NEWS - prima pagina - NEWS - politica - NEWS meteo

Cliccando su i link posti di seguito, si aprirà la pagina delle news relativa al titolo del link stesso


News lantidiplomatico.it

News lantidiplomatico.it

Il Principe
Omertà e falsità in Italia e in Occidente. Quando le istituzioni ed i media mettono a repentaglio la vita democratica

 

di Giuseppe Giannini

La maggioranza dei media nostrani, in particolare le tv, sono diventati talmente complici del potere, da metterne a disposizione persone e mezzi. L'imparzialità e la deontologia sono state sacrificate. Viene meno la trasparenza nella diffusione delle notizie e, soprattutto, il pluralismo dell'informazione, cardine della vita democratica per il pubblico. Sono questi i canali privilegiati - i giornali delle destre e La Repubblica, le reti Mediaset, Rai Uno e Rai Due, nemmeno La7 fa eccezione - e servono a dividere masse sempre più ignoranti e desocializzate, ad incattivirle, ed  a diffondere l'odio (insieme ai social network).

Ogni centro di potere – economico, politico, culturale – tende a stringere solidi legami con il mondo della comunicazione, decidendo quali news far circolare ed in che modo. Vi sono poi i governi che, pur operando per interessi sovranazionali, cercano di rifarsi all'interno fingendo di agire per il bene (comune) del Paese. Giova ricordare che, all'interno dello Stato, le differenti classi sociali non hanno un interesse unico, ma esse sono contrapposte nel perseguimento o miglioramento degli stessi (il conflitto), e che, solo per mezzo della Costituzione, trovano una stabile pacificazione (compromesso tra le ideologie socialiste e liberali).

Lo scopo principale degli esecutivi italiani del dopo Tangentopoli è stato quello di cogliere l'occasione storica data dalla ridefinizione degli assetti, attraverso un'opera di restyling più adatta al profondo mutamento (sconvolgimento) dei tempi (il crollo dei regimi dell'Est). Accaparrare più settori del potere nazionale,  stringere amicizie influenti in ambito internazionale, al di fuori delle stanze adibite a prendere le decisioni politiche, hanno fatto parte di quella strategia portata dal cambiamento agevolato dalla "fine della storia". Anche a discapito delle prerogative statali, tanto che la cessione di parte della sovranità, le privatizzazioni, la finanziarizzazione dell'economia, rientrano nello schema di chi si limita a svolgere il compitino dettato da altri.

Per questo, vediamo sfilare sugli schermi delle tv ambigui soggetti definiti rappresentanti politici. Sono gli esponenti dei partiti, che nei tg lanciano i loro spot. Ricordano tanto i bravi scolaretti di una volta, che recitavano la poesia a memoria di fronte alla classe, e che hanno come unico scopo quello di magnificare l'operato dei loro leader. Senza un briciolo di dignità, rendendosi ridicoli nella spettacolarizzazione di provvedimenti di dubbia portata. Corredati da statistiche e dati disagreggati, suffragati da opinion maker al servizio di editori sul libro paga della politica. In questo modo le non notizie diventano scoop.

Nessuno si sottrae al gioco della distorsione dei fatti. Le istituzioni diventano complici dell'alterazione della realtà. Il Presidente.della Repubblica, il cui ruolo richiederebbe sobrietà ed equilibrio, quando le vicende interne e quelle internazionali sono particolarmente delicate, è diventato celebre in questi anni, oltre che per i continui ricevimenti degli sportivi (il nuovo oppio dei popoli, altro che forma di integrazione culturale, o sarà il recupero di una certa mitologia fascista volta a magnificare l'orgoglio nazionale?), per delle esternazioni fuorvianti. Citando, continuamente, l'invasione ucraina da parte della Russia, come se fosse un evento a se stante. Al punto di diventare insopportabile, al pari di certe pubblicità invasive.

Oggi, dopo due anni di sterminio a Gaza, dice di essere preoccupato per i bambini vittime della guerra, senza specificare, ma accennando vagamente a Gaza (e la Cisgiordania?). C'ha messo un pò ad accorgersene o forse è la drammatica evidenza dei fatti, malgrado censure e repressione, che l'hanno spinto a proferire parola? Una solerzia che invece non è mancata nel caso ucraino. Ma qui entrano in gioco gli interessi geopolitici. Esistono crimini fomentati dall'Occidente o che non hanno la stessa importanza mediatica. Fino a che il corso stesso degli eventi farà in modo che diventino "notizia del giorno". Con buona pace dei tanti negazionisti del mondo dei partiti e della (dis)informazione.

E' il caso del genocidio subito dalla popolazione palestinese, rifiutato, ma non nel senso di aver fatto tutto il possibile per evitarlo, ma in quanto escluso dal linguaggio considerato politicamente corretto. Sono tanti gli pseudo-giornalisti liberi e gli esponenti dei partiti, che dinnanzi alla questione tergiversano o addirittura chiamano in causa l'Olocausto e  la strage di Hamas. Ancora adesso si arrampicano sugli specchi. Fanno finta di condannare Israele, però lo sostengono con gli accordi, e con la tesi secondo cui siccome Hamas governa Gaza (dove ha vinto le elezioni) è responsabile anche delle uccisioni dei civili. Quindi è stata rasa al suolo una città e sono stati ammazzati i civili in fuga solo per dare la caccia ai terroristi? E la piccola Hind uccisa in macchina dai soldati israeliani? Vuoi vedere che nel bagagliaio c'era qualche pericoloso fanatico? E le uccisioni delle persone in fila per gli aiuti umanitari? L'intelligence sionista avrà pensato bene di sparare in mezzo alla folla, magari tra essa ci poteva sempre stare qualche jihadista. Un'altra versione è quella di voler liberare gli ostaggi. Già qualche mese dopo il loro sequestro, i famigliari ed ex membri dell'esercito ammonivano il governo di estrema destra, di fermarsi. Ed ancora oggi le loro proteste non vengono ascoltate. Poi ci sono i ritardatari dell'ultima ora. Quelli che si puliscono la bocca parlando di due popoli e due Stati.

Quando pensano allo Stato palestinese fanno riferimento ai territori del 1948, agli accordi di Oslo del 1993 o a quello che rimane nella sottile Striscia? E quando, in Italia, attaccano alcuni manifestanti per la violenza degli slogan, bisognerebbe dire che una cosa sono le parole altro i fatti, o meglio i crimini che, apertamente, l'esecutivo sionista porta avanti. Rafforzati dall'esplicita volontà condivisa con i coloni, i fanatici religiosi e le potenti lobby ebraiche, che condizionano le politiche in America ed Europa. Infatti, dicono che, cacciando  i palestinesi, vogliono iniziare a recuperare la Terra Promessa dalle scritture bibliche, e che tocca i Territori Palestinesi, il Libano, la Siria, e parte della Giordania. Una guerra di conquista dichiarata ma che i nostri governi cercano di giustificare in tutti i modi, insieme ai loro zerbini della propaganda mediatica. I difensori dell'integralismo messianico presenti nei talk show demenziali, provocatori seriali come i Capezzone, Belpietro, Senaldi, Molinari, Sechi, Picierno ecc., nonchè i membri del governo amico di Netanyahu, affermano che in Italia sono state consentite tante manifestazioni pro Palestina, senza limitazioni e divieti. Vorrei ricordare loro che solo pochi mesi fa la bandiera palestinese era bandita dal Giro d'Italia. E poi vi sono stati diversi episodi in cui le forze dell'ordine hanno fermato cittadini che la sventolavano o la appendevano come forma di solidarietà.

Gli stessi divieti e censure che per quasi due anni hanno coinvolto università, intellettuali, esponenti delle organizzazioni internazionali.

Le proteste e le manifestazioni però hanno assunto una dimensione tale, in tutto il mondo, che non bastano più i manganelli ed i controlli spropositati per impedirle. La repressione delle voci contrarie, per certi versi, avviene anche nel caso del conflitto Nato/Ucraina-Russia. Gli stessi esecutori e tifosi dello squilibrio globale (gli USA, la UE, i governi europei e la stampa mainstream) che ora fanno finta di essere scandalizzati dalle affermazioni russe, secondo le quali la Nato è da tempo in guerra contro il loro Paese. D'altro canto, come avrebbe fatto a resistere l'Ucraina senza l'appoggio militare ed economico (logistico, l'intelligence) dei membri dell'Alleanza Atlantica? Affermare ciò che è ovvio diventa una provocazione (come i droni?) per i manovratori della narrazione, che mentono sapendo di mentire. Il loro scopo è chiaro, continuare a diffondere la paura, e "stimolare" le politiche di guerra, magari chiedendo aiuto ad un navigato scompigliatore delle economie come Mario Draghi. Un dato, però, è inopinabile: la crescente tensione degli ultimi anni è diventata la scusa per mettere le mani sul sistema delle libertà dei governati. Con la limitazione dei diritti, della circolazione delle idee e del dissenso.

Con la predisposizione di provvedimenti autoritari ad hoc. E con essi, la possibile fine della concezione stessa di democrazia. Come, giustamente, è stato osservato più volte, la crisi che riguarda l'Occidente non è più solamente relativa alla supremazia economica. Concerne la tenuta del complesso dei valori ereditati dal Secolo dei Lumi. Dove ragione e laicità sono stati sinonimo di progresso, di aperture mentali e conquiste (e il successivo consolidamento) dei diritti. Oltre gli oscurantismi di poteri accentratisi grazie agli assolutismi ed alle teocrazie. La crisi attuale, invece, investe non solo i rapporti con i soggetti esterni – le guerre militari e commerciali – perchè ridimensiona il dialogo tra governanti e sudditi. La struttura democratica oggi è davvero molto labile.

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 10:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Iran e Arabia Saudita concordano di approfondire la cooperazione durante la visita di Larijani

 

Espansione dei legami economici, della cooperazione in materia di difesa e delle misure volte a rafforzare la stabilità nell'Asia occidentale sono stati tra i temi trattati dal capo del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell'Iran, Ali Larijani, durante l'incontro con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MbS) a Riad.

Larijani e il principe ereditario hanno sottolineato che entrambe le parti hanno ribadito la necessità di elevare il basso livello delle relazioni economiche e di rimuovere gli ostacoli esistenti tra i due Paesi.

"Si è discusso di cooperazione economica perché l'attuale livello delle relazioni economiche tra i due Paesi rimane basso e alcuni ostacoli devono essere rimossi", ha spiegato Larijani ai giornalisti.

Ha aggiunto che la cooperazione in materia di difesa sarà perseguita attraverso "gruppi dedicati, che in futuro assumeranno una forma più organizzata". 

Anche la stabilità regionale è stata un tema centrale dei colloqui. alla domanda sul recente attacco israeliano al Qatar, l'alto funzionario iraniano ha ricordato che le sue controparti saudite avevano già opinioni relativamente chiare, ma che "ora sono diventate molto più chiare".

Ha precisato che "diversi paesi della regione si sono resi conto che il percorso che l'Iran credeva in precedenza, ovvero che un  elemento avventuroso nella regione stava impedendo il raggiungimento della stabilità, ha assunto una forma più concreta".

