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di Kit Klarenberg - The Cradle
Una nuova ricerca pubblicata da Amnesty International svela le operazioni chiave di Intellexa, un consorzio di spyware legato a Israele, responsabile di sorveglianza di massa e violazioni dei diritti umani in diversi continenti. Tra queste, "Predator", uno strumento altamente invasivo che dirotta gli smartphone per rubare qualsiasi cosa, dai feed delle telecamere alle chat crittografate, alle posizioni GPS e alle email.
È solo l'ultimo esempio di uno specialista di spyware legato a Israele che agisce senza riguardo per la legge. Tuttavia, il rapporto di Amnesty non si è concentrato su questo aspetto e si è limitato ai dettagli tecnici, lasciando in gran parte oscurata la piena portata della violazione legale. Intellexa è tra i più noti fornitori di " spyware mercenario " al mondo. Nel 2023, l'azienda è stata multata dall'Autorità greca per la protezione dei dati personali per non aver ottemperato alle indagini sull'azienda.
Un caso giudiziario in corso ad Atene implica gli apparati di Intellexa e i servizi segreti locali nell'hacking dei telefoni di ministri del governo, alti ufficiali militari, giudici e giornalisti. Amnesty International denuncia le attività di spionaggio di Intellexa, ma non fornisce informazioni sul suo fondatore , Tal Dilian, un ex agente di spionaggio militare israeliano di alto livello, e il suo staff è composto da veterani dello spionaggio israeliano.
Nel marzo 2024 , dopo anni di rivelazioni dannose sulle attività criminali di Intellexa, il Tesoro degli Stati Uniti ha imposto sanzioni drastiche a Dilian, alle aziende a lui più vicine e a cinque diverse entità commerciali associate a Intellexa.
Predator: Osservare, ascoltare, estrarre
Tuttavia, queste misure severe non hanno scoraggiato le attività di Intellexa. L'offerta di servizi dell'azienda si è evoluta nel tempo, diventando sempre più difficile da rilevare e sempre più efficace nell'infettare i dispositivi target. In genere, la società civile, gli attivisti per i diritti umani e i giornalisti sono nel mirino.
Il 3 dicembre , Google ha annunciato che gli obiettivi di Intellexa erano almeno "diverse centinaia", con individui potenzialmente interessati residenti in Angola, Egitto, Kazakistan, Pakistan, Arabia Saudita, Tagikistan, Uzbekistan e altrove.
Strumento di punta di Intellexa, Predator infetta i dispositivi target tramite metodi "one-click" e "zero-click", integrandosi persino tramite annunci online. Una volta installato, saccheggia silenziosamente foto, password, messaggi e chat su Signal, Telegram e WhatsApp, oltre alle registrazioni dei microfoni.
Questi dati rubati vengono poi instradati attraverso un labirinto di server anonimi fino ai loro clienti. Questi clienti sono per la maggior parte governi autoritari, che spesso prendono di mira attivisti e giornalisti.
Predator vanta anche una serie di funzionalità esclusive progettate per nascondere la sua installazione su un dispositivo ai bersagli. Ad esempio, lo strumento spia valuta il livello della batteria di un dispositivo e se è connesso a Internet tramite dati della scheda SIM o Wi-Fi. Ciò consente un processo di estrazione personalizzato, garantendo che i dispositivi non siano palesemente privi di rete o energia, per evitare di alimentare i sospetti degli utenti.
La grotta di Aladino
Se Predator rileva di essere stato rilevato, lo spyware si autodistruggerà, eliminando ogni traccia della sua presenza sul dispositivo colpito. I metodi con cui Intellexa installa la sua tecnologia maligna sui dispositivi di destinazione sono altrettanto ingegnosi e insidiosi.
Oltre agli attacchi "one-click", Intellexa è pioniera nel campo dell'infiltrazione "zero-click". La sua risorsa "Aladdin" sfrutta gli ecosistemi pubblicitari online, in modo che agli utenti sia sufficiente visualizzare un annuncio pubblicitario, senza interagire con esso, perché lo spyware infetti un dispositivo.
Tali annunci possono apparire su siti web o app affidabili, simili a qualsiasi altro annuncio che un utente visualizzerebbe normalmente. Questo approccio richiede a Intellexa di identificare un "identificatore univoco", come l'indirizzo email, la posizione geografica o l'indirizzo IP dell'utente, per presentargli con precisione un annuncio dannoso.
I clienti governativi di Intellexa possono spesso accedere facilmente a queste informazioni, semplificando il targeting accurato. Una ricerca pubblicata da Recorded Future, un'azienda statunitense di sicurezza informatica, indica che Intellexa ha creato segretamente società di pubblicità mobile dedicate per creare "pubblicità esca", inclusi annunci di lavoro, per attirare i bersagli.
Aladdin è in fase di sviluppo almeno dal 2022 e nel tempo è diventato sempre più sofisticato. È preoccupante che Intellexa non sia l'unica azienda attiva in questo innovativo campo di spionaggio. Amnesty International sostiene che "metodologie di infezione basate sulla pubblicità vengono attivamente sviluppate e utilizzate da diverse società di spyware mercenarie e da specifici governi che hanno sviluppato sistemi di infezione ADINT simili".
Il fatto che l'ecosistema della pubblicità digitale sia stato sovvertito per hackerare i telefoni di cittadini ignari richiede un intervento urgente da parte del settore, che al momento non è ancora stato intrapreso.
Altrettanto inquietante è il fatto che un video di formazione di Intellexa trapelato mostri come l'azienda di spyware possa "accedere e monitorare da remoto i sistemi Predator attivi dei clienti". In pratica, è in grado di tenere d'occhio chi i suoi clienti stanno spiando e quali dati privati ??stanno estraendo, in tempo reale.
Registrato a metà del 2023, il video inizia con un istruttore che si connette direttamente a un sistema Predator installato tramite TeamViewer , un popolare software di accesso remoto commerciale. Il contenuto suggerisce che Intellexa può visualizzare almeno 10 diversi sistemi dei clienti contemporaneamente.
Questa capacità è ampiamente evidenziata nel video trapelato, quando un membro dello staff chiede al proprio formatore se si sta connettendo a un ambiente di test. In risposta, il formatore afferma di aver invece effettuato l'accesso a un "ambiente cliente" in tempo reale.
L'istruttore avvia quindi una connessione remota, mostrando che lo staff di Intellexa può accedere a informazioni altamente sensibili raccolte dai clienti, tra cui foto, messaggi, indirizzi IP, sistemi operativi e versioni software degli smartphone e altri dati di sorveglianza raccolti dalle vittime di Predator.
Il video sembra anche mostrare tentativi di infezione "in diretta" da parte di Predator contro obiettivi reali dei clienti di Intellexa. Vengono fornite informazioni dettagliate su almeno un tentativo di infezione rivolto a un individuo residente in Kazakistan, incluso il link dannoso su cui l'individuo ha cliccato inconsapevolmente, consentendo l'infiltrazione nel suo dispositivo.
Altrove, vengono visualizzati nomi di dominio che imitano legittimi siti web di notizie kazaki, progettati per ingannare gli utenti. Il paese dell'Asia centrale, pronto ad aderire simbolicamente agli Accordi di Abramo , è un cliente confermato di Intellexa , e giovani attivisti locali sono stati precedentemente presi di mira dal famigerato spyware Pegasus , anch'esso incubato in Israele .
Dietro gli schermi: oscurità legale e accesso dall'estero
Il video trapelato solleva una serie di gravi preoccupazioni sulle attività di Intellexa. Innanzitutto, l'oscura entità di spionaggio digitale ad alta tecnologia ha utilizzato TeamViewer, che da tempo solleva gravi preoccupazioni in termini di sicurezza , per accedere alle informazioni sui clienti presi di mira.
Ciò solleva ovvi interrogativi su chi altro potrebbe essere in grado di accedere a questo tesoro, all'insaputa dell'azienda. Inoltre, non vi è alcuna indicazione che i clienti di Intellexa abbiano approvato questo accesso per il processo di formazione, o che il tutorial sia stato condotto con misure di sicurezza anche di base.
Pertanto, gli obiettivi delle risorse di spionaggio di Intellexa rischiano non solo di vedere i loro segreti più sensibili rivelati a un governo ostile senza la loro conoscenza o il loro consenso, ma anche a una società di sorveglianza straniera.
La misura in cui Intellexa è consapevole di come la sua tecnologia viene utilizzata dai suoi clienti è un punto centrale della controversia legale in corso in Grecia. Storicamente, le società di spyware mercenarie hanno sempre affermato con fermezza di non essere a conoscenza dei dati sottratti in modo illecito dai loro clienti. Amnesty International afferma:
"La scoperta che Intellexa aveva una potenziale visibilità sulle operazioni di sorveglianza attiva dei propri clienti, inclusa la visione di informazioni tecniche sugli obiettivi, solleva nuove questioni legali sul ruolo di Intellexa in relazione allo spyware e sulla potenziale responsabilità legale o penale dell'azienda per le operazioni di sorveglianza illegali eseguite utilizzando i suoi prodotti."
Le ultime rivelazioni su Intellexa hanno tutti gli elementi per uno scandalo storico e internazionale, proprio come l'uso di Pegasus da parte di enti statali e aziendali in tutto il mondo ha suscitato proteste internazionali, indagini penali e contenziosi durati molti anni.
Tuttavia, la proliferazione di inquietanti strumenti di spionaggio privato – e il loro abuso su scala industriale da parte di clienti paganti – non è un bug aberrante, ma una conseguenza intenzionale dell'incessante crociata di Israele per la supremazia nella guerra informatica. Nel 2018, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu si vantava:
"La sicurezza informatica cresce attraverso la cooperazione, e la sicurezza informatica come business è enorme... Abbiamo speso una cifra enorme per la nostra intelligence militare, il Mossad e lo Shin Bet. Una cifra enorme. Una parte enorme di questa cifra viene dirottata verso la sicurezza informatica... Riteniamo che ci sia un'enorme opportunità di business nella ricerca infinita della sicurezza."
Questo investimento si manifesta in quasi ogni ambito della società israeliana. Numerose università di Tel Aviv, con il sostegno dello Stato, perfezionano nuove tecnologie e formano le future generazioni di spie informatiche e guerrieri digitali, che poi si uniranno ai ranghi delle forze armate di occupazione.
Una volta terminato il servizio militare, gli ex-alunni si ritrovano spesso a dover affrontare aziende in patria e all'estero che offrono gli stessi mostruosi servizi, già sperimentati sui palestinesi, a enti del settore privato e ai governi, senza alcuna supervisione o garanzia che queste risorse non vengano utilizzate per scopi malevoli.
Gli errori dell'intelligence che hanno permesso il successo dell'operazione Al-Aqsa Flood del 7 ottobre 2023 hanno inferto un duro colpo alla credibilità di Israele come leader della sicurezza informatica, devastando al contempo il suo marchio di "Startup Nation" , con gli investimenti stranieri nel settore tecnologico dell'entità che sono crollati precipitosamente.
Il vero scandalo non è solo l'esistenza di aziende come Intellexa. È l'impunità internazionale di cui godono, le partnership occidentali che intrattengono e la complicità dei governi che chiudono un occhio sulla guerra informatica israeliana esportata in tutto il mondo.
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Data articolo: Tue, 09 Dec 2025 11:00:00 GMT
Secondo il quotidiano israeliano Walla, negli ultimi due anni e mezzo un numero "record" di 110 palestinesi è morto a causa delle politiche carcerarie attuate dal ministro della Sicurezza nazionale israeliano di estrema destra Itamar Ben Gvir.
A titolo di paragone, tra il 1967 e il 2007, circa 187 detenuti palestinesi sono morti nelle carceri gestite da Israele, ovvero meno di cinque all'anno, ha riferito Walla, citando la Commissione Palestinese per gli Affari dei Detenuti e degli Ex Detenuti. Ora si parla di circa un decesso a settimana.
"Si tratta di un numero estremamente elevato; è un record rispetto ai dati noti dei decenni precedenti", ha aggiunto il media israeliano.
"Non sono stati pubblicati dati ufficiali sul numero di prigionieri di sicurezza deceduti negli anni precedenti all'assunzione della carica di Ministro della Sicurezza Nazionale da parte di Ben Gvir [nel dicembre 2022]", si legge su Walla, osservando che le organizzazioni per i diritti umani hanno fornito stime nell'ordine delle decine.
Le politiche e le regole restrittive di Ben Gvir includono razioni alimentari sempre più ridotte, la privazione della luce solare ai prigionieri, la limitazione degli indumenti caldi, dell'accesso alle docce e ai prodotti igienici, nonché regolari percosse violente e incursioni nelle celle dei detenuti.
