economia interna e creare crescita del reddito non tagliando i salari ma incrementandoli. È fondamentale creare reddito e commercio senza farsi strozzinare da un’Unione Europea che è stata costruita appositamente per distruggere le nostre piccole e medie imprese per favorire la vocazione mercantilista tedesca, che abbiamo visto dov’è finita una volta che gli Stati Uniti l’hanno disconnessa dall’hub energetico russo.
Cosimo Massaro ha riflettuto soprattutto sulla necessità di riprendere le nostre radici storico-culturali, rialzando la testa come popolo che ha una propria tradizione. È stata messa al centro l’importanza di non farsi appiattire culturalmente dall’imperialismo che invece cerca di imporre un modello unico anglofono. Lo Spirito dei popoli si sta ridestando proprio su queste basi, perché il multipolarismo è profondamente incentrato sull’orgoglio per la propria cultura che si esprime in piena libertà e rispetto reciproco con le altre che stanno alzando la testa contro l’Impero del Caos. Il sistema colonialistico è basato su una vera e propria cultura cancerogena della morte, per questo spacciano guerra in tutto il mondo. Questa cultura della morte però non potrà vincere contro una cultura della vita enormemente più forte. I popoli che hanno saputo affrancarsi, autofinanziandosi, come la Russia che si è sganciata dal circuito SWIFT evitando così di indebitarsi per portare avanti le proprie politiche, hanno scelto realmente di diventare padroni a casa propria esercitando la sovranità popolare tanto declamata dai sovranisti di cartone che poi invece si sono messi a fare gli interessi delle élite.
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:00:00 GMT
Il Moro di Treviri suggeriva di seguire i soldi per non sbagliarsi nelle analisi e in tema di relazioni internazionali quanto sta accadendo ai capitali non è per nulla rassicurante, anzi ci conferma che l’Unione Europea è intenzionata a fronteggiare direttamente e in maniera isolata la Russia. La questione degli asset russi congelati infatti è la vera cartina tornasole delle nostre condizioni economiche disperate.
Nella primavera del 2023, quando all’Occidente veniva venduta l’illusione di una facile vittoria contro i russi, il governo golpista di Kiev, la Commissione Europea, la Banca Mondiale nonché l’ONU iniziarono a quantificare i cosiddetti “danni di guerra” in circa 275 mld di euro che vennero immediatamente bloccati sui conti per un quantomai ipotetico risarcimento danni. Al G7 del dicembre 2023 i giustizieri dell’Occidente si rimisero a fare i conti e trovarono una cifra quasi raddoppiata inserendo anche i conti esteri e le riserve in oro.
La ripartizione di tali capitali risultava così spalmata nella triade imperialista: 201 mld in Europa, 210 mld negli Stati Uniti e 4,5 mld in Giappone. Finché il fronte di guerra ha retto si è pensato che andava tutto bene e si favoleggiava sul cosa far pagare ai russi, con il solito piglio europeista di far i conti senza l’oste non tenendo conto dei più elementari principi di realtà (eravamo nel magico mondo in cui i russi combattevano con le pale, avevano finito soldi e soldati).
Dallo scorso settembre però le cose sono cambiate e, a quanto pare, con il ritiro di “paparino” Trump dal ruolo di pantalone i soldi in tasca sono finiti sì, ma all’Unione Europea, che come è stato magistralmente rilevato da Giuseppe Masala (vedi qui: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-leuropa_punta_al_saccheggio_delle_riserve_della_banca_centrale_russa/29296_62798/) si è trovata di fronte alla scelta se saccheggiare i propri cittadini o i fondi russi. Fino agli scorsi giorni si è scelto di continuare sulla sempreverde via neoliberista: sottrarre soldi al welfare per darli al warfare, keynesismo sì ma solo quello militare. Ebbene, nelle ultime settimane invece la quantificazione delle spese da sostenere senza gli Stati Uniti che stanno andando a firmare la loro pace dev’essere cresciuta in maniera preponderante e si è tornato a parlare prepotentemente di saccheggiare anche i capitali russi.
Neanche a dirlo è stata la Commissione Europea Von der Leyen a trazione baltica a suggerire di intervenire su tali fondi. Perché lasciarli improduttivi? Che enorme spreco, meglio investirli direttamente in armi da scagliare contro la Russia stessa da cui provengono quei soldi. Ancor più impressionante scoprire chi si è messo ad osteggiare una soluzione simile: non un covo di filorussi di quelli da censurare e cacciare da ogni pubblico dibattito, bensì la Banca Centrale Europea di Madame Lagarde (vedi qui: https://www.ilsole24ore.com/radiocor/nRC_02.12.2025_10.50_23310233) e il Belgio in cui risiede la principale società europea da cui rubare i soldi ai russi che rischierebbe di dichiarare default come una Grecia qualsiasi in caso di risarcimento russo (https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2025/12/01/ansa-focusbelgio-lancia-lallarme-bancarotta-sugli-asset-russi_c1c0df5f-a143-4312-8fcf-95205b3397a4.html).
Ovviamente, come ha fatto notare la Lagarde che conosce bene l’architettura giuridica dell’Unione Europea, ci sono degli enormi problemi di legittimità nel portare avanti da parte della Commissione Europea una simile rapina. Ma sappiamo ormai che per i governanti di Bruxelles non è più un problema nemmeno calpestare lo Stato di diritto ivi annessi i diritti di proprietà borghesi. Se non capiscono la diplomazia delle regole si confida almeno che capiscano la diplomazia basata sui rapporti di forza. Infatti la Russia da par suo ha già fatto sapere, tramite Medvedev, di considerare una simile violazione delle regole un casus belli a tutti gli effetti (vedi qui: https://www.reuters.com/world/europe/russias-medvedev-says-eu-seizure-frozen-assets-could-be-tantamount-justification-2025-12-04/ ).
Parimenti il capo-negoziatore russo col Governo Trump Kirill Dmitriev, che non a caso di mestiere fa il CEO del Fondo d’Investimenti Diretti della Russia ed è il rappresentante speciale del presidente russo per gli investimenti e la cooperazione economica con i Paesi stranieri, ha fatto sapere che una simile decisione come minimo vorrà dire l’implosione dell’euro: «mentre stanno distruggendo i propri Paesi con migrazioni incontrollate, aumento della criminalità e declino economico, le élite dell’UE ora vogliono completare il suicidio della civiltà europea distruggendo i diritti di proprietà, fondamento del sistema finanziario, e facendo implodere la propria moneta. Impressionante» (vedi qui: https://sputnikglobe.com/20251206/seizure-of-frozen-russian-assets-will-finish-europes-civilizational-suicide--dmitriev-1123246268.html). E considerando che l’euro sinora si è sempre salvato da qualsiasi crisi, vederlo finire in seguito ad un’originale operazione di fundraising sui conti russi non sarebbe poco.
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:00:00 GMT
Il Dipartimento di Stato americano ha ribattezzato l'US Institute of Peace Donald J Trump Institute of Peace, dichiarando di averlo fatto "per riflettere il più grande affarista nella storia della nostra nazione".
"Il presidente Trump sarà ricordato dalla storia come il presidente della pace", ha twittato il segretario di Stato Marco Rubio in merito all'annuncio.
All'inizio di quest'anno, il capo dell'intelligence del presidente, Tulsi Gabbard, ha pubblicato un post simile sui social media, twittando che "Il presidente Trump È il presidente della pace. Sta ponendo fine allo spargimento di sangue in tutto il mondo e porterà una pace duratura in Medio Oriente".
Si tratterebbe dello stesso presidente Trump che ha bombardato la Somalia più volte nell'ultimo anno di quante ne abbiano fatte i presidenti Joe Biden e Barack Obama nei loro dodici anni di mandato.
Lo stesso presidente Trump che sta bombardando imbarcazioni nei Caraibi e sta apertamente preparando un intervento militare disastroso per un cambio di regime in Venezuela proprio in questo momento, con il suo capo di stato maggiore congiunto che dichiara che gli americani possono aspettarsi una guerra imminente "nel nostro vicinato".
Lo stesso presidente Trump che ha trascorso un anno intero a riversare armi nella terribile guerra per procura degli Stati Uniti in Ucraina, nonostante avesse promesso durante tutta la sua campagna di porre fine al conflitto fin dal primo giorno.
