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di Fabrizio Poggi
Krasnoarmejsk (dopo majdan, i nazigolpisti l'hanno rinominata Pokrovsk) e Kupjansk sono città vitali per l'Ucraina, afferma la deputata della Rada Anna Skorokhod, eletta per il partito presidenziale "Servo del Popolo" ma poi espulsa dalla frazione. Su di esse si appunta in effetti l'attenzione internazionale, soprattutto dopo che nei giorni scorsi Vladimir Putin aveva dato indicazione che le forze russe garantissero l'incolumità ai reparti ucraini che, ormai pressoché completamente rinchiusi in una sacca, si arrendessero senza insistere in una inutile macelleria.
Quelle città, afferma la deputata ucraina, non possono però essere cedute senza combattere, nonostante il fatto che le forze ucraine si reggano ormai praticamente solo «su pochi entusiasti». La questione principale, dice Skorokhod, è che non si arrivi a immaginare «una “Fortezza Pokrovsk”. Non ho mai sostenuto e non sosterrò mai la perdita di un numero enorme di persone senza una ragione manifesta... Per quanto riguarda la sacca e la strada sbarrata, è prevedibile. Non abbiamo le risorse umane per affrontare direttamente e con forza la Russia. La maggior parte delle nostre truppe oggi mobilitate non conta forti combattenti. Tutto è tenuto insieme da pochi fanatici e da un piccolo numero di truppe mobilitate».
E, però, commentando la proposta di Vladimir Putin di garantire l'ingresso nelle due città a media occidentali e ucraini, così che possano testimoniare dell'accerchiamento, Skorokhod dichiara che non ci sarà alcun ritiro. Putin «vuole che ritiriamo le nostre truppe, così da conquistare facilmente le due città: ma questo non accadrà. Non accadrà perché sono strategicamente importanti. Pokrovsk apre la strada per il Dnepr, e la questione di Kupjansk ruota attorno allo snodo Kupjansk-Uzlovaja, la ferrovia per la Crimea».
Ma, nonostante l'entusiasmo di cui lei stessa fa sfoggio, Anna Skorokhod non può esimersi dal riconoscere che Bruxelles e Kiev siano uniti nel comune interesse di continuare la guerra fino all'ultimo ucraino, ignorando completamente la volontà della popolazione, ormai esausta, e degli stessi militari ucraini. Ricordate come Zelenskij viaggiasse sempre con “piani di vittoria”, dice la deputata; credo che questa sia «l'ennesima storia in cui l'Europa presenterà la sua visione di un cessate il fuoco che, di fatto, è impossibile da attuare». Tanto che ormai si parla apertamente delle dichiarazioni del Primo ministro polacco Donald Tusk sulla disponibilità di Zelenskij a continuare la guerra per altri 2-3 anni.
È doveroso parlare invece della «reale situazione al fronte, della situazione delle persone, delle violazioni dei diritti umani e dei civili spinti con la violenza ai distretti d'arruolamento... I problemi si stanno accumulando come una valanga e, a un certo punto, potrebbero portare a un'esplosione nella società». Skorokhod ne ha anche per i suoi colleghi alla Rada, che si dichiarano pronti a combattere fino al 2027: «Probabilmente sono pronti, nei loro caldi uffici, con una tazza di caffè al mattino, acqua e luce. Ma se si va nelle regioni, l'atmosfera è diversa. Alcuni sono pronti, altri sono stanchi. E sono così stanchi che – parlo molto coi militari – anche loro vogliono che la guerra finisca. Vogliono tornare a casa, banalmente e semplicemente».
E chi ne ha la possibilità, non si fa pregare, soprattutto di fronte a una situazione che RIA Novosti descrive fatta di corruzione, violenza e diserzione dilagante. La questione non è certo nuova e ne parlano ormai direttamente anche le agenzie di informazione più “europeiste”. Il regime di Kiev non può più nascondere i problemi delle Forze armate, scrive Viktor Ždanov su RIA. Persino i giornalisti ucraini, che sinora assicuravano dell'integrità dei funzionari dei Centri di reclutamento, ora alzano le spalle. Per i malcapitati che sono comunque usciti più o meno illesi dagli scontri con gli "acchiappauomini" dei distretti militari, c'è ancora da sottostare agli ordini dei "comandanti macellai".
Ha suscitato abbastanza rumore la morte di un cittadino di Kiev nei locali del Centro d'arruolamento; l'uomo, 43 anni, superate “gita in bus” verso il distretto e visita medica, era stato trasferito al centro di smistamento, dove poi ha riportato un trauma cranico ed è morto. I militari hanno ovviamente dichiarato che nessuno lo aveva picchiato; era semplicemente caduto goffamente, sbattendo la testa. Qualcuno ha parlato di "ironia del destino"; ma il conduttore televisivo Dmitrij Gnat è stato perentorio: «nessuna “ironia del destino”, ma solo riluttanza a vedere la realtà».
Il deputato Jurij Kamelchuk sostiene che il 99% dei casi di violenza contro i coscritti viene insabbiato: «Ci sono persone che vengono semplicemente picchiate, dato che di solito non ci sono telecamere». Anche un funzionario del Centro d'arruolamento di Kiev, Vladimir Šeredega, non nega gli abusi da parte dei suoi colleghi e conferma che vengono spesso mobilitati anche coloro che hanno diritto al rinvio: trattenuti nei centri di smistamento fino a due mesi, sono poi inviati ai centri di addestramento nonostante le cattive condizioni di salute e i documenti che attestano l'esenzione.
La storia non è nuova: per evitare la “gita in bus” in compagnia degli "acchiappauomini", 6500 dollari aiutano a "risolvere il problema". Un veterano, Oleg Simoroz, racconta che, in cambio di una bustarella, gli agenti dei distretti lasciano liberi gli “accalappiati” per una settimana; durante quei sette giorni, si deve cercare di procurarsi una “blindatura” (certificato ufficiale di esenzione) o trovare altre ragioni per non essere arruolati. Per questo motivo, dice, le pattuglie evitano i costosi locali notturni di Kiev: lì tutti hanno da tempo i "biglietti bianchi" che esimono dal servizio militare. In questo modo, a detta del deputato della Rada Dmitrij Razumkov, il fatturato annuo del mercato nero dei renitenti alla leva raggiunge i due miliardi di euro. Non c'è scampo però per chi è disabile anche dall'infanzia, ma non può permettersi il “biglietto bianco”: giubbotto antiproiettile, elmetto e via alle unità di combattimento.
La società ucraina è preoccupata per i problemi dell'esercito, ma è incapace di protestare, nemmeno a livello di manifestazioni a sostegno dell'Ufficio Anticorruzione, sottolinea Denis Denisov, dell'Università finanziaria governativa russa: «qualsiasi attività o protesta di massa viene monitorata e repressa sul nascere. Le autorità di Kiev sono consapevoli che tali eventi rappresentino una minaccia. E li reprimono senza alcuna esitazione. Il paese non ha le risorse, le forze politiche o le organizzazioni pubbliche che potrebbero assumere il ruolo di coordinamento delle proteste. Il malcontento sta crescendo, ma non si sta traducendo in azioni concrete, perché il panorama politico è stato ripulito», dice Denisov. Quando si dice, la famosa “democrazia dei fratelli ucraini nell'anima” di Corriere della Sera e Bernard-Henri Lévy.
Secondo il Commissario alla Difesa Olga Rešetilova, la diserzione è una forma di protesta silenziosa: si parla ormai di 290.000 procedimenti penali per diserzione e abbandono dei reparti e, a detta dell'ex deputato Igor Lutsenko, la realtà sarebbe molto più grave di quanto non suggeriscano i dati. I comandanti sono «riluttanti a denunciare i disertori, temendo ritorsioni. La dilagante diserzione viene attribuita alla scarsa formazione delle reclute e anche alla perdita di fiducia negli ufficiali, i cui ordini spesso si traducono in enormi perdite.
Come afferma la deputata Tat'jana Cernovol, negli ultimi quattro anni hanno fatto «carriera nell'esercito i macellai. Cioè, coloro a cui non dispiace sacrificare i soldati... A simili comandanti non importa se il soldato di fronte a lui è un militare in servizio o un volontario; per lui, non si tratta di persone vive, ma di una "risorsa". E simili ufficiali sono tenuti in grande considerazione dai loro superiori, così che il loro numero è in crescita».
C'è anche da dire che i comandanti non sono contrari a far soldi sui subordinati, spiega l'esperto militare Jurij Knutov: «Se hai bisogno di una licenza o di cure ospedaliere, devi pagare. Siamo arrivati al punto che le munizioni vengono distribuite solo dietro pagamento. Naturalmente, questo non è “difesa della patria”, come viene proclamato, ma piuttosto un ordinario business sul sangue».
I soldati che hanno capito la situazione stanno cercando di arrendersi alla prima occasione, ma questo è difficile a causa dei distaccamenti di sbarramento, aggiunge Knutov: la realtà del servizio militare è già ben nota agli ucraini; pertanto, in molti cercano di lasciare il paese il più rapidamente possibile, mentre chi è riuscito a scappare farà di tutto per non tornare.
https://ria.ru/20251030/ukraina-2051524504.html
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 17:00:00 GMTIl presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato di non prendere in considerazione l'idea di lanciare attacchi contro il Venezuela.
La dichiarazione del presidente è arrivata dopo che il Miami Herald ha riportato, citando le sue fonti, che l'amministrazione statunitense aveva deciso di attaccare diversi obiettivi militari in Venezuela "da un momento all'altro", nel contesto di un'escalation iniziata con un dispiegamento senza precedenti nei Caraibi ad agosto.
Anche il Wall Street Journal aveva riferito dei piani di Washington di attaccare installazioni militari nel paese sudamericano.
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“Sul Venezuela si sta abbattendo, senza alcun dubbio, con l’intenzione bieca di promuovere un cambio di regime, la volontà del Governo degli Stati Uniti d'America ed egemone imperialista di impadronirsi delle ricchezze naturali che appartengono esclusivamente al popolo della Repubblica Bolivariana”. Con queste parole, di forte denuncia, il presidente dell'Assemblea Nazionale venezuelana, Jorge Rodríguez, ha accusato pubblicamente Washington, dipingendo un quadro di aggressione imperialista il cui fine ultimo è quello ormai palese del controllo delle immense risorse del paese sudamericano.
L’intervento, pronunciato in occasione dell’“Incontro dei Parlamentari dei Caraibi per la Pace” a Caracas, non ha lasciato spazio a interpretazioni. Rodríguez ha insistito con veemenza sul quello che ha definito “il nodo irrisolvibile della questione”, una “verità incontrovertibile”. Secondo il leader parlamentare del PSUV, non sarà necessario attendere la desecretazione di documenti top secret tra decenni per scoprire le reali intenzioni statunitensi: l’obiettivo della attuale Amministrazione USA sarebbe già palesemente quello di “impadronirsi delle risorse naturali, del petrolio, dell’industria mineraria, delle terre rare” del Venezuela.
La critica di Rodriguez si è estesa anche al recente dispiegamento militare statunitense nelle acque dei Caraibi, descritto non come una mera esercitazione ma come una minaccia concreta che non riguarderebbe solo Caracas. “Non è minacciato solamente il Venezuela – ha avvertito – sono minacciati tutti i paesi dei Caraibi, tutti i paesi del Nordamerica che non siano gli USA, del Centroamerica e del Sudamerica”. Un monito che delinea i contorni di un’escalation che viene configurandosi come un pericolo per l’intera sovranità latinoamericana.
Le dichiarazioni di Rodriguez riecheggiano da vicino quelle del presidente Nicolás Maduro. Già lo scorso settembre, il leader venezuelano aveva denunciato quella che ha definito una “guerra multiforme” orchestrata dagli Stati Uniti. Un conflitto asimmetrico in cui, secondo Maduro, allo Stato bolivariano viene mossa un’“aggressione armata per imporre un cambio di regime” e instaurare un governo “fantoccio”, con l’unico scopo di “rubare petrolio, gas, oro e tutte le risorse naturali”.
