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News lantidiplomatico.it

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IN PRIMO PIANO
Iran: sequestrata petroliera straniera con sei milioni di litri di carburante di contrabbando

Le autorità iraniane hanno annunciato il sequestro di una petroliera battente bandiera estera nel Golfo dell'Oman, accusata di aver trasportato sei milioni di litri di carburante di contrabbando. L'operazione, confermata dal capo della Giustizia della provincia di Hormozgan, Mojtaba Ghahremani, ha portato anche alla detenzione di 18 membri dell'equipaggio. L'unità è stata intercettata nelle acque sotto sovranità iraniana, vicino alla zona di Jask, dopo un periodo di monitoraggio dei servizi di intelligence sulle sospette attività di contrabbando lungo i confini marittimi del paese.

Gli ufficiali giudiziari, agendo su mandato del tribunale, hanno ispezionato la nave, riscontrando numerose violazioni marittime e la mancanza di documentazione legale relativa al carico. La petroliera è stata quindi confiscata con l'accusa di trasportare l'ingente quantitativo di carburante, equivalente alla capacità di circa 200 chiatte. Secondo i media iraniani, i 18 detenuti, ora sotto controllo giudiziario in attesa del completamento delle indagini, includono il comandante e membri dell'equipaggio di nazionalità indiana, singalese e bengalese. A loro carico pendono accuse come l'aver ignorato l'ordine di fermarsi, il tentativo di fuga, la navigazione senza documenti e lo spegnimento intenzionale dei sistemi radar.

Questo sequestro si inserisce in una campagna più ampia di contrasto al traffico illegale di prodotti petroliferi iraniani, principalmente carburanti, verso gli Stati arabi della regione, dove i prezzi sono significativamente più alti. Le autorità di Teheran sostengono che gli sforzi intensificati stiano infliggendo un duro colpo alle reti di contrabbando organizzato. Solo pochi giorni fa, mercoledì, era stata sequestrata un'altra nave, battente bandiera di Eswatini, con a bordo 350.000 litri di gasolio di contrabbando.

L'azione riporta l'attenzione su una serie di interventi simili nelle acque del Golfo. A metà novembre, i corpi della Guardia Rivoluzionaria Islamica (IRGC) avevano sequestrato una petroliera battente bandiera delle Isole Marshall per carico non autorizzato, poi rilasciata dopo lo scarico. Precedentemente, il 3 maggio 2023, era stata intercettata la nave Panama-flagged Niovi, a seguito di una denuncia privata, e il 27 aprile la Advantage Sweet, battente bandiera delle Isole Marshall, dopo una collisione con una barca iraniana. Le autorità difendono queste operazioni come parte della missione di contrasto al contrabbando, di applicazione delle normative marittime e di risposta a violazioni o reclami legali nelle proprie acque territoriali.

Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 16:20:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La Slovacchia accusa l'UE di sostenere “massacri insensati” in Ucraina

Il primo ministro slovacco Robert Fico ha ribadito che bloccherà qualsiasi decisione volta a trasferire i beni russi congelati per finanziare l'Ucraina durante il prossimo vertice del Consiglio Europeo.

L'avvertimento è arrivato dopo una conversazione telefonica di quasi un'ora con il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, durante la quale Fico ha chiarito la sua opposizione a continuare a destinare fondi alle ostilità. 

Lo rispetto pienamente, ma mentre parlava dei soldi per la guerra in Ucraina, non smettevo di ripetergli che ogni giorno muoiono inutilmente centinaia e migliaia di russi e ucraini”, ha scritto su X. “Ho detto ad A. Costa che non sosterrò nulla - nemmeno se dovessimo rimanere a Bruxelles fino a Capodanno - che implichi il sostegno alle spese militari dell'Ucraina”, ha sottolineato.

Il primo ministro slovacco ha dichiarato di essere disposto a sostenere l'Ucraina esclusivamente nella sua ricostruzione, attraverso accordi bilaterali diretti tra Bratislava e Kiev, ma rifiuta le “stragi insensate” fomentate dai meccanismi europei che perpetuano la violenza.

La politica di pace che sostengo costantemente mi impedisce di votare a favore del prolungamento del conflitto militare, perché destinare decine di miliardi di euro alla spesa militare significa prolungare la guerra”, ha ragionato Fico in una lettera a Costa, aggiungendo che tale conflitto armato “non ha una soluzione militare” e definendo “errata e inefficace” la strategia dell'UE al riguardo.

Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 15:44:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Luis Arce: “Cercano capri espiatori”

L'ex presidente della Bolivia Luis Arce si è dichiarato innocente delle accuse mosse contro di lui durante la sua comparizione di venerdì davanti a un giudice anticorruzione.

Sono assolutamente innocente delle accuse che vengono allegramente mosse contro di me, per motivi chiaramente politici, vista la situazione che sta attraversando il governo”, ha affermato durante l'udienza sulle misure cautelari.

Cercano capri espiatori, cercano di nascondere quello che sta accadendo con questo tipo di azioni. Ci rammarichiamo che in meno di 24 ore sia stato preparato tutto questo per portare avanti un'azione di persecuzione e un arresto assolutamente illegali”, ha affermato Arce.

L'ex presidente ha sostenuto che, se ci fosse stata una citazione preventiva, si sarebbe presentato senza bisogno di un arresto, aggiungendo di essere stato intercettato da persone con passamontagna che non gli hanno mostrato il relativo mandato.

Avrebbe potuto essere un rapimento, avrebbe potuto essere qualsiasi situazione assolutamente irregolare, ma sono salito su quel veicolo. Mi hanno portato a un cambio di mezzo, su un altro veicolo e poi, come ha detto il nostro avvocato, in Plaza Triangular, dopo più di 10 o 15 minuti dall'arresto, non avevo ricevuto né l'ordine di arresto né la relativa notifica”, ha denunciato.

Tuttavia, il giudice anticorruzione boliviano Elmer Laura ha ordinato cinque mesi di custodia cautelare, da scontare nel carcere di San Pedro, nella città di La Paz. Il magistrato ha ritenuto che il danno economico “sia grave”, quantificandolo in 40 miliardi di boliviani (circa 5,8 miliardi di dollari) e, trattandosi di reati di corruzione, ha stabilito che fosse opportuno procedere con la detenzione preventiva.

Nonostante l'ex presidente abbia dichiarato di avere una residenza nota e un lavoro in Bolivia, l'accusa ha insistito affinché fosse incarcerato per pericolo di fuga e ostacolo alle indagini.

 

 

Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 15:27:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Mosca all'UE: "Il blocco degli asset russi è un furto, la risposta non tarderà"

La decisione improvvida dell'Unione Europea di bloccare indefinitamente le riserve del Banco Centrale russo custodite in Europa, fino al termine della guerra in Ucraina e legare il blocco a un risarcimento dei danni, ha scatenato la reazione infuocata del Cremlino. Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha definito "un furto puro e semplice" la mossa comunitaria, annunciando una risposta imminente. "Tali delitti non restano senza conseguenze nelle relazioni internazionali", ha avvertito in un messaggio su Telegram.

Le parole di Zakharova rispondono direttamente alla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che aveva accolto "con soddisfazione" la misura, presentata con enfasi come un "segnale forte" a Mosca: "Finché continuerà questa brutale guerra di aggressione, i costi per la Russia continueranno ad aumentare". Un'affermazione che la diplomatica russa ha ironicamente ribaltato, chiedendosi quali segnali stia inviando von der Leyen ai cittadini europei, "che si confrontano con un aumento costante dei costi", e perché li stia "punendo". Già nei giorni scorsi, Zakharova aveva bollato i leader UE come "truffatori".

Lo scontro giuridico e politico si fa sempre più aspro. L'UE ha fatto un passo ulteriore, trasformando il congelamento temporaneo in un blocco a tempo indeterminato. Il presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa, ha affermato che l'obiettivo sarebbe quello di garantire che la Russia paghi per i danni causati in Ucraina. Il passo successivo, ha annunciato, sarà assicurare il supporto finanziario al regime neonazista di Kiev per il periodo 2026-2027, esplorando proprio l'uso di questi fondi.

È qui che Bruxelles però gioca d'azzardo: la proposta di un "prestito di riparazione" per l'Ucraina, fino a 140 miliardi di euro, garantito proprio dagli asset russi congelati. Una manovra che però mostra già crepe nella coesione europea. Il Belgio, dove risiede una parte significativa di queste risorse, ha espresso forti riserve, temendo azioni legali di ritorsione da parte di Mosca.

La risposta russa non si è fatta attendere: Zakharova ha sottolineato che qualsiasi azione su questi asset senza il consenso di Mosca costituisce "una grave violazione del diritto internazionale", indipendentemente dai "trucchi pseudolegali" usati per giustificarla. La portavoce ha inoltre colto l'occasione per mettere in luce le divisioni europee, evidenziando come "rappresentanti di diversi Stati membri abbiano dichiarato apertamente il loro rifiuto categorico" al piano della Commissione, sostenuto secondo Mosca solo dalle "capitali aggressivamente russofobe" dell'UE.

La posta in gioco è enorme. Da febbraio 2022, i paesi occidentali mantengono congelati oltre 300 miliardi di dollari di asset russi. Mosca ha ripetutamente denunciato l'illecito e minacciato contromisure. Alla fine di novembre, il presidente Vladimir Putin aveva già annunciato che il suo governo stava preparando "un pacchetto di misure di ritorsione" in caso di confisca, definendola senza mezzi termini un "furto di proprietà altrui".

Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 15:05:00 GMT
OP-ED
Patrick Lawrence: il momento della "fine della storia" di Trump

 

di Patrick Lawrence* - ScheerPost

Trump non ha ancora terminato il suo primo anno alla Casa Bianca, e non riesco a immaginare come la nostra repubblica in rovina sopravviverà ad altri tre anni di questo bambinone e dei disadattati e dei delinquenti di cui si è circondato. E ultimamente mi rendo conto che né io né nessun altro dovremmo immaginare alcun tipo di futuro – buono, cattivo, intermedio – oltre il 20 gennaio 2029, quando il Presidente Trump non sarà più presidente. Il futuro non sarà più il punto. A quel punto dovremmo vivere in un passato immaginario che non dovremo immaginare perché il passato immaginario sarà il presente reale. 

Non sono passati nemmeno tre mesi da quando Trump ha emesso un ordine esecutivo che definisce "antifa", l'"organizzazione" più o meno fittizia di antifascisti, un'"organizzazione terroristica interna". Nella versione della Casa Bianca di Trump, l'antifa "chiede esplicitamente il rovesciamento del governo degli Stati Uniti, delle forze dell'ordine e del nostro sistema legale". A tal fine, organizza e attua vaste campagne di violenza. Coordina tutto questo in tutto il paese. Recluta e radicalizza i giovani, "quindi impiega mezzi e meccanismi elaborati per nascondere l'identità dei suoi agenti, nascondere le sue fonti di finanziamento e le sue operazioni nel tentativo di frustrare le forze dell'ordine e reclutare ulteriori membri".

Non ho preso minimamente sul serio l'ordine esecutivo contenente questo tipo di linguaggio quando è stato emanato il 22 settembre. L'Antifa, per quanto ne so, non esiste davvero. È uno stato d'animo, o indica un insieme condiviso di sentimenti politici vagamente orientati verso l'anarchismo tradizionale – un ultralibertarismo iper-individualista se tradotto nel contesto americano. 

L'ordine esecutivo di Trump che descrive l'antifa come un'organizzazione terroristica organizzata non mi ha ricordato altro che quei vecchi bacucchi degli anni della Guerra Fredda che, nostalgici di un'epoca più semplice ma senza capire nulla, continuavano a parlare di "agitatori esterni" come della radice dei mali dell'America. 

Mi sbagliavo su un aspetto, forse di più, riguardo a Trump e ai suoi aiutanti e a ciò che hanno in mente. Queste persone non sono superficiali. Sanno esattamente cosa stanno facendo e si stanno muovendo rapidamente per realizzarlo. È ora di prendere sul serio, voglio dire, la totale mancanza di serietà dei piani del regime di Trump per una nazione in cui sarebbe impossibile vivere se mai dovesse nascere. La salvezza in questo caso è che non possono assolutamente creare l'America che hanno in mente. Ma, devo aggiungere, combineranno un disastro infernale sulla loro strada verso il fallimento.   

Tre giorni dopo l'ordine esecutivo antifa, la Casa Bianca ha reso pubblico un memorandum presidenziale sulla sicurezza nazionale intitolato "Contrastare il terrorismo interno e la violenza politica organizzata".

NSPM-7, come è noto questo documento, è formalmente indirizzato a Marco Rubio, segretario di Stato di Trump, al segretario al Tesoro Scott Bessent, al procuratore generale Pam Bondi e a Kristi Noem, segretario alla sicurezza interna. 

