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di Fulvio Grimaldi per l'AntiDiplomatico
Noi e l’America Latina…
Due parole per chiarire il titolo. Heartland, cuore della Terra, o terra-cuore, era per il mitivo geopolitico USA Zbigniew Brzezinski, nella configurazione della sua Grande Scacchiera, la regione del mondo di cui un impero doveva essere in possesso. per potere esercitare un dominio globale. Si trattava delle immense aree interne dell’Eurasia. Da qui il confronto epocale con l’URSS, divenuto Guerra Fredda.
Ciò che ci ha fatto intendere Donald Trump, con le sue recenti dichiarazioni sui propositi strategici degli USA, è uno spostamento drastico dell’attenzione e delle intenzioni, dall’Eurasia vagheggiata dal politologo di Jimmy Carter, alla più vicina e concreta America Latina. Ce ne siamo accorti, noi italiani? Non crediamo di avere buoni motivi per interessarcene?
Penso che per una volta noi italiani, abituati a denigrarci, a non considerare e neppure a ricordare chi si è speso per il nostro paese e con eccellenti risultati (Guerre e lotte di liberazione tra ‘800 e Resistenza partigiana), possiamo dirci abbastanza soddisfatti. Parlo della Palestina, di come siamo stati pronti e determinati a conoscerla, sostenerla, difenderla in tutti i creativi modi con cui ci siamo mobilitati in massa, traendone anche consapevolezza politica più vasta e profonda dell’ambito colonialista specifico. Bene, bravi, 7+.
Ma l’America Latina? A suo tempo un discreto movimento per Cuba, poi per il Venezuela molto di meno, qualcosina per il Nicaragua… In America Latina vivono oltre 1,5 milioni di italiani registrati all'AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero), con le comunità più numerose in Argentina (circa 870.000) e Brasile (oltre 470.000), secondo dati aggiornati a circa il 2021/2022, ma il numero totale di persone di origine italiana è molto più elevato, contando decine di milioni di persone (oriundi). In Venezuela gli italiani registrati sono 150mila, ma quelli che si dicono italiani sono almeno 1 milione. Erano cinque, ma sono venuti via in tanti dopo il cambio di paradigma imposto al paese dalla rivoluzione bolivariana di Chavez e Maduro che ha posto fine a una casta di privilegiati di cui imprenditori italiani erano protagonisti.
Allora, lasciando da parte fenomeni planetari ed epocali, tipo Palestina o il conflitto ucraino, com’è che l’annunciato assalto trumpista al Venezuela, paese di 28,5 milioni di abitanti, protagonista del più grande rivolgimento continentale, a rischio di finire come Gaza, non colma né le piazze, né gli schermi, né le pagine dei giornali? E del Nicaragua veniamo a sapere qualcosina, solo perché i vescovi cattolici locali, protagonisti di una controrivoluzione antisandinista scatenata dal solito mercenariato ONG, si dicono perseguitati e repressi dal regime?
Questa situazione di assenza, sconoscenza, ignavia, meticolosamente perseguita dal nostro sistema politico-mediatico integrato, quando non sia il caso di ripetere a pappagallo le calunnie inventate da qualche yankee vorace di risorse naturali, non è casuale e neppure innocente. L’America Latina, superato qualche soprassalto di interesse giovanile per le dittature del Condor kissingeriano e relative resistenze armate, e per la rivoluzione cubana, da tempo catalogata e archiviata, è roba yankee. Roba del padrone. Che non gradisce ingerenze e meno gli altri se ne occupano e più è padrone di occuparsene lui.
Tanto più che, con Trump, ha vigorosamente manifestato una nuova strategia; quella che mette al centro l’America Latina e le sue sconfinate risorse, con simultaneo abbandono dell’Europa, derelitta con poco in dispensa, che di risorse da rapinare non ne ha e che, anzi, a suo tempo ha fatto danno prevalendo nel campo della manifattura. Un rilancio della dottrina Monroe, controllo USA sull’emisfero, che ora qualcuno chiama “Donroe”.

Qui diamo uno sguardo a una serie di sviluppi di stretta attualità, ma che non sembra siano considerati, dai soloni mainstream della nostra geopolitica, degni di notizia o addirittura di approfondimento. E pensare quale scossone darebbe agli equilibri mondiali ì’ipotesi, seriamente studiata, di un canale nell’ istmo tra Caraibi-Atlantico e Pacifico tracciato in Honduras o Nicaragua, che sostituisca quello di Panama, nodo scorsoio nordamericano dai cui porti si sta cercando di cacciare i cinesi.
Anni ’70, non solo Pinochet
Chi era in giro negli anni 70, e credo che siamo in parecchi visto l’invecchiamento della popolazione, si illuminerà al ricordo degli Inti Illimani e gli verrà da canticchiare una canzone che parlò al mondo di Ande, di dittatura e di resistenza. Una resistenza che non fece vincere i cileni, almeno non allora, ma che animò e diede scopo a quella di mezzo mondo. La parte nostra di quella resistenza quelli che se ne videro messi in discussione la chiamarono, per esorcizzarla, “anni di piombo”.
Noi invece avevamo capito, anche grazie agli Inti Illimani e all’altro grande cantore di quella rivoluzione, Victor Jara, che il Cile, dopo la Cuba del Che e di Fidel, aveva fatto della lontana - tenuta lontana apposta dalla cosca politico-mediatica - America Latina, terra anche nostra, un cuore e una volontà unica: El pueblo unido jamas serà vencido! Un canto, un grido che ha superato tutte le sconfitte, accompagnato le rivincite, resistito nell’oscurità. Un grido che si oppose agli artigli e al gracidare del “Condor”, operazione kissingeriana che l’ebbe vinta, ma per poco, fino a quando non fu del tutto spennata dal Venezuela di Chavez.
Il Cile, Cuba, ma anche il Portogallo dei colonelli rivoluzionari (i militari non sono necessariamente tutti dei Cavo Dragone), ci indicarono chi erano i nuovi nemici dell’umanità, quelli che, rimesso in standby il fascismo, ci stavano di nuovo addosso con i suoi succedanei. Nemici d’oltremare, imbellettati da liberatori, che avevano sostituito i vecchi colonialisti, spompati e debellati dalle rivoluzioni africane e asiatiche. Da noi si erano dati da fare per coltivare nuove classi dirigenti che ci tenessero in riga.
Gli anni della resistenza al Condor di Kissinger, che impiantava ovunque nel subcontinente degli orridi Jack Squartatori in divisa, erano anche quelli del riverbero europeo e noi di Lotta Continua ci demmo da fare per esserci, farlo sapere, provare anche di dare una mano. Aprimmo una sede a Lisbona, quando vi fiorivano i garofani che avrebbero strozzato il tiranno Salazar. Andammo in Cile dove, ucciso Allende, a socialisti e comunisti disorientati diede nerbo il MIR, Movimiento de la Isquierda Revolucionaria, che provò a tenere. Andammo per raccontare e portare quanto avevamo potuto raccogliere all’insegna del motto “Armi al MIR”. Nessuno si scandalizzò. Erano tempi in cui i popoli di Congo, Kenya, Mozambico, Angola, Palestina, Vietnam e poi Egitto, Siria, Iraq non permettevano che la parola rivoluzione armata, o resistenza armata, diventasse reato da leggi e neocodici penali e da negazione di sale per convegni.
Cile, la sinistra con le scarpe della destra

Jeanette Jara e Antonio Kast
Mentre scrivo, il risultato del ballottaggio presidenziale cileno non è ancora stato comunicato. Ma è difficile che ci siano sorprese, anche perchè tra i due contendenti, la prima arrivata, comunista, non ha dietro di sé che quel triste 27% del primo turno. Mentre l’avversario postnazista si avvale, oltrechè del suo 23,9% anche di quanto gli portano i successivi terzo, quarto e quinto del primo turno, tutti che non si distinguono essenzialmente che per le facce e gli abiti che portano. Quanto all’essenziale – che Cile, quali rapporti di classe, che fare dei residui del pinochettismo, mai del tutto rimossi dal predecessore Boric, come trattare la minoranza emarginata dei Mapuche, e, soprattutto come rapportarsi a chi da sempre, con le sue forze economiche, militari e d’intelligence, prova a determinare le stagioni del paese – le differenze sono quelle che trovi tra una ‘ndrangheta e una camorra.
In Cile è andata male. Da uno, Gabriel Boric, venuto a galla sui grandi sommovimenti, soprattutto studenteschi contro il tardo, ma irriducibile, pinochettismo della fine del secondo decennio del secolo, ci si erano aspettate grandi cose. Nessuna delle quali si è avverata. Uno stanco e moscio tran tran che non aveva modificato la Costituzione, lasciato l’economia preda dei soliti gruppi interni ed esteri, mantenuto in piedi il vecchio apparato repressivo, non aveva intaccato la presa delle corporation USA sulle risorse del paese, a partire da rame e litio. Ed era quello “de sinistra”. Almeno all’ONU si è dato un tono positivo auspicando l’arresto di Netanyahu.
Così alle elezioni arriva prima una comunista, Jeanette Jara, già ministra del lavoro con Boric, ma appena col 27%. Al ballottaggio era data per scontata la vittoria del primo dei due pinochettisti duri, arrivati secondo e terzo. Il Contendente di Jara è Josè Antonio Kast, del fascistoide Partito Republicano, figlio di un esule nazista della famigerata “Comunità Dignità” di rifugiati del Reich, arrivato al 24%. Sono noti i suoi stretti legami con il partito spagnolo dell’ultradestra VOX, anche intensamente frequentato dalla nostra premier Meloni: “Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy cristiana”….
Il quarto arrivato, Johannes Kaiser, Partito Nazionale Libertario, stessa risma e stessa matrice, contribuisce col 14%.all’affermazione dell’estrema destra. Al potenziale 38% ottenuto dai due al primo turno si dovrebbe sommare il 12,4% di un’altra destrissima, Evelyn Mattei, figlia di un ufficiale membro della giunta di Pinochet e, forse, il sorprendente 19,71% dell’immancabile “populista”, Franco Parisi, “Partito della Gente”, riuscito a scalzare Kaiser dal terzo posto. Ci si prospetta un personaggio che si girerà a seconda del vento che sente tirare.
Quanto ai risultati delle contemporanee elezioni legislative, la tendenza a destra è confermata dalla sua avanzata nella Camera dei Deputati, con 155 seggi, e nel Senato, con 23 seggi su 50.
Con la destra al 70%, anche se per un miracolo dovesse ora arrivare in testa Jeanette Jara, con il suo controverso sforzo di ricupare il voto moderato, vecchia tara, il Cile che neppure il “sinistro” Boric è riuscito ad estrarre dalle secche del pinochettismo diffuso, più o meno mimetizzato, rimane saldo nelle mani dei suoi potentati economici. Salvo una rivoluzione, che però non è alle viste neanche nei programmi del Partito Comunista di Jara. Una preoccupazione di meno per chi ha messo al centro della propria strategia “detta di Sicurezza”, da leggersi come aggressivamente colonialista, la rinnovata dottrina Monroe.
Che poi vuol dire controllo del Sud Pacifico, di buona parte dell’Antartide, rame, litio, molibdeno, prodotti agricoli. E di un rafforzamento della regressione del Cono Sud, Argentina, Bolivia, Paraguay, Ecuador, Perù, nel recinto del famigerato “cortile di casa” Cortile in cui dare spazio ai giochi estrattivi delle multinazionali, sostenuti da regimi “forti”.
A chiusura dei conteggi dei voti per il ballottaggio presidenziale in Cile, è risultato vincitore Jose Antonio Kast con Il 58'3%.
Jeanette Jara, del partito comunista, si è classificata seconda con il 41,7%.
Dopo 35 anni dall'uscita di scena del generale Pinochet, un esponente dell'ultradestra pinochetista conquista la Moncada.
Honduras-Trump, golpe elettorale in corso