Maduro ha più volte accusato Washington di aver inventato una “nuova guerra eterna”, sottolineando come il 94% del popolo venezuelano sia contrario alla minaccia militare statunitense e a chi invoca un’invasione.
Di fronte a questa minaccia imminente, la risposta di Caracas non si è fatta attendere. La scorsa settimana la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB), insieme alla Milizia e ai corpi di polizia, ha dato il via a esercitazioni militari nelle zone costiere del paese. L’obiettivo dichiarato è quello di “continuare a oliare la macchina” difensiva per fronteggiare le minacce esterne, in particolare quelle provenienti dagli USA.
Maduro ha ricordato che da dieci settimane il Venezuela sta affrontando non solo una guerra militare, ma anche una “guerra comunicativa” fatta di campagne di disinformazione, esortando la popolazione a resistere e a combattere questa offensiva su più fronti.
Il quadro che emerge è quindi di una tensione ai massimi livelli, con Caracas che consolida la sua retorica anti-imperialista e intensifica la preparazione militare, mentre accusa Washington di perseguire, sotto la maschera della democrazia e di una presunta lotta al narcotraffico, un obiettivo molto più terreno e spietato: il saccheggio delle ricchezze di un paese.
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 16:44:00 GMTCon il rubinetto statunitense ormai quasi chiuso, i sostenitori europei del regime di Kiev non avrebbero altra scelta che colpire le risorse russe bloccate nell'Unione Europea se intendono continuare a finanziare lo sforzo bellico ucraino. È l'allarme lanciato dall'influente settimanale britannico The Economist, che dipinge un quadro drammatico per i prossimi anni.
Secondo le proiezioni della rivista, per sostenere la guerra contro la Russia, Kiev avrà bisogno di quasi 400 miliardi di dollari di supporto finanziario occidentale nei prossimi quattro anni. Un'onere che, in assenza di nuovi ingenti aiuti da Washington, ricadrebbe quasi interamente sulle spalle degli Stati europei della NATO. Il monito è severo: senza questi fondi, l'Ucraina rischierebbe di essere "distrutta" e la coesione dell'Alleanza Atlantica potrebbe "spezzarsi".
La soluzione prospettata, definita senza giri di parole "l'unica opzione disponibile" per finanziare Kiev nel prossimo futuro, è il controverso piano Ue del "prestito-riparazione". Questo meccanismo utilizzerà gli asset sovrani russi immobilizzati, per un valore di circa 300 miliardi di euro, come garanzia collaterale per raccogliere i capitali necessari.
Le cifre sono da capogiro: Kiev si troverebbe ad affrontare un deficit di bilancio annuale di circa 50 miliardi di dollari, che gli sponsor stranieri dovrebbero coprire. Con l'amministrazione USA attuale riluttante a approvare nuovi aiuti, il peso ricadrebbe su Unione Europea e Regno Unito, chiamati a contribuire rispettivamente con 328 e 61 miliardi di dollari.
Il piano, però, non è una strada in discesa e incontra resistenze significative. Il Belgio, sede della cassaforte Euroclear che detiene la maggior parte dei fondi russi congelati, si è opposto fermamente. Bruxelles teme che l'operazione equivalga a una "sorta di confisca", esponendo il paese a immensi rischi legali e finanziari, e chiede che la responsabilità sia condivisa a livello internazionale. Insomma, il Belgio vorrebbe condividere la resposnabilità di questo vero e proprio furto.
Oltre alla questione belga, la Commissione Europea dovrà superare il fronte interno degli Stati membri dissenzienti, come l'Ungheria, per attingere direttamente al bilancio comunitario.
Da Mosca, la reazione non si è fatta attendere. Il Cremlino ha condannato il progetto come un "palese furto" e ha promesso ritorsioni, ribadendo che l'obiettivo russo rimane un'Ucraina neutrale e smilitarizzata.
Nonostante gli ostacoli, The Economist è convinto che il piano "avverrà, con o senza la resistenza belga", perché rappresenta l'unica carta rimasta sul tavolo per assicurare la sopravvivenza finanziaria del regime di Kiev nel breve e medio periodo.
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 15:18:00 GMT
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Di Zhang Danhua, Quotidiano del Popolo
Entrando nel Tempio di Cangjie, nella contea di Baishui, a Weinan, nella provincia dello Shaanxi, Cina nord-occidentale, un imponente cipresso cattura immediatamente l'attenzione. Il suo tronco è così largo che cinque o sei persone potrebbero a malapena circondarlo. Le striature variegate della sua antica corteccia sono un registro del tempo.
Questo è il cipresso piantato da Cangjie, il leggendario creatore dei caratteri cinesi. Alto 16 metri, con un diametro a petto d'uomo di 2,48 metri e una circonferenza a livello del suolo di 9,9 metri, l'albero ha messo radici sull'altopiano del Loess da circa 5.000 anni.
Cipressi antichi sono sparsi per tutto il parco del tempio, ognuno dei quali porta con sé un profondo significato storico. "Ci sono più di 40 cipressi con più di 1.000 anni qui, con un'età media di circa 3.000 anni. Oltre al cipresso Cangjie di 5.000 anni, tre hanno più di 4.000 anni e 14 più di 3.000", sottolinea la guida turistica Liang Ni, indicando i giganti uno per uno.
Il secondo censimento nazionale cinese sugli alberi antichi e famosi riporta che lo Shaanxi conta più di 727.000 di questi alberi, inclusi oltre 11.000 esemplari solitari e 271 boschetti per un totale di circa 716.000.
Nella brezza autunnale, i cipressi frusciano come antichi cantastorie. La tradizione vuole che Cangjie abbia svolto il ruolo di storico per il leggendario antenato Huangdi, o Imperatore Giallo, e che, quando l’intrecciatura di nodi non riuscì più a soddisfare le esigenze di questioni sempre più complesse, abbia creato i primi caratteri cinesi. Si dice che questo cipresso sia stato piantato dalla sua mano. I visitatori si soffermano sotto di esso, accarezzano la corteccia ruvida, ne ammirano la venatura distintiva e si meravigliano dei millenni che incarna.
Per salvaguardare questi tesori, le autorità locali hanno istituito misure di protezione complete. Nel 2019, Weinan ha adottato il Regolamento sulla protezione della Tomba e del Tempio di Cangjie, sottoponendo i cipressi del tempio a tutela legale. Un regolamento sulla protezione di alberi antichi e famosi ha ulteriormente rafforzato questi sforzi di conservazione.
La tecnologia offre modi più intelligenti per preservare gli alberi. È stato creato un registro dettagliato per il cipresso piantato da Cangjie, che ne documenta le condizioni fisiche, le misure di manutenzione e l'ambiente di crescita, e lo collega a una piattaforma di monitoraggio in tempo reale condivisa a livello nazionale, provinciale, comunale e di contea. Un gruppo di esperti di spicco nella conservazione di alberi secolari e reliquie culturali effettua controlli regolari, creando un modello "un team per akbero" che combina la guida di esperti, la supervisione della contea e la cura responsabile.
"Grazie al monitoraggio digitale, possiamo monitorare la crescita del cipresso in tempo reale. Se notiamo foglie ingiallite o anomalie nella corteccia, il team di esperti interviene tempestivamente per diagnosticare ed eseguire interventi di ringiovanimento", ha affermato Li Min, vicedirettore dell'Amministrazione delle Reliquie Culturali del Tempio di Cangjie.
Mentre la conservazione continua, si compiono anche sforzi per tramandare il patrimonio culturale incarnato da questi alberi secolari. Ogni anno, intorno a Pioggia per il Grano, o "Guyu" in cinese, termine solare che segna la fine della primavera e coincide con la Giornata della Lingua Cinese delle Nazioni Unite, il tempio ospita eventi culturali in commemorazione di Cangjie. All'ombra di antichi cipressi, i giovani visitatori si cimentano nella stampa xilografica, osservando i tratti dei caratteri prendere forma sulla punta delle loro dita e vivendo il fascino della tradizione. Sale espositive con immagini, testi e manufatti invitano i visitatori a scoprire le origini e l'evoluzione dei caratteri cinesi ammirando gli alberi.
Questo cipresso millenario unisce passato e futuro. Nella primavera del 2012, è stato scoperto un giovane alberello che cresceva sotto l'antico cipresso. "Questo dimostra che il cipresso di Cangjie può riprodursi naturalmente dai suoi semi", ha affermato Ren Zhigang dell'amministrazione del tempio. "Vedere un tale vigore ci ha spinto a esplorare l'allevamento spaziale per estendere la sua raffinata linea genetica".
All'inizio del 2020, le autorità locali hanno collaborato con il centro di ricerca tecnologica per l'ingegneria di riproduzione spaziale della provincia dello Shaanxi per esplorare la propagazione spaziale. "La riproduzione spaziale offre un nuovo percorso tecnologico per conservare e rivitalizzare le risorse genetiche del cipresso di Cangjie", ha spiegato Ren. "La progenie potrebbe essere più vigorosa e resistente, il che è significativo per la preservazione della varietà".
Nel maggio di quell'anno, i semi raccolti dall'antico cipresso hanno intrapreso un viaggio spaziale a bordo di un razzo Long March. Oggi, presso la base di riproduzione del cipresso di Cangjie, nella contea di Baishui, le piantine "riprodotte nello spazio" stanno sviluppando teneri germogli verdi. Alcune sono già state trapiantate nel tempio, portando avanti l'eredità genetica del loro antenato di 5.000 anni.
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Antichi cipressi presso il Tempio di Cangjie. (Peng Yipeng)
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 14:00:00 GMT
Secondo l'organismo governativo palestinese Commissione per la resistenza al muro e agli insediamenti, dall'inizio del genocidio a Gaza, due anni fa, l'esercito israeliano ha eretto circa 1.000 nuove barriere nella Cisgiordania occupata.
La commissione ha affermato che dal 7 ottobre 2023 sono stati eretti 916 cancelli, barriere e muri sul territorio.
Molte di queste barriere sono cancelli metallici, talvolta presidiati da soldati israeliani, che vengono installati all'ingresso di molte città e villaggi, nonché tra le città della Cisgiordania.
L'esercito di occupazione utilizza queste barriere per controllare gli spostamenti dei palestinesi e impedire loro di entrare o uscire da determinate aree.
Il mese scorso le Nazioni Unite hanno annunciato di aver documentato l'istituzione di 18 nuovi varchi nella Cisgiordania occupata.
Oltre a ricordare che Israele utilizza blocchi di cemento e grandi cumuli di terra per limitare gli spostamenti dei palestinesi nel territorio. I cumuli di terra sono particolarmente comuni durante le violente incursioni dell'esercito israeliano nei campi profughi della Cisgiordania.
Gli abitanti del villaggio di Aboud hanno dichiarato al Washington Post che i cancelli sono chiusi tutti i giorni dalle 6:00 alle 9:00, impedendo agli studenti di raggiungere l'università e ai cittadini di raggiungere il posto di lavoro.
"Nelle circostanze attuali, tutto è stato bloccato. Tutto si è fermato", ha dichiarato al giornale un abitante del villaggio di Deir Dibwan.
Circa tre milioni di palestinesi sono ora costretti a fare lunghe deviazioni, a volte anche di più di un'ora, per un viaggio che non dovrebbe durare più di 20 minuti.
"Tutto questo fa parte della strategia dell'occupazione per minare il senso di sicurezza delle persone", ha affermato un residente, un tassista.
Mentre Israele consolida la sua occupazione decennale, la violenza dei coloni continua ad aumentare con il sostegno dell'esercito.
Nelle ultime settimane, i raccoglitori di olive palestinesi sono stati oggetto di crescenti aggressioni da parte dei coloni. All'inizio di questo mese, alcuni raccoglitori sono stati attaccati dai coloni nel villaggio di Kafr Thulth. Anche alcuni pastori sono stati aggrediti e diverse capre sono state uccise dai coloni.