Questo articolo riprende da dove finisce l'ordine esecutivo di una sola pagina. Cita vari omicidi e tentati omicidi – Charlie Kirk, Brian Thompson, l'amministratore delegato di United Healthcare, i due attentati alla vita di Trump durante la sua campagna del 2024 – ed è abbastanza giusto, anche se definire la violenza politica come violenza terroristica è un gioco di prestigio eccessivo. È quando l'NSPM-7 evoca le recenti proteste contro gli agenti dell'Immigration and Customs Enforcement e le "rivolte a Los Angeles e Portland" che si intuisce il pericolo che si profila. 

Dalla prima delle cinque sezioni del documento:

Questa violenza politica non è una serie di episodi isolati e non emerge in modo organico. È piuttosto il culmine di sofisticate e organizzate campagne di intimidazione mirata, radicalizzazione, minacce e violenza, progettate per mettere a tacere le opinioni di opposizione, limitare l'attività politica, modificare o orientare i risultati delle politiche e impedire il funzionamento di una società democratica. È necessaria una nuova strategia di applicazione della legge che indaghi su tutti i partecipanti a queste cospirazioni criminali e terroristiche, comprese le strutture organizzate, le reti, le entità, le organizzazioni, le fonti di finanziamento e le azioni preconcette che le sostengono.

Ciò che serve, a quanto pare, è un'operazione di sorveglianza istituzionalizzata che vada ben oltre il Patriot Act. "Questa guida", si legge nella Sezione 2, "dovrà anche includere l'identificazione di eventuali comportamenti, modelli di fatto, motivazioni ricorrenti o altri indizi comuni alle organizzazioni e alle entità che coordinano queste azioni, al fine di indirizzare gli sforzi per identificare e prevenire potenziali attività violente". 

E poi NSPM–7 arriva al punto in cui il regime di Trump vuole veramente arrivare:

I fili conduttori che animano questa condotta violenta includono l'antiamericanismo, l'anticapitalismo e l'anticristianesimo; il sostegno al rovesciamento del governo degli Stati Uniti; l'estremismo su migrazione, razza e genere; e l'ostilità verso coloro che hanno idee tradizionali americane su famiglia, religione e moralità.  

Non lascerò che l'ala liberale del Partito della Guerra Tardo-Imperiale al potere, comunemente noto come Democratici, se ne scappi da questa faccenda del terrorismo interno. Joe Biden ha continuato a insistere su questo argomento ogni volta che gli è sembrato politicamente opportuno per tutto il suo mandato confuso, e ora assistiamo alle conseguenze di tutti i suoi discorsi superficiali e opportunistici. Di fatto, Biden ha premesso ciò che il regime di Trump sta gradualmente codificando in legge.

Una delle caratteristiche più perniciose tra le tante discutibili della NSPM-7 merita di essere immediatamente sottolineata. Si tratta della vaghezza del suo linguaggio. Ogni volta che vedo documenti ufficiali di questo tipo, la mia mente torna alla Cina imperiale, i cui mandarini erano altamente legalisti ma mantenevano il diritto scritto volutamente ambiguo per massimizzare le prerogative del potere imperiale. Un eccesso di leggi, tutte da interpretare nel modo più confacente al trono.

Dallo scorso fine settimana sappiamo come Pam Bondi, il procuratore generale palesemente fascista di Trump, intende interpretare la NSPM-7. Questo è possibile grazie a un memorandum del Dipartimento di Giustizia di cui Ken Klippenstein, l'esemplare giornalista investigativo, ha parlato (ma non ha pubblicato integralmente) sabato 6 dicembre. Si tratta di un'esclusiva di Klippenstein. Ecco l'inizio dell'articolo che ha pubblicato nella sua newsletter Substack con il titolo "L'FBI sta compilando una lista di 'estremisti' americani, rivela un memorandum trapelato": 

Il procuratore generale Pam Bondi ha ordinato all'FBI di "compilare un elenco di gruppi o entità coinvolti in atti che potrebbero costituire terrorismo interno"... L'obiettivo sono coloro che esprimono "opposizione alla legge e all'applicazione delle leggi sull'immigrazione; opinioni estreme a favore dell'immigrazione di massa e delle frontiere aperte; adesione all'ideologia di genere radicale", nonché "antiamericanismo", "anticapitalismo" e "anticristianesimo".

Per definire tutte queste minacce terroristiche interne, riporta Klippenstein, il memorandum del Dipartimento di Giustizia cita "punti di vista estremi sull'immigrazione, ideologia di genere radicale e sentimento antiamericano". Per quanto riguarda l'applicazione della legge, il memorandum autorizza l'FBI ad aprire una hotline tramite la quale i cittadini americani possono segnalare informazioni su altri cittadini americani, insieme a "un sistema di ricompensa in denaro" che la accompagni. L'agenzia dovrà inoltre sviluppare una schiera di informatori ("collaboratori"); i governi statali e locali dovranno essere finanziati per sviluppare i propri programmi in conformità con le direttive del Dipartimento di Giustizia. Quelle che il memorandum definisce Task Force congiunte antiterrorismo dovranno "mappare l'intera rete di attori colpevoli".

Questo è più di quello che oggi chiamiamo un programma di sorveglianza e applicazione di leggi che coinvolge l'intero governo e che mette fuori legge in modo netto una serie di diritti costituzionali. È un'operazione che coinvolge l'intera società e che induce a paragoni con regimi storici che non avrei mai immaginato di evocare in un contesto simile. I "punti di vista estremisti" devono essere criminalizzati? Sono un fuorilegge se critico il cristianesimo ortodosso, se sono "ostile" alla famiglia nucleare, alla moralità tradizionale e così via? Quanto vicino al controllo del pensiero intende navigare il regime di Trump?  

Mentre leggevo l'eccellente lavoro di Klippenstein, mi sono imbattuto in un altro rapporto che vale la pena menzionare.

Martedì 9 dicembre, la Corte Suprema ha iniziato ad ascoltare le argomentazioni in un caso presentato da gruppi di pressione politica repubblicani che chiedono alla Corte di rimuovere alcuni degli ultimi limiti rimanenti al finanziamento delle campagne elettorali. In un eccellente rapporto sulle argomentazioni del giorno di apertura, la CBS News ha citato Sonia Sotomayor, che fa parte della minoranza progressista della Corte, in questo modo: "Una volta eliminato questo limite di spesa coordinata, cosa rimane? Ciò che rimane è il nulla, nessun controllo di sorta".

Nessun controllo di sorta, senza vincoli di stato di diritto, Costituzione, controllo legislativo. A undici mesi dall'inizio del secondo mandato di Trump, questo emerge come l'agenda di coloro che risiedono nella parte più lontana del giardino di Trump. Alla Corte Suprema – questo caso sarà probabilmente deciso la prossima primavera – il tema è l'ulteriore sequestro del potere attraverso la più o meno completa monetizzazione e aziendalizzazione del processo politico. In un momento in cui le élite politiche sono sempre meno responsabili nei confronti degli elettori, la Corte sta valutando non di correggere questa situazione ma, come ha affermato Sotomayor durante la discussione introduttiva, di "peggiorare la situazione". 

Rileggete NSPM–7 e il reportage di Klippenstein e riflettete su cosa passa per la testa di chi lavora alla Casa Bianca di Trump e al Dipartimento di Giustizia di Bondi. "Antiamericanismo", "frontiere aperte", "anticapitalismo", "ideologia di genere radicale" e così via. Queste persone si sono prefissate di riportare l'America a uno stato rigidamente ideologico, bianco, cristiano e pre-femminista che non è mai esistito nella storia, ma vive solo nella loro immaginazione. 

Come rifletteva la mia collega Cara Marianna mentre scrivevo questo commento: "I liberali avevano la loro tesi della 'fine della storia' alla fine della Guerra Fredda. Questo è il momento della 'fine della storia' dei repubblicani. Intendono distruggere qualsiasi visione del futuro che si discosti dalla loro. Non può esserci una versione della realtà che si discosti dalla versione di Trump".

Di solito evito termini come "totalitario" e "fascista", perché le iperboli non servono mai alla causa della comprensione. Ma ho descritto Pam Bondi con quest'ultimo termine, come i lettori avranno notato. Ci stiamo muovendo rapidamente in questa direzione, mi spingono a dire questi ultimi documenti del regime di Trump: illegalità in nome della legge.    

Stephen Holmes, professore alla New York University e commentatore energico di attualità, ha pubblicato un interessante articolo su Project Syndicate il 1° dicembre, intitolato "MAGA's Death Wish". Holmes esprime il suo punto di vista con ammirevole chiarezza:

Poiché il futuro che il MAGA desidera non può essere raggiunto, il movimento non ha un programma costruttivo. Non può costruire nulla, perché nulla di ciò che costruisce lo soddisferebbe. Tutto ciò che può fare è distruggere... La rabbia che anima il MAGA è la rabbia dell'impossibile, la furia che nasce dal desiderare qualcosa che non si può avere... Questo è ciò che accade quando un movimento politico promette di ripristinare un passato irrecuperabile. Incapace di mantenere la promessa, può solo demolire.

Non ho mai capito da dove provengano tutte queste fantasticherie sulla fine della storia.

Francis Fukuyama, il ciarlatano da ragazzino che rese popolare questo pensiero a un anno dall'inizio del terribile trionfalismo del primo decennio post-Guerra Fredda, era un burocrate mediocre al Dipartimento di Stato quando scrisse "La fine della storia e l'ultimo uomo" (Free Press, 1992). Forse questo lo spiega: l'America come parola finale, il migliore dei mondi possibili, è un sottoinsieme ideologico della coscienza eccezionalista. 

Comunque sia, la situazione si andrà in rovina in modo ridicolo, per non dire pericoloso, man mano che Trump e i suoi luogotenenti ci proveranno. Fortunatamente, la storia continuerà quando vedremo la loro fine e inizierà il lavoro per riparare al disastro che stanno combinando. 

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

*Patrick Lawrence, per molti anni corrispondente all'estero, soprattutto per l'International Herald Tribune, è editorialista, saggista, conferenziere e autore, di recente, di Journalists and Their Shadows, disponibile presso Clarity Press o su Amazon.  Tra gli altri libri ricordiamo Time No Longer: Americans After the American Century. Il suo account Twitter, @thefloutist, è stato definitivamente oscurato. 

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Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 11:30:00 GMT
OP-ED
Pepe Escobar - La Bella e la Bestia: Sulla Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti

 

di Pepe Escobar Sputnik

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]



FIRENZE, Italia - La nuova Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, nella versione del dicembre 2025, è una creatura ibrida intrigante, eccentrica, in stile Bosch. Non è esattamente ciò che sembra.

 

Uno tsunami di titoli in tutto l'Occidente scombussolato si è concentrato su una apparente spinta verso la normalizzazione tra Washington e Mosca. Ma questo è ben lontano dal fulcro principale di questa creazione di La Bella e la Bestia.

Per cominciare, quale centauro ha progettato la Bestia NSS? Potrebbe essere stato Trump? Improbabile. Non poteva essere il Segretario buffone delle Guerre Eterne. Non potrebbe essere Marco Rubio – che a malapena riesce a indicare qualcosa al di fuori di Venezuela e Cuba su una mappa. Allora, chi l'ha fatto?

Il fuoco nel ventre della Bestia NSS è contro la partnership strategica Russia-Cina: cercare di minarla con ogni mezzo necessario. Trump, istintivamente, e le classi dirigenti classiche e benestanti americane potrebbero finalmente aver concluso che è inutile investire in una guerra frontale contro due concorrenti strategicamente allineati tra Russia e Cina. Quindi si torna, ancora una volta, al Divide et Impera. E per tutti gli altri, al Saccheggio.

Il NSS apparentemente offre a Mosca una serie di carote geoeconomiche e geopolitiche mentre inserisce meticolosamente i bastoni in formati ibridi - inclini a provocare la frammentazione delle élite russe attirandole di nuovo verso il mercato americano e i "valori" americani, oppure a far precipitare la Federazione Russa in "tensioni" etniche, coordinate da guerra cibernetica.

Non vi è alcuna garanzia che il Team Trump 2.0 sia abbastanza sofisticato da riuscirci. In poche parole, in un linguaggio non diplomatico, ciò equivarrebbe a “isolare” nuovamente Mosca e a “contenere” la Cina. Mosca e Pechino non ci cascheranno.

Quello che è chiaro finora è che con il nuovo NSS, l'etica della Guerra Eterna rimane. Ma ora sotto un nuovo marchio: le guerre saranno per lo più ibride, indirette e a basso costo.

 

Benvenuti nella Multipolarità Gestita

Anche riducendo la NSS al ruolo di un'altra narrazione – l'Impero del Caos è un maestro produttore di narrazioni – sembrano essere in atto sostanziali cambiamenti retorici. L'ex "nazione indispensabile" ora non è più caratterizzata come un Robocop Globale che impone la propria egemonia, ma come un Robocop Regionale, in latitudini selezionate (principalmente nell'emisfero occidentale). Europa e Asia occidentale sono state declassate a priorità di secondo livello.

