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Carne da cannone per l’Occidente: l’Ucraina sacrificata all’ambizione europea

Il tentativo di Donald Trump di raggiungere un accordo rapido con Mosca sta mettendo a nudo una verità che in Europa si preferirebbe occultare: non è Washington a frenare la pace, bensì un’Unione Europea prigioniera della propria retorica bellicista e un regime di Kiev deciso a prolungare la guerra a ogni costo. Nonostante mesi di messaggi concilianti verso Zelensky e i partner europei, Trump si ritrova davanti un muro: Bruxelles rifiuta qualunque compromesso e Kiev ha ridotto il piano USA da 28 a 20 punti tagliando tutto ciò che non si adatta alla sua narrativa. Europa e Ucraina insistono che “non si cede territorio”, ma la realtà - come ammettono gli stessi funzionari europei - è che la guerra si trascina perché qualcuno non vuole la pace.

Lo dice apertamente il ministero degli Esteri russo: l’Europa “sta deliberatamente prolungando il conflitto”, convinta di poter infliggere alla Russia una “sconfitta strategica” usando gli ucraini come carne da cannone. Trump critica apertamente i suoi alleati: “Parlano tanto, ma non producono”, mentre l’Europa non riesce nemmeno a chiudere il prestito da 200 miliardi con asset russi congelati; gesto che rischierebbe peraltro enormi ritorsioni legali ed economiche. Intanto, per giustificare l'ennesima escalation, i governi europei alimentano la fantasia di un imminente attacco russo al continente. Putin liquida questa narrativa come “ridicola” e frutto di politici che “non stanno bene” o cercano solo fondi e potere.

L’analista Adriel Kasonta va oltre: parla di ucraini trasformati in “carne da cannone” da élite europee in declino economico e incapaci di ammettere il fallimento della loro postura anti-russa. E non manca chi, come il geopolitologo francese Carpentier de Gourdon, denuncia apertamente la strategia reale: smembrare la Russia e indebolirla in modo permanente. Una missione che l’Europa continua a inseguire anche quando diventa chiaro che non ha i mezzi per sostenerla. Mentre i BRICS costruiscono un ordine multipolare basato su cooperazione e sviluppo, l’Europa reagisce censurando le voci che osano dissentire, temendo media come RT e Sputnik che mostrano fatti scomodi per il racconto ufficiale.

Una paura che rivela un continente sempre più chiuso, sempre più autoritario e sempre più lontano dalla realtà. E mentre Bruxelles gioca alla guerra per procura, gli unici a pagare sono gli ucraini e gli stessi cittadini europei, schiacciati da crisi economica, inflazione e un establishment incapace di ammettere che la strada verso la pace non passa dalle armi, ma dal coraggio di abbandonare una strategia fallita.


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Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 06:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Trump mette Zelensky all’angolo: “È ora di votare in Ucraina”

Nella sua ultima intervista a Politico, Donald Trump ha lanciato un messaggio diretto al regime di Kiev: è tempo che l’Ucraina torni alle urne. Per il presidente USA, l’ambiguità sullo status legale di Zelensky non è più sostenibile e rischia di sabotare qualsiasi negoziato, soprattutto ora che la Russia mantiene l’iniziativa sul campo di battaglia. Un giudizio duro che si accompagna all’ennesima stoccata agli alleati europei, accusati di non avere una strategia e di fallire su quasi tutti i fronti.

Secondo Pavel Koshkin, dell’Istituto per Studi USA e Canada, la pressione di Trump sulle elezioni è la naturale prosecuzione del suo malcontento: Zelensky non avrebbe nemmeno rivisto il pacchetto di proposte USA per un accordo. Per Trump, chiarire il quadro politico ucraino è essenziale prima di parlare seriamente di compromessi.

Il politologo Malek Dudakov definisce queste parole una vera e propria “nota nera” recapitata al presidente ucraino. Nel mirino di Washington c’è infatti il rischio che l’Ucraina, rifiutando di votare, scivoli nell’autocrazia, danneggiando la sua immagine internazionale.

E non si esclude - avverte l’esperto - che gli USA possano perfino considerare la sostituzione di Zelensky se la situazione dovesse degenerare.


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Data articolo: Thu, 11 Dec 2025 06:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
"Storia e segreti della NATO". La miniserie de l'AntiDiplomatico con il Generale Fabio Mini

 

"Difende la pace o la minaccia?" Prosegue il nostro viaggio nella serie esclusiva "Storia e Segreti della NATO". Ideata, diretta e montata da Adriano Spadaro, la serie con il Generale Mini continua a fornire gli strumenti per rispondere a questa domanda cruciale, svelando i retroscena dell'organizzazione che più influenza le nostre vite, restando però sempre, volutamente, nell'ombra.

Dopo aver tradito le promesse di non espansione, la NATO cercò un nuovo ruolo. Nella quarta puntata di "Storia e Segreti della NATO", la ricostruzione del Generale Mini in questa nuova puntata mostra come l'Alleanza abbia testato la sua trasformazione da patto difensivo a strumento offensivo. 

Qui di seguito un piccolo estratto della puntata:



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La serie è accessibile direttamente nella sezione abbonati nella home del giornale.

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LA QUINTA PUNTATA SARA' DISPONIBILE LUNEDI' 15 DICEMBRE...

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 22:00:00 GMT
MondiSud
La Cina rilancia in America Latina: sovranità, cooperazione e un’alternativa all’egemonia USA


di Fabrizio Verde

La Repubblica Popolare Cinese ha rilasciato il suo terzo ‘Policy Paper on Latin America and the Caribbean’ - Documento programmatico della Cina sull'America Latina e i Caraibi, un documento strategico che riafferma con forza l’impegno di Pechino a consolidare e approfondire i legami con l’intera regione latinoamericana e caraibica. Si tratta del terzo atto di una visione di lungo respiro: il primo documento risale al novembre 2008, il secondo allo stesso mese dell’anno 2016. A distanza di quasi due decenni, la Cina ribadisce non solo continuità, ma anche un’evoluzione significativa del proprio approccio verso un’area geografica sempre più centrale negli equilibri del Sud globale e nello scacchiere internazionale.

Il nuovo documento arriva in un contesto globale segnato da trasformazioni epocali: crisi economiche persistenti, tensioni geopolitiche, un ordine multilaterale sotto pressione e una crescente affermazione dei Paesi del Sud globale. In questo scenario, la Cina si presenta come attore responsabile, promotore di un ordine multipolare e di una globalizzazione inclusiva, e partner affidabile per i Paesi latinoamericani. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: costruire insieme una “comunità con un futuro condiviso”, fondata su principi di uguaglianza, beneficio reciproco, apertura e benessere dei popoli. Un approccio completamente diverso e opposto agli Stati Uniti che hanno sempre ritenuto l’America Latina come il proprio ‘patio trasero’, il cortile di casa.