Anche gli olivicoltori di Farata sono stati recentemente colpiti con proiettili veri dai coloni. L'esercito israeliano ha sostenuto e contribuito alla campagna dei coloni contro i raccoglitori.
L'esercito israeliano ha sradicato migliaia di ulivi nel villaggio di Al-Mughayyir, che è costantemente oggetto di attacchi da parte di folle di coloni che mirano a sfrattare le famiglie dalle loro terre.
A gennaio di quest'anno, le truppe israeliane hanno lanciato una massiccia operazione nelle città occupate di Tulkarem e Jenin, in Cisgiordania . Nei mesi successivi, Tel Aviv ha dovuto sfollare decine di migliaia di civili dalle due città e distruggere enormi quantità di infrastrutture civili in una campagna di demolizioni mirate.
Ai residenti non è stato permesso di tornare nei loro quartieri.
In risposta alla recente impennata di attività di resistenza nella Cisgiordania occupata, Israele ha intensificato i raid e ha ordinato all'esercito di "prendere tutte le misure necessarie" contro i "terroristi".
Martedì l'esercito israeliano ha dichiarato di aver assassinato tre "terroristi" del campo profughi di Jenin, in un'operazione congiunta con il servizio di sicurezza Shin Bet e l'unità della polizia di frontiera di Yamam.
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 12:00:00 GMT
E’ disponibile la decima puntata di Radio Gaza, pubblicata sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico.
Guarda la puntata 10:
https://www.youtube.com/watch?
Radio Gaza è un programma a cura di Michelangelo Severgnini e Rabi Bouallegue.
La campagna “Apocalisse Gaza” arriva oggi al suo 133° giorno. Ha fin qui raccolto 110.674 euro da 1.451 donazioni, di cui 110.105 già inviati a Gaza.
Per donazioni: https://paypal.me/
Proponiamo di seguito i testi della decima puntata.
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Radio Gaza - cronache dalla Resistenza
Un programma di Michelangelo Severgnini e Rabi Bouallegue
In contatto diretto con il popolo di Gaza che resiste e che ha qualcosa da dire al mondo…
Puntata numero 10 del 30 ottobre 2025
La decima puntata di Radio Gaza giunge a ridosso di giornate che avremmo preferito non raccontare, per quanto lo scenario attuale non sia mai stato da escludere. Sì, ma qual è lo scenario attuale?
Lo abbiamo chiesto ad alcune delle voci fin qui ospiti a Radio Gaza e, come sempre, ascolteremo risposte diverse, visioni differenti, prospettive parallele.
Tuttavia vi sono almeno 2 storie da raccontare: quella sul campo a Gaza e quella nei palazzi a Tel Aviv.
Noi siamo qui per raccontare la prima. Tuttavia ci permettiamo un rapido sguardo anche sulla seconda, a partire dalle fonti di agenzia a disposizione.
Nella scorsa puntata avevamo previsto delle “scaramucce”. E queste scaramucce le aveva previste persino JD Vance, vicepresidente americano, che in quei giorni si trovava in Israele proprio per scongiurare che Israele causasse la fine della tregua.
In quei giorni Vance aveva persino definito “molto stupida” la mossa della Knesset di votare a favore dell’annessione della Cisgiordania. Mossa peraltro minimizzata da Netanyahu che considera questo voto non vincolante.
Tuttavia il clima tra le stanze del governo israeliano in quei giorni è stato da commissariamento coatto.
Barak David, giornalista israeliano di Channel 12 Report, ha riferito di un suo colloquio privato con un alto ufficiale americano presente a Tel Aviv in quei giorni. La frase riportata dice: “Lo fotterà se metterà a repentaglio il cessate il fuoco a Gaza”, riferito a Trump nei confronti di Netanyahu. Tornando alle “scaramucce”, così le ha infatti definite JD Vance, nel frattempo rientrato negli Stati Uniti, ci permettiamo di correggere la terminologia: oltre 100 morti non sono una “scaramuccia”, sono una “rappresaglia”.
E non a caso, nella scorsa puntata, avevamo utilizzato proprio questi due termini (scaramuccia e rappresaglia) come lo spettro del tipo di azioni che Israele avrebbe commesso.
Vance l’ha definita “scaramuccia”, ma il suo minimizzare non è per fare un torto ai Palestinesi, quanto per non dover ammettere che il suo recente passaggio in Israele non sia servito a molto. Non appena ripartito, gli Israeliani hanno ricominciato a fare quello che vogliono.
Lo scenario è dunque questo: o salta Netanyahu o salta il piano di Trump, o magari entrambi, oppure la tregua è destinata a reggere.
“Il cessate il fuoco sta reggendo. Ciò non significa che non ci saranno piccoli scontri qua e là”, ha affermato Vance durante una visita al Campidoglio. “Sappiamo che Hamas o qualcun altro all'interno di Gaza ha attaccato un soldato dell'IDF”, ha aggiunto. “O qualcun altro”? Ohibò.
Forse Vance conosce cose che noi comuni mortali non sappiamo?
Per il momento sappiamo che il soldato dell’IDF ucciso, usato poi a pretesto per la vasta operazione di bombardamenti sulla Striscia, è stato colpito da un cecchino.
Chi abbia sparato non si sa. Hamas smentisce.
Netanyahu ha deciso di mettere a dura prova la pazienza americana.
<<Che la pace sia su di te amico mio Rabi, come sta Michelangelo? Spero che stiate bene. Noi figli di Gaza attendevamo la tregua per riprendere fiato, dopo mesi di bombardamenti e distruzione, ma siamo rimasti colpiti da un fatto inaspettato: la tregua c'è stata ma il suono degli aerei non si sono fermati e i bombardamenti non si sono fermati in molte zone. Le case non sono state ricostruite, i feriti sono senza cure e gli sfollati vivono ancora nelle tende. Faccio appello alla comunità internazionale affinché protegga la tregua e obblighi l'Occupazione (israeliana) a rispettarla. E che non venga utilizzata per coprire arresti, bombardamenti sporadici o per impedire l'ingresso degli aiuti. La tregua non sono mere parole scritte in un foglio, ma vita che attende di essere salvata. Gaza ha bisogno di sicurezza e di un’opportunità per guarire e ricostruire, e non di tregue che vengono violate nell’ombra.
Il cessate il fuoco è stato violato e Gaza sanguina di nuovo e il suono dei bombardamenti torna a squarciare la notte. Mio Signore, quante volte dobbiamo morire? I nostri bambini - affinché il Mondo ci creda - sono esseri umani. Per quanto tempo dobbiamo raccoglierne i resti tra le macerie? Le case sono state distrutte, i sogni bruciati e le lacrime non si sono asciugate. Ogni angolo di Gaza custodisce un dolore. Custodisce l'urlo di una madre alla ricerca del proprio figlio, un bambino che chiama sua madre, senza che nessuno risponda. O Mondo, loro non sono numeri, bensì anime, vite che riempivano il mondo e che oggi sono in silenzio sotto le macerie.
A tutti I cuori adesso in ascolto: oggi le vostre donazioni non sono un mero aiuto, bensì vita per chi è ancora vivo tra le ceneri. Il cibo, le medicine, le coperte, sono sicurezza per il bambino in attesa di misericordia. Non lasciateci soli, siate con noi, siate luce in questa lunga oscurità. Gaza continua a sanguinare, e noi continuiamo a credere che in questo mondo ci sono ancora cuori pieni di misericordia>>.
La campagna “Apocalisse Gaza” arriva oggi al suo 133° giorno. Ha fin qui raccolto 110.674 euro da 1.451 donazioni, di cui 110.105 già inviati a Gaza.
Questa settimana ringraziamo le donazioni pervenute da GasAImo, gruppo di acquisto solidale e dall’Associazione Sandalia insieme e “Mulinu - La Macina di Sardegna”, evento di cui vi avevamo parlato la scorsa settimana.
Al momento rimane più di una dozzina di corpi di ostaggi da qualche parte nella Striscia di Gaza. Mentre Hamas ha consegnato i corpi a Israele man mano che venivano recuperati, Tel Aviv sostiene che il movimento ne conosce l'ubicazione e li trattiene deliberatamente.
Per raggiungere i corpi sepolti sotto le macerie sono necessarie squadre di ricerca e soccorso e macchinari pesanti, ma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rifiutato di consentire ad Hamas di acquisire tali attrezzature.
Come raccontato nella scorsa puntata, la Turchia e altri Paesi avevano offerto assistenza e squadre specializzate per il recupero dei corpi.
Qui, la sfida è a chi fa più il furbo.
La partita in gioco è il controllo effettivo del territorio della Striscia in futuro.
Che siano squadre speciali o forze ONU di interposizione, un certo gruppo di Paesi vuole entrare a Gaza, con gli stivali sul terreno.
Israele fiuta il tranello e fa scattare la provocazione, la rappresaglia. Funziona per prendere tempo. Ma l’ipotesi di spezzare la tregua questa volta, non porta alcuna garanzia a Netanyahu.
Nel frattempo, questo è il racconto dal campo.
<<Buongiorno, amico mio. E’ vero, dalle otto di sera di ieri, sono ripresi i bombardamenti a Gaza Città, in tutta la Striscia di Gaza. I bombardamenti hanno causato più di cento morti, mezz'ora fa sono state distrutte due case, nei dintorni di casa mia, nel campo di Al Shaty ed io adesso dovrò andare nel campo di Al Shaty per valutare l'entità dei danni subiti da casa mia. Casa mia appartiene alla famiglia di Al Ghishawi, la loro casa è stata bombardata con altre cinque case nei dintorni. Un’altra casa nei pressi nel mercato è stata distrutta. Molte case sono state distrutte. In questa fase Israele sta distruggendo molte case. E’ stata distrutta la casa della famiglia Salem, causando 20 morti. Ieri, verso le 10 di sera, mentre la gente dormiva, sono stati martirizzati tutti gli abitanti di questa casa: bambini, uomini, vecchi, donne. Sono stati tutti martirizzati mentre dormivano, sono stati bombardati senza preavviso. Un’altra casa è stata distrutta in via Al Nasr, a Gaza città. Altre case sono state distrutte a Khan Younis. Mentre due auto sono state bombardate, una ad Insiraf e l'altra a Dar El Balah, da ieri sera tutta questa situazione ha causato più di 100 martiri. Ci auguriamo che i nostri cari stiano bene, e mi auguro che tu e il nostro amico stiate bene. Che la pace sia su di voi>>.
Non solo la tregua è messa a dura prova in queste ore, ma sul campo benefici concreti per la popolazione, dall’inizio della tregua ad oggi, non se ne sono visti.
La situazione umanitaria è lungi dall’essere risolta.
Questa donna a Gaza ci fa un quadro della situazione, con un racconto spicciolo quanto esauriente.