Le agenzie di stampa saudite e iraniane hanno riferito che MbS e Larijani hanno esaminato le relazioni bilaterali e "gli ultimi sviluppi regionali" e che le discussioni hanno riguardato anche "il futuro della regione" e le modalità per espandere la cooperazione.

Larijani ha poi incontrato il ministro della Difesa saudita Khalid bin Salman Al Saud per discutere di iniziative bilaterali di difesa e sicurezza regionale, e ha affermato che hanno esaminato "le relazioni saudite-iraniane e diverse questioni di interesse reciproco, nonché gli sviluppi regionali e gli sforzi per raggiungere sicurezza e stabilità".

L'incontro si è svolto il giorno dopo che MbS aveva avuto colloqui con il presidente iraniano Masoud Pezeshkian a Doha, a margine di un  vertice arabo-islamico di emergenza convocato in risposta all'attacco di Israele al Qatar.

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 10:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Insabbiamento dei crimini di guerra di Gaza. Importante azienda USA interrompe collaborazione con Israele

 

SecondoPolitico, il gigante statunitense degli affari pubblici SKDK ha rescisso un contratto da 600.000 dollari con il governo israeliano che "promuoveva il punto di vista di Israele" sul genocidio dei palestinesi a Gaza.

"SKDK ha interrotto i lavori il 31 agosto e ha avviato la procedura di cancellazione", ha dichiarato un portavoce di SKDK alla rivista di Washington, rifiutandosi di commentare i motivi per cui il contratto è stato interrotto prima del previsto, limitandosi a dire che i lavori "avevano fatto il loro corso".

Secondo POLITICO, il contratto tra Tel Aviv e SKDK avrebbe dovuto durare fino a marzo 2026.

L'annuncio ha fatto seguito a un rapporto di Sludge del 15 settembre, secondo cui l'azienda era coinvolta in un programma bot per promuovere contenuti pro-Israele online. 

"Il contratto, del valore di 600.000 dollari da aprile 2025 a marzo 2026, incarica inoltre SKDK di formare portavoce della società civile israeliana per le apparizioni in TV, testare l'efficacia degli influencer sui social media e organizzare attività di sensibilizzazione su misura per i giornalisti di testate come BBC, CNN, Fox e Associated Press per garantire una copertura mediatica favorevole", si legge nel rapporto di Sludge.

Tuttavia, SKDK e la sua società madre, Stagwell, hanno negato tutto, insistendo sul fatto che il loro lavoro si limitasse alle relazioni con i media. "Il nostro lavoro si è concentrato esclusivamente sulle relazioni con i media e nient'altro", ha ribadito il portavoce di SKDK a POLITICO.

Un'indagine condotta da MintPress News a luglio ha rivelato che Israele ha speso milioni di dollari al giorno in una vasta campagna pubblicitaria su YouTube, volta a orientare l'opinione pubblica europea verso il suo genocidio e la sua guerra immotivata contro l'Iran.

Nel maggio 2024, Al-Jazeera ha scoperto che Israele stava utilizzando dei "superbot" basati sull'intelligenza artificiale per prendere di mira i post pro-palestinesi sui social media, rispondendo rapidamente con messaggi pro-Israele e amplificando narrazioni specifiche.

Dall'inizio della campagna di pulizia etnica a Gaza, il governo israeliano ha aumentato di oltre il 2.000 percento il budget destinato alle relazioni pubbliche estere, per quella che è ufficialmente nota come "diplomazia pubblica", o hasbara in ebraico. 

Il massiccio aumento della propaganda pro-genocidio da parte di Israele è avvenuto in risposta al calo del sostegno popolare nei paesi occidentali. Secondo un sondaggio Gallup pubblicato a luglio, solo il 32% della popolazione statunitense ha dichiarato di sostenere le azioni di Israele a Gaza.

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 10:30:00 GMT
Lavoro e Lotte sociali
Perché scioperare il 22 Settembre?

 

di Federico Giusti

In Italia le politiche di riarmo arrivano dopo anni di sottofinanziamento dei capitoli di bilancio rilevanti per il nostro stato sociale, il 12% della spesa per la sanità quando la media Ue è pari al 15, il 7% per l’istruzione rispetto alla media europea sopra il 9,3% )

Se il tasso di crescita dell'economia cala insieme alla produttività del lavoro dove troveranno i soldi per il Riarmo? Dai capitoli sociali, rinunciando alle bonifiche dei siti inquinati, dai mancati investimenti nella scuola, nella sanità, nel potenziamento delle misure di welfare che oggi in Italia sono alquanto carenti in alcuni capitoli di bilancio.

E le fabbriche dei settori in crisi? Chiuderanno i battenti e saranno riconvertiti a fini di guerra

Ma l'economia non doveva crescere secondo il Governo? Oggi registriamo un meno 0,6% rispetto ad un anno fa e i settori più colpiti solo quelli del lusso, della produzione di automobili e del tessile-abbigliamento.

E il mercato del lavoro? Istat documenta la riduzione delle ore lavorate nell'industria oltre al calo del 7,2% del valore del fatturato industriale, la crescita di oltre il 47% delle ore di cassa integrazione. Senza gli ammortizzatori sociali esistenti, che qualcuno voleva invece ridurre, decine di migliaia di famiglie italiane sarebbero alla canna del gas, giusto a ricordare la importanza del welfare soprattutto in tempi di crisi.

Anche il tasso di crescita della produttività del lavoro continua a manifestare andamenti negativi a ricordarci che senza investimenti tecnologici e formativi il capitalismo italiano andrà poco lontano.

E a confermare le meno rosee previsioni anche l’Ufficio Parlamentare di Bilancio con una nota redatta pochi mesi or sono

La congiuntura economica internazionale è caratterizzata da una crescente incertezza, derivante dalle politiche protezionistiche oltre che dalle persistenti tensioni geopolitiche. Le forti barriere tariffarie annunciate il 2 aprile dagli Stati Uniti d’America, che hanno indotto repentini cali nei prezzi degli attivi finanziari, sono state ampiamente depotenziate nei giorni scorsi. Già prima del 2 aprile le attese sulla crescita si stavano deteriorando; infatti, l’OCSE prevedeva una graduale decelerazione del PIL mondiale nei prossimi anni. Nello scorcio finale del 2024 l’economia degli Stati Uniti ha rallentato e nel primo trimestre di quest’anno potrebbe essersi ulteriormente indebolita (fig. 1). Nell’area dell’euro restano significative eterogeneità, con la Germania ancora in contrazione e la Spagna in rapido sviluppo. L’inflazione globale manifesta segnali di rinnovata pressione, per cui il sentiero dell’allentamento monetario delle principali banche centrali diventa più stretto

Nota sulla congiuntura di aprile 2025 | upB

 

Se questi sono gli scenari, come lavoratori e lavoratrici, cosa ci dobbiamo aspettare?

  • L’aumento delle spese militari annunciato al 5% del Pil in dieci anni
  • La militarizzazione delle scuole e della società
  • Spostare la spesa pubblica dal welfare alla difesa, all'acquisto e produzione di armi
  • Favorire in termini salariali e previdenziali i militari (anticipo dell’età pensionabile, contributi pesanti rispetto a quelli della Pubblica amministrazione, indennità contrattuali costruiti ad hoc) quando nel frattempo i contratti della Pubblica amministrazione vengono siglati con aumenti del sei per cento a fronte di un meno 18 per cento del potere di acquisto nell’arco di un triennio. Ogni giorno ci viene raccontato che il rifiuto di un rinnovo contrattuale è un atto di follia, si peccherebbe di realismo e senso di responsabilità ma i responsabili sono quanti propongono aumenti contrattuali pari a un terzo del costo della vita perduto?

Nel frattempo, il nostro paese è allineato con Trump e Israele e complice del genocidio di un popolo, quello palestinese.

Per queste ragioni il 22 Settembre scioperiamo, sarà uno sciopero difficile e per nulla scontato ma possiamo forse eludere questo appuntamento? Non solo ragioni etiche e morali spingono a prendere posizione contro il genocidio ma ci sono ragioni materiali come la necessità di combattere l’economia di guerra prima che sia troppo tardi.

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 10:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
VIDEO. I marines USA simulano un assalto anfibio nei Caraibi

 

Il Comando Sud degli Stati Uniti (USSOUTHCOM) ha divulgato mercoledì un video in cui elementi della 22ª Unità Expedizionaria dei Marine (MEU) conducono esercitazioni per un assalto anfibio sulle coste di Porto Rico. La pubblicazione avviene nel contesto di un'escalation di azioni aggressive da parte di Washington contro la sovranità del Venezuela dalle acque del Mar dei Caraibi.


Le immagini, relative ad addestramenti condotti nelle prime settimane di settembre, sono caratterizzate dalla presenza in sottofondo di un inquietante ticchettio, che simula il suono incalzante di un cronometro. Un comunicato della brigata, diffuso all'inizio del mese, afferma che "il terreno impegnativo e il clima tropicale di Porto Rico offrono un ambiente ideale per la 22ª MEU per svolgere addestramenti anfibi realistici e perfezionare abilità specializzate come pattugliamento, ricognizione e tecniche di sopravvivenza, garantendo un alto livello di preparazione durante lo schieramento avanzato".

Le esercitazioni sono iniziate a pochi giorni di distanza dalla dettagliata descrizione, da parte del Presidente Donald Trump, di un attacco contro una piccola imbarcazione con a bordo "undici narcoterroristi del Tren de Aragua" – una ricostruzione dei fatti la cui veridicità è stata contestata dalle autorità venezuelane. Il Presidente statunitense ha poi pubblicato sui propri social network lunedì un nuovo video relativo a un secondo attacco contro presunti "narcoterroristi del Venezuela". E il giorno successivo, ha affermato che una terza imbarcazione sarebbe stata bombardata, sebbene siano state diffuse immagini relative soltanto alle prime due.

Interrogato sulla possibilità di ordinare attacchi sul territorio venezuelano sotto il pretesto della presunta lotta al narcotraffico, Trump ha risposto: "Vedremo cosa succederà". Già lo scorso agosto, organi di stampa internazionali avevano annunciato un dispiegamento militare statunitense nel Mar dei Caraibi meridionale, ufficialmente finalizzato a contrastare i cartelli della droga. Parallelamente, il Procuratore Generale degli Stati Uniti, Pamela Bondi, ha raddoppiato la taglia per informazioni che portino all'arresto del Presidente venezuelano Nicolás Maduro, accusato – senza che siano state mai fornite prove – di guidare un "cartello del narcotraffico".

Caracas denuncia che tali manovre siano finalizzate a forzare un cambio politico nel paese e ad impadronirsi delle sue ingenti risorse naturali. Per far fronte allo schieramento statunitense, il Presidente Maduro ha richiamato alle armi i volontari della Milizia Bolivariana per la difesa della sovranità nazionale. Nonostante il picco di tensioni, il leader venezuelano si è dichiarato disponibile al dialogo con il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a condizione che non venga imposta la "diplomazia delle cannoniere" perseguita dal Segretario di Stato Marco Rubio.