Mentre scrivo, in Honduras alle prese dal 30 novembre con le elezioni presidenziali, in seguito a una valanga di calcoli sbagliati, voti spariti e pesanti ingerenze di Trump, il caos è totale. Il Partito al governo, Libre, ha chiesto l’annullamento delle elezioni.
Nel nome di una resistenza di popolo al golpe di Obama e Hillary Clinton, irriducibile per una dozzina d’anni di dittatura fintoparlamentare sotto stretto controllo USA, nel 2022 Xiomara Castro aveva restituito all’Honduras, paese strategico dell’America Centrale, assediato da luogotenenti yankee, libertà, sovranità, dignità. Non è bastato. Troppo gravi le problematiche strutturali economico-sociali, superate solo in misura ridotta. Il tasso di povertà è calato dal 75% al 60%, ma l’insicurezza alimentare colpisce 1,7 degli 11 milioni di honduregni, grazie anche ai danni ai raccolti prodotti da siccità e inondazioni.
Alle elezioni presidenziali del 30 novembre Rixi Moncada, candidata di LIBRE (Libertad e Refundacion), il partito, ispirato alla rivoluzione bolivariana, di Manuel Zelaya, presidente spodestato dal golpe del 2009, e poi di Xiomara, sua moglie e presidente dal 2022, si è dovuta accontentare, dopo metà dei voti contati, di un deludente terzo posto, inchiodata al 19’18%. Segno di quanto poco la popolazione ha apprezzato la gestione del dopo-vittoria del 2022 da parte di Xiomara Castro. Ma segno, forse più forte, di quanto possa l’intervento di Trump in un paese formalmente sovrano.
I conteggi, diventati estenuanti e chiaramente oggetto di manipolazioni, rilevati anche dagli osservatori UE, hanno poi avuto degli sbalzi che però riguardavano le rispettive posizioni dei due arrivati in testa: Nasry Tito Asfura del Partido Nacional Conservador, grande palazzinaro, tycoon di riferimento dei 25 massimi gruppi economici della regione, sospinto senza pudore da Trump, e Salvador Nasralla, Partido Liberal, una specie di Zelensky dagli analoghi trascorsi da divo TV e per Trump seconda scelta. Quasi appaiati dopo i primi conteggi, 40% all’uno, 39,80%, insieme rappresentano una estrema destra di quasi l’80%, Che è oggi la forza della destra nel paese, intimamente legata ai narcos.
Trump, i narcos, quelli veri, non vengono bombardati

Trump e Asfura
Non per nulla Trump si è speso oltre ogni limite di ingerenze abusive a favore di Asfura. Non solo ripetendo la formula servita in Argentina a far vincere Milei, mediante il ricatto: vi do 40 miliardi di dollari, ma solo se fate vincere Milei. Nel caso di Asfura è arrivato a esaltarne la qualità morale offrendo l’amnistia a un suo vecchio sodale, l’ex-presidente Juan Orlando Hernandez, battuto nel 2022 da Xiomara Castro e successivamente condannato da giudici statunitensi a 45 anni di prigione per narcotraffico. Incredibilmente, insieme a un presidente narcotrafficante, ne risulta riabilitato anche questo suo intimo e probabile successore. Liberato dalla sua prigione a New York e trasferito a Tegucigalpa per sostenere il suo emulo nell’attuale corsa al primato, questo ex-presidente narcos è stato fatto immediatamente riarrestare, a esecuzione di un mandato dell’Interpol, da un per niente intimidito ministro della Giustizia honduregno.
Va dunque, per Trump, ripreso il filo a suo tempo tagliato dalla rivoluzione di LIBRE. Basta questa sua iperattività per determinare l’affermazione del candidato tracimante profumo di stupefacenti a mettere in evidenza cosa intenda Trump quando minaccia guerra al Venezuela, o affonda barchini di pescatori, nel segno della “lotta al narcotraffico”? Con la denuncia della candidata apparentemente sconfitta, del suo partito e addirittura del Consiglio Nazionale Elettorale, responsabile della convalida dei risultati, di un golpe elettorale in corso, i giochi si sono riaperti. La situazione resta confusa, Il rifiuto di riconoscere i risultati provvisori della presidente uscente, Xiomara Castro, si fonda su dati concreti. Il meccanismo degli scrutini prevede un duplice conteggio: quello elettronico del TREP, che calcola i risultati preliminari e nella cui pancia pare siano scomparse alcune decine di migliaia di voti, e quella dei verbali con i dati anagrafici, biometrici e le firme degli scrutinatori, di cui altre migliaia appaiono prive di questi accertamenti. Accuse di frodi e manipolazioni, avanzate dalla sinistra si esprimono adesso anche in tumulti di piazza.
Incurante di tutto questo, Trump accentua la sua partecipazione attiva a un processo che non sembra finire mai e assume caratteri surreali. Quando, a 10 giorni dal voto, i conteggi incominciavano a dare atto di un momentaneo superamento di Asfura, Partido Nacional, da parte del liberale Nasralla, a Trump meno gradito, altro intervento a gamba tesa: “Se non vince Asfura, voi narcocomunisti non vedrete più un dollaro di aiuti americani e andrete in rovina…”
Difficile fare la cronaca di un processo che sembra arrotolarsi su se stesso. Assistiamo a un grottesco susseguirsi di colpi di scena, con scoperte di voti sottratti, ricomparsi, svaniti, interferenze esterne sempre più pressanti, con minacce trumpiane fino al livello israeliano della fame come arma di guerra, tumulti popolari davanti alle sedi del potere nella consapevolezza che si sta portando avanti un oscuro tentativo di negare la volontà degli elettori, sospensione temporanea dei conteggi a quasi due settimane dal voto. Evidentemente per chi puntava su un recupero di questo paese uscito dall’orbita USA, la posta in gioco è molto grande.
Un popolo contro i suoi schiavisti…

Juan Orlando Hernandez e papa Bergoglio
Quando arrivai in Honduras, fine giugno 2009, si stava consolidando un colpo di Stato allestito giorni prima da militari felloni su input di Obama e Hillary Clinton e facilitato da un’intelligence del Mossad israeliano di cui le orme sono presenti in ogni operazione di regime change latinoamericano, praticamente dalla Costituzione dello Stato sionista. Provocazioni e spionaggio del Mossad in America Latina, sempre a favore di soluzioni caudilliste, sono uno degli elementi costitutivi dell’interscambio USA-Israele.
Gli honduregni, eleggendo Manuel Zelaya, erano entrati nell’A.L.B.A. Alleanza Bolivariana per le Americhe, cosa che metteva a rischio il ruolo che al paese era stato da Washington assegnato di centro strategico, anche militare, per il controllo statunitense su America Centrale e Caraibi. Incrociai il responsabile Mossad all’aeroporto di Tegucigalpa, io arrivavo, lui aveva finito il lavoro e partiva.
Un golpe, squadroni della morte, un’eroina e 13 anni di lotta
La resistenza honduregna aveva qualcosa che la avvicinava a quella palestinese. Era instancabile, inflessibile, di massa. Non passava un giorno, in tutto il paese, che la mia telecamera non registrasse fenomenali manifestazioni di popolo e che dovesse evitare di essere annebbiata dai gas, o accecata dalle fucilate dei poliziotti. Una repressione feroce, sanguinaria, che non si è riuscita a fermare, per oltre 10 anni e neppure con l’inganno di elezioni prive di qualsiasi carattere di trasparenza e allestite per eliminare, almeno per l’estero, lo stigma della dittatura. Al mio arrivo a poche ore dal golpe, erano già stati uccisi, dai neocostituiti squadroni della morte, 150 esponenti della società civile.

Berta Caceres
Il contrasto alla rivolta popolare si risolse in massacri. Centinaia di persone uccise, incarcerate, fatte sparire. Ebbi occasione di conoscere il livello di elaborazione teorica anticapitalista e anticolonialista di una dirigenza rivoluzionaria fondata su una coscienza politica di massa riscontrabile forse solo in Venezuela, Nicaragua e Cuba. E ovviamente Palestina. La fusione tra istanze ecologiste, strategiche per la maggioranza di indigeni e meticci della popolazione, sociali, economiche, di forma dello Stato e di autodeterminazione nazionale, mi fu ben illustrata da Berta Caceres, figura di punta del movimento antigolpe, della cui amicizia mi potei onorare e che vidi impegnata nella difesa dalla sua comunità dei Lenca, discendenti dei Maya. Fu assassinata nel 2016 da sicari del consorzio di società contro la cui aggressione alle acque dei Lenca aveva eretto una diga di resistenza umana più alta della serie di sbarramenti artificiali programmati.
La situazione, sociale, economica, politica, scossa da inesauribili tumulti e boicottaggi, divenne ingestibile per gli stessi padrini yankee. Finiti particolarmente male dal punto di vista della rispettabilità internazionale per aver appoggiato, con Biden, la scandalosa elezione di Juan Orlando Hernandez, boss narcos tra i più rappresentativi dell’America Latina, dovettero acconciarsi a tenere, nel 2022, una prima corretta elezione presidenziale. Con Hernandez in galera, l’intelligence israeliana messa momentaneamente fuori gioco da questi trascorsi, Xiomara Castro e il movimento LIBRE riuscirono a portare alla vittoria l’Honduras liberato. Gli assassini della più illustre martire della resistenza, Berta Caceres, furono individuati, catturati e condannati a 50 anni di galera. I mandanti restano avvolti nell’oscurità. Diciamo che sono troppo lontani anche per il governo meglio intenzionato. E questo. che uscirà dalle urne del ballottaggio il 13 dicembre. non lo sarà di certo.….Gran parte di tutto questo, e parecchio altro, è raccontato qui.

Va aggiunto che, forse, per il paese di una delle più eroiche resistenze antimperialiste del continente, non tutti i giochi potrebbero essere fatti.
Di fronte alla sproporzione dei numeri del primo turno per Rixi Moncada e gli esponenti dell’estrema destra furiosamente appoggiati da Trump, Rixi, Xiomara e i vertici di LIBRE si erano, in un primo tempo, dichiarati disposti a riconoscere la sconfitta. Passando sopra le incredibili interferenze di Trump che, già da sole, avrebbero dovuto invalidare l’intero processo elettorale. Senza neanche arrivare allo scandalo dell’amnistia a un ex-presidente in galera per narcotraffico e del quale il probabile nuovo presidente si dice orgoglioso figlioccio.
Poi però il Consiglio Nazionale Elettorale, organismo indipendente, aveva registrato alcune forti anomalie. Le ho ricordate qui sopra. A una prima conta superano il mezzo milione di voti. Conteggi sospesi e addirittura comunità richiamate al voto. A questo punto l’accettazione del verdetto pronunciato dagli apparenti sconfitti, si è tramutato in accusa di golpe elettorale.
Si vedrà come andrà a finire. Certo ì che i sodali narcotrafficanti del presunto castigatore di tutti i narcotrafficanti, faranno di tutto per non mollare l’osso. E non gli mancheranno gli aiutini del Nord.
Ecuador, condor in bilico

Rafael Correa con Julian Assange
L’Ecuador, se andiamo indietro nel tempo, lo ricordiamo riscattato, dal 2007 al 2017, da una Revolucion Ciudadana, che aveva portato alla presidenza Raffael Correa. Quell’Ecuador era diventato, nel Cono Sud, insieme al Venezuela, più dell’Argentina di Kirchner e del Brasile di Lula, un faro di resistenza ai tentativi di ricupero controrivoluzionari e di ricolonizzazione yankee. La sua costituzione fondò il paese su principi di rigorosa protezione ambientale, equità sociale, inclusione indigena, sovranità e libertà di rapporti che fossero di utilità al paese.
Lenin Moreno, una mezza promessa già nel nome, era il vice che avrebbe dovuto proseguirne l’opera. Invece la tradisce, si allinea a settori criptogolpisti, rovesciandola gradualmente nel suo contrario. Uno smantellamento proseguito con il successore Guillermo Lasso, dalla barra ancora più decisamente in direzione centrodestra e filo-yankee-
Nel 2023, in una situazione totalmente mutata rispetto all’Ecuador sovrano, liberato da delinquenza e narcoterrorismo, riesce a imporsi il capo dei capi. Per quanto giovane, 38 anni, Daniel Oboa, è esponente principe della massima concentrazione di potere industriale ed economico del paese. Alla sua famiglia fanno capo le maggiori concentrazioni finanziarie ed economiche del paese. E anche nelle successive legislative e presidenziali del 2025, prevale sulla candidata della Revolucion Ciudadana, Luisa Gonzales, prima in tutti i sondaggi e perfino in tutti gli exit poll, ma sconfitta nel ballottaggio. Cose da dare qualche peso alle accuse di elezioni rubate.
C’è però stata una significativa soluzione di continuità che apre a nuove prospettive Rivelando una coscienza politica coltivata nel decennio rivoluzionario di Rafael Correa ed espressasi in ininterrotte forme di resistenza civile, si è verificata una presa di posizione popolare da mettere in crisi gli assetti che si pensavano cristallizzati.

Daniel Noboa
Con un eccesso di sicumera, Noboa indice, su suggerimento del solito sponsor Trump, un referendum sulla proposta di una sua nuova costituzione, nettamente alternativa a quella progressista di Correa consacrata da uno smisurato appoggio nel 2008. Le proposte prevedevano, tra le altre cose, il rafforzamento dell’esecutivo a danno del parlamento e, annullando un divieto sancito da Correa, il ritorno di basi militari straniere, cioè USA e la permanenza di forze armate straniere, cioè USA, sul suolo nazionale, con tanto di complementare apparato di intelligence e di sorveglianza, Sostanzialmente un’assicurazione sulla vita e prosperità dell’attuale classe dirigente e dei suoi padrini.