A complicare il cambiamento (pragmatico?) di realpolitik, questo è ora, almeno in tesi, un Impero Non Ideologico. Le "autocrazie" vanno bene, purché giochino al gioco imperiale; ora sono i chihuahua dell'UE a essere etichettati come "antidemocratici". Trump 2.0 sosterrà una serie di partiti europei "patriottici": che prevedibilmente hanno scatenato attacchi cardiaci in serie in tutta la sfera vassallizzata di Bruxelles.

Il NSS ha anche un marchio per una propria versione del mondo multipolare. Chiamiamola la Multipolarità Gestita – come nel Giappone che "gestisce" l'Asia orientale e i vassalli israelo-arabi che "gestiscono" l'Asia occidentale tramite gli Accordi di Abramo, con il "controterrorismo" imposto dalle viscide petro-monarchie del Golfo. In entrambi i casi, avremo l'Impero del Caos che guiderà da dietro.

La NATO è stata gettata, a tutti gli effetti, nel territorio del Banchetto dei Mendicanti. L'Impero monopolizza tutto: armi, distribuzione dei fondi, garanzie nucleari. Spetta alla collezione dei vassalli adattarsi a ogni richiesta imperiale, specialmente al 5% dei loro esigui budget per l'acquisto di armi.

Non ci sarà più espansione della NATO: dopotutto le vere priorità sono l'emisfero occidentale e l'"Indo-Pacifico", quella formulazione inesistente applicata alla reale Asia-Pacifica.

La combo NATO/UE d'ora in poi si qualifica al massimo come un fastidio – come le zanzare in un resort a cinque stelle. Anche con l'Articolo 5 e l'ombrello nucleare ancora in vigore. Eppure spetta agli euro-chihuahua pagare, e pagare e pagare. Altrimenti, l'Impero vi punirà.

Il Sud Globale/ la Maggioranza Globale riesce a malapena a contenere le aspettative quando arriverà – e arriverà – che la Russia sigilli la definitiva sconfitta strategica dell'Occidente collettivo sul suolo nero della Novorossiya.

In un certo senso, la NSS sta già anticipando quel giorno, con la nuova narrazione che chiarisce che l'Impero ha già voltato pagina.

 

Contenere di nuovo la Cina

L'America Latina, come nell'emisfero occidentale, sarà sotto la massima pressione secondo il NSS – che riafferma esplicitamente un "corollario Trump" alla Dottrina Monroe. L'Impero vuole riavere il proprio cortile – tutta la combo, così da poter essere depredato correttamente.

Tutto questo riguarda le risorse naturali: vale per Venezuela e Colombia, ma anche, in modo inquietante, per Brasile e Messico. I “rivali non emisferici” – come la Cina – saranno “contrastati”. Una guerra ibrida in atto – ancora una volta.

La narrazione della NSS fa del suo meglio per mascherare l'ossessione per la Cina. La maschera cade quando si rivolge alla Prima Catena di Isole":

"Costruiremo un esercito capace di negare l'aggressione ovunque nella Prima Catena di Isole. Ma l'esercito americano non può, e non dovrebbe doverlo fare, da solo. I nostri alleati devono farsi avanti e spendere - e cosa più importante - fare molto di più per la difesa collettiva."

Traduzione: la "Prima Catena di Isole" - dalle isole Curili in Russia, passando per Okinawa e Taiwan, attraverso le Filippine e fino al Borneo – sarà il culmine della militarizzazione nell'Asia-Pacifico. La NSS essendo una narrazione, presenta questa strategia di accerchiamento della Guerra Fredda come uno scudo protettivo. Pechino non si lascerà ingannare: a tutti gli effetti, questa è la contenimento cinese in Asia-Pacifico sotto steroidi.

Pechino ne è impressionata? Non molto. Soprattutto quando il surplus commerciale della Cina per la prima volta è salito oltre il trilione di dollari, anche considerando il calo delle esportazioni verso gli Stati Uniti durante la Tempesta Tariffaria di Trump. Make Trade, Not Containment. [Facciamo commercio, non contenimento.]

Torniamo al Chihuahuastan. Ora tutto il pianeta sa che la combo UE/NATO si sta preparando a una guerra con la Russia prima del 2030; Potrebbe anche essere l'anno prossimo. E stanno anche considerando un attacco preventivo contro la prima potenza nucleare e ipersonica al mondo.

 

Lontano dal sollievo comico insito nel lento suicidio politico al rallentatore dell'Europa, nella vita reale sia gli Stati Uniti che il Giappone vassallo hanno rifiutato di unirsi all'ossessione europea di rubare i fondi russi.

 

Il crollo dell'UE – una costruzione artificiale fin dall'inizio – è inevitabile quanto morte e tasse: incombe all'orizzonte oscuro una nube tossica di uscite in stile Brexit; un'area euro ingovernabile; fughe di capitali seriali; rendimenti obbligazionari sempre più alti; debito pubblico insostenibile; un crollo del mercato unico; paralisi istituzionale; e una perdita totale, irrimediabile, definitiva della legittimità che non avevano mai avuto in primo luogo.

Un libro appena pubblicato in Italia da una giovane economista, Gabrielle Guzzi, racconta tutto nel titolo: Eurosuicidio. Spengler osservò che ogni civiltà prima o poi muore; questo attuale progetto europeo potrebbe essere il canto del cigno – politico, militare, spirituale – di un'area geografica, una penisola dell'Eurasia, che svolge il suo ruolo finale nella Storia, dopo non aver imparato nulla da due precedenti tentativi di suicidio: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.

All'Impero importa? Niente affatto. La Bella muore mentre la Bestia volta pagina.

Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 11:00:00 GMT
Lavoro e Lotte sociali
L'Italia dei bassi salari e del lavoro sommerso

 

di Federico Giusti

Sono ormai decine di migliaia i giovani, e meno giovani, che hanno abbandonato l'Italia per cercare altrove un lavoro ben retribuito e una vita dignitosa, tra loro non ci sono solo i classici cervelli in fuga rifiutati dal sistema universitario ma anche lavoratori senza troppe specializzazioni e con pochissimi titoli. L'Italia non è un paese attrattivo se non per il turismo e quindi non rappresenta la meta ambita per chi voglia stabilizzare  e migliorare la propria condizione di vita.

Ascensore sociale fermo da lustri, bassi salari, welfare a dir poco inadeguato, sono queste le cause del declino italico, senza dimenticare la scarsa crescita dell'economia.

L’Italia registra la peggiore performance salariale nell’ultimo decennio anche se la erosione del potere di acquisto è iniziata già 30 anni or sono, sia sufficiente ricordare che poco più di un anno e mezzo fa le buste paga reali risultavano ancora inferiori del 7 per cento rispetto ai livelli antecedenti al covid, la stagnazione salariale e la crisi sanitaria hanno corso parallelamente

Dall'inizio secolo ad oggi sono trascorsi 25 anni ed eccezion fatta per una piccola parentesi il nostro paese ha sempre perso ogni confronto con i paesi occidentali sia se parliamo di crescita economica che di tenuta dei salari e delle pensioni; quando, in alcuni paesi  gli stipendi aumentavano vistosamente, in Italia la crescita degli stessi era a dir poco irrisoria, anni e anni nei quali ad ogni rinnovo contrattuale subentrava perdita del potere di acquisto.

I partiti hanno fatto a gara nello scaricare sugli avversari le responsabilità di questa crisi, siamo arrivati al paradosso di criminalizzare perfino il contenimento del tempo determinato utilizzando in questa battaglia regressiva parte dei sindacati rappresentativi  eppure sempre nell'ultimo trentennio le scelte operate non hanno mai rimesso in discussione i meccanismi contrattuali vigenti, quelli per i quali il calcolo del costo della vita è sempre al ribasso. Non basta la critica ai sindacati miopi che sottoscrivono intese perdenti, quando si va a rinnovare un contratto esistono meccanismi di calcolo del costo della vita così iniqui da farci perdere, subito potere di acquisto

L'Italia  poi ha visto crollare la quota di ricchezza indirizzata verso i salari, se preferiamo potremmo parlare di quota dei salari rispetto al PIL  giusto a ricordare che in Italia la rendita, la speculazione in borsa, i dividendi tra gli azionisti beneficiano di vantaggi indubbi rispetto agli altri paesi della Ue.

Bassi salari, pensioni da fame, lavoro nero, fuga all'estero, part time incolpevole, sono il problema irrisolto, eppure le manovre di Bilancio non hanno mai preso sul serio i dati economici, le indagini statistiche estrapolandone sono parte dei risultati, qui parzialissimi dati corrispondenti ai propri desiderata. Nell'ultimo anno registriamo la crescita degli occupati ma fin troppi sono i contratti part time e quelli a tempo determinato, questo non si racconta nelle narrazioni del Governo.

I dati Istat parlano di dati record del tasso di occupazione con la crescita degli occupati in tutte le classi d’età eccezion fatta nella fascia di età che va dai 25 ai 35 e in particolare sono gli over 50 a beneficiare di questa ripresina.

Se andiamo a vedere come questi dati sono riportati troveremo chi esalta acriticamente l'operato del Governo raccontando di una economia florida e di una occupazione in grande spolvero, altri parleranno invece di crisi occupazionale in una fascia di età rilevante dimenticando al contempo gli altri dati, poi ci saranno i critici osservatori a sostenere che la crescita occupazionale riguarda solo le fasce di età già formate e specializzate denunciando la scarsa propensione della azienda italica a formare la propria manodopera investendo in tecnologie.

Una lettura esaustiva non dovrebbe temere alcun confronto provando a ricostruire la realtà in termini esaustivi per comprendere i reali andamenti dell'occupazione e dell'economia. Da parte nostra ripetiamo spesso e volentieri alcuni concetti relativi alla erosione del potere di acquisto mettendoli in relazione alle dinamiche salariali presenti e future.

Le unità di lavoro irregolari sono sopra 3 milioni e 130 mila unità, stando al Rapporto della Fondazione di Vittorio, il nero è in crescita rispetto a prima della pandemia e allo stesso anno 2022, poi troveremo settori nei quali il nero risulta presente più che in altri ma alla fine ci imbatteremo  sempre in tre aree dove il fenomeno prospera: l'agricoltura, il commercio e le costruzioni

E il nero non è un problema da affrontare con l'etica e la morale perchè le aziende che utilizzano il lavoro irregolare potranno ridurre il costo della forza lavoro offrendo servizi e prezzi migliori rispetto a chi invece rispetta le normative. E proprio il nero concorre allla riduzione dei salari e all'accrescimento della precarietà sotto forma di  contratti instabili .

Se poi il nero si afferma nei settori a bassa qualificazione le conseguenze saranno devastanti per la forza lavoro meno specializzata e con minori tutele, perdere una fonte di reddito per quanto irregolare sia getta sul lastrico interi nuclei familiari per i quali la ricollocazione sul mercato del lavoro diventa ardua, abbassare poi il costo del lavoro o cercare la competitività sulla contrazione salariale costo significa alla lunga non investire in nuove tecnologie e processi formativi e acuire la distanza da economie con prestazioni decisamente migliori delle nostre.

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UNO SGUARDO DAL FRONTE

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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 09:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Pace ostaggio di Kiev e delle capitali europee: l’Occidente vuole davvero fermare la guerra?

La nuova proposta di pace USA, presentata da Washington come “compromesso realistico”, è stata immediatamente respinta da Vladimir Zelensky. Il motivo è sempre lo stesso: il Donbass. Nonostante la disfatta militare sul campo e l’avanzata russa in più settori, il regime di Kiev continua a rifiutare qualsiasi soluzione che implichi la rinuncia a territori che non controlla più. La bozza USA, che prevedeva il ritiro delle forze ucraine dalle zone residue e la creazione di una “zona economica libera” neutrale, è stata liquidata dal leader ucraino come ingiusta, dimenticando che la “giustizia” non si misura a colpi di propaganda, ma sui rapporti di forza reali. Il contro-piano inviato da Kiev e dalle capitali europee a Washington, ancora una volta senza coinvolgere la Russia, mostra chiaramente che l’Occidente non cerca la pace, ma una tregua utile a prolungare la guerra, fornire al regime di Kiev nuove armi e guadagnare tempo.

Berlino e Londra continuano a recitare il ruolo di paladini della “sovranità ucraina”, ma la loro strategia è palese: combattere fino all’ultimo ucraino. Zelensky, con mandato scaduto e sempre più isolato, tenta ora la carta del referendum: una mossa che non ha nulla di democratico, ma che mira a bloccare ogni dialogo. Perfino alcuni leader europei - come il ministro tedesco Wadephul- ammettono che Kiev dovrà accettare “concessioni dolorose”. Ma il blocco di potere che governa l’Ucraina, penetrato per anni da milizie ultranazionaliste e gruppi apertamente neonazisti, non ha alcun interesse alla fine della guerra: perdere il Donbass significherebbe perdere il pilastro ideologico su cui ha costruito la propria narrativa interna. Mosca, dal canto suo, parla chiaro. Il consigliere presidenziale Ushakov ha ribadito che il Donbass è territorio russo e tornerà sotto pieno controllo di Mosca, negoziando o combattendo.