Sebbene i maltrattamenti dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane siano stati documentati da tempo dalle organizzazioni per i diritti umani, gli abusi sono notevolmente aumentati dall'inizio della guerra genocida di Israele contro Gaza, il 7 ottobre 2023.
Le segnalazioni di abusi e torture sistematiche in custodia israeliana hanno raggiunto livelli record dall'inizio della guerra e sono stati documentati almeno 100 decessi di prigionieri in queste condizioni.
Sia i gruppi internazionali che quelli israeliani per i diritti umani hanno condannato gli abusi; B'Tselem definisce le prigioni israeliane "campi di tortura".
La scorsa settimana l'ufficio del difensore pubblico israeliano ha riferito del peggioramento delle condizioni dall'ottobre 2023, sottolineando che i palestinesi soffrono la fame estrema, il sovraffollamento e la violenza sistematica da parte del personale carcerario.
Nel frattempo, un rapporto del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, pubblicato il mese scorso, ha dimostrato che il ricorso alla tortura da parte dello Stato israeliano era "organizzato e diffuso" ed era notevolmente aumentato dall'inizio della guerra di Gaza.
"Il comitato era profondamente preoccupato per le segnalazioni che indicavano una politica statale di fatto di tortura e maltrattamenti organizzati e diffusi durante il periodo di riferimento, che si era gravemente intensificata dal 7 ottobre 2023", si legge nel rapporto.
Pena di morte per i palestinesi
Si dice che almeno 9.250 palestinesi siano attualmente detenuti nelle prigioni israeliane, anche se la cifra reale è probabilmente più alta, poiché Israele nasconde informazioni su centinaia di persone catturate dal suo esercito a Gaza.
Walla stima che almeno 10.000 palestinesi siano ancora nei centri di detenzione israeliani, nonostante il recente accordo sullo scambio di prigionieri, che ha visto il rilascio di centinaia di palestinesi in cambio dei restanti prigionieri israeliani a Gaza.
Quasi la metà dei detenuti palestinesi è trattenuta senza accusa né processo, in base a ordini di detenzione amministrativa rinnovabili a tempo indeterminato.
L'ultimo bilancio delle vittime riportato dall'organo di stampa israeliano arriva mentre si stanno discutendo su un nuovo disegno di legge che consente la pena di morte per i prigionieri palestinesi.
Lunedì Ben Gvir è stato fotografato in parlamento con un cappio al collo, mentre continua a battersi per la legge, esclamando che "è giunto il momento della pena di morte per i terroristi!"
In un post su X, Ben Gvir si è vantato di indossare la spilla, insieme ad altri membri del suo partito Otzma Yehudit.
"Io e i membri della mia fazione Otzma Yehudit siamo arrivati ??oggi alle discussioni del Comitato per la sicurezza nazionale per continuare a promuovere la pena di morte per i terroristi, indossando una spilla a forma di cappio del boia, come simbolo del nostro impegno nell'approvazione della legge e come chiaro messaggio che i terroristi sono figli della morte", ha scritto.
Il disegno di legge è stato approvato da una maggioranza di 39 membri su 120 della Knesset, con 16 voti contrari nel parlamento israeliano.
Permetterebbe ai giudici di imporre la pena di morte ai palestinesi condannati per aver ucciso israeliani per cosiddetti motivi "nazionalistici".
La legge non si applicherebbe agli israeliani che uccidono palestinesi in circostanze simili.
Ora sono necessarie altre due letture alla Knesset prima che il disegno di legge possa diventare legge ufficiale.
(Traduzione de l'antiDiplomatico)
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Data articolo: Tue, 09 Dec 2025 10:30:00 GMT
L'intelligence israeliana sta conducendo un'ampia sorveglianza delle forze statunitensi e dei loro alleati di stanza in una nuova base statunitense nel sud di Israele, incaricata di supervisionare la distribuzione degli aiuti a Gaza, ha riferito The Guardian l'8 dicembre, citando fonti informate sulla questione.
Secondo le fonti, Israele ha registrato incontri tra funzionari militari statunitensi e gruppi di aiuti umanitari presso il Centro di coordinamento civile-militare (CMCC), situato nella zona industriale di Kiryat Gat, a 12 chilometri dal confine con Gaza.
Lo spionaggio spinse il comandante statunitense della base, il tenente generale Patrick Frank, a convocare la sua controparte israeliana e a chiedere che "le registrazioni dovessero interrompersi qui".
"Anche il personale e i visitatori provenienti da altri Paesi hanno espresso preoccupazione per la possibilità che Israele registri informazioni all'interno del CMCC", ha scritto il Guardian . "Ad alcuni è stato detto di evitare di condividere informazioni sensibili a causa del rischio che possano essere raccolte e sfruttate".
In risposta, l'esercito israeliano ha replicato definendo le accuse "assurde".
Il CMCC è stato istituito in ottobre per monitorare il piano di cessate il fuoco in 20 punti per Gaza proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Composto da funzionari militari statunitensi e israeliani, il CMCC aveva il compito di coordinare le consegne di aiuti alla Striscia, che Israele aveva in gran parte interrotto nei mesi precedenti, causando la carestia in alcune zone della Striscia.
Tuttavia, Israele ha continuato a limitare o impedire regolarmente le spedizioni di cibo, medicine e altri beni umanitari a Gaza, nonostante l'istituzione del CMCC.
Esperti di logistica militare statunitense furono assegnati al CMCC per garantire il flusso degli aiuti. Tuttavia, scoprirono presto che "i controlli israeliani sulle merci in entrata a Gaza rappresentavano un ostacolo più grande delle sfide ingegneristiche. Nel giro di poche settimane, diverse decine di persone se ne erano andate", ha riportato il Guardian .
Israele ha vietato l'ingresso di beni essenziali in quanto "a duplice uso" e potenzialmente utilizzabili da Hamas per scopi militari. Tra questi rientrano beni di prima necessità come pali per tende e prodotti chimici per la depurazione dell'acqua, nonché matite e carta necessarie per la riapertura delle scuole.
Sebbene il CMCC riunisca pianificatori militari provenienti dagli Stati Uniti, da Israele e da altri paesi alleati, tra cui il Regno Unito e gli Emirati Arabi Uniti, i palestinesi ne sono completamente esclusi.
"Non ci sono rappresentanti di organizzazioni civili o umanitarie palestinesi, né dell'Autorità Nazionale Palestinese, di stanza lì, invitati a partecipare alle discussioni", ha osservato il Guardian .
Il quotidiano britannico ha aggiunto che i funzionari israeliani hanno interrotto le videochiamate con i palestinesi quando i funzionari militari statunitensi hanno cercato di includerli nelle discussioni, mentre i documenti di pianificazione del CMCC omettono le parole Palestina o palestinese, riferendosi invece ai residenti del territorio come "abitanti di Gaza".
Israele ha avviato il genocidio dei palestinesi a Gaza nel 2023 dopo l'operazione Al-Aqsa Flood di Hamas, in cui gli insediamenti e le basi militari israeliane sono stati presi d'assalto e attaccati dalla resistenza, contribuendo a rafforzare il blocco sulla Striscia.
I funzionari israeliani hanno affermato di voler cancellare l'esistenza dei palestinesi a Gaza, paragonandoli al popolo biblico noto come Amalek, che fu sterminato dagli antichi Israeliti.
I funzionari israeliani hanno anche espresso il desiderio di sostituire i palestinesi di Gaza con coloni ebrei una volta che la Striscia sarà ricostruita come una città intelligente e tecnologicamente avanzata, che Trump ha soprannominato la "Riviera del Medio Oriente".
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Data articolo: Tue, 09 Dec 2025 10:30:00 GMT
Lunedì le forze israeliane hanno preso d'assalto la sede dell'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) nel quartiere Sheikh Jarrah della Gerusalemme Est occupata.
Il complesso ospitava un ufficio dell'UNRWA dal 1951, ma l'agenzia lo ha abbandonato all'inizio di quest'anno a seguito di una decisione del governo israeliano. Tel Aviv ha vietato le operazioni dell'UNRWA a Gerusalemme in base a una legge approvata dalla Knesset (parlamento).
Il governatorato di Gerusalemme, affiliato all'Autorità Nazionale Palestinese, ha dichiarato che "le forze di polizia hanno fatto irruzione nella sede centrale, arrestato le guardie di sicurezza e confiscato i loro telefoni".
L'irruzione è avvenuta "in concomitanza con la chiusura completa dell'area circostante e con ampie perquisizioni effettuate dalle forze di occupazione in tutte le strutture dell'edificio", si legge nella dichiarazione.
"Questo raid rappresenta una sfida diretta al voto schiacciante dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, espresso giorni fa, per rinnovare il mandato dell'UNRWA", secondo il governatorato.
Inoltre, ha chiesto un'azione internazionale urgente per ritenere Israele responsabile "per aver violato il diritto internazionale" e per perseguire i leader israeliani "per crimini e abusi commessi contro il popolo palestinese e le sue istituzioni nazionali e internazionali".
Da parte sua, la polizia israeliana in una dichiarazione scritta agli organi di stampa ha precisato che "si trattava di una questione municipale relativa a debiti non pagati nei confronti del comune, e non di una questione di polizia, e la polizia era presente per proteggere i dipendenti comunali".
Venerdì, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione per rinnovare il mandato dell'UNRWA per tre anni.
La risoluzione è stata sostenuta da 151 voti contrari, 10 contrari e 14 astensioni.
L'UNRWA è stata istituita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite più di 70 anni fa per assistere i palestinesi sfollati forzatamente dalle loro terre.
L'agenzia delle Nazioni Unite sta affrontando gravi difficoltà finanziarie da quando Israele ha lanciato una campagna diffamatoria contro l'UNRWA, sostenendo che i suoi membri dello staff fossero coinvolti negli attacchi del 7 ottobre.
Nonostante le richieste dell'UNRWA al governo israeliano di fornire informazioni e prove a sostegno delle accuse, l'agenzia non ha ricevuto alcuna risposta. A seguito delle accuse di Israele, diversi paesi donatori chiave, tra cui gli Stati Uniti, hanno sospeso o sospeso i finanziamenti.
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Data articolo: Tue, 09 Dec 2025 10:30:00 GMT
Ad un anno dalla caduta del Govern o di Bashar al Assad, gli alawiti in Siria stanno organizzando uno sciopero generale per esprimere il loro sostegno al federalismo e per protestare contro le uccisioni settarie, le detenzioni arbitrarie e i rapimenti perpetrati dal governo guidato dagli estremisti islamici.
Le foto che circolano sui social media mostrano negozi chiusi e nodi di trasporto vuoti nei quartieri alawiti.
Lo sciopero è stato indetto dal noto leader religioso alawita Sheikh Ghazal Ghazal e dal Consiglio politico della Siria centrale e occidentale, che ha organizzato grandi proteste in tutte le città costiere il 25 novembre.
Secondo quanto riportato da fonti locali, durante le proteste i manifestanti alawiti sono stati colpiti e feriti dalle forze di sicurezza siriane in diverse città, mentre altri sono stati arrestati e portati in località sconosciute.
L'Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR) ha riferito che lunedì messaggi di solidarietà all'appello di Ghazal Ghazal si sono diffusi nei villaggi alawiti, tra i quali la campagna di Banias al-Jabal, Jableh, Ramla, il sobborgo di Tishreen, Zaqzaqaniyah, Ain al-Raheb e Ain al-Sharqiyah.
Nei messaggi erano presenti frasi come: "Siamo tutti con lo sceicco Ghazal Ghazal", "Scioperare è un diritto e una dignità" e "Il sangue degli alawiti non è a buon mercato".
Lo sciopero generale cade nel primo anniversario dell'ascesa al potere dell'ex leader di Al-Qaeda e dello Stato Islamico, Ahmad al-Sharaa, che si è autoproclamato presidente del Paese.
Il governo di Sharaa ha organizzato celebrazioni per commemorare la caduta dell'ex presidente Bashar al-Assad e l'insediamento di un governo guidato da Hayat Tahrir al-Sham (HTS), un'organizzazione affiliata ad Al-Qaeda in Siria, precedentemente inserita nella lista nera.
Da quando Sharaa è salito al potere, le sue forze di sicurezza, dominate dagli estremisti, hanno regolarmente rapito e assassinato civili alawiti, tra cui almeno 1.600 durante orribili massacri durati tre giorni a marzo.