Il testo, ricco e articolato, traccia una visione olistica delle relazioni bilaterali, ben oltre la dimensione economica e commerciale. Se è vero che Pechino punta a espandere la cooperazione in settori strategici - dal commercio agli investimenti, dalle infrastrutture alle energie rinnovabili, dalla finanza all’agricoltura - è altrettanto rilevante l’attenzione dedicata alla governance globale, alla sicurezza, alla cooperazione scientifica e tecnologica, e soprattutto agli scambi tra popoli. La Cina si impegna a rispettare le sovranità nazionali, a sostenere percorsi di sviluppo autonomi e a contrastare ogni forma di egemonismo o politica di potenza.

Particolare enfasi viene posta sul rispetto del principio “una sola Cina”, considerato fondamento non negoziabile dei rapporti diplomatici. Al contempo, Pechino esprime apprezzamento per la posizione della maggioranza dei Paesi latinoamericani, che riconoscono Taiwan come parte integrante del territorio cinese. Questo pilastro politico costituisce la cornice entro cui si sviluppano tutte le altre forme di cooperazione.

Il documento dedica ampio spazio ai meccanismi istituzionali esistenti, come il Forum Cina-CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici), che Pechino intende rafforzare con nuove iniziative settoriali e una più solida architettura istituzionale, fino alla prospettiva, in futuro, di un vertice tra leader. Viene inoltre incoraggiata la cooperazione trilaterale, purché guidata e richiesta dai Paesi della regione, a dimostrazione che l’approccio cinese non è esclusivo né antagonistico rispetto ad altri attori internazionali.

Non meno significativa è la volontà di approfondire i legami “dal basso” e culturali: attraverso scambi accademici, collaborazioni tra think tank, promozione della lingua cinese, cooperazione sanitaria, partenariati nel campo dello sport e del cinema, e progetti di gemellaggio tra città. La Cina intende costruire un’amicizia duratura non solo tra governi, ma tra società, culture e giovani generazioni.

Infine, il documento riafferma l’adesione cinese alle grandi iniziative globali lanciate dal presidente Xi Jinping: lo Sviluppo Globale, la Sicurezza Globale, la Civiltà Globale e la Governance Globale. Attraverso queste “quattro G”, Pechino propone un’alternativa concreta all’unilateralismo, invitando l’America Latina a camminare insieme verso un futuro più equo, sostenibile e cooperativo. In un mondo sempre più frammentato, il terzo Documento programmatico della Cina sull'America Latina e i Caraibi appare dunque non solo come un piano d’azione bilaterale, ma come un manifesto di diplomazia Sud-Sud, ambizioso e ricco di promesse per il futuro delle due regioni.

Il contrasto tra l’approccio delineato nel nuovo documento programmatico cinese e la cosiddetta “nuova Dottrina Monroe” invocata da un’amministrazione Trump sempre più tracotante – e ripresa in varie forme da settori dell’establishment statunitense - è profondo non solo nelle forme, ma soprattutto nei fondamenti ideologici e strategici.

Mentre Pechino insiste sulla sovranità, sul non interventismo, sulla cooperazione multilaterale e sul rispetto delle scelte di sviluppo autonome dei Paesi latinoamericani, l’impostazione statunitense, specialmente nella sua versione trumpiana più assertiva, ha riaffermato una visione di “sfera di influenza” tradizionale, in cui Washington si riserva il ruolo di arbitro esclusivo degli equilibri politici, economici e di sicurezza dell’emisfero occidentale. La nuova Dottrina Monroe - con la sua retorica di contenimento verso attori esterni come Cina e Russia e il ricorso a sanzioni, pressioni diplomatiche, condizionalità e minacce militari come nei Caraibi - si inserisce in un’ottica egemonica, spesso denunciata come paternalistica o neocoloniale dagli stessi governi latinoamericani, o quantomeno quelli che conservano ancora sovranità come Messico e Venezuela.

Al contrario, la Cina presenta la propria offerta come aperta, inclusiva e non subordinata a condizioni politiche: non impone modelli di governo, non interferisce in questioni interne e lega la propria partnership allo sviluppo concreto, alle infrastrutture, al commercio e alla cooperazione tecnologica. Questo approccio risulta sulla stessa lunghezza d’onda di un’America Latina sempre più incline a riaffermare la propria autonomia strategica e a diversificare le proprie alleanze, in particolare in un contesto globale sempre più multipolare.

Non si tratta semplicemente di una competizione tra potenze, ma di due visioni del mondo: una gerarchica e unipolare, l’altra orizzontale e plurale. E in questa competizione di idee - oltre che di investimenti - la Cina punta a conquistare non solo i mercati. Quello cinese è un percorso a lungo termine volto a tramutare in realtà quel concetto di ‘comunità dal futuro condiviso’ lanciato dal presidente Xi Jinping.

 

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 17:23:00 GMT
IN PRIMO PIANO
"Siamo un paese sovrano": il muro di Sheinbaum contro le ambizioni militari di Trump

Nuova tensione tra Washington e i suoi vicini meridionali. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dichiarato senza mezzi termini di essere pronto a ordinare azioni militari dirette contro i cartelli della droga in Messico e Colombia, paragonandole ai recenti bombardamenti condotti dalla Marina USA contro imbarcazioni nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico orientale. Queste operazioni, secondo fonti, avrebbero già causato oltre 80 vittime e sono state bollate dal presidente colombiano Gustavo Petro come "esecuzioni extragiudiziali".

Intervistato dalla testata Politico, Trump ha risposto affermativamente alla domanda se considererebbe azioni simili nei territori nazionali di Messico e Colombia, paesi definiti "ancora più responsabili" nel traffico di fentanyl verso gli Stati Uniti. "Sì. Io lo farei. Certo che lo farei", ha dichiarato il presidente dalla Casa Bianca, pur evitando di approfondire i dettagli di quelle che sarebbero, in assenza di consenso dei governi locali, palesi e illegali violazioni della sovranità nazionale e del diritto internazionale.

La risposta da Città del Messico non si è fatta attendere. La presidente Claudia Sheinbaum, nel corso della sua consueta conferenza stampa, ha respinto con fermezza qualsiasi ipotesi del genere. "No, questo non avverrà perché non è necessario, in primo luogo. In secondo luogo, perché siamo un paese sovrano e non accetteremmo mai un'intervento straniero; e terzo, perché abbiamo già un'intesa con gli Stati Uniti in materia di sicurezza", ha dichiarato la leader messicana, adottando un tono pragmatico ma irremovibile.