<<Che la pace sia su di te, fratello Rabi. Come sta il nostro amico Michelangelo? La situazione a Gaza, come te lo posso spiegare: ieri è stato bombardata un'automobile che procedeva nel campo di ‘'Sirat'', ed io vivo in questo accampamento, che si trova nella parte centrale (della Striscia). Ad oggi la situazione a Gaza è instabile. Possiamo dire che siamo in possesso solamente della metà delle terre di Gaza, l'altra metà è sotto il controllo dell’Occupazione. Siamo solamente nella prima fase e la situazione è molto difficile, non possiamo spostarci in altre zone. I bombardamenti e le esplosioni continuano nelle zone orientali (della Striscia). Abbiamo saputo che ci vorranno 30 anni per bonificare Gaza dagli ordigni inesplosi, ma chi potrà vivere altri 30 anni? La situazione a Gaza è difficile, la gente è ritornata nel nord e non c'è acqua, non hanno più nemmeno le case. La gente che tenta di ritornare a Gaza Città in seguito ritorna nella parte centrale (della Striscia). Non ci sono pozzi, non ci sono le basi essenziali per la vita. Inoltre abbiamo sentito che i camion che entrano vengono derubati. Basta guardare i notiziari, ad oggi non ci arriva nulla degli aiuti, non so cosa ne fanno. Ognuno è responsabile delle sue azioni di fronte a Dio e ad oggi i beni sono molto cari. E’ pur vero che (i prezzi di) alcuni beni sono diminuiti, ma tutto il resto rimane molto caro. Un pollo oggi costa più o meno 50 dollari. Chi può permetterselo? Questo se il prezzo non aumenta. Un chilo di carne di vitello costa 150 Shekel. Forse anche più di 50 dollari. 60, 70, 80 dollari. Ad oggi la situazione a Gaza è molto difficile. Molto molto difficile. A Gaza c'è gente che non ha nemmeno di che mangiare, Non ha acqua, non ha né vestiti né coperte. Per non parlare delle malattie, i medicinali necessari non si trovano. Che Dio risolva questa situazione e speriamo che le prossime fasi si concludano bene e che si concluda questa guerra. C'è gente che attende l'apertura dei valichi per andarsene via da Gaza. Non c'è più vita, scuole, ospedali, non c'è più istruzione, non c'è più sanità, non c'è più nulla. Che Dio ci aiuti e mi auguro che chiunque ascolti le nostre voci continui a sostenerci. Che sostengano te e Michelangelo per continuare a sostenerci. La nostra situazione è molto difficile, le vostre donazioni ci aiutano a vivere. A Gaza non c'è lavoro per la gente. Non ci sarà più lavoro per le gente negli anni avvenire. La nostra situazione è molto difficile. Che Dio vi ricompensi per ciò che fate per noi>>.
Della banda di Yasser Abu Shabab, tornato alla ribalta in questi giorni, ce ne eravamo occupati alcuni mesi fa, nell’episodio “Una giornata a Gaza”, parte del “film in progress”.
Singolare come nei primi giorni seguiti all’accordo di Sharm El-Sheikh, si sia posto l’accento sui regolamenti di conti tra Hamas e queste milizie collaborazioniste all’interno della Striscia, mentre ultimamente si sottolinea come queste bande stiano per prendere il sopravvento addirittura su Hamas.
Anche questo sarà in futuro un fronte decisivo, un conflitto strisciante combattuto a cavallo dei confini interni alla Striscia che al momento tolgono fino al 50% del territorio all’utilizzo civile.
E’ in questo spazio che le milizie si organizzano.
Ma non hanno avuto la meglio quando l’IDF era sul campo, non la possono avere adesso. Possono solo infliggere qualche ulteriore patimento alla propria gente in cambio di qualche promessa sui conti all’estero.
<<Che la pace sia su di te, amico mio Rabi. Tutto ciò che sappiamo di Hamas e dei vari clan è che in questo momento ci sono delle milizie armate che sono contro Hamas, o che dichiarano di esserlo. E che secondo diverse fonti hanno ricevuto sostegno da Israele. Ad esempio, Netanyahu ha dichiarato che Israele ha creato le milizie in opposizione ad Hamas. Questi gruppi operano nel “vuoto di sicurezza”, nelle zone poco controllate, oppure sotto la supervisione di Israele e il suo parziale controllo, e di certo non (operano) sotto il controllo di Hamas>>.
Secondo il Palestinian Information Center, dal 7 ottobre a oggi sulla Striscia sarebbero state sganciate 200mila tonnellate di tritolo, pari a 13 volte la potenza della bomba di Hiroshima.
Il dato è orrorifico.
L’altro dato però riportato è che 70mila tonnellate di queste 200mila, non sarebbero esplose. Questo non solo, come abbiamo sentito, rappresenta una sfida immane nel recupero di questi esplosivi che condannerà forse per decenni gli abitanti della Striscia ad impegnarsi nella bonifica. Ma giustamente qualcuno si è chiesto: in quali mani finiranno?
Pare che gli ingegneri di Hamas siano all’opera da tempo. Va bene la bonifica, ma se nel frattempo il tritolo può persino essere stoccato nei tunnel per eventuale riutilizzo, per Hamas sarebbe un regalo inaspettato.
Insomma, per questo e altri motivi, le macerie di Gaza fanno gola a molti.
E proprio dinanzi a queste macerie, con la fiducia che non farete mancare il vostro sostegno alla campagna, vi giungano questi saluti dalla Striscia di Gaza.
<<Che la pace sia su di voi, vorrei ringraziare il fratello Rabi e il fratello Michelangelo per i loro sforzi profusi dal mese di Giugno al mese di Ottobre inviandoci denaro attraverso l'applicazione Paypal. Li ringrazio e che Dio vi benedica.
Che la pace sia su di voi, vorrei ringraziare il fratello Rabi e il fratello Michelangelo per gli sforzi profusi dal mese di Giugno al mese di Ottobre inviandoci denaro attraverso Paypal. Li ringrazio e che Dio vi Benedica>>.
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 12:00:00 GMT
di Federico Giusti
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 11:30:00 GMT
di Giuseppe Giannini
Qualcuno potrebbe chiedere: dove sta la differenza tra i governi liberisti bipartisan degli ultimi trent'anni e l'attuale esecutivo di destra? Nella sostanza le divergenze sono minime, perchè i cd. sovranisti, coloro che per anni hanno preso di mira la UE (e l'euro), non fanno altro che portare avanti il "ce lo chiede l'Europa". Questo non si traduce in maggiore solidarietà tra i popoli per affrontare le complesse questioni globali, ma in competizione al ribasso sui diritti sociali e civili. E servilismo verso la tecnocrazia (l'anomalia strutturale della UE con i superpoteri della Commissione e i dogmatismi finanziari da Maastricht al fiscal compact) e gli USA (amplificato dalle guerre della NATO).
L'unica, pericolosa, variazione è riscontrabile nella limitazione delle libertà dei sudditi ( a cui c'eravamo abituati anche con i governi della pandemia), e nell'attacco sprezzante verso gli altri rappresentanti dei poteri nazionali ed internazionali. Fino a mettere in dubbio la tenuta delle istituzioni democratiche (la delegittimazione dell'ONU e degli organi di giustizia come fanno anche gli americani trumpisti e gli israeliani genocidari). I toni trionfalistici dei media nel sottolineare la longevità del governo italiano targato Meloni ( a differenza di quelli francesi) servono ad occultare elementi determinati per interpretare la strada intrapresa. Che è quella del copia-incolla dei diktat che Trump sta imponendo alle economie mondiali, in specie a quelle della UE.
E' doveroso ricordare che la gestione neoliberista dell'Unione è servita a rafforzare partiti sovranisti e movimenti identitari, che oggi, grazie alla forza acquisita ed al riconoscimento di alcuni strati popolari, possono permettersi di condizionare l'agenda dei governi nazionali e della stessa Unione europea. Vale per la messa in discussione del Green Deal e soprattutto per la deportazione dei migranti. Così come contano le pressioni delle lobby, con in primo piano quelle delle armi, e che vedono la Presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen (riconfermata per rassicurare i poteri che contano?) ben disposta ad accoglierne le richieste (è già successo con le aziende di Big Pharma durante il covid). Mentre gli Stati europei riconvertono le produzioni puntando sulle energie impattanti e le industrie belliche per far ripartire la crescita (vedi la Germania), il presidente americano dichiara guerra commerciale al mondo intero.
I dazi, ed il bilateralismo contrattuale, che grazie alla strapotenza del dollaro come valuta di riferimento degli scambi, cercano di sostituire decenni di globalizzazione delle economie. In quest'ambito ha un senso, sempre secondo la versione suprematista, la caccia ai migranti sul territorio americano, per fare affidamento, principalmente, sulla forza lavoro autoctona. Misure che trascurano l'interdipendenza delle economie e della forza lavoro.
La delocalizzazione delle produzioni, di cui gli americani sono stati i maestri riguardano, appunto, prodotti che prima di essere finiti vedono le diverse fasi eseguite, a volte, in più continenti, per poi essere assemblati e trasferiti. E la stessa forza lavoro a basso costo, quasi sempre straniera, con vere e proprie sacche di sfruttamento e schiavitù, è tra i fattori che ha consentito la supremazia occidentale ed americana. Ogni governo europeo sa che, a parte la retorica ai fini elettoralistici, le aziende chiedono ogni anno l'ingresso di un numero determinato di migranti (le quote).
Dando luogo al perverso meccanismo fatto di fondi comunitari elargiti anche agli antieuropeisti (l'Ungheria). Forza migrante che, quando regolarizzata, contribuisce alla crescita del Pil nazionale e a sopperire, con i lavori di assistenza e cura, ai tagli del welfare state. E poi ci sono lavori che i residenti non sono più disposti a fare. I Paesi dell'Unione europea attraversano una crisi industriale dovuta a ritardi e scelte sbagliate. Interi setttori pagano le politiche di guerra, viste invece dai governanti come tema di consenso (fondato sulla paura) e possibile crescita. E' indubbio che l'aumento dei costi energetici, a causa della scellerata scelta di rinunciare al gas russo, ha avuto un impatto sulle famiglie e sulla competitività delle imprese. Il settore dell'auto risulta impantanato dalla svolta elettrica, nel quale domina la Cina, frenato dal dover importare tecnologie, che con i dazi risultano ancora più sconvenienti.
Gli stabilimenti chiudono in tutta Europa e fioccano i licenziamenti. E sulle nuove tecnologie e l'IA c'è un abisso tra i finanziamenti americani, la conoscenza cinese, e quelli europei. Una UE che, a causa della sua sudditanza verso gli americani, tra acquisti a debito di gas e armi, ed appunto, i dazi, si avvia sulla strada dell'irrilevanza geopolitica. Un prezzo da far pagare ai popoli, soprattutto alle fasce più deboli. Con dietro l'angolo il rischio del rafforzamento dei partiti ultranazionalisti.
La durata di un governo non sempre corrisponde al suo stato di salute. Ad esempio, guardando i precedenti, e cioe i lunghi esecutivi italiani targati destre, come avvenuto sotto Berlusconi (dal 2001 al 2005 e dal 2008 al 2011), anche in quei casi alla permanenza non è corrisposta una economia virtuosa. All'attuale governo italiano preme la tenuta del potere. Umiliando le istituzioni (gli attacchi spropositati alle opposizioni, alla stampa ed alla Magistratura) ed il senso civico. Abbandonando i territori (il Piano Nazionale Strategico previsto per le aree interne) e privando il Paese di una possibilità di ripresa (il ritardo infrastrutturale, la crescita zero, la produzione industriale ferma da troppo tempo, per non parlare della povertà diffusa). Emergono le opzioni effettuate che, nel caso di compagini liberiste e profondamente conservatrici (se non apertamente fasciste), puntano a privilegiare chi sta in alto. La parte datoriale rispetto ai lavoratori; la grande impresa, anche straniera; il complesso di privilegiati e parassiti - il mondo della finanza, le lobby, certo corporativismo – che fanno della rendita (detassata) il loro status. Quindi, più che alla durata quale sinonimo di stabilità politica ( a parte i contrasti interni di chi deve rispondere al proprio elettorato di riferimento) bisogna concentrarsi sulle misure programmate.
La sovranista che, quando stava all'opposizione, attaccava la UE con slogan populistici di bassa lega, si è convertita sulla strada della continuazione dell'austerità, cavallo di battaglia di quei partiti (liberali, moderati, socialdemocratici), che sorreggono l'impianto tecnocratico europeo. Contemporaneamente, la Presidente del Consiglio ha intrapreso un'altra via, difficilmente conciliabile con la prima, che parla il linguaggio dell'autarchia. Il protezionismo suprematista tipico delle destre reazionarie, che mentre galleggiano nel mare del capitalismo delle diseguaglianze, usano la retorica della competizione (e dell'esclusione) per delineare un pericoloso quadro, relativo al fantomatico recupero di antiche virtù nazionali.