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 08:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
"Egemonismo e logica intimidatoria". Il messaggio del ministro della difesa cinese al mondo

 

Il Ministro della Difesa cinese, Dong Jun, ha esortato giovedì la comunità internazionale a resistere all'egemonismo, in un discorso pronunciato nel corso di una conferenza sulla difesa tenutasi a Pechino. “Sebbene i temi centrali della nostra epoca – pace e sviluppo – rimangano immutati, le nubi della mentalità da Guerra Fredda, dell'egemonismo e del protezionismo non si sono ancora dissipate”, ha dichiarato Dong Jun. Il Ministro ha aggiunto che “la memoria storica deve servire da monito costante per riconoscere e opporsi alla logica egemonica e agli atti di intimidazione mascherati sotto nuove forme”.

Nel corso del suo intervento, Dong Jun ha inoltre riconosciuto che la forza emergente del Sud del mondo è “inarrestabile”, poiché “spinge con forza le ruote della storia in avanti”, impegnandosi a promuovere la cooperazione con questi paesi nel campo della sicurezza.

Le dichiarazioni del Ministro cinese giungono a una settimana di distanza da una conversazione telefonica tra lui e il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth. In quell'occasione, il rappresentante statunitense ha affermato che Washington “vanta interessi vitali nella regione Asia-Pacifico, che costituisce un teatro operativo prioritario, e che proteggerà con determinazione tali interessi”.

Questo scambio diplomatico si inserisce in un contesto di crescenti tensioni, segnato dallo schieramento da parte degli Stati Uniti del sistema missilistico Typhon in Giappone – misura che ha incontrato la ferma opposizione di Pechino. Un portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha dichiarato martedì che “il dispiegamento statunitense del sistema missilistico a medio raggio Typhon in Giappone mina i legittimi interessi di sicurezza di altri paesi, alimenta il rischio di una corsa agli armamenti regionale e di un confronto militare e rappresenta una minaccia sostanziale per la sicurezza strategica regionale”.

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 08:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Il ministro della difesa Padrino: il Venezuela si prepara per uno "scenario di conflitto armato marittimo"

 

Il Ministro della Difesa venezuelano, Vladimir Padrino López, ha dichiarato mercoledì che le Forze Armate Nazionali Bolivariane (FANB) si stanno preparando per “uno scenario di conflitto armato in mare” attraverso un’esercitazione di “prontezza operativa”. La manovra, finalizzata a difendere la sovranità nazionale nel Mar dei Caraibi, è una risposta diretta al crescente assedio militare da parte degli Stati Uniti.

“In questo momento particolare, dobbiamo raddoppiare gli sforzi, aumentare la nostra prontezza operativa per uno scenario di conflitto armato in mare e lo stiamo facendo”, ha affermato Padrino López nel corso di una trasmissione della televisione di Stato VTV. Il Ministro ha precisato che tali azioni sono intraprese “per la pace del Venezuela, per la sua indipendenza e per la vittoria di tutti i venezuelani”.

Nel suo intervento, il Ministro della Difesa ha rievocato due precedenti incidenti di sicurezza: il tentativo del 2019 di violare le acque territoriali venezuelane da Porto Rico con presunti aiuti umanitari, e il fallito tentativo del 2020 di far entrare gruppi di mercenari dalla Colombia attraverso la “Operazione Gedeón”. Quest’ultima missione aveva l’obiettivo di raggiungere il Palazzo di Miraflores a Caracas, sede del governo, per assassinare il Presidente Nicolás Maduro.

Padrino López ha sottolineato che l’obiettivo primario della dimostrazione di forza è garantire la sicurezza economica della nazione. “Stiamo aumentando la nostra prontezza operativa nei confronti dei Caraibi affinché i nostri pescatori abbiano fiducia e fede nel loro lavoro e nella loro attività produttiva quotidiana. Affinché tutte le attività produttive, petrolifere e del gas del Venezuela si svolgano in completa pace”, ha dichiarato il capo militare.

Le dichiarazioni sono state rese durante la cerimonia di attivazione della manovra “Caribe Soberano 200”, un’esercitazione condotta nel mare territoriale venezuelano sulle coste caraibiche. L’esercitazione si svolge in risposta alla minaccia latente rappresentata dalla presenza di navi, cacciatorpediniere e altri dispositivi militari statunitensi schierati al confine marittimo del Venezuela, dove Washington ha già eseguito tre attacchi armati che hanno causato la morte di 14 persone nei primi due bombardamenti.

Per l’operazione, la FANB ha mobilitato milizie speciali di pescatori, truppe d’élite e diverse unità della Marina venezuelana, tra cui navi equipaggiate con artiglieria antiaerea. Le esercitazioni includono inoltre sorvoli in alto mare da parte di aerei da combattimento Sukhoi, la presenza di carri armati anfibi sulle coste e altri dispositivi per la difesa del territorio, schierati per respingere qualsiasi minaccia, incluse truppe straniere, mercenari e/o criminali legati al traffico internazionale di droga o a piani sediziosi.

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 08:00:00 GMT
OP-ED
"E allora tu che fai? Che si fa?"

 

di Mjriam Abu Samra*


“Che si fa?” “Siete bravi a criticare, ma poi, che si fa? Non mi pare che sappiate fare meglio.” Non mi ero mai accorta, veramente, della gravità di queste reazioni. Anzi. D’istinto mi viene, solitamente, quasi di giustificare, di trovare immediatamente la risposta. Mi parte la tachicardia se non ce l’ho sulla punta della lingua. Non è un "che si fa?" genuino, come quello costruttivo che ci si chiede, collettivamente, tra militanti, sui territori, quando si discute insieme per immaginare strategie di mobilitazione o anche per confrontarsi positivamente con critiche e crisi che vanno affrontate. Questo è un "che si fa?" diverso, che viene posto spesso da una classe intellettuale "progressista" ma che resta neoliberale negli approcci, ancora incapaci di radicarsi davvero tra le masse. È un "che si fa?" che sembrerebbe quasi ingenuo ma che è invece accusatorio. 

Non si possono criticare le metodologie della solidarietà neoliberale perché si viene immediatamente incalzati: “Che fate voi di meglio? Criticate queste iniziative ma allora che si fa?”

Riflettendo su quante volte in questi giorni io e tanti altri siamo stati contestati in questo modo, mi rendo conto ora di come questa domanda (ma anche la reazione d’ansia che mi provoca) sia l’ennesima espressione della cultura autoassolutoria che ormai domina l’approccio generale alle problematiche sociali (magari solo alla Palestina!). Relegare agli altri la responsabilità di creare, trasformare, aggiustare le falle del sistema politico. Così come si esternalizza la solidarietà identificandosi con quelle immagini eroiche di "chi ha il coraggio dell'azione spettacolare di rottura", si esternalizza anche la responsabilità di individuarne i limiti; anzi, la si rigetta per poter continuare a crogiolarsi nell’idea che “la solidarietà con la solidarietà” sia tutto ciò che si può fare, e che ci appaga, ci soddisfa; estingue ogni altra forma di ingaggio che invece potrebbe esserci.

E proprio per questo, la solidarietà-con-la-solidarietà non va solo giustificata e difesa dalle critiche: si passa al contrattacco, all’accusa verso chi evidenzia potenziali limiti dell’approccio, si accusa di “criticare per criticare” senza saper proporre alternative, di distruggere per il gusto del disfare, del remare contro, del pontificare radical-chic e intellettualoide di chi non sa invece comprendere il sentimento popolare. E incalza la domanda: “E allora tu che fai? Che si fa?” Come se questa fosse una domanda legittima! Come se davvero dovessero essere gli altri a dare questa risposta.

Di nuovo, ancora, convintamente, si delega e, anzi, ci si aspetta — con arrogante indignazione — una risposta esterna che non ci vede parte dell’equazione, che non considera il nostro ruolo come quello di soggetto protagonista, creativo, pensante, responsabile di elaborazione, ma solo come, ancora, sempre, spettatore, fruitore. Spettatore a cui va indicata la strada. Ed è responsabilità altrui se quella strada non si trova.

E questo è, nuovamente, dimostrazione di quanto il sistema abbia già cooptato, annichilito la società. Ha abituato tutti ad aspettare, pretendere e quindi anche godere, paradossalmente, di risposte e decisioni che vengono dall’alto, senza pensare, senza riflettere, senza neanche opporsi, appunto, qualora non si rivelassero effettivamente vantaggiose o genuinamente nell’interesse della società, della persona. E quindi anche il cambiamento non è più responsabilità nostra, condivisa, collettiva. È qualcosa che ci deve essere indicato. 

Ma non solo: deve essere presentato bello e pronto. Non si accetta neanche più l’idea della decostruzione, del tempo dell’analisi necessario a comprendere come e da dove ripartire. L’analisi è superflua, è esercizio intellettuale rifiutato, svilito, neutralizzato nel paradossale ricorso alla narrativa dell’“immobilità” del contro-producente criticismo sterile. L’analisi, la decostruzione — per essere più chiari, l’esercizio del pensiero, del pensare — vengono interpretati come ostacoli alla fattualità, non come le basi su cui costruire insieme una prassi che sia coerente con la realtà, con obiettivi ben identificati, chiariti, condivisi ed effettivamente trasformativi.

È la vittoria del pensiero neoliberale e capitalista anche nella produzione intellettuale e nella concezione del politico: consumismo appagante nella dinamica del “tutto e subito”. Guardiamo alle idee e alla mobilitazione come quando si sta al ristorante: si ordina il menù del giorno, che indica le opzioni possibili e le presenta tutte succulente, e ci si aspetta di vedersi serviti tutto e subito; e i camerieri che si affrettano ad assicurare che il servizio sia efficiente.

Ecco l’altro paradosso: “Che si fa?” E io ho la tachicardia perché so che, se non rispondo — e non rispondo con una strategia che sia accettabile, facilmente comprensibile, capace di presentarsi come appagante, facile da mettere in atto, spettacolare negli obiettivi — verrò additata come quella che non si accontenta, come quella che rema contro. E quasi mi preparo a scusarmi. Anche io, assuefatta a quell’egemonia neoliberale in cui la passività è accettata come indiscutibile realtà, e chi si muove, chi interagisce, interviene, è un’eccezione. E proprio per questo, anche quando ci si muove male, in effetti, bisognerebbe risparmiarsi la critica, bisognerebbe ringraziare. È un circolo vizioso. A cui è difficile sfuggire. E rischi allora di internalizzare il colonialismo, ringraziando la società civilizzatrice e le sue pratiche di solidarietà neoliberale perché troppo debole per rivendicare che, forse no, forse non devo rispondere io — pronta, automatica, decisa — al “che si fa”, come un distributore ATM.

Che si fa? Beh, innanzitutto, si prende consapevolezza di non essere spettatori, di avere una responsabilità storica — e sempre più impellente — di sforzarci tutti di rispondere a questa domanda, di farla a noi stessi e riportarla nella collettività invece che esternalizzarla, di porla da fuori come se non ci riguardasse ma la risposta ci fosse dovuta da altri. Forse bisognerebbe partire dal concepire l’analisi, anche quella che presenta la critica spietata, come momento fondante del processo costruttivo che identifica le falle e si prepara a immaginare nuovi mondi.

