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News lantidiplomatico.it

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IN PRIMO PIANO
Oltre la propaganda: il dialogo silenzioso tra Washington e Caracas

La conferma, arrivata a bordo dell’Air Force One, è stata tanto secca quanto strategica: “La risposta è sì”, ha detto Donald Trump ai giornalisti che chiedevano se avesse parlato con Nicolás Maduro. Nessun dettaglio, nessuna concessione alla curiosità mediatica. Ma quel “sì” basta per indicare una svolta: un canale diretto tra Washington e Caracas, aperto mentre nel Mar dei Caraibi si intensifica il dispositivo militare statunitense e cresce la tensione per le denunce venezuelane di esecuzioni extragiudiziali. Secondo il New York Times, il colloquio - avvenuto circa dieci giorni fa - è stato “corretto” nei toni. Maduro, intervenendo a Petare (quartiere di Caracas), ha confermato la versione: una conversazione “rispettosa e cordiale”, da pari a pari. Nessun ultimatum, nessuna retorica muscolare. E soprattutto, nessun elemento che giustifichi le ricostruzioni iperboliche della stampa occidentale, intenta da settimane a dipingere scenari di minacce imminenti o condizioni imposte unilateralmente dalla Casa Bianca.

Il presidente venezuelano ha rivendicato un approccio di diplomazia silenziosa, maturato negli anni da ministro degli Esteri di Chávez: “Quando ci sono cose importanti, in silenzio devono essere”. Una lezione che stride con l'abitudine di molti media a colmare l’assenza di informazioni con supposizioni utili solo a orientare l’opinione pubblica. La reazione del mondo politico venezuelano è stata durissima: Diosdado Cabello ha ridicolizzato la narrativa dell’opposizione e dei media occidentali, ricordando che nessuno conosce i contenuti reali della telefonata. Il contesto è però tutt’altro che disteso. Caracas denuncia l’“aggressione illegale” rappresentata dall’annuncio statunitense sul presunto “blocco” dello spazio aereo venezuelano e le 22 operazioni letali compiute dalle forze USA in mare aperto, che avrebbero causato almeno 83 morti dal 2 settembre.

Il Parlamento venezuelano ha avviato un’inchiesta, denunciando violazioni del diritto internazionale e dell’ONU. Washington, finora, non ha fornito prove che colleghino le imbarcazioni colpite al narcotraffico. Ma la telefonata, pur fragile e preliminare, rivela una dinamica più profonda: l’emergere di una diplomazia statunitense meno ideologica e più transazionale, in linea con la postura multipolare che l’amministrazione Trump sta costruendo su vari dossier. Se gli Stati Uniti possono negoziare direttamente con Mosca sul conflitto ucraino, possono anche aprire uno spiraglio con Caracas, soprattutto in un momento in cui la retorica dell’intervento militare coesiste con l’esigenza di ridurre conflitti e costi imperiali.

Maduro l’ha detto chiaramente: “Gli Stati Uniti sono stanchi di guerre eterne”. Ed è proprio questo il punto. In un mondo in cui le nuove potenze si affermano e il peso dell’Occidente si decentra, la Casa Bianca sembra consapevole che i vecchi paradigmi di isolamento e minaccia non funzionano più. La telefonata non annuncia un disgelo immediato, ma segnala un adattamento geopolitico: gli Stati Uniti trattano, anche con chi fino a ieri definivano “nemico”. La diplomazia del XXI secolo, quella che si muove sotto traccia mentre i media inseguono narrazioni prefabbricate, viaggia così: con conversazioni riservate, senza ultimatum, tra attori che comprendono di essere già dentro un ordine mondiale multipolare, che piaccia o meno a Washington.


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Data articolo: Sat, 06 Dec 2025 06:00:00 GMT
OP-ED
Andrea Zhok - L'epoca del Virtue Signalling


di Andrea Zhok*

Oggi il Teatro Grande Valdocco di Torino ha negato la sala, preventivamente noleggiata, al prof. Angelo D'Orsi che insieme al prof. Alessandro Barbero e ad una pluralità di altri intellettuali avrebbero dovuto dar vita all'evento "Democrazia in tempo di guerra. Disciplinare la cultura e la scienza, censurare l'informazione".

Simultaneamente si è infiammata ulteriormente la polemica per la presenza della casa editrice "Passaggio al Bosco" alla kermesse libraria "Più libri, più liberi" di Roma. Dopo Zerocalcare oggi è la volta di Corrado Augias ad annunciare la propria assenza dalla manifestazione per protesta contro il fatto di aver dato ospitalità ad una casa editrice di estrema destra.

Questi due eventi hanno qualcosa di profondo in comune, qualcosa, vorrei dire, di epocale. Per metterlo in evidenza bisogna fare due osservazioni, la prima intorno alla temperie ideologica e la seconda intorno allo stile.