Dmitri Medvedev ha colto l’essenza del momento: il referendum proposto da Kiev è un diversivo che paralizza i negoziati, un espediente per mantenere la linea oltranzista e continuare a ricevere fondi e armi dall’Occidente. Intanto sul campo la realtà procede in direzione opposta alla retorica occidentale. L’esercito russo avanza con costanza: Seversk è caduta, aprendo la via verso Kramatorsk e Slaviansk, mentre Pokrovsk - altro luogo cruciale - è ormai prossima al collasso. Kiev risponde con attacchi disperati e lanci massicci di droni, mentre l’infrastruttura energetica del Paese subisce colpi sistematici. La diplomazia occidentale si muove in un equilibrio schizofrenico.

Trump non ha nascosto il suo fastidio, definendo Zelensky uno dei principali ostacoli alla pace. Dietro le quinte, però, sono i governi europei a frenare: una pace che riconosca le annessioni del 2022 equivarrebbe a certificare il fallimento di dieci anni di politiche di escalation. In definitiva, la guerra continua perché Kiev non può accettare la pace e l’Europa non vuole accettarla. L’unico attore che oggi possiede una posizione coerente è Mosca: cessate il fuoco in cambio del riconoscimento delle realtà sul terreno. Fino a quando Washington e i governi europei non rinunceranno alla fantasia di usare l’Ucraina come ariete geopolitico contro la Russia, il conflitto rimarrà ostaggio dell’ideologia, dei nazionalisti ucraini e dei guerrafondai che, comodamente lontani dal fronte, continuano a combattere “per la democrazia” sacrificando la vita degli altri.


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Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 06:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Seversk: perché la sua caduta segna un punto di svolta nel Donbass

La liberazione di Seversk da parte delle Forze Armate russe rappresenta una delle operazioni più significative delle ultime settimane nel conflitto del Donbass. Dopo durissimi combattimenti e una complessa manovra tattica, la città situata in un nodo strategico fra Lisichansk, Slaviansk e Artëmovsk, è passata sotto controllo russo, aprendo nuovi scenari sia militari che politici. Seversk, con poco più di 10.000 abitanti prima della guerra, era stata trasformata dal regime neonazista di Kiev in un hub logistico di primo livello: truppe d’élite ucraine, mercenari occidentali, depositi di munizioni e un sistema di fortificazioni in cemento armato ne facevano un bastione chiave della difesa ucraina nel settore nord-occidentale del Donbass. Da qui partivano attacchi verso le posizioni russe e venivano coperti i collegamenti verso Liman, Kramatorsk e Slaviansk, i principali centri dell’area controllata da Kiev.

L’operazione russa si è basata su una combinazione di accerchiamento, interdizione logistica e assalto urbano progressivo. Per evitare un attacco frontale troppo pericoloso, il comando ha scelto di bloccare la città su tre lati, tagliare le vie di rifornimento e avanzare con una manovra a tenaglia: gruppi d’assalto coordinati hanno preso il controllo della linea ferroviaria e dei cosiddetti “portoni del sud”, mentre altre unità eseguivano una penetrazione profonda per chiudere i corridoi occidentali. Il risultato è stata la ritirata disordinata delle forze ucraine e la caduta completa della città. Dal terreno è arrivata conferma del successo: secondo il tenente Naran Ochirgoriayev, 28 gruppi d’assalto hanno liberato oltre 300 edifici tra residenziali e industriali, affrontando la resistenza più dura in una fabbrica e nella stazione ferroviaria. Le perdite russe, secondo il comandante, sono state minime grazie a tattiche “audaci e non convenzionali”.

A poche ore dalla liberazione, i soldati russi hanno iniziato a fornire aiuti umanitari ai civili rimasti: distribuzione di cibo, acqua, medicinali ed evacuazioni volontarie verso aree più sicure. Parallelamente, i genieri sono impegnati nelle operazioni di sminamento. La presa di Seversk non è un episodio isolato. Putin ha parlato di “buona dinamica” e di piena iniziativa strategica nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporozhie. Nel solo ultimo mese, le forze russe hanno conquistato decine di insediamenti, compresi snodi logistici cruciali come Kupiansk e Krasnoarmeisk (Pokrovsk). Ora l’asse di avanzata punta chiaramente verso Slaviansk e Kramatorsk, cardini della presenza militare ucraina nel Donbass.

La battaglia di Seversk, dunque, non è solo la conquista di una città: è l’indicatore di un equilibrio che si sta spostando con costanza, e potrebbe preludere alle prossime mosse decisive sul fronte settentrionale del Donbass.


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Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 06:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Pirateria nei Caraibi: la guerra energetica USA contro il Venezuela

La crisi tra Stati Uniti e Venezuela ha subito un’accelerazione senza precedenti dopo il sequestro (leggi furto), da parte delle forze armate statunitensi, di un petroliera venezuelana nelle acque caraibiche. Caracas definisce l’episodio un atto di “pirateria internazionale” e un attacco diretto alla propria sovranità energetica, denunciando che Washington utilizza la narrativa della lotta al narcotraffico come semplice copertura per appropriarsi del petrolio venezuelano. Il presidente Nicolás Maduro ha accusato gli Stati Uniti di aver portato a termine un’operazione militare contro una nave civile, senza alcuna base giuridica e in violazione del diritto internazionale. Il governo venezuelano denuncia che l’episodio conferma la reale finalità dell’aggressione statunitense: non la difesa dei diritti umani né la lotta alle droghe, ma il controllo delle immense risorse energetiche del paese.

Un’accusa corroborata dal fatto che la stessa ONU e la DEA statunitense indicano che oltre l’80% del narcotraffico verso gli USA utilizza la rotta del Pacifico, non quella caraibica. La condanna non arriva solo dai tradizionali alleati di Caracas. Cina e Russia hanno denunciato l’operazione come una palese violazione delle regole del commercio internazionale e della libertà di navigazione. Pechino ha respinto come illegittime le sanzioni unilaterali USA contro petroliere anche di bandiera hongkonghese, ricordando che solo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU può imporre misure restrittive. Mosca ha richiesto pubblicamente chiarimenti sulle motivazioni e sulle prove che avrebbero giustificato l’abbordaggio. Anche Messico, Brasile e Colombia hanno espresso preoccupazione per l'escalation militare statunitense nel Caribe, dove Washington mantiene da agosto un imponente dispositivo navale, formalmente inquadrato nella lotta al narcotraffico. Secondo fonti regionali, tuttavia, l’attività si è tradotta in bombardamenti contro imbarcazioni sospette, con decine di morti e senza evidenze che si trattasse realmente di traffici illeciti.

Parallelamente, Caracas ha presentato una denuncia formale all’Organizzazione Marittima Internazionale, sottolineando che l’attacco contro una petroliera impegnata nel trasporto di greggio costituisce una minaccia diretta alla libertà di navigazione e mira a sabotare il commercio energetico venezuelano. Il governo parla ormai apertamente di “strategia di cambio di regime” mirata a destabilizzare il paese per appropriarsi dei suoi giacimenti di petrolio e gas. Mentre cresce il sostegno diplomatico a favore di Caracas, Washington continua a minimizzare la portata dell’evento.

Tuttavia, l’episodio segna un precedente grave: per la prima volta una potenza occidentale ricorre apertamente alla forza militare per sequestrare risorse energetiche altrui, inaugurando quella che diversi osservatori definiscono una nuova fase imperialista nel Mar dei Caraibi. Il messaggio venezuelano, oggi rilanciato da Mosca, Pechino e da una parte crescente dell’America Latina, è chiaro: non si tratta di narcotraffico né di sicurezza regionale, ma di una disputa globale sulle risorse strategiche in un mondo sempre più multipolare.


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Data articolo: Sat, 13 Dec 2025 06:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
L'UE gioca col fuoco: il furto degli asset russi è una trappola per l'Europa


di Fabrizio Verde

Il Consiglio dell'Unione Europea ha compiuto oggi un salto nel buio, trasformando un'azione di coercizione economica in un vero e proprio atto di esproprio perpetuo. Con la scusa di colpire il Cremlino, i governi europei, guidati da una Commissione bellicista, hanno deciso di congelare per sempre 210 miliardi di euro di riserve russe. Non è più una sanzione, è la nazionalizzazione di ricchezza altrui. Una linea rossa del diritto internazionale e della sovranità statale è stata oltrepassata, in un clima di hybris collettiva che ignora i gravi pericoli di questa escalation.

Bruxelles parla di "segnale chiaro" a Mosca. In realtà, lancia un messaggio palese a tutto il mondo: i beni detenuti in Europa non sono più al sicuro. Se domani le relazioni diplomatiche si inaspriscono, qualsiasi paese, con qualsiasi governo, può vedersi privatizzato il proprio patrimonio sovrano per decisione politica di una maggioranza. La fiducia nell'euro e nel sistema finanziario europeo, già traballante, riceve un colpo mortale. Quale paese emergente, quale potenza asiatica o del Golfo, si fiderà ancora di depositare le proprie riserve in un sistema che le sequestra a comando?

La retorica della "giusta causa ucraina" serve a coprire l'abisso giuridico ed etico di questa decisione. Si tratta di un furto. Punto. Lo dice non solo Vladimir Putin, ma anche il buon senso giuridico: confiscare beni di uno Stato sovrano senza una sentenza di un tribunale internazionale competente è arbitrario e pericoloso. L'Europa, che si vanta di essere culla del diritto romano e dello stato di diritto, si trasforma nell'esattore armato di una giustizia sommaria. I timori del Belgio, che teme ritorsioni legali, sono solo l'assaggio delle tempeste che verranno.

Mosca ha già avvertito: prepara contromisure. E non si tratta di semplici ritorsioni diplomatiche. La Russia ha gli strumenti per colpire gli interessi economici europei ancora presenti nel suo territorio, per destabilizzare mercati già fragili, per stringere alleanze con chi, da Pechino a Ryad, guarda con orrore a questa deriva predatoria dell'Occidente. L'Europa si sta giocando gli ultimi brandelli della sua residua autonomia strategica, legandosi ancor più al carro di chi da tempo spinge per questa via estrema.

E per che cosa? Per finanziare un conflitto senza fine? I 140 miliardi del "prestito di riparazione" di cui blatera la von der Leyen sono una goccia nel deserto dei bisogni e delle diffuse ruberie ucraine. Servono a coprire le spese militari, ad alimentare la macchina da guerra e ulteriore crruzione nel regime di Kiev. L'Europa, invece di lavorare per una soluzione diplomatica, sceglie di diventare parte finanziaria attiva del conflitto, scavandosi la fossa della propria sicurezza economica futura.

Questa decisione non indebolisce Putin. Conferma invece la visione di un Occidente rapace e senza principi, cementa il sostegno interno della Russia e giustifica qualsiasi rappresaglia. L'unica cosa che indebolisce, irrimediabilmente, è il prestigio, l'affidabilità e la stabilità del progetto europeo (quanto ne rimaneva). È l'atto di un'Europa guerrafondaia, incosciente e moralmente cieca, che per un vantaggio propagandistico immediato sta ipotecando il futuro dei suoi cittadini, esponendoli a rischi finanziari e geopolitici di portata incalcolabile. Un autogol storico.

Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 19:12:00 GMT
IN PRIMO PIANO
"TURISTI A CASA NOSTRA". Tra le macerie invisibili del neoliberismo urbano

 

Turisti a casa nostra. Tra le macerie invisibili del neoliberismo urbano. Esce oggi in tutte le librerie il nuovo libro di Antonio Di Siena per LAD EDIZIONI. 



Vi pubblichiamo l'introduzione del volume.

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di Antonio Di Siena

C’è stato un tempo in cui la crisi greca sanguinava come una ferita aperta, visibile a occhio nudo.

Le immagini delle piazze in rivolta, gli anziani in lacrime fuori dalle banche, le borse in picchiata, le dichiarazioni della politica, i titoli dei giornali, i commenti nei talk show. Un'intera società sotto attacco, chiamata a rispondere. Una reazione incendiaria impossibile da nascondere.

Certo, era anche tutto pesantemente inquinato da una narrazione farsesca, orientata a mistificare la realtà per assolvere cause e mandanti. Ma – quantomeno – la crisi economica più devastante della giovane storia dell'Unione Europea, era qualcosa di tangibile, concreto. Qualcosa che esisteva.

Oggi quella stagione è passata. E la crisi greca – ufficialmente finita – ha lasciato il palcoscenico della storia contemporanea nascondendosi dietro le quinte della vita quotidiana. Diventando l'equivalente del gatto di Schrödinger: viva e morta contemporaneamente. Un fenomeno che esiste soltanto se lo osservi. Non devasta più con l'evidenza della sciagura collettiva, ma lavora in silenzio come un nido di termiti. Si insinua nei muri, nelle case, fino a corroderne le fondamenta dall'interno.