Lo stesso presidente Trump che ha aiutato Israele a incenerire Gaza per mesi prima di ingannare il mondo con un falso accordo di "cessate il fuoco" che, al momento in cui scrivo, ha visto almeno 373 palestinesi assassinati da Israele in soli due mesi dalla sua entrata in vigore, mentre un sistema di sorveglianza da incubo viene costruito attorno ai sopravvissuti.
Lo stesso presidente Trump che ha rischiato una terrificante escalation in Medio Oriente bombardando l'Iran.
Lo stesso presidente Trump che ha massacrato centinaia di civili nella sua campagna di bombardamenti omicida in Yemen all'inizio di quest'anno.
Lo stesso presidente Trump che ha trascorso tutto l'anno ignorando il genocidio in Sudan sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti, finché non gli è stata data una spintarella da nessun altro tiranno genocida saudita, Mohammed bin Salman.
Lo stesso presidente Trump che ha trascorso l'intero primo mandato portando avanti i programmi di lunga data dei guerrafondai mostri della palude di Washington, affamando il Venezuela, sostenendo le atrocità genocide dell'Arabia Saudita nello Yemen, intensificando l'escalation della guerra fredda contro la Russia che ha aperto la strada al conflitto in Ucraina, imprigionando Julian Assange per aver denunciato i crimini di guerra degli Stati Uniti, organizzando brutali operazioni di regime change in Iran, occupando i giacimenti petroliferi siriani con l'obiettivo di facilitare il cambio di governo, assassinando il generale Soleimani ed espandendo la macchina omicida degli Stati Uniti in tutto il mondo.
Questa retorica su Trump come "Presidente della Pace" è solo questo: retorica. Sono parole. Questa amministrazione si è attribuita il merito di aver risolto una serie di conflitti che ha inventato, che non ha contribuito a risolvere o di cui è stata attivamente parte belligerante, mentre in realtà ha fatto girare gli ingranaggi della macchina da guerra imperiale con la stessa rapidità di qualsiasi altro presidente che gli Stati Uniti abbiano mai avuto.
Trump ha fatto campagna elettorale come presidente di pace e continua a mettere in gioco la sua reputazione personale con grandi discorsi sulla pacificazione, ma in termini di azioni concrete è un guerrafondaio tanto quanto gli psicopatici che lo hanno preceduto.
Non c'è motivo di continuare a sostenere Trump se sei contrario alla guerra. Puoi sostenerlo perché "stimola i liberali" o "combatte la coscienza aperta" o qualsiasi altra stupida ragione da guerra culturale che ti piace, se è questo che ti interessa, perché lui alimenta assolutamente queste assurdità. Ma se lo sostieni perché pensi che stia facendo la pace, prosciugando la palude o difendendo i più deboli, sei semplicemente un delirante.
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(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:00:00 GMT
"Ecco come le capitali dell'UE si dividerebbero il prestito di sostegno all'Ucraina nell'ambito del piano da 210 miliardi di euro per il disgelo dei beni congelati". Scrive oggi POLITICO, riportando documenti esclusivi ottenuti da fonti interne dell'Unione Europea.
I paesi dell'UE dovranno impegnarsi individualment per garantire fino a 210 miliardi di euro di prestiti urgenti all'Ucraina, con la Germania pronta a sostenere fino a 52 miliardi di euro. L'Italia oltre 25 miliardi di euro. 
La Commissione europea ha presentato la scorsa settimana ai diplomatici questi importi da capogiro, dopo aver svelato un prestito di 165 miliardi di euro all'Ucraina utilizzando il valore in contanti dei beni russi congelati.
Le garanzie, che sarebbero ripartite proporzionalmente tra i paesi dell'Unione, sono necessarie per ottenere il via libera al prestito da parte del primo ministro Bart De Wever. Il leader belga si è opposto all'utilizzo dei beni sovrani russi per la certezza che il suo paese possa essere chiamato a restituire il denaro a Mosca. Circa 185 miliardi di euro di beni russi congelati sono sotto la gestione del deposito finanziario Euroclear con sede a Bruxelles, mentre altri 25 miliardi di euro sono sparsi in tutto il blocco in conti bancari privati.
I totali per paese, prosegue POLITICO, potrebbero tuttavia aumentare se paesi vicini al Cremlino come l'Ungheria rifiutassero di aderire all'iniziativa, anche se i paesi non appartenenti all'UE potrebbero contribuire, se lo desiderano, coprendo parte della garanzia complessiva. La Norvegia era stata indicata come possibile candidata fino a quando il suo ministro delle finanze, Jens Stoltenberg, ha preso le distanze da Oslo.
In questo modo la Comissione dovrà convincere De Wever a sostenere l'utilizzo dei beni russi quando i leader dell'UE si riuniranno il 18 dicembre, piuttosto che attingere alle proprie casse nazionali. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz era a Bruxelles venerdì sera per rassicurare De Wever che la Germania avrebbe fornito il 25% del sostegno, la quota maggiore tra tutti i paesi. “Abbiamo avuto uno scambio molto costruttivo su questo tema”, ha dichiarato Merz dopo aver cenato con il leader belga. “La particolare preoccupazione del Belgio sulla questione di come utilizzare le risorse russe congelate è innegabile e deve essere affrontata in qualsiasi soluzione immaginabile in modo tale che tutti gli Stati europei si assumano lo stesso rischio”.
Ed il governo Meloni? E' disposta veramente a mettere oltre 25 miliardi di euro a garanzia di uno scippo che mette a rischio le regole più elementari del sistema economico-finanziario internazionale, con la quasi certezza, inoltre, che dovrà consegnarli alla Russia al termine del conflitto?
25 miliardi dei contribuenti italiani andranno ad alimentare l'escalation bellica e la corruzione senza più nessun controllo del regime di Kiev. Mentre 6 mila famiglie dell'ex Ilva non ricevono neanche una parola dal governo, la signora Meloni sta ipotecando oltre una intera finanziaria per i bagni d'oro di Kiev!
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 08:00:00 GMT
di Daniele Luttazzi - Fatto Quotidiano, nonc'èdiche
Durante l’Israel Hayom Summit a New York, un evento organizzato dalla miliardaria israeliano-americana Miriam Adelson, grande sostenitrice di Trump (per finanziarne le due campagne elettorali ha speso 400 milioni di dollari, purché Trump sostenesse l’annessione israeliana della Cisgiordania), Hillary Clinton ha espresso preoccupazione perché l’opinione pubblica americana critica Israele, e ha indicato come causa principale i social media, in particolare TikTok. Il problema non sono l’occupazione, l’annessione e i 70.000 palestinesi assassinati, ma i giovani “che ricevono le informazioni dai social media senza contesto, dove ciò che vedono non è solo unilaterale, ma pura propaganda”.
Da che pulpito! Ricordo il suo sostegno pubblico al documentario-hasbara Screams Before Silence, prodotto dall’ex capa di Facebook Sheryl Sandberg, che raccontava di fantomatici stupri di massa di Hamas durante l’attacco del 7 ottobre 2023 come fossero davvero accaduti (t.ly/JN8l7). Anche Haaretz, quotidiano progressista israeliano, ha deplorato l’ipocrisia della Clinton: come Segretario di Stato non può dimenticare le sue responsabilità nel fallimento dei negoziati tra Israele e Palestina. Incolpando TikTok e i giovani, scrive Haaretz, la Clinton sposta l’attenzione dai crimini israeliani, vere cause del giudizio negativo dell’opinione pubblica Usa su Israele. La Clinton critica i giovani che condividono informazioni su Gaza, ma non chiede a Israele di consentire ai giornalisti di entrare nella Striscia per riportare dati verificabili. Riduce insomma a un problema di disinformazione la vibrata protesta internazionale contro il genocidio in corso a Gaza, oggi sostenuto dai veti all’Onu e dalle forniture militari dell’amministrazione Trump. È un insulto all’intelligenza ed è immorale, dunque inaccettabile, interpretare le immagini dei bambini gazawi feriti o uccisi come frutto di una campagna contro Israele, senza riconoscere la responsabilità di Israele e degli Usa in quei crimini.