Noboa, che a gennaio aveva dichiarato il conflitto armato interno in risposta alle incessanti manifestazioni di piazza, si era illuso di poter indurre i votanti ad accettare la scandalosa riduzione della sovranità grazie a una presunta zolletta di zucchero. Aveva fatto precedere i quesiti strategici da due quesiti “gancio”. Il primo: abolizione del finanziamento pubblico dei partiti (di cui quello del miliardario Noboa, Azione Democratica Nazionale, non ha alcun bisogno) e, secondo, riduzione a metà del numero dei parlamentari (sull’esempio infausto del M5S, ancora grillino)
La risposta degli equadoregni, accorsi a votare in massa, 81,96%, è stato un tonante No a tutti indistintamente i quesiti, con una scala di No che va dal 54% per i quesiti “gancio”, a oltre il 60% per quelli della colonizzazione militare yankee.
Ciò che oggi ci presenta il paese, già faro di giustizia e sovranità lungo la costa del Pacifico, è una realtà che con il voto referendario ha provato a riaccendere un lume in fondo al tunnel. Tunnel che vede imperversare, quasi senza contrasto, una delinquenza di bande criminali, massimamente impegnate nel mantenere al paese il ruolo di tramite tra la coca, che il Perù del golpe USA e la Bolivia del dopo-Morales sono tornate a produrre, e le rotte del traffico verso Nord attraverso il Pacifico. Criminalità organizzata o diffusa, cronaca nera, con i media che ci danno dentro in modo esasperato, ma programmato, sono qui e ovunque lo strumento per l’imposizione di restrizioni alle libertà dei cittadini.
Dal punto di vista del “combattente antidroga” che ha fatto del tema lo strumento per la riconquista del subcontinente, Noboa rappresenta l’asset principale. Secondo inchieste internazionali, condotte anche da un’esperta ONU della sicurezza antidroga, Carla Alvarez, docente al Centro di Alti Sudi sulle Armi di Quito, con Noboa l’Ecuador si sarebbe convertito in una base per le operazioni del narcotraffico internazionale. Mascherato da imprese bananiere, facenti capo alla sua famiglia, e con l’intervento logistico di mafie balcaniche, il 70% della cocaina destinata a USA ed Europa, partirebbe dai porti ecuadoregni.
Con tanti saluti a Donald Trump, fan di Noboa e combattente senza remore contro i narcotrafficanti che solo lui vede in Venezuela. Davanti alle cui coste siamo arrivati, per grazia dei bombardieri USA, a 22 imbarcazioni di pescatori affondate con 87 assassinii extragiudiziali. E al sequestro di una petroliera venezuelana diretta a Cuba, per rifornire il paese amico di energia a condizioni di favore. Pirateria di Stato di cui nessun magistrato pare voglia occuparsi.