Una nuova crisi invisibile che non è più delle banche e dei mercati, ma che ha colonizzato le città, i quartieri e i suoi abitanti, facendosi austerità urbana.

Il punto di osservazione è Atene, città che ho attraversato molte volte, non da turista ma da testimone. Fino a creare con essa un legame speciale. Fino a sentirmi quasi come a casa. Città in cui, negli anni, ho costruito legami autentici e amicizie sincere: relazioni intese, discorsi seri, chiacchierate spensierate, serate indimenticabili, incontri casuali, passeggiate notturne in solitaria. Città che ho visto evolversi, sprofondare e – per certi versi – rinascere sotto nuove vesti. E mentre la osservavo cambiare si trasformava, paradossalmente, in qualcosa che già conoscevo: un fenomeno a cui assistevo in diretta anche altrove, in Italia.

La tesi di fondo di questo lavoro nasce da tale constatazione: non viviamo più nel tempo della crisi transitoria, destinata a concludersi con l'avvento di un nuovo ciclo economico favorevole. Ma in un'epoca in cui la crisi si è fatta sistema, in cui le profonde ferite che produce non sono emergenze ma nuova normalità. Una fase storica che vede imporsi un nuovo modello economico e di sviluppo, in cui il turismo e la precarietà sembrano operare come una sorta di welfare capovolto. Un dispositivo che ho definito welfare surrogato e, nella terza parte del libro, provo a delinearne il funzionamento.

Un cambiamento radicale che svuota i quartieri, disgrega le comunità, recide i legami personali, fagocita la memoria. E trasforma il diritto a vivere la città e le relazioni umane in pianta stabile, in un privilegio per pochi.

Per tale ragione ho deciso di scrivere questo libro. Per raccontare un passaggio di fase che non è un fenomeno esclusivamente greco, per nominare ciò che accade e non abituarmi al silenzio. E l'ho fatto per il tramite di vicende solo apparentemente scollegate: pignoramenti, aste, sfratti, turistificazione, rigenerazione urbana. Tutte parti di un unico meccanismo, intrinseco al modello neoliberista. Non casi esemplari, non eccezioni, ma epifanie. Luoghi e vite in cui la crisi si manifesta, rendendosi visibile proprio mentre cerca di nascondersi. Il lettore non ceda quindi all'apparenza, perché questo non è semplicemente un libro sulla Grecia. È un libro sull'Europa del Sud.

I luoghi che ho raccontato sono frammenti di Atene: case, strade, quartieri e persone in carne e ossa. Sono realtà e metafora al tempo stesso. Lo specchio in cui si riflette il destino di tante città mediterranee. L'esito ultimo di un processo che – a velocità variabili – è già in moto anche altrove: a Napoli, Siviglia, Marsiglia. Come anche a Bari, Catania, Palermo.

Per testimoniare questa mutazione profonda e rendere al meglio ciò che ho osservato e raccolto sul campo (indagine diretta, conversazioni informali, interviste), ho sentito il bisogno di cambiare stile e registro. Di una scrittura in grado di descrivere e al tempo stesso narrare, immergersi nel dettaglio, evocare immagini e atmosfere. Di restituire le voci autentiche di chi è definitivamente sparito dai radar della denuncia sociale, condannato a sopravvivere senza far rumore.

A volte ho utilizzato immagini forti e passaggi lirici, ben sapendo di assumermi un grande rischio. Il dolore può infatti trasformarsi in trauma porn, il lirismo diventare estetizzazione, trasformando la denuncia in formula di stile e la lotta in coreografia. Ne sono consapevole. Ciononostante, è un rischio che ho scelto comunque di correre, perché ciò a cui assistiamo oggi non si racconta più soltanto con la rabbia. Se con Memorandum, quindi, scrivevo un bollettino, oggi redigo un inventario. Non della crisi, ma del dopo. Di ciò che non si racconta più, di ciò che si è mimetizzato per farsi sistema e metodo di governo su larga scala.

Pertanto, Turisti a casa nostra, non è un reportage. E non è nemmeno un saggio narrativo. Ha l'ambizione di essere una mescolanza di tutto ciò: descrizione, racconto, narrazione, approfondimento e analisi tutto insieme. Un ibrido di cui ho tentato di lasciare una traccia minima nell'indice, offrendo al lettore una lente per interpretare le diverse sezioni.

Alcune pagine nascono con l'ambizione di avere portata generale, in modo che il lettore possa riconoscervi le stesse dinamiche della propria città, del proprio quartiere. Altre le ho immaginate per accompagnarsi a fotografie, musiche, installazioni e – perché no – camminate urbane.

Il desiderio ultimo di questo lavoro, infatti, è andare oltre il testo stesso, diventando parte di un progetto più ampio: visivo, sonoro, performativo. Non per decorare lo scritto, ma per restituire un'esperienza che la lingua, da sola, non riesce più a contenere. Non c'è una trama. Ogni capitolo è come una porta aperta su una stanza diversa dello stesso edificio che va in pezzi. Non ci sono eroi. Solo le voci di chi resiste, soltanto perché non ha ancora finito di crollare. E non c'è neanche un finale. C'è una città svuotata che continua a parlare a quanti hanno ancora voglia di ascoltare, senza illudersi. Questo libro è per loro.

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Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 19:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Le accuse di Lavrov all’Europa

Lavrov accusa l’Occidente di voler “saccheggiare” la Russia per prolungare il conflitto in Ucraina, facendo dei beni russi congelati l’ultima leva finanziaria a sostegno di Kiev. Il ministro degli Esteri sostiene che Mosca è pronta a reagire a qualunque misura ostile, dalla possibile confisca degli asset russi allo schieramento di contingenti europei sul fronte ucraino.

Intervenendo al Consiglio della Federazione, Lavrov afferma che le capitali europee mirano a mettere le mani su capitali, riserve auree e valutarie russe perché non dispongono più di altri strumenti per sostenere militarmente ed economicamente l’Ucraina. L’uso dei fondi bloccati come garanzia per nuovi prestiti a Kiev viene definito una sorta di “rapina” travestita da meccanismo di riparazioni, in contrasto con i principi del diritto internazionale e delle regole del commercio globale.

Nel mirino del ministro c’è soprattutto il progetto di Bruxelles di far fruttare gli asset russi immobilizzati nelle giurisdizioni occidentali per finanziare un fondo destinato alla ricostruzione e allo sforzo bellico ucraino. A suo giudizio, un simile schema poggia su basi legali deboli e metterebbe a rischio la credibilità finanziaria dell’eurozona, ragione per cui alcuni governi UE e diversi partner esterni al blocco mostrano cautela o aperta contrarietà.

Lavrov parla infine di “cecità politica” dell’Unione Europea, accusata di inseguire l’obiettivo irrealistico di infliggere una “sconfitta strategica” alla Russia mentre, sul terreno, le forze ucraine subiscono nuovi rovesci. Nella sua interpretazione, i leader europei si rifiutano di riconoscere che il loro “protetto” non è in grado di cambiare l’esito della guerra e preferiscono imboccare la strada di misure sempre più radicali, inclusa l’appropriazione dei beni russi, pur di non ammettere il fallimento della strategia adottata.

Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 18:33:00 GMT
Dalla parte del lavoro
John Elkann e la vera minaccia alla libertĂ  di stampa in Italia


di Giorgio Cremaschi

Ecoo (NELLA FOTO) JOHN ELKAN AGNELLI, il 29 novembre circondato dall’affetto e dagli applausi dei giornalisti de La Stampa di Torino, dopo la contestazione di ragazzi trasformata trasformata dai mass media e dalla politica in assalto squadrista alla libertà di stampa.

Il 10 dicembre, lo stesso John Elkann ha annunciato la vendita totale ad una multinazionale greca dei suoi giornali, La Stampa e La Repubblica prima di tutto.

Avevamo detto che la vera minaccia alla libertà di stampa in Italia viene dai padroni dell’informazione e non dai giovani che manifestano contro la complicità mediatica con il genocidio in Palestina. Ora uno di questi padroni vende all’incanto i giornalisti che lo applaudivano pochi giorni prima.

Chissà se i giornalisti, che ora scioperano per difendere il proprio posto di lavoro, ripenseranno a quei giorni nei quali il padrone è arrivato in redazione per proclamare la libertà di stampa, senza chiarire però che per lui essa vien molto dopo la libertà degli affari. Chissà se rimpiangono quegli applausi e magari si sentono un tantino più vicini ai giovani che hanno manifestato a Torino e che sono stati pubblicamente linciati.

E chissà se il Presidente Mattarella manderà un nuovo messaggio di solidarietà ai giornalisti, messi nei guai dalla famiglia Agnelli dopo decine di migliaia di operai.

I padroni sono sempre padroni, e quelli della ex FIAT e della ex la Stampa sono più padroni degli altri. Più sfacciati e più irriconoscenti della media.
Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 18:00:00 GMT
OP-ED
Alessandro Orsini - Valditara, Francesca Albanese e le "ispezioni" nelle scuole



di Alessandro Orsini*

Il ministro Valditara chiede un'ispezione in due scuole italiane dove Francesca Albanese avrebbe detto che il governo italiano è complice nel genocidio del popolo palestinese. Valditara, svegliati, ho condotto una ricerca accademica per documentarlo confluita nel mio libro: "Gaza-Meloni. La politica estera di uno Stato satellite". Ho scritto mille volte che Giorgia Meloni è una crim [..] i na le politica perché è coinvolta nel crimine politico del genocidio del popolo palestinese. Altro che ispezioni. Dovrebbero trascinarvi davanti a un tribunale internazionale. Ecco le prove che quel che affermo è vero:
 
1) Giorgia Meloni ha dato a Netanyahu, a sterminio in corso, le seguenti armi: bombe, granate, siluri, mine, missili, cartucce e altre munizioni, proiettili e loro parti, per un valore di 730.869,5 euro a dicembre 2023, quasi raddoppiati a 1.352.675 euro a gennaio 2024. Questi dati sono aumentati all’aumentare dei morti palestinesi. Nel maggio 2025 Meloni aveva venduto armi a Netanyahu per 4,3 milioni di euro.
 
2) Durante lo stermino dei palestinesi a Gaza, Meloni ha manifestato il suo sostegno a Netanyahu comprando una quantità sempre maggiore di armi da Israele. Nel 2024 Meloni ha raddoppiato la quantità di armi acquistate da Netanyahu rispetto al 2023. In questo periodo, Meloni ha trasformato Israele nel secondo Paese da cui l’Italia acquista più armi. Nel 2023 Israele era il settimo Paese da cui l’Italia acquistava più armi. Nel 2024 Israele è diventato il secondo Paese fornitore di armi per l’Italia. Nel 2024 Meloni ha rilasciato 42 nuove autorizzazioni per importare armi da Israele per un totale di 154 milioni di euro pagati a Netanyahu. Da novembre 2023 a marzo 2025, Meloni ha anche fornito a Israele materiali per esplosivi nonché per lo sviluppo di bombe termonucleari classificati come esportazioni di forniture civili e dunque non soggette al controllo dell’Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) come da legge 185 del 1990 e quindi all’approvazione del Parlamento .
 
3) Il 28 ottobre 2023, quando il sangue dei bambini palestinesi arrivava fino alle ginocchia, Giorgia Meloni si è rifiutata di votare in favore di una tregua umanitaria all’Onu per interrompere lo sterminio dei palestinesi a Gaza. In quell’occasione, Meloni ha dichiarato, per bocca dell’ambasciatore italiano all’Onu Maurizio Massari: «Sempre solidali con Israele, la sua sicurezza non è negoziabile».99 E si è astenuta.
 
4) Il 12 dicembre 2023 Giorgia Meloni, quando il sangue dei bambini palestinesi arrivava fino in cielo, si è rifiutata, per la seconda volta in meno di due mesi, di votare una risoluzione per il cessate il fuoco umanitario immediato a Gaza all’Assemblea generale dell’Onu a New York in solidarietà con Netanyahu. E si è astenuta.
 
5) Il 26 gennaio 2024, quando la Corte internazionale di giustizia dell’Onu ha avviato il processo per genocidio contro Israele, Meloni si è schierata dalla parte di Netanyahu contro i palestinesi.
 
6) Il 10 maggio 2024, Giorgia Meloni, in solidarietà con Netanyahu, si è rifiutata di votare una risoluzione Onu per il riconoscimento della Palestina come Stato membro delle Nazioni Unite.
 
7) Il 19 maggio 2024, quando il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha chiesto un mandato d’arresto contro Netanyahu, Meloni, per bocca di Tajani, ha definito la richiesta «del tutto inaccettabile». Antonio Tajani, quando i morti a Gaza erano 40.000, ha dichiarato a Rai Tre: «Israele non ha commesso alcun crimine di guerra».