Sheinbaum ha scelto di non innalzare ulteriormente i toni della polemica, sottolineando di non dover rispondere a ogni dichiarazione del presidente Trump e di cercare sempre la miglior relazione possibile tra i due paesi. Tuttavia, il messaggio di fondo è stato chiaro: la sovranità del Messico è una linea rossa invalicabile. La replica della presidente evidenzia la profonda divergenza tra la retorica bellicista di Washington, che estende la cosiddetta "Operazione Lancia del Sud" ben oltre la lotta al narcotraffico secondo le critiche di molti osservatori, e la difesa del principio di non ingerenza da parte delle nazioni latinoamericane.

Lo scenario che si delinea supera infatti la questione del controllo del traffico di droga. Le azioni statunitensi nelle acque internazionali, accompagnate da accuse senza prove al governo venezuelano di Nicolás Maduro e da ingenti dispiegamenti militari, sono viste da molti nella regione come una pericolosa escalation di stampo unilaterale e neocoloniale. Le condanne giunte da Russia, Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani e diversi governi regionali, unite allo scetticismo sull'effettiva proporzionalità e legalità di tali attacchi, pongono Trump di fronte a una forte resistenza diplomatica.

Mentre la Casa Bianca persegue una strategia di forza, descritta dai critici come una politica del "fatto compiuto" militare, leader come Sheinbaum e Petro stanno ergendo un argine basato sul diritto internazionale e sulla difesa della sovranità nazionale. Il contrasto non potrebbe essere più netto: da una parte la minaccia di interventi diretti, dall'altra l'affermazione di una partnership paritaria e rispettosa dei confini. Una partita che si gioca non solo sulla sicurezza, ma sulla stessa definizione delle relazioni interamericane nel XXI secolo.

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 16:25:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Oslo: proteste contro il premio Nobel alla guerra

Oslo si prepara a consegnare il Premio Nobel per la Pace 2025 a una figura che incarna tutto tranne che i concetti di pace e pacifismo: María Corina Machado, paladina dell’interventismo statunitense e sostenitrice storica di rovesciamenti violenti del potere in Venezuela. Una scelta che stride in modo lampante con il tanto proclamato spirito spirito del fondatore Alfred Nobel e che si trasforma, in questo delicatissimo momento geopolitico, in un’arma di legittimazione per una strategia di cambio di regime. Il Venezuela, infatti, vive sotto la costante minaccia di un’escalation militare, con navi da guerra USA che pattugliano aggressivamente il Mar dei Caraibi in operazioni violente e illegali.

Mentre la cerimonia ufficiale è avvolta da un’aura di teatralità e incertezza - con la stessa Machado che annuncia a singhiozzo la sua presenza dopo aver cancellato conferenze stampa - le strade di Oslo raccontano un’altra storia. Migliaia di cittadini norvegesi sono scesi in piazza per respingere quello che definiscono un “Nobel sanguinario”. Le loro voci si uniscono a un coro internazionale di dissenso, che include il Movimento per la Pace norvegese, il quale accusa il comitato di aver tradito i principi fondativi del premio: de-militarizzazione, conferenze di pace e cooperazione.

Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha colto l’occasione per ringraziare questa mobilitazione globale, sottolineando come anche negli Stati Uniti oltre 65 città abbiano visto proteste sotto lo slogan “No war Venezuela”. Un dato, secondo Maduro, che riflette il rifiuto dell’opinione pubblica mondiale verso le minacce militari e le guerre per le risorse.

La traiettoria di Machado spiega bene le ragioni di tale indignazione. Proveniente dall’élite economica venezuelana, fu una figura pubblica a sostegno del golpe fallito del 2002 contro il governo democraticamente eletto di Hugo Chávez. Da allora, la sua agenda politica non ha mai abbandonato la retorica della destabilizzazione, arrivando a dedicare idealmente questo Nobel al presidente USA Donald Trump e ad auspicare apertamente invasioni militari e sanzioni asfissianti contro la sua stessa nazione. Critici e analisti sottolineano come il suo obiettivo non sia una transizione democratica, ma un cambio di regime imposto dall’esterno, con la visione esplicita di fare del Venezuela una testa di ponte per smantellare i governi progressisti in tutta l’America Latina.

Il summit di Oslo, che raduna altre figure neoliberiste di destra come i presidenti di Argentina e Panama, Javier Milei e José Raúl Mulino, insieme all’altro oppositore venezuelano Edmundo González, assume così le sembianze di un consesso politico anti-Bolivariano. Un palcoscenico perfetto per trasformare un premio che dovrebbe onorare i costruttori di pace in un trofeo per i fautori di guerra e sostenitori dell’imperialismo. In gioco non c’è solo la ormai residua credibilità di un’istituzione centenaria, ma soprattutto la sovranità di un paese le cui immense riserve petrolifere sono un bottino troppo allettante per gli interessi che Machado dichiara di voler servire. 

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 15:21:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Musk chiede lo scioglimento della Commissione Europea

Elon Musk ha sollecitato lo scioglimento della Commissione Europea. “La Commissione Europea dovrebbe essere sciolta a favore di un organo eletto e il presidente dell'Unione Europea dovrebbe essere eletto direttamente”, ha scritto l'oligarca statunitense su X.

Il sistema attuale è governato dalla burocrazia, non dalla democrazia”, ha aggiunto. I suoi commenti sono stati giunti in risposta a un altro post sul social network che affermava che “il vero cancro che corrode l'UE dall'interno è la Commissione Europea, che dovrebbe essere sciolta e sostituita da un organismo democratico".

Per vostra informazione, la Commissione Europea è composta da 32.000 funzionari retribuiti e la loro unica funzione è quella di creare leggi con cui nessuno è d'accordo”, ha affermato l'utente della piattaforma, ottenendo il sostegno di Musk. 

Le dichiarazioni dell'oligarca proprietario del social network X si inseriscono nel contesto della più recente multa multimilionaria che la Commissione Europea ha inflitto a X, per aver violato la legge sui servizi digitali del suo quadro normativo. A seguito di questa decisione, Musk ha ribadito le sue critiche all'ente, sottolineando che “l'Unione Europea dovrebbe essere abolita".

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 14:37:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Un soldato britannico muore in Ucraina: Londra parla di "tragico incidente"

Un nuovo caduto delle forze armate britanniche in Ucraina. Il Ministero della Difesa del Regno Unito ha confermato la morte di un proprio militare, avvenuta martedì in circostanze definite "un tragico incidente". L'uomo, secondo il comunicato ufficiale, è stato ferito mentre osservava le forze ucraniane testare una nuova capacità difensiva in una zona lontana dal fronte.

La versione di Londra cerca di circoscrivere l'accaduto a una fatalità, escludendo esplicitamente il fuoco nemico. Tuttavia, la notizia della morte di Alan Robert Williams riaccende i riflettori sulla reale natura, estensione e rischi della presenza militare britannica in Ucraina, un tema da sempre trattato con estrema opacità dalle autorità di Londra. Il premier Keir Starmer ha espresso le condoglianze alla famiglia, affermando che "il suo servizio e sacrificio non saranno mai dimenticati", ma senza aggiungere dettagli.