Forse questo ci permetterebbe di non aver bisogno di eroi che ci somigliano, di non restare chiusi in un eurocentrismo, un provincialismo che finisce per riprodurre narrative e rapporti coloniali e per soddisfare il sogno esotico del salvatore bianco, del Che Guevara politically correct, integrabile nella concezione rassicurante della retorica pacifista e del dissenso non violento che ci eleva a civilizzazione dai valori superiori e universali; e che riduce “i salvati e i salvabili” a tenersi le critiche e ringraziare amaramente.

Ghassan Kanafani ci ha insegnato il romanticismo rivoluzionario. Ci ha regalato il sogno di una rivoluzione che, per essere tale, non può che essere romantica nella sua ambizione al tutto che è la liberazione. E per quel sogno, per quell’insegnamento, io non mi accontento, e continuo a “decostruire”, a “criticare”.

Soprattutto non accetto di accontentarmi dei luccichii che abbagliano e, prendendo di più della solidarietà, pretendo l’alleanza nella lotta, la presa di coscienza che ci vuole tutti in prima linea ma invisibili, sagome confondibili di piccole formichine che, senza farsi notare e con pazienza infinita, costruiscono insieme un’alternativa vera, solida, duratura: che cambia il sistema, che lo destabilizza alle fondamenta rifiutando di lasciarsi limitare nell’immaginario del possibile, rifiutando il compromesso di una schiavitù a cinque stelle. La giustizia, la rivoluzione.


------- 

CONSIGLIO DI LETTURA:

L'autrice ha curato la stesura di una pubblicazione tutta al femminile che attraverso la riflessione personale delle palestinesi in Italia propone una disamina culturale e politica della violenza genocidaria sionista e della storica resistenza palestinese al progetto coloniale.

Con i contributi di Mjriam Abu Samra (curatrice), Shaden Ghazal, Rania Hammad, Sabrin Hasbun, Laila Hassan, Samira jarrar, Sara Rawash, Noor Shihade, Tamara Taher, Widad Tamimi.





ACQUISTALO ORA


* Ricercatrice post-doc Marie Curie presso il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell'Università Ca' Foscari di Venezia e il Dipartimento di Antropologia dell'Università della California, Davis, USA. È stata coordinatrice del Renaissance Strategic Center ad Amman, in Giordania, e ha insegnato all'Università di Giordania e in istituti universitari americani ad Amman. Mjriam ha un dottorato in Relazioni Internazionali presso l’Università di Oxford, nel Regno Unito, la sua ricerca si concentra sulla politica studentesca transnazionale palestinese e anticolonialismo. È stata tra i fondatori del movimento giovanile palestinese transnazionale (PYM).

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 07:00:00 GMT
EXODUS
RADIO GAZA - puntata 4 - “A costo della vita, non lasceremo Gaza”

 

 

<<Perché dovremmo andarcene da Gaza? Questo è il nostro Paese, è l'occupazione che se ne deve andare da Gaza. Il piano di emigrazione forzata fallirà. Nessuno vuole andarsene via da Gaza, anche a costo della nostra vita, noi non ce ne andremo. Questo è il nostro Paese e noi resisteremo fino alla morte>>. 

Nonostante l’esodo forzato di centinaia di migliaia di Palestinesi verso il sud della Striscia sia una minaccia evidente di espulsione dalla Striscia, la popolazione sta dando prova di un ultimo estremo sforzo di coraggio ed eroismo.

Questa e altre testimonianze dal campo sono incluse nella quarta puntata di “Radio Gaza”, disponibile da oggi, giovedì 18 settembre dalle 18.00 sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico a questo link:

“Radio Gaza - cronache dalla Resistenza”, ogni giovedì alle 18, sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico. Un programma a cura di Michelangelo Severgnini e Rabi Bouallegue.

Attraverso la campagna “Apocalisse Gaza”, arrivata oggi al 91° giorno, sono stati raccolti finora 89.158 euro da 1.211 donazioni. Di questi, 88.565 euro sono già stati inviati a Gaza.

Per donazioni: https://paypal.me/apocalissegaza

FB: RadioGazaAD


TUTTE LE PUNTATE PRECEDENTI:

“Una giornata a Gaza”

https://www.youtube.com/watch?v=2kDDCHQvZ44&t=39s

 

“Pentoloni per Gaza”

https://www.youtube.com/watch?v=yoOuewWBCH8

 

“Donne di Gaza”:

https://youtu.be/O3d8EkCdXJQ

 

“Lenticchie e acqua fresca per le retrovie di Gaza”

https://www.youtube.com/watch?v=YGHGmcSnM5k

 

Il promo di Radio Gaza: 

https://www.youtube.com/watch?v=xI_NM5QVBBg

 

Radio Gaza puntata 01:

https://www.youtube.com/watch?v=gO15guUmkaw&t=2s

 

Radio Gaza puntata 02:

https://www.youtube.com/watch?v=Vl1CvdGCQIs&t=63s

 

Radio Gaza puntata 03:

https://www.youtube.com/watch?v=ugfc80t96cs

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 07:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Polonia, smentita la fake news sul missile russo: il danno causato da un razzo polacco!

 

di Francesco Fustaneo

 

Quella che per giorni era stata presentata al mondo come una prova incontrovertibile dell’aggressione russa ai danni di un paese NATO da un momento all’altro, invece si è tramutata  in una verità scomoda e imbarazzante per il governo polacco. La fake news in questione è stata ufficialmente smentita dalle rivelazioni del  quotidiano polacco  Rzeczpospolita.

Il fatto risale alla notte tra il 9 e il 10 settembre, quando uno sciame di droni “ russi”  violava  lo spazio aereo polacco. Un’abitazione nel villaggio di Wyryki, nella Polonia orientale, subiva gravi danni che  venivano dalle autorità di Varsavia  imputati proprio all’incursione “nemica”. Il governo ha utilizzato finanche una foto della casa distrutta come prova durante una sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 12 settembre scorso, dove il viceministro degli Esteri, Marcin Bosacki, ha accusato  pubblicamente Mosca.

 

La smentita: il missile "amico"

Il 16 settembre, invece come prima  anticipato, Rzeczpospolita ha ribaltato completamente la narrazione ufficiale. Secondo la testata che avrebbe consultato fonti dell’intelligence polacca, l’edificio è  stato in realtà colpito da un razzo aria-aria lanciato da un caccia F-16 polacco. Il missile, partito per intercettare uno dei droni “invasori”, avrebbe subito un "malfunzionamento del sistema di guida", mancando il bersaglio e schiantandosi sull’abitazione civile. Fortunatamente non c’erano state vittime.

 

Il terremoto politico

La rivelazione ha scatenato un terremoto politico a Varsavia. L’opposizione di destra (PiS e Confederazione) ha accusato il governo di centro-sinistra del Premier Donald Tusk di aver occultato la verità e di aver mentito all’opinione pubblica polacca e internazionale.

Il presidente Karol Nawrocki ha protestato ufficialmente per non essere stato tenuto all’oscuro dei fatti, chiedendo spiegazioni chiare. L’ex premier Mateusz Morawiecki (PiS) ha parlato di “menzogne che distruggono l’unità nazionale”, mentre l’ex ministro della Difesa Mariusz B?aszczak ha affermato che “nascondere informazioni alimenta la propaganda russa”.

 

La difesa del governo

Il governo in evidente imbarazzo ha provato a difendersi sostenendo che, in ogni caso, la responsabilità ultima rimane della Russia: senza l’incursione dei droni, il missile non sarebbe mai stato lanciato. Il Premier Tusk, su X, ha commentato: "La piena responsabilità per i danni ricade sugli autori della provocazione con i droni, ovvero la Russia", promettendo informazioni esaustive a indagini completate. Il ministro della Difesa W?adys?aw Kosiniak-Kamysz ha negato di aver nascosto informazioni, affermando che tutto è stato reso noto appena verificato. Tuttavia, la contraddizione rimane: il viceministro Bosacki dal canto suo ha ammesso di aver appreso la verità proprio dalla lettura del giornale.

 

Il precedente

Quello di Wyryki non è un caso isolato. Viene subito alla memoria  l’episodio di Przewodów nel novembre 2022, quando un missile di difesa aerea ucraino, partito per intercettare un attacco russo, cadde per errore in territorio polacco uccidendo due persone. Anche in quell'occasione, le prime versioni parlarono di un attacco russo diretto, prima che le indagini chiarissero definitivamente la reale dinamica  poi e cadde il silenzio: nessun politico  in Polonia si prese però  la briga   di accusare Kiev né, figurarsi, di attivare  consultazioni con i paesi alleati invocando l’articolo 4 della Nato.

L'episodio dimostra quanto, in tempo di guerra ibrida, la disinformazione possa diffondersi rapidamente, soprattutto in Europa e soprattutto quando si parla di Russia.

Data articolo: Thu, 18 Sep 2025 07:00:00 GMT
Diritti e giustizia
Stipendi e differenze, un confronto tra Italia e Germania

 

di Michele Blanco

 In questi giorni per non morire di crepacuore per la situazione intollerabile del GENOCIDIO perpetuato dallo stato israeliano nei confronti del popolo Palestinese. Ho fatto qualche piccola ricerca riguardante la media degli stipendi negli ultimi 20 anni. In particolare sulle differenze di crescita degli stipendi in Italia e in Germania e devo dire che la situazione è comunque incredibilmente diversa tra le due nazioni. 
Infatti in Germania il salario medio è aumentato passando da circa €38.700 / anno* nel 2005 ad oltre *€63.000 / anno* nel 2024. 
 
 ?L’inflazione in Germania nel 2005 era intorno a 1,9 % annuo. ?Negli anni recenti, l’inflazione ha oscillato (inclusi picchi, ad esempio dopo le crisi energetiche) ma negli ultimi anni tende a stabilizzarsi attorno al 2?3 %. 
 
In Italia lo stipendio medio nominale, secondo dati recenti Istat, è salito a circa €33.148 / anno nel 2024 (da circa €27.500 nella prima parte degli anni 2000)  Altri dati mostrano che in termini di stipendio reale la variazione è stata  lievemente negativa: Purtroppo l’Italia è l’unico paese del G7 in cui il salario medio reale (cioè al netto dell’inflazione) risulta essere diminuito rispetto a 20 anni fa.
?L’inflazione ha eroso buona parte del guadagno nominale: prezzi di energia, abitazione, beni di prima necessità, servizi, sono saliti molto, quasi sempre molto più rapidamente dei salari medi per la stragrande maggioranza dei lavoratori. 
 
Guardiamo alcune differenze.  
 
Produttività:
 
La Germania ha registrato un aumento maggiore della produttività per ora lavorata rispetto all’Italia. La produttività è uno dei fattori economici principali che indicano la capacità di un’economia di sostenere salari reali crescenti. 
Mercato del lavoro e contrattazione:
 

- In Germania la contrattazione è molto più strutturata, è presente il salario minimo e le politiche sociali che tendono a proteggere, in molti modi, il reddito reale.