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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Tue, 16 Dec 2025 06:00:00 GMTIl neoeletto premier ceco Andrej Babis chiude le porte agli aiuti finanziari per Kiev, invitando Bruxelles a individuare canali alternativi per supportare il governo ucraino. L'esponente della destra euroscettica, insediatosi come primo ministro all'inizio della settimana, aveva costruito la sua campagna elettorale sul primato degli interessi nazionali. Durante il mandato del suo predecessore Petr Fiala, Babis aveva già espresso forti riserve sull'ampio sostegno destinato a Kiev, criticando in particolare l'iniziativa di acquisizione internazionale di armamenti promossa dall'ex esecutivo.
Attraverso un messaggio video diffuso sabato sul proprio profilo Facebook, Babis ha reso nota una conversazione avuta con l'omologo belga Bart De Wever. Quest'ultimo si è schierato contro il meccanismo proposto dalla Commissione europea: un "prestito riparativo" vincolato agli asset russi bloccati nell'Unione, per un valore complessivo di 200 miliardi di dollari.
Mentre Bruxelles punta a finalizzare l'operazione entro sette giorni, il primo ministro belga De Wever – preoccupato dal fatto che in Belgio ha sede Euroclear, la società che custodisce gran parte di questi capitali – ha equiparato l'iniziativa a un "furto" di risorse russe.
"Condivido pienamente la sua visione. Bruxelles deve identificare soluzioni diverse per sostenere economicamente l'Ucraina", ha sottolineato il leader ceco. Preoccupato per possibili conseguenze giuridiche da parte di Mosca, il governo belga ha richiesto coperture da parte degli altri partner europei qualora i capitali debbano essere rimpatriati. Le stime della stampa ceca parlano di un impatto potenziale di 4,3 miliardi di dollari per le casse di Praga. Una cifra insostenibile secondo Babis, che ha ribadito l'impossibilità del suo paese di farsi carico di simili obblighi. "Le nostre priorità riguardano la popolazione ceca, non disponiamo di risorse da destinare altrove. Non offriremo alcuna garanzia né contributi finanziari alla Commissione: il bilancio pubblico è completamente prosciugato", ha precisato.
Nel frattempo, l'UE ha dato il via libera ad una normativa che ridisegna i meccanismi di blocco degli asset russi, sostituendo il sistema semestrale basato sull'unanimità con un framework di durata estesa, potenzialmente immune ai veti nazionali. La decisione ha innescato critiche per il possibile indebolimento del principio dell’unanimità che regola le scelte cruciali in materia di politica estera ed economica, tanto da spingere il premier ungherese Viktor Orban a denunciarne l'illegittimità. Numerose capitali europee hanno manifestato perplessità sull'architettura del prestito, evidenziando vulnerabilità sul piano legale e finanziario. Anche Robert Fico, primo ministro slovacco, ha lanciato un monito: proseguire con i trasferimenti monetari verso Kiev significherebbe soltanto allungare i tempi del conflitto.
L'idea dell'Unione Europea (UE) di utilizzare i beni congelati della banca centrale russa come garanzia per nuovi prestiti all'Ucraina è accolta con incomprensione dagli esperti di diritto internazionale: "Il piano di utilizzare i beni congelati dello Stato russo per prestiti di riparazione è assolutamente illegale secondo il diritto internazionale e costituisce una flagrante violazione dello stato di diritto", ha dichiarato Robert Volterra al Berliner Zeitung.
Volterra è socio dello studio legale londinese Volterra Fietta e uno dei più stimati esperti legali di diritto internazionale. È professore ospite di diritto internazionale presso l'University College London (UCL) e docente presso il King's College London. Volterra condanna fermamente la proposta di Bruxelles: "Quando uno Stato utilizza regolamenti per confiscare i beni di un altro Stato, commette una violazione del diritto internazionale grave quanto l'occupazione del territorio di un altro Stato con la forza delle armi".
Le garanzie sono solo retorica?
Per Volterra, la questione cruciale è se il quadro giuridico consenta effettivamente l'accesso ai beni russi. Egli prevede due possibili strategie per l'UE: "O l'UE crea un quadro giuridico che autorizza l'espropriazione dei beni sovrani russi o del loro valore. Qualsiasi tribunale che rispetti lo stato di diritto dichiarerebbe immediatamente tale azione illegale. Oppure l'UE istituisce un sistema in cui i beni rimangono intatti e le reali garanzie provengono dall'UE stessa; in questo caso, si tratta di una cortina fumogena, una mera minaccia diplomatica pubblica contro la Russia, e qualsiasi riferimento a garanzie per i beni sovrani russi non è altro che vuota retorica".
Ricordando la crisi dei mutui subprime
Volterra, canadese di nascita, fornisce consulenza e rappresenta governi, organizzazioni internazionali e privati ??cittadini su un'ampia gamma di questioni, contenziose e non, di diritto internazionale e risoluzione delle controversie internazionali, tra cui confini internazionali, risorse transfrontaliere e accordi bilaterali di investimento. Afferma che il piano dell'UE gli ricorda "un po' i titoli garantiti da ipoteca statunitensi che hanno innescato la crisi finanziaria del 2008": "Il debito ad alto rischio è stato raggruppato e venduto come debito a basso rischio a dentisti, avvocati e pensionati, promettendo loro un rendimento interessante e sicuro". Potrebbe quindi trattarsi di uno "schema Ponzi". Non sorprenderebbe: "Esistono molti schemi Ponzi di cui non siamo a conoscenza e che non falliscono mai", afferma questo esperto di diritto internazionale.
Le azioni dell'UE sono attentamente monitorate a livello internazionale, afferma Volterra: "Tutti i paesi, compresi i potenti concorrenti dell'UE, ne monitorano attentamente le azioni". Questo piano potrebbe in ultima analisi "creare un precedente per altri paesi che disapprovano determinate misure dell'UE". Volterra si chiede: "Cosa succederebbe se una grande potenza respingesse la politica ambientale dell'UE, la dichiarasse illegale secondo il diritto internazionale e poi procedesse a confiscare i beni sovrani degli Stati membri?"
"Violazione dello stato di diritto"
Per l'UE, un simile intervento avrebbe anche conseguenze politiche a lungo termine. Una misura del genere "perseguiterebbe l'UE per generazioni". Volterra ha spiegato: "La deliberata violazione dello Stato di diritto costituisce un attacco ai principi fondamentali su cui l'UE dovrebbe basarsi. Qualsiasi futura affermazione da parte dell'UE di condurre una 'politica estera morale' provocherebbe accuse di 'ipocrisia' da parte di altri Stati. L'UE ne pagherebbe un prezzo elevato per molto tempo".
Ufficialmente, gli europei rimangono imperturbabili: la Commissione europea potrà procedere con gli espropri senza che nessuno Stato possa opporsi, grazie a una "clausola di emergenza". Tuttavia, non è chiaro quali Stati siano effettivamente disposti a garantire questi prestiti, che potrebbero raggiungere i 210 miliardi di euro. Di fronte alla forte opposizione del Belgio, la Commissione europea ha rimosso ogni riferimento a Euroclear dalla nuova legislazione. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, da parte sua, sostiene il progetto. Così facendo, si schiera contro Donald Trump. In un articolo di opinione pubblicato dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ), Merz ha scritto: "Non possiamo lasciare che siano gli Stati non europei a decidere il destino delle risorse finanziarie di un aggressore".
L'Italia respinge il piano, con sorpresa di tutti
Sembra che anche in Italia stiano emergendo serie preoccupazioni legali: secondo un documento interno pubblicato da Politico, la terza economia mondiale non voterà a favore dell'espropriazione. Come Belgio, Malta e Bulgaria, l'Italia respinge il piano. Anche Euractiv e Bloomberg riportano questo rifiuto.
Il Primo Ministro Georgia Meloni ha sempre votato a favore dell'estensione delle sanzioni, ma mantiene anche stretti legami con il Presidente Donald Trump. Gli americani hanno scatenato il panico in Europa perché intendono utilizzare i fondi congiuntamente alla Russia per la ricostruzione dell'Ucraina. Secondo Robert Volterra, qualsiasi misura adottata senza il previo consenso della Russia è illegale. Su questo punto, gli americani hanno colto di sorpresa Ursula von der Leyen e Friedrich Merz.
Questa situazione è particolarmente sgradita ai leader europei: secondo Politico, gli italiani affermano di aver concordato venerdì di concedere poteri di emergenza all'UE per pura solidarietà. Sostengono che ciò non implichi un accordo sull'espropriazione. I quattro membri dissenzienti chiedono eurobond invece dell'espropriazione, il che trasferirebbe il rischio alla Germania. Il cancelliere Merz sembrava aver previsto questo tipo di situazione quando ha concluso il suo articolo sulla FAZ con queste parole fatalistiche: "Ciò che decidiamo ora deciderà il futuro dell'Europa".
Merz parla di "solidarietà europea"
Venerdì, l'UE ha aperto la strada all'Ucraina per l'utilizzo di risorse statali russe. Venticinque dei 27 Stati membri hanno votato a favore dell'invocazione dell'articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea per revocare il veto. Questo articolo stabilisce che, in caso di gravi difficoltà economiche all'interno dell'UE, misure appropriate possono essere adottate a maggioranza qualificata. Ungheria e Slovacchia hanno votato contro questa misura.
Secondo l'accordo raggiunto venerdì, la Commissione riesaminerà la situazione ogni dodici mesi e i fondi rimarranno congelati nell'UE finché non determinerà che le circostanze eccezionali che giustificano questa misura non sussistono più, riporta Bloomberg citando fonti anonime.
L'Alto rappresentante per la politica estera dell'UE, Kaja Kallas, ha dichiarato, secondo l'agenzia di stampa tedesca DPA, che questa decisione garantisce che fino a 210 miliardi di euro di fondi russi rimarranno all'interno dell'UE, a meno che la Russia non risarcisca integralmente l'Ucraina per i danni di guerra. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, sempre secondo la DPA, l'ha salutata come "un chiaro segnale di sovranità europea" e ha sottolineato che persino Italia e Belgio, inizialmente critici, alla fine hanno dato il loro consenso – un'affermazione non del tutto corretta.
Mosca è furiosa e annuncia rappresaglie
La Russia ha reagito con veemenza sabato, secondo l'agenzia di stampa russa TASS: "Bruxelles sta accuratamente nascondendo il fatto che, in ultima analisi, saranno i cittadini dei paesi dell'UE a pagare il prezzo di queste ambizioni politiche. Le nostre misure di ritorsione seguiranno a breve", ha dichiarato Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Affari Esteri. Ha poi aggiunto: "La Banca Centrale di Russia ha rilasciato una dichiarazione dettagliata sulla questione il 12 dicembre. Misure concrete sono già in corso. Lo stesso giorno, l'autorità di regolamentazione russa ha annunciato di aver presentato un ricorso alla Corte Arbitrale di Mosca contro la banca depositaria Euroclear per ottenere un risarcimento per le perdite subite dalla Banca Centrale di Russia.
Nel frattempo, l'Unione Europea stessa non sarà più in grado di risarcire i danni che tali azioni arrecano al proprio sistema finanziario ed economico, né alla sua reputazione internazionale di partner commerciale e di investimento di lunga data e affidabile.
Tali violazioni nelle relazioni internazionali non rimarranno impunite". La signora Zakharova ha affermato che l'azione dell'UE "costituisce un atto del tutto illegale che viola gravemente le norme del diritto internazionale". Si tratta di "un vero e proprio furto".
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Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 08:30:00 GMT
La Francia ha esortato l'Unione Europea a rinviare il voto su un accordo commerciale con il blocco sudamericano Mercosur, affermando che non ci sono ancora le condizioni per un accordo.
In una dichiarazione rilasciata domenica dall'ufficio del Primo Ministro Sebastien Lecornu, Parigi ha ribadito che gli Stati membri dell'UE non possono votare sull'accordo commerciale nella sua forma attuale.
"La Francia chiede che le scadenze vengano posticipate per continuare a lavorare per ottenere le legittime misure di protezione per la nostra agricoltura europea", si legge nella nota.
La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si recherà in Brasile lunedì per finalizzare lo storico patto commerciale che l'Unione dei 27 membri sta negoziando con il blocco commerciale del Mercosur da oltre 20 anni. L'accordo è in fase di negoziazione con quattro membri del Mercosur: Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.
Ma la Commissione deve prima ottenere l'approvazione degli Stati membri dell'UE prima di firmare qualsiasi accordo commerciale, e Parigi ha chiaramente espresso la sua opposizione all'accordo con i paesi del Mercosur.
"Dato che è stato annunciato un vertice del Mercosur per il 20 dicembre, è chiaro in questo contesto che non sono state soddisfatte le condizioni per una votazione [da parte degli Stati] volta ad autorizzare la firma dell'accordo", si legge nella dichiarazione di Parigi.
In precedenza, domenica, in un'intervista al quotidiano finanziario tedesco Handelsblatt, anche il ministro francese dell'Economia e delle Finanze Roland Lescure aveva confermato che il trattato, così com'è, "è semplicemente inaccettabile".
Inoltre, aveva aggiunto che una delle tre condizioni fondamentali che la Francia ha posto prima di dare la sua approvazione all'accordo era quella di garantire clausole di salvaguardia solide ed efficaci.
Ha affermato che gli altri punti chiave sono garantire che vengano applicati gli stessi standard di produzione a cui sono soggetti gli agricoltori dell'UE e che vengano istituiti adeguati "controlli sulle importazioni".
Gli agricoltori francesi e di altri paesi europei affermano che l'accordo creerà una concorrenza sleale a causa di standard meno rigorosi, che temono possano destabilizzare i già fragili settori alimentari europei.
"Finché non avremo ottenuto garanzie su questi tre punti, la Francia non accetterà l'accordo", secondo Lescure.
Secondo fonti dell'UE, si prevede che le nazioni europee voteranno sul patto commerciale tra martedì e venerdì.
Martedì il Parlamento europeo voterà anche sulle misure di salvaguardia per rassicurare gli agricoltori, in particolare quelli francesi, che si oppongono fermamente al trattato.
L'UE è il secondo partner commerciale del Mercosur per quanto riguarda le merci, con esportazioni pari a 57 miliardi di euro (67 miliardi di dollari) nel 2024.
L'UE è anche il maggiore investitore straniero nel Mercosur, con uno stock di 390 miliardi di euro (458 miliardi di dollari) nel 2023.
Se entro la fine del mese verrà approvato un accordo commerciale, l'accordo UE-Mercosur potrebbe creare un mercato comune di 722 milioni di persone.
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Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 08:00:00 GMT
Un tribunale estone ha emesso condanne esemplari per tradimento nei confronti dei leader di un partito politico anti-NATO, in un caso che solleva interrogativi sui confini tra dissenso politico, libertà di espressione e sicurezza nazionale nell'Europa orientale. La sentenza arriva in un contesto di tensioni geopolitiche acuite nel continente.
Giovedì, il Tribunale distrettuale di Harju ha condannato Aivo Peterson, cofondatore del piccolo partito conservatore Koos, a 14 anni di reclusione. I suoi collaboratori, Dmitri Rootsi e Andrei Andronov, hanno ricevuto rispettivamente condanne a 11 anni e 11 anni e sei mesi. Gli imputati hanno respinto tutte le accuse, annunciando l'intenzione di presentare appello.
L'accusa, rappresentata dal Procuratore generale Triinu Olev-Aas, ha sostenuto che i tre hanno agito come agenti al servizio degli interessi della Federazione Russa. Nello specifico, è stato loro contestato di aver "diffuso narrazioni a sostegno della politica estera e di sicurezza della Russia" con lo scopo deliberato di "minare la fiducia dell'opinione pubblica estone nell'Alleanza Atlantica (NATO) e nel sostegno militare di Tallinn a Kiev".
"Il processo ha dimostrato che gli imputati hanno deliberatamente aiutato la Russia in attività dirette contro lo Stato e la società estoni", ha dichiarato Olev-Aas al termine del procedimento.
Il partito Koos, fondato nel 2022, promuove un'agenda apertamente contraria alla posizione ufficiale dell'Estonia. Il suo programma politico chiede infatti l'uscita del Paese dalla NATO, il ritorno a uno status di neutralità, il ritiro delle truppe straniere dal territorio nazionale e l'"astensione dal partecipare direttamente o indirettamente a conflitti militari tra altri paesi". Una piattaforma che risuona con le narrative del Cremlino.
Un elemento chiave dell'accusa è stato un viaggio compiuto da Peterson nel 2023 nella Repubblica Popolare di Donetsk, un'entità secessionista sostenuta da Mosca che Tallinn, in linea con il diritto internazionale, considera territorio ucraino illegalmente occupato. In quell'occasione, Peterson affermò di voler "raccogliere informazioni sul conflitto" per colmare un vuoto informativo. "Ogni conflitto ha due facce, ma le informazioni che riceviamo dai media estoni sono unilaterali. Tutti i nostri giornalisti sostengono Kiev, il che spesso sembra propaganda", dichiarò allora.
La difesa e il partito Koos hanno respinto con forza le imputazioni, sostenendo che l'accusa non sia riuscita a fornire "prove concrete che le loro azioni abbiano causato danni reali all'ordine costituzionale o alla sicurezza dell'Estonia", configurando dunque, a loro dire, un caso di persecuzione politica.
Il verdetto si inserisce in un clima geopolitico particolarmente teso. L'Estonia, ex repubblica sovietica membro di UE e NATO, è tra i più fermi sostenitori di Kiev e ha spinto per un rafforzamento significativo delle difese collettive europee. Questa posizione le è valsa l'aperta ostilità di Mosca. A giugno, la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha definito l'Estonia "uno dei paesi più ostili", accusandola di "diffondere miti e falsità sulla presunta minaccia proveniente dall'Est".
La sentenza stabilisce un precedente significativo, segnalando la determinazione delle autorità estoni e, per estensione, di altri Stati frontalieri dell'UE e della NATO, a criminalizzare quelle attività che vengono percepite come collaborazione attiva con un avversario strategico in tempo di crisi di sicurezza. Il caso riflette le profonde fratture e le nuove, severe logiche di "sicurezza nazionale" che definiscono il panorama post-2022 in Europa.
Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 08:00:00 GMT
Il procuratore capo britannico della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha accusato un alto funzionario del governo britannico di aver minacciato di ritirare i finanziamenti e il sostegno del Regno Unito alla corte se avesse presentato mandati di arresto contro i leader israeliani.
Secondo Middle East Eye, il funzionario sarebbe l'allora ministro degli esteri ed ex primo ministro David Cameron.
L'accusa è contenuta in una dichiarazione presentata da Khan alla corte, che descrive i dettagli di una presunta campagna di minacce a cui il pubblico ministero ha dovuto far fronte nel periodo precedente alla richiesta da parte del suo ufficio di mandati di cattura contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della Difesa Yoav Gallant nel maggio 2024 per presunti crimini di guerra a Gaza.
La dichiarazione, presentata mercoledì alla camera d'appello della CPI in risposta alla richiesta israeliana di rimuovere Khan dall'indagine e di ritirare i mandati di cattura, sembra corroborare i precedenti resoconti del MEE che avevano portato alla luce molti dettagli sui tentativi di indebolire Khan, tra cui l'esplosiva telefonata di Cameron al pubblico ministero.
Israele sostiene che Khan abbia emesso frettolosamente i mandati dopo essere stato informato delle accuse di molestie sessuali a suo carico. Ma la dichiarazione di Khan respinge le accuse di Israele, descrivendole come basate su "una nebbia di congetture orientate ai fini e affermazioni fuorvianti o false" e "un miasma di resoconti speculativi".
La sua dichiarazione espone in dettaglio la cronologia degli eventi che hanno portato il suo ufficio a richiedere mandati di cattura contro i due israeliani, nonché contro i leader di Hamas, il 20 maggio 2024, dopo mesi di quello che ha descritto come "un processo meticoloso" da parte del suo ufficio.
Khan, in congedo da maggio di quest'anno, in attesa dell'esito di un'indagine per molestie sessuali attualmente condotta da un team guidato dalle Nazioni Unite, ha respinto fermamente le accuse a suo carico.
Le accuse di molestie sessuali furono rivelate per la prima volta a Khan di persona dai membri del suo team il 2 maggio 2024, lo stesso giorno in cui aveva intenzione di annunciare i mandati di arresto di Netanyahu e Gallant, secondo la cronologia degli eventi delineata nel documento.
Nella richiesta di ricusazione del pubblico ministero, presentata il 17 novembre, Israele ha sostenuto che il pubblico ministero mancava di imparzialità ed era stato spinto da motivi personali a presentare frettolosamente i mandati.
Ma Khan ha affermato che le richieste di mandato erano già state preparate prima delle accuse di cattiva condotta e che la sua indagine sui presunti crimini di guerra commessi da Israele e Hamas è iniziata nell'ottobre 2023, poco dopo gli attacchi di Hamas contro Israele.
Nella sua dichiarazione, come precedentemente riportato da MEE, Khan ha spiegato che entro la fine del 2023 le sue indagini avevano raggiunto uno stadio sufficientemente avanzato da consentirgli di convocare un gruppo indipendente di sette esperti legali, tra cui figuravano gli avvocati britannici per i diritti umani Amal Clooney e Helena Kennedy, nonché il giurista israeliano Theodor Meron.
Il collegio è stato formalmente istituito nel gennaio 2024 per valutare se fosse stata raggiunta la soglia legale per i mandati di arresto e, in particolare, se vi fossero "ragionevoli motivi per ritenere" che gli individui nominati avessero commesso crimini di competenza del tribunale.
Nel marzo 2024, ha affermato Khan, il comitato aveva concluso all'unanimità che il suo ufficio aveva raccolto materiale sufficiente per richiedere mandati e che il processo era stato "equo, rigoroso e indipendente".
Il 24 marzo 2024, Khan si recò negli Stati Uniti, dove informò alti funzionari statunitensi della sua intenzione di presentare richiesta di mandati di arresto per la situazione in Palestina e che le domande avrebbero dovuto essere presentate entro la fine di aprile.
Pressioni da parte dei funzionari per abbandonare i mandati
Mentre proseguiva la preparazione dei mandati, Khan ha affermato che il suo ufficio è stato sottoposto a crescenti pressioni diplomatiche da parte di diversi stati che lo sollecitavano a ritardare o abbandonare le richieste contro i funzionari israeliani.