Sul piano ideologico, osserviamo innanzitutto come i posizionamenti di autori come D'Orsi e Barbero da un lato e dell'editore "Passaggio al bosco" dall'altro non potrebbero essere più diversi. Essi hanno una sola cosa in comune: testimoniano di narrazioni divergenti rispetto al conformismo perbenista sedicente "liberaldemocratico" che domina i centri di potere e di informazione in tutta Europa.

Questo conformismo, originariamente nato come frutto del trionfo neoliberale, oggi è ideologicamente immensamente flessibile, annacquato, ma è tenuto assieme, più che da qualche idea definita, dall'identificazione "virtuosa" con le preferenze dei "ceti erogatori di prebende".

In sostanza, per quanto di principio questo groppo ideologico ritenga di far riferimento ad un certo impianto liberale e neoliberale (europeismo, atlantismo, liberismo, dirittumanismo, femminismo, scientismo, secolarismo, individualismo) in verità è straordinariamente disponibile a tutti gli aggiustamenti del caso, battendo i tacchi di volta in volta a favore della legge e dell'ordine o del libertarismo assoluto, della mano invisibile o dei "prestiti di guerra", dell'inclusivismo buonista o del bullismo ghignante.

Questa posizione ideologicamente fluida, tenuta assieme dai desiderata delle oligarchie paganti, ha un grande problema, e questo ci porta al secondo punto. Le "opinioni giuste" oggi non possono più fidarsi di essere coerenti con un paradigma, neppure liberale o neoliberale. Come nelle epoche più oscure della storia, non ci si può fidare del proprio intelletto o della ragionevolezza o del principio di non contraddizione per "pensare la cosa giusta" o almeno per essere esenti da rimprovero.

No, bisogna percepire con grande attenzione quali sono i desideri lassù in alto; bisogna continuamente giocare ad un gioco di rincorsa all'ultima "opinione buona", una rincorsa che potremmo chiamare di "conformismo estremista".

Bisogna tenere le antenne all'erta per capire se è il momento di dimostrarsi patriottici prestando il petto alle baionette nemiche, o di dimostrarsi anarconidividualisti nel perseguimento del proprio utile; se bisogna dimostrarsi empatici con l'oppresso o se è il momento di colpevolizzare le vittime per il mal che gliene incolse; se è il momento di venerare le regole o di denigrarle col saggio cinismo della Realpolitik, ecc.. E soprattutto, bisogna tenersi sempre all'erta per capire in quali contesti bisogna utilizzare un criterio di giudizio o invece quello opposto.

Vale tutto e dunque niente vale stabilmente.

Ora, l'unico modo per tenersi all'altezza di questo processo di sottile continuativa sintonizzazione verso la voce del padrone (le richieste del caporedattore, le circolari del dirigente, le valutazioni del ministero, ecc.) consiste nel lanciare costanti segnali della propria virtù, della propria ottemperanza, e di riceverne dagli altri.

Questa è l'essenza di ciò che gli americani chiamano "virtue signalling": l'esibizione costante di segni di appartenenza al gregge dei buoni, dei disponibili, della gente perbene, di tutti quelli che non discutono mai, ma al massimo aggrottano le sopracciglia.
 
Il teatro che non concede il palcoscenico ad un dibattito che protrebbe contestare la lettura oggi prevalente rispetto alla Russia non sta, ovviamente, mettendo in discussione quelle opinioni. Non le conosce, non gli interessa conoscerle, non sarebbe in grado di discuterle e non vuole discuterle. Sta solo lanciando un segnale alla propria catena di erogatori di prebende, un segnale che dice: "Ci siamo capiti, sono ottemperante, sono a disposizione."
La stessa cosa fanno i Zerocalcare, gli Augias et alii, con i loro proclami che ricordano tanto Ecce Bombo ("Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?"). Stanno segnalando alle loro catene (afferenti ai medesimi erogatori) che stanno dalla parte dei buoni, di chi sa come pensarla giusta, quelli di cui ci si può fidare, che non metteranno mai in imbarazzo i vertici della catena alimentare.

Naturalmente la sostanza del contendere è perfettamente pretestuosa. Chiunque abbia avuto un libro esposto in libreria sarà stato in compagnia di altri libri che considerava odiosi. Il punto non è mai la sostanza, ma la sceneggiata, la segnalazione.

L'essenza di questa ubertosa fioritura delle "segnalazioni di virtù" consiste nel rifiutare rigorosamente ogni discussione nel merito, ogni confronto su contenuti, ogni analisi materiale. Ci si conforma e ci si coordina tra quelli che la pensano bene, e che perciò possono continuare a ricevere becchime, e quelli che deviano o - Dio non voglia - si oppongono.

Fornire un diapason su cui sintonizzare le parole per chi "pensa bene" è, più o meno, l'unica funzione rimasta alle "grandi testate giornalistiche" che oramai
non vendono neanche per coprire le spese di riscaldamento.