La diffusione dell'immaginario che chiama in causa la venuta di nuovi eroi(ne), in grado di salvare l'intrinseca purezza di popoli e culture per troppo tempo "inquinati" dall'ideologia delle élite: la questione green, il gender, ed ora le speculazioni intorno all'antisemitismo. Paradosso dei paradossi del rovesciamento del mondo (altro che mondo all'incontrario secondo la versione di Vannacci), nel quale più che combattere gli eccessi del pensiero liberal vengono messi in discussione secoli di regime democratico, fondati sulla separazione dei poteri e la libera espressione di idee e pensieri critici verso l'establishment. I toni accessi dell'esecutivo di estrema destra fanno da preludio all'uso della disciplina e della forza.
La svolta autoritaria proviene da quella parte politica che aspettava solo l'occasione buona per rifarsi da decenni di emarginazione democratica. E che ora è arrivata attraverso operazioni di restyling, ma nemmeno tanto, ad inserire persone con un passato ambiguo e legato ad ambienti della destra stragista all'interno di settori del potere statale.
Se a questo aggiungiamo le riforme in discussione o le leggi approvate, dal semipresidenzialismo all'Autonomia Differenziata, dalla riforma della Magistratura al Decreto Sicurezza, ecco che le dichiarazioni di quanti, in Italia come all'estero, vedono con preoccupazione la svolta verso l'orbanizzazione del Belpaese, trovano più di qualche fondamento.
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 11:30:00 GMT
Dopo la proclamazione di un fantomatico “piano di pace” promosso dal presidente Trump, una finta e fragile tregua è stata instaurata a Gaza dopo due anni di feroce genocidio della popolazione palestinese da parte di Israele. Questo genocidio, cui si è accompagnato un brutale incremento della colonizzazione della Cisgiordania, è avvenuto con la complicità ed il massiccio aiuto militare, economico e diplomatico fornito costantemente ad Israele, non solo dal suo principale alleato, gli USA, ma anche da parte di tutti quei paesi, riuniti sotto l’egida della NATO, che si vantano di appartenere al mondo “democratico”, portatore dei presunti “valori occidentali. Senza questo aiuto Israele non sarebbe stata in grado di continuare per due anni la sua feroce aggressione.
La finta tregua è già stata ampiamente violata più volte da Israele con scuse pretestuose e spesso assurde legate anche alla difficoltà di recuperare i corpi degli ostaggi deceduti, sepolti sotto tonnellate di detriti causati dagli stessi bombardamenti israeliani precedenti. Nel solo bombardamento su civili indifesi operato nel campo profughi di Nuseirat sono state uccise più di 100 persone, tra cui 46 bambini.
Ora, dopo che grandi manifestazioni a favore dei diritti dei Palestinesi avvenute in tutto il mondo, ed in particolare in Italia, avevano testimoniato della presa di coscienza di buona parte dell’opinione pubblica anche occidentale, la finta tregua è servita anche a rilanciare la repressione contro quei gruppi e movimenti più coscienti che non nutrono illusioni sul valore reale di questa tregua e continuano a manifestare in favore dei sacrosanti diritti dei Palestinesi.
Ad esempio, in Italia il 24 ottobre è stato attaccato con manganellate ed idranti dalla polizia un tentativo di pacifico corteo a Roma. Anche a Torino manifestanti sono stati attaccati. Ancora più grave forse l’episodio avvenuto alla Mostra d’Oltremare di Napoli, dove un gruppo di pacifici manifestanti che avevano protestato per la presenza della nota azienda farmaceutica israeliana TEVA, finanziatrice del genocidio, alla esposizione PharmaExpo, è stato circondato, attaccato e picchiato dalla polizia mentre defluiva pacificamente verso l’uscita. Tre manifestanti sono stati arrestati con motivazioni pretestuose (per fortuna successivamente rilasciati, ma comunque denunciati).
Contemporaneamente bande di picchiatori fascisti hanno fatto irruzione indisturbati nel liceo Vinci a Genova, dove studenti filopalestinesi avevano organizzato iniziative, devastandolo. Episodio simile anche a Torino al liceo Einstein, dove però la polizia ha arrestato e denunciato uno studente antifascista che aveva partecipato ad una manifestazione successiva di protesta.
Durante la presentazione all’ONU del rapporto della relatrice Albanese, che aveva denunciato la complicità di molti paesi, specie occidentali, nel genocidio, il rappresentante israeliano l’ha attaccata definendola una “strega”. La Albanese gli ha risposto per le rime.
Il noto esponente PD di “Sinistra per Israele”, Fiano, che era stato contestato dagli studenti per il suo appoggio al genocidio, ha reagito con la solita abbondante e stomachevole razione di vittimismo.
Curioso l’episodio avvenuto durante un talk show sulla 7, quando le due pasdaran del PD Gruber e Sattanino si sono scatenate in difesa dei presunti “valori occidentali”. Sorprendentemente ha risposto Franco Bernabè, ex amministratore delegato di ENI e Telecom, e ora presidente delle Acciaierie italiane. Con aria sorniona ha fatto notare alle due giornaliste di fede PD che gli altri paesi vedono gli stati “occidentali”, non come portatori di valori, ma come eredi di colonialismo ed imperialismo, e fautori di un massiccio armamento per dominare il mondo. Bernabè ha anche fatto notare come la presunta “meritocrazia” vigente in Occidente (secondo la Gruber) era stata già praticata dai Cinesi con la loro tradizionale efficace amministrazione imperiale, tesa al benessere della collettività, ed è praticata tuttora.
Complessivamente la situazione politica nei nostri paesi non è brillante ed avanzano tentativi di reazione e di repressione anche nei confronti delle lotte sociali per il salario, la casa, i diritti dei lavoratori. Particolarmente grave e foriero di disastri è la permanente attitudine dei nostri governi europei al riarmo, alla russofobia, e agli sforzi per alimentare la guerra in Ucraina. Trump pare aver fatto marcia indietro sulla fornitura dei missili a lungo raggio Tomahawk all’Ucraina, ma continuano a fioccare sanzioni contro la Russia e minacce di sanzioni ai paesi che commerciano con la Russia. Il movimento pacifista appare piuttosto debole, anche perché sabotato dalle sciocchezze diffuse dalla pseudo sinistra, da Melenchon, a Bonelli, fino alla Linke tedesca. Si impone una ripresa ed una riorganizzazione a livello strategico più alto del movimento per la Palestina, di quello per i diritti sociali, e di quello contro il riarmo e per una pace giusta in Ucraina che fornisca la sicurezza necessaria a tutti i contendenti, come chiede da anni il governo russo.
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 11:30:00 GMT
Una coalizione di importanti ex capi di Stato e diplomatici ha chiesto al presidente degli Stati Uniti Donald Trump di sollecitare "Israele" a rilasciare il leader palestinese detenuto Marwan Barghouti, una mossa che, a loro avviso, potrebbe contribuire a rilanciare le prospettive per una soluzione duratura dei "due stati".
L'appello è arrivato dopo una riunione del consiglio direttivo a Londra di The Elders, il gruppo indipendente fondato da Nelson Mandela nel 2007 per promuovere la pace e i diritti umani. Il gruppo è presieduto dall'ex presidente colombiano e premio Nobel Juan Manuel Santos e include personalità come Mary Robinson, ex presidente dell'Irlanda; Helen Clark, ex primo ministro della Nuova Zelanda; e Graça Machel, combattente per la libertà del Mozambico e vedova di Mandela.
In una dichiarazione, The Elders ha condannato i recenti attacchi aerei di "Israele" sulla città di Gaza definendoli "una flagrante violazione dell'accordo di cessate il fuoco" e ha sollecitato una maggiore pressione internazionale su "Israele" affinché consenta l'ingresso di aiuti umanitari nell'enclave assediata, dove le condizioni restano catastrofiche.
La loro richiesta di liberazione di Barghouti è in linea con il crescente sostegno europeo alla sua liberazione, vista come un passo avanti verso la ripresa della frammentata politica palestinese e "per impedire ad Hamas di colmare il vuoto politico". Barghouti, da tempo sostenitore della soluzione dei "due stati", rimane il leader palestinese più popolare nei sondaggi d'opinione.
"I maltrattamenti, compresa la tortura, di Barghouti e di altri prigionieri palestinesi devono cessare", hanno affermato gli Anziani. "Israele deve rispettare i propri obblighi previsti dal diritto internazionale per salvaguardare i diritti dei prigionieri".
Il gruppo ha sottolineato che "solo il popolo palestinese ha il diritto di scegliere la propria leadership" e ha accolto con favore quello che percepisce come l'impegno del presidente Mahmoud Abbas a tenere elezioni monitorate a livello internazionale entro il prossimo anno.
Il Mandela palestinese
Spesso descritto dai suoi sostenitori come "il Mandela palestinese", Barghouti ha trascorso 23 anni nelle carceri israeliane. "Ha un ruolo fondamentale da svolgere come figura unificante, la cui reputazione di sostenitore della soluzione a due stati è cresciuta", hanno ricordato gli Elders, ricordando che il loro presidente fondatore, l'arcivescovo Desmond Tutu, ne aveva chiesto il rilascio già nel 2013.
La liberazione di Barghouti ha ricevuto il sostegno anche di alcune personalità politiche e della sicurezza israeliane, tra cui un ex direttore del servizio di sicurezza interna Shin Bet.
Il ruolo di Barghouti nella politica palestinese
Marwan Barghouti, uno dei principali leader del movimento Fatah, è ampiamente considerato una delle figure più importanti e rispettate della politica palestinese. Molti lo considerano un potenziale successore di Abbas e un simbolo di unità tra le fazioni politiche.
Barghouti è incarcerato dall'occupazione israeliana dal 2002 e sta scontando cinque ergastoli per accuse legate alla Seconda Intifada, iniziata nel 2000. Ha sempre negato le accuse e rifiuta l'autorità del sistema giudiziario israeliano, citando il suo status di membro del parlamento palestinese.
Nell'ultimo scambio di prigionieri tra Hamas e l'occupazione israeliana, che ha visto il rilascio di 1.968 detenuti palestinesi in cambio di 20 prigionieri israeliani, i negoziatori del gruppo della Resistenza hanno insistito con forza per l'inclusione di Barghouti. Nonostante i loro sforzi, l'occupazione israeliana si è rifiutata di rilasciarlo.
La continua detenzione di Barghouti rimane una questione centrale per molti palestinesi e il suo caso sta attirando sempre più l'attenzione internazionale, in particolare nel contesto dei diritti umani e della legittimità politica.
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 11:30:00 GMTDopo sei anni senza un vero faccia a faccia, Donald Trump e Xi Jinping si sono incontrati a Busan, in Corea del Sud, durante il vertice APEC, segnando un punto di svolta nei rapporti tra le due maggiori potenze mondiali. L’incontro, durato circa 100 minuti, si è concluso senza una dichiarazione congiunta ma con risultati concreti: riduzione dei dazi, accordo temporaneo sulle terre rare e impegni reciproci nel contenere la crisi del fentanyl.
Trump, che aveva minacciato di raddoppiare le tariffe sulle importazioni cinesi, ha deciso di dimezzarle, passando dal 20% al 10%, lodando Xi come “un grande leader di un grande Paese”. Pechino, dal canto suo, ha promesso di riprendere gli acquisti di soia statunitense e di collaborare nella regolamentazione delle esportazioni di minerali strategici.
Xi ha ribadito la necessità di “mantenere il giusto corso” nelle relazioni bilaterali, paragonando la cooperazione sino-statunitense a una “grande nave che deve navigare tra venti e onde”. Entrambi i leader hanno convenuto sull’importanza di rafforzare il dialogo economico, energetico e tecnologico, evitando un nuovo ciclo di ritorsioni.
Il presidente cinese ha sottolineato la forza dell’economia del suo Paese, cresciuta del 5,2% nei primi tre trimestri, e ha invitato Washington a condividere la responsabilità di “affrontare insieme le sfide globali”. Trump, entusiasta, ha definito l’incontro “una riunione da 12 su 10” e ha annunciato una prossima visita in Cina ad aprile, preludio a un rinnovato dialogo strategico che potrebbe ridisegnare gli equilibri del Pacifico e globali.