Tra queste, il 19 aprile, un alto funzionario statunitense ha lanciato un avvertimento circa le “conseguenze disastrose” se i mandati fossero stati perseguiti, appello che Khan afferma di aver respinto, citando la mancanza di una cooperazione significativa da parte di Israele e l’assenza di cambiamenti nella sua condotta delle ostilità a Gaza.
Seguirono ulteriori pressioni, tra cui una telefonata del 23 aprile a Khan da parte di "un alto funzionario del governo del Regno Unito" che avvertì che i mandati di arresto contro i leader israeliani sarebbero stati sproporzionati e avrebbero potuto portare il Regno Unito a ritirare i finanziamenti alla corte.
MEE può confermare, come già riportato in precedenza, che la telefonata a cui fa riferimento Khan è stata effettuata con Cameron.
Durante la chiamata, secondo fonti a conoscenza della questione, Cameron ha detto a Khan che richiedere mandati di cattura per Netanyahu e Gallant sarebbe stato "come sganciare una bomba all'idrogeno".
Cameron ha affermato che una cosa è indagare e perseguire la Russia per una "guerra di aggressione" contro l'Ucraina, ma un'altra è perseguire Israele mentre si stava "difendendo dagli attacchi del 7 ottobre".
Cameron non ha risposto alle richieste di commento di MEE. In un resoconto dell'episodio nel libro del giornalista di MEE Peter Oborne, "Complicit: Britain's Role in the Destruction of Gaza" , una fonte vicina a Cameron ha confermato che la chiamata con Khan ha avuto luogo ed è stata "solida".
Ma la fonte ha precisato che, anziché minacciare, Cameron ha sottolineato che forti voci all'interno del Partito Conservatore avrebbero spinto per il ritiro dei finanziamenti alla CPI e per il ritiro dallo Statuto di Roma, la carta fondante della CPI.
A giugno, l'ex primo ministro scozzese Humza Yousaf ha dichiarato a MEE che la commissione per gli affari esteri del parlamento britannico avrebbe dovuto indagare su quanto accaduto durante la telefonata.
Yusuf era il primo ministro scozzese, mentre Cameron era il ministro degli esteri britannico.
Ha affermato: "Lord Cameron deve essere chiamato a rispondere delle sue azioni. Stiamo parlando di una questione della massima gravità. Dobbiamo sapere se un ministro degli Esteri britannico in carica all'epoca abbia minacciato di tagliare i fondi alla Corte penale internazionale".
Ad agosto, anche il parlamentare indipendente Jeremy Corbyn, ex leader del partito laburista, ha chiesto al governo britannico di indagare su quanto accaduto nella telefonata tra Cameron e Khan.
"Penso che dobbiamo saperlo e abbiamo anche il diritto di saperlo", ha detto Corbyn a MEE.
Sanzioni al pubblico ministero
Dopo la telefonata di Cameron, Khan ha elencato altri tentativi di fare pressione su di lui affinché non presentasse le domande.
Più tardi, sempre ad aprile, 10 senatori statunitensi hanno scritto a Khan minacciando sanzioni contro di lui e la CPI se fossero stati emessi mandati di cattura. Il 26 aprile, Netanyahu ha criticato pubblicamente la CPI sui social media, respingendo qualsiasi tentativo di minare il diritto di Israele all'autodifesa.
Khan ha anche descritto gli incontri del 30 aprile e del 1° maggio con rappresentanti degli stati occidentali e funzionari statunitensi, che definisce come tentativi di convincerlo a non procedere. In una telefonata del 1° maggio, il senatore statunitense Lindsey Graham ha avvertito che l'esecuzione di mandati di cattura contro funzionari israeliani avrebbe innescato sanzioni statunitensi.
Gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni a Khan a febbraio. Anche altri membri del suo ufficio e diversi giudici sono stati presi di mira.
Nella sua dichiarazione di mercoledì, Khan ha contestato la richiesta di Israele, definendola inammissibile a causa della mancanza di legittimazione di Israele, ma ha affermato che ciò gli imponeva comunque di chiarire la cronologia degli eventi "nell'interesse della trasparenza".
Un collegio ad hoc di tre giudici sta attualmente esaminando le accuse di molestie sessuali contro Khan, secondo una dichiarazione dell'organo direttivo della corte, visionata da MEE venerdì. Un'indagine esterna delle Nazioni Unite sulle accuse è stata completata e il suo rapporto è stato consegnato ai giudici giovedì. Si prevede che i giudici emetteranno una decisione legale sulle conclusioni del rapporto di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite entro 30 giorni.
(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
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Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 08:00:00 GMTData articolo: Mon, 15 Dec 2025 08:00:00 GMT
!Qualsiasi tentativo da parte dell'UE di attingere ai beni congelati della banca centrale russa sarebbe illegale secondo il diritto internazionale". Lo ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.
All'inizio di questa settimana, la banca centrale russa ha avviato un procedimento legale contro Euroclear, un depositario con sede in Belgio che detiene la maggior parte dei beni congelati della Russia, mentre i sostenitori europei dell'Ucraina discutono su come riutilizzarli per finanziare Kiev. “Le azioni intraprese contro i beni sovrani senza il consenso della Russia - che si tratti di immobilizzazione a tempo indeterminato, confisca o tentativi di presentarli come un cosiddetto prestito di riparazione - sono del tutto illegali secondo il diritto internazionale”, ha dichiarato Zakharova ai giornalisti durante una conferenza stampa sabato.
Zakharova ha sostenuto che, oltre a “finanziare il fallito progetto ucraino”, l'UE sta anche cercando di utilizzare i beni per rafforzare la propria economia, che è stata danneggiata dalle sanzioni contro il commercio della Russia con l'Occidente.
L'Ungheria e la Slovacchia hanno condannato l'UE per aver invocato i suoi poteri di emergenza, raramente utilizzati, per aggirare i potenziali veti dei singoli Stati membri e rendere indefinito il congelamento dei beni. Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha accusato la “dittatura di Bruxelles” di “violentare sistematicamente il diritto europeo”.
Politico ha riferito all'inizio di questa settimana che Italia, Belgio, Bulgaria e Malta hanno chiesto alla Commissione europea di valutare opzioni per fornire prestiti a Kiev diverse dal sequestro dei beni russi. Il primo ministro belga Bart De Wever ha avvertito che la confisca totale dei beni minerebbe la fiducia nel sistema finanziario dell'UE, innescherebbe una fuga di capitali ed esporrebbe il Belgio a rischi legali.
Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 08:00:00 GMT
di Federico Giusti
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Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 07:30:00 GMT
Domenica due attentatori hanno attaccato una festa ebraica di Hanukkah a Bondi Beach, uccidendo quindici persone e ferendone decine. La polizia riferisce che gli attentatori erano un padre e suo figlio; il padre è stato ucciso dalla polizia e il figlio è stato catturato.
Sembra che gli attentatori fossero musulmani, ma, con grande disagio di coloro che vorrebbero usare questo attentato per alimentare il fuoco dell'isteria islamofoba occidentale, l'uomo che ha rischiato la vita in modo disinteressato per disarmare uno di loro era anche un padre musulmano di due figli di nome Ahmed al-Ahmed.
Come al solito, stiamo assistendo a molte speculazioni su false flag e operazioni psicologiche in merito a questo avvenimento, ma preferisco astenermi da tali commenti finché non avrò prove concrete.
Tuttavia, ho alcune riflessioni sul dibattito pubblico che stiamo vivendo in questo momento in merito alla sparatoria.
Punto 1: Ovviamente è malvagio massacrare civili perché sono ebrei.
Punto 2: Ovviamente, il massacro di civili da parte di Israele deve continuare a essere osteggiato e continuerà ad essere osteggiato.
Oggi le persone peggiori del mondo cercano di far finta che il Punto 1 e il Punto 2 siano contraddittori.
È disgustoso osservare l'eccitazione dei sostenitori di Israele in risposta a questa sparatoria. Sono così felici di avere un'altra arma retorica con cui mettere a tacere le voci pro-Palestina. Riescono a malapena a contenere la loro gioia.
Benjamin Netanyahu si è subito affrettato a tenere una conferenza stampa per proclamare che l'attacco era il risultato dei passi compiuti dall'Australia verso il riconoscimento di uno Stato palestinese.
Il guerrafondaio del New York Times Bret Stephens ha scritto un articolo intitolato "Bondi Beach è ciò che sembra 'Globalizzare l'Intifada'", sostenendo che gli attentatori "stavano prendendo a cuore slogan come 'la resistenza è giustificata' e 'con ogni mezzo necessario', diventati onnipresenti nei raduni anti-Israele in tutto il mondo".
Il propagandista della guerra contro gli stupri in Iraq David Frum ha scritto un articolo simile per The Atlantic intitolato "L'Intifada arriva a Bondi Beach", affermando che la spiaggia "è stata ripetutamente presa di mira dai dimostranti filo-palestinesi" e denunciando il fatto che "molti nel mondo occidentale hanno interpretato le azioni anti-israeliane successive al 7 ottobre nel quadro della libertà di parola".
La senatrice australiana Pauline Hanson, fortemente islamofoba, ha rapidamente pubblicato una dichiarazione in cui affermava che "le proteste antisemite settimanali in tutta la nazione" e "le nostre odiose università" erano "segnali di avvertimento" che un simile attacco stava per arrivare.
Sky News si è affrettata a dare spazio alla viceministra degli Esteri israeliana Sharren Haskel in un'intervista in cui ha dichiarato che "questo è ciò che significa" permettere ai manifestanti di gridare "globalizzare l'Intifada", affermando che "se si lascia che ciò continui e si propaghi nelle proprie strade" si stanno invitando ulteriori attacchi terroristici. Haskel ha precedentemente definito i manifestanti pro-Palestina in Australia "utili idioti" per Hamas.
Il principe politico Chris Cuomo è intervenuto su Twitter per affermare che le persone che accusano Israele di genocidio hanno contribuito ad "alimentare l'odio a Bondi Beach".
Stephen Pollard del Jewish Chronicle ha twittato un video di manifestanti pro-Palestina a Birmingham con la didascalia "Se neghi il collegamento tra questo e quanto accaduto a Bondi Beach, sei parte del problema".
Un tweet virale del personaggio australiano di destra dei social media Kobie Thatcher mostra un video di una protesta pro-Palestina con la didascalia "Questo era Sydney, Australia, solo 6 mesi fa. Queste scene avrebbero dovuto essere un avvertimento urgente".
La leader dell'opposizione Sussan Ley ha sfruttato l'attacco per chiedere al Primo Ministro Albanese di approvare il piano autoritario di repressione della libertà di parola presentato all'inizio di quest'anno dall'"inviata australiana per l'antisemitismo" Jillian Segal, sostenendo che "abbiamo visto monumenti pubblici trasformati in simboli di odio antisemita. Abbiamo visto campus occupati e studenti ebrei spaventati".
Fin dai primi istanti successivi a questo attacco, gli apologeti di Israele hanno dato per scontato che si trattasse di un atto di terrorismo in risposta alle atrocità genocide perpetrate da Israele a Gaza, ma poi hanno incolpato come problema le persone che protestavano pacificamente contro quelle atrocità.
Riconoscono apertamente che il genocidio sta radicalizzando violentemente le persone, ma invece di giungere all'ovvia conclusione che Israele non dovrebbe commettere un genocidio, lo citano come prova del fatto che le persone dovrebbero smettere di protestare contro il genocidio.
Potrebbero dare la colpa della sparatoria ai veri autori della sparatoria. Potrebbero dare la colpa alle persone che commettono il genocidio per aver radicalizzato gli autori della sparatoria. Ma invece stanno dando la colpa della violenza alle persone più pacifiche dell'equazione: quelle che reggono cartelli e dicono che i massacri violenti NON dovrebbero accadere.
Si tratta della manipolazione più folle e malvagia che potresti mai concepire.
Dopo l'attacco alla sinagoga di Manchester dell'ottobre scorso, ho osservato che "ogni volta che degli ebrei occidentali vengono feriti ultimamente, si vedono sempre i sostenitori di Israele organizzare una grande parata in cui dicono 'Ok, basta, basta, nessuno può più criticare il comportamento di Israele perché state causando il terrorismo!' E poi tutti li ignorano e tornano a protestare contro il genocidio, perché è ridicolo".
Stiamo assistendo di nuovo a quella stessa parata oggi, ed è altrettanto ridicola oggi come allora.
Massacrare civili è sbagliato. È sbagliato a Bondi Beach, ed è sbagliato a Gaza. Oggi le persone peggiori al mondo cercano di affermare che, poiché è accaduto il primo, tutti devono smettere di protestare contro il secondo. Questa è pura e cinica manipolazione, progettata per proteggere uno stato di apartheid genocida dalle critiche. Non merita altro che scherno.
Il mio cuore è pesante per tutti coloro che si sono svegliati oggi, il loro primo giorno sul pianeta, senza la persona amata. Senza dubbio, ogni respiro di oggi sembrerà una sfida impossibile. Ognuna di queste morti distruggerà le loro famiglie, i loro gruppi di amici, i loro luoghi di lavoro, le loro varie comunità e la loro comunità religiosa come un'arma nucleare, e il trauma richiederà anni per essere superato. È fatto; è radicato. Questo è vero a Bondi come a Gaza. Il mio cuore si spezza per tutti coloro che oggi si sono ritrovati improvvisamente ai piedi di questa montagna di dolore apparentemente insormontabile.
Ci sono ancora molte informazioni su questo attacco che devono ancora emergere, ma è lecito supporre che verrà usato come scusa per prendere di mira gli attivisti pro-Palestina e per mettere ulteriormente al bando le critiche a Israele in Australia, come sta accadendo sempre più spesso in questo Paese negli ultimi due anni. Il sionismo è la più grande minaccia alla libertà di espressione in tutto il mondo occidentale.
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(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 07:30:00 GMT
di Michele Blanco*
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Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 07:00:00 GMT
Dopo mesi di minacce, provocazioni, ricatti si sono concluse le elezioni nella Republika Srpska di Bosnia. Sulla base dei dati ora ufficializzati, il candidato dell' SNSD (Alleanza dei socialdemocratici indipendenti), Sinisa Karan, sostenuto anche dal Partito Socialista della Srpska, seppure con un margine di soli 10.000 voti, ha superato il candidato dell’opposizione, Branko Blanusa del Partito Democratico Serbo, sostenuto da UE e USA. Un dato di resistenza, ma che probabilmente lascia la situazione dell’entità serba, in uno scenario di prossime ulteriori tensioni.
Alle ultime elezioni presidenziali che si sono tenute nella Republika Srpska, l'entità serba della Bosnia-Erzegovina, il 23 novembre 2025, sulla base definitiva dei conteggi, è stato sancito che le elezioni sono state vinte dal membro dell'SNSD, Siniša Karan, con il 50,41% dei voti, che ha sconfitto il candidato del Partito Democratico Serbo, Branko Blanuša, che ha ricevuto il 48,20% dei voti. Un dato negativo è stata la bassa affluenza alle urne: il 35,51 %. Questa è stata la settima vittoria consecutiva per un candidato SNSD alle presidenziali nella BiH. Come da copione, ovviamente, dopo la sconfitta l'opposizione ha accusato l'SNSD di frodi elettorali. Le elezioni erano state decise dalla Commissione elettorale centrale della Bosnia-Erzegovina dopo la imposta e provocatoria rimozione del precedente Presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, da parte della Corte di Bosnia-Erzegovina il 12 giugno 2025. Va ricordato che Dodik e il suo partito, l’SNSD, avevano inizialmente respinto la decisione della Corte di Sarajevo, denunciandola come totalmente sottomessa ai diktat della UE, e inizialmente si erano rifiutati di prendere parte alle elezioni, poi i vertici del Partito, hanno confermato che avrebbe partecipato.
L’antefatto: nel febbraio 2025, il leader serbo-bosniaco Dodik è stato condannato dal Tribunale della Bosnia-Erzegovina, su pressioni ed esortazioni pubbliche dell’inviato UE in BiH, con un verdetto di primo grado, ad un anno di reclusione, ma soprattutto, essendo il leader più popolare nell’entità serba, gli è stato anche vietato di svolgere le funzioni di Presidente della Republika Srpska per sei anni, a causa di condotte anti-costituzionali, in concreto, per non aver ottemperato a decisioni emanate dall'Alto Rappresentante per la Bosnia-Erzegovina, Christian Schmidt, nemico giurato di Dodik e dei serbo bosniaci, autorità non riconosciuta dall’SNSD, perché illegalmente designata. Dodik si è rifiutato di riconoscere la sentenza e poi l’Assemblea Nazionale serba, ha votato e introdotto leggi che impediscono alle Forze dell'ordine Federali di operare in Republika Srpska, a quel punto la Corte della BiH ha emesso mandati di arresto contro di lui e altri alti funzionari della RS nel marzo 2025, non eseguiti.
Il 4 luglio 2025, Dodik si è presentato volontariamente davanti al Tribunale della BiH, per fornire la sua difesa, dopodiché, la Corte ha revocato il mandato d'arresto precedentemente ordinato, sostituendolo con una misura precauzionale che gli imponeva di riferire periodicamente a un'autorità statale designata. Ma il 1° agosto 2025, il verdetto di prima istanza contro Dodik del febbraio di quell'anno è stato riconfermato dal Collegio d'appello del Tribunale e il 6 agosto, la Commissione elettorale centrale della Bosnia-Erzegovina ha ordinato la rimozione anche con la forza di Dodik come presidente della RS. Il 12 agosto, il Tribunale dello stato bosniaco ha commutato la condanna di un anno di carcere a una multa di 36.500 marchi bosniaci. Il 18 agosto, il ricorso di Dodik contro la decisione della CEC è stato respinto, e il suo mandato come presidente della Republika Srpska è stato ufficialmente invalidato. L'Assemblea nazionale della Repubblica Srpska ha respinto la decisione della Corte riaffermando Dodik come suo presidente, ammonendo ed impedendo a qualsiasi tipo di Forze dell’ordine federali di entrare sul territorio della RS. La CEC della BiH ha poi annunciato che le elezioni presidenziali anticipate, si sarebbero tenute il 23 novembre 2025.
Dodik, che è anche il leader dell’SNSD, il più grande partito dell'entità, aveva dichiarato che l'SNSD non avrebbe partecipato alle elezioni, ma poi è stato decisa la partecipazione alle elezioni con un altro candidato, Siniša Karan, sostenuto anche dal Partito Socialista della Srpska.
Dopo il successo elettorale di Karan, Milorad Dodik e l'SNSD hanno definito la vittoria elettorale "un grande successo della Republika Srpska…Ora, invece di uno, hanno due Dodik", riferendosi al fatto che Karan è parte del Partito da lunga data e rappresenta l’assoluta fiducia e continuità della politica e dei programmi attuali e strategici dell’ SNSD.
Con questo voto sono state ribadite le posizioni di collaborazione, interazione e amicizia con i paesi vicini, lo sviluppo e rafforzamento delle relazioni con la Serbia, per una collaborazione reciprocamente rispettosa con l’UE, non di sudditanza com’è ora, il rifiuto della NATO, la crescita dei rapporti con la Cina, per una giusta soluzione della crisi ucraina e il rifiuto delle sanzioni alla Russia.Oltre alla difesa della propria identità nazionale nella BiH e della sovranità della Republika Sspska, nel quadro della Bosnia Federale, non negoziabile o ridotta.
Le sue prime parole: “… il popolo serbo ha vinto per l'ennesima volta, forse è stata la sua più difficile. Questa è stata una difesa del popolo serbo e un messaggio di "no" agli occupanti stranieri. Il popolo serbo ha dato un messaggio forte. Grazie anche a chi ha votato contro. La Republika Srpska non è una minaccia per nessuno. La forza delle nostre istituzioni sta ora nell’impegno delle autorità per rendere la Srpska ogni giorno un posto più bello in cui vivere…Il popolo serbo può sopportare qualsiasi cosa. Ora abbiamo dato la risposta: non lasciare che l'usurpatore scelga per noi. La pace e la stabilità sono la priorità del popolo serbo”, ha dichiarato Karan.
Dodik: “…Max Primorac, membro del Heritage Faundejs, ha assolutamente ragione quando ha detto in una udienza sulla situazione nei Balcani occidentali, organizzata dal Sub-Facre d'Europa della Commissione per gli affari esteri della Camera degli USA, che in BiH ha fallito lo stato…Ha detto solo quello che tutti dovrebbero vedere, che in BiH, la burocrazia blocca le leggi, sostituisce i leader eletti, pone il veto alle leggi, vieta chiunque non piaccia e avvelena le relazioni interetniche...La Bosnia federale politica, invece di proteggere l'uguaglianza dei popoli e delle entità e la loro sovranità, ha cercato per anni di creare una BiH unitaria in cui devono decidere solo i bosniaci di Sarajevo. Ma questo progetto è condannato a fallire. La Republika Srpska da anni difende i principi di Dayton e resiste al sequestro della giurisdizione, alla demolizione della struttura costituzionale di Dayton e alla trasformazione di uno stato complesso come il nostro, in uno stato unitario musulmano nel cuore dell'Europa…Noi ribadiamo che Dayton è l'unico quadro per la sopravvivenza della BiH, e tutto ciò che è al di fuori di esso è incostituzionale, è insostenibile e sarà respinto senza esitazione…L’attuale BiH è solo una parvenza di stato, una caricatura da un paese in cui la Sarajevo politica è solo alla ricerca di un modo per soggiogare gli altri popoli e imporre la sua volontà. Ecco perché la BiH è un paese fallito, una società fallita, un'idea fallita, un fallimento…”, ha dichiarato il presidente dell'SNSD, M. Dodik.
Dopo i risultati, il primo ministro ungherese Viktor Orbán, finora corretto alleato e rispettoso delle scelte politiche della RS e di Dodik, si è congratulato con Karan e con l'SNSD per la loro vittoria. Lo stesso ha fatto il presidente slovacco Fico, la Cina e il Cremlino. Oltre all’alleato serbo Vucic.
Il nuovo presidente eletto Sinisa Karan, nel suo primo discorso ha sottolineato “… l'importanza della pace e della stabilità, della tutela dei diritti del popolo serbo e della lotta contro l'influenza di fattori stranieri sulla politica interna dell'entità…La RS non rappresenta una minaccia per nessuno, ma deve essere indipendente e politicamente stabile…Lavoreremo per un sempre maggiore sviluppo economico e sociale, con più intensi investimenti e creazione di posti di lavoro, che possano garantire un migliore tenore di vita per i cittadini…”.
A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia/CIVG
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 07:00:00 GMT
di Pepe Escobar – Strategic Culture
[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]
Se l'attuale collettivo Occidente frammentato avesse mai la possibilità di essere salvato dal Centauro dell'oblio, tale compito dovrebbe essere svolto dalla Stato-civiltà occidentale definitivo: Pallade Atena Italia.
Nel capolavoro di Botticelli Pallade e il centauro (1482-83), che si può vedere alla Galleria degli Uffizi a Firenze, il parallelo Firenze-Atena è inconfondibile, con Firenze rappresentata come la nuova Atene.