A luglio, le forze siriane hanno compiuto un massacro simile contro i membri della minoranza religiosa drusa a Suwayda, uccidendo quasi 2.000 persone, tra cui 765 civili.
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Data articolo: Tue, 09 Dec 2025 10:00:00 GMTKiev non accetta di ritirare le proprie truppe dal Donbass. Lo ha dichiarato il presidente ucraino Zelensky, secondo cui non è ancora stato raggiunto un compromesso con i negoziatori statunitensi sulla questione del ritiro dal Donbass.
Durante il suo viaggio europeo cominciato con il suo arrivo a Londra lunedì, dove si è incontrato con le delegazioni britanniche, francesi e tedesche, ha dichiarato che presto presenterà una nuova proposta di pace al presidente Trump.
“Gli americani sono disposti a trovare un compromesso. Ma ci sono chiaramente questioni difficili relative al territorio, e su questo non è stato raggiunto alcun accordo “, ha detto Zelensky ai giornalisti. Ha nuovamente respinto una delle condizioni chiave della Russia per il cessate il fuoco, ovvero che l'Ucraina ritiri le sue truppe dalle parti del Donbass che sono ancora sotto il suo controllo. “La Russia, ovviamente, insiste affinché rinunciamo ai territori. Noi, naturalmente, non vogliamo farlo ed è per questo che stiamo combattendo", ha affermato.
Zelensky ha inoltre dichiarato che Kiev è riuscita a far rimuovere clausole definite "chiaramente anti-ucraine" dal piano di pace proposto da Trump. Secondo quanto riferito, una bozza precedente del documento prevedeva il ritiro delle truppe ucraine da alcune aree del Donbass attualmente sotto il loro controllo, e stabiliva che il Donbass e la Crimea dovessero essere "riconosciuti de facto come russi."
Trump si è detto "deluso" da Zelensky, sostenendo che il leader ucraino non avrebbe letto nemmeno l'ultima proposta statunitense e aveva già suggerito che l'Ucraina si trovasse nelle condizioni di dover fare delle concessioni territoriali a Mosca.
Data articolo: Tue, 09 Dec 2025 08:07:00 GMT
di Fulvio Grimaldi per l'AntiDiplomatico
Cosa ha detto dell’Europa lo squinternato capo dell’Impero. Sembrava Gino Bartali, che non dava scampo a correzioni: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Finita la nostra civiltà (anche per merito suo), finita la libertà, tutti censurati, una specie di Titanic alla vista dell’iceberg. E ha ragione, tutte le ragioni. La cosa grottesca, drammatica è che una condanna così, senza attenuanti, ci venga, mica da Putin, ma da uno come lui: Il diavolo che da del cornuto a Mefistofele.
Osvald Spengler, “Il tramonto dell’Occidente”. Libro epocale del 1923, opera in due volumi di filosofia della storia che mia madre mi diede da leggere quando avevo 10 anni. Era l’aprile del 1945, la guerra era persa e Churchill stava radendo al suolo una città d’arte dopo l’altra, senza più ombra di soldati. Colonia, Francoforte, Dresda, Lipsia, Monaco…Il Medioevo, il Rinascimento, il Barocco, il Guglielmino. Gli eventi davano senso al libro. Per il filosofo tedesco le civiltà, analogamente all'organismo umano, possiedono le quattro fasi di età: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. Per lui, analista più che visionario, l’ultima era quella che stavamo attraversando noi. Et pour cause, come stiamo percependo con la chiarezza di un cristallo lucidato.
Intendendo per Occidente quello che intendiamo, cioè Stati Uniti al piano di sopra, Israele, nell’appartamento sullo stesso pianerottolo (occupato abusivamente), Europa nella dependance, con l’incarico di tener fuori dai cancelli i propri popoli. Il tutto dotato di un tasso di criminalità senza pari nella storia della specie. L’unica ad esserne provvista.
Ammiragli neologisti
L’idiotismo militarista ha assunto una frenesia psicotica che non conosce né limiti, né raziocinio. L’Ammiraglio ne ha dato prova. Ci ha dato l’impressione di assistere a una telenovela sudamericana, ornato da baffoni alla Umberto, appesantito sul lato sinistro, destro di chi guarda, da mezzo chilo di medaglie conquistate nelle eroiche e defatiganti battaglie in difesa della patria aggredita, invasa, occupata. Ieri, tramite un giornale di pari grado suprematista, il Financial Times, ha raccomandato che è il caso di attaccare prima di essere attaccati. La logica della cui asserzione sfugge insieme ai candidati che, nei sudati incubi notturni di Cavo Dragone, sono lì, pugnale nei denti, pronti ad attaccarci: kosovari? Quelli del Benin? I malesi con Sandokan?

O i russi? Questo, il medagliato dei mille eroismi, non l’ha detto, ma l’ha pensato. Innovatore neologista, ha abbandonato il nom de plume con il quale gli ammiragli di oggi, chiamano l’attacco: Difesa. La sua pensata è stata più temeraria, da vero soldato: ha detto pane al pane, vino al vino (molto) e, appunto, attacco all‘Attacco. Anche a quello che ancora i vari Merz, Macron, Starmer, Crosetto, da umoristi conservatori, chiamano Difesa. E dopo Cavo Dragone, non più. Tana, liberi tutti.
Ma siccome è arduo trovare ammiragli e generali che pensano, è da escludere che quel pensiero sia stato suo. E’ di tutti quelli, da noi eletti perché pensassero al nostro bene Infatti, di qua e di là dall’Atlantico, si vanno operando a prosciugarci anche dell’ultima goccia di sangue (mille grazie, era mediaticamente infetto da Covid) per farne cingoli di carro armato, ali di bombardiere, fosforo, uranio impoverito (di cui le nostre centrali nucleari non sanno come disfarsi), incantevoli prodotti per la guerra ibrida. Su tutti la I.A., meraviglia delle meraviglie, grazie alla quale moriremo credendo di essere stati uccisi da Putin, invece era uno che stamane aveva saltato la fila del cappuccino al bar perché ammiraglio.
Di questa cosa. con cui un ometto, accecatoci con il popo’ delle sue abbaglianti medaglie, ottenute nelle aggressioni di un’Alleanza consacrata difensiva, aveva celebrato la fine dell’era apertasi a Piazzale Loreto, se ne è parlato grazie a un furibondo Mattarella, guardiano della Costituzione e custode di noi tutti? Neanche un sospiro. Neanche del suo consigliere spifferone Garofani, caro a Schlein. Macchè. Se i macigni fatti rotolare sul quotidiano dei padroni anglosassoni hanno riverberato, se ne è parlato grazie a qualche eretico quotidiano e a qualche manifestamente spazientita trasmissione. Per quante ore? 48? 72? Non esageriamo. Se tace Mattarella, il silenzio è d’oro per tutti. Qualche cittadino che si vede consegnato dai pupari di un ammiraglio di cartapesta, ma luccicante, alla mira di un contractor False Flag, magari il solito, collaudato, jihadista (ora detto russo), potrebbe fare come i ragazzi, uomini, anziani ucraini che, pur di sfuggire ai rastrellatori di Zelensky, si mutilano di tre dita.

Al buon Cavo Dragone era stato assegnato il compito di aprire le dighe onde potessimo tutti essere irrigati di fervore patriottico e affogare sì, ma al suono del Piave che mormorò. Il clamore del motto “attaccare per primi”, lanciato dalla camarilla politico-mediatica dell’Occidente per voce di un souffleur nascosto da una balconata di medaglie, ha di colpo fatto ammutolire i fin ieri assordanti echi delle esplosioni di Hiroshima, Dresda, Saigon, Gaza, Baghdad, Damasco, Tripoli, Belfast, Kabul. Quelli che si erano rannicchiati nel nostro subconscio, a sentinella perpetua contro i guerrafondai della sempre rinnovabile accumulazione capitalista, quando le altre rapine hanno esaurito il bottino e serve un’emergenza per tenerci a testa china mentre passa quest’altra, di accumulazioni.
Dove vai se la False Flag non ce l’hai?
E tutto questiomicidiale ambaradan come hanno fatto a renderlo una normalità per gente nata e cresciuta nell’idea che nessuno mai avrebbe osato a mettere in dubbio il primato della pace? Almeno a casa nostra, che siamo quelli giusti e civili e democratici. Nemo problema. Basta far volare un paio di droni sui paesi baltici o scandinavi, far apparire un sommergibile russo dove aveva pieno diritto di stare, ma ha un’espressione molto minacciosa, scoprire in Canada un aerostato meteorico cinese, finitovi per il vento, colpire una casa polacca con un missile russo, che poi era ucraino, causare un piccolo ritardo al volo di Stato della Supercommissaria tedesca, dire che la Romania è stata sorvolata da un Mig ed ecco che siamo in piena guerra ibrida di Putin.
Come giurano coloro, esponenti di 6 milioni di europei, metà infelici russi, su 450, a cui abbiamo affidato il nostro destino militare, economico, geopolitico: Kallas, Estonia, Esteri e Sicurezza, Dombrovskis, Lettonia, Economia, Kubilius, Lituania, Guerra. Chi meglio di loro? Quasi quasi mi faccio rappresentare dal mio bassotto.
Naturalmente l’autenticità della paternità di queste “provocazioni” è pari a quella degli ordigni di termite piazzate nei vari piani delle Torri Gemelle lungo le strutture d’acciaio, i cui effetti sono stati fatti passare per quelli causati da finti aerei Boeing lanciati contro gli edifici.

Ma intanto è diventato normale, anzi necessario, che le infrastrutture europee – strade, ponti, aeroporti, porti, ospedali , scuole, caserme dei vigili del fuoco, edifici pubblici – venissero orientate a svolgere nuove funzioni determinate dai comandi ad annullamento di tutte le altre (è la Schengen militare); che ponti insensati venissero costruiti per farci scappare da chi ci attacca da sud e che fosse così stupido da non fare la prima cosa che andrebbe fatta, bombardare quel ponte; che la leva sostituisse una gioventù dissipata in scapestratezze, o addirittura in studi e lavori, facendola volontaria, semivolontaria, obbligatoria, (e lì che si andrà a finire), a sorteggio, a lotteria, a piacere, donne sì, non binari rigorosamente no.
E poi, subito subito, che soldati venissero in classe a raccontare ai bambini delle elementari la bellezza ecologica della difesa della patria (perennemente minacciata dai russi) e ai ragazzi delle superiori quanto dulce et decorum est pro patria mori. Ovviamente rompendo teste locali, di ragazzi come noi, che so, in Afghanistan, o Niger. O che, viceversa, bambini e ragazzi venissero in poligono a veder cosa ci vuole, col mitra, a fare secco un bersaglio a forma di uomo, o come sta bene la bimbetta di 5 anni con un bel giubbotto antiproiettile. O che alle fiere degli armamenti più sofisticati e lucidi, che nelle piazze vanno ormai sostituendo le sagre del vermicello, i presidi portassero, su ordinanza del ministro-generale Piantedosi, bimbetti e adolescenti perché provino il brivido di sedersi nel cockpit di un F-35 a immaginare di bombardare una città. Come bene insegnano i videogiochi.
Modelli dell’Occidente
Ce l’hanno insegnato loro. I virgulti prediletti. Modelli esibiti come madonne pellegrine ovunque ci fosse una telecamera. Lo Zelensky che pur di fornire la sua ghenga di rubinetti d’oro, acquisiti con quei nostri eurosoldi che avrebbero dovuto difendere, non un esercito di capri espiatori spendibili, ma un manipolo di nazisti ladri. Il Netaniahu che, pur di continuare a masticare bambini, donne, bipedi e quadrupedi di ogni genere, e terre, da sostituire con coloni al cui confronto Mengele, Attila, o Nikolaj Džurmongaliev, kazako considerato il peggiore serial killer della Storia. Non li teniamo forse in piedi con le nostre armi, i soldi dei nostri ospedali, scuole, case, i nostri sorrisi?

E allora l’eroico Zelensky’ per la cui “causa” ci siamo privati di miliardi in armi che avevamo pagato per diventare nostre strade, case, ospedali, scuole, pensioni e che lì sono diventati bancarelle dove l’entourage del presidente intascava miliardi per ville, cessi d’oro, o vendeva quelle armi al primo mafioso o terrorista interessati.