- In Italia è spesso le diversità territoriali portano a minore capacità di retribuire bene a tutti i livelli, regioni con sviluppo troppo disomogeneo, basso tasso di crescita per molte imprese, reti di protezione sociale assolutamente meno presenti e meno  efficaci.

Crescita economica generale_

-  La Germania ha avuto una crescita economica più stabile, dovuta in particolare ai maggiori investimenti in tecnologie innovative, protezione dell’industria e dei posti di lavoro, con maggiore competitività sui mercati internazionali per l’offerta di prodotti tecnologicamente migliori, quindi con esportazioni forti. 

-  L'Italia ha sofferto mancanza di investimenti in tecnologie innovative, stagnazione, crisi finanziarie, crisi del debito, crisi del settore manifatturiero, e altri vincoli strutturali.

Politiche fiscali, tassazione, redditi da lavoro:

- L’aliquota fiscale, contributi, imposte indirette e costi (affitti, servizi) differenziano fortemente l’impatto reale su quanto resta nelle tasche del lavoratore, con i lavoratori tedeschi favoriti in molte agevolazioni che in Italia non sono presenti.

Negli ultimi 20 anni, la Germania ha visto una crescita reale degli stipendi più forte e costante rispetto all’Italia: gli stipendi medi sono cresciuti molto, l’inflazione è stata in molti periodi moderatamente controllata, e il potere d’acquisto è sostanzialmente migliorato. 
 
In Italia, invece, nonostante la crescita nominale degli stipendi, il guadagno reale è stato molto più contenuto, con lunghi periodi di stagnazione o perdita di potere d’acquisto per i lavoratori.
 
Inoltre in Germania è presente il Bürgergeld, entrato in vigore il 1° gennaio 2023, sostituendo l'Hartz IV. Il Bürgergeld offre un supporto economico per l'integrazione al reddito, coprendo le spese di base e l'affitto per chi si trova in stato di bisogno, con l'obiettivo di favorire la formazione e l'avvicinamento al lavoro. Addirittura a differenza della legge precedentemente in vigore dell’Hartz IV, prevede un importo maggiore e meno sanzioni per chi rifiuta offerte di lavoro. 
 
Ecco come funziona il Bürgergeld:
 
·         Indennità di disoccupazione: 
 
Si tratta di un sussidio di disoccupazione che integra il reddito fino al livello di sussistenza, noto come Regelsatz. 
 
·         Aumento degli importi: 
 
L'importo base del Bürgergeld è stato aumentato rispetto al precedente sistema, e include anche aiuti per l'affitto. 
 
·         Focus sulla formazione e il lavoro: 
 
Il sistema è pensato per aiutare le persone a trovare un impiego a lungo termine, offrendo supporto per la formazione e l'apprendimento della lingua attraverso i Jobcenter. 
 
·         Sostegno alle persone in difficoltà: 
 
Il Bürgergeld non è solo per i tedeschi, ma è destinato a tutti coloro che si trovano in condizioni di fragilità economica e non riescono a mantenersi autonomamente. 
 
Quindi in definitiva dove vivono meglio i lavoratori in Italia o il Germania?
 
 
Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 15:45:00 GMT
Cultura e Resistenza
Perché abbiamo bisogno di sempliquidare?

 

di Marco Trionfale*

 

Una delle distorsioni più evidenti nei ragionamenti sui grandi avvenimenti del mondo è la tendenza generalizzata a sempliquidare.

Sempliquidare è un neologismo che propongo, la cui definizione può essere: liquidare un problema semplificandolo mediante l’eliminazione delle variabili che non si è in grado di calcolare.

Provo a spiegarlo meglio.

L’idea che occorra una parola specifica per esprimere questo concetto mi è venuta molto tempo fa ed è legata ad un ricordo personale.

Dall’età di quattro anni mia figlia andava regolarmente, con grande orgoglio e col sacchetto dei soldi, a fare la spesa nel negozietto di frutta e verdura davanti casa. Le piaceva moltissimo. Per arrivare doveva attraversare la strada e io la osservavo preoccupato da dietro le tendine della finestra. Ma il negozietto davanti casa non le bastò. Cominciò ad andare alla latteria dietro l’angolo, e poi all’edicola, dove non potevo più seguirla con lo sguardo.

Una di queste volte - ci riferì poi sorridendo Marisa la fruttivendola - mia figlia, che è sempre stata teatrale, prima di uscire esclamò: “Sono molto soddisfatta di me!”

Negli anni quei negozietti hanno tutti chiuso, sacrificati al progresso degli iperqualcosa e i bambini a fare la spesa vanno coi genitori nei centri commerciali.

Questo episodio, secondo me, poneva un problema: come quantificare in termini economici la soddisfazione di una bambina di quattro anni, contenta di sé, fiduciosa degli altri e in buona relazione con il territorio in cui vive.

Quando ho provato ad affrontare il tema con persone pragmatiche, non mi hanno saputo rispondere.

Sapevano calcolare i posti di lavoro creati dagli ipermercati, la diminuzione dei prezzi per i clienti, gli oneri di urbanizzazione e via dicendo, ma quanto lo Stato risparmiasse crescendo cittadini contenti di sé e del luogo in cui vivono, non lo sapevano.

Ma, e qui è stata la sorpresa, non lo volevano nemmeno sapere. Era come se nella loro testa non ci fosse la casella excel dedicata a questo. Escludere dal problema questo dato che non sapevano quantificare pareva loro anzi un punto a vantaggio della razionalità e una dimostrazione di pragmatismo.

Ma avevano ragione?

Immaginiamo uno studente assente nella settimana in cui la professoressa spiega i logaritmi. Al compito in classe successivo si trova davanti tutte queste formule con il simbolo log che non capisce. Che fa? Cancella i log e risolve il problema senza di questi, poi tutto fiero di sé consegna il compito. Può funzionare?

Eppure è più o meno quello che facciamo. Continuamente. 

Iniziare una guerra, perpetrare un genocidio, costruire una centrale nucleare, un rigassificatore, un ponte, una ferrovia, un ennesimo ipermercato: chi compie questi atti si è posto il problema delle conseguenze nel lungo periodo?

La risposta purtroppo pare negativa.

Per dire:

Cosa sarà dei profughi palestinesi?

Cosa di un bambino cui abbiano ammazzato i genitori?

Cosa di un genitore cui abbiano ammazzato i figli?

Quanti rabbiosi attentati nei prossimi anni?

Quanti occidentali arriveranno a schifarsi della propria stessa civiltà?

Come gli israeliani potranno guardarsi allo specchio finita la rabbia?

Cosa sarà di quei soldati che hanno sterminato civili inermi?

Nessuno lo sa. E nessuno lo vuole nemmeno sapere. Non c’è la casella excel.

Eppure tutte queste voci avranno una ricaduta, anche economica, ma troppo difficile da calcolare. Sono i log che eliminiamo dal problema.

Poniamoci infine un’ultima domanda: perché è servita tutta questa tiritera per illustrare un concetto, alla fin fine, piuttosto semplice? Perché manca la parola che lo incornici, lo rappresenti, consenta di riconoscerlo immediatamente, maneggiarlo con facilità e comunicarlo senza spiegazioni.

È per tutti questi motivi che abbiamo urgente bisogno di sempliquidare.

 

*Chi è Marco Trionfale o, sarebbe meglio dire, chi sono Marco Trionfale? È il nome collettivo, ma anche lanagramma dei loro nomi propri, con cui tre autori scrivono del tempo maledettamente reale, e nello stesso tempo surreale e travolgente, in cui viviamo. Di prossima pubblicazione per LAD Edizioni i due strepitosi romanzi di Marco Trionfale, Albeggerà al tramonto” e Il tempo del secondo sole”. Questo è il secondo breve scritto Leo, Mirta e Franco che pubblichiamo per incuriosirvi, ma anche per darvi un assaggio del loro stile. Ne seguiranno altri…

Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 15:00:00 GMT
OP-ED
Daniele Luttazzi - Doha, le bugie di Trump e i funzionari anonimi citati dalla unità 8200


di Daniele Luttazzi  - Nonc'èdiche, Fatto Quotidiano


Una settimana fa, quando Israele buttò bombe su Doha per uccidere la dirigenza di Hamas che stava esaminando l’accordo di pace trumpiano (bersaglio mancato: i leader di Hamas erano altrove, in preghiera; ma avevano lasciato i telefonini in quella stanza, e lì sono piombate le bombe, ecco come Israele li scova), tutti i giornali delle colonie imperiali, compresa la nostra, per togliere d’imbarazzo il capo supremo scrissero che 1) Trump era all’oscuro del bombardamento: Netanyahu aveva rivendicato la responsabilità dell’operazione; oppure, poiché è impossibile che Israele bombardi un alleato Usa senza informare Washington, che 2) Trump, informato dell’attacco da Israele, aveva avvisato il Qatar, purtroppo non in tempo. Solo un comico, lo stesso giorno, scrisse su questo giornale che Trump era stato informato da Israele e non aveva avvisato il Qatar.

Passano 4 giorni e l’Ansa conferma: Trump era stato informato 50 minuti prima. “Ci fu una discussione a livello politico tra Netanyahu e Trump, e poi attraverso canali militari”, afferma un alto funzionario israeliano, “Trump non ha detto di no”. “Se Trump avesse voluto fermarlo, avrebbe potuto”, afferma un secondo funzionario, “in pratica non l’ha fatto”. Entrambi i funzionari hanno dichiarato che i missili non erano ancora stati lanciati quando Trump e Netanyahu hanno parlato, e che Israele avrebbe annullato l’attacco se Trump si fosse opposto.

Un terzo funzionario israeliano: “Israele avvertì l’amministrazione Trump in anticipo, ma decise di assecondare le smentite della Casa Bianca”. Un ulteriore funzionario israeliano ha detto che non è la prima volta che l’amministrazione Trump, per motivi politici, “inventa cose” riguardo alle conversazioni con Israele. La fonte è Barak Ravid, l’ex Unità 8200 che pubblica su Axios i suoi articoli di hasbara. Ravid presenta la notizia come scoop (rispetto alla sua hasbara precedente: Trump informato, ma non in tempo); la vera notizia, però, è che adesso Israele mette in mezzo Trump, tramite Ravid e vari funzionari israeliani (tanto anonimi quanto opportuni, come sempre le gole profonde sbandierate da Ravid nei suoi pezzi).