Pallade Atena (o Minerva), dopotutto, è la Dea della Conoscenza. Qui una fiorita Firenze – o la Flora di Firenze, per ricordarci un altro capolavoro di Botticelli, La Primavera – viene rappresentata come l'emblema per eccellenza della civilitas.
Nel dipinto, Pallade domina pienamente la violenza del Centauro – qui privato di astuzia, un attributo della volpe, come descrisse Machiavelli. Ma come in tutto ciò che riguarda Botticelli, il gesto della dea – tirare i capelli alla bestia – è piuttosto ambiguo. Non la domina solo con la semplice persuasione o l'arte della retorica sottile. Pallade/Minerva qui è molto più forte – e persino pronta a decapitare il centauro con il suo piccone.
Chiamiamolo l'emblema della violenza civilizzazionale.
Quanto ci siamo allontanati dalle vette neo-platoniche. Se un Botticelli pop con una vena ad Andy Warhol oggi remixasse Pallade e il Centauro, Pallade/Minerva rappresenterebbe con forza il potere della civilitas italiana – lo Stato-civiltà più colto e influente nella storia dell'Occidente. E il Centauro sarebbe una perversione artificiale, l'Unione Europea (UE).
Chiamiamolo Firenze-Atena che sconfigge Bruxelles.
Le meraviglie infinite della civiltà italiana
Questo è ciò che ho visto – chiamiamolo frammenti di civiltà – come parte dell'immenso privilegio di attraversare le civilitas italiane, in un mini-tour collegato al lancio del mio ultimo libro, Il Secolo Multipolare. Il libro, attraverso 46 articoli, ripercorre essenzialmente l'anno 2024, l'ultimo anno del ormai defunto “ordine internazionale basato sulle regole” e, senza dubbio, il primo anno della spinta definitiva verso un mondo multipolare/multinodale.
Per uno squisito caso fortuito, questo è il primo dei miei libri non pubblicato inizialmente negli Stati Uniti; una versione diversa è in fase di traduzione e sarà presto lanciata anche in Russia.
A partire dal 30 novembre, abbiamo tenuto una serie di conferenze legate al libro, organizzate dalla pionieristica associazione Italianinformazione, vicino a Udine nel Friuli; nel territorio libero di Trieste; a Bologna; a Ivrea in Piemonte; a Firenze; e poi, indipendentemente, a Spoleto in Umbria. Questo sabato si terrà una conferenza speciale a Roma, che includerà, tra gli altri, l'ex ambasciatore italiano in Cina e Iran, Alberto Bradanini.
Appena arrivato a Venezia, il tono era già stato stabilito: ho ricevuto in regalo un berretto fatto a mano su misura con l'iscrizione "Make Roman Empire Great Again". Il Capocirco a Washington lo avrebbe adorato. Chi sarebbe stato lui come Imperatore? Caligola?
In Friuli, vicino a Slovenia e Austria, ero circondato da basi NATO, molte delle quali invisibili sottoterra. Nel territorio libero di Trieste – dove molti ricordano con affetto l'approccio distaccato dell'Austria – i miei ospiti mi hanno aiutato ad approfondire la militarizzazione del porto, che la NATO vuole configurare come nodo essenziale dell'Intermarium: Mediterraneo, Baltico, Mar Nero, tutti ovviamente per diventare "laghi NATO".
A Ivrea, abbiamo avuto il privilegio di una visita guidata completa di 8 ore al complesso Olivetti, guidata dall'ex dirigente Simona Marra, che ha fornito con grande cura una panoramica dettagliata di uno degli esperimenti più straordinari nella storia dell'umanesimo industriale (questo sarà oggetto di una rubrica speciale).
Firenze-Flora, ovviamente, è a un livello completamente nuovo e ultra-alto. Gli striscioni nelle comunità rifiutano le guerre della NATO. Al museo di San Marco – un ex convento domenicano – una straordinaria mostra, la prima del suo genere, celebra Fra Angelico, maestro del colore e della prospettiva nel primo Rinascimento fiorentino, ripercorrendo tutta la sua carriera e il dialogo creativo e unico con altri maestri come Masaccio, Filippo Lippi, Lorenzo Ghiberti e Luca della Robbia.