Questo episodio, presentato come il primo caso ufficiale di un caduto in uniforme britannica, solleva interrogativi più ampi. Non è infatti il primo cittadino del Regno Unito a perdere la vita nel conflitto. Stime giornalistiche parlano di almeno 40 morti tra i volontari e i mercenari dal 2022. Le loro storie spesso sfumano in narrazioni controverse e inquietanti.

Come nel caso di Jordan Chadwick, ucciso nel giugno 2023 in circostanze mai chiarite, probabilmente per mano dei suoi stessi colleghi. O come Alan Robert Williams, morto nell'agosto scorso durante un attacco di droni russi, il cui corpo sarebbe stato abbandonato dalla sua unità durante la ritirata. La madre di un altro mercenario, ucciso dai commilitoni, ha pubblicamente chiesto verità e giustizia alle autorità.

Mosca, dal canto suo, ha sempre avvertito che considera qualsiasi militare straniero in territorio ucraniano un bersaglio legittimo. Le forze russe affermano di aver eliminato sistematicamente mercenari e di averne catturati e processati diversi per crimini. Il sostegno occidentale, con l'addestramento di decine di migliaia di soldati ucraini proprio tramite programmi come l'operazione 'Interflex' guidata dal Regno Unito, è visto dal Cremlino come una partecipazione diretta e ostile al conflitto.

La morte di questo soldato, quindi, va ben oltre la fredda cronaca di un "incidente". È il sintomo di una guerra ibrida e opaca, dove il confine tra personale in servizio attivo, consiglieri, volontari e mercenari si fa volutamente labile. Mentre Londra continua a ribadire il suo sostegno al regime neonazista di Kiev, ogni perdita riporta alla luce i costi umani reali, le zone d'ombra operative e i rischi di un sempre più profondo coinvolgimento nella crisi ucraina. 

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 14:02:00 GMT
IN PRIMO PIANO
L'ONU respinge fermamente qualsiasi modifica al confine di Gaza

 

Martedì le Nazioni Unite hanno espresso il loro rifiuto a qualsiasi modifica ai confini tra la Striscia di Gaza e i territori occupati da Israele.

Le Nazioni Unite (ONU) hanno rilasciato questa dichiarazione dopo che il capo dell'esercito del regime israeliano ha dichiarato che la "linea gialla", il punto oltre il quale le truppe israeliane si sono ritirate all'interno della Striscia di Gaza come parte dell'accordo di cessate il fuoco, "è un nuovo confine".

"Penso che ciò vada contro lo spirito e la lettera del piano di pace di (il presidente degli Stati Uniti Donald) Trump, e ci opponiamo fermamente a qualsiasi modifica ai confini di Gaza e Israele", ha dichiarato il portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite Stéphane Dujarric in una conferenza stampa.

A questo proposito, Dujarric ha sottolineato che l'organizzazione multilaterale continuerà a considerare la Striscia di Gaza come il suo intero territorio originario e non solo la parte situata all'interno della "linea gialla".

Israele continua a occupare più del 50% del territorio di Gaza, in base all'accordo di cessate il fuoco, e la linea gialla separa le aree di dispiegamento militare israeliano dalle aree in cui i palestinesi possono muoversi. 

Il capo dell'esercito del regime israeliano, il generale Eyal Zamir, ha dichiarato domenica che "la linea gialla è un nuovo confine, un fronte avanzato, sia offensivo che difensivo per le nostre comunità".

Approfittando del vuoto creato dalla mancanza di coordinamento nelle posizioni internazionali e dall'assenza di una pressione efficace da parte delle organizzazioni mondiali, il regime israeliano cerca di formalizzare il suo controllo indiretto su Gaza; un controllo che, insieme al mantenimento del blocco e all'ostruzione della ricostruzione delle infrastrutture, porta in ultima analisi a una separazione permanente.

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 12:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Politico: Il sostegno a Trump divide l'estrema destra europea

 

di Politico

Questa settimana, il presidente del National Rally Jordan Bardella ha rilasciato interviste ai media britannici in cui si è dichiarato ampiamente d'accordo con il programma anti-migranti di Trump, ma si è opposto all'idea di un ruolo del presidente degli Stati Uniti nella guida della politica francese.

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 12:00:00 GMT
OP-ED
Caitlin Johnstone: Il New York Times vuole che l'esercito americano sia preparato per la guerra con la Cina

 

Caitlin Johnstone*

Proprio mentre gli Stati Uniti raggiungono il loro primo bilancio militare annuale ufficiale di mille miliardi di dollari, il comitato editoriale del New York Times ha pubblicato un articolo in cui sostiene che gli Stati Uniti dovranno aumentare i finanziamenti militari per prepararsi a una guerra di grandi dimensioni con la Cina.

L'articolo è intitolato " Overmatched: Why the US Military Must Reinvent Itself " e, per essere chiari, si tratta di un editoriale, non di un singolo articolo, il che significa che rappresenta la posizione del giornale stesso e non solo quella degli autori.

Ciò non sorprenderà nessuno che sappia che il New York Times ha sostenuto ogni guerra americana nel corso della sua intera storia, perché il New York Times è un'agenzia di propaganda di guerra mascherata da organo di stampa. Ma è sorprendente quanto siano sfacciati in questo caso particolare.

L'articolo si apre con una grafica che un commentatore ha descritto come "mussolinianea" per via della sua estetica palesemente fascista, accompagnata da tre righe di testo in maiuscolo che recitano quanto segue:

“L'ESERCITO AMERICANO HA DIFESSO IL MONDO LIBERO PER 80 ANNI.

IL NOSTRO DOMINIO STA Svanendo.

I RIVALI LO SANNO E STANNO COSTRUENDO PER SCONFIGGERCI."

La narrazione secondo cui la macchina bellica statunitense avrebbe "difeso il mondo libero" durante il suo periodo di dominio globale postbellico è di per sé una folle propaganda imperialista. Washington ha abusato, tiranneggiato e affamato il mondo a livelli senza pari in quel periodo, guidando al contempo il furto di centinaia di migliaia di miliardi di dollari dal Sud del mondo attraverso l'estrazione imperialista. L'impero statunitense non ha difeso alcun "mondo libero", ma ne ha attivamente ostacolato l'emergere.

Il testo effettivo dell'articolo si apre con un'altra bufala, la cui prima frase recita: "Il presidente cinese Xi Jinping ha ordinato alle sue forze armate di essere pronte a conquistare Taiwan entro il 2027".