E allora Trump, The Donald? Quello che ci ha fatto disimparare che il diritto prevale sulla forza, teorizzando e praticando il contrario, sparando dazi, puttanate da energumeno attempato e un po’ andato e altre da vegliardo infantilito e, soprattutto, tirando cazzotti verbali e muscolari un po’ dove gli gira. Capo dell’Occidente, plurinquisito e pluricondannato per zozzerie, sodale di uno che, per aver fatto del ricatto sessuale ai potenti la tecnica di arruolamento del Mossad, rigurgito di angiporto quanto di orride speculazioni immobiliari, uno per il quale etica ed estetica si identificano con una Trump Tower in faccia al Cremlino e una Las Vegas piantata su scheletri lungo le coste di Gaza. Uno che se c’è da saccheggiare e rapinare, si fa la pace; in caso contrario si mandano flotte, aviazione, Marines e CIA per l’ennesimo olocausto.
In Argentina, che con Milei s’è vista ridotta al 57% di poveri assoluti, ha intimato: o lo rivotate presidente, o non vi faccio avere quei 40 miliardi di dollari con i quali qualche buccia di banana potrebbe ancora arrivarvi. In Honduras, per far fuori alle elezioni coloro che avevano sconfitto il colpo di Stato di Obama e Hillary, a forza di minacce analoghe (e forse di manomissione del sistema di trasmissione di dati) ha fatto arrivare primi due pendagli da forca della cosca di Juan Orlando Hernandez, ex presidente honduregno, condannato nel 2024 per narcotraffico e in galera negli USA.
E se il presidente dello Stato razzista, Herzog, può amnistiare un genocida come Netaniahu, non può forse il presidente degli USA amnistiare un boss del narcotraffico, Juan Orlando, ex presidente honduregno, condannato, “dai giudici comunisti di Biden” a 24 anni per narcotraffico, perché si riprenda la repubblica e la faccia tornare quella “delle banane”? Sempre che non ci pensi, forte di narcoinvestitura, Nasry Asfura, indicato proprio da Donald, che di Juan Orlando è il figlioccio. E pensare che gli honduregni, faro rivoluzionario del Centroamerica ci avevano messo 10 anni per liquidare la dittatura installata con il golpe di Obama e Hillary nel 2009.
Del resto, siamo stati sempre bravi adepti. Quanto sopra non ha nulla di qualitativamente diverso da ciò che Meloni, Nordio, Piantedosi, questa nostra meravigliosa triade, hanno fatto, nel nome della legge uguale per tutti, tranne quella della Corte Penale Internazionale, con il torturatore libico Almasri.
Etica del potere: conflitto di interessi
Stiamo con un monarca assoluto che, per la gioia di cultori e corifei della guerra dei ricchi contro i poveri, è come Giosuè che ordinava alla sua tribù egiziana nomade, ma vogliosa di terre, di non lasciare vivi né neonato, né agnello, né tutti coloro che li curavano. E che per legittimare tutto questo sta mettendo il conflitto d’interesse a capo di ogni cosa. Regola numero uno: senza conflitto d’interesse (agevolato dalla nostra abolizione dell’Abuso d’Ufficio) non si fregano gli interessati legittimi e non si governa nel segno dello spirito del tempo. Che soffia impetuoso per chi prima vende e poi compra, o viceversa. Tipo Crosetto, già capo dell’AIAD, Federazione dei produttori d’armi, poi suo ministro.
O tipo Cingolani, AD dell’industria della morte Leonardo, quello dello “Scudo di Michelangelo”, a imitazione dell’Iron Dome israeliano, abbondantemente bucato da iraniani e yemeniti. L’altro giorno ha detto le davvero fatidiche parole. ”Sono in conflitto di interessi, ma vi dico chiaramente che bisogna investire sulla difesa (la chiama ancora così), perché non sta finendo la guerra, sta iniziando la nuova guerra… e senza nuove tecnologie ci sterminano”.
Credete che vi sia stato un cronista che gli abbia chiesto: “Chi ci stermina?” Ma noi lo sappiamo: ci assalteranno gli arcieri della Papuasia. Non è forse che dal Sud, come previsto da Tajani, ci arriva la minaccia e che, dunque, non si può fare assolutamente a meno della via di fuga costituita dal Ponte. Il peggio dal punto di vista logica e ambiente, ma, perbacco, il migliore dal punto di vista delle bombe.
Ma tutto questo sono quisquilie. Saranno curate dal tempo, come le crepe ignorate che hanno fatto finire nel Bisagno 43 persone in attraversamento. Mica sono stati arrestati! Come quelli della Commissione e dell’Europarlamento, poi scudati dall’omertà parlamentare, almeno la Gualmini, per la Moretti si vedrà.
E per un Occidente al tramonto, secondo Spengler, e da carcerare secondo tutti noi, ecco che la rincorsa al fondo del buco nero della corruzione e del malaffare vede l’UE superare di qualche incollatura il padrino fondatore USA. E a noi italiani, ne incameriamo il merito, facendoci, come d’abitudine, riconoscere. I mejo fichi del bigoncio.
UE: un Italian Job dopo l’altro

Ci aveva insegnato qualcosa il Qatargate, quella robaccia per cui un paesuccolo, senza popolazione, ma con una famiglia regnante di alcune migliaia di sbafatori e un sottofondo di schiavi importati, aveva riempito di dollari, trovati a riempire sacchi a casa loro, una schiera di eletti al nostro sommo consesso legislativo continentale. Meriti? I soliti: quelli di essere stati tanto gentili da non parlare male di un paese, anzi di esaltarne i diritti umani, dove le donne non esistono (e poi parlano dell’Iran, dove sono la maggioranza dei laureati) e gli uomini muoiono come le mosche cadendo dai malfermi ponteggi delle Grandi Opere (Mondiali di calcio del 22). E fu la decapitazione morale di una ciurma di venduti, quasi tutti italiani. Come anche, poco dopo, quelli del caso Huawei, politici e lobbisti che raccattavano mazzette per non far escludere la società cinese dallo sviluppo della rete.
Ma questo è niente, siamo al plus ultra del rilievo dei personaggi e del carico di malaffare. Tanto da imporre sbalorditivi arresti (con rilasci veloci, come conviene in quei casi, ma processi duri a venire). Federica Mogherini, nientepopo’ di meno che ministra degli Esteri di Draghi (come stupirsi!) e poi addirittura Vicepresidente UE e Lady PESC (Commissaria Esteri UE), e, fino all’arresto, capa del Collegio d’Europa Bruges. E di seguito, a colmare la discarica, Stefano Sannino ambasciatore, Cesare Zegretti dirigente Accademia UE e Capo Commissione per Medioriente e Nordafrica. Tutti nostri concittadini che avrebbero frodato, si sarebbero fatti corrompere o avrebbero corrotto in materia di appalti, in vista della nuova accademia per diplomatici europei, nel segno immarcescibile del conflitto d’interessi. Certo, come è che si biascica in questi casi? “Piena fiducia nella magistratura, ci mancherebbe. Chiarirò tutto”.
Nell’immondezzaio, poi, si sarebbero trovati in confortante compagnia di connazionali. I veterani del Qatargate con tanto di infiltrazioni marocchine. Con molta calma, e con pieno sconcerto del garantista Nordio, la Procura Federale di Bruxelles è arrivata a disporre la revoca dell’immunità parlamentare ad Alessandra Moretti, ma, pietosamente, non per Elisabetta Gualdini (entrambe PD). Nell’inchiesta hanno raggiunto l’eurodem Pier Antonio Panzeri, l’allora vicepresidente del Parlamento Eva Kaili e Francesco Giorgi, assistente del primo e compagno della seconda. Per rinfoltire la combriccola vi sopravvivono ancora Andrea Cozzolino, arrestato, Marc Tarabella e Maria Arena tutti trovati con colline di soldi in casa. L’iter è tuttora in corso.
Il pantano degli squali (chiedendo scusa a quelli con le pinne)

Tutto, del resto, nasce all’insegna della corruzione, della degenerazione legale, del nepotismo e amichettismo, della sopraffazione. A partire dall’ineffabile baronessa acquisita, von der Leyen, da ministro della Difesa nella Bundesrepubblik inquisita per un amichettismo che concorre con i vertiginosi primati del regime meloniano. Aveva reclutato per il suo ministero più consulenti, superpagati, ma di dubbia competenza, di quanti cortigiani avesse radunato il Re Sole. Non se ne è parlato più. Come non si parla più dell’oscenissimo Pfizergate. L’accordo tra Ursula e il compare Bourla per miliardi di nostri euro in cambio di miliardi di vaccini (in buona parte buttati), concordati in camera caritatis chattiana tra questa gatta e questa volpe. SMS che, quando qualcuno nel parlamento si è svegliato dal torpore euroindotto e ne ha chiesto ragioni e prove, non c’erano più. Ursula li aveva cancellati. Robetta, scambi tra innamorati.
Ma oggi grazie al Belgio, la cui magistratura non si è trovato di fronte, a spingarda puntata, un qualche tonitruante Nordio, si è arrivati all’esito che in qualche modo conferma l’inequivocabile realtà del tramonto dell’Occidentale: l’arresto di intoccabili grazie a una legge che, mentre sotto Meloni, Trump, Netanyahu o Zelensky, deve essere uguale solo per chi si fa pestare dalle loro scarpe, per gli incorreggibili eurogiudici e quelli belgi resta ancora quella antica, uguale per tutti.
A questo punto toccherebbe trovare la Bastiglia. Ma la Bastiglia dov’è? Qualcuno ce la sa indicare?

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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Tue, 09 Dec 2025 06:00:00 GMTLe trattative per la pace in Ucraina, rilanciate da Washington, restano impantanate sulle questioni più spinose: concessioni territoriali, garanzie di sicurezza e definizione dello status del Donbass. Lo ha ammesso lo stesso Volodymyr Zelensky in un’intervista a Bloomberg, riconoscendo che tra Stati Uniti, Russia e Ucraina “non esiste ancora una visione unificata” sulla regione orientale. Il presidente ucraino parla di “temi sensibili” ancora sul tavolo: dal meccanismo di sicurezza simile all’Articolo 5 della NATO che Kiev pretende dagli alleati, fino al destino dei territori oggi sotto controllo russo. E mentre Zelensky si dice pronto a volare a Washington per approfondire il negoziato con Donald Trump, il clima resta teso: il leader americano si è detto “deluso” dal fatto che Kiev non abbia ancora studiato a fondo la proposta statunitense.
Sul fronte internazionale, il ruolo crescente di Jared Kushner emerge come segnale della volontà della Casa Bianca di assumere un ruolo diretto nella mediazione. Dopo i colloqui a Miami con la delegazione ucraina e la visita al Cremlino, il genero di Trump appare sempre più centrale nel ridisegnare l’architettura negoziale. Analisti russi osservano che la presenza di Kushner - già protagonista degli Accordi di Abramo - introduce un approccio più tecnico, discreto e orientato al risultato. Mosca, dal canto suo, giudica “utili” i colloqui con Washington, pur confermando divergenze su punti chiave.
E mentre gli Stati Uniti presentano una nuova strategia di sicurezza nazionale che identifica la stabilizzazione dei rapporti con la Russia come interesse vitale, gli esperti notano un cambio di passo: da una partecipazione marginale a discussioni sostanziali sul trattato di pace. Resta però un nodo politico: secondo alcuni osservatori, Trump punta a ottenere una vittoria diplomatica rapida, anche a costo di un accordo più formale che sostanziale. Un’esigenza che potrebbe confliggere con le aspettative di Kiev e le cautele di Mosca.
In un contesto dove l’Europa continua a sostenere economicamente e militarmente l’Ucraina, l’esito delle trattative definirà non solo il futuro del conflitto, ma anche il nuovo equilibrio di potere in un mondo sempre più multipolare.
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In un intervento pronunciato nella Sala del Gabinetto della Casa Bianca, il Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump ha rivolto un severo monito all’Europa, definendone l’attuale traiettoria “nella direzione sbagliata”. Le dichiarazioni, rilasciate lunedì 8 dicembre 2025, sono giunte in risposta alla multa record inflitta dall’Unione Europea alla piattaforma digitale X, di proprietà dell'oligarca Usa Elon Musk.
“L'Europa deve stare molto attenta. Stanno facendo molte cose. Vogliamo che l'Europa rimanga l'Europa”, ha affermato il Presidente Trump, sottolineando con tono perentorio: “È molto negativo, molto negativo per la gente. Non vogliamo che l'Europa cambi così tanto”.
L’oggetto della disputa è la sanzione amministrativa di 120 milioni di euro (equivalenti a 140 milioni di dollari) irrogata da Bruxelles per presunte violazioni del Digital Services Act (DSA), la normativa comunitaria sui servizi digitali. L’indagine, protrattasi per due anni, ha accertato condotte ingannevoli legate al sistema di verifica “Blue Checkmark”, carenze nella trasparenza dell’archivio pubblicitario e il rifiuto di garantire ai ricercatori l’accesso ai dati pubblici.