La Clinton non è l’unica voce Dem, del resto, a incolpare i social per la diffusa condanna di Israele e del suo modus operandi, che non è inferiore, per crudeltà, a quello nazista (basti pensare al double tap strike, il secondo bombardamento a ridosso del primo quando, sullo stesso luogo, accorrono i soccorritori, medici o civili: l’ennesimo crimine di guerra. Viene da sperare che il Dio di Israele, in cui dicono di credere, esista davvero e punisca i responsabili di questa e altre atrocità, visto che la giustizia terrena pare impotente a farlo, mentre gli Usa di Trump sanzionano i giudici internazionali e le relatrici Onu che ci provano).
L’ex speechwriter di Obama, Sarah Hurwitz, ha detto che oggi è impossibile discutere coi giovani: “Se tutto il giorno il tuo cervello è bombardato da TikTok con immagini sconvolgenti di Gaza, sto parlando attraverso un muro di bambini morti”. Dunque la colpa non sarebbe dei carnefici, ma dei video sulle vittime (“un muro di bambini morti”): maledetta. Anche Van Jones, ex consigliere di Obama, se l’è presa con quei video di TikTok, che ha attribuito a una campagna di disinformazione di Iran e Qatar. La contraddizione è ironica, commenta Haaretz: politici che sfruttarono i social per la loro propaganda elettorale ora li dipingono come nemici di Israele per sostenere l’hasbara. L’International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra) definisce antisemitismo ogni critica a Israele: non sorprende che, per arginare le proteste dei cittadini informati, negli Usa 37 Stati e parecchie università abbiano adottato le sue capziose “linee guida”. E neppure che in Italia, dopo Gasparri, Scalfarotto e la Lega, anche i pidini Delrio, Casini, Sensi, con altri 10 sciagurati (in totale, un terzo del gruppo Pd al Senato), vogliano tramutarle in legge. Elly, cosa aspetti a stracciare la tessera?
di Marco Travaglio - Fatto Quotidiano, 6 dicembre 2025
La notizia che Trump se ne frega dell’Europa e bada a cose più serie ha seminato stupore e costernazione fra gli sgovernanti Ue, che sono un po’ come i cornuti: sempre gli ultimi a sapere le cose (il Corriere parla di “attacco choc”, la Stampa di “strappo” e Rep dice che “Trump scarica l’Europa”). Intanto trovano strano che un presidente americano faccia gli interessi degli americani anziché quelli degli europei. E vanno capiti, visto che gli sgovernanti europei fanno gli interessi degli americani anziché quelli degli europei senza trovarlo strano. Sono anche convinti che, fino al ritorno di Trump, gli Usa amassero l’Ue alla follia: non si sono accorti che i nostri interessi sono opposti a quelli degli Usa da almeno 30 anni. Infatti i danni peggiori ce li hanno fatti i Clinton (lui e lei), Bush. jr., Obama e Biden. Terrorizzati dal dialogo post-Muro tra Ue e Russia e dalla superpotenza euroasiatica nascente dall’unione fra industria europea e gas russo a basso costo, gli Usa hanno fomentato le tensioni con Mosca fino al golpe bianco ucraino, alla guerra civile e all’invasione russa per spezzare quel vincolo. Nel 2013 Victoria Nuland, inviata a Kiev per finanziare e pilotare il golpetto, sintetizzò la dottrina europeista Obama-Biden con l’icastica formula “Fuck the Eu!” (la Ue si fotta).
Intanto i buoni dem Usa minacciavano la Germania perché partecipava al monumento della cooperazione euro-russa: i gasdotti Nord Stream, fatti saltare nel 2022 da terroristi ucraini con complicità americane e polacche. Altro che droni o palloni aerostatici da attribuire alla guerra ibrida russa: quelli servono a tenerci con naso all’insù per farci dimenticare il più grave attacco ibrido all’Europa dal 1945. E tutti gli altri graziosi regalini degli “amici” yankee: le bombe sulla Serbia che hanno destabilizzato i Balcani, le invasioni di Afghanistan e Iraq che ci hanno infestati di terroristi islamici, i raid in Siria e in Libia che ci hanno inondati di migranti. Tutte guerre perse dagli Usa, ma pagate da noi europei, inclusi quelli così beoti da avervi pure partecipato. Nel 2016, intervistato da The Atlantic, Obama parlava degli europei come oggi Trump: “Dovete pagare la vostra quota”, “mi irritano questi free riders” (portoghesi, scrocconi). Ma si guardò bene, come ora Trump, dal ritirare le basi militari, i soldati e le testate nucleari Usa dai Paesi Nato. L’Europa agli Usa interessa eccome, e non per difenderla (non abbiamo nemici, anche se ce ne inventiamo uno all’anno): per presidiare il Mediterraneo e il Baltico e per controllarci. Solo che ci danno per scontati, ben sapendo che obbediremo sempre prim’ancora di ricevere gli ordini: come sui dazi al 15% e sul 5% di Pil alla Nato. Perché perdere tempo a discutere con la servitù?
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 07:00:00 GMT
di Alessandro Volpi*
Subalternità assoluta. La presidenza Trump pubblica il Documento sulla sicurezza strategica che esprime di fatto un profondo disprezzo per l'Unione Europea e i suoi Stati membri. Il ministro Crosetto dichiara il suo risentimento e la presidente Meloni sostiene la necessità di prendere atto della situazione. Nel frattempo però il governo italiano chiude un contratto per acquistare 100 missili terra aria per un costo di 300 milioni di dollari.
Si tratta di un pezzetto degli acquisti italiani presso aziende Usa che hanno assommato nel 2024 a circa 2,5 miliardi di dollari. Ma il dato ancora più interessante è costituito dal fatto che le aziende fornitrici sono sostanzialmente tre: Raytheon, Lockheed Martin e L3 Harris, i cui azionisti sono le Big Three, Black Rock, Vanguard e State Street. In sintesi: protestiamo e paghiamo ai padroni del mondo. Intanto l'Unione europea multa X di Elon Musk per scarsa trasparenza. Siamo di fronte ad una multa di 120 milioni di euro - in pratica un'inezia - per violazione del Digital Service Act, dopo anni di "indagini". Le reazione del vice presidente Vance e di Musk è stata chiara: bisogna abolire l'Unione europea. Eloquente anche in questo caso la risposta della Commissione: sulla multa possiamo ragionare....
Un'ultima nota. Di chi è X? di Musk, di Larry Ellison, cari amici di Trump, e del principe saudita Alwaleed bin Talal. Le diverse componenti della finanza Usa dominano l'Unione, con il suo pieno consenso.
*Post Facebook del 7 dicembre 2025
Le tensioni attorno al Venezuela raggiungono un nuovo picco mentre Washington mantiene un inedito dispiegamento militare nel Mar dei Caraibi, giudicato da Caracas come un atto di aggressione. Da Mosca arriva un monito severo: il viceministro degli Esteri Sergey Riabkov avverte gli Stati Uniti contro «qualsiasi passo verso uno scontro aperto», denunciando la volontà della Casa Bianca di riaffermare un “dominio incontestabile” nella regione. La Russia, che ha rafforzato di recente la cooperazione strategica con il Venezuela, ribadisce il proprio sostegno “spalla a spalla” al governo bolivariano.
Intanto Donald Trump rilancia la retorica bellicista: dopo i bombardamenti contro presunte imbarcazioni di narcotrafficanti - oltre 80 morti senza prove di traffici illeciti - annuncia attacchi anche via terra, estesi a qualunque Paese ritenuto parte della filiera della droga. Una narrativa però smentita dall’ONU e dalla DEA, che confermano come il Venezuela non sia una rotta centrale del narcotraffico verso gli Stati Uniti. Mentre cresce la pressione esterna, Maduro incassa nuove prove di sostegno diplomatico. In una telefonata con Recep Tayyip Erdo?an, i presidenti di Venezuela e Turchia hanno espresso preoccupazione per l’escalation statunitense e annunciato un ulteriore rafforzamento dei rapporti bilaterali, dal commercio agli investimenti, fino al ripristino del volo diretto Caracas–Istanbul.