8) Il 19 settembre 2024, Giorgia Meloni si è rifiutata di votare in favore di una risoluzione Onu che chiedeva a Israele di porre fine all’occupazione dei territori palestinesi in solidarietà con Netanyahu che, in quei luoghi, uccide i palestinesi tutti i giorni.

9) L’11 ottobre 2024 Giorgia Meloni, nell’ultimo MeD9 a Cipro, ha impedito l’inserimento di un brano contro la vendita di armi a Israele, richiesto da Macron e dal premier spagnolo Sanchez, nella nota con cui Francia, Italia e Spagna hanno condannato l’attacco israeliano contro Unifil in Libano.

10) Il 15 ottobre 2024 Giorgia Meloni ha dichiarato di avere fornito assistenza militare a Netanyahu durante tutto il bombardamento di Gaza nel suo discorso alla Camera dei deputati, sebbene Israele fronteggiasse un processo per genocidio all’Onu.
 
11) Il 21 novembre 2024, quando la Corte penale internazionale ha spiccato il mandato di cattura contro Netanyahu, Meloni si è affrettata a delegittimare i suoi giudici per bocca di Tajani. Secondo Meloni e Tajani, il mandato di cattura è l’atto politico fazioso di un gruppo di giudici che vuole attaccare ingiustamente Netanyahu.

12) Il 20 dicembre 2024, Netanyahu ha dilaniato con le bombe 12 membri di una famiglia a Jabalia tra cui 7 bambini, nella parte settentrionale della Striscia di Gaza . Due giorni dopo, il 22 dicembre, Giorgia Meloni ha inviato Crosetto a Tel Aviv per rinnovare il sostengo del governo italiano al ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, il responsabile delle stragi.

13) Il 7 febbraio 2025, Trump ha colpito con le sanzioni i giudici della Corte penale internazionale (Cpi) che indagano sui crimini di Netanyahu a Gaza. Settantanove Paesi Onu hanno emanato un documento di condanna contro Trump in difesa della Corte penale internazionale, inclusi Germania, Francia, Spagna e Regno Unito. Giorgia Meloni si è rifiutata di firmare. Il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha condannato il decreto della Casa Bianca: «Sanzionare la Cpi minaccia l’indipendenza della Corte e mina il sistema di giustizia penale internazionale nel suo complesso». Dal canto suo, Ursula von der Leyen ha dichiarato: «La Corte penale internazionale garantisce la responsabilità per i crimini internazionali e dà voce alle vittime in tutto il mondo. Deve poter perseguire liberamente la lotta contro l’impunità globale. L’Europa sarà sempre a favore della giustizia e del rispetto del diritto internazionale». Meloni non si è associata alla condanna. L’ordine esecutivo di Trump vieta l’ingresso negli Stati Uniti a dirigenti, dipendenti e agenti della Corte penale internazionale, nonché ai loro familiari più stretti e a chiunque abbia assistito alle indagini della Corte. Il decreto prevede anche il congelamento di tutti i beni detenuti da queste persone negli Stati Uniti. Orban, premier dell’Ungheria, si è schierato con Trump . Pochi giorni dopo, l’11 febbraio 2025, Meloni, nel rispetto dei suoi accordi militari bilaterali con Netanyahu, ha ospitato i vertici dell’aereonautica israeliana nella base aerea di Manfredonia per discutere alcuni aspetti tecnici relativi all’uso degli F-35 in guerra.

14) Il 6 maggio 2025 gli eurodeputati di Meloni hanno votato contro la richiesta di discutere nel Parlamento europeo la situazione dei palestinesi a Gaza dopo l’annuncio di Netanyahu di occupare la città permanentemente e dopo il blocco del governo israeliano di tutti gli aiuti umanitari, incluso cibo, acqua e medicinali. Una delle ragioni per cui Tajani delegittima la Corte Internazionale di giustizia dell’Onu è questa: se Israele fosse condannato per genocidio, l’Italia rischierebbe di essere incriminata per complicità nel genocidio, dal momento che ha assistito militarmente Netanyahu.

15) Il 21 maggio 2025 Kaja Kallas, su impulso dei Paesi Bassi, ha proposto di rivedere l’accordo di associazione con Israele per punire Netanyahu, ma Giorgia Meloni si è opposta per difendere il premier israeliano. Kallas aveva detto: «La situazione [a Gaza] è catastrofica. Gli aiuti devono arrivare subito senza ostruzioni. La pressione [su Netanyahu] è necessaria per cambiare la situazione. C’è una forte maggioranza favorevole a condurre una revisione del rispetto dell’articolo 2 dell’accordo di associazione con Israele».

16) Il 12 gennaio 2025, Tajani ha dichiarato a Rai Tre: "Israele non ha compiuto crimini di guerra".
Tratto da "Gaza-Meloni. La politica estera di uno Stato satellite" (Piemme).


*Post Facebook del 12 dicembre 2025
Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 18:00:00 GMT
Mondo grande e terribile
Gedi, per gli Elkann "lavoro completato"


di Paolo Desogus*

Da molto tempo Repubblica è un quotidiano indigesto. La nuova direzione ha senz'altro migliorato la qualità della testata dopo gli anni di Molinari, personaggio su cui preferisco non esprimermi per il timore di ricevere qualche querela. Nel complesso Repubblica resta un giornale insufficiente per il basso livello dell'informazione, la tendenziosità del montaggio delle notizie, nonché per la linea politica guerrafondaia e la totale accettazione dell'ideologia del libero mercato.

Repubblica ha svolto un ruolo molto negativo anche nel Pd e più in generale nella sinistra. Dopo la fine del Pci e le varie transumutazioni verso il PD assunto una funzione "pedagogica" estremamente dannosa. Nel corso degli anni ha costruito un'immagine della sinistra che diremmo protorenziana e che ha liquidato l'idea della politica come luogo di mediazione tra gruppi sociali in favore di un attivismo moralistico ed estetico di cui Michele Serra è stato il maggiore ideologo. Proprio per questo, con una formula, potremmo dire che dagli anni Novanta Repubblica ha inventato il "qualunquismo dei ceti medi progressivi".

Negli ultimi anni, con l'acquisizione della famiglia Elkann, Repubblica ha fornito una copertura a sinistra delle operazioni che il gruppo stava compiendo sul patrimonio industriale degli Agnelli, costruito con il forte sostegno pubblico. La svendita di numerose fabbriche (l'ultima delle quali è l'Iveco), la delocalizzazione della produzione e il matrimonio che ha generato Stellantis sono operazioni condotte senza che da sinistra si sia mossa alcuna protesta. E tutto questo con la forte copertura della stampa e in particolare di Repubblica.

Che il gruppo Gedi passi ora di mano mi lascia dunque molto indifferente. Mi pone però anche un interrogativo, anzi due. Se gli Elkann non hanno più bisogno di tenere in piedi il carrozzone di Repubblica, da anni in perdita e con lettori dimezzati in pochissimi anni, potrebbe voler dire che hanno completato il lavoro. C'è anche una seconda domanda: la vendita potrebbe voler anche dire che gli Elkann possono agire senza più il controllo della stampa, consapevoli che la politica è troppo debole per intervenire.

Vedremo. È difficile prevedere il destino di Repubblica, un quotidiano oramai privo di una cultura riconoscibile. L'azionismo scalfariano si è ormai dissolto. Per quanto moralistico e talvolta persino ipocrita era fondato su un'idea di razionalità politica che oggi quel quotidiano non è più in grado di esprimere, soprattutto dopo il passaggio di Molinari che ha dato al giornale un'impronta ideologica autoritaria. Un cambio di rotta è possibile, ma occorre coraggio, cultura e intelligenza, tre qualità che i poteri attuali non intendono affatto coltivare e promuovere.

*Post Facebook del 12 dicembre 2025
Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 18:00:00 GMT
OP-ED
Jeffrey Sachs - L'impero della hybris e della brutalitĂ  di Trump


di Jeffrey Sachs - Common Dreams

 

La recente Strategia per la Sicurezza Nazionale (SSN) del 2025 rilasciata dal Presidente Donald Trump si presenta come un progetto per un rinnovato vigore statunitense. È pericolosamente sbagliata in quattro modi.

In primo luogo, la SSN è ancorata alla grandiosità: la convinzione che gli Stati Uniti godano di una supremazia ineguagliata in ogni dimensione chiave del potere. Secondo, si basa su una visione del mondo spiccatamente machiavellica, trattando le altre nazioni come strumenti da manipolare a vantaggio USA. Terzo, poggia su un nazionalismo ingenuo che respinge il diritto e le istituzioni internazionali come vincoli alla sovranità statunitense, anziché riconoscerli come quadri che rafforzano la sicurezza sia degli USA che globale.

In quarto luogo, segnala una brutalità nell'uso che Trump fa della CIA e delle forze militari. A pochi giorni dalla pubblicazione della SSN, gli Stati Uniti hanno sfacciatamente sequestrato in alto mare una petroliera carica di petrolio venezuelano, con la debole giustificazione che la nave aveva precedentemente violato le sanzioni statunitensi contro l'Iran.

Il sequestro non è stata una misura difensiva per scongiurare una minaccia imminente. Né è minimamente legale sequestrare navi in alto mare a causa di sanzioni unilaterali statunitensi. Solo il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha tale autorità. Invece, il sequestro è un atto illegale progettato per forzare un cambio di regime in Venezuela. Segue la dichiarazione di Trump di aver ordinato alla CIA di condurre operazioni coperte all'interno del Venezuela per destabilizzare il paese.

La sicurezza USA non sarà rafforzata comportandosi da bullo. Sarà indebolita strutturalmente, moralmente e strategicamente. Una grande potenza che spaventa i suoi alleati, costringe i suoi vicini e ignora le regole internazionali alla fine si isola.

La SSN, in altre parole, non è solo un esercizio di hybris sulla carta. Sta rapidamente diventando pratica sfacciata.

Un barlume di realismo, poi una ricaduta nella hybris

A essere onesti, la SSN contiene momenti di un realismo lungamente atteso. Implicitamente concede che gli Stati Uniti non possono e non dovrebbero tentare di dominare il mondo intero, e riconosce correttamente che alcuni alleati hanno trascinato Washington in costose guerre che non erano nei veri interessi degli Stati Uniti. Inoltre, si tira indietro - almeno retoricamente - da una crociata totalizzante tra grandi potenze. La strategia rifiuta la fantasia che gli Stati Uniti possano o debbano imporre un ordine politico universale.

Ma la modestia è di breve durata. La SSN riafferma rapidamente che gli USA possiedono "l'economia unica più grande e innovativa del mondo", "il sistema finanziario più avanzato del mondo" e "il settore tecnologico più avanzato e redditizio del mondo", tutti sostenuti da "l'esercito più potente e capace del mondo". Queste affermazioni servono non semplicemente come dichiarazioni patriottiche, ma come giustificazione per usare il predominio per imporre condizioni agli altri. Paesi più piccoli, sembra, sopporteranno il peso di questa hybris, poiché gli USA non possono sconfiggere le altre grandi potenze, non da ultimo perché dotate di armi nucleari.

Machiavellismo spudorato nella dottrina

La grandiosità della SSN è saldata a un machiavellismo spudorato. La domanda che si pone non è come gli Stati Uniti e gli altri paesi possano cooperare per un beneficio reciproco, ma come la leva USA - sui mercati, la finanza, la tecnologia e la sicurezza - possa essere applicata per ottenere il massimo delle concessioni da altre nazioni.

Questo è più pronunciato nella sezione della SSN dedicata all'emisfero occidentale, che dichiara un "Corollario Trump" alla Dottrina Monroe. La SSN afferma che gli Stati Uniti assicureranno che l'America Latina "rimanga libera da incursioni straniere ostili o proprietà di asset chiave", e che alleanze e aiuti saranno condizionati allo "smantellamento di influenze esterne avversarie". Quella "influenza" si riferisce chiaramente agli investimenti, alle infrastrutture e ai prestiti cinesi.

La SSN è esplicita: gli accordi degli USA con paesi "che dipendono maggiormente da noi e su cui quindi abbiamo più leva" devono sfociare in contratti in esclusiva per aziende statunitensi. La politica USA dovrebbe "fare ogni sforzo per estromettere le compagnie straniere" che costruiscono infrastrutture nella regione, e gli Stati Uniti dovrebbero rimodellare le istituzioni multilaterali di sviluppo, come la Banca Mondiale, in modo che "servano gli interessi statunitensi".

Ai governi latinoamericani, molti dei quali commerciano estesamente sia con gli Stati Uniti che con la Cina, viene sostanzialmente detto: dovete trattare con noi, non con la Cina, o affrontare le conseguenze.

Una tale strategia è ingenua. La Cina è il principale partner commerciale per la maggior parte del mondo, inclusi molti paesi dell'emisfero occidentale. Gli Stati Uniti non saranno in grado di costringere le nazioni latinoamericane a espellere le aziende cinesi, ma danneggeranno gravemente la propria diplomazia nel tentativo.