Questa è pura e semplice propaganda di stato. La redazione del New York Times sta qui ripetendo acriticamente un'affermazione completamente infondata che il cartello dell'intelligence statunitense sostiene da anni , e che Xi Jinping nega esplicitamente . Sebbene la posizione ufficiale di Pechino sia che Taiwan alla fine verrà riunificata alla Cina continentale, non è mai stato presentato al pubblico uno straccio di prova per la scadenza del 2027. Si tratta di un'affermazione del governo statunitense riportata come un fatto verificato dal "giornale ufficiale" della nazione.

E da lì in poi la situazione non migliora. Il Times cita una valutazione del Pentagono secondo cui gli Stati Uniti perderebbero una guerra aperta con la Cina per Taiwan come prova di "un declino decennale nella capacità dell'America di vincere una guerra lunga con una grande potenza", sostenendo che questo è un problema grave perché "un'America forte è stata fondamentale per un mondo in cui libertà e prosperità sono molto più comuni che in quasi qualsiasi altro momento della storia umana".

"Questo è il primo di una serie di editoriali che esaminano cosa è andato storto nell'esercito statunitense - a livello tecnologico, burocratico, culturale, politico e strategico - e come possiamo creare una forza rilevante ed efficace in grado di scoraggiare le guerre quando possibile e vincerle quando necessario", ci dice il New York Times.

Il Times sostiene che gli Stati Uniti devono riorganizzare il proprio esercito per sconfiggere la Cina in guerra, o per vincere una guerra con la Russia se attaccano un membro della NATO, affermando che "le prove suggeriscono che Mosca potrebbe già stare testando dei metodi per farlo, tra cui il taglio dei cavi sottomarini da cui dipendono le forze della NATO".

La “prova” citata dal Times a sostegno di questa affermazione è un collegamento ipertestuale a un articolo di gennaio intitolato “La Norvegia sequestra una nave con equipaggio russo sospettata di aver tagliato un cavo sottomarino”, ignorando completamente il fatto che la Norvegia ha rilasciato la nave poco dopo, quando non è riuscita a trovare alcuna prova che la collegasse all’evento, e ignorando completamente i rapporti secondo cui i servizi segreti statunitensi ed europei avevano concluso che il danno al cavo sottomarino era stato causato da un incidente e non da un sabotaggio.

E poi, naturalmente, arriva la richiesta di maggiori finanziamenti militari.

"Nel breve termine, la trasformazione dell'esercito americano potrebbe richiedere spese aggiuntive, principalmente per ricostruire la nostra base industriale. In termini di economia, la spesa per la difesa oggi – circa il 3,4% del PIL – rimane vicina al livello più basso degli ultimi 80 anni, anche dopo i recenti aumenti di Trump", scrive il Times, aggiungendo che anche gli alleati degli Stati Uniti dovrebbero essere spinti ad aumentare la spesa per la macchina bellica.

"Un mondo più sicuro richiederà quasi certamente un maggiore impegno militare da parte di alleati come Canada, Giappone ed Europa, che da tempo fanno affidamento sui contribuenti americani per finanziare la propria protezione", scrivono gli autori, affermando che "la capacità industriale della Cina può essere soddisfatta solo mettendo in comune le risorse di alleati e partner in tutto il mondo per bilanciare e contenere la crescente influenza di Pechino".

Naturalmente, l'idea che forse gli Stati Uniti dovrebbero evitare di combattere una guerra calda con la Cina proprio al largo delle coste del proprio continente non viene mai presa in considerazione. L'idea che sia folle sostenere guerre su vasta scala con grandi potenze dotate di armi nucleari per garantire il dominio planetario degli Stati Uniti non viene mai sollevata. È semplicemente dato per scontato che investire ricchezza e risorse nei preparativi per una guerra mondiale dell'era nucleare sia l'unica opzione normale sul tavolo.

Ma questo è il New York Times. È gestito dalla stessa famiglia dalla fine del 1800 e da allora promuove gli interessi informativi di ricchi e potenti imperialisti. È un giornale osceno e militarista che in qualche modo si è guadagnato una rispettabilità immeritata, e merita di essere trattato come tale. Prima cesserà di esistere, meglio sarà.

_______________

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 11:30:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Shoigu: Le nuove proposte START della Russia possono fermare il processo distruttivo nel campo della sicurezza

 

Le proposte di Mosca sul Nuovo Trattato di riduzione delle armi strategiche (Nuovo START) possono arrestare il processo che sta portando alla distruzione dell'attuale sistema di sicurezza, ha affermato il segretario del Consiglio di sicurezza russo Sergey Shoigu.

"Mancano meno di 100 giorni alla scadenza del New START. Le nostre proposte, avanzate dal presidente, restano sul tavolo e aspettiamo una risposta", ha spiegato durante una conferenza stampa.

"Penso che queste proposte potrebbero consentire di fermare l'attuale processo distruttivo", ha sottolineato Shoigu.

Secondo il minsitro russo, le proposte del presidente Vladimir Putin volte a creare un sistema di sicurezza equo e indivisibile sono particolarmente importanti ora che "l'architettura di sicurezza mondiale non solo si sta gradualmente degradando, ma sta addirittura crollando". A questo proposito, ha sottolineato il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio.

"La sicurezza di una parte non dovrebbe essere garantita a scapito della sicurezza di un'altra, o aumentando l'insicurezza per gli altri", ha affermato Shoigu.
Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 11:30:00 GMT
WORLD AFFAIRS
I consigli di Trump all'Europa per evitare di essere "distrutta"

 

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha offerto  "consigli gratuiti" all'Europa su come evitare di essere distrutta. 

"L'Europa... allora farebbero meglio a fare qualcosa. [...] Vi do un consiglio gratuito: farebbero meglio a stare attenti, perché l'immigrazione e l'energia distruggeranno l'Europa", ha avvertito martedì durante un discorso a Mount Pocono, Pennsylvania (USA).

Ha inoltre affermato che, a suo parere, stanno accadendo "molte cose brutte" al Vecchio Continente, poiché "le sue politiche sull'immigrazione sono così pessime che stanno distruggendo la nostra bella Europa". "Amo l'Europa, ma la stanno distruggendo", ha ribadito.

"Cesseremo di essere nazioni forti"

In precedenza, Trump aveva dichiarato in un'intervista a Politico che "la maggior parte delle nazioni europee è in declino " e aveva affermato che alcuni leader della regione "dovrebbero aver paura di ciò che stanno facendo ai loro paesi".

"Cesseremo di essere nazioni forti", ha continuato, prevedendo che i paesi europei "cambieranno la loro ideologia, ovviamente, perché le persone che arriveranno avranno un'ideologia completamente diversa", e sottolineando che "questo li indebolirà notevolmente". "Saranno molto più deboli e molto diversi ", ha ribadito.

L'occupante della Casa Bianca ha osservato che "l'Europa vuole essere politicamente corretta, e questo la indebolisce". "Penso che siano deboli, ma penso anche che vogliano essere politicamente corretti. Non sanno cosa fare.  L'Europa non sa cosa fare. Non sanno nemmeno cosa fare sul commercio . Voglio dire, vedo molto della situazione commerciale lì. È un po' pericoloso", ha concluso.