Tratto dalla newsletter quotidiana de l'AntiDiplomatico dedicata ai nostri abbonati
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 06:00:00 GMT
Durante il secondo giorno di lavori della Diciottesima edizione del Forum di Verona oraganizzato dall’Associazione italiana “Conoscere Eurasia”, in corso quest'anno ad Istanbul, è intervenuto l'ex premier italiano Romano Prodi. 
Intervistato dal giornalista Alessandro Cassieri, Prodi ha commentato l'accordo annunciato da Cina e Stati Uniti in Corea del Sud che pone fine alla guerra commerciale tra i due giganti. "Si è calmata la guerra dei dazi perché ciascuno ha mostrato al concorrente di avere armi così potenti da danneggiare l'altro senza avere vantaggi", ha dichiarato. "Si è trovato nel rinvio un compromesso e ormai credo che si vada verso un direttorio tra Cina e Stati Uniti nel futuro prossimo. Il mondo va verso un nuovo bipolarismo come ai tempi di Stati Uniti e URSS", ha continuato l'ex premier. "L'Europa è paralizzata in questo periodo storico e gli Stati Uniti per la prima volta nella storia recente hanno cambiato atteggiamento verso il nostro continente", sottolinea. 
Approfondendo la crisi che sembra irreversibile dell'Unione Europea, Romano Prodi ha commentato il suicidio europeo in modo molto duro. "Un allontamento dietro l'altro. Io ricordo che quando si trattava del dialogo con la Turchia ero convinto che la convergenza richiedesse tempo. Vedo che l'Ue con 27 paesi e il permanere del diritto di veto, l'unanimità ha determinato la paralisi. "Quando feci l'allargamento con 8 paesi che provenivano dall'URSS - non ci fu problema. Con l'Ue fai quello che vuoi il mio problema è la Nato mi dichiarava Putin", ha ricordato Putin. "L'allargamento ha portato alla paralisi con l'unanimità che ha determinato la stasi. Con l'unanimità non si gestisce neanche un condominio". 
Sul dialogo necessario per arrivare alla pace. "E' facile parlare con San Francesco. Il difficile è parlare con il lupo. Se non si parla con il lupo non si arriva alla pace. Quando ho visto colleghi interrogarsi se fosse giusto abolire gli studi di Dostojevsky ho pensato se non fossimo diventati tutti matti". E ancora: "La Turchia è stata promotrice di pace sull'Ucraina. Sono rimasto molto male che lo stesso sforzo non l'abbia fatto l'UE". 
Sul fatto che oggi i paesi baltici ("meno del 2% della popolazione UE" sottolinea il giornalista Cassieri) detengono nei fatti la politica estera e di difesa dell'Unione Europea: "Viviamo un percorso in direzione inversa da quella che vogliamo. Con l'unanimità un nano si sente un gigante. Voglio ricordare un episodio di quando ero presidente della Commissione: nel novembre el 2004 il più autorevole giornalista russo chiede a me e Putin quando la Russia sarebbe entrata nell'UE. Non se ma quando! Io risposi è troppo grande, avremmo bisogno poi di due capitalia, ma lavoreremo come wiskey e soda, Putin mi ha interrotto e detto no come vodka e caviale. In 20 anni abbiamo rovinato tutto!". La colpa di chi è? "La debolezza europea verso gli Usa e i nazionalismi sicuramente".
Presente nello stesso Panel il professore Bilal Erdogan che ha sottolineato come la Turchia sia crocevia di civiltà. "La nostra storia è fatta di migrazioni. L'Anatolia è culla di civiltà e abbiamo esperienza nel gestire le civiltà intorno a noi".  Sul Forum di Verona oggi in corso a Istanbul: "Questo Forum conosce bene i doppi standard che il mondo ha conosciuto verso di noi e verso la Russia. Siamo abituati alle guerre intorno a noi. Osserviamo le sanzioni imposte non solo contro il governo e le aziende russe. Ma anche sportivi e atleti russi. Poi c'è un genocidio che si sta svolgendo per mano israeliano a sud di noi -- come testimoniato dalle organizzazioni internazionali - ma non vediamo sanzioni. Non vediamo lo stesso atteggiamento verso gli sportivi israeliani. E' molto frustrante tutto questo". E ancora: "Questo doppio standard riflette anche la versione occidentale in Europa che manca di visione strategica".
"La mancanza di leadership sta costando caro agli amici europei. Spero che gli amici italiani, le imprese italiane sappiano fare pressione verso Bruxelles per migliorare le relazioni", ha proseguito. 
"Nel 2022 la Turchia ha fatto un lavoro per arrivare ad un accordo tra Russia e Ucraina. Siamo arrivati molto vicini proprio qui alla pace nel Bosforo", ha proseguito. "Ma poi sono arrivate pressioni sull'Ucraina per non accettare. Alcuni nell'UE hanno voluto mantenere la guerra in chiave anti russa". "Da diverse fonti ho sentito dire che Johnson ha fatto pressioni a Kiev per non accettare". 
"Sono stato in Georgia recentemente e ho visto che quel paese ha subito un atteggiamento molto simile a quell'Ucraina. La leadership viene vista come pro Russia anche se non hanno relazioni diplomatiche con Mosca da 17 anni e chiedono l'ingresso nell'UE. Tutto questo non ha senso", ha concluso. 
Erdogan ha poi commentato il tema della cultura. "Viviamo un'epoca di robot e dell'IA e ci chiediamo se conquisteranno la nostra vita. Stiamo perdendo la nostra natura umana, prendiamo decisioni sulla base di algoritmi. Tutto questo è contro la natura umana, la cultura, la compassione. Stiamo erodendo tutto questo e dobbiamo evitare il prossimo genocidio. Dobbiamo pretendenre che quello che è avvenuto in Palestina sia considerato un crimine e il paese che lo commesso paghi".
Negli ultimi anni l’informazione digitale ha conquistato uno spazio centrale nella vita quotidiana degli italiani. Se il 63% dichiara di informarsi più volte al giorno, l’interesse complessivo verso le notizie appare in calo rispetto al 74% registrato nel 2016, oggi fermo intorno al 40%. Questa dinamica riflette un uso intensivo ma più selettivo delle piattaforme, dove l’attenzione si frammenta tra contenuti brevi, social network e fonti tradizionali online. Il panorama informativo nazionale, pur in continuo mutamento, resta influenzato da nuovi formati e abitudini digitali.
La trasformazione digitale dei media si muove di pari passo con la ricerca di esperienze sempre più fluide, come dimostrano anche settori complementari alla comunicazione. Questa logica di efficienza richiama quella dei servizi online orientati alla trasparenza, come i casino non AAMS sicuri, dove parametri come payout, protocolli KYC, identità verificata e flussi di pagamento stabili contribuiscono alla fiducia dell’utente.
Analogamente, nel giornalismo digitale l’affidabilità e la sicurezza dei dati diventano fattori cruciali per fidelizzare il pubblico, garantendo che le piattaforme di news offrano una user experience chiara e tracciabile. La tecnologia, attraverso algoritmi di raccomandazione, analisi dei comportamenti e geolocalizzazione, consente di personalizzare i contenuti e ottimizzare la distribuzione, mantenendo al contempo standard di accesso paritari e tutela della privacy. La sfida consiste nell’equilibrare efficienza operativa e qualità informativa, evitando che la logica della velocità riduca la profondità dell’analisi.
I social network rappresentano oggi la porta d’ingresso principale verso le notizie per una larga parte della popolazione. L’immediatezza con cui il pubblico riceve aggiornamenti da più fonti amplifica la percezione di essere costantemente connessi, ma complica la distinzione tra informazione e opinione. Le redazioni tradizionali hanno adattato la loro presenza online privilegiando la distribuzione multicanale, il live reporting e i formati brevi, per intercettare l’attenzione di utenti sempre più mobili.
Gli algoritmi determinano la visibilità dei contenuti sulla base dell’engagement, contribuendo a creare ecosistemi informativi polarizzati. In questo contesto, la verifica delle fonti e la trasparenza redazionale diventano elementi strategici, così come la chiarezza su eventuali processi di moderazione e sponsoring.
La fruizione delle notizie è passata da un modello passivo, basato sulla lettura lineare, a un modello partecipativo. Commenti, condivisioni e reazioni in tempo reale modificano la struttura del discorso pubblico e moltiplicano i punti di vista. Tuttavia, la crescente interazione non equivale necessariamente a una maggiore consapevolezza critica.
Molti utenti partecipano alle conversazioni digitali guidati da emozioni o appartenenze, più che da valutazioni informative. Le piattaforme hanno introdotto strumenti per promuovere la qualità dei dibattiti, ma la diffusione di contenuti virali continua a prevalere sulle analisi approfondite. Il giornalismo di dati, la spiegazione visuale e i podcast giornalistici cercano di ristabilire un legame tra tempo di lettura e comprensione, puntando su linguaggi più narrativi e accessibili.
La fiducia nel sistema dell’informazione rimane un elemento fragile. Le fake news e la disinformazione sistematica hanno eroso parte della credibilità delle testate, anche per la difficoltà di distinguere tra fonti professionali e contenuti autoprodotti. Molte redazioni stanno investendo in sistemi di fact-checking integrati, collaborazioni con università e codici di condotta condivisi.
La trasparenza sugli autori, l’indicazione delle correzioni e la pubblicazione dei dati di provenienza contribuiscono a ristabilire un rapporto di responsabilità con il lettore. In parallelo, cresce la richiesta di piattaforme che rendano riconoscibili le fonti e riducano la diffusione di contenuti ingannevoli, valorizzando l’affidabilità come vantaggio competitivo nell’economia dell’attenzione.
L’informazione digitale dipende in larga misura dai ricavi pubblicitari e dalla gestione dei dati. Gli editori analizzano metriche come tempo di permanenza, frequenza di clic e segmentazione demografica per calibrare la produzione dei contenuti. Tuttavia, la dipendenza dalle inserzioni limita spesso l’autonomia redazionale.
I modelli in abbonamento, le donazioni dirette e i portali paywall offrono alternative sostenibili, ma richiedono un impegno costante nel garantire qualità e originalità. Anche la regolamentazione europea sulla protezione dei dati impone nuovi criteri per la raccolta e l’uso delle informazioni personali, spingendo i media verso una maggiore responsabilità digitale. La sfida è generare fiducia mantenendo un equilibrio tra redditività e valore pubblico.
Il futuro dell’informazione digitale in Italia dipende dalla capacità collettiva di educare alla lettura critica delle notizie e di sviluppare competenze mediatiche. Le scuole, le università e i centri culturali stanno introducendo programmi di alfabetizzazione digitale per aiutare le nuove generazioni a comprendere il funzionamento degli algoritmi, l’importanza della verifica e i meccanismi di persuasione visiva. Le redazioni, dal canto loro, sperimentano format interattivi e laboratori di data journalism per instaurare un dialogo più diretto con i lettori. Il pubblico, consapevole del proprio ruolo nell’ecosistema informativo, diventa attore nella costruzione di una cittadinanza digitale più consapevole e partecipata. In questo equilibrio fra tecnologia, etica e comunicazione, si gioca la qualità dell’informazione di domani.
Data articolo: Fri, 31 Oct 2025 06:00:00 GMT
E' in corso il XVIII Forum Economico Euroasiatico di Verona ospitato quest'anno dalla città di Istanbul. Vi proponiamo la sintesi del discorso di apertura del suo fondatore e ideatore, il prof. Antonio Fallico
Dalla redazione di Pluralia*
Il Forum Economico Eurasiatico di Verona è nato nel 2007 per favorire il dialogo tra i protagonisti dello sviluppo economico, sociale e politico della vasta area Eurasiatica. Il prestigioso evento annuale, accompagnato da numerose sessioni itineranti, offre la possibilità del dialogo permanente sul ruolo dell’Eurasia, sulle prospettive e soprattutto sulla finalità della stessa economia in un contesto storico nell’ormai lontano 2007 prefigurava cambiamenti geopolitici strutturali.