Il Capo della Casa Bianca ha bollato la sanzione come “disgustosa”, pur precisando che, al momento, Elon Musk non ha richiesto il suo intervento diretto sulla vicenda. Trump ha inoltre anticipato di attendere un rapporto dettagliato sull’azione dell’UE nel corso della giornata, esprimendo scetticismo sulle sue basi giuridiche: “Non vedo come possano farlo”.
La reazione transatlantica non si è limitata alla diplomazia. Lo stesso Musk ha respinto con veemenza la decisione, definendola “assurda” e sottolineando come il gravame finanziario colpisca anche lui personalmente. In una dichiarazione dai toni aspri, il magnate ha suggerito di indirizzare le proteste non solo verso le istituzioni comunitarie, ma anche verso i funzionari responsabili, arrivando a invocare la necessità di “abolire” il blocco comunitario.
Dal canto suo, l’Unione Europea ha difeso la propria azione attraverso la Commissaria per la Tecnologia, Henna Virkkunen, la quale ha ribadito che la sanzione è “proporzionata” e ha respinto qualsiasi accusa di censura, rigettando le critiche statunitensi che vedono nella norma un attacco alle imprese tecnologiche americane.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 21:00:00 GMT
di Arnaldo Lomuti
Siamo l’ultima delle colonie, la più serva, al pari della nostra stampa e del nostro governo.
Prima o poi la verità viene a galla, le bugie vengono scoperte e le azioni (soprattutto quelle sbagliate) hanno delle conseguenze, proprio come i nodi nei capelli che, se non sciolti, vengono inevitabilmente alla luce quando ci si pettina, rendendo necessaria una soluzione.
Sorvolando sulla visita di Fassino alla Knesset (non per denunciarne i crimini ma per elogiarne il modello democratico), se dovessi commentare il disegno di legge a prima firma Delrio, la prima cosa che mi viene in mente sono i nodi che prima o poi vengono al pettine.
Partiamo dal titolo: “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto all'antisemitismo e per il rafforzamento della strategia nazionale per la lotta contro l'antisemitismo nonché delega al governo in materia di contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme online” che tradotto sarebbe “recepire la definizione di antisemitismo”. Una definizione che non è da costruire perchè una enunciazione c’è già, quella della International holocaust remembrance alliance (IHRA) e che a parere di molti critici ed esperti di diritto, renderebbe inquisibili anche le critiche politiche allo Stato di Israele e al suo governo.
Nella sostanza, rispetto ai crimini commessi ai danni dei palestinesi da’ Netanyahu e dal suo Governo, con questa norma oggi avremmo mezzo parlamento italiano imbavagliato e l’altra metà avrebbe una buona scusa per far tacere la propria coscienza.
Non solo, la questione palestinese ha portato in piazza centinaia di migliaia di cittadini fino ad allora delusi e disaffezionati.
La disaffezione alla politica in Italia è palpabile, con un calo della partecipazione tradizionale (comizi, cortei) e con l’aumento di influencer che diventano punti di riferimento politici.
In un momento di depressione politica evidente, nelle principali città italiane (e non solo), il popolo è sceso in piazza in sciopero e ha manifestato per la Palestina. Circa un milione il 5 ottobre a Roma.
La pensata di Delrio è una dichiarazione aperta di ostilità verso l’enorme mobilitazione che attraverso manifestazioni di massa, ha chiesto il cessate il fuoco e lo stop alla vendita di armi a Israele. Con un'opinione pubblica sempre più attenta alla situazione e alle ingiustizie percepite, milioni di donne e uomini hanno chiesto un maggiore impegno umanitario per la palestina.
I dati rilasciati dalle Nazioni Unite sono sconcertanti ed evidenziano una situazione estremamente critica delle condizioni di vita e un bilancio di vittime elevato: si registrano infatti oltre 234.000 persone tra morti e feriti. Negli ultimi due anni un bambino ogni 52 minuti è stato ucciso (oltre 20.000) e quasi un terzo dei decessi totali riguardano minori di 18 anni. Esprimiamo cordoglio e condanne, ma restiamo complici di un sistema di guerra che disumanizza un intero popolo.
Cosa c’è di antisemita in queste denunce?
L'attivismo si manifesta con richieste di giustizia, condanna delle ipocrisie e pressioni politiche, che riflettono una coscienza diffusa sui temi.
Torniamo in Italia. La proposta di Delrio segue a quelle identiche di Lega, con Massimiliano Romeo, e Italia Viva, Ivan Scalfarotto. Tutte e tre vogliono un AGCOM manganellatore e scuole e università censurate. Ma quella di Delrio fa discutere più di tutte perchè fa riemergere le spaccature del PD.
C’è una nota stonata, qualcosa che non torna ciclicamente quando c’è di mezzo Israele.
Dalla presenza di parlamentari italiani alla Knesset, alle leggi bavaglio lanciate come bombe a mano dalla trincea approssimativa dell’antisemitismo.
La carneficina di Israele su Gaza prosegue con il cordoglio delle massime rappresentanze politico-istituzionali.
Condanniamo Netanyahu (prossimo alla grazia Herzoghiana), ma continuiamo firmare contratti, a spedire armi, a mantenere accordi di cooperazione con uno Stato i cui vertici perpetrano crimini contro la popolazione civile.
Sono certo che sarebbe inutile spiegare a Delrio che difendere i diritti dei palestinesi non significa odiare gli ebrei. Lui e i suoi lo sanno benissimo.
Inutile significargli che anche quando è scomodo, bisogna prendere posizione contro una guerra di sterminio e che uscire dalle confort zone per rifiutare le logiche del “due pesi e due misure” è propedeutico a non svilire la nostra democrazia. Queste cose lasciamole ai sovranisti peracottari nostrani che ci stanno abituando, proprio loro, a obbedire alle influenze esterne a partire da Israele. Siamo l’ultima delle colonie, la più serva, al pari della nostra stampa e del nostro governo.
"Il sostegno all'Ucraina e il rafforzamento della preparazione della difesa europea. Sappiamo tutti cosa c'è in gioco e sappiamo che non c'è più tempo da perdere".
Con un post su X, il presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha dichiarato di aver comunicato con la famigerata coalizione dei volentorosi che oggi si riuniva con Zelesnky a Londra.
This afternoon, we had a meeting of the Coalition of the Willing. I updated President @ZelenskyyUa and leaders present on two key priorities - support for Ukraine and increasing European defence preparedness.
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 8, 2025
We all know what is at stake and we know we do not have any more time…
"Conosciamo l'impatto devastante delle nostre sanzioni sull'economia di guerra della Russia. Insieme ai nostri alleati, l'Europa ha i mezzi e la volontà di aumentare la pressione sulla Russia affinché si sieda al tavolo dei negoziati", ha continuato Ursula mistificando una realtà che vede la Russia avanzare sul terreno ogni giorno, il suo presidente essere accolto con tutti gli onori in India e i paesi membri dell'UE studiare uno scippo che non si fece nemmeno con la Germania nazista per armare (e per le tasche degli oligarchi ucraini) Kiev per qualche mese.
Dopo aver ammesso che la proposta di prestito per l'Ucraina è "complessa" - secondo quanto riferito da POLITICO l'Italia si impegnerebbe per oltre 25 miliardi di euro, una cifra superiore all'attuale finanziaria - Von der Leyen, senza citare il diniego avvenuto dalla BCE che si è rifiutata di prestare le garanzie sugli asset russi, spiega come la ragione sia quella di aumentare il costo della guerra per la Russia. "Continuiamo ad andare avanti con urgenza, attuando la nostra tabella di marcia di preparazione, la mobilità militare e i nostri progetti faro paneuropei. Mentre stiamo ancora esaminando i piani SAFE ricevuti dagli Stati membri, l'Ucraina è inclusa in 15 dei 19 piani presentati", ha proseguito.
LEGGI:
ESCLUSIVO POLITICO - Il Governo Meloni si impegnerebbe a garantire oltre 25 miliardi degli asset russi scippati
Da un lato, gli Stati Uniti che hanno decretato finito il conflitto: il piano strategico appena varato è chiarissimo nell'intenzione di riprendere le relazioni con la Federazione russa. Dall'altro, un'Unione Europea che continua indefessa la strada del suicidio collettivo "fino all'ultimo ucraino". L'esito della guerra è segnato, ma a Bruxelles si deve andare avanti per lo stridulo abbaiare dei chiwawa del Baltico e per salvare le poltrone a burocrati che hanno perso anche la dignità.
Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha dichiarato che l'Unione Europea si sta preparando a dichiarare guerra alla Russia nel 2030.
“Nubi scure incombono sull'Europa. Bruxelles si prepara alla guerra con la Russia e c'è già una data prevista per l'inizio delle ostilità: il 2030”, ha scritto il politico sui suoi canali social.
Secondo le sue parole, “l'obiettivo dichiarato del programma di riarmo avviato da Bruxelles” è quello di prepararsi al conflitto armato.
Orban ha precisato che lo stesso anno scade il termine per il processo di adesione accelerata dell'Ucraina all'Unione Europea. Nel frattempo, il trattato del blocco comunitario “stabilisce che ‘in caso di attacco armato contro il territorio di uno degli Stati membri, gli altri Stati membri sono tenuti a fornire tutto l'aiuto possibile a tale Stato’”, ha sottolineato.
“Pertanto, l'adesione all'UE di un'Ucraina in guerra provocherebbe una guerra immediata”.
In questo contesto, il politico ha ribadito che le elezioni parlamentari che si terranno in Ungheria nel 2026 “potrebbero essere le ultime in cui potremo davvero decidere sulla questione della guerra e della pace”. “Se prendiamo una decisione sbagliata nel 2026, alle prossime elezioni, nel 2030, sarà troppo tardi per correggerla. Non è un gioco. Chi vuole la pace, si unisca a noi!”, ha sottolineato.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 17:08:00 GMT
Una scelta che provoca ripudio e indigna. L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2024 all’oppositrice golpista venezuelana Maria Corina Machado alimenta forti polemiche, trasformando il riconoscimento in un campo di battaglia e in uno strumento per raggiungere bend eterminati obiettivi geopolitici. A Oslo, un’alleanza di organizzazioni norvegesi per la solidarietà internazionale scenderà in piazza martedì per ripudiare pubblicamente la decisione del Comitato Nobel, accusandola di tradire lo spirito del testamento di Alfred Nobel e di legittimare pericolose ingerenze militari in America Latina.
Il motivo della contestazione, guidata da personalità come Gro Standnes della Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà, è molto chiaro: un premio concepito per promuovere la convivenza e il dialogo non può essere conferito a figure che sostengono azioni belliche e violazioni del diritto internazionale. “Quando il premio va a un politico che appoggia interferenze militari e azioni contrarie al diritto internazionale, si spezza il suo scopo stesso”, afferma Standnes. Un concetto ribadito con forza da Lina Alvarez, del Comitato Norvegese di Solidarietà con l’America Latina, che mette in guardia dall’accettare l’uso del Nobel per avallare le minacce e le operazioni militari statunitensi nella regione. “Gli interventi militari degli USA non hanno mai portato pace o prosperità”, sottolinea Alvarez, ricordando le recenti azioni in acque caraibiche che hanno causato decine di vittime.
I contestatori indicano in Machado non un simbolo di pace, ma un’attivista di estrema destra che ha esplicitamente invocato un intervento armato contro il Venezuela, sostenuto le dure sanzioni economiche statunitensi e coordinato azioni destabilizzanti e golpiste in collaborazione con gli USA. Il fatto che l'oppositrice venezuelana abbia dedicato il premio al presidente degli Stati Uniti Donald Trump - proprio mentre Washington conduce operazioni definite come esecuzioni extragiudiziali - è una circostanza che conferma questa pericolosa deriva. La polemica internazionale su Machado include anche le sue posizioni sul conflitto israelo-palestinese, avendo il suo partito siglato un accordo di cooperazione con il Likud del genocida israeliano Benjamin Netanyahu.