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 11:30:00 GMT
Lavoro e Lotte sociali
La nozione di disoccupazione

 

di Federico Giusti

Nella classica nozione economica per disoccupazione intendiamo la mancanza temporanea o permanente di un’occupazione retribuita, dovuta o a alla volontà del lavoratore di non accettare offerte occupazionali (o di non cercarsele) oppure per cause indipendenti dalla sua volontà.
 
La nostra premessa potrebbe essere suscettibile di critiche ma vogliamo partire da una nozione generica per arrivare a due punti fermi ossia che la mancanza di lavoro non è proprio un fenomeno naturale quanto invece un prodotto determinato dall’accumulazione capitalistica. Se vogliamo riprendere l'analisi di Marx possiamo parlare di quanto sia indispensabile l' “esercito industriale di riserva”.
Immaginiamoci l'avvento prossimo della Intelligenza artificiale ipotizzando gli effetti possibili sulla occupazione, la tecnologia ha abituato la generazione dei sessantenni a cambiamenti bruschi, ad esempio chi ricorda il fattorino sugli autobus o, tra alcuni anni, avrà memoria della cassiera negli ipermercati?
 
Siamo del tutto impreparati all'avvento della intelligenza artificiale, timidamente i sindacati iniziano un approccio parziale e tardivo teso solo a stabilire un insieme di regole che potrebbero, una volta definite, essere già superate. E nel mezzo di cambiamenti epocali la classe lavoratrice appare del tutto ignara dei processi in atto, ogni rivoluzione industriale distrugge posti di lavoro per crearne di nuovi, ancora da capire se questa regola valida per il passato sia ancora adatta a interpretare il futuro.
 
La innovazione tecnologica determina la inutilità di parte della forza lavoro che risulterà eccedente alla valorizzazione del capitale e per questo sacrificabile. Dovrebbe essere poi lo Stato a prevedere in anticipo questi esuberi e spingere per la riqualificazione del personale in esubero indirizzandolo verso altri ambiti produttivi.
 
L'idea che il capitalismo garantisca la piena occupazione appartiene al libro dei sogni del libero mercato come anche l'idea che dalla ricchezza estrema di pochi possa nascere qualche beneficio per i tanti esclusi, per non parlare poi della mera illusione che gli investimenti derivanti dai processi tecnologici innovativi siano sufficienti a riassorbire automaticamente i disoccupati provocati magari dai cambiamenti nel frattempo intervenuti.
 
Per raggiungere la piena occupazione, nel secolo scorso, abbiamo pensato alla riduzione dell'orario di lavoro che avrebbe permesso anche una qualità della vita decisamente migliore (tempo libero a disposizione ad esempio) ma questa sorta di automatismo nella società capitalistica non funziona.
E in ogni caso si renderebbe indispensabile l'intervento attivo dello Stato , la cui presenza oggi viene pensata solo a sostegno dei datori e dei padroni per sostituirsi loro nel compito di accrescere i salari  e rinunciando in sostanza alle entrate fiscali senza le quali, nel tempo, avremo lo sgretolamento dello stato sociale
 
Il vecchio riformismo di stampo liberale che dette vita allo Stato sociale è un lontano ricordo, lo stesso linguaggio utilizzato per il lavoro ha sostituito i diritti sociali in doveri, si soddisfano i bisogni solo se compatibili con le esigenze di bilancio. Perfino la contrattazione è stata in buona parte soppiantata da nuovi istituti contrattuali quali il confronto e la informazione a sancire la erosione del potere contrattuale.  Sono profondamente cambiati i linguaggi ma soprattutto i rapporti di forza per cui le nozioni di riferimento sono quelle a tutela degli interessi dei dominanti.
 
Parlare di morosità incolpevole per quanti, licenziati o con riduzioni salariali, sono impossibilitati a pagare un mutuo o un canone locativo, si scontra con il principio  della sacra proprietà e del mercato, allo stesso tempo il disoccupato involontario appare come sinonimo di ozio.
 
Davanti alle proteste di lavoratori costretti ad orari settimanali di oltre 50 ore, senza maggiorazioni festive e notturne, senza lo stacco delle 11 ore tra un turno e l'altro, la risposta è stata sibillina: non avete voglia di lavorare, poi lamentatevi se state a casa senza un euro.
 
Da qui a considerare la classe lavoratrice approfittatrice e oziosa il passo è breve come giudicare pretestuose semplici rivendicazioni a tutela dei diritti che un tempo definivamo inalienabili.
Riserviamo maggiore attenzione ai linguaggi, alle espressioni diffuse, ad esempio il termine  disoccupato (senza lavoro) , venne due secoli fa sostituito con il termine inglese unemployed  ossia: “inattivo” , “temporaneamente privo di lavoro”..
 
Ma non è dato sapere quanto sia lunga questa indisponibilità, se solo temporanea, da qui nascono i luoghi comuni con i quali affrontiamo la impossibilità di ricollocare varie tipologie di uomini e donne per i quali la condizione di disoccupazione appare senza via di uscita.
 
Se nel corso del tempo la disoccupazione si trasforma in problema sociale, negli ultimi 30 anni è sopraggiunta la colpevolizzazione dei senza lavoro, dei senza casa, come se la indisponibilità a farsi sfruttare o la indigenza determinata dallo stato di disoccupazione fossero una condizione deprecabile da parassiti sociali. E perfino in ambito sanitario, grazie ai continui tagli della spesa per la salute, abbiamo incontrato situazioni disdicevoli come la priorità di cura riconosciuta a dei giovani, a quanti non avevano avuto nel corso della loro esistenza travagliate dipendenze.
 
Da troppo tempo lasciamo correre, evitiamo di indignarci senza riservare la dovuta attenzione a atteggiamenti sociali, culturali e politici che nel tempo hanno alimentato vulgate e approcci assai pericolosi.
Non parliamo di sdegno etico e morale ma di quella antica propensione a comprendere la realtà avendo gli strumenti per analizzarla prima. Esigere la dovuta attenzione verso le vecchie forme di sfruttamento ottocentesco che si ripresentano anche in alcuni distretti industriali del nostro territorio, o pretendere di studiare gli effetti della Intelligenza artificiale sul lavoro e sull'occupazione  dovrebbero essere parte di quel giusto approccio alla realtà. che dovrebbe caratterizzare l'operato di sindacati e realtà politiche conflittuali 
 
Negli anni 2000,studiosi e intellettuali e pochi giornalisti iniziarono a discutere dell'arricchimento negli Usa da parte di una minoranza esigua della popolazione che andava accumulando enormi ricchezze. Dopo alcuni anni sono nati movimenti che si definivano il 99 per cento della popolazione contro gli abusi dell'1 per cento.
Eppure già da 20 anni negli Usa era iniziata l'ascesa dei redditi di pochissimi mentre lo spettro della disoccupazione  e della miseria si affacciava alle porte della classe lavoratrice e di quella media specie dopo le crisi speculative dei mutui.
 