Resta il fatto che Trump ha mentito. Alla nuova notizia, quel narcisista patologico di Trump ha ripetuto la balla (“No, no, Netanyahu non mi avvisò”). Nei giorni scorsi ha mentito anche sull’Ucraina: infatti non è vero, come dice, che in Ucraina la guerra prosegue perché Putin e Zelensky si odiano (l’ha spiegato il prof. Orsini: la guerra in Ucraina prosegue perché l’Europa non accetta la sconfitta, e cioè la demilitarizzazione dell’Ucraina e la conquista delle sue regioni più ricche e strategiche da parte della Russia). Né è vero, come ha ripetuto Trump per l’ennesima volta, che la guerra in Ucraina è la guerra di Biden contro Putin: è la guerra della Nato contro la Russia (lo disse Stoltenberg al Parlamento europeo due anni fa, ricorda Orsini). Menzogne di Trump anche per l’assassinio di Kirk: “Spero nella pena di morte per l’assassino della sinistra radicale”. Ma il killer di Kirk non c’entra nulla con la sinistra radicale. Insomma, balle balle, balle, balle, balle. Del resto, a quante cose sbagliate ci hanno fatto credere, da quando siamo al mondo?

[...]

Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 15:00:00 GMT
OP-ED
Gli istituti scolastici espongono la bandiera dell’Ucraina e non della Palestina. Perché?

 

di Gery Bavetta*

 

Accompagnando mio figlio al suo primo giorno di scuola a Ribera, cittadina siciliana nota ai più per la sua produzione di arance, non ho potuto non notare la gigantografia della bandiera dell’Ucraina con la colomba della Pace. Siccome il cartello era posto al centro del cortile, mi aspettavo che dall’altro lato ci fosse una bandiera della Palestina per ricordare le vittime del popolo palestinese in corso, invece niente . Poiché la guerra a Gaza (Palestina) la fa Israele (che è sotto la sfera di influenza USA come del resto  lo siamo noi in Italia) con il nostro supporto, allora non se ne deve parlare, perché è chiaro che noi culturalmente dobbiamo rappresentarci come i “buoni”.




E’ chiaro ed evidente che si vuole culturalmente educare i bambini a distinguere attraverso le immagini i buoni dai cattivi, rappresentando negli istituti scolastici soltanto le guerre che politicamente convengono al nostro blocco di appartenenza. Quindi di fatto, non una sincera azione di Pace, ma una mossa politico-culturale.

Apprendiamo  così che ci sono morti di serie A e morti di serie B, in perfetto stile suprematista occidentale e antidemocratico ci sono (come diceva Mao Zedong) “morti che pesano come una piuma e altri che pesano come montagne”.

Come disse il saggista e fisico Carlo Rovelli sulla sua pagina X: “Gli israeliani massacrano i palestinesi, nessun problema per l’occidente. I Palestinesi massacrano gli israeliani? L ’Occidente è totalmente scioccato. Decenni e decenni così, e continuano. Se questo non è razzismo, cos’è?”

Ripeto le stesse parole del saggista e fisico Carlo Rovelli agli istituti scolastici: “Questo è razzismo?”

Sembrerebbe di si, forse non ce ne accorgiamo perché intrinseco alla nostra cultura occidentale.

Se guardiamo ora al Sudan (Africa) all’attuale  conflitto in corso, tra cause dirette e indirette si registrano 150 mila morti, ma nessuno ne parla. Forse se questi anziché essere africani e neri avrebbero avuto la pelle bianca e si troverebbero a Londra, Roma o Parigi, attualmente sarebbe alle cronache h24, e invece no, Silenzio stampa ! Non interessa.

Sulla stessa linea è anche il matematico e logico Piergiorgio Odifreddi, che parla di razzismo e suprematismo culturale in occidente. Non a caso dice Odifreddi (sintetizzo): il nazismo ed il fascismo solo culture razziste e suprematiste nate in Europa (occidente), ideologie che derivano da un altro passato supremasista, quello colonialista britannico, francese ed europeo in generale, e di cui il nazismo in Germania ne fu solo l’erede sfacciatamente più recente e prepotente.

Ricordiamo agli istituti scolastici che attualmente nel mondo esistono più di 50 guerre, quelle più ad alta intensità al momento sono in Ucraina ed in Medioriente. In Ucraina la fanno i Russi per fermare l’espansione della Nato ai propri confini e porre fine alla guerra del Donbass (2014), mentre in Medioriente la facciamo “noi” sovvenzionando Israele di soldi ed armi con l’obiettivo di espandere la nostra influenza in medioriente, che è uno dei più grandi crocevia internazionali di scambio di merci e materie prime.

La diversità tra i due conflitti è palese, da una parte combattono due eserciti regolari, quello ucraino con il supporto della NATO, dove di fatto la Nato combatte i russi per interposta persona in una guerra che Putin ha cercato di evitare, quando nel dicembre 2021 ha chiesto sia agli USA che alla NATO garanzie di sicurezza ai propri confini, accordi che successivamente l’ex segretario della NATO Jens Stoltenberg ha ammesso in modo compiacente di aver rifiutato sapendo di porre l’Ucraina a rischio invasione.

Così di fatto gli USA e l’occidente utilizzano la carne ucraina per i propri interessi geopolitici, così come come d’altronde ammesso dall’ex premier britannico Boris Johnson in un intervista via radio parlando di “Proxy War” (Guerra per Procura).

Mentre dall’altra parte, a Gaza, non c’è alcun esercito regolare e si bombarda indiscriminatamente in una delle aree più densamente popolate al mondo, sapendo di sventrare uomini, donne e bambini radendo al suolo tutto. Eppure a casa nostra ci sono politici che parlano del “diritto alla vita e alla famiglia tradizionale” massacrando all’estero famiglie straniere e negando il diritto alla vita, raccontandoci a casa nostra la falsa retorica dell’Islam che ci odia, quando invece siamo noi occidentali, bianchi, liberali e cattolici che massacriamo gli Islamici a casa loro.

Di fatto da una parte abbiamo secondo alcune stime, in Ucraina 14.000 civili uccisi dal 24 febbraio 2022, mentre a Gaza abbiamo 60.000 civili uccisi dall’unica democrazia in medioriente (Israele), con il supporti di tutte le democrazie occidentali (le nostre).

Numeri alla mano a Gaza c’è un vero e proprio sterminio silenziato, più silenziato ancora è quello in Sudan, mentre si continua a parlare dell’Ucraina come l’unica guerra in un mondo da sempre dominato dalla pace (Falso). Queste rappresentazioni propagandistiche distorcono la realtà e la percezione dell’opinione pubblica.

In realtà gli istituti scolastici, nascondendo tali informazioni si dimostrano, coscienti o meno, al servizio della cosiddetta “guerra psicologica” che i vari governi USA e paesi membri Nato attuano nel nostro paese, con il fine di avere una funzione psicologica e sociologica nell’educare i bambini attorno alle politiche dei paesi NATO guidati dalla Casa Bianca.

Ricordiamo che quando i paesi NATO hanno aggredito la sovranità del Kosovo (1999), dell’Iraq (2003), della Libia (2011), della Siria (2014), dello Yemen (2015), sono state tutte aggressioni in violazione del diritto internazionale che hanno causato oltre 1 milione di vittime dirette e indirette, ma nessuna bandiera di questi popoli è stata sventolata sopra gli istituti scolastici. 

Si richiede l’attenzione del sindaco Matteo Ruvolo su tale propaganda all’interno degli istituti scolastici, l’inserimento della bandiera Palestinese per ricordare le vittime della guerra a Gaza da parte di Israele assieme a quella Ucraina, oppure la rimozione di ogni bandiera, dato che come spesso accade si scelgono le guerre che a noi fanno più comodo e si silenziano tutte le altre.

*Ex pugile professionista di Muay Thai, ha sostenuto diversi incontri da professionista  a livello internazionale in  Thailandia e in altri paesi esteri : è tra i pochi italiani ad essere stato inserito nella classifica mondiale WBC alla 16º posizione per la propria categoria di peso. Attivista e militante politico, ha scritto per diverse testate tra cui La Riscossa,  Marx21 e l’Antidiplomatico

Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 15:00:00 GMT
OP-ED
Lo spettacolo del genocidio certificato

 

di Pasquale Liguori


Mentre Gaza viene rasa al suolo, le Nazioni Unite hanno ritrovato la voce. Dichiarano che sì, c’è genocidio. Che a Gaza c’è carestia, persino “prevedibile e prevenibile”. Lo scrivono in un rapporto ufficiale, lo dichiarano nei briefing. Due anni di massacri sistematici, di fame amministrata, di bambini, donne e anziani uccisi, di case, scuole, luoghi di culto e ospedali ridotti alla polvere, e adesso arriva la verità protocollata. Non per fermare, non per impedire, ma per mettere agli atti. Non per salvare vite, ma per salvare la faccia. Il diritto internazionale non è crollato a Gaza: attraverso le sue istituzioni, ha funzionato alla perfezione. È servito a differire, a coprire, a lasciare che la catastrofe maturasse. Quando tutto è già compiuto, pronuncia la parola proibita sdoganata con il timbro dell’istituzione, come se fosse una scoperta. Non è un atto di giustizia: è un atto notarile, un poter dire “noi l’avevamo detto”. Il linguaggio diventa così certificazione postuma e autoassoluzione dell’Impero che manovra quelle stesse istituzioni. È il certificato di coscienza di chi ha guardato altrove mentre la macchina della distruzione completava il suo compito.

A rendere grottesco questo teatro, nello stesso giorno scorrono le immagini della cosiddetta flottiglia umanitaria. Barchette che avanzano verso Gaza, salutate come simbolo di coraggio civile, celebrate come testimonianza del fatto che “qualcuno ci prova”. Non è tanto chi vi partecipa, molti in buona fede e rischiando la pelle, a costituire il problema: è il valore attribuito alla scena. È lo stesso meccanismo della dichiarazione Onu, quello di un rito di autoassoluzione e spettacolarizzazione. Non cambia nulla sul campo, non scalfisce la crudeltà israeliana, non restituisce acqua, pane, ospedali ai palestinesi. Ma tutto ciò consente, ancora una volta, di sentirsi buoni, “dalla parte giusta”. Un gesto che produce immagini per il consumo occidentale: lo spettacolo della coscienza pulita. Un surrogato di resistenza estetizzato, brandizzato, funzionale a preservare l’ordine del capitale, diventandone cornice morale. Capitale che, nel frattempo, lui sì che veleggia verso lo sterminio compiuto.

La verità non confessata è che siamo autori, non semplici complici, di questo genocidio. Con i nostri governi, le nostre armi, le nostre basi militari, i nostri finanziamenti, i nostri voti nei consessi internazionali, nazionali, regionali, comunali. Con i nostri media, giuristi e opinion makers che da due anni si sciacquano la bocca con le parole “diritto internazionale” e “umanità” a supporto di iniziative tardive e cortei pluralisti. Il sumud ridotto a marchio da esibire, bandiere e kefie brandite come accessori di chissà quale scudetto vinto. Le piazze, in larga parte prive di cultura politica, costruite per candeggiare la coscienza. Le stesse figure, sempre le stesse, che dai social e dalle televisioni pontificano senza tregua. Autoreferenziali, recitano un cinico copione: non per liberare la Palestina, ma per mettere sé stessi al centro, per occupare la scena, per farsi riconoscere come garanti morali. Paladini bianchi di un diritto che non difende nessuno, di un umanitarismo che copre la fame, di una legalità che serve solo a prolungare l’ingiustizia. Non sono voci marginali: sono ingranaggi centrali della macchina che regola il consenso, normalizza lo sterminio e lo traduce in rappresentazione morale.