E questo li aiuta a coprire le spese rimanenti.

*Post Facebook del 5 dicembre 2025


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Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 20:00:00 GMT
EXODUS
Gaza ha vinto sul campo, ma questa vittoria va protetta



L'editoriale di Radio Gaza di Michelangelo Severgnini


ASCOLTA QUI LA 15° PUNTATA DI RADIO GAZA

Oltre 300 vittime a Gaza della rappresaglia israeliana dall’inizio del cessate il fuoco, quasi 2 mesi fa. La macabra crudezza dei numeri ci racconta come queste vittime siano vittime di rappresaglia, perché non paragonabili alle oltre 70.000 vittime di 2 anni di foga genocidiaria israeliana.

Sia quel che sia, non c’è altro tempo da perdere: le forze internazionali devono entrare a Gaza, spingere le IDF oltre l’intero confine della Striscia ed interrompere la strage quotidiana di queste settimane. Poi si parlerà di disarmo di Hamas, ammesso ci sia qualcosa da parlare.

Questo è il motivo di questa rappresaglia: scoraggiare l’ingresso di forze internazionali.

Quando entreranno a Gaza?

I primi mesi del 2026, si dice. Sì, ma quali forze? Quante? 15mila, 20mila soldati. Giusti giusti gli effettivi di Hamas, insomma. 

L’Egitto prova a prendere l’iniziativa mentre sono in corso i preparativi per l'istituzione del quartier generale della Forza di stabilizzazione di Gaza (GSF) nella città di Arish, nel Sinai settentrionale, a soli 40 chilometri dalla Striscia di Gaza.

Altra questione scottante. La polizia palestinese da addestrare per la sicurezza interna a Gaza.

Ufficiali egiziani e giordani addestreranno l'avanguardia di un contingente di 10.000 poliziotti palestinesi che sarà inviato nella Striscia. Una volta schierati sotto l'egida delle GSF, queste reclute, provenienti da diverse comunità di Gaza, in teoria prenderanno il controllo delle strade da Hamas e garantiranno una certa sicurezza e ordine dopo due anni di genocidio israeliano.

“L'Egitto è stato meticoloso”, ha dichiarato il generale Mukhtar al-Ghabari, ex alto comandante dell'esercito egiziano. “Insistendo su una risoluzione vincolante del Consiglio di sicurezza dell'ONU per legittimare la forza e la sua struttura di comando, il Cairo ha avvolto l'intero progetto in un'armatura legale indistruttibile”.

Secondo al-Ghabari, l'ambizione dell'Egitto è quella di consegnare Gaza, intatta e pacificata, nelle mani dell'Autorità Palestinese, cosa che al Cairo non dispiacerebbe affatto, probabilmente.

Da parte sua, Hamas ha rifiutato di disarmarsi e rimane organizzato in gran parte della zona libera della Striscia, nonostante due anni di guerra genocida da parte di Israele. Il movimento ha criticato aspramente la risoluzione 2803, che ha legalizzato il GSF il 17 novembre, definendola “uno stratagemma per nascondere l'occupazione sotto le spoglie della tutela internazionale”. 

“Le armi della resistenza, ha sottolineato Hamas in una dichiarazione del 18 novembre, “sono legate al destino dell'occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gaza e oltre”.

Quindi, in poche parole, il disarmo è lungi a venire.

Allo stesso modo, le fazioni palestinesi, in una reprimenda unitaria, hanno insistito sul fatto che la GSF deve limitarsi alla protezione dei civili e alla facilitazione degli aiuti, senza poteri di polizia o di applicazione del disarmo, per non rischiare di diventare un “proxy dell’occupante”.

Ma torniamo alle forze internazionali. Pare che Israele stia facendo problemi rispetto al contingente turco. Mentre il Pakistan, attraverso il primo ministro Shehbaz Sharif, ha promesso di inviare militari, assicurando però che questi mai avranno come compito il disarmo di Hamas.

Insomma, Gaza non può aspettare.

Gaza ha vinto sul campo, ma questa vittoria va protetta. 

Se questo è il modo migliore non lo sappiamo. Ma se forze egiziane, turche, magari pakistane entrassero a Gaza, questo rappresenterebbe sicuramente una svolta epocale e una garanzia di sopravvivenza per i cittadini della Striscia.

Il resto si discute dopo.

Per esempio ne discuteremo questo sabato alle 18 in diretta sul canale YouTube dell’AntiDiplomatico quando terremo una visione in rete del quinto episodio del film in progress, “Gaza ha vinto”, seguita da un dibattito cui parteciperanno Loretta Napoleoni, Diana Carminati, Wasim Dahmash, insieme agli autori.

Di seguito alcune clip tratte dal documentario.

Vi aspettiamo sabato. Collegatevi a questo link. 