Con anni di ritardo sono nate ricerche e studi sulle disuguaglianze di reddito, sulla iniqua distribuzione dello stesso. In Italia siamo arrivati a porci qualche domanda solo dopo avere compreso che gli stipendi dei managers avevano raggiunto livelli sconosciuti e la forbice salariale rispetto ai quadri e agli operai si era allargata a dismisura.
A forza di pensare che gli sgravi fiscali e le detassazioni siano il solo strumento per alzare i salari, sono stati avvolti nell'oblio gli studi sulle dinamiche salariali e certi temi, divenuti nel frattempo scomodo, hanno permesso la egemonia culturale e politica dei cantori della nuova era, quella dello sfruttamento selvaggio unito alla colpevolizzazione della miseria e alla criminalizzazione degli oppositori sociali e politici.
 
A forza di giocare con la tecnologia si pensa di poterla governare quando invece i processi decisionali sono nelle mani di pochi mentre noi brancoliamo nel buio. Vale per la intelligenza artificiale, vale per molto altro.
 
La scommessa non è quella di subire i processi ma di prevenirli in largo anticipo evitando la cultura della riduzione del danno, sempre che si voglia alzare la testa almeno per le generazioni future.
Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 11:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Financial Times: Trump concede a Kiev solo “alcuni giorni”

 

I negoziatori dell’amministrazione statunitense hanno concesso al presidente ucraino Volodymyr Zelensky un lasso di tempo di “alcuni giorni” per rispondere a una proposta di pace che richiederebbe a Kiev di accettare perdite territoriali a favore della Russia, in cambio di garanzie di sicurezza non ancora specificate. Lo riporta il Financial Times, citando funzionari al corrente delle discussioni.

Secondo una fonte del quotidiano finanziario, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump spera di raggiungere un accordo definitivo entro il prossimo Natale. Zelensky, durante l’incontro con gli inviati americani, avrebbe richiesto tempo necessario per consultarsi con i partner europei che sostengono Kiev.

Questo sviluppo segue le dichiarazioni di Trump dello scorso mese, in cui auspicava un accordo già per il Giorno del Ringraziamento, per poi precisare in seguito ai giornalisti di non avere, in realtà, una scadenza rigida.

Il piano di pace presentato dall’amministrazione statunitense a novembre, stando alle informazioni circolate, chiederebbe all’Ucraina di ritirare le proprie truppe da porzioni del Donbass attualmente sotto il suo controllo, una delle condizioni chiave di Mosca per un ampio cessate il fuoco.

 

La posizione di Kiev e la pressione sul campo

Zelensky, durante una visita a Londra lunedì, ha riconosciuto pubblicamente la pressione degli Stati Uniti verso “un compromesso”, ma ha tenuto a chiarire che non è stato raggiunto alcun accordo sul tema territoriale. Ha ribadito con fermezza la posizione ucraina: “Non siamo disposti a cedere alcun territorio senza combattere”.

La trattativa si svolge sullo sfondo di un contesto militare complesso per Kiev. Le truppe russe hanno registrato progressi costanti su diversi settori del fronte orientale. I comandanti ucraini, dal canto loro, continuano a segnalare una cronica inferiorità numerica e significative difficoltà nel sostituire le perdite in vite umane con nuove reclute.

All’inizio di dicembre, il Ministero della Difesa russo ha annunciato la conquista di Krasnoarmeysk (Pokrovsk), città nel Donbass che il Presidente Vladimir Putin ha definito un importante “caposaldo” per future offensive.

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 08:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
BabiĹĄ giura come nuovo primo ministro ceco. Cosa succederĂ  agli aiuti militari all'Ucraina?


Dopo aver basato la sua campagna elettorale sulla promessa di ridurre gli aiuti militari all’Ucraina e di concentrarsi sulle questioni interne, Andrej Babiš ha prestato giuramento come nuovo Primo Ministro della Repubblica Ceca.

Il partito ANO di Babiš ha vinto le elezioni parlamentari di ottobre, senza ottenere la maggioranza assoluta, e ha formato una coalizione con i partiti SPD e AUTO. Babis ha ricoperto la carica di Primo Ministro tra il 2017 e il 2021 e, precedentemente, quella di Ministro delle Finanze e Vice Primo Ministro.

Il nuovo premier ha ringraziato i suoi sostenitori per la fiducia riposta nel suo partito in una breve dichiarazione sulla piattaforma X. “Prometto che sarò un Primo Ministro che difenderà gli interessi di tutti i nostri cittadini in patria e all’estero e... che lavorerà per rendere la Repubblica Ceca il miglior posto in cui vivere dell’intero pianeta”, ha scritto.

Scontro con Bruxelles su aiuti, energia e migrazione

Nel suo discorso al Castello di Praga dopo la cerimonia di nomina, Babiš ha dichiarato che avrebbe affrontato Bruxelles non solo sulla questione degli aiuti all’Ucraina, ma anche su temi come energia, IVA e tariffe doganali. Il politico ha promesso di respingere la politica migratoria dell’Unione Europea e i suoi piani per la riduzione delle emissioni di carbonio.

Babiš ha da tempo promesso di spostare l’attenzione del governo ceco sulle questioni interne, criticando gli aiuti statali all’Ucraina forniti dal suo predecessore Petr Fiala. Sotto il governo Fiala, il Paese aveva avviato un importante programma internazionale di approvvigionamento di munizioni per Kiev.

“Non daremo all’Ucraina una sola corona del nostro bilancio per le armi”, aveva affermato Babiš poco dopo la vittoria del suo partito all’inizio di quest’anno. Tuttavia, nonostante la promessa di interrompere i finanziamenti pubblici a Kiev, ha segnalato che consentirà alle aziende produttrici di armi del Paese di continuare a esportare in Ucraina.

Il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán, altro critico aperto degli aiuti militari all’Ucraina, si è congratulato con Babiš per la sua nomina. “Un patriota ceco impegnato è tornato al timone”, ha scritto martedì su X.

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 08:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Lavrov: “Non entreremo in guerra con l'Europa, ma risponderemo a qualsiasi azione ostile”

 

Il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato mercoledì che Mosca non intende entrare in guerra con l'Europa, ma risponderà a qualsiasi misura ostile, inclusi lo schieramento di contingenti militari europei in Ucraina e l'espropriazione dei beni russi congelati. Le dichiarazioni sono state rilasciate durante un discorso al Consiglio della Federazione, la Camera alta del Parlamento russo, sulle principali questioni di politica estera del Paese.