Sul piano globale si moltiplicano le mobilitazioni contro la politica aggressiva di Washington: dagli Stati Uniti all’America Latina, dall’Europa all’Africa. A New York, Chicago, Città del Messico, Santiago, L’Avana e Kinshasa, migliaia di persone scendono in piazza denunciando la “falsa guerra antidroga” e difendendo la sovranità venezuelana. Movimenti sociali, sindacati, collettivi antifascisti e comunità indigene convergono su un messaggio comune: «Fuori le truppe dai Caraibi. Nessuna guerra per il petrolio».
Dalla vasta rete di solidarietà globale emerge un punto fermo: il Venezuela non è una minaccia, ma un attore centrale del nuovo equilibrio multipolare, simbolo della lotta contro l’unilateralismo e in difesa dell’autodeterminazione dei popoli.
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A una settimana dalle elezioni presidenziali, l’Honduras resta senza risultati certi. Il sistema di scrutinio è fermo da giorni per presunti “problemi tecnici”, mentre crescono le denunce di frode e interferenze esterne. La presidente del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), Ana Paola Hall, ha attribuito il blackout del sistema alla società incaricata della trasmissione dei dati, assicurando la volontà dell’ente di garantire «divulgazione continua» e ridurre l’incertezza. Il CNE ha annunciato una proroga fino all’8 dicembre per la presentazione di richieste di annullamento e fino al 15 dicembre per i riconteggi speciali.
Il clima si è ulteriormente surriscaldato dopo le accuse del consigliere del CNE, Marlon Ochoa, che parla apertamente di “golpe elettorale”. Tra le irregolarità elencate: l’eliminazione del controllo biométrico, errori nelle schede, presunta manipolazione automatica dei voti e la manomissione di verbali cruciali. «Potrebbe essere la nostra elezione più manipolata», ha avvertito. Nuovo scandalo anche sul fronte dell’ingerenza internazionale.
L’avvocato Ric Soto ha diffuso il video in cui l’argentino Fernando Cerimedo, consulente del Partito Nazionale, ammette di aver agito per pttenere un tweet di Donald Trump a favore del candidato Nasry Asfura: una rivelazione che basta a configurare un intervento estero illegale.
Nel frattempo, il partito Libertad y Refundación (Libre) richiede la nullità completa dello scrutinio, denunciando il “disastro” del sistema TREP e chiedendo di ripetere le elezioni in tutte le 19.167 commissioni elettorli (JRV) per la “violazione della volontà sovrana del popolo honduregno”. Il Paese resta sospeso, in attesa di un esito che appare sempre più incerto e contestato.
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di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Nella prima parte di questo articolo abbiamo analizzato sotto l'aspetto geografico e strategico il documento di Strategia di Sicurezza Nazionale statunitense elaborato dall'Amministrazione Trump che sancisce di fatto, la declassazione dell'Europa ad area del mondo a bassa priorità per gli USA e il contemporaneo ritorno di fiamma degli USA per il continente americano nel suo complesso dopo decenni di abbandono. Un ritorno di fiamma per il continente americano (definito da Washington pudicamente “emisfero occidentale”) che comporta un aggiornamento della Dottrina Monroe definito nel documento stesso come “Corollario Trump” che in soldoni significa: pieno dominio statunitense sullo spazio occidentale che va dalla Groenlandia fino alla Terra del Fuoco.
LEGGI: Nuova Strategia di Sicurezza Nazionale USA: Goodbye Europe!
Al di là dell'aspetto meramente geografico di questo documento (che comunque avrà enormi ripercussioni sull'Europa e dunque sulle nostre vite) colpisce anche la presenza di una elaborazione molto importante relativa all'ambito economico che in maniera emblematica è stata definita nel documento stesso di “Sicurezza Economica”.
La Sicurezza Economica degli USA
In più di una circostanza in questi lunghi anni di guerra, dalle pagine dell'AntiDiplomatico ho scritto che il problema degli USA era sostanzialmente di natura economica. Per comprendere bisogna focalizzarsi sulla posizione finanziaria netta, quella grandezza dei Conti Nazionali che gli economisti chiamano NIIP (Net International Investment Position) e che, nel caso americano, attesta innegabilmente come Washington sia completamente dipendente dai capitali esteri. In altri termini basterebbe che gli investitori esteri, che accorrono a investire in quella enorme macchina di creazione di dollari sintetici che è Wall Street, decidano di spostare i loro capitali in altre parti del mondo per generare un cataclisma nel sistema finanziario americano con ulteriori gravi ripercussioni sul Dollaro. Chiaramente un grave problema di sicurezza nazionale che non è sfuggito a chi ha redatto il documento.
Una precisazione ulteriore. La posizione debitoria del NIIP nel caso degli USA è teoricamente giustificata perchè Washington ha il “dovere” di inondare il mondo dei dollari necessari al commercio internazionale visto che la divisa statunitense è quella standard relativa a questo tipo di transazioni. Il problema però sta nella quantità. A partire dal 2008, dopo la crisi di Wall Street innescata dai mutui subprime lo sbilancio dei conti con l'estero USA è andato letteralmente fuori controllo, fino ad arrivare, al giorno d'oggi, alla cifra siderale e virtualmente impagabile di 26100 miliardi di dollari. Solo per fare un esempio, quando l'Italia fu commissariata con il governo Monti, il nostro NIIP era negativo per appena 300 miliardi di euro. Lascio al lettore l'onere di fare le debite proporzioni. Qual è il modo elaborato dall'Amministrazione Trump per uscire da questa difficile situazione?
Il metodo elaborato è ben spiegato nel documento che delinea la strategia di sicurezza nazionale appena rilasciato dalla Casa Bianca.
Primo punto. Commercio Equilibrato. Gli Stati Uniti correttamente punteranno sul riequilibrio del commercio internazionale e dunque della loro bilancia commerciale essendo ben coscienti che un accumulo di deficit commerciali inevitabilmente significa portare in deficit il Saldo delle Partite Correnti e in definitiva il NIIP (che contabilmente non è altro che il dato cumulato del saldo delle partite correnti nel corso degli anni). Per arrivare a questo gli USA pretenderanno dai propri interlocutori parità di trattamento e dunque l'eliminazione di qualunque barriera protezionistica anche di tipo funzionale (per esempio misurare le zucchine affinché siano “a norma” come fa la UE per evitare la concorrenza dei prodotti agricoli provenienti da paesi extra comunitari). Gli USA comunque in relazione a questo punto chiariscono che la «priorità sono e saranno i nostri lavoratori, le nostre industrie e la nostra sicurezza nazionale». Dire che a globalizzazione impostata nei ruggenti anni 90 sta lentamente spegnendosi a causa dell'azione USA non pare un azzardo...
Secondo punto. Garantire l'accesso alle catene di approvvigionamento e ai materiali critici. L'Amministrazione Trump rivendica l'accesso indipendente e affidabile ai beni di cui gli USA hanno bisogno, ciò richiederà un'espansione dell'accesso americano a minerali e materiali essenziali a partire dalle “Terre Rare” attualmente monopolio cinese. Inoltre è scritto sempre nel documento strategico che «la Comunità dell'Intelligence monitorerà le principali catene di approvvigionamento e i progressi tecnologici in tutto il mondo per garantire la comprensione e la mitigazione delle vulnerabilità e delle minacce alla sicurezza e alla prosperità americana».
Terzo punto. Reindustrializzazione. Il documento strategico sancisce l'obbiettivo statunitense di reindustrializzare il paese riportando dunque a casa la produzione industriale; negli intendimenti ciò sarà fatto concentrandosi sulle tecnologie critiche e nei settori emergenti che definiranno il futuro. E tutto ciò sarà realizzato anche attraverso l'uso strategico di dazi. «Il futuro appartiene ai creatori» è scritto nel documento. Uno slogan che – volendo - può essere tradotto con “l'epoca della terziarizzazione e della finanziarizzazione” partita negli anni novanta sta per concludersi.