ASCOLTA QUI LA 15° PUNTATA DI RADIO GAZA


Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 19:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
L'ombra di Washington e il silenzio complice sulle elezioni in Honduras

C'è una grossa ombra sui risultati elettorali in Honduras, dove le accuse di un “golpe” elettorale si intrecciano con denunce di un’ingerenza straniera senza precedenti e del colpevole silenzio della comunità internazionale. A lanciare l’allarme è stato il consigliere del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) Marlon Ochoa, il quale in una conferenza stampa ha puntato il dito contro una manipolazione elettorale definita “la più grave della nostra storia”, superiore anche a quelle contestate nel 2013 e nel 2017.

Al centro della sua accusa vi è un atto “inedito” di interferenza: la pubblica chiamata del presidente degli Stati Uniti Donald Trump a votare per il candidato di destra Nasry Asfura in vista delle scorse consultazioni di domenica scorsa. Secondo Ochoa, si tratta di una “flagrante interferenza negli affari sovrani”, resa ancor più grave dal peso geopolitico di chi l’ha compiuta. Per illustrare l’assurdità della situazione, il consigliere ha proposto un parallelo immaginifico: che diremmo se la presidente honduregna Xiomara Castro pubblicasse un appello per influenzare le elezioni in un altro paese? Lo stesso si potrebbe dire se fossero arrivati appelli a favore di Rixi Moncada da parte di Putin o Xi Jinping.

La critica di Ochoa non si ferma alla Casa Bianca, ma investe direttamente le missioni di osservazione elettorale internazionale e il mainstream mediatico globale. Il consigliere ha denunciato una “assoluta ipocrisia”: i rapporti preliminari degli osservatori e centinaia di media internazionali avrebbero infatti descritto la giornata elettorale come “civica, pacifica e con un’alta dimostrazione di cultura democratica”, ignorando completamente quello che Ochoa definisce “l’elefante nella stanza”, ossia l’aperta intromissione di Trump. Questa omissione, secondo il funzionario, viola lo spirito della Carta Democratica dell’OSA e trasforma gli osservatori in “complici della usurpazione della volontà popolare”.

Il quadro tracciato da Ochoa è quello di un vero e proprio “golpe elettorale” in cui l’ingerenza straniera si somma a una serie di gravi irregolarità: acquisto di voti, intimidazioni ai danni di migliaia di persone e un sistema di trasmissione dei risultati preliminari (TREP) presentato come una “vera trappola”. Di fronte a questo scenario, il silenzio dei garanti internazionali e la narrazione rassicurante dei media mainstream appaiono al consigliere honduregno come una forma di complicità che soffoca la verità e tradisce la sovranità del suo paese.

Marlon Ochoa ha assicurato che continuerà a combattere all’interno dell’organo elettorale affinché la volontà popolare sia rispettata. La sua denuncia, tuttavia, pone interrogativi scomodi non solo sull’esito di queste elezioni, ma sul ruolo degli Stati Uniti in America Latina e sulla credibilità di quegli organismi e di quei media che dovrebbero vigilare sulla correttezza dei processi democratici, troppo spesso distratti quando le manipolazioni vanno nella direzione dei desiderata geopolitici di Washington.

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 17:11:00 GMT
OP-ED
The Unit dei BRICS

di Amarynth Sovereignista

 

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

 

Scrivo qui sotto un commento sul contenuto nel post di Pepe Escobar: Pepe Escobar: Come l'unità BRICS+ può salvare il commercio globale

 

Vorrei innanzitutto precisare che sono convinta che il lavoro di Pepe sia assolutamente corretto come gli è stato fornito. So anche che, senza una profonda conoscenza tecnica e un background in questo campo, e con tutto il rispetto per il nostro amico di lunga data Pepe, forse non aveva le conoscenze approfondite necessarie per porre alcune domande fondamentali.

 

Quindi, farò io ora queste domande. Permettetemi che queste domande non saranno del tipo "accademicamente validato", ma principalmente focalizzate su i temi seguenti:

 

1. Questa proposta sembra un progetto commerciale. Potrete vederla così anche voi alla fine di questo testo.

 

2. Questo progetto ha così tante tecnologie atlanticiste e occidentali che è discutibile se si tratti affatto dei BRICS. Potrete pensarla anche voi alla fine, ma sentitevi liberi di dimostrarmi che sbaglio, o anche solo in parte.

 

3. Se questo progetto rappresenta davvero la posizione dei BRICS nello sviluppo di un progetto tokenizzato, è profondamente deludente. Abbiamo qui un sacco di packaging che non convince una persona esperta in metodologie crittografiche. Il BRICS ha bisogno di una propria blockchain e non dovrebbe prevedere di operare su una blockchain commerciale come token. Non è l'ambiente in cui dovrebbero trovarsi i BRICS. È meschino e spregevole… e i token (trattati più avanti nella sezione dedicata alla nomenclatura) valgono più o meno quelle targhe vanitose personalizzate.