Brutalità così sfacciata da allarmare persino gli alleati più stretti

La SSN proclama una dottrina di "sovranità e rispetto", ma il suo comportamento ha già ridotto quel principio a sovranità per gli USA, vulnerabilità per tutti gli altri. Ciò che rende la dottrina emergente ancora più straordinaria è che ora spaventa non solo i piccoli Stati dell'America Latina, ma persino i più stretti alleati USA in Europa.

In uno sviluppo notevole, la Danimarca - uno dei partner NATO più leali degli Stati Uniti - ha apertamente dichiarato gli USA una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale danese. I pianificatori della difesa danese hanno affermato pubblicamente che non si può dare per scontato che Washington, sotto Trump, rispetti la sovranità del Regno di Danimarca sulla Groenlandia, e che un tentativo coercitivo statunitense di impadronirsi dell'isola è un'eventualità a cui la Danimarca deve pensare.

Questo è sorprendente sotto diversi aspetti. La Groenlandia ospita già la base aerea statunitense di Thule ed è saldamente all'interno del sistema di sicurezza occidentale. La Danimarca non è antiamericana, né cerca di provocare Washington. Sta semplicemente reagendo razionalmente a un mondo in cui gli Stati Uniti hanno iniziato a comportarsi in modo imprevedibile, persino verso i propri presunti amici.

Il fatto che Copenaghen si senta obbligata a contemplare misure difensive contro Washington è estremamente significativo. Suggerisce che la legittimità dell'architettura di sicurezza guidata dagli USA si stia erodendo dall'interno. Se persino la Danimarca crede di doversi proteggere dagli Stati Uniti, il problema non è più solo la vulnerabilità dell'America Latina. È una crisi sistemica di fiducia tra le nazioni che una volta vedevano gli USA come garanti della stabilità ma ora li considerano un possibile o probabile aggressore.

In breve, la SSN sembra convogliare l'energia precedentemente dedicata al confronto tra grandi potenze nel bullismo verso Stati più piccoli. Se gli USA sembrano un po' meno inclini a lanciare guerre da mille miliardi di dollari all'estero, sono propensi a utilizzare come armi sanzioni, coercizione finanziaria, sequestro di beni e furti in alto mare.

Il Pilastro Mancante: Legge, Reciprocità e Decenza

Forse la lacuna più profonda della SSN è ciò che omette: un impegno per il diritto internazionale, la reciprocità e la decenza fondamentale come basi della sicurezza USA.

La SSN considera le strutture di governance globale come ostacoli all'azione statunitense. Respinge la cooperazione climatica come "ideologia", anzi una "bufala" secondo il recente discorso di Trump all'ONU. Minimizza la Carta delle Nazioni Unite e immagina le istituzioni internazionali principalmente come strumenti da piegare alle preferenze statunitensi. Eppure, sono proprio i quadri giuridici, i trattati e le regole prevedibili che storicamente hanno protetto gli interessi USA.

I padri fondatori degli Stati Uniti lo capirono chiaramente. Dopo la Guerra d'Indipendenza americana, tredici Stati da poco sovrani adottarono presto una costituzione per mettere in comune poteri chiave - in materia di tassazione, difesa e diplomazia - non per indebolire la sovranità degli Stati, ma per salvaguardarla creando il governo federale USA. La politica estera del governo degli Stati Uniti nel secondo dopoguerra fece lo stesso tramite l'ONU, le istituzioni di Bretton Woods, l'Organizzazione Mondiale del Commercio e gli accordi sul controllo degli armamenti.

La SSN di Trump ora inverte quella logica. Tratta la libertà di coercire gli altri come l'essenza della sovranità. Da quella prospettiva, il sequestro della petroliera venezuelana e le preoccupazioni della Danimarca sono manifestazioni della nuova politica.

Atene, Melo e Washington

Tale hybris si ritorcerà contro gli Stati Uniti. Lo storico greco antico Tucidide riporta che quando l’imperiale Atene si confrontò con la piccola isola di Melo nel 416 a.C., gli ateniesi dichiararono che “i forti fanno ciò che possono e i deboli subiscono ciò che devono”. Eppure, l’hybris ateniese fu anche la sua rovina. Dodici anni dopo, nel 404 a.C., Atene cadde per mano di Sparta. L’arroganza ateniese, l’eccessiva ambizione e il disprezzo per gli Stati più piccoli contribuirono a cementare l’alleanza che alla fine la sconfisse.

La SSN del 2025 parla un linguaggio simile di arroganza. È una dottrina del potere sopra la legge, della coercizione sopra il consenso, del dominio sopra la diplomazia. La sicurezza USA non sarà rafforzata comportandosi da bullo. Sarà indebolita strutturalmente, moralmente e strategicamente. Una grande potenza che spaventa i suoi alleati, maltratta i suoi vicini e ignora le regole internazionali alla fine si isola.

La strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti dovrebbe basarsi su premesse del tutto diverse: l’accettazione di un mondo plurale; il riconoscimento che la sovranità viene rafforzata, non diminuita, attraverso il diritto internazionale; la consapevolezza che la cooperazione globale su clima, salute e tecnologia è indispensabile; e la comprensione che l’influenza globale degli USA dipende più dalla persuasione che dalla coercizione.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 16:29:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Verso l’ucrainizzazione dell’Unione Europea, la “democrazia di guerra”

 

Mentre in Italia sembra non si possa più parlare non solo di russofobia, russofilia e verità, ma nemmeno di democrazia, com’è stato dimostrato dal secondo pesante episodio di censura subito in meno di un mese da parte di Angelo d’Orsi e stavolta con lui un parterre de roi che includeva altri 17 professori, studiosi, ambasciatori e giornalisti di fama internazionale; curiosamente si torna a parlare di “democrazia” proprio in Ucraina.

Uso le virgolette perché parlare di democrazia in Ucraina è evidentemente un ossimoro. A farlo è stato Donald Trump che sta disperatamente cercando di spingere un accordo di pace includendo, come impone la diplomazia nonché il buonsenso, anche le ragioni dei russi in quanto parte in causa dello scontro. Per fare questo accordo ha ovviamente bisogno di un rappresentante del popolo ucraino legittimo, cosa che attualmente Zelensky non è più. I termini del suo mandato sono infatti scaduti il 20 maggio 2024 e prorogati da lui stesso ad libitum.

Questa sospensione delle elezioni, che sono solo una parte di ciò che richiede una democrazia minimamente compiuta, è consentita dalla Costituzione dell’Ucraina che prevede l’istituzione della legge marziale e una sospensione di ogni tipo di consultazione politica in caso venga dichiarato lo Stato di Guerra. Zelensky ha per l’appunto approfittato di questa base dell’ordinamento ucraino per estendere il più possibile il suo mandato, nonostante il suo disconoscimento da parte della stessa Rada sia arrivato già la scorso Febbraio (vedi qui: https://www.farodiroma.it/il-parlamento-ucraino-ha-bocciato-qualunque-proroga-della-presidenza-zelensky-ma-lue-non-se-ne-e-accorta-vladimir-volcic/).

Insomma, Zelensky sarebbe politicamente fuori dai giochi, ma è il leader su cui le élite europoidi hanno puntato tutto eleggendolo a vero e proprio eroe della resistenza europea contro l’invasore russo, basti vedere l’ennesimo suo tour per le cancellerie europee. Un tale impegno ed una tale esposizione da parte dei principali premier dell’UE, della Commissione Europea, della NATO, nonché del Vaticano (sic!) hanno reso problematica la gestione all’interno dell’Occidente del caso Zelensky.

Così ora anche la sua sostituzione, che sarebbe probabilmente avvenuta un minuto dopo Anchorage, diventa più difficile.

Qualsiasi ipotesi di accordo con la Russia al momento discende da quest’alternanza al potere in Ucraina. E forte del sostegno ricevuto Zelensky proprio ieri ha accettato la sfida di Trump e Putin con uno dei suoi annunci televisivi a cui ci ha abituato, con tanto di sfondo cartonato: “sono sempre pronto alle elezioni” ha annunciato in risposta al Presidente americano, incalzandolo e provocandolo con un “siamo pronti ad allestire le urne nei prossimi 60 o 90 giorni, se i nostri alleati potranno garantire la sicurezza per lo svolgimento del voto”.

Ecco che come già accaduto in passato in Iraq, ad esempio, l’imperialismo riporta le elezioni come simbolo al centro del fronte di guerra, giustificando l’intervento militare diretto dall’esterno come garanzia “democratica”. Ebbene, occorrono due puntualizzazioni perché qui si sta scivolando lungo un crinale pericoloso, spinti direttamente dall’imperialismo dell’Unione Europea che sta facendo da ventriloquo al pupazzo Zelensky. Il gioco è chiaro: Zelensky accetta la sfida delle elezioni, ma richiede l’intervento militare esterno boots on the ground.

D’altra parte, una tale mossa gli permette di smarcarsi anche dall’accusa di autoritarismo: l’Ucraina ha sospeso le elezioni solamente per motivi di sicurezza interna che non era più in grado di mantenere, impegnando tutte le sue risorse militari al fronte. Dunque, voi volete le elezioni? Benissimo, venite a garantirci la sicurezza con i vostri eserciti.

Occorre tenere presente che cascare in una simile trappola orchestrata dall’UE significa dare il via all’escalation sul fronte orientale che porta dritti all’allargamento del conflitto. L’impeccabile portavoce del Ministro degli Esteri Maria Zakharova ha immediatamente replicato all’ipotesi definendolo un “teatro delle marionette” in cui con un livello di cinismo completamente nuovo “si pretende che altri stati garantiscano lo svolgimento delle elezioni sul proprio territorio, senza dichiarare la perdita della propria indipendenza e sovranità” (vedi qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2025/12/10/mosca-promessa-di-zelensky-di-tenere-elezioni-e-come-un-teatro-delle-marionette_86e79d76-2893-4965-8403-5239c874556d.html).

Per evitare un rischio simile bisognerebbe gettare un po’ più di luce su quello che è l’Ucraina oggi. Si tratta infatti di un regime autoritario nazista, il cui ultimo e non esclusivo rappresentante è Zelensky e che non verrebbe di certo denazificato da una semplice elezione che probabilmente porterebbe direttamente un militare al potere: faccio notare che gli unici altri due contendenti papabili sono due militari, rispettivamente il generale Zaluzhny e il tenente colonnello Budanov. Gli ultimi sondaggi danno l’attuale ambasciatore ucraino a Londra come avvantaggiato in un eventuale confronto elettorale e questo nonostante stia emergendo la sua implicazione nell’attentato al North Stream. La riprova che si sta parlando di un regime nazista è tutta qui: il confronto attualmente è tra Zelensky, il suo ex Comandante in Capo delle Forze Armate mandato a fare l’Ambasciatore a Londra dopo che gli è stata addossata la responsabilità del cattivo andamento del conflitto e il capo dei servizi segreti ucraini.

Difficile chiamare una democrazia compiuta un regime politico che va al confronto elettorale proponendo come alternative politiche dei capi dei vari dipartimenti militari. In Ucraina attualmente non ci sono altri rappresentanti politici in grado di affermarsi, e questo semplicemente perché lo spettro politico democratico è stato silenziato da una repressione radicale e capillare installata immediatamente dopo l’Euromaidan con la prima Presidenza del nuovo corso dittatoriale di Petro Poroshenko. Se la Costituzione ucraina del 1996 ha cancellato le ideologie novecentesche dell’epoca sovietica (in cui esisteva il multipartitismo), il Golpe di Euromaidan ha istituito l’unica ideologia atlantico-europeista con la forza militare.

Il V Presidente dell’Ucraina è stato colui che ha fomentato Euromaidan, sdoganando le organizzazioni paramilitari che hanno iniziato le loro scorribande in tutto il Paese, legalizzandole sino a farle entrare nella Rada come è stato con Pravyj Sektor e Svoboda. Sempre al predecessore di Zelensky è attribuibile la messa fuorilegge del Partito Comunista dell’Ucraina costretto ad operare in clandestinità da ormai 10 lunghi anni, con molti suoi rappresentanti uccisi (il diciassettenne Vadim Papura) o incarcerati (i fratelli Kononovich), oltre ad una serie di altri crimini dovuti allo sdoganamento delle bande criminali in tutto il Paese (strage di Odessa alla Casa dei Sindacati).

Lo stesso ordinamento costituzionale dell’Ucraina è stato completamente stravolto da una riforma portata avanti da Poroshenko che aveva in parlamento le stesse forze neonaziste che hanno approvato il “nuovo corso strategico” dello Stato che prevede “l’adesione all’Unione Europea e alla NATO” come punti insopprimibili della politica ucraina negli anni a venire, indipendentemente dall’alternarsi delle forze politiche al Governo. I danni del Golpe neonazista di Euromaidan si sono istituzionalizzati e sono stati inseriti nell’ordinamento statale ucraino. Difficile pensare che basterà dare una sciacquata alla faccia del regime per renderlo credibile. Anzi, si potrebbe dire l’esatto opposto, cioè che la complicità europea con un simile regime probabilmente non passerà inosservata nei prossimi anni.