Quarto punto. Rilanciare la base industriale di difesa. Questo punto è contemporaneamente una necessità di natura strettamente militare ma anche fortemente correlata alla sicurezza economica. L'enorme costo dei sistemi d'arma americani si sta dimostrando oltre che un handicap di natura militare anche una vera e propria palla al piede nell'agone del mercato degli armamenti dove le aziende USA, sempre più, devono competere con aziende di paesi che producono armi a bassissimo costo come l'Iran, la Russia e soprattutto la Cina. Ecco cosa si legge nel documento a questo proposito: «L'America non può esistere senza una base industriale di difesa forte e capace. L'enorme divario, dimostrato nei recenti conflitti, tra droni e missili a basso costo e i costosi sistemi necessari per difendersi da essi ha messo a nudo la nostra necessità di cambiare e adattarci. L'America ha bisogno di una mobilitazione nazionale per innovare difese potenti a basso costo, per produrre su larga scala i sistemi e le munizioni più capaci e moderni e rilanciare le nostre catene di approvvigionamento industriali per la difesa. In particolare, dobbiamo fornire ai nostri combattenti l'intera gamma di capacità, dalle armi a basso costo in grado di sconfiggere la maggior parte degli avversari fino ai sistemi di fascia alta più potenti, necessari per un conflitto con un nemico sofisticato».
Quinto punto. Dominio Energetico. Priorità strategica della Casa Bianca è quella di ripristinale anche il dominio energetico americano (petrolio, gas, carbone e nucleare) e riportare in patria i componenti energetici chiave necessari per avere in definitiva energia economica e abbondante per creare posti di lavoro ben retribuiti, ridurre i costi per i consumatori e le aziende americane, alimentare la reindustrializzazione e contribuire a mantenere il vantaggio (a patto che esista ancora) nelle tecnologie all'avanguardia come l'intelligenza artificiale. Inoltre si legge: «L'espansione delle nostre esportazioni nette di energia approfondirà anche i rapporti con gli alleati, riducendo al contempo l'influenza degli avversari, proteggendo la nostra capacità di difendere le nostre coste e, quando e dove necessario, consentendoci di proiettare il nostro potere. Rifiutiamo le disastrose ideologie del "cambiamento climatico" e del "Net Zero" che hanno così gravemente danneggiato l'Europa, minacciano gli Stati Uniti e sovvenzionano i nostri avversari».
Quinto e ultimo punto. Preservare e far crescere il predominio del settore finanziario americano. A tale proposito questa è l'argomentazione dell'Amministrazione Trump: «I mercati, pilastri dell'influenza americana, offrono ai decisori politici un'influenza significativa e strumenti per promuovere le priorità di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Tuttavia, la nostra posizione di leadership non può essere data per scontata. Preservare e accrescere il nostro predominio implica sfruttare il nostro dinamico sistema di libero mercato e la nostra leadership nella finanza digitale e nell'innovazione per garantire che i nostri mercati continuino a essere i più dinamici, liquidi e sicuri e a essere invidiati dal mondo». Se i precedenti punti sono assolutamente razionali e coerenti, questo specifico punto appare o velleitario o incoerente rispetto a quanto affermato prima. Non si può avere la Bilancia Commerciale contemporaneamente positiva e contemporaneamente fare in modo che Wall Street continui ad attrarre capitale dall'estero così come non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena! Avere la Bilancia Commerciale positiva e attrarre capitali dall'estero è impossibile nel medio e lungo periodo per il semplice fatto che il resto del mondo non avrà più capitali in dollari da portare a Wall Street. Sempre che non si pretenda che il resto del mondo prenda a prestito (e dunque gravati di interessi) i dollari dagli USA che successivamente reinvestirà a Wall Street. Questo semplicemente perchè la bilancia commerciale positiva comporta che il Sistema-USA drena dollari dal resto del mondo. O reindustrializzazione e conti nazionali positivi oppure attrarre capitali dall'estero per Wall Street; entrambe le cose non si possono avere. Vedremo come Washington proverà a sbrogliare questa contraddizione.
In definitiva comunque pare chiaro come la Casa Bianca abbia bene in mente come il problema economico del paese sia da annoverare tra quelli di sicurezza nazionale e quindi in grado di minale le stesse fondamenta dell'impero americano. Quello illustrato nel documento è un programma certamente di lungo periodo che però rende bene l'idea di come Washington intenda affrontare e risolvere i problemi.
Una cosa è certa, chi, come l'Europa ha esportato per 30 anni grandi quantità di beni negli USA dovrà prepararsi ad una battuta d'arresto e dovrà impegnarsi – se riesce - a trovare nuovi mercati di sbocco. Una operazione davvero complicata anche perchè nel frattempo la competitività europea è stata minata dalla chiusura alle materie prime russe a basso costo. Non pare azzardato sostenere che senza il ricco mercato americano le prospettive per l'Europa e per l'Euro sono molto grame.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 05:00:00 GMT
di Domenico Moro
Recentemente in Francia hanno suscitato un notevole scalpore le dichiarazioni pubbliche rilasciate dal generale Fabien Mandon, capo di stato maggiore della difesa francese. Secondo Mandon, bisogna ritornare ad “accettare di perdere i propri ragazzi. Ciò che manca è la forza d’animo per accettare di farsi male, per proteggere ciò che siamo. Se il nostro paese vacilla perché non è pronto ad accettare di perdere i suoi figli, perché bisogna dirlo, a soffrire economicamente perché le priorità andranno alla produzione per la difesa, allora siamo a rischio”[i]. Quindi, bisogna riabituarsi non solo a sacrifici nel nostro tenore di vita per finanziare un aumento degli armamenti, ma soprattutto a morire in guerra in Francia, e, a quanto pare, in tutta Europa.
Cento anni fa la possibilità per un giovane europeo di essere ucciso in guerra era considerata nell’ordine delle cose, per quanto spiacevole. Dopo i massacri della Prima e della Seconda guerra mondiale, in Europa e, in generale, nei paesi avanzati dell’Occidente collettivo, si è affermata l’inaccettabilità di morire in guerra. Questa posizione si è riscontrata anche negli Usa, sebbene, a differenza dell’Europa occidentale, avessero conservato una postura esplicitamente imperialista anche dopo la Seconda guerra mondiale. Il punto di svolta negli Usa fu la guerra del Vietnam, durante la quale i coscritti di leva si rivelarono inadatti a sostenere i pericoli di morte del combattimento, e si evidenziarono le difficoltà a motivare i soldati (e il sostegno dei civili) da parte dell’ideologia dominante[ii]. La risposta degli Usa fu l’introduzione delle Forze Armate professionali. Infatti, dalla fine della guerra del Vietnam, ad intervenire nelle numerose guerre che sono state intraprese dagli Usa sono stati i volontari professionisti. Ma, come dimostra il ritiro dall’Afghanistan, anche le perdite di professionisti risultano poco digeribili dall’opinione pubblica statunitense.
La stessa tendenza al passaggio dalla leva obbligatoria a una leva di volontari professionisti si è affermata, tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, anche nei principali stati dell’Europa occidentale a partire da Germania, Francia, Italia e Spagna. Il concetto strategico che è sotteso a questa soluzione è che con la fine dell’Urss veniva meno la necessità di “difendere la patria” e che l’impiego delle truppe dovesse essere destinato a missioni cosiddette fuori area, dal momento che si era entrati nell’epoca delle spedizioni. C’era, quindi, bisogno di uno strumento militare più piccolo e mobile, adatto a dispiegarsi in paesi lontani, soprattutto del terzo mondo, in operazioni di peace-keeping o peace-enforcing[iii]. I conflitti che ci si aspettava di combattere erano quelli a bassa intensità, contro guerriglieri o milizie prive o quasi di armi pesanti. Malgrado ciò, quando si sono verificate delle limitate perdite di vite di militari, come per esempio a Nassiriya il 12 novembre del 2003 quando 19 militari italiani furono uccisi, l’emozione è stata forte. Dunque, l’Europa, per un lungo periodo di tempo si è risparmiata conflitti con alte perdite di vite umane, con cui invece i paesi del Sud globale sono sempre stati costretti a fare i conti, spesso proprio a causa di guerre scatenate dai paesi occidentali utilizzando l’arma aerea o manovrando fazioni locali.