 

4. Qui non si trova una competenza tecnica di alto livello, e progetti di questo tipo richiedono tecnologi di peso e dei visionari di spicco con una profonda conoscenza del settore. Ci tratta qui, in sostanzia, di due aspetti: la tecnologia e la governance della blockchain, che includeranno la gestione dei costi. È un aspetto critico. E non sto usando il termine “critico” alla leggera. Se questi due aspetti non sono in equilibrio, il progetto fallirà, come dimostrano i numerosi progetti blockchain falliti nella breve storia di questa tecnologia. Vogliamo davvero che tutti i Paesi BRICS vengano bruscamente smantellati se Cardano improvvisamente crollasse? Come diavolo possiamo riporre la nostra fiducia in una blockchain esterna? È come affidarsi alla Citibank.

 

 

La nomenclatura

 

Chiamerò ogni singolo aspetto discreto del sistema un elemento (in realtà si tratta di un segmento, così come hanno segmenti i vermi) e chiamerò The Unit stesso un token, poiché questa è la nomenclatura corretta per un prodotto crittografico sia nei sistemi "Proof of Work" [metodo crittografico che dimostra lo sforzo computazionale richiesto è stato eseguito] che "Proof of Stake" [metodo di consenso blockchain basato sulla proprietà di criptovaluta]. La nomenclatura corretta ci aiuta a evitare l'esoterismo e il clamore del marketing. In effetti, la Unit Foundation lo chiama un token.

 

 

Cos'è The Unit?

 

Come descritto, non si tratta né di una stablecoin né di una criptovaluta. È comprensibile perché venga spiegato così, e serve a superare i pregiudizi e la diffidenza nella comunità in generale. La diffidenza verso la parola stablecoin esiste principalmente nella comunità occidentale. E allora perché riteniamo necessario menzionarlo nello specifico? Ci indirizziamo agli occidentali? Sono sicuro che l'E-CNY cinese non abbia questa connotazione di diffidenza e che The Unit non sia una "post-stablecoin". Infatti, la vera definizione di stablecoin è: una moneta stabile il cui prezzo è determinato utilizzando il prezzo dell'oro al momento e il tasso di cambio di una valuta o di un paniere di valute coinvolte al momento. Una stablecoin nel tradizionale è una moneta che ha un valore esattamente uguale alla vostra valuta. Una stablecoin in dollaro è legata al dollaro statunitense. L'E.CNY è legato al Renminbi cinese. Quindi, aggiungiamo l'oro. È triviale.

 

Ma The Unit non è una stablecoin, quanto un token. Un meccanismo di determinazione dei prezzi diverso non lo rende ciò che non è. E allora perché scherzare con i token?

 

Proprio come l'E-CNY cinese è un denaro elettronico peer-to-peer, un analogo del renminbi. Il token si adatta al processo di mining o conio sulla blockchain. Se questo non è accurato, forse dovremmo avere un nome che lo descriva tecnicamente.

 

Cioè – secondo la descrizione – conieremo dei token e li frutteremo con il metodo piggyback sulla blockchain Cardano, giusto? E perché viene menzionata specificamente "Ada"? Esiste un'interazione? Forse a livello dei costi? Sì – è la risposta e anche il problema. Allora si sviluppa la Blockchain di Cardano e si paga le transazioni tramite Cardano.

 

 

Il "libro bianco"

 

Consuetamente e correttamente, progetti come questo richiedono un "libro bianco" [un documento completo e dettagliato che funge da fondamento per un progetto crypto]. Ma il fatto che non abbiamo qui un libro bianco, in primo piano, mi dice che abbiamo a che fare con degli economisti e banchieri… e questo non basta per creare una blockchain tecnica. Non esiste alcuna competenza tecnica in questo progetto come viene descritto. Lo vediamo anche qui: sono state coniate 100 Unit (in forma di prova), e se si trova già a questo stadio di sviluppo, queste domande devono già avere delle risposte. In più, alcune delle informazioni che ci sono state fornite sono davvero discutibili. Eviterò gli aspetti più tecnici per rendere tutto il più comprensibile possibile per chi non ha una formazione tecnica in questo ambito.

 

Alla fine ho trovato una specie di "libro bianco", ma si chiama in effetti un “lite paper” [un breve rapporto che descrive una nuova tecnologia] - ed è davvero leggero come una piuma: https://wp.unitfoundation.org/assets/lightpaper_v17102025.pdf

 

Diamo ora un'occhiata a questa Unit Foundation e i suoi tre membri. Il primo, secondo loro, è i BRICS+, il secondo è l'Unione Economica Eurasiatica, e il terzo è l'Africa Occidentale e Centrale. Ma questi sono alla fine solo dei potenziali casi d'uso futuri e certamente non reali. Poi c'è un "direttore IA [virtuale]" e un vero direttore (almeno credo). L'intelligenza artificiale non può sostituire le competenze tecniche intelligenti e visionarie che dovrebbero avere una profonda conoscenza del settore e di questo campo. Bisogna rimboccarsi le maniche.