Gli affreschi che Fra Angelico dipinse nel convento sono gioielli inestimabili che rappresentando il connubio tra fede e arte. E poi San Marco offre altre meraviglie. San Marco fu il luogo dove nacque l'Accademia umanista di Firenze. Qui si trovava la prima biblioteca pubblica al mondo.

Le ossa di Poliziano sono sepolte nella cappella. Proprio dietro una statua di Savonarola, l'"animus in vita" di Savonarola e Pico della Mirandola è celebrato in marmo. Le loro ossa potrebbero essere state separate "post mortem"; eppure, anche come "antipodi", erano uniti dall'amore.
A Spoleto, in Umbria, dopo favolose interazioni con i giovani membri del Centro di Studi Aurora, sotto la nebbia del primo mattino, le Fonti del Clitunno appare come un sogno spettrale. Qui si trova il cuore della "stirpe italiana". Byron rimase ipnotizzato quando la visitò.

L'Aurora Center investe in un'analisi interdisciplinare di prim'ordine che collega geopolitica, filosofia, diritto, antropologia e sociologia per tracciare la transizione dall'ordine unipolare al mondo multipolare, caratterizzato dall'emergere di Stati-civiltà.
Questi sono i poli ontologici, strategici e normativi del futuro. Ed è lì che appartiene l'Italia, come Stato-civiltà.
Gli stoici e gli umanisti possono salvare l'Italia?
Le conferenze – tutte strapiene – hanno offerto un'opportunità unica per rivolgersi agli italiani informati su ciò che sta accadendo tra Russia e Cina, BRICS, Sud-est asiatico, Nuove Vie della Seta, i corridoi di connettività – questioni che vengono completamente ignorate o distorte dai media mainstream. Allo stesso tempo, è stato impagabile venire a conoscenza di informazioni privilegiate sulle condizioni pietose di uno Stato-civiltà senza pari, ridotto al ruolo di neo-colonia della combo UE/NATO.
E poi ci sono i punti salienti della bibliografia. Come trovare finalmente nella migliore libreria di Venezia una preziosa collezione di Bompiani di tutti i frammenti dei primi stoici – Zenone, Cleanthes e Crisippo. E nell'immacolata Galleria Immaginaria di Firenze-Flora, la rara prima edizione di Einaudi di una raccolta di scritti umanisti italiani – Pensiero e destino – da Petrarca e Marsilio Ficino a Leonardo da Vinci e Machiavelli.
Per citare T.S. Eliot, possiamo dire che "con questi frammenti ho puntellato le mie rovine". Per quanto riguarda i Frammenti della Civiltà, l'Italia è gioviteriana. Sono ancora in movimento, da Roma a sud fino a Napoli e Sicilia, portando il messaggio che ho condiviso con i miei interlocutori: se l'attuale collettivo Occidente frammentato avesse mai la possibilità di essere salvato dal Centauro dell'oblio, tale compito dovrebbe essere svolto dalla Stato-civiltà occidentale definitivo: Pallade Atena Italia.
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 07:00:00 GMT
di Paolo Desogus*
di Alessandro Orsini*