Così come dalle indagini della Procura tedesca sta emergendo che la mente dell’attentato al North Stream è nientemeno che l’attuale ambasciatore dell’Ucraina nel Regno Unito Zaluzhny, allargando le fonti della corruzione in Ucraina si intravedono già i fondi europei destinati ai Paesi terzi, soprattutto in ambito energetico. Tralasciamo poi, per carità, tutto quanto potrebbe emergere dal mercato delle armi che farebbero risultare lo scandalo Lockheed Martin degli anni Settanta un giochino per bambini (si vedano in merito le inchieste del criminologo Vincenzo Musacchio per la Rai). 

Di certo, anche politicamente la piega dell’Unione Europea sembra seguire quella dell’Ucraina. La risoluzione del Parlamento europeo che nel Settembre 2019 ha equiparato il comunismo al nazismo è di fatto servita a lanciare la più grande ondata di anticomunismo in Europa dal 1925 ad oggi, portando al momento a mettere fuorilegge il Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSCM) e il Partito Comunista Polacco oltreché alla chiusura dei conti del comitato esecutivo del Partito Comunista Tedesco (DKP) che lascia presagire una sua prossima chiusura. Il debanking è una misura repressiva che ha già colpito in Italia i conti di Visione TV, mettendola in serie difficoltà in seguito alle solite segnalazioni. Insomma, il potere politico europeista sull’onda della russofobia dilagante è letteralmente a caccia di dissidenti e, come accaduto storicamente, parte dai partiti comunisti forte di una legislazione che ha dato la stura alla loro repressione, ma che ovviamente non colpisce i partiti nazisti perché funzionali alla chiusura repressiva e militarista, riproponendo così pedissequamente lo schema ucraino anche in Europa.

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Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 15:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
L'artista svizzero Nemo restituisce il trofeo Eurovision per la presenza di Israele



di Agata Iacono per l'AntiDiplomatico

L'artista svizzero Nemo, vincitore dell'edizione Eurovision 2024, ha deciso di restituire suo trofeo, annunciando che lo riconsegnerà all'Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), in segno di protesta contro il via libera alla partecipazione di Israele.
 
In un video postato sul suo seguitissimo account Istagram (https://www.instagram.com/reel/DSILsPfM2M9/?igsh=b2Jod3htb2FyaGtk), Nemo si presenta con la coppa in mano, affermando che la continua partecipazione di Israele, “mentre è in corso ciò che la Commissione indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite ha definito un genocidio”, è “incompatibile con i valori di unità, inclusione e dignità per tutti che celebriamo sul palco”.
 
Accusa esplicitamente inoltre l'EBU (European Broadcasting Union), di utilizzare il concorso canoro per "ammorbidire l'immagine di uno stato accusato di gravi crimini, pur insistendo che l'evento sia 'non politico'". 

Aggiunge che il ritiro di interi paesi dalla competizione, (ad oggi Spagna, Paesi Bassi, Irlanda, Slovenia e Islanda), avrebbe dovuto costituire un campanello d'allarme.

Inascoltato.
 
Nel video, già diventato virale dopo pochi istanti dalla pubblicazione, Nemo dice:

"Oggi non sento più che questo trofeo appartiene alla mia mensola".

"L'Eurovision dice di essere sinonimo di unità, inclusione e dignità per tutte le persone" e la partecipazione di Israele dimostra che questi ideali sono in contrasto con le decisioni degli organizzatori.
 
«Vivi ciò che dichiari, altrimenti anche le canzoni più belle diventano prive di significato.»

Ha concluso.
 
Questa presa di posizione ha un impatto fondamentale sui giovani e giovanissimi che seguono gli artisti emergenti, è uno schiaffone al sionismo e alla hasbara più sonoro delle molteplici petizioni, delle campagne di boicottaggio, delle stesse decisioni dei singoli Stati.
 
Una scelta coraggiosa, che ogni artista oggi paga con l'isolamento, la persecuzione, l'impossibilità di fare carriera.
 
Anche perché l'annuncio di Nemo non si limita ad un video su Istagram, ma comporta l'atto di restituire il premio.

Non si tratta quindi solo di una denuncia del genocidio del popolo palestinese, ma di una umiliazione pubblica della kermesse e un'accusa precisa alla funzione politica dell’Eurovision Song Contest .
 
Intanto EBU Italia ha pubblicato un comunicato ridicolo, che tenta di nascondere le motivazioni del boicottaggio, definendole "motivazioni individuali".
 
"L’EBU rispetta il diritto dei membri di prendere una decisione individuale sulla partecipazione all’Eurovision Song Contest, qualunque essa sia.

Siamo lieti di collaborare con coloro che parteciperanno a Vienna e speriamo che i membri importanti che non parteciperanno nel 2026 tornino molto presto all’Eurovision Song Contest. Continueremo a lavorare con loro per cercare di raggiungere questo obiettivo."
 
 
E, sempre oggi, Martin Green, il Direttore di Eurovision Song Contest, si rivolge ai "fan del concorso", con una lettera, in cui cerca di essere empatico con la tragedia mediorientale, per la quale gli sono pervenute moltissime richieste di escludere Israele.

Ma, dice, Martin, in sintesi "la musica unisce".

E quindi, cantando cantando, con le mani sporche di sangue, chissà se Israele deciderà di uccidere, massacrare, torturare, stuprare donne e bambini....
 
Ricordiamo che nell'edizione 2025 osarono cantare insieme due cantanti soldatesse istaeliane, solo che una delle due venne presentata come palestinese, avendo doppia cittadinanza.

Ma quello che fece ancora più scandalo fu la canzone stessa, palesemente dedicata "all'orrore del 7 ottobre": "October rain".
 
Ne parlammo quando fu chiesto ad Israele di ritirarla o cambiare il testo.
 
Sappiamo bene che nessuna competizione artistica è estranea al contesto geopolitico.
 
Tant'è che Eurovision ha premiato in passato uno sconosciuto gruppo ucraino di persone che, subito dopo, sono andate ad arruolarsi volontariamente per combattere per Zelensky.
 
Israele nel 2025 ha cercato di presentarsi con una canzone dedicata "agli orrori del 7 ottobre", ma è stata poi costretta a cambiarla per "evidente contenuto politico", vietato dal regolamento.
 
Anche nella scorsa edizione ci sono state proteste, manifestazioni e persino ritiri eccellenti anche dal palco nella finale.
 
"Minacce alla TV spagnola: “Se citate ancora Gaza, vi multiamo” 
 
 
Ricordiamo che la Russia è stata esclusa già dall'edizione del 2022 dalla possibilità di partecipare con "la musica che unisce" ad Eurovision.
 
Ma "Eurovision è estranea alla politica, sono solo canzonette...."
 
Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 15:00:00 GMT
EXODUS
La "contesa diplomatica è in corso", mentre a Gaza si muore di freddo allagati


di Michelangelo Severgnini

Lo scorso sabato 6 dicembre abbiamo trasmesso in premiere sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico, il quinto e nuovo episodio del film in progress, con il titolo “Gaza ha vinto”.

48 minuti di video e audio originali registrati con i telefonini dei nostri ragazzi a Gaza. Una narrazione dal basso, un’auto narrazione, un laboratorio orizzontale tanto unico da sfuggire ai radar di qualsiasi canale, agenzia o redazione in Italia.

Beh, per chi se lo fosse perso, noi consigliamo la visione, anche perché in coda, al termine del documentario, ci sono gli interventi di alcuni graditissimi ospiti, come Loretta Napoleoni, Diana Carminati e Wasim Dahmash, oltre a quelli degli autori, che intervengono sul tema dell’evento: “Dal restiamo umani al restiamo utili”.

Crediamo di aver dato vita ad una discussione coraggiosa, franca, senza filtri e, possibilmente, senza propaganda. Uno stile che ci piacerebbe sperimentare anche altrove.

RIVEDI: "Gaza ha vinto". Dal restiamo umani al restiamo utili


Ma veniamo a Gaza. Si è parlato ancora molto di fase 2 in questi giorni, con alcune sparate e colpi ad effetto che dimostrano quanto il tiro alla fune sia in corso e la battaglia diplomatica all’interno delle larghe maglie del piano Trump stia cominciando ad infuriare.

Come sappiamo da tempo, il piano si regge su una grossa sfida, che molti vedono, appunto, come un bluff: il ritiro di Israele da Gaza e il disarmo di Hamas insieme come premesse alla ricostruzione. Ma entrambe le parti contano di ottenere la resa dell’altro senza recedere dalle proprie posizioni. Comunque, essere arrivati a questo punto, è una vittoria per Gaza. Ma non è ancora garanzia di nulla.

Il capo di Stato Maggiore israeliano, Eyal Zamir, durante una visita per incontrare i riservisti israeliani nel nord di Gaza, ha affermato in questi giorni che “la ‘linea gialla’ è una nuova linea di confine, che funge da linea difensiva avanzata per le nostre comunità e da linea di attività operativa”. Il governo israeliano ha rifiutato di commentare.

Il portavoce delle Nazioni Unite, Stephane Dujarric, sull’uscita del generale israeliano ha commentato: “mi sembra contraria allo spirito e alla lettera del piano di pace di Trump. Siamo fermamente contrari a qualsiasi modifica dei confini tra Gaza e Israele”.

In effetti al momento Israele controlla il 58% della Striscia, ha costruito nuovi avamposti di cemento lungo la “linea gialla” per fortificare le proprie posizioni e l'ha dichiarata confine letale, anche se non è sempre chiaramente segnalata e sarebbe in vigore un cessate il fuoco. I soldati hanno ripetutamente ucciso palestinesi accusati di averla attraversata, compresi bambini piccoli. Nel corso della puntata sentiremo una testimonianza di un eccidio israeliano sul confine con la zona gialla.

I dissuasori in cemento posizionati per segnare alcuni tratti della linea sono stati utilizzati anche per espandere l'occupazione militare israeliana di Gaza. Le immagini satellitari mostrano che alcuni indicatori sono stati posizionati centinaia di metri oltre il confine concordato sulle mappe del cessate il fuoco.

I sogni proibiti di Israele dunque al momento sono questi: mantenere il controllo del 58% di Gaza o chissà lentamente espanderlo.

La pulizia etnica di Gaza è tuttora in corso, sostengono molti. Tra questi Francesca Albanese, special rapporteur delle Nazioni Unite sulla Palestina, che in questi termini si è espressa durante il “Doha Forum” in Qatar, nei giorni scorsi.

Alla stessa conferenza internazionale si è espresso il padrone di casa, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman, primo ministro del Qatar, il quale ha affermato: “Il cessate il fuoco a Gaza è arrivato a un momento critico”.

Da quando è in vigore la tregua, oltre 360 palestinesi sono rimasti uccisi.

Trump ha annunciato che il “Board of Peace”, il Consiglio di Gaza che dovrà supervisionare la fase 2, sarà operativo entro la fine dell’anno.

Per ora si sa solo che Turchia ed Egitto hanno messo il veto su Tony Blair e quindi gli daranno forse solo un strapuntino come consulente. Qualcuno a porre le condizioni c’è.

Nel frattempo Bassem Naim, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha fatto sapere che il movimento è pronto a prendere in considerazione l’ipotesi di congelare e depositare le armi da qualche parte sotto la supervisione delle forze internazionali. 

Queste forze internazionali però, secondo indiscrezioni, avranno solo il compito di presidiare il confine tra Gaza e Israele.

Quindi non di controllare l’interno della Striscia.

Quindi non di disarmare Hamas.

Quindi di far indietreggiare Israele al di fuori dei confini reali della Striscia. 

Come si può vedere, gli estremi di questa curva di possibilità sono lontanissimi. La contesa diplomatica è in corso, mentre a Gaza si muore di freddo allagati sotto la pioggia.

Ma i termini del tiro alla fune sono questi. Noi dobbiamo restare vigili. E restare utili.


VEDI LA PUNTATA QUI: 



“Radio Gaza - cronache dalla Resistenza”, ogni giovedì alle 18, sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico, è un programma a cura di Michelangelo Severgnini e Rabi Bouallegue.

 

La campagna “Apocalisse Gaza” arriva oggi al suo 175° giorno, avendo raccolto 122.004 euro da 1.553 donazioni e avendo già inviato a Gaza valuta pari a 121.465 euro.

 

Per donazioni: https://paypal.me/apocalissegaza

C/C Kairos aps IBAN: IT15H0538723300000003654391 - Causale: Apocalisse Gaza

FB: RadioGazaAD

 




Data articolo: Fri, 12 Dec 2025 15:00:00 GMT

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