Maria Corina Machado, the would-be US puppet leader of Venezuela, formally requested that the apartheid state responsible for this destruction come and “liberate” her country
— Max Blumenthal (@MaxBlumenthal) December 2, 2025
“The struggle of Venezuela is the struggle of Israel,” she declared pic.twitter.com/blYddrjfiD
Dall’altra parte dell’oceano, il presidente venezuelano Nicolás Maduro esulta invece per una diversa mobilitazione globale. Attraverso i suoi canali, definisce “straordinario” e “storico” il sostegno raccolto durante la recente Giornata Mondiale di Solidarità contro l’aggressione statunitense nel Mar dei Caraibi. Ringrazia per le marce di protesta in numerosi paesi contro le sanzioni unilaterali e condanna ciò che chiama il tentativo imperiale di scatenare una guerra per impadronirsi delle risorse energetiche e minerali del Venezuela. “¡Venezuela no está sola!”, proclama, in un messaggio di resistenza che risuona in tutta la regione.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 16:22:00 GMTVisualizza questo post su Instagram
Mentre il dibattito internazionale si intensifica sul futuro della sicurezza nell’Indo-Pacifico, immagini satellitari esclusive ottenute dal quotidiano Global Times rivelano un’accelerazione senza precedenti dei lavori militari giapponesi sull’isola di Mageshima, situata strategicamente all’imbocco dello Stretto di ?sumi. L’isola, fino a poco tempo fa disabitata e acquisita dal governo giapponese nel 2019 per 16 miliardi di yen, si sta rapidamente trasformando in quella che Pechino definisce un’“portaerei inaffondabile”, progettata esplicitamente per contenere la Cina e prepararsi a un eventuale coinvolgimento nella questione di Taiwan.
Le immagini satellitari scattate da satelliti commerciali cinesi tra maggio 2024 e settembre 2025 mostrano un cambiamento drammatico: da un territorio quasi intatto a un vasto cantiere militare. È ormai visibile una pista di volo lunga circa 2.000 metri, depositi di munizioni, serbatoi di carburante, un molo temporaneo per navi da guerra e tutta l’infrastruttura necessaria a supportare operazioni aeree e navali complesse. Secondo fonti del ministero della Difesa giapponese, la base servirà in tempo di pace per addestrare i caccia F-35, F-15 e F-2, inclusi i velivoli imbarcati F-35B. In caso di conflitto, Mageshima diventerebbe una piattaforma logistica e operativa chiave per le Forze di autodifesa giapponesi e per le forze statunitensi stanziate in Giappone.

L’obiettivo strategico, ammesso apertamente da Tokyo, è rafforzare la “difesa offensiva” delle isole sud-occidentali, in risposta a presunte “capacità militari avanzate” di Paesi vicini, tra cui la Cina. Tuttavia, analisti cinesi non nascondono la loro preoccupazione. Zhang Junshe, esperto di questioni militari, definisce la base di Mageshima un passo fondamentale nella preparazione del Giappone a una possibile interferenza nella questione di Taiwan. “L’isola è pensata per controllare lo Stretto di ?sumi, bloccare il passaggio della Marina cinese e fungere da trampolino per attacchi con F-35B verso la costa orientale cinese”, le sue parole.
Zhang va oltre, paragonando la strategia giapponese alle tattiche di “island hopping” utilizzate dal militarismo nipponico durante la Seconda guerra mondiale. “Oggi Tokyo, allineandosi al concetto statunitense di operazioni distribuite, si riarma in modo incompatibile con lo spirito della Costituzione pacifista e con la Dichiarazione di Potsdam, che vieta al Giappone di riarmarsi per scopi bellici”.
Le preoccupazioni cinesi si inseriscono in un contesto politico sempre più teso. Il nuovo primo ministro giapponese, Sanae Takaichi, ha suscitato ampie critiche internazionali per le sue dichiarazioni provocatorie sulla questione di Taiwan, considerata da Pechino parte inalienabile del proprio territorio. Nel frattempo, il Giappone sta schierando missili antinave Type 12 e missili terra-aria Type 03 su isole come Ishigaki e Yonaguni, quest’ultima a soli 150 chilometri dalle coste taiwanesi.
Di fronte a questa escalation, la Cina non nasconde la sua determinazione. “Quest’anno ricorre l’80° anniversario della vittoria nella Guerra di Resistenza contro l’aggressione giapponese e del recupero di Taiwan”, ha ricordato Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese. “La Cina non permetterà mai che forze esterne mettano le mani su Taiwan, né tollererà il ritorno del militarismo giapponese”.
L’analista militare Zhang Junshe ha sottolineato che, in caso di intervento giapponese nella questione di Taiwan, “l’Esercito Popolare di Liberazione ha mezzi più che sufficienti per neutralizzare queste cosiddette ‘portaerei inaffondabili’”. La parata militare del 3 settembre 2025, tenuta per celebrare l’anniversario della vittoria nella Seconda guerra mondiale, ha mostrato al mondo missili ipersonici terrestri, marittimi e aerei, capaci di colpire con precisione obiettivi fortificati come Mageshima. “Non spareremo il primo colpo”, ha dichiarato Zhang, “ma non concederemo al Giappone neanche la possibilità di sparare il secondo”.
Parallelamente, Pechino respinge con fermezza le accuse mosse da Tokyo su presunti atti provocatori da parte della Marina cinese. In una conferenza stampa tenuta, il portavoce del ministero degli Esteri Guo Jiakun ha definito “deliberatamente fuorvianti” le affermazioni giapponesi secondo cui aerei imbarcati cinesi avrebbero illuminato con radar caccia delle Forze di autodifesa. “Le nostre esercitazioni rispettano pienamente il diritto internazionale”, ha ribadito Guo, accusando i jet giapponesi di aver violato lo spazio aereo adibito alle esercitazioni cinesi, conducendo operazioni di sorveglianza ravvicinata per poi presentarsi come vittime. “Chiediamo al Giappone di smettere immediatamente di diffondere disinformazione e di interferire con le nostre attività militari legittime”, ha concluso.
In un momento di crescente tensione regionale, le mosse del Giappone rischiano non solo di destabilizzare l’equilibrio nell’Asia orientale, ma anche di riaprire ferite storiche mai del tutto rimarginate. La Cina, dall’altro lato, sembra decisa a non lasciare spazio a tentativi di revisionismo storico o a nuove minacce alla propria sovranità. Tra passato e futuro, il Pacifico occidentale si conferma una polveriera geopolitica dove ogni scelta strategica ha conseguenze globali.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 15:34:00 GMT
Le aziende di difesa israeliane hanno proposto sistemi d'arma a decine di paesi europei e asiatici, sottolineando il loro ruolo nell'attacco di Israele contro i palestinesi a Gaza.
Lunedì e martedì si è svolta la Settimana israeliana della tecnologia della difesa, sponsorizzata in parte dal Ministero della Difesa del Paese e dall'Università di Tel Aviv.
Secondo il Wall Street Journal, è stato mostrato almeno un video dell'evento in cui si vedono due droni d'attacco israeliani schiantarsi contro un edificio a Gaza, prima che si alzassero colonne di fumo.
La guerra di Israele contro Gaza è iniziata dopo l'attacco del 7 ottobre 2023 guidato da Hamas contro il sud di Israele, che ha causato la morte di circa 1.200 persone. Israele ha lanciato una feroce risposta che ha causato la morte di oltre 70.100 palestinesi, in quello che decine di esperti di diritti umani, leader mondiali, storici e le Nazioni Unite hanno definito un genocidio. Ogni giorno si continua a morire a causa delle violazioni del cessate il fuoco da parte di Israele.
Tuttavia, l'evento di difesa di Israele ha attirato oltre 2.000 partecipanti, anche provenienti dall'estero.
La loro partecipazione all'evento israeliano ha dimostrato quanto fosse superficiale quella censura.
Ad esempio, il governo del Regno Unito ha vietato ai funzionari israeliani di partecipare alla principale fiera delle armi del Paese, a Londra. Il governo ha dichiarato in un comunicato che ai funzionari israeliani non sarebbe stato consentito di partecipare a causa del continuo attacco del Paese a Gaza. Decine di aziende israeliane produttrici di armi legate al governo hanno comunque potuto partecipare.
Questa settimana, i funzionari dell'ambasciata britannica hanno visitato l'evento, esaminando i sistemi d'arma e la tecnologia militare israeliani commercializzati, in parte, in base al loro ruolo negli attacchi di Israele a Gaza e in Libano.
L'ambasciata britannica in Israele ha confermato al WSJ che i suoi funzionari hanno partecipato all'evento.
Un altro esempio è la Norvegia, i cui funzionari hanno partecipato alla fiera delle armi.
Ad agosto, il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo, aveva annunciato di aver disinvestito dal produttore americano di attrezzature edili Caterpillar Inc. e da cinque banche israeliane a causa delle violazioni dei diritti umani a Gaza.
Il consiglio esecutivo del fondo da 1,9 trilioni di dollari ha dichiarato di aver deciso di disinvestire da tutte e sei le entità, seguendo il parere del suo consiglio etico, che ha affermato che tutte "contribuiscono a gravi violazioni dei diritti degli individui in situazioni di guerra e conflitto".
Tuttavia, secondo il WSJ, all'evento hanno partecipato anche funzionari norvegesi. Il fondo sovrano è di proprietà del governo, ma è gestito in modo indipendente dalle decisioni politiche.
Crollo della popolarità globale, aumento delle esportazioni di armi
La popolarità di Israele è crollata dopo la guerra a Gaza. Un sondaggio pubblicato da Pew a giugno ha mostrato che, dall'Italia al Giappone, la maggior parte delle persone nel mondo ha ora un'opinione negativa di Israele.
Questo cambiamento si è verificato anche negli Stati Uniti, dove è particolarmente evidente tra i giovani che si identificano sia a sinistra che a destra nella politica americana.
Un sondaggio Pew di aprile ha rilevato che i giovani repubblicani, ovvero quelli sotto i 50 anni, sono ora più propensi ad avere un'opinione negativa di Israele, con il 50% dei sondaggi che scommette in quella direzione. Il sostegno a Israele tra gli elettori democratici era già inferiore prima del 7 ottobre 2023.
Ciononostante, i governi di tutto il mondo hanno dimostrato un forte interesse per l'equipaggiamento militare israeliano.
Secondo il Ministero della Difesa israeliano, nel 2024 le esportazioni di armi israeliane hanno raggiunto il massimo storico di 14,7 miliardi di dollari, con un forte aumento degli accordi con gli stati arabi.
Circa il 57 percento degli accordi firmati nel 2024 erano "mega-accordi" del valore di almeno 100 milioni di dollari ciascuno, ha affermato il ministero in una dichiarazione rilasciata a giugno, aggiungendo che i "risultati operativi" nella guerra a Gaza hanno spinto la domanda.
Le vendite ai paesi arabi che hanno firmato accordi di normalizzazione con Israele, denominati Accordi di Abramo, sono aumentate dal 3% nel 2023 al 12% lo scorso anno. Ma l'Europa è stata il principale acquirente, rappresentando il 54% delle esportazioni lo scorso anno.
Questa settimana, Israele ha simbolicamente consegnato il suo sistema di difesa missilistica a lungo raggio Arrow 3 all'Aeronautica Militare tedesca durante una cerimonia presso una base aerea a sud di Berlino. L'acquisto da parte di Berlino dell'intercettore missilistico per 4 miliardi di euro (4,6 miliardi di dollari) è stato il più grande accordo di esportazione di prodotti per la difesa nella storia di Israele. La vendita era stata originariamente firmata nel settembre 2023.
Molti paesi dell'Europa orientale e centrale si stanno riarmando, dopo la guerra in Ucraina. A luglio, la Romania ha annunciato che avrebbe acquistato un sistema di difesa aerea da 2 miliardi di dollari dalla società israeliana Rafael.
Più vicino alla regione, la Grecia ha acquistato equipaggiamento militare israeliano per milioni di dollari. Nonostante la sua storica vicinanza ai palestinesi, Grecia e Israele hanno avviato una partnership negli ultimi anni, spinti dalla comune preoccupazione per la Turchia.
Il parlamento greco ha approvato giovedì sera l'acquisto di 36 sistemi di artiglieria missilistica PULS da Israele per un valore di 757,84 milioni di dollari, ha riportato Reuters.
(Traduzione de l'AntiDiplomatico)
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 10:00:00 GMT
L'organismo di controllo della Corte penale internazionale (CPI) ha respinto le richieste degli Stati Uniti affinché la corte abbandoni le indagini sui crimini di guerra israeliani e modifichi il suo trattato istitutivo per impedire l'azione penale contro cittadini di paesi che non riconoscono la giurisdizione della corte, seondo quanto rivelato da Middle East Eye.
In una dichiarazione rilasciata mercoledì dopo la riunione annuale tenutasi all'Aia all'inizio di questa settimana, l'Assemblea degli Stati parti (ASP) si è impegnata a sostenere l'integrità dello Statuto di Roma e ha ribadito di essere "gravemente preoccupata" per le minacce e le misure coercitive che prendono di mira la corte.