Nel suo discorso programmatico, pronunciato alla Sessione di apertura della Diciottesima edizione del Forum di Verona il fondatore e presidente dell’Associazione italiana “Conoscere Eurasia”, il Professor Antonio Fallico (nella foto) ha sottolineato che “questo dialogo è sempre stato aperto a tutti i rappresentanti del business e delle istituzioni, indipendentemente dalla loro collocazione geografica, dalla loro appartenenza geopolitica e dalla loro adesione a schieramenti anche militari”.
“In modo particolare – ha sottolineato il Professor Fallico – dai lavori dei Forum svolti in questi anni è emersa l’esigenza, considerato il loro attuale ruolo demografico, economico e geopolitico, di dare voce anche ai Paesi BRICS e quelli dell’Unione Economica Eurasiatica. E al tempo stesso abbiamo constatato la necessità che l’economia debba essere finalizzata soprattutto alle esigenze dell’uomo e agli interessi di tutti gli stakeholders e non soltanto al profitto e a beneficio degli shareholders, per non incrementare ulteriormente le enormi diseguaglianze sociali che trasversalmente colpiscono il nostro pianeta, Europa ed Asia, Est e Ovest”.
La Turchia e il suo ruolo politico ed economico nel mondo
Non deve sorprendere che sia stata proprio la Turchia a spalancare le sue porte per ospitare la Diciottesima edizione del Forum Economico Eurasiatico di Verona. Il Paese è diventato uno dei fari del sistema internazionale, con un grande potenziale politico ed economico. Questa evoluzione è stata possibile grazie alla lungimiranza di Ankara, che ha saputo trovare un equilibrio tra interessi e pressioni, traendo vantaggio dalla sua posizione geografica e da un’azione diplomatica mirata a ottenere un ruolo rilevante nel contesto globale. La Turchia esercita una notevole influenza nel mondo turcofono, ma anche in Medio Oriente e persino nel Corno d’Africa, dove agisce come garante della sicurezza.
I cambiamenti geopolitici degli ultimi tre anni hanno giocato a favore della Turchia. Invece di allinearsi a una linea dettata da lontano, ha agito in modo indipendente, sfruttando la nuova configurazione internazionale, traendone vantaggio anche economico. Grazie alla sua posizione, Ankara è diventata indispensabile per l’Occidente, la Russia e la Cina. La sua sagacia politica la sottrae a pressioni esterne e, come ha detto il Presidente Erdo?an, il suo modello consiste nel “mantenere buoni rapporti con le varie parti”. Per questo non sorprende che la Turchia presenzi ai vertici della NATO, ma anche a quelli dei BRICS e della Shangai Cooperation Organization.
L’economia turca riflette questa dinamicità. La Turchia produce l’1,1% del PIL mondiale e, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, il suo tasso di crescita reale medio dal 2011 al 2024 è stato del 5,5%. Questo significa che il PIL reale è aumentato del 110% nel periodo, più che raddoppiando la sua dimensione. I fondamentali economici, al netto di un’inflazione stimata in calo, sono solidi: il rapporto tra debito e PIL è al 26% e il disavanzo delle partite correnti è solo dell’1,2%. È un Paese con grandi possibilità di espansione, libero dal fardello del debito pubblico che pesa sulle economie europee.
Questa situazione ha favorito un notevole incremento del commercio estero. Le importazioni sono cresciute da 271 miliardi di dollari nel 2021 a 360 miliardi nel 2023. Nei primi sette mesi del 2025, gli scambi commerciali hanno raggiunto i 368,6 miliardi di dollari, con importazioni per 212,2 miliardi ed esportazioni per 156,4 miliardi.
Le relazioni bilaterali tra l’Italia e la Turchia si fondano su una solida base economica. Nel 2024, l’interscambio ha raggiunto i 25,3 miliardi di euro, con un incremento del 3,4% rispetto all’anno precedente.
L’Italia è il quinto partner commerciale della Turchia per importazioni e il quarto per esportazioni, con una forte complementarità in settori ad alta tecnologia come l’automotive, la meccanica strumentale e la difesa.
Nel 2024, le esportazioni italiane sono cresciute del 23,9%, raggiungendo i 17,6 miliardi di euro, mentre l’import turco in Italia ha superato per la prima volta i 12 miliardi. Nel primo semestre del 2025, l’interscambio ha già raggiunto i 13,9 miliardi di euro.
Circa un quarto delle forniture italiane al mercato turco è costituito da meccanica e beni strumentali. Il 10% riguarda gli autoveicoli. Le imprese turche, a loro volta, forniscono all’Italia principalmente merci della categoria automotive (circa un quarto delle vendite totali) e prodotti metallurgici (10%). Purtroppo, negli investimenti diretti esteri l’Italia è molto indietro rispetto a partner europei come Germania e Gran Bretagna, con una quota del 3-4% circa. Ciononostante, la presenza di imprese italiane in Turchia è significativa, con oltre 430 aziende e un fatturato complessivo di 18,5 miliardi di euro.
 
Tuttavia, il contesto economico globale rimane incerto. Il mercato globale tende a frammentarsi in aree regionali, le catene di approvvigionamento vengono interrotte, i costi salgono e si formano nuove zone preferenziali. In questo scenario, stiamo assistendo all’ascesa del Sud Globale, che inizia ad avere un peso notevole e a fare scelte indipendenti. Spesso si è tentato di semplificare questa nuova realtà come “anti occidentale”. È un grave errore. Non è contro l’Occidente, ma senza l’Occidente. Non per antagonismo, ma perché l’Occidente ha voluto continuare a imporre le proprie scelte senza tener conto delle evoluzioni in corso.
Il Sud Globale sta cercando nuovi meccanismi di interazione basati sul dialogo a 360 gradi e sulla ricerca di soluzioni condivise. Il più forte non impone la sua volontà agli altri; si crea un consenso. Questo principio fa la forza dei Paesi BRICS, che attraggono decine di nazioni. È un processo che aiuta anche nazioni concorrenti, sotto la pressione esterna, a incontrarsi e organizzarsi.
Insomma, è il momento per il dialogo e la condivisione. L’Occidente dovrebbe aderirvi, non opporsi. Il Sud Globale non è anti occidentale, ma “pro Sud Globale”, e ormai ha i mezzi per promuovere le sue aspirazioni.
La Turchia che ci ospita è, in questa prospettiva, un Paese particolarmente importante. Fa parte della NATO, ma presenzia ai vertici di BRICS e SCO, dialoga con molti e fa da mediatore. È un esempio di come bisognerebbe procedere per cercare soluzioni e intese. Anche se non sempre si riesce a trovarle, questa ricerca, in sé, aiuta a capire e a rispettare, a forgiare il nuovo mondo in gestazione.
“Il tempo è ormai maturo per il dialogo. È la necessità assoluta dei nostri giorni. Il luogo è ideale: Istanbul, unica città al mondo su due continenti. L’azione, ora, spetta a noi. Senza pretendere di smuovere le placche tettoniche della geopolitica, cominciamo a scambiarci idee e visioni per promuovere la diplomazia del progresso economico e sociale e per costruire un futuro di prosperità e di pace”, ha detto in conclusione il presidente dell’Associazione italiana no profit “Conoscere Eurasia”, il Professor Antonio Fallico.
*Fonte originale: https://pluralia.com/a/dal-forum-economico-eurasiatico-un-appello-a-pace-dialogo-e-condivisione/
di Fabrizio Verde
A sessantacinque anni dalla sua nascita, avvenuta nel sobborgo povero di Villa Fiorito, la figura di Diego Armando Maradona continua a proiettare un’ombra lunga e potente, che va ben oltre i confini di un campo di calcio. Celebrarlo significa sì ricordare il più grande giocatore di tutti i tempi, l’artefice di gesti tecnici divini e di imprese sportive eterne, ma significa soprattutto onorare l’uomo che, senza paura e senza calcoli, ha sfidato i potenti del mondo, facendosi voce dei senza voce e bandiera degli oppressi.
Diego era la pura essenza del calcio, un genio assoluto. Dalle prime luci della ribalta con i Cebollitas alla rivelazione con l'Argentinos Juniors, dalla gloria con la maglia del Boca e del Napoli in Italia, alla consacrazione mondiale in quel Messico ’86, dove sigillò per sempre il suo mito con due gol che sono archetipi della storia umana: uno, il più bello di sempre, un inno alla sovrumana perfezione; l’altro, "la mano de Dios", il gesto scaltro del ragazzo di periferia che, per un attimo, beffa il potere costituito. Una sorta di vendetta contro gli odiati inglesi che tante sofferenza avevano causato agli argentini con la guerra delle Malvinas, E fu proprio al Napoli, in una città ricca di storia e cultura, orgogliosa ma umiliata in maniera indecente dal Nord Italia, che Maradona divenne un simbolo politico. Non fu solo il capitano che portò due scudetti in una piazza dove era fino a quel momento ritenuto quasi impossibile vincere; fu il paladino che si ergeva a difesa della città e del suo popolo, sfidando il razzismo e il pregiudizio di un establishment che disprezzava il Sud.
Ma la sua rivoluzione non si fermò alla città di Napoli. Maradona, con la stessa determinazione con cui dribblava gli avversari, sfidò l’imperialismo a viso aperto. La sua amicizia con Fidel Castro e la sua adesione alla causa cubana non furono un capriccio da star, ma una scelta di campo precisa. Fu in prima fila, al fianco di leader come Hugo Chávez, nella protesta di massa a Mar del Plata nel 2005 che affondò l’ALCA, l’accordo di libero scambio con cui gli Stati Uniti intendevano estendere la loro egemonia sull’America Latina. In quel "No al ALCA" urlato assieme ai popoli, c'era tutta la sua essenza: la ribellione contro un sistema ingiusto.
Il suo impegno non conobbe confini. Si schierò con il popolo palestinese, riconoscendo in quella lotta la stessa ricerca di giustizia che animava tutti i sud del mondo. E, fino agli ultimi giorni, non abbandonò il Venezuela. Come ha rivelato il presidente Nicolás Maduro, Maradona non si limitò a parole di solidarietà. Di fronte alle draconiane sanzioni statunitensi che strozzavano l’economia venezuelana, privando la popolazione di beni essenziali, Diego si mosse in segreto. «Nicolás, ti aiuterò a risolvere quel problema», disse. E mantenne la promessa, collaborando concretamente per portare cibo al popolo venezuelano, aggirando con coraggio il blocco illegale.
Questa è l'eredità più grande di Diego Armando Maradona. Quella dell’uomo che, pur vivendo come una celebrità mondiale quale era, non tradì mai le sue origini, la sua rabbia, la sua profonda umanità. Un uomo complesso, fragile e potente come un eroe greco, che ha usato la sua fama immensa non per comprarsi un posto al tavolo dei potenti, ma per dare forza a chi un tavolo non ce l’ha mai avuto.
Oggi, in un mondo sempre più omologato e silenzioso, la sua voce manca più che mai. Perché Diego era la voce scomoda e necessaria della verità. Onore al più grande. E onore al rivoluzionario.
Data articolo: Thu, 30 Oct 2025 17:17:00 GMT
Cina e Stati Uniti hanno raggiunto un nuovo accordo per alleggerire la tensione commerciale tra le due potenze economiche, annunciando una serie di sospensioni e aggiustamenti reciproci sui dazi e sulle misure restrittive. L’intesa, emersa al termine dei colloqui economici e commerciali svoltisi in Malaysia il 25 e 26 ottobre, segna un passo avanti significativo nel difficile percorso di normalizzazione dei rapporti bilaterali, segnati negli ultimi anni da una crescente conflittualità tariffaria e tecnologica.