Nuova dottrina militare e nuovo modello di difesa
Oggi, il modo di intendere le Forze Armate sembra cambiare di nuovo. Il nuovo nemico, per la classe politica europea occidentale, è la Russia e la guerra da combattere non è più quella a bassa intensità contro forze guerrigliere ma quella ad alta intensità contro Forze Armate pesantemente armate e tecnologicamente avanzate. La ragione, si dice da varie parti, è la volontà della Russia di ripristinare l’”impero sovietico”, minacciando anche l’Europa occidentale. Da questa narrazione viene eliminato il fatto che sia stata la Nato ad allargarsi minacciosamente fino ai confini della Russia, nonostante le promesse fatte dai leader occidentali a Gorbaciov al momento dello scioglimento del Patto di Varsavia, e che sempre la Nato avesse l’intenzione di inglobare anche l’Ucraina. Ugualmente è sottaciuto il fatto che in Ucraina la guerra, tra il governo ucraino e la minoranza russofona del Donbass, era iniziata molto tempo prima che la Russia intervenisse e aveva provocato 10mila morti fra quella popolazione russofona.
Quindi, di fronte a questo presunto nuovo pericolo, l’Europa sta modificando i suoi strumenti militari, sia sul piano dei mezzi materiali sia sul piano del personale. Il programma ReArm Europe, presentato dalla Commissione europea a marzo 2025, prevede lo stanziamento di ben 800 miliardi di euro in armamenti e la possibilità per gli Stati europei di sforare il vincolo del 3% al deficit pubblico per le spese militari. Più recente è la notizia, per quanto riguarda l’Italia, che il 41% dei fondi per l’industria, 10,3 miliardi su 25,1 miliardi complessivi, del Ministero dell’industria e del made in Italy (Mimit) andranno in armi. Si tratta di risorse che verranno stornate dal welfare (sanità, scuola, ecc.) e da settori industriali strategici in difficoltà, come la siderurgia, che – lo diciamo en passant – richiederebbe la nazionalizzazione dell’ex Ilva.
Ma novità importanti si presentano anche sul piano del personale che dovrà usare queste nuove armi. Infatti, gli eserciti professionali dell’epoca delle spedizioni sono troppo piccoli per i nuovi compiti. Le Forze Armate italiane, ad esempio, ammontano a 160mila uomini e donne. Per questa ragione, alcuni paesi europei, Lituania, Lettonia, Svezia, e Croazia, hanno ripristinato la leva obbligatoria, mentre Norvegia e Danimarca l’hanno estesa anche alle donne. Più importante ancora è che la Germania e la Francia, oltre a Belgio e Polonia, abbiano deciso l’introduzione di un servizio militare, anche se non obbligatorio. In Germania, il cancelliere Merz ha stabilito di aumentare i soldati da 180mila attivi e 50mila riservisti a 260 mila attivi e 100mila riservisti. Se non si riuscirà a riempire i ranghi con i volontari, si reintrodurrà la leva obbligatoria. In Francia, Macron ha detto che “Abbiamo bisogno di mobilitazione, della mobilitazione della nazione per difendersi…per essere pronti e rispettati…di fronte all’accelerazione della crisi e all’inasprimento delle minacce.” I nuovi soldati riceveranno una paga di 800 euro al mese per 10 mesi. L’obiettivo francese è quello di raddoppiare entro il 2030 a 80mila unità la riserva da mobilitare e impiegare in eventuali conflitti. Per quanto riguarda l’Italia, il ministro della difesa, Crosetto, ha affermato di voler portare un disegno di legge in Parlamento su un servizio volontario analogo a quelli tedesco e francese.
La postura aggressiva della Nato e dell’Europa verso la Russia
Questi aumenti degli effettivi militari e delle riserve mobilitabili non sono paragonabili alla leva di massa che sarebbe necessaria in caso di una vera guerra con una nazione come la Russia, che ha 146 milioni di abitanti e le seconde forze armate a livello mondiale, con 1,32 milioni di soldati attivi e 2 milioni di riserve[iv]. Tuttavia, è un segno grave del fatto che l’Europa occidentale sta assumendo una postura aggressiva che è diretta con tutta evidenza contro la Russia. Questo appare evidente se uniamo le decisioni suddette alle dichiarazioni di importanti capi militari occidentali, tra cui non solamente il francese Mandon. A tal proposito, una dichiarazione preoccupante è stata rilasciata al Financial Times dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che, oltre a essere stato capo di stato maggiore della difesa, è oggi la più alta carica militare della Nato. L’ammiraglio ha affermato che la Nato valuta attacchi preventivi contro la Russia. È vero che Cavo Dragone si è riferito a azioni di guerra ibrida, che comprendono attacchi informatici, guerra economica, fake news e altre operazioni a bassa intensità, ma si tratta comunque di operazioni molto dannose per i paesi che ne sono oggetto. Senza contare che fare dichiarazioni di questo tipo mentre c’è in atto un tentativo di risoluzione del conflitto ucraino è quantomeno inopportuno. Del resto, gli stati europei più importanti – i cosiddetti volenterosi – si erano già messi di traverso rispetto al piano di pace proposto da Trump, proponendo un nuovo testo su cui impostare la negoziazione che è chiaramente irricevibile da parte del Cremlino.
La reazione russa alle parole di Cavo Dragone è stata piuttosto decisa. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha affermato che le dichiarazioni dell’ammiraglio italiano sono “un passo estremamente irresponsabile, a dimostrazione che l’alleanza è pronta a continuare verso una escalation. Vediamo un tentativo deliberato di minare gli sforzi per superare la crisi ucraina. Le persone che rilasciano tali dichiarazioni dovrebbero essere consapevoli dei rischi e delle possibili conseguenze, anche per gli stessi membri dell’alleanza.”[v] Ugualmente decisa è stata la reazione di Vladimir Putin: “Noi non abbiamo intenzione di combattere contro l’Europa, l’ho già detto cento volte. Ma se l’Europa vuole combattere con noi siamo pronti.”[vi]
Insomma, l’Europa sembra assumere una postura quantomeno aggressiva rispetto alla Russia, cosa che rende difficile fermare una guerra che è, con tutta evidenza, già persa per l’Ucraina (e per la Nato), e che più va avanti più la situazione ucraina sarà insostenibile. A questo punto, però, c’è da chiedersi una cosa: perché l’Europa assume questo tipo di atteggiamento invece di ricoprire un ruolo terzo e di mediazione tra i due contendenti? Questo ad alcuni appare ancora più inspiegabile a fronte del fatto che le sanzioni contro la Russia hanno privato l’Europa, e in particolar modo la Germania e l’Italia, di rifornimenti di gas a prezzi bassi, su cui avevano fondato le fortune del loro export manifatturiero. Inoltre, il finanziamento della guerra ucraina è costato all’Europa, tra gennaio e agosto 2025, ben 50 miliardi di euro e molti di più ne costerà, perché Trump fornirà all’Ucraina solo quelle armi che l’Europa sarà disposta a pagare. Ammontano a 90 miliardi i due terzi del fabbisogno di finanziamento dell’Ucraina per i prossimi due anni, che verranno coperti dalla Commissione europea. Piuttosto dubbi sono i modi in cui la Commissione spera di raccogliere tali fondi: o con la raccolta di denaro sui mercati finanziari, poco appetibile per quegli stati ostili a fare debito comune, o con l’utilizzo dei 210 miliardi di euro russi che sono stati congelati presso istituzioni finanziarie europee occidentali, condizione che equivale al furto di beni altrui.
Le cause dell’aggressività Europea verso la Russia
Per capire il perché dell’ostinazione dei paesi europei occidentali nella ostilità contro la Russia avanziamo le seguenti spiegazioni.