 

Tornando al "lite paper" apparentemente prodotta dall'International Research Institute for Advanced Systems (Irias). E dove si collocano loro? Cosa hanno fatto loro finora? Qualche pubblicazione, qualche evento… Non hanno degli esperti tecnici di alto livello in materia di blockchain, criptovalute o token. Esistono dal 1976 e sono composti da:

 

  • La Repubblica di Bulgaria — A. IVANOV, PhD, Rappresentante Permanente della Repubblica di Bulgaria nel Consiglio IRIAS.

  • Ungheria — Professor T. ASBOTH D.Ec, Vicepresidente del Consiglio ungherese del Movimento Europeo, Rappresentante Permanente dell'Ungheria nel Consiglio IRIAS.

  • La Repubblica di Cuba — RODRIGUEZ BATISTA, Vice Ministro della Scienza, Tecnologia e Ambiente della Repubblica di Cuba, Rappresentante Permanente della Repubblica di Cuba nel Consiglio IRIAS.

  • Mongolia — Professor S. TIMUR-OCHIR, Vice Ministro dell'Istruzione, della Cultura e della Scienza della Mongolia, Rappresentante Permanente della Mongolia nel Consiglio IRIAS.

  • La Federazione Russa — E. VELIKHOV, Membro Effettivo dell'Accademia Russa delle Scienze, Rappresentante Permanente della Federazione Russa nel Consiglio IRIAS, Presidente del Consiglio IRIAS.

 

Qui non c'è alcuna competenza tecnologica di alto livello, e il lite paper è davvero leggera. Anzi, è trasparente per ciò che non dice.

 

 

Il Come

 

La Unit Foundation (https://unitfoundation.org/) afferma: "Sfruttiamo le valute BRICS+ e l'oro in un ecosistema del Unit." A quanto pare, secondo questi geni, non è mai stato fatto prima. Per quanto ne so io, per quanto riguardano le valute, sì, non è stata fatta, tranne che con le stablecoin esistenti. Ecco una semplice pubblicità per 10 criptovalute sostenute dall'oro: La https://primexbt.com/for-traders/gold-backed-cryptocurrency/. Fare i calcoli è per un buon programmatore designer una cosa di poco conto. Ma teniamo presente che un Paese come El Salvador ha reso Bitcoin una valuta ufficiale e ha offerto incentivi per adottarlo. Anche la Repubblica Centrafricana. Dov'è ora quel numero relativo alla valuta?

 

Sono affermazioni come questa che mi dicono chiaramente che non c'è alcuna competenza tecnica del peso richiesto qui.

 

 

Andiamo ora a cercare il prezzo dell'oro e il valore della valuta in quel momento.

 

The Unit, al fine di poter stabilire il prezzo di una transazione commerciale, necessita del prezzo corrente dell'oro. Affermano di ottenerlo da qui: https://www.bullion-rates.com/

 

La sede centrale di questa società è indicata come: 800 N. King Street, Suite 304 1474; Wilmington, Delaware 19801; USA

 

Quindi questa è una di quelle società del Delaware (USA) che hanno sede in una suite. È così che appare una società virtuale. Ma, insomma, questi progettisti di The Unit hanno mai sentito parlare di Hong Kong?

 

Hanno anche bisogno di un valore valutario: https://www.xe.com/

 

Quindi BRICS utilizzerà XE, società quotata al Nasdaq con sede in Canada, che è essenzialmente un operatore di trasferimento di denaro. (Tenete pronti il vostro IBAN (Numero di Conto Bancario Internazionale) per assicurarvi che il trasferimento venga inviato alla destinazione giusta. Più occidentale di così non si può.

 

Il commento seguente non è adatto ai BRICS: "Persino JP Morgan ha ammesso che The Unit è 'forse la proposta di de-dollarizzazione più approfondita che esista nel settore delle transazioni transfrontaliere per i BRICS+'." Posso chiedere chi, all'interno di JP Morgan, ha fatto questa affermazione e dove si trova la competenza tecnologica necessaria per poterla fare?

 

Pertanto, il Presidente del Comitato di Lancio è Bilderberg. E una delle organizzazioni con cui stanno collaborando si trova a Bruxelles.

 

Con questo, non riesco nemmeno a trovare le parole…

 

 

Come influenzerà questa Unità l'intera infrastruttura BRICS? Cioè, cosa farà?

 

"Una volta che i token UNIT sono stati coniati e i nodi della rete sincronizzati, saranno completamente fungibili e potranno essere usati come qualsiasi valuta fiat: un semplice trasferimento da conto a conto utilizzando l'infrastruttura bancaria esistente dovrebbe essere sufficiente."