Secondo quanto reso noto dal portavoce del Ministero del Commercio cinese (MOFCOM), gli Stati Uniti si sono impegnati ad abolire la cosiddetta “tassa al 10% sulla fentanyl” – una misura introdotta con motivazioni legate al controllo delle droghe ma ampiamente criticata da Pechino – e a sospendere per un ulteriore anno i dazi reciproci del 24% applicati su una vasta gamma di prodotti cinesi, inclusi quelli provenienti dalle regioni amministrative speciali di Hong Kong e Macao. In risposta, la Cina ha annunciato di adeguare di conseguenza le proprie contromisure tariffarie, mantenendo un approccio proporzionato e cooperativo.
L’accordo si estende anche al delicato ambito delle restrizioni all’esportazione. Washington ha deciso di sospendere per un anno l’applicazione di una nuova norma, annunciata il 29 settembre, che estendeva le limitazioni della cosiddetta “entity list” a qualsiasi entità detenuta per almeno il 50% da soggetti già inclusi nell’elenco. Parallelamente, Pechino ha sospeso per lo stesso periodo alcune misure di controllo sulle esportazioni annunciate il 9 ottobre, impegnandosi a rivederne e perfezionarne i dettagli operativi.
Un ulteriore fronte di distensione riguarda il settore marittimo e della logistica. Gli Stati Uniti hanno accettato di congelare per un anno le misure adottate nell’ambito dell’indagine Section 301, mirate alle industrie cinesi della cantieristica e dei trasporti marittimi. La Cina, a sua volta, ha confermato che sospenderà le contromisure corrispondenti non appena entrerà in vigore la decisione statunitense.
Oltre alle questioni tariffarie, le delegazioni hanno trovato un terreno comune su temi sensibili come la cooperazione antidroga – in particolare sul controllo del fentanyl – l’espansione degli scambi agricoli e la gestione di casi specifici riguardanti imprese dei due Paesi. È stato inoltre ribadito l’impegno a dare seguito agli esiti dei precedenti colloqui di Madrid, dove gli Stati Uniti avevano già espresso aperture in ambito investimenti, mentre la Cina si era detta disponibile a risolvere in modo costruttivo la questione relativa a TikTok.
Per Pechino, l’esito dei negoziati di Kuala Lumpur rappresenta una vittoria della diplomazia economica basata su “uguaglianza, rispetto reciproco e beneficio comune”. Il portavoce del ministero del Commercio di Pechino ha sottolineato come i risultati raggiunti siano “frutto di un lavoro difficile” e abbia espresso la speranza che entrambe le parti collaborino per garantirne l’effettiva attuazione, contribuendo così a rafforzare la stabilità non solo dei rapporti bilaterali, ma dell’intera economia globale.
Esperti cinesi hanno accolto con favore l’intesa, definendola un segnale incoraggiante in un contesto internazionale segnato da crescenti incertezze. Zhou Mi, ricercatore senior presso l’Accademia cinese per la cooperazione commerciale e economica internazionale, ha osservato che l’accordo “ha rafforzato la fiducia dei mercati e ha generato aspettative positive”, nonostante le numerose sfide che continuano a gravare sui rapporti tra Washington e Pechino.
Ying Pinguang, preside della Scuola di negoziazione commerciale dell’Università di Shanghai per gli affari internazionali ed economici, ha ricordato che i legami economici tra Cina e Stati Uniti, maturati in decenni di integrazione, non possono essere spezzati da muri tariffari. “Le tariffe aggiuntive non riducono il deficit commerciale statunitense – ha affermato – ma destabilizzano le catene globali del valore, generando panico tra gli investitori e danni a entrambe le economie”. Per Ying, la strada maestra per risolvere le frizioni commerciali resta il tavolo negoziale: “La cooperazione economica tra Cina e Stati Uniti non è solo il contrappeso dei rapporti bilaterali, ma anche la pietra angolare della stabilità economica mondiale”.
Resta adesso da vedere se questa tregua commerciale potrà resistere alle pressioni politiche interne e alle complessità geopolitiche che continuano a influenzare il rapporto tra le due superpotenze.
Data articolo: Thu, 30 Oct 2025 16:48:00 GMTIl Ministro della Difesa venezuelano, Vladimir Padrino López, ha annunciato la neutralizzazione di due "aeronavi del narcotraffico" nello spazio aereo nazionale. Con questi ultimi episodi, salgono a 23 gli aerei del narcotraffico messi fuori uso nel 2025.
Vladimir Padrino López,
— Consulado de Venezuela en Canarias (@conscanarias_ve) October 30, 2025
Ministro del Poder Popular para la Defensa de Venezuela:
"Con las dos aeronaves neutralizadas ayer, ya son 23 aeronaves del narcotráfico inutilizadas durante el 2025. El narcotráfico, por Venezuela, ¡NO PASARÁ! ...
Más:https://t.co/sQqpfb2bqw pic.twitter.com/tP8gU8PzOy
Il Presidente Nicolás Maduro ha definito l'operazione un atto di sovranità, affermando che gli aerei provenivano "dal Nord". Caracas ha dichiarato che il paese non diventerà una rotta per rifornire il mercato della droga statunitense, ribadendo che le minacce militari degli USA contro il Venezuela siano motivate da questa politica anti-droga, e non dalla volontà di combattere i cartelli.
L'amministrazione Maduro accusa Washington di utilizzare la lotta al narcotraffico come pretesto per una campagna di pressione militare e politica, finalizzata a impadronirsi delle risorse naturali del paese sudamericano.
Data articolo: Thu, 30 Oct 2025 16:17:00 GMTMosca si schiera al fianco di Caracas nel confronto sempre più teso con Washington. La Russia ha dichiarato la propria disponibilità a rispondere alle richieste del Venezuela, tenendo conto delle "minacce esistenti e potenziali". L'annuncio è giunto dalla portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che nel corso di una conferenza stampa ha sottolineato come le due nazioni continueranno a lavorare "gomito a gomito, guardando al futuro con serenità e fiducia". "Abbiamo superato molte difficoltà e siamo preparati per qualsiasi eventualità", ha concluso.
La presa di posizione di Zakharova arriva in risposta a domande su come Mosca intenderebbe reagire alle minacce statunitensi contro il governo venezuelano, nell'ambito dell'accordo di partenariato strategico che lega i due paesi. Un sostegno che non si limita alle dichiarazioni, come evidenziato dal ringraziamento del presidente Nicolás Maduro a Mosca per l'aiuto fornito in termini di equipaggiamenti militari "per garantire la pace".
Sul tema è intervenuto anche il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha ribadito la posizione di principio della Russia, definendo il Venezuela "uno Stato sovrano" e affermando che qualsiasi azione concernente il paese sudamericano deve essere condotta "in conformità con lo spirito e le leggi del diritto internazionale".
La tensione nella regione rimane alta. Caracas accusa da mesi gli Stati Uniti di condurre una "guerra multiforme" finalizzata a un cambio di regime. Il presidente Maduro, in dichiarazioni risalenti a settembre, ha denunciato una "aggressione armata" orchestrata da Washington con l'obiettivo di imporre un governo "fantoccio" e appropriarsi delle immense risorse naturali venezuelane, dal petrolio all'oro.
La retorica si è ulteriormente inasprita dopo l'ammissione del presidente americano Donald Trump di aver autorizzato la CIA a condurre operazioni coperte in territorio venezolano. Maduro ha replicato con sarcasmo, chiedendosi chi potesse credere che l'agenzia di intelligence non fosse già attiva da decenni nel paese.
Intanto, sul piano militare, la Forza Armata Nazionale Bolivariana ha avviato esercitazioni nelle zone costiere per affinare la preparazione e fronteggiare quelle che vengono percepite come minacce esterne dirette, in particolare dopo il minaccioso schieramento di agosto della marina militare USA al largo delle coste venezuelane, giustificato ufficialmente come lotta al narcotraffico. Una presenza militare che Caracas denuncia come un'ulteriore intimidazione in una guerra che, secondo Maduro, è già in corso su più fronti, incluso quello comunicativo.
Data articolo: Thu, 30 Oct 2025 16:00:00 GMTIl paragone è forte, ma chiarisce subito la posta in gioco: immaginare che all’indomani della liberazione di Auschwitz i sovietici avessero costruito un casinò sarebbe stato disumano. Eppure, questa stessa realtà distopica è quella che si sta preparando per Gaza. A denunciarlo è il giornalista Antonio Mazzeo, intervistato da l'AntiDiplomatico.
Mentre la popolazione palestinese tenta di sopravvivere tra le macerie e alla fame, i piani per la “ricostruzione” della Striscia non hanno nulla a che fare con aiuti umanitari o giustizia. Si parla, invece, di un “piatto miliardario” che fa gola a multinazionali, governi e fondi di investimento. Un progetto che punta a trasformare ampie zone di Gaza in una “grande città sul mare con alberghi e casinò 5, 6, 7 stelle” per la ricca borghesia araba, i petrolieri e le lobby occidentali.
In questo macabro business, l’Italia non è uno spettatore, ma un attore pronto a contendersi la torta. Come riporta un articolo della rivista Futures, citato nell'intervista, sono diverse le aziende italiane che non vedono l’ora di mettere le mani sui circa 50-70 miliardi di dollari stimati per questo progetto.
Tra i nomi coinvolti spiccano colossi del sistema delle grandi opere: Webuild, Ansaldo Energia, Cyperemm, Mariem e Prysmian (per i cavi di alta tensione). A queste si aggiungono aziende del settore immobiliare e dello sgombero macerie.
Secondo Mazzeo, il silenzio di queste aziende è assordante: "Nessuno ha smentito, nessuno ha detto 'non ci interessa'". Questa ricostruzione, sottolinea, non sarà "dal basso" né rispettosa dei diritti umani, ma un'operazione speculativa che calpesta l’autodeterminazione del popolo palestinese.
La domanda sorge spontanea: perché proprio l’Italia sarebbe in una posizione così privilegiata?
La risposta, secondo l’analisi di Mazzeo, è nella regia del governo Meloni. In questi due anni di genocidio, l’esecutivo ha sostenuto Israele "direttamente, con operazioni finanziarie, con la prosecuzione dell’export di armi". A fare grandi affari sono stati anche gruppi a capitale pubblico come Leonardo (armi) ed Eni (gas).
La logica è cinica e spietata: "Abbiamo fatto il nostro dovere, abbiamo sostenuto il genocidio, ci siamo macchiati le mani del sangue del popolo palestinese e allora benvengano gli affari".
Il business di Gaza non coinvolge solo l’Occidente. Da una parte, petromonarchie come Arabia Saudita e Qatar, che formalmente denunciano i crimini israeliani, dall’altra hanno "aumentato enormemente le proprie relazioni militari e l’interscambio di sistemi d’arma con Israele".
Dall’altra parte dell’oceano, l’amministrazione Trump gioca un ruolo chiave. La nomina dell’immobiliarista miliardario Steve Witkof come inviato speciale per il Medio Oriente è un segnale chiaro. Già all’inizio del suo mandato, Trump aveva diffuso un video (realizzato con intelligenza artificiale) che mostrava proprio un piano per trasformare Gaza in un grande resort.
La cosiddetta "tregua" viene descritta come fragile, insostenibile e funzionale a calmare le immense proteste di piazza che hanno scosso il mondo. Israele, osserva Mazzeo, controlla ancora il 57% del territorio di Gaza e continua a usare cibo, acqua e farmaci come armi.
Proprio la mobilitazione globale è indicata come una delle poche forze in grado di contrastare questa deriva. Le missioni della Freedom Flottilla, nonostante i volontari subiscano torture e trattamenti disumani (come raccontato da alcuni italiani), rappresentano la determinazione della società civile a rompere l’assedio e a non essere complice dello sterminio.
Il messaggio finale è un monito: se il genocidio e l’annessione dei territori palestinesi venissero portati a compimento, si creerebbe un precedente storico che cancellerebbe il diritto internazionale, "riportando l'umanità all'età della pietra".
Data articolo: Thu, 30 Oct 2025 15:22:00 GMT