La prima consiste nell’esistenza di un imperialismo collettivo, per dirla alla Samir Amin, che include i paesi del G7 (Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Giappone e Canada) e che si contrappone al Sud globale e ai Brics, che hanno nella Russia uno dei membri più importanti. Per tale imperialismo (o Occidente collettivo) uno Stato russo autonomo e forte, è un avversario da eliminare o da ridimensionare su un piano strategico. Tale orientamento caratterizza il rapporto tra Russia e Gran Bretagna, la quale storicamente si ispira alla dottrina di Halford Mackinder (1861-1947), geografo e deputato inglese e fondatore della geopolitica. Secondo Mackinder, se si vuole dominare il mondo bisogna dominare l’Eurasia e, se si vuole dominare quest’ultima bisogna dominare il cosiddetto Heartland, il fulcro geopolitico mondiale. Tale fulcro, un’area tra Asia e Europa, coincide con la Russia. Per questa ragione, l’impero britannico si oppose a quello russo, a cavallo di XIX e XX secolo, nel cosiddetto Grande gioco per il dominio dell’Asia centrale. Alle motivazioni britanniche si aggiungono quelle della Francia, che, proprio negli ultimi anni, ha visto ridursi drasticamente la sua influenza sulle sue ex colonie africane, molte delle quali l’hanno sostituita con la Russia. Non è, quindi, un caso che Gran Bretagna e Francia siano state il nucleo iniziale dei “volenterosi” a sostegno di Kiev e contro Mosca.
Ma sono tutte le élites finanziarie europee occidentali, a differenza dei loro popoli, a essere contro una Russia forte e autonoma. L’imperialismo, infatti, come diceva l’economista britannico John A. Hobson, già all’inizio del XX secolo, nasce dall’accumulazione di capitale eccedente negli stati avanzati che hanno, quindi, necessità di investirlo all’estero.[vii] Da qui, sorge la necessità di controllare il mondo sul piano politico e militare. L’imperialismo di queste élites si è basato prima sugli imperialismi nazionali europei e poi, dopo la Seconda guerra mondiale, su una sorta di imperialismo collettivo, guidato dagli Usa. La dottrina imperialista di questi ultimi si è fondata per decenni, fino a Biden, su una teoria elaborata da Brzezinski nel 1997, che predicava, in modo coerente con Mackinder, di inglobare l’Europa orientale nella Nato allo scopo di indebolire la Russia.[viii] Tale strategia è stata disattesa dall’avvento di Trump, che non è meno imperialista di Biden, ma individua nella Cina l’avversario strategico degli Usa e, pertanto, cerca di dividere le due potenze, Russia e Cina, perché insieme sono un osso troppo duro da rodere. Inoltre, Trump ha detto molto chiaramente, ribadendo il concetto nel recente documento sulla Strategia di Sicurezza Nazionale, che l’Europa deve cominciare a provvedere da sola alla propria difesa. A questo punto, è del tutto comprensibile il disorientamento delle élites europee, che per decenni si sono affidate alla potenza statunitense, e che ora si affrettano affannosamente a potenziare la loro forza militare.
L’ultima spiegazione della ostilità contro la Russia risiede nel fatto che è una buona ragione per aumentare la spesa pubblica, attraverso le spese militari, che sono le uniche per le quali la Ue permetta di sforare i vincoli di bilancio. Si tratta di una sorta di keynesismo militare, cioè di sostegno statale al capitale in un periodo di perdurante stagnazione economica. Questo vale in particolare per le economie di Italia, Francia e Germania. Recentemente, infatti, l’Ocse ha pubblicato le previsioni dell’andamento del Pil dei paesi che ne fanno parte, mostrando come siano proprio le tre principali economie della zona euro a essere il fanalino di coda con incrementi annui asfittici, che nel 2026 si attestano a +0,3% per la Germania, a +0,5% per l’Italia e a +0,8% per la Francia.[ix] A far registrare la maggiore crescita del valore azionario nelle borse europee nell’ultimo anno sono state le imprese belliche, come la tedesca Rheinmetal (+135,7%) e l’italiana Leonardo (+79,33%)[x]. Inoltre, la guerra con le sue distruzioni di edifici, impianti e infrastrutture è una ghiotta occasione di investimento. Gli stati europei occidentali, grazie all’appoggio al governo di Zelensky, mirano a aggiudicarsi le commesse per la ricostruzione dell’Ucraina, a partire proprio dall’Italia, che non a caso ha ospitato a Roma la conferenza per la ripresa.
In conclusione, appare chiaro che l’imperialismo europeo ci sta portando su un piano inclinato verso la guerra contro uno Stato che, in realtà, non ci sta minacciando. Alla base della posizione dell’Europa ci sono degli interessi di una minoranza, quella del capitale finanziario, che vanno contro gli interessi più generali dei popoli europei alla pace e alla cooperazione economica. Ne è ulteriore conferma, secondo il Censis, il fatto che il 66% degli italiani ritiene che bisogna rinunciare a incrementare le Forze Armate, se, per farlo, si deve tagliare il welfare, e che ben il 44% ritiene che l’Italia non dovrebbe intervenire militarmente neanche se venisse attaccato un paese della Nato[xi]. Ad ogni modo, le élites europee che si oppongono alla Russia stanno giocando con il fuoco. Infatti, l’Europa occidentale continua a provocare, in modo del tutto velleitario, uno Stato che, oltre ad avere il secondo esercito del mondo, è anche una superpotenza nucleare con il maggior numero di testate nucleari al mondo. Senza contare che, per ritornare alle parole del generale Mandon, la Russia ha dimostrato di avere una soglia di tolleranza alle perdite umane ben superiore a quella dell’Europa occidentale.
[i] “Francia, Macron annuncia un servizio militare volontario”, Il Sole 24 ore, 28 novembre 2025.
[ii] Charles Moskos, “Vietnam: perché gli uomini combattono”, in F. Battistelli (a cura di), Marte e Mercurio. Sociologia dell’organizzazione militare, Franco Angeli, Milano 1990.
[iii] Le operazioni di peace-keeping, letteralmente di “mantenimento della pace”, sono missioni di interposizione tra opposte fazioni dopo lo stabilirsi del cessate il fuoco, mentre le operazioni di peace-enforcement sono di imposizione del cessate il fuoco.
[iv] Global Firepower. https://www.globalfirepower.com/country-military-strength-detail.php?country_id=russia
[v] “Guerra ibrida: ora la Nato valuta attacchi preventivi”, Il Sole 24 ore, 2 dicembre 2025.
[vi] Antonella Scott, “Putin: no alla guerra ma pronto se l’Europa vuole combattere”, Il Sole 24 ore, 23 dicembre 2025.
[vii] J. A. Hobson, L’imperialismo, Newton Compton, Roma 1996.
[viii] Z. Brzezinski, La grande scacchiera. Il mondo e la politica nell’era della supremazia americana, Longanesi 1998.
[ix] “Ocse: economia globale in frenata prima di una timida ripresa”, Il Sole 24 ore, 3 dicembre 2025.
[x] https://www.borsaitaliana.it/borsa/azioni/scheda/IT0003856405.html?lang=it
[xi] 59esimo Rapporto Censis.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 05:00:00 GMT
di Diego Angelo Bertozzi
Il National Security Strategy of the United States of America da una parte ribadisce come la dottrina Monroe (1823) sia considerata pietra miliare della diplomazia statunitense in quanto riadattabile in base alle condizioni storiche, dall'altra la si afferma in concomitanza di una postura nazionalista e isolazionista, poco incline all'irretimento in alleanze e impegni.
La dura realtà
In Europa il documento National Security Strategy of the United States of America, varato a novembre 2025 dall'amministrazione Trump, viene valutato soprattutto in funzione delle conseguenze dei prossimi rapporti con l'Unione Europa. Da una parte non può che essere così, visto che proprio a causa del supino rapporto con Washington, Bruxelles, pur trovandosi di fronte alla sconfitta sul campo ucraino, è ancora in preda ai giovanili furori bellici e alla narrazione fantasmagorica di una vittoria su Mosca. Ma in mezzo ai tanti deliri del documento trumpiano – molti dei quali rivolti più all'interno – l'Ue dovrebbe invece concentrarsi su altro e prendere coscienza di quanto vi è contenuto di razionale: la presa di coscienza che i rapporti a livello internazionale sono cambiati e che la comprensione della propria marginalità potrebbe essere seguita da una politica estera più dialogante – con Pechino in primis - che verbalmente bellicosa. A una classe dirigente non si chiede altro che una presa di consapevolezza del dato di realtà. Anche perché prima o poi quest'ultima si farà sentire tanto più dolorosamente quanto più è stata ignorata.