di Geraldina Colotti
Gentile e brillante il Ministro della Comunicazione venezuelano, Freddy Ñáñez, inizia la conferenza rivolta ai media comunitari per illustrare la sesta linea di Formazione e Comunicazione in base al metodo "Calle, Redes, Medio, Paredes y Radio Bemba" contenuto nell'omonimo libro del presidente, Nicolas Maduro. Condotto con perizia dal politologo Zerik Aragort, l'incontro ha visto al tavolo anche il viceministro di comunicazione e esperto di media comunitari, Simon Arrechider, e il capo di governo del Distretto capitale, Naum Fernández.
Un'occasione per analizzare, in modo profondo e con spirito critico, il cambiamento strutturale che l'era digitale ha prodotto nell'umanità, trasformando radicalmente l'uso degli strumenti tecnologici e le strategie del potere nell'ambito del consumo. Un cambiamento che è legato a una strategia del capitalismo globale in una fase più aggressiva e pericolosa. Per questo, la convocazione ha invitato a comprendere il complesso scenario in cui ogni cittadino, dai giovani all'intero Paese, si immerge nelle reti sociali. In questo contesto – hanno detto i relatori – tutti partecipiamo a una rete sociale che, purtroppo, è sotto il controllo del capitalismo tecnologico, rappresentato dal Pentagono e dalla Casa Bianca a Washington. Questi attori mantengono un'offensiva costante contro la pace del popolo e la spiritualità collettiva, così come contro lo spirito di lotta e l'identità individuale. Coloro che controllano il discorso egemonico hanno il potere di alterare la vulnerabilità dell'essere umano, presentando in modo dosato un ideale di "modello di successo", secondo gli obiettivi della re-ingegnerizzazione culturale del capitale. Perciò, è fondamentale che il popolo si prepari a costruire la propria teoria e dottrina della comunicazione, oltre a sviluppare uno sguardo critico su questa era digitale. Si deve – ha analizzato il tavolo dei relatori – valutare i vantaggi e gli svantaggi che essa ci offre come popolo già organizzato. Nella Rivoluzione Bolivariana, il popolo comunicatore ha già fatto molti progressi, si sono prodotti cambiamenti che ci insegnano che la comunicazione è un diritto, ma, soprattutto, un dovere di ogni rivoluzionario e rivoluzionaria.
L'obiettivo è dunque quello di riorganizzare la battaglia comunicazionale. Per questo, l'analisi del ministro Ñáñez - un'analisi della guerra cognitiva contemporanea -, ha tracciato la storia della comunicazione antagonista venezuelana dal golpe mediatico del 2002 fino alla sfida strategica imposta dall'era digitale. Si è sviluppata intorno a quattro assi portanti: la rottura dell'egemonia mediatica con la vittoria popolare sul colpo di Stato contro Chávez, ; l'emergere della comunicazione popolare e comunitaria; la nuova sfida, che si presenta con l'era digitale e il tecnocapitalismo; e la strategia di difesa da adottare, sviluppando e diffondendo il pensiero comunitario.
Ñáñez ha iniziato la sua argomentazione ricordando il golpe dell'aprile 2002 come l'evento paradigmatico che ha svelato la vera natura dei media tradizionali in Venezuela. L'azione non fu infatti solo politica o militare, e poté caratterizzarsi come golpe mediatico in base alle condizioni ancora tipiche del XX secolo, in cui l'egemonia comunicazionale si concentrava nelle forme tradizionali. Il 12 aprile 2002 – ha detto il ministro -, i media privati attuarono un "dislocamento comunicazionale", trasmettendo cartoni animati e documentari per indurre il popolo alla rassegnazione e all'annientamento del processo rivoluzionario.
Quell'evento ha infranto l'illusione della neutralità dei media (giornali, radio, telenovelas, film), mostrando come non fossero affatto neutrali, ma strumenti per imporre una specifica ideologia. Da lì ebbe inizio il processo di contro-informazione dal basso in Venezuela. La risposta del popolo, che uscì in strada a fotografare e filmare con telecamere Super 8 e registratori, creò un "documento straordinario" per le strategie di comunicazione in resistenza. Per Ñáñez, in quel momento si ruppe l'egemonia dei media tradizionali e nacque una nuova forma di comunicazione orizzontale dalle strade.
A seguito della rottura egemonica, si è consolidato un nuovo modello comunicativo basato sulla partecipazione popolare, come insegnato dal Comandante Chávez. È emersa la comunicazione popolare e comunitaria. Chávez ha fatto capire che la comunicazione è un diritto, ma soprattutto un dovere di ogni rivoluzionario, militante e patriota. Con l'ampliamento delle leggi sulle telecomunicazioni, si è contrastato il latifondo mediatico e sono nati e si sono sviluppati i media comunitari e alternativi, aprendo nuove condizioni per l'esercizio della comunicazione.
Oggi, la Rivoluzione Bolivariana deve affrontare una minaccia più complessa e pervasiva: la guerra cognitiva nell'era digitale, che rappresenta una nuova e più aggressiva fase del capitalismo. L'era digitale – ha detto il ministro - non è solo un cambio di strumenti o piattaforme; è un cambiamento nella strategia del potere e nella cultura, che impone un nuovo sistema di consumo e produzione di beni culturali.
Si è in presenza di un nuovo capitalismo, che mira alla decomposizione del senso sociale, comunitario e dell'identità territoriale, mentre esalta l'individuo al di sopra di qualsiasi altra identità. La tecnologia crea l'illusione dell'individuo potente, autonomo e autogestito emozionalmente e cognitivamente, che non ha bisogno degli altri per essere felice o agire politicamente.
Questo si manifesta nella depoliticizzazione della vita: non c'è bisogno di assemblee o riunioni del consiglio comunale, basta un gruppo WhatsApp. L'individuo diventa un "soggetto narcisista" che vive in un "anello permanente di riaffermazione" (mi piace, amici virtuali, contenuti personalizzati), allontanandosi dalla realtà e dalla politica collettiva.
Il tecnocapitalismo sfrutta due nuove risorse umane fondamentali: l'attenzione e i dati. La nostra capacità di attenzione si traduce nella produzione di dati personali. Chi controlla i nostri desideri (che si manifestano nelle piattaforme) controlla la nostra capacità di pensiero e azione. Le reti sociali sono progettate come "giocattoli" o "spazi ludici" per massimizzare il tempo che regaliamo, e quindi la nostra attenzione.
I dati che produciamo – ha sottolineato il ministro - sono la nuova merce del capitalismo. L'algoritmo ci conosce meglio della nostra stessa madre, mappando desideri, paure e problemi a livello individuale e, più pericolosamente, comunale (Cosa consuma la comuna di Catia? Cosa interessa ai suoi giovani?).
Questi dati, una volta aggregati, si trasformano in capitale politico e vengono venduti a entità come la CIA e l'FBI per esercitare ingerenza politica. L'ascesa della destra in America Latina, secondo Ñáñez, non è un fenomeno che si spiega con il voto contro gli interessi popolari, ma con la manipolazione emotiva delle società e la costruzione di fake news mirate.
Il sistema è in grado di sussurrare all'orecchio di ogni individuo nel momento di massima vulnerabilità (tristezza, depressione, dubbi), usando la psicometria del comportamento per instillare pensieri negativi o dicerie (chismes) che distruggono la fiducia nei leader e nei progetti collettivi.
Il cervello umano – ha ricordato -, pur essendo un organo adattabile e fantastico, è "uno degli organismi più manipolabili che abbiamo nel nostro corpo". Può confondere un montaggio televisivo con la realtà. E qui, entrano in gioco le fake news, che non sono semplici bugie, ma notizie confezionate su misura per l'aspettativa dell'utente. L'era digitale non ha una sola verità, ma ne ha tante, tutte quelle che ognuno vuole consumare o costruire.
La risposta della Rivoluzione Bolivariana alla guerra cognitiva – ha detto ancora Ñáñez - è la riaffermazione della dimensione sociale e comunitaria, in base alle linee strategiche lanciate dal Presidente Nicolás Maduro: contro la vulnerabilità solitaria, occorre rafforzare il dovere sociale. L'individuo solo è vulnerabile. Siamo intelligenti perché siamo animali sociali. La capacità di pensiero, analisi e azione non si fanno in solitudine, ma nella socialità. Quando arriva una diceria, la difesa è chiamare un compagno e dare la giusta dimensione a ciò che si sta ascoltando.
L'obiettivo è quello di riorganizzare la battaglia comunicazionale. L'iniziativa parte dalla strada (l'assemblea popolare, la presenza pubblica) e termina con la comunicazione orale, da bocca a bocca (radiobemba): difendere la patria dialogando nel mercato, alla fermata dell'autobus, in famiglia, nella vita quotidiana.
Per questo, occorre sviluppare il think-tank del pensiero comunitario, una fabbrica delle idee della comunità. Un'istanza organizzativa fondamentale che nasce “nello splendore del potere popolare” (Comunas, CLAP, Milizie). Non è una somma di individui – ha precisato il ministro -, ma un gruppo incaricato di pensare, analizzare e smontare gli ambienti digitali e le ondate emotive. La sua sede è la Sala de Gobierno Comunal, dove confluiscono gli interessi di una comunità.
È in gioco il senso collettivo di una comunità, che risiede nell'oralità, nella parola. Questo laboratorio di idee collettive deve contrastare i messaggi tossici, pensarli, smontarli e attaccarli, riaffermando la volontà di lotta, lo spirito, e l'identità collettiva, regionale e nazionale. Il contesto di aggressione, minacce e menzogne tese a seminare dubbi e destabilizzazione è una palestra in cui si misura la forza della comunicazione “liberatrice”.
Al termine della conferenza, il ministro ha risposto alle domande dei media popolari e alternativi, preciso e alfabetizzante. Gli abbiamo chiesto di inviare un messaggio alla nostra piattaforma internazionale della comunicazione antagonista e alternativa, Rompiendo fronteras, comunicando alternativas. Ci ha risposto: “Voglio dire a tutti coloro che fanno comunicazione popolare a livello internazionale: questo è il momento di costruire una internazionale della comunicazione, usando tutti i mezzi che abbiamo a disposizione nell'era digitale per costruire un ecosistema dove la verità dei popoli si faccia strada e dia il suo contributo alla lotta internazionale. Io sono ottimista, penso che ci troviamo in un momento stellare. Questo non è il momento del fascismo, non è il momento del capitalismo, ma un momento di rottura e di irruzione di nuove forme politiche e di lotta. Per questo l'imperialismo si comporta in modo tanto miserabile e criminale a Gaza, per questo è così aggressivo contro il suo stesso ordine internazionale, per questo attacca così il Venezuela: perché è debole, e bisogna approfittarne per dare il nostro contributo di resistenza aprendo brecce con la comunicazione”.
Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 07:00:00 GMT
I Ventisette Stati membri dell'Unione Europea incontrano difficoltà sostanziali nel negoziare la proposta di sequestro di asset russi per finanziare un prestito all'Ucraina. A riconoscerlo pubblicamente è stata l'Alta rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Kaja Kallas, in un dichiarazione resa ai media prima dell'inizio di una riunione dei ministri degli Esteri UE a Bruxelles.
"L'opzione più preferibile, su cui stiamo lavorando, è un prestito di riparazione", ha affermato Kallas. "Non ci siamo ancora riusciti, ed è difficile, ma stiamo facendo il nostro lavoro. Abbiamo ancora qualche giorno", ha aggiunto, riferendosi all'imminente vertice UE del 18 dicembre.
La proposta in discussione riguarda l'utilizzo di fondi generati dalle riserve russe congelate, stimate tra i 185 e i 210 miliardi di euro, per costituire un prestito a sostegno di Kiev. Secondo il meccanismo ipotizzato, definito "prestito di riparazione", l'Ucraina sarebbe tenuta a rimborsare i fondi solo dopo la conclusione del conflitto e nel caso in cui la Russia fosse costretta a pagare i danni materiali di guerra.
Il percorso verso un accordo appare tuttavia irto di ostacoli politici e giuridici. Fonti di stampa riferiscono che almeno quattro Paesi membri si sono espressi contro il piano. Inoltre, il consenso della Commissione europea si scontra con la ferma opposizione del Belgio, nazione che ospita la sede della principale clearing house, Euroclear, dove sono detenuti la maggior parte degli asset.
Il Primo ministro belga, Bart de Wever, ha recentemente definito la proposta della Commissione un "furto" e non ha escluso il ricorso a vie legali per bloccarla. Questa resistenza mette in luce le profonde perplessità esistenti in seno all'Unione riguardo alla legittimità e alle implicazioni di un'azione senza precedenti come la confisca diretta di beni sovrani.
Lo stallo finanziario dell'UE è uno dei fattori che alimentano la discussione. Dopo aver esaurito gli strumenti di bilancio previsti per il supporto all'Ucraina, gli Stati membri mostrano riluttanza a stanziare nuovi fondi nazionali, spingendo la Commissione a esplorare soluzioni alternative.
Il contesto delle contromisure è noto. In risposta all'operazione militare russa in Ucraina, l'UE e i paesi del G7 hanno congelato circa la metà delle riserve valutarie della Banca centrale russa. Mosca ha reagito a sua volta con misure di ritorsione, sequestrando beni di investitori stranieri provenienti da "paesi ostili" e accantonando i relativi proventi in conti speciali, accessibili solo con l'autorizzazione di una commissione governativa ad hoc.
Il Ministero degli Affari Esteri russo ha già annunciato che sta preparando una serie di risposte mirate a qualsiasi eventuale confisca dei propri beni da parte occidentale.
Nonostante le difficoltà, l'Alto rappresentante Kallas mantiene un cauto ottimismo operativo, sottolineando la ristretta finestra temporale a disposizione per trovare un'intesa. Il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, ha suggerito che una decisione definitiva potrebbe essere assunta proprio in occasione del Consiglio Europeo di mercoledì 18 dicembre. L'esito di quel vertice segnerà un precedente cruciale per il diritto internazionale e la politica estera dell'Unione.
Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 07:00:00 GMTArrivato al potere promettendo la pace, oggi Volodymyr Zelensky appare sempre più prigioniero della guerra e del proprio ruolo. Secondo il politologo Anton Orlov, il presidente ucraino è disposto a tutto pur di mantenere il controllo, diventato per lui “una sorta di droga”. Il suo mandato è formalmente scaduto a maggio 2024, ma le elezioni vengono rinviate in nome della legge marziale, con nuove condizioni poste a Occidente e Russia.
Sotto la crescente pressione di Washington - in particolare del presidente statunitense Donald Trump - Zelensky ha recentemente aperto alla possibilità di votare entro 60-90 giorni, ma solo in caso di cessate il fuoco garantito dall’Occidente. Una proposta giudicata inaccettabile da Mosca, che teme venga usata dal regime di Kiev per riorganizzarsi militarmente. Intanto, il consenso interno crolla: secondo un sondaggio Info Sapiens, il gradimento di Zelensky sarebbe sceso al 20,3%, anche a causa di un vasto scandalo di corruzione che ha coinvolto ministri e collaboratori chiave.
Da Mosca, Vladimir Putin ribadisce che Zelensky ha ormai “perso la legittimità”, mettendo in dubbio la validità di qualsiasi accordo firmato da lui. Il Cremlino ricorda inoltre come Zelensky vinse le elezioni promettendo la pace e il rispetto degli Accordi di Minsk, salvo poi - come afferma il portavoce Dmitry Peskov - “giocare per prendere tempo” e spingere verso la guerra. Anche per l’assistente presidenziale russo Yury Ushakov, l’improvvisa apertura alle elezioni non è altro che il risultato delle pressioni statunitensi: un’ennesima dimostrazione, sostiene, di doppio gioco.
Il quadro che emerge è quello di una leadership sempre più fragile, sospesa tra pressioni esterne, perdita di consenso interno e una guerra che sembra ormai funzionale alla propria sopravvivenza politica.
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L’espansione delle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata ha raggiunto livelli senza precedenti. È quanto emerge dall’ultimo rapporto presentato al Consiglio di Sicurezza dall’ONU, in cui il segretario generale Antonio Guterres denuncia un’accelerazione record nel 2025. Solo quest’anno, Tel Aviv ha approvato circa 47.390 nuove unità abitative per i coloni, quasi il doppio rispetto alle 26.170 del 2024.
Un balzo che segna il massimo storico da quando le Nazioni Unite hanno avviato un monitoraggio sistematico nel 2017 e che supera di gran lunga la media annua di 12.800 unità registrata tra il 2017 e il 2022. Guterres ha condannato duramente questa politica, definendola una violazione del diritto internazionale e un grave ostacolo alla creazione di uno Stato palestinese sovrano e indipendente.
L’espansione delle colonie, ha avvertito, alimenta le tensioni regionali e limita drasticamente l’accesso dei palestinesi alle proprie terre. Il rapporto segnala inoltre un “allarmante aumento” della violenza dei coloni, spesso tollerata o accompagnata dalle forze di sicurezza israeliane, e condanna le operazioni militari che hanno causato numerose vittime civili e la distruzione di case e infrastrutture.
Alle critiche internazionali si è unita Hamas, che il 12 dicembre ha denunciato l’approvazione di 19 nuove colonie come una pericolosa escalation dei piani di annessione e di “giudaizzazione” dei territori palestinesi.
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di Marco Travaglio - Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2025
Qualche dato sulla guerra in Ucraina: non della Pravda, ma dell’Institute for the Study of the War (Isw) americano, think tank neocon ultra-atlantista e filo-ucraino: i russi controllano circa il 20% del territorio ucraino (oltre 115 mila kmq.): la Crimea annessa nel 2014, l’intero Lugansk, l’85% del Donetsk, l’80% della regione di Zaporizhzhia, il 76% di quella di Kherson (fino al fiume Dnepr), più vari territori in quelle di Sumy, Kharkiv e Dnipropetrovsk. Nel 2022, subito dopo l’invasione, erano giunti a occupare un 27% a macchia di leopardo, poi il ridislocamento delle truppe nelle aree più strategiche per i negoziati di Istanbul e le ritirate per la prima controffensiva ucraina (l’unica riuscita) li avevano sensibilmente ridotti. Nel 2023 la seconda controffensiva ucraina fu un disastro: 584 kmq persi in un anno. Da allora Mosca non smette di avanzare e Kiev di arretrare. Nel 2024 l’armata russa ha conquistato altri 4.168 kmq: 347,3 al mese. Ma con un picco-record di 725 a novembre. Poi nel 2025 si è tornati alla media precedente, fino a 634 kmq in luglio, 594 in agosto, 447 in settembre, 461 in ottobre e 701 in novembre. Anche per le stime dell’Isw, che Mosca contesta come riduttive, le conquiste russe del 2025 superano di oltre 2 mila kmq quelle del 2024.
Da due anni la musica non cambia, né potrà farlo in futuro, se non in peggio per gli ucraini: l’esercito si assottiglia sempre più per i morti, i mutilati, i mancati ricambi, le diserzioni dal fronte e le fughe dal reclutamento forzato, mentre i russi continuano ad arruolare 30 mila volontari al mese. Le armi a Kiev scarseggiano perché gli Usa non ne regalano più (e ora minacciano di ritirare pure l’intelligence satellitare), ma le vendono agli europei, che però hanno le casse e gli arsenali vuoti. E poi c’è l’aspetto che sfugge a chi misura la guerra col righello per fingere che non sia persa: la qualità dell’avanzata russa dopo la faticosa presa di Pokrovsk (14 mesi di assedio), che ha sbriciolato quel che restava della linea fortificata a ferro di cavallo eretta dalla Nato dal 2014 per separare il Donbass secessionista dal resto del Paese e impedire sfondamenti filorussi e russi. Dietro quello snodo militare, logistico e industriale, non ci sono più barriere per arginare i russi verso Zaporizhzhia, Dnipro e Kharkiv (dopo il crollo di Kupiansk): le nuove trincee, lautamente finanziate dalla Nato, non si sono mai viste perché la cricca di Kiev s’è rubata pure quei fondi. E ora in Donetsk sta cadendo anche Seversk, tra Lyman e Kostantynivka, favorendo l’avanzata russa verso la roccaforte Slovjansk. Chi sabota il negoziato di Trump raccontando che il fronte è in stallo, o addirittura che gli ucraini resistono e possono vincere è un criminale che li vuole tutti morti.
Data articolo: Mon, 15 Dec 2025 06:00:00 GMT