Ed è qui che emerge un altro inganno: l’idea che la critica sia sterile se non si accompagna a una proposta immediata e confezionata. È il riflesso di una cultura autoassolutoria che neutralizza l’analisi, pretendendo soluzioni pronte all’uso e delegando sempre ad altri la responsabilità di pensare e di agire. Ma l’analisi radicale non è un lusso: è già azione, è la base indispensabile per ogni progetto di trasformazione. Senza questo momento di decostruzione e di smascheramento, non esiste possibilità di prassi: resta solo la ripetizione dei rituali che confortano e preservano l’ordine coloniale.

La flottiglia diventa così emblema perfetto di questa società malata: un corteo sull’acqua che non scalfisce l’assedio, ma che regala al pubblico occidentale l’illusione di partecipare senza però ‘sporcarsi’.

Israele è un’entità canaglia, fondata sulla pulizia etnica, che proclama apertamente di voler cancellare i palestinesi. I governi occidentali, i nostri soldi la armano, la finanziano, la coprono. Le bombe portano i nostri marchi, i droni le nostre tecnologie, le banche i nostri capitali. E mentre la macchina coloniale esegue il suo compito, i nostri giuristi, i nostri intellettuali, i nostri campioni dell’umanitarismo vendono lo spettacolo della coscienza: barchette, conferenze stampa, hashtags.

La catena logistica del genocidio è nostra e il diritto internazionale ne è la copertura. Le carte Onu che arrivano ora non sono denuncia, ma assoluzione preventiva. È qui che va detto senza ambiguità: si tratta del linguaggio che depoliticizza, che neutralizza, che trasforma il massacro in atto giuridico. È il cuore macabro della “comunità internazionale”: registrare lo sterminio come si registra un contratto.

La verità è che la Resistenza palestinese, con il suo sangue versato, è l’unica forza che ha interrotto l’automatismo della catena coloniale. Non i nostri atti simbolici, non i cortei di autocelebrazione. È la Resistenza, con il suo sacrificio, che smaschera la bassezza morale dell’Occidente, la vergogna del suo diritto.

Il fiore palestinese sboccia sulle macerie che noi abbiamo contribuito a produrre. La sua esistenza è la sola denuncia credibile della nostra civiltà fallita. Per questo oggi non abbiamo alcun diritto di giudicare, di prescrivere, di misurare. Abbiamo solo il dovere di tacere la nostra ipocrisia, di smettere di fornire armi, di sciogliere le catene del nostro sistema che nutre il genocidio.

La critica, per quanto scomoda, è parte di questo compito: non un diversivo, ma la condizione necessaria per rifiutare le illusioni e aprire spazi di alternativa. Non serve attendere eroi né applaudire messinscene rassicuranti. Serve il lavoro ostinato e collettivo, invisibile e tenace, di chi non si accontenta del consumo di immagini ma mira a destabilizzare l’ordine coloniale alle sue fondamenta.

Tutto il resto è spettacolo. Ed è lo spettacolo che copre lo sterminio.

Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 14:00:00 GMT
OP-ED
Marco Travaglio - Fiori rosa, fiori di Peskov


di Marco Travaglio - Fatto Quotidiano, 17 settembre 2025

Siccome l’attentato russo all’aereo di Ursula non era né russo né attentato, siccome il killer russo del leader Nato-nazista ucraino Parubij era un ucraino incazzato col suo governo, siccome lo sciame di droni fuori rotta abbattuti o caduti in Polonia aveva subìto eguale sorte in Bielorussia ed è improbabile che Putin bombardi il migliore amico per bombardare un nemico, e siccome i popoli europei continuano a opporsi alla guerra preventiva alla Russia, bisogna somministrare loro un “attacco” o “minaccia” della Russia al giorno. A costo di inventare. Lunedì Peskov, portavoce di Putin, dice una banalità che tutti sanno dal 2014, tant’è che la Nato se ne vanta e Mosca la fa notare da un pezzo: “La Nato è in guerra con la Russia per il suo sostegno all’Ucraina. Questo è ovvio e non richiede ulteriori prove”. La Nato ha messo in piedi, addestrato, finanziato e armato l’esercito di un Paese non Nato, l’Ucraina, per undici anni: prima per attaccare gli ucraini russofoni ribelli dopo il golpe di Maidan, poi per difenderli dall’invasione russa, poi per attaccare la Russia con missili Nato su bersagli quasi solo civili (case, uffici, ponti, porti, aeroporti, ferrovie, raffinerie, centrali elettriche e pure nucleari). Se la Nato, violando il suo stesso Trattato, s’intromette in una guerra che non la riguarda per attaccare la Russia per interposta Ucraina, come può stupirsi se la Russia le ricorda ciò che sta facendo? E se l’Ucraina finanziata e armata da Nato e Ue fa saltare i gasdotti russo-europei NordStream, con che faccia l’Europa tace e poi accusa la Russia di attaccarla per 19 droni fuori rotta senza morti né danni?

I guerrapiattisti vedono i sondaggi e sanno che, malgrado loro, molti cittadini queste contraddizioni le colgono (Putin ha appena ripetuto in Cina che non intende attaccare l’Europa e alle sue esercitazioni bielorusse ha invitato osservatori Usa). Infatti ribaltano di 180 gradi la frase di Peskov per trasformare un’ovvietà (la Nato in guerra con la Russia) in una dichiarazione di guerra (la Russia in guerra con la Nato). Kallas: “Putin cerca l’escalation”. Crosetto: “L’Italia non è preparata ad attacchi russi né di altri”, neppure del Madagascar, senza spiegare perché mai la Russia o il Madagascar dovrebbero attaccarci. La stampa fa il resto. Corriere: “L’affondo del Cremlino”. Rep: “La minaccia del Cremlino: ‘Già in guerra con la Nato’”. Stampa: “Mosca sfida la Nato”, “la minaccia di Peskov”. Messaggero: “Il Cremlino minaccia la Nato: ‘Siamo già in guerra’”. Giornale: “Attacchi da Mosca. Allarme Italia indifesa”. Libero: “Il Cremlino provoca la Nato. Putin alza il tiro”. Domani: “Putin minaccia: ‘Siamo già in guerra con la Nato’”. Peskov ha detto l’opposto, ma qui la stampa è molto libera. Mica siamo in Russia.

Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 14:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Il Pakistan propone una NATO islamica per combattere l'aggressione di Israele nella regione

 

Il ministro della Difesa pakistano Khawaja Asif ritiene che la recente aggressione israeliana contro il Qatar non è stata condotta senza il previo consenso degli americani, affermando che è giunto il momento per i paesi musulmani di formare un'alleanza militare islamica in stile NATO per affrontare le sfide comuni.

Asif ha rilasciato queste dichiarazioni durante un'intervista concessa martedì al canale di informazione pakistano Geo News, in seguito al vertice di emergenza arabo-islamico in Qatar, tenutosi in risposta agli attacchi israeliani contro i leader del movimento di resistenza palestinese Hamas a Doha la scorsa settimana.

Il ministro pakistano ha inoltre esortato i musulmani a "riconoscere i nemici amici" e a "superare le sfide comuni", sottolineando che "dovrebbero formare una NATO islamica".

Asif ha anche sottolineato il cambiamento nell'opinione pubblica nel mondo occidentale, sottolineando che perfino negli Stati Uniti si sta verificando una crescente opposizione a Israele. 

Ha affermato che Israele ha lanciato l'attacco contro i leader di Hamas "con il consenso di Washington", avvertendo che "ne vedremo le conseguenze nel prossimo futuro".

Asif ha inoltre sottolineato il coinvolgimento americano nello sviluppo di al-Qaeda e il ruolo della CIA nel portare l'ex leader del gruppo terroristico, Osama bin Laden, dal Sudan alla regione. 

Nel suo discorso ha parlato degli sviluppi in corso in Siria, in particolare del regime change, descrivendoli come un'indicazione della tacita approvazione degli Stati Uniti.

Ha inoltre sottolineato la necessità per i musulmani di stabilire un'alleanza militare simile alla NATO, con l'obiettivo primario della difesa reciproca piuttosto che prendere di mira un paese specifico.

 

Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 12:30:00 GMT
Lavoro e Lotte sociali
Il messaggio subliminale delle disuguaglianze accettabili

 

di Federico Giusti

Le disuguaglianze sono soprattutto di natura economica e in costante aumento, tra le cause la erosione del potere di acquisto, la perdita di una occupazione, pur mal pagata e di qualche fonte di reddito (pensiamo al reddito di cittadinanza), la crescita del costo della vita a partire dal caro tariffe e affitti. E Invece quali saranno le conseguenze? Minore domanda per incapacità di spesa, morosità incolpevole, indebitamento familiari, sfratti esecutivi, perdita della casa e disgregazione familiare.

Quadro generico riassunto tuttavia in termini reali, un vecchio sindacalista scriveva tanti anni or sono che la perdita del lavoro determina il nomadismo abitativo e precarietà sociale da cui inizia la disgregazione familiare con innumerevoli malattie e dipendenze.

Le molteplici cause delle disuguaglianze sono da tempo oggetto di studio e di analisi se non fosse che le cause economiche di questi processi sono sempre e comunque ridimensionati, preferibile per gli analisti indagare la scarsa mobilità sociale o le questioni di genere.

E quando parliamo di disuguaglianza economica la nostra mente va a una società nella quale si concentrano le ricchezze nelle mani di pochi con l’inesorabile depotenziamento del pubblico (dalla scuola alla sanità per intenderci). 

La causa della disuguaglianza economica è intrinseca al modo di produzione capitalista e alle dinamiche della attuale fase economica, in altri termini potremmo ricordare quel lungo periodo neoliberista (meno stato, più mercato, privatizzazioni e liberalizzazioni) interrotto in parte con l’avvento della pandemia che almeno ha rimesso in gioco parte della spesa pubblica oggi invece proiettata verso il Riarmo dei paesi Ue e Nato.

 Le conseguenze della povertà, relativa e assoluta che poi riguardano fasce differenti della popolazione, sono rappresentate non solo dagli scenari sociali tipici della disuguaglianza economica ma anche dalla scarsa mobilità sociale (una società ferma è solitamente in crisi anche per il depotenziamento del ruolo e della funzione statale) che a detta di alcuni rappresenterebbe il fattore scatenante delle disparità di trattamento e di un quadro sociale sostanzialmente fermo nel quale il figlio dell’operaio svolgerà lo stesso lavoro del padre.

Esiste agli occhi di gran parte della popolazione una soglia di miseria e di disuguaglianza accettabile, quando non determina contraddizioni sociali particolarmente violente e dirompenti, ci si accorge solo oggi di oltre 40 anni di lenta erosione del potere di acquisto, una situazione giustificata sotto molteplici forme, ad esempio, sventolando la tesi della lotta alla inflazione del contenimento del debito pubblico.