L'incontro si è svolto all'ombra delle sanzioni statunitensi già imposte a numerosi alti funzionari della CPI, tra cui giudici e il procuratore capo Karim Khan.
I diplomatici intervenuti a margine dell'evento hanno riferito a MEE che l'amministrazione Trump aveva cercato di esercitare ulteriori pressioni sulla CPI in vista della riunione dell'ASP, chiedendo alla corte di abbandonare le indagini sui crimini di guerra in Palestina e Afghanistan come condizione per la revoca delle sanzioni.
Gli Stati Uniti hanno inoltre invitato gli Stati membri a modificare lo Statuto di Roma per vietare i procedimenti giudiziari contro cittadini di Stati non firmatari, una mossa che avrebbe di fatto garantito l'immunità ai cittadini americani e israeliani. Un emendamento di tale natura porrebbe inoltre fine all'indagine sull'Ucraina sui presunti crimini di guerra commessi dalla Russia, paese non membro della CPI.
Un diplomatico di alto rango, che ha parlato con MEE a margine della riunione dell'ASP, ha affermato che la dichiarazione finale adottata all'unanimità era una "versione raffinata" di proposte meno inequivocabili avanzate il mese scorso per cercare di placare l'amministrazione Trump.
"Questa dichiarazione è un buon compromesso che trasmette un messaggio forte: gli Stati sostengono la Corte", ha detto a MEE il diplomatico, membro dell'ASP, a condizione di anonimato.
Altri hanno sostenuto che se avessimo inviato un forte messaggio di unità e di sfida alle sanzioni statunitensi, queste sarebbero state immediatamente istituite.
"Quindi, si sono detti, perché non aprire la porta al dialogo? Chi proponeva questa soluzione non stava necessariamente dicendo 'accettiamo di emendare', ma stava cercando di dire: 'non chiudiamo tutte le porte alla possibilità di dialogo, apriamo la porta agli emendamenti'".
Il testo dell'ultima dichiarazione dell'ASP conteneva un unico riferimento al dialogo con i non membri, "per garantire che la Corte continui a essere un'istituzione giudiziaria efficace e indipendente".
Un simile riferimento è stato ritenuto dai redattori coerente con la missione della Corte, ha affermato il diplomatico.
"Il dialogo con le parti non statali è importante, ma dipende dall'oggetto del dialogo", ha aggiunto il diplomatico, sottolineando che lo scopo del dialogo dovrebbe essere principalmente quello di invitare altri stati a unirsi alla corte.
"Non prevediamo un dialogo che riguardi un cambiamento dell'orientamento generale della corte o qualcosa che possa comprometterne l'indipendenza", hanno aggiunto.
"C'è una crescente consapevolezza che qualsiasi emendamento allo Statuto di Roma volto a placare coloro che chiedono sanzioni contribuirebbe a distruggere la Corte più delle sanzioni stesse", ha affermato il diplomatico. "Molti Stati ritengono che ci sarebbero poche ragioni per rimanere all'interno della Corte se ciò accadesse".
"O combattiamo o moriamo. O nuotiamo o affondiamo. C'è la determinazione di nuotare controcorrente."
MEE ha contattato il Dipartimento di Stato americano per un commento.
Contromisure
La riunione dell'ASP, composta dai rappresentanti dei 125 paesi che hanno ratificato lo Statuto di Roma istitutivo della CPI, si è svolta in un momento di minacce senza precedenti alla Corte, provocate principalmente dalle indagini su Israele per presunti crimini di guerra a Gaza e nella Palestina occupata.
Le sanzioni hanno preso di mira anche i giudici che hanno lavorato alle indagini sull'Afghanistan, che dal 2021 hanno perso la priorità nelle indagini sui cittadini statunitensi, concentrandosi invece sui cittadini afghani.
I giudici della CPI stanno attualmente esaminando un ricorso israeliano alla propria giurisdizione sulla situazione palestinese, e un altro ricorso israeliano, depositato il 17 novembre, mira a squalificare il pubblico ministero per presunta mancanza di imparzialità. Khan è in aspettativa volontaria da maggio in attesa di un'indagine condotta dalle Nazioni Unite sulle accuse, che lui nega fermamente.
Da febbraio, l'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha imposto sanzioni finanziarie e sui visti al procuratore capo, ai suoi due procuratori aggiunti, a sei giudici, al relatore speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina e a tre ONG palestinesi.
Gli Stati Uniti hanno anche minacciato sanzioni contro la corte stessa.
Le sanzioni hanno stravolto la vita quotidiana dei nove funzionari della CPI, hanno impedito loro di recarsi negli Stati Uniti e li hanno di fatto tagliati fuori da gran parte del sistema finanziario globale, anche in Europa.
Nel frattempo, i funzionari della CPI hanno confermato che la corte sta implementando contromisure per proteggersi dalle sanzioni, ma tali misure rimarranno riservate per garantirne l'efficacia.
La dichiarazione adottata dall'ASP questa settimana ha denunciato l'uso di misure coercitive, comprese sanzioni, contro funzionari eletti o coloro che collaborano con la Corte, comprese le organizzazioni della società civile. Tuttavia, non è stato fatto alcun riferimento agli Stati Uniti.
La sessione dell'ASP si tiene quasi un anno dopo che i giudici della CPI hanno emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della Difesa Yoav Gallant per una serie di accuse incentrate sull'uso della fame come arma di guerra a Gaza dall'ottobre 2023. È stata la prima volta nella storia della corte che i mandati di arresto hanno preso di mira funzionari alleati dell'Occidente.
La decisione presa lo scorso anno dal procuratore capo della corte Khan di richiedere mandati di cattura ha provocato minacce nei suoi confronti e nei confronti della corte da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati, tra cui il Regno Unito.
MEE ha rivelato quest'estate che il 23 aprile 2024, mentre Khan si preparava a presentare domanda di mandato per Netanyahu e Gallant, l'allora ministro degli esteri britannico David Cameron minacciò in una telefonata con il procuratore che il Regno Unito avrebbe tagliato i fondi e si sarebbe ritirato dalla CPI se la corte avesse emesso i mandati.
Anche i funzionari della CPI sono stati sottoposti a pressioni e minacce straordinarie da parte di funzionari statunitensi nell'ultimo anno. In un incontro virtuale con i funzionari della CPI nel maggio 2024, il senatore repubblicano statunitense Lindsey Graham ha minacciato sanzioni contro di loro se Khan avesse richiesto i mandati di cattura.
Allo stesso modo, il consigliere legale del Dipartimento di Stato americano Reed Rubinstein ha avvertito a luglio che "tutte le opzioni restano sul tavolo" a meno che non vengano ritirati tutti i mandati di arresto e le indagini sui presunti crimini di guerra israeliani.
"La corte è indipendente"
Ma i diplomatici, i giudici e gli esperti che hanno parlato con MEE questa settimana hanno escluso che la CPI abbandonerà l'indagine o che le minacce degli Stati Uniti costringeranno a porre fine alle indagini sulla Palestina o sull'Afghanistan.
"Ci sono cose che non rientrano nella competenza degli Stati parte. La Corte è indipendente da noi in quanto Stati parte", ha affermato un diplomatico.
"Ecco perché non vedo come le decisioni prese dal tribunale possano essere revocate."
Un esperto senior della CPI ha inoltre escluso che i giudici della CPI avrebbero accettato la contestazione di Israele.
"È più probabile che Israele rispetti il ??cessate il fuoco piuttosto che la Camera d'appello invalidi i mandati di arresto", ha affermato l'esperto con sarcasmo.
Anche tre giudici sanzionati, parlando con MEE questa settimana a margine dell'ASP, hanno confermato che non si lasceranno scoraggiare dalle sanzioni.
Gli Stati Uniti e Israele non sono Stati parte dello Statuto di Roma, il trattato che ha istituito la CPI all'Aia nel 2002.
Entrambi gli Stati si sono opposti all'indagine della Corte sulla situazione in Palestina, avviata per la prima volta dal precedente procuratore della CPI Fatou Bensouda nel 2021.
La giurisdizione della corte si basa sull'adesione dello Stato di Palestina allo Statuto di Roma nel 2015. Di conseguenza, la corte può indagare su individui israeliani per crimini commessi nella Palestina occupata, che comprende la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Ma Israele e gli Stati Uniti hanno contestato la giurisdizione della corte, affermando di non riconoscere la Palestina come Stato e che Israele è nella posizione migliore per indagare su se stesso, in base al principio di complementarietà stabilito dall'articolo 17 dello Statuto di Roma.
I due Paesi hanno inoltre respinto la giurisdizione della corte, sulla base dell'articolo 12 dello Statuto di Roma, sostenendo che la corte non dovrebbe avere giurisdizione sui loro cittadini perché non hanno ratificato il trattato.
La CPI è l'unica corte internazionale permanente al mondo con il potere di perseguire alti funzionari per crimini internazionali. Attualmente sta indagando su una dozzina di casi, tra cui Palestina, Ucraina, Afghanistan, Darfur (Sudan), Libia, Repubblica Democratica del Congo e Filippine.
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 10:00:00 GMT
Il segretario alla Guerra degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha eluso domenica le domande dei giornalisti su quanto gli Stati Uniti siano vicini a lanciare attacchi di terra in Venezuela, nel contesto dell'aggressione di Washington contro la nazione caraibica.
Mentre parlava con la stampa sul red carpet prima della cerimonia di premiazione del Kennedy Center, al capo del Pentagono è stato chiesto quanto gli Stati Uniti siano vicini a compiere attacchi di terra nel paese bolivariano.
????Al capo del Pentagono è stata posta una domanda su un attacco al Venezuela, e questa è la sua reazione: "Quanto siamo vicini a un attacco di terra al Venezuela, signor Segretario?", ha chiesto un giornalista a Pete Hegseth. https://t.co/y4xHXmcUnB pic.twitter.com/dkq9Wz1XXY
– RT en Español (@ActualidadRT) 8 dicembre 2025
"Quanto siamo vicini a un attacco di terra contro il Venezuela, signor Segretario?" ha chiesto un giornalista, ma non ha ricevuto risposta, poiché Hegseth si è allontanato dalla stampa senza replicare. Quando la stessa domanda è stata ripetuta, l'ha ignoata di nuovo, parlando con i partecipanti all'evento.
In precedenza, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva promesso in diverse occasioni che Washington avrebbe iniziato a combattere i presunti cartelli della droga sulla terraferma, allo stesso modo in cui lo fa in mare.
In questo contesto, ha specificato che tali attacchi di terra sarebbero stati condotti contro "chiunque" producesse droga e la vendesse agli Stati Uniti. "Se entrano attraverso un determinato Paese o qualsiasi Paese, o se pensiamo che stiano costruendo fabbriche per, che si tratti di fentanil o cocaina. [...] Ma sì, chiunque lo faccia e la venda al nostro Paese è soggetto ad attacco. Non necessariamente solo il Venezuela. No, non solo il Venezuela, no", aveva minacciato Trump.
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:30:00 GMT
Secondo un'analisi del giornalista del Financial Times Martin Sandbu, l'Unione Europea (UE) ha trovato una clausola nei suoi trattati istitutivi che le consente di prendere decisioni senza il consenso unanime di tutti gli Stati membri, il che le consentirebbe di congelare i beni russi a tempo indeterminato anziché rinnovare la procedura ogni sei mesi .
Mercoledì la Commissione europea (CE) ha presentato due programmi di finanziamento pluriennali per l'Ucraina: l'emissione di debito sui mercati con una garanzia del bilancio dell'Unione e un cosiddetto "prestito di riparazione" garantito da beni sovrani russi congelati nel territorio dell'UE.
Secondo Politico , lo stanziamento proposto per Kiev ammonterebbe a 165 miliardi di euro (192 miliardi di dollari) finanziati con asset russi: 25 miliardi di euro (29 miliardi di dollari) da conti bancari privati ??nei paesi dell'UE e 140 miliardi di euro (162 miliardi di dollari) dal depositario belga Euroclear, dove è depositata la maggior parte degli asset russi.
In alternativa, la CE ha proposto di concedere all'Ucraina un prestito finanziato con fondi del bilancio dell'UE, ma l'Ungheria ha bloccato questo piano.