"Come ha ripetutamente sottolineato il presidente [Vladimir Putin], non abbiamo alcuna intenzione di entrare in guerra con l'Europa, né ci passa per la mente un'idea del genere. Tuttavia, risponderemo a qualsiasi misura ostile, compreso lo schieramento di contingenti militari europei in Ucraina e la confisca di beni russi, e siamo già pronti a farlo", ha affermato con fermezza il capo della diplomazia russa.

 

L'accusa: "L'Europa frena artificialmente il processo di pace"

Lavrov ha rivolto aspre critiche verso i Paesi europei, accusandoli di aver investito il proprio capitale politico nella guerra contro la Russia "utilizzando le mani e i corpi dei cittadini ucraini" e di persistere, in una "cecità politica senza speranza", nell'illusione di poter sconfiggere Mosca.

Il Ministro ha inoltre dichiarato che diverse nazioni europee stanno deliberatamente ostacolando il processo di pace, spingendo il leader ucraino Volodymyr Zelensky a protrarre il conflitto. "L'Europa sta frenando artificialmente questo processo, cercando con tutti i mezzi di incitare il presunto leader ucraino e i membri del suo regime a continuare la lotta fino all'ultimo ucraino. Tuttavia, non ci sono abbastanza soldi", ha aggiunto.

Nel suo intervento, Lavrov ha evidenziato una mancanza di coesione in seno all'Occidente riguardo all'approccio da adottare sulla situazione ucraina. Ha citato come prova di queste divisioni le recenti dichiarazioni del Presidente statunitense Donald Trump.

"L'Occidente non è unito, e ciò è confermato ancora una volta dagli eventi degli ultimi giorni, quando il presidente Trump, in una delle sue interviste, ha duramente criticato le azioni dell'Europa volte a ritardare artificialmente gli accordi che avrebbero potuto essere raggiunti sulla soluzione ucraina, garantendo l'eliminazione delle cause fondamentali che costituiscono il principale ostacolo a questo percorso", ha concluso il Ministro.

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 08:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Lidia Undiemi a l'AD: “Cambiamenti epocali nel mondo: crisi Ue forse irreversibile”



Può l'Unione Europea sopravvivere agli sconvolgimenti epocali in corso?

Lo abbiamo chiesto a Lidia Undiemi, economista e saggista, che dal Mes al riarmo sull'Ucraina ha sempre avuto il merito di anticipare di anni il dibattito sull'organizzazione sovranazionale. 

Questa la sua risposta.

IL VIDEO:

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 08:00:00 GMT
Mondo grande e terribile
L'Unione Europea non sprofonda per colpa di Trump: è un progetto fallito


di Paolo Desogus*


Che gli USA ci avrebbero lasciato soli col cerino dell’Ucraina in mano lo abbiamo detto in tempi non sospetti. Ce ne hanno dette di tutti i colori, ma ormai non importa. Solo una cosa occorre ribadire: l’Europa non sprofonda per decisione di Trump o Musk. Loro certo non aiutano, ma crisi non viene dall’esterno. L’Europa sprofonda perché è un progetto fallito. Lo è sul piano formale e giuridico almeno dai Trattati di Lisbona del 2009, quando è passato l’ultimo treno per riformare l’Ue in senso democratico valorizzando il parlamento. Lo è sul piano politico perché a sua volta l’Ue è composta da stati nazionali la cui funzione si è ridotta a quella di camera di compensazione tra capitali internazionali e élite locali, a danno della democrazia e del corretto funzionamento delle istituzioni di rappresentanza.

L’Europa fallisce inoltre perché non ha cultura se non sotto forma di intrattenimento o comunque passatempo per masse piccolo-borghesi. Sul nostro continente non spira più alcun vento spirituale. Non ci sono grandi ideali, grandi aspirazioni. Viviamo nella post-storia. Le ideologie dominanti nelle università sono ancora quelle postmoderne che esaltano la frammentazione, la disintermediazione, la cura di sé; e quando parlano di politica lo fanno solo in un senso moralistico, senza alcuna coscienza dei processi materiali e dei rapporti di forza.
 
Nel nostro continente l’unica ragione al comando è quella di un capitale rapace che ha messo al comando un personale politico a dir poco indecente. Francia, Italia e Germania hanno al vertice personaggi che trent’anni fa non avrebbero fatto nemmeno i portaborse dell’ultimo dei deputati.
 
Non ho idea di come andrà a finire. Tra gli aspetti più sorprendenti di questa fase storica c’è l’assenza di grandi contrasti tra i gruppi sociali. Non abbiamo visioni del mondo in lotta tra di loro se non in forma residuale o prepolitica. I vari tentativi di centralizzare il conflitto viene infatti sistematicamente boicottato dalla stampa e quando non basta ci pensa la polizia, come nel caso del movimento per la Palestina.
 
L’unica certezza che abbiamo è che l’Europa agli USA non serve più. La loro aspirazione è un ritorno agli stati nazionali deprivati di democrazia, compito per il quale le estreme destre del continente sono attrezzatissime.


*Post Facebook del 8 dicembre 2025

Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 07:00:00 GMT
Dalla Russia
SVR: "Kiev si inventa un nuovo schema per rubare i soldi dei contribuenti europei"


di Marinella Mondaini*

Il regime di Kiev e i suoi complici hanno preparato l'ennesimo piano per rubare denaro ai contribuenti occidentali.
 
Di oggi il comunicato dell'ufficio stampa del Servizio di Intelligence Estero Russo (SVR), pubblicato dalla TASS:
 
"Il regime cleptocratico di Kiev e i suoi complici, influenti funzionari europei e uomini d'affari dalla dubbia reputazione, hanno ordito un altro piano per rubare i soldi dei contribuenti occidentali. Si tratta della fornitura di munizioni di artiglieria alle Forze Armate ucraine nell'ambito della "Iniziativa Munizioni Ceche" a prezzi enormemente gonfiati attraverso la società intermediaria polacca PHU Lechmar", ha dichiarato l'ufficio stampa.
"Il piano prevede che l'azienda acquisti munizioni da vari paesi dell'Europa orientale e del Sud del mondo, pagando fino a 1.000 dollari l'una, rietichettandole e poi vendendole agli ucraini come prodotti polacchi, al prezzo di 5.000 dollari l'una."
 
Secondo il Servizio di Intelligence Estero Russo, Regno Unito, Germania, Francia, Danimarca, Norvegia e altri Paesi occidentali pagheranno per queste forniture. "È ovviamente inclusa una tangente finanziaria ai funzionari responsabili di questi Paesi", ha aggiunto l'ufficio stampa.
 
Per Vladimir Zelenskij, il furto è più importante della pace.

*Post Facebook del 9 dicembre 2025
Data articolo: Wed, 10 Dec 2025 07:00:00 GMT

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