 

Esaminiamo più approfonditamente questo testo.

 

"nodi della rete" – quale rete? Cardano?

 

"infrastruttura bancaria esistente" – posso garantirvi che le banche nel posto dove mi trovo io non toccheranno questo coso nemmeno con un bastone lungo tre metri. È anche un'affermazione sbagliata che non voglio nemmeno approfondire qui. Ripeto, mancano competenze tecniche con una visione e una profonda conoscenza del settore – è evidente.

 

Ora potete dire: Beh, si tratta solo di un paio di tabelle di riferimento, una cosa di poco conto… Bene, e cosa succede se le tabelle dovessero scomparire? Cosa succede se tutto il commercio in tutti i paesi BRICS si fermasse bruscamente?

 

Permettetemi inoltre di non commentare troppo sulla fungibilità in questa fase. È corretto che un token, una moneta, deve essere fungibile. Ma, allora, cosa succede se Blackrock decidesse di irrompere sulla scena per acquistare tutte gli Unit disponibili?

 

 

La Blockchain Cardano

 

Alla fine, abbiamo quindi il BRICS che gestisce il suo Unit come token sulla blockchain Cardano. Quando l'ho letto per la prima volta, la mia risposta è stata: COME, SCUSA?

 

Cosa succede se The Unit perde la sua amicizia con Cardano? Cosa farà sì che la Blockchain Cardano non si comporti come un Volkswagen contro un razzo spaziale? Cardano sarà in grado di scalare il proprio ambiente token? Si è consapevoli del fatto che la scalabilità è uno dei problemi tecnici più difficili da risolvere? Qual è la transazione token più grande che Cardano abbia mai elaborato? Quali sono i parametri di riferimento rispetto all'attuale commercio tra Russia, Cina e Iran? Si avvicina anche solo lontanamente al commercio mondiale di Visa e Mastercard?

 

Qui lavoriamo con il commercio tra Russia e Cina, completamente in valute locali, e le cifre sono enormi. Qui lavoriamo con il commercio tra Russia e India, che è oltre il 90% in valute locali. Prevedo che Cardano fallirà clamorosamente se dovrà elaborare uno smart contract e una delle grandi transazioni moltiplicate per un certo numero di Paesi. Per darvi un'idea, la Cina ha realizzato il suo primo contratto intelligente anni fa, acquistando rame dall'Australia. Perché usiamo tecnologie occidentali che non si sono dimostrate efficaci in termini di transazioni di massa, mentre è la Cina chi possiede la tecnologia? Non ho nulla contro Cardano, ma Brasile gestisce PIX con molto successo. Abbiamo mai considerato PIX come base? Appartiene allo Stato brasiliano, e non a una società del Delaware… Cardano ha un volume giornaliero superiore a 1 miliardo di dollari. Questo è il volume di transazioni che è in grado di elaborare, perché non possiamo affermare che possa fare di più se non lo abbiamo visto, testato o confrontato con altri sistemi. Cosa succede se è necessario triplicare tale volume in poche transazioni significative? E perché, quando disponiamo già delle tecnologie interne nei Paesi BRICS?

 

A seguito di questa domanda: Qualcuno degli elementi, come spiegato, è proprietario o stiamo lavorando in open source? Spero di sì, ma se così non fosse, chi possiede gli elementi proprietari? Inoltre, chi sta sviluppando e programmando tali elementi e per chi?

 

Ecco l'ecosistema dei token Cardano – è roba da bambini: https://cryptorank.io/blockchains/cardano. Una rivoluzione non lo è.

 

 

Una raccomandazione di ferro

 

Fate il lavoro e sviluppate una blockchain per BRICS. Posizionatela in un'azienda tecnologica BRICS in un paese BRICS. Le blockchain sono tutte open source e rappresentano un inizio facile, dato il numero di iterazioni già fatte negli ultimi anni. Portate le competenze tecnologiche al livello necessario. Lasciate che la fondazione faccia un po' di lavoro. Create scambi alternativi in Eurasia. Quindi costruite una blockchain che sia priva di qualsiasi influenza occidentale. Solo allora potrete interagire tecnicamente con i Paesi occidentali, come interfacce e non come tecnologia determinante. Solo allora i Paesi BRICS, SCO, il Sud Globale e l'Occidente Globale potranno davvero commerciare in modo indipendente. Non dipendete dai sistemi bancari occidentali, credendo che “un giorno l'Occidente tornerà alla ragione”. Questo non dovrebbe essere un'opera atlantista.