Dopo aver analizzato il nuovo pacchetto legislativo dell'UE, l'autore dell'articolo conclude che, "nella migliore delle ipotesi", ciò consentirebbe all'Unione di conservare per sempre le scorte russe sequestrate
Scappatoia legale
L'analista sostiene che, finora, il rischio è che "le sanzioni vengano rinnovate all'unanimità ogni sei mesi , poiché una sola capitale, Budapest ad esempio, potrebbe garantire a Mosca il rinnovato accesso alle riserve e smantellare l'intera struttura". In questo caso, sottolinea, la possibilità di aggirare il veto dell'Ungheria, o di qualsiasi altro Paese, costituirebbe una "presa di potere molto aggressiva", e la sua base giuridica verrebbe probabilmente contestata in tribunale.
Tuttavia, le nuove leggi mirano a cambiare questa situazione e Bruxelles ha già trovato un articolo nei Trattati UE che, in caso di gravi perturbazioni economiche, le consentirebbe di adottare misure senza l'unanimità. La legislazione propone di usare questo pretesto per congelare i fondi russi a tempo indeterminato fino a quando non verrà presa una decisione proattiva analoga per revocare il blocco.
Inoltre, il FT sottolinea che la cosiddetta iniziativa del "prestito di riparazione" non comporta la confisca dei beni russi in quanto tali, ma piuttosto il fatto che le banche europee stanno prestando forzatamente fondi all'UE senza interessi.
"A seguito di vari investimenti delle sue riserve valutarie, la Banca Centrale Russa vanta un credito nei confronti di alcuni istituti finanziari dell'Unione. Questi istituti finanziari hanno l'obbligo di rimborsare la Banca Centrale Russa, ma il divieto di trasferimenti alla Banca Centrale Russa impedisce attualmente a tali istituti di soddisfare tale credito [...]", cita il regolamento UE. "Quell'attivo della Banca Centrale Russa – e, di conseguenza, l'obbligo di rimborso dell'istituto finanziario – non verrà toccato ", sottolinea.
Chiarendo questa clausola del regolamento, l'esperto sottolinea che "nessuno sta utilizzando in alcun modo i beni della Russia " e "non vengono prestati né all'UE né all'Ucraina".
Inoltre, Sandbu ha sottolineato che i contribuenti dell'UE finiranno per finanziare un prestito o una sovvenzione all'Ucraina se l'UE non riuscirà a costringere Mosca a pagare. "A meno che non ci sia la volontà di costringere la Russia a pagare, i contribuenti dell'UE finiranno per finanziare un prestito (o una sovvenzione) dell'UE a Kiev", ha sottolineato.
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:30:00 GMT
Il leader ucraino Volodymyr Zelensky non ha ancora preso visione della bozza dell'accordo di pace con la Russia preparata dagli Stati Uniti, ha lamentato domenica il presidente americano Donald Trump.
Durante un evento al John F. Kennedy Center for the Performing Arts, il presidente ha risposto a una domanda sui prossimi passi da compiere dopo i colloqui di pace svoltisi durante la settimana.
??????Trump è "deluso" perché Zelensky "non ha letto" la sua proposta di pace. "Il suo popolo la adora. Ma lui non l'ha letta", ha detto il presidente degli Stati Uniti. https://t.co/4yDHpH9zUR pic.twitter.com/Ouz23aJx3K
– RT en Español (@ActualidadRT) 8 dicembre 2025
"Devo dire che sono un po' deluso dal fatto che il presidente Zelensky non abbia ancora letto la proposta", ha commentato Trump.
Ha chiarito che questa informazione risale a poche ore fa e ha osservato che il popolo ucraino "ama" il piano di pace e che "la Russia è d'accordo ".
"La Russia è d'accordo. Tuttavia, non sono sicuro che Zelensky sia d'accordo", ha affermato.
"Alla sua gente piace molto. Ma lui [Zelenski] non l'ha letto. Quindi un giorno dovrai spiegarmelo, Jeff", ha risposto a un giornalista.
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.
Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:30:00 GMT
di Federico Giusti
1) erosione del potere di acquisto e perdita del potere contrattuale
In Italia negli ultimi anni abbiamo perso potere di acquisto mentre in ogni altro paese europeo i salari crescevano. Ci sono comunque differenze tra settori produttivi, ad esempio nella manifattura si è perso meno potere di acquisto di quanto avvenuto nella Pubblica amministrazione ove registriamo i salari più bassi in assoluto (ultimo contratto perdita di quasi il 12% di potere di acquisto)
Stando ai dati Istat non solo si perde potere di acquisto ma ci si allontana sempre più dalla tenuta dei salari rispetto al costo della vita
Poi al resto pensa il fisco non più equo e progressivo a cui aggiungere la natura precaria della occupazione, i contratti part time sono in continua crescita (e le responsabilità sindacali sono evidenti) come anche l’occupazione tra gli over 50 .
Gli investimenti negli ultimi 30 anni al netto del PNRR sono stati inadeguati, la quota di capitali indirizzata ai profitti è cresciuta a discapito della dinamica salariale e dei processi innovativi almeno in alcuni settori. E allo stesso tempo le disuguaglianze salariali sono cresciute a dismisura senza alcun controllo e freno da parte dei contratti nazionali e della stessa azione da parte sindacale.
2) la domanda interna depotenziata e i meccanismi salariali e contrattuali causa della caduta verso il basso delle buste paga
La domanda interna sostiene la dinamica salariale e anche gli investimenti e lo sviluppo, ebbene la erosione dei salari ha indebolito anche la capacità di spesa. Ove cresce la produttività il costo del lavoro resta decisamente indietro e di conseguenza anche i salari. Cresce la produttività nelle imprese a partecipazione pubblica per fare un esempio e a vantaggio dei dividendi non certo dei salari. Una delle proposte avanzate dalla Cgil è inserire l’aumento della produttività direttamente nei ccnl ma prima di ogni altra azione dovremmo intanto potenziare il potere contrattuale, rivedere i meccanismi che assegnano aumenti contrattuali al di sotto del costo della vita reale, eliminare ogni deroga peggiorativa, eliminare il codice Ipca sostituendolo con automatismi effettivi dei salari al costo della vita.
3 il lavoro povero
Oggi un lavoratore povero può anche avere un contratto a tempo indeterminato, povero è anche chi supera il 60% del salario mediano ma la sua busta paga è la sola presente in una famiglia numerosa. Poi ci sono i part time ormai dominanti in interi settori produttivi (ad esempio negli aeroporti, nel verde, nei beni culturali) che non arrivano a metà mese e avranno un domani delle pensioni da fame. Se poi guardiamo alla Pubblica amministrazione siamo in perdita salariale da anni, almeno da 25 anni, la stagnazione retributiva a seguito della crisi del 2008 si va a sommare alla impennata dei prezzi determinata dalla guerra per finire con i contratti nazionali siglati al massimo ribasso. E fermo restando che tra i vari comparti ci sono fin troppe sperequazioni, oggi un dipendente pubblico in Italia guadagna il 30% in meno di un collega tedesco e francese, Ma il vero lavoro povero è nel privato e in particolare negli appalti e nei subappalti, nel mondo delle cooperative.
4) la repressione aziendale
Quanto sta avvenendo in alcuni supermercati italiani è emblematico: sono fatti di cronaca di cui si parla sulla stampa nazionale ma ormai i giornali sono sempre meno diffusi. Se andiamo nei luoghi di lavoro è ormai una rarità trovare qualche giornale che non sia una testata sportiva e locale, il crollo delle vendite dei quotidiani va di pari passo con la crisi della militanza sindacale e politica. Quindi tanti avranno sentito parlare dei fatti ma da qui ad avere una idea precisa degli avvenimenti corre grande differenza.
Non solo negli ipermercati ma in tanti posti di lavoro si applicano tecniche di controllo asfissianti che poi conducono a contestazioni disciplinari, sanzioni e licenziamenti: il personale viene accusato del mancato rispetto dei canonici doveri aziendali. I motivi addotti sono i più disparati e sovente anche pretestuosi: merce esposta in modo non consono dalle indicazioni aziendali, informazioni raccolte dall’utenza sull’operato di singoli lavoratori, contestazioni di mancata sorveglianza a qualche dipendente che poi deve controllare più file e non è oggettivamente responsabile di un eventuale furto. E poi i ritardi sui quali pesano i tagli dei servizi pubblici, il caro parcheggio.
Storie di ordinaria repressione o, se vogliamo, di normale pratica padronale? Le condizioni di vita e di lavoro nel settore del commercio si sono deteriorare nel corso del tempo, basterebbe ricordare quando, anni or sono, il sindacato fu fin troppo arrendevole verso le domeniche lavorative o verso la esternalizzazione di innumerevoli attività ad agenzie interinali che operano sovente dietro le quinte, in orari notturni e disagiati, con contratti e paghe inferiori. Quando siamo arrendevoli alla fine il conto viene presentato e i compromessi del passato si mostrano per quelli che sono ossia l’inizio della fase decadente del sindacato accumulando sconfitta dopo sconfitta.
Altro aspetto rilevante è poi rappresentato dai codici di comportamento aziendali, dall’obbligo di riservatezza, dai codici etici, supporti insostituibili per operare verso i salariati in termini repressivi e preventivi per incutere paura e rassegnazione. Sono argomenti salienti sui quali il sindacato non solo non ha operato una valutazione critica ma si è addirittura piegato a logiche padronali che andavano invece comprese prima e poi debitamente avversate
Nel corso degli anni sono avvenute trasformazioni rilevanti nella organizzazione degli ipermercati, ad esempio le casse automatiche con una operatrice che deve controllare 78 postazioni, aiutare gli utenti nella corretta digitalizzazione dei prodotti (ad esempio la cassa attende autorizzazione per l’acquisto di prodotti alcolici), distribuire buste e accertarsi che l’acquisto delle stesse sia incluso nello scontrino. Insomma, una mole di lavoro impossibile per singoli dipendenti, contestare qualche addebito con le croniche carenze di personale diventa fin troppo facile. Siamo andati in visita a numerosi ipermercati, nei discount l’addetto alla cassa nei momenti di minore affluenza può essere spostato agli scaffali, questa estrema flessibilità di personale accresce i carichi di lavoro, rende meno accurata la prestazione e può dare adito con estrema facilità a provvedimenti disciplinari. La flessibilità poi riduce gli organici e annulla ogni differenzia tra le varie mansioni spingendo le dinamiche salariali al ribasso.
5) il test del carrello ultima invenzione padronale
E per chiudere il famigerato “test carrello”, ossia un ispettore aziendale che occulta volutamente della merce dentro altre confezioni per poi contestare al cassiere di non avere prestato la dovuta attenzione recando un danno economico alla azienda. E da qui partono sanzioni e licenziamenti
Avete capito bene? Prendiamo un giorno del mese di dicembre con file interminabili alle casse, poco personale, oggetti fuori posto tra gli scaffali, un lavoro alla catena vero e proprio, trovarsi un oggetto di piccole dimensioni occultato dentro una confezione più grande. Se il lavoratore dovesse controllare ogni oggetto ci sarebbero file interminabili e subito arriverebbero contestazioni dell’utenza all’esercizio commerciale che si ripercuoterebbero sul dipendente attraverso sanzioni e contestazioni di addebito.
Il cassiere non può controllare ogni pacco ma nonostante l’oggettiva impossibilità, con il test del carrello, viene licenziato dall’azienda. Questo, in estrema sintesi, quanto è accaduto
E invece di accrescere gli organici alle casse o al bancone, invece di predisporre personale nella gestione degli scaffali (gli addetti di solito devono svolgere più mansioni contemporaneamente) si preferiscono gli ispettori preposti al controllo dell’operato dei singoli lavoratori con il trucco del carrello. Ci sembra evidente che la scelta di alcune aziende sia quella repressiva, invece di rimettere in discussione le modalità di gestione del personale e dei servizi si cerca solo il capro espiatorio che poi è sempre il dipendente, la classica “ultima ruota del carro”
Siamo davanti a situazioni inaccettabili e a un vero e proprio ricatto da respingere con forza. Teniamo conto che dopo anni alle celle frigo o alle casse insorgono malattie professionali che limitano le mansioni e potrebbero alla occorrenza anche rappresentare motivo di licenziamento. I sindacati contestano che tra i lavoratori colpiti ci sono fragili, beneficiari della 104, anziani prossimi alla pensione e con numerose prescrizioni. Se tutto ciò venisse confermato saremmo davanti ad una situazione ancora più grave. Urge quindi fare chiarezza ed esprimere la nostra solidarietà alla forza lavoro dei supermercati, quanto accade loro oggi presto farà scuola per noi tutti.
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Data articolo: Mon, 08 Dec 2025 09:00:00 GMT