Ma altri paesi, pur avendo contenuto il debito, presentano un aumento dei salari decisamente maggiore del nostro, hanno recuperato potere di acquisto, per dirla tutta la dinamica salariale italica è in fase recessiva dai primi anni Ottanta del secolo scorso e questo dato mostra la debolezza strutturale del capitalismo di casa nostra.

Rispetto al passato l’attenzione verso la lotta alle disuguaglianze si è affievolita (anni di libero mercato e cultura del merito hanno effetti devastanti sul piano culturale ed ideologico) eppure in alcuni paesi, ne abbiamo già parlato in precedenti articoli, le disparità economiche sono cresciute visibilmente, il dato nuovo è rappresentato dall’idea che si debba tuttavia convivere con qualche disuguaglianza in più rispetto a 20 o 40 anni or sono.

La tollerabilità della disuguaglianza dipende a nostro avviso dal fatto che non si guarda al modo di produzione capitalistico come causa principale delle disparità, siamo ormai abituati alla convivenza con lo status quo senza porci criticamente il tema dell’alternativa sistemica, prova ne sia che il tema delle disuguaglianze risulta tra i più dibattuti sui giornali e nei convegni ma senza mai costruire un argine o dei percorsi conflittuali rispetto alle disparità dilaganti.

 Perfino l’Onu parla di “ridurre le disuguaglianze” mettendo insieme tutte le disparità, dal genere all’ età, dall’economico alla disabilità ma così operando l’attenzione si allontana dal modo di produzione capitalistico e la critica assume i connotati di un discorso generico, parziale e in sostanza di mera giustificazione dell’esistente. Il messaggio trasmesso è quello della inutilità dei processi radicali di cambiamento sociale ed economico oltre alla tacita accettazione delle disuguaglianze che risulterebbero ineluttabili. Del resto, qualcuno scriveva, anni or sono, che le grandi disparità economiche e sociali vedevano una fascia ristretta arricchirsi esponenzialmente lasciando qualche briciola ai meno abbienti. E il messaggio, per chi non lo avesse capito, è assai eloquente: accontentatevi delle briciole e state buoni, non protestate contro le grandi ingiustizie o contro i genocidi dei popoli, pensate che sotto le bombe gestite dall’intelligenza artificiale potreste trovarvi voi stessi.

Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 12:30:00 GMT
OP-ED
Caitlin Johnstone: Israele sta commettendo un genocidio. Questo è un fatto, non un'opinione

 

di Caitlin Johnstone*

Un'inchiesta delle Nazioni Unite ha scoperto che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza e che le autorità israeliane hanno "intenzione di uccidere quanti più palestinesi possibile" nell'enclave.

Israele ha risposto al rapporto delle Nazioni Unite definendolo antisemita e di Hamas, perché è tutto ciò che hanno da dire. Il Ministero degli Esteri israeliano ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che il rapporto è stato redatto da "individui che fungono da rappresentanti di Hamas, noti per le loro posizioni apertamente antisemite".

Bla, bla, bla. Il rapporto è di Hamas e antisemita. Tutte le organizzazioni per i diritti umani sono di Hamas e antisemite. Esiste una gigantesca cospirazione antisemita globale di Hamas, dedita a far sembrare che Israele stia commettendo un genocidio, solo per rattristare il popolo ebraico.

A questo punto, le uniche persone che negano ancora che Israele stia commettendo un genocidio sono coloro che vogliono assicurarsi che nessuno faccia nulla per impedire a Israele di commettere un genocidio.

L'elenco delle istituzioni umanitarie che accusano Israele di genocidio ora include:

1. La Commissione internazionale indipendente d'inchiesta delle Nazioni Unite sul territorio palestinese occupato

2. L'Associazione Internazionale degli Studiosi del Genocidio

3. B'Tselem (un'organizzazione israeliana)

4. Medici per i diritti umani-Israele (un'altra organizzazione israeliana)

5. Amnesty International

6. Medici Senza Frontiere

7. Il Centro europeo per i diritti costituzionali e umani

8. Human Rights Watch

9. La Federazione Internazionale per i Diritti Umani

10. L'Istituto Lemkin per la prevenzione del genocidio

L'elenco delle istituzioni umanitarie che affermano che Israele NON sta commettendo un genocidio a Gaza include:

1. Nessuno

2. Nessuno

3. Zero

4. Niente

5. Niente

6. Niente

7. Dannazione a tutti!

8. Un'assenza completa

9. Un piccolo squat

10. Bupkis

Non è corretto trattare il fatto che Israele stia commettendo un genocidio come se fosse una questione di opinione. Ogni istituzione per i diritti umani competente al mondo ritiene che si tratta di un genocidio. Nessuna istituzione equivalente afferma il contrario. Questa è una questione risolta.

Chi nega che si tratti di genocidio merita di essere preso sul serio esattamente come i terrapiattisti. Sono solo una versione estremamente malvagia e distruttiva dei terrapiattisti.

Non si vedono articoli sulla NASA in cui i giornalisti aggiungono "un'agenzia che molti ritengono una bufala governativa progettata per ingannarci e farci accettare la teoria della Terra sferica". Se un ospite della BBC menziona l'Antartide, il conduttore non lo interrompe per dire "e dovremmo dire che i teorici della Terra piatta negano l'esistenza di quel continente, sostenendo che in realtà è una parete di ghiaccio che tiene insieme gli oceani".

Inoltre, non si vedono reportage che trattano la scienza ufficiale sullo spazio e sul nostro pianeta come se fosse un'opinione condivisa da alcuni. Non si vede mai "che molti scienziati sostengono esista" quando un articolo parla di spazio, né si vedono riferimenti all'orizzonte mitigati da espressioni come "che alcuni sostengono sia dovuto alla curvatura terrestre piuttosto che alle leggi della prospettiva e della rifrazione della luce". Sono semplicemente trattati come fatti accertati, e chi non è d'accordo con i fatti accertati non viene preso sul serio.

Il genocidio di Gaza non dovrebbe essere diverso. Come dice il vecchio adagio, se una parte dice che piove e l'altra dice di no, il tuo compito non è citare entrambe le parti, il tuo compito è guardare fuori dalla finestra.

La finestra è proprio lì, i media occidentali. E piove genocidio.

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/

Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 12:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Gli USA lanciano uno dei loro piani più ambiziosi per contenere la superiorità marittima della Cina

 

 

L’agenzia Reuters, citando tre fonti a conoscenza del piano, ha riferito che il governo degli Stati Uniti ha lanciato un'ambiziosa iniziativa marittima che non si vedeva dagli anni '70, volta a contrastare l'espansione della rete portuale cinese in tutto il mondo.

Secondo le fonti consultate, la Casa Bianca teme di trovarsi in una posizione di svantaggio rispetto al gigante asiatico in caso di conflitto. I funzionari dell'amministrazione di Donald Trump sostengono che la flotta mercantile statunitense è mal equipaggiata per fornire supporto logistico alle forze armate in tempo di guerra e che la sua dipendenza da navi e porti stranieri sia eccessiva, hanno spiegato le fonti.

A questo proposito, gli Stati Uniti stanno valutando alternative che includono il sostegno a società private statunitensi o occidentali per acquisire partecipazioni cinesi in porti strategici. Ad esempio, le fonti hanno menzionato l'interesse di BlackRock per le attività portuali di CK Hutchison, con attività in 23 paesi, tra cui il prezioso Canale di Panama.

Il porto greco del Pireo sotto i riflettori

Le autorità statunitensi sono inoltre preoccupate per la presenza di infrastrutture marittime cinesi in luoghi come Grecia, Spagna, Caraibi e persino nei porti della costa occidentale degli Stati Uniti. "Il governo statunitense considera gli investimenti cinesi nei porti globali un'enorme minaccia per la propria sicurezza nazionale", secondo Stuart Poole-Robb, fondatore della società di consulenza in materia di rischi e intelligence KCS Group.

Uno dei principali terminal marittimi presi di mira dall'amministrazione Trump è il porto greco del Pireo, uno dei più grandi del Mediterraneo, che collega Europa, Africa e Asia. Qui, COSCO, uno dei maggiori gruppi portuali e navali cinesi, detiene una partecipazione del 67% nell'Autorità Portuale del Pireo. Questa società è stata aggiunta alla lista nera del Pentagono per i suoi presunti legami con l'esercito cinese.

Le rotte dei Caraibi e di Gibilterra

Washington ha anche espresso preoccupazione per gli investimenti cinesi nel porto di Kingston, in Giamaica, una struttura in acque profonde fondamentale per il trasbordo marittimo nei Caraibi, dove China Merchants detiene una partecipazione nella società che gestisce il terminal container. Il Center for Strategic and International Studies, un think tank, ritiene che la presenza della Cina nella capitale giamaicana rappresenti il ??maggiore rischio per la sicurezza degli Stati Uniti tra tutti i progetti portuali di Pechino in America Latina e nei Caraibi.

Nel frattempo, lo Stretto di Gibilterra, possedimento britannico che separa la Spagna dall'Africa, all'ingresso del Mediterraneo, è un'altra via d'acqua oggetto di attenta analisi nello studio. Si segnala inoltre che COSCO ha ottenuto concessioni per la gestione di terminal container a Valencia e Bilbao, in un momento in cui il governo spagnolo sta cercando di approfondire i suoi legami commerciali con la Cina.

La schiacciante superiorità della Cina

Secondo uno studio del Council on Foreign Relations pubblicato l'anno scorso, si stima che la Cina abbia investito in 129 progetti portuali in tutto il mondo attraverso diverse aziende.

Inoltre, si ritiene che l'industria cantieristica del gigante asiatico sia 230 volte più grande della capacità dei cantieri navali statunitensi, un divario che gli Stati Uniti potrebbero colmare nel giro di decenni, nonostante i piani di Trump.

Tuttavia, la spinta marittima degli Stati Uniti ha contribuito alle tensioni con Pechino, che da parte sua considera le risorse portuali e di spedizione come parte integrante della sua iniziativa Belt and Road, nel contesto del deterioramento delle relazioni commerciali tra le due potenze.

Cosa dice la Cina?

Un portavoce dell'ambasciata cinese negli Stati Uniti ha dichiarato all'agenzia di stampa che la Cina mantiene una normale cooperazione con le altre nazioni nel quadro del diritto internazionale. "La Cina si è sempre opposta fermamente alle sanzioni unilaterali illegali e ingiustificate, alla cosiddetta giurisdizione a lungo termine e alle misure che violano e minano i diritti e gli interessi legittimi di altri paesi attraverso la coercizione economica, l'egemonia e l'intimidazione", ha spiegato.

"Gli Stati Uniti stanno cercando di attaccare l'influenza internazionale della Cina enfatizzando la 'teoria della minaccia cinese' e usandola come scusa per costringere gli alleati a schierarsi negli accordi sulla catena di approvvigionamento", secondo il Centro di ricerca per lo sviluppo del Consiglio di Stato.

Data articolo: Wed, 17 Sep 2025 12:00:00 GMT

News su Gazzetta ufficiale dello Stato, Corte costituzionale, Corte dei Conti, Cassazione, TAR