Due passi nella storia
Fatta questa premessa, conviene concentrarsi su di altro, vale a dire il richiamo diretto, formale e sostanziale da parte dell'amministrazione in carica alla Dottrina Monroe, con l'introduzione di un nuovo “corollario”. Nulla di nuovo per quanto riguarda una dichiarazione di politica estera pronunciata nel 1823 in riferimento all'America Latina[1] e arricchita, appunto, nei decenni e secoli successivi da nuovi pronunciamenti e interpretazioni. Il “corollario Trump” segue, quindi, a quelli legati ad altre presidenze; su tutti quello di T. Roosevelt del 1904 in base al quale gli Usa si riservavano il diritto di intervenire militarmente – e lo fecero in diverse occasioni – se necessario in tutto l'Emisfero occidentale. Anche allora l'attenzione – come oggi – era rivolta al Venezuela che, per questioni di debito, era stato vittima di un blocco navale da parte delle potenze europee creditrici. Nella sostanza la nazione più civilizzata e ordinata dell'emisfero (gli Usa) si riservava il diritto di intervento per ristabilire l'ordine, vale a dire quell'ordine ritenuto in armonia con i propri interessi. Un'iper-estesione della propria sovranità che con Bush jr sarebbe giunta a coprire l'intero globo grazie a una interpretazione planetaria della Dottrina.
Una specie di destino manifesto ben sottolineato da un editoriale del New York Times che nel 1923, in occasione del centenario, riportava: “Nessuno immagina che sarà mai abbandonata, anche se potrà essere di volta in volta reinterpretata. […] Nel 1823 gli Stati Uniti erano relativamente deboli, con un futuro problematico davanti. Ora questa nazione è alla guida del mondo, almeno potenzialmente, e tutti cercano il suo sostegno. Per l'America non è più necessario cercare alleanze per cautelarsi militarmente. Possiamo affermare e ribadire la Dottrina Monroe a nostro piacimento”[2].
Un bicentenario ritardato
Conviene soffermarsi su questa citazione per due aspetti: da una parte viene ribadito come la dottrina del 1823 sia considerata pietra miliare della diplomazia statunitense in quanto riadattabile in base alle condizioni storiche, dall'altra la si afferma in concomitanza di una postura nazionalista e isolazionista, poco incline all'irretimento in alleanze e impegni. Pur in ritardo di due anni, l'amministrazione Trump ne celebra il bicentenario sulla scia di questa interpretazione: il suo corollario è, infatti, l'abito adatto a una potenza militare che si trova di fronte a sfide serie alla sua storica egemonia e che, proprio per questo, deve agire libera da impegni prederterminati.
Arriviamo al testo di questi giorni nel quale il riferimento è esplicito: “Vogliamo garantire che l'emisfero occidentale rimanga ragionevolmente stabile e sufficientemente ben governato da prevenire e scoraggiare la migrazione di massa verso gli Stati Uniti; vogliamo un emisfero i cui governi cooperino con noi contro narcoterroristi, cartelli e altre organizzazioni criminali transnazionali; vogliamo un emisfero che rimanga libero da incursioni straniere ostili
o dalla proprietà di risorse chiave, e che supporti catene di approvvigionamento essenziali; e vogliamo garantire il nostro continuo accesso a posizioni strategiche chiave. In altre parole, affermeremo e applicheremo un Corollario Trump alla Dottrina Monroe”.
Ovviamente l'introduzione di un nuovo corollario non è più giustificata in primis dalla possibile interferenze di potenze straniere, ma dalla mancata collaborazione dei governi nelle principali emergenze individuate nel narcotraffico e nelle migrazioni di massa. Tuttavia, se proseguiamo nella lettura del documento, quasi a sottolineare come le due emergenze sopra indicate siano in gran parte rivolte a esigenze di consenso interno, vediamo che la tendenza interventista e di regime change, per quanto meno marcata, rimanga, consentendo un ampio ventaglio interpretativo del corollario stesso.
Gli obiettivi vengono riassunto sotto l'espressione “Arruale ed Espandere”, vale a dire stringere legami stretti con gli “amici consolidati” e allacciare rapporti con nuovi governi “rafforzando al contempo l'attrattiva della nostra nazione come partner economico e di sicurezza di riferimento dell'emisfero”. Tale rinnovata offensiva di soft power prevede ricompense e incoraggiamenti a “governi, partiti politici e movimenti della regione ampiamente allineati con i nostri principi e la nostra strategia” (senza comunque trascurare quelli guidati da movimenti non così affini). Certo è che il convitato di pietra in queste riflessioni è la Cina popolare, con la sua ramificata rete di collaborazione economica. La presa d'atto di tale ormai consolidata presenza rappresenta certo il riconoscimento di un processo per molti aspetti irreversibile, tuttavia leggiamo che “i termini delle nostre alleanze, e le condizioni in base alle quali forniamo qualsiasi tipo di aiuto, devono essere subordinati all'eliminazione dell'influenza esterna avversaria, dal controllo di installazioni militari, porti e infrastrutture chiave all'acquisto di asset strategici in senso lato”. A questo fine, mentre si spinge per compiere ogni sforzo per estromettere aziende straniere impegnate a costruire infrastrutture nella regione, si invita ogni funzionario a “essere aggiornato sul quadro completo delle influenze esterne dannose, esercitando al contempo pressione e offrendo incentivi ai paesi partner per proteggere il nostro emisfero”.
Concludendo possiamo il motto Arruolare ed Espandere non prevede esplicitamente alcun tipo di intervento militare diretto per sovvertire un governo non amico, tuttavia – ed è il caso del Venezuela socialista – la priorità data alla lotta contro i cartelli del narcotraffico, lascia ampio spazio intepretativo, tanto da non escludere proprio operazioni volte a cambio di regime.
[1] Il messaggio di James Monroe intendeva ribadire che il giovane ordinamento repubblicano statunitense avrebbe considerato un’offesa alla sua sicurezza e alla sua stabilità che l’Europa – leggasi la Santa Alleanza con a capo la Spagna - interferisse nell’emisfero occidentale o intendesse colonizzare in esso nuovi territori.
[2] Per l'articolo si rimanda a Mariano M., L'America nell' “Occidente”, Carocci, Roma, 2013, p. 169.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 05:00:00 GMT
In un'intervista al quotidiano Les Échos al rientro dalla sua quarta visita ufficiale in Cina, il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito Pechino che l'Unione Europea potrebbe essere costretta a imporre dazi sui prodotti cinesi se non verrà corretto il massiccio surplus commerciale del paese asiatico.
"Sto cercando di spiegare ai cinesi che il loro surplus commerciale è insostenibile, perché stanno distruggendo i propri clienti, in particolare importando molto poco da noi", ha dichiarato Macron. "Ho detto loro che, se non avessero reagito, noi europei saremmo stati costretti, nel prossimo futuro, a prendere misure energiche e a ritirarci dalla cooperazione, come gli Stati Uniti, con l'imposizione di dazi sui prodotti cinesi", ha sottolineato, precisando di averne parlato con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
Macron ha affermato che Pechino sta colpendo il cuore del modello industriale e di innovazione europeo, storicamente basato sulle macchine utensili e sulle automobili, mentre la risposta statunitense è "inappropriata" e aggrava i problemi dell'UE reindirizzando massicciamente i flussi cinesi verso il mercato europeo.
"Oggi siamo intrappolati nel mezzo, ed è una questione di vita o di morte per l'industria europea", ha continuato il presidente francese. "Siamo diventati il mercato dell'aggiustamento, e questo è il peggior scenario possibile".
Il presidente ha indicato che la chiave risiede nell'inversione dei flussi di investimenti diretti esteri. Ha notato che la Cina ha un PIL sei volte superiore a quello della Francia, ma gli investimenti francesi nel gigante asiatico sono quattro volte superiori a quelli delle aziende cinesi in Francia.
"I cinesi devono fare in Europa ciò che gli europei hanno fatto 25 anni fa investendo in Cina, il che ha comportato trasferimenti di tecnologia, ad esempio nel settore dell'energia nucleare civile o dell'aviazione", ha concluso Macron. "Le aziende cinesi devono venire in Europa, proprio come EDF e Airbus sono venute prima in Cina, e creare valore e opportunità per l'Europa".
Data articolo: Sun, 07 Dec 2025 20:00:00 GMT