 

C'è di più… e ho accennato solo a ciò che mi è rimasto in evidenza nel primo articolo, concentrandomi sulle questioni di governance. Sono convinta che i Michael Hudson di questo mondo possano smontare questo progetto dal punto di vista economico. The Unit, come previsto finora, fallirà se non verrà salvata ora, dato il materiale che abbiamo ora. Lo dico con assoluta convinzione, poiché il livello richiesto di competenza tecnologica è inesistente, così come lo è la governance. Un libro bianco ci vuole – e non un lite paper – per favore. Il costo – e sì, ce n'è uno – è un buco nero. La proprietà è un buco nero. Oppure anche The Unit dei BRICS registrerà una società virtuale nel Delaware?

 

Vorrei anche sapere se questa unità è così fungibile da poter essere scambiata, dove si trova il portafoglio? Questa è una domanda di prova che riguarda la proprietà custodita o non custodita e le questioni relative a Chi possiede cosa e Dove è conservato. Questa domanda definirà dove vengono conservato il denaro, ovvero i token Unità. Avete già parlato con il miglior block explorer [uno strumento online per vedere transazioni, blocchi e dati di wallet su una blockchain], che è un'azienda russa? Si chiama "Blockchair": https://blockchair.com/ Nikita, il progettista e sviluppatore di lunga data, è un tecnologo brillante e può subito consigliare con chi lavorare.

 

Non rinuncerete al vostro attuale progetto o non lo rivedrete perché non utilizza le risorse BRICS? Posso offrirvi alcune delle risorse tecniche più incredibilmente talentuose del pianeta. Una di queste è sposato con una russa, vive in Oriente, conosce il settore alla perfezione, è uno sviluppatore di grande talento, è in grado di gestire team di sviluppo ed è una cristiana ortodossa devoto. No, non lo creerà per voi, ma vi aiuterà a organizzare tutto e a mettere ordine nelle questioni di governance. Conosco anche un francese, ed è la stessa storia. Non lo creerà per voi, ma può aiutarvi a organizzare tutto. Il talento c'è, ma il pool di talenti veramente visionari è limitato… e voi non ne disponete.

 

È certamente un argomento vasto, e ho appena scalfito la superficie. Non ho esaminato la composizione di The Basket [Il Paniere] perché non è espresso con chiarezza. Come calcolate "le porzioni uguali delle principali valute BRICS: BRL, CNY, INR, RUB e ZAR"? ZAR ne ringrazierà i creatori proprio. Trovo anche qui un certo livello di mancanza di trasparenza.

 

Quelli di noi che si sono presi la briga di imparare questo ambiente sin dall'inizio, puntano alla trasparenza. Siamo assolutamente abituati a immergerci nel codice e valutarlo a livello granulare. È così che le risorse tecniche dei paesi BRICS inizieranno la loro analisi per decidere se partecipare o meno. Forse è una questione di tempistica, ma con un lite paper, questo livello di trasparenza dovrebbe essere visibile. E non lo è.

 

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 16:44:00 GMT
OP-ED
Con l’incontro Trump-Mamdani i socialisti e i trumpiani paiono (quasi) sulla stessa lunghezza d’onda


di Fabio Ashtar Telarico

L'immagine è sembra pensata per risultare assurda. Nello Studio Ovale, il presidente repubblicano in carica, che per mesi ha definito il sindaco eletto di New York un "comunista" e una minaccia per la repubblica, è ora al suo fianco e loda le sue idee "d’impatto" sull'edilizia abitativa e sui prezzi sotto un ritratto da poco riscoperto del presidente Franklin D. Roosevelt. Dall'altro lato del podio, un sedicente socialista, eletto con la promessa di rendere la più grande città americana "a prova di Trump", ringrazia lo stesso Trump per il tempo concessogli e parla con sincerità di come possano lavorare insieme per rendere New York accessibile.

Il sistema politico ha fatto del suo meglio per insistere sul fatto che questi due uomini appartengono a due estremi inconciliabili di una scena politica polarizzata. Nei mesi precedenti le elezioni municipali di New York, Trump ha messo in discussione la cittadinanza di Zohran Mamdani, definendolo "comunista" e "antisemita", e ha apertamente suggerito che avrebbe potuto essere arrestato se avesse mantenuto la sua promessa di sfidare le leggi federali sull'immigrazione. Il presidente ha anche minacciato di tagliare miliardi di dollari di finanziamenti federali a New York se gli elettori lo avessero comunque scelto. Inoltre, la mattina dell'incontro tra Trump e Mamdani, la Camera dei Rappresentanti ha persino approvato una risoluzione che denunciava "gli orrori del socialismo" in un attaco simbolico contro l'ideologia che Mamdani rivendica apertamente come propria. Da parte sua, Mamdani si è candidato e ha vinto come nemico di Trump, promettendo di opporsi ai raid dell’agenzia per l’immigrazione, di difendere gli immigrati e di usare il municipio per proteggere i newyorkesi dalle politiche del presidente.

Eppure, quando finalmente appaiono fianco a fianco, gran parte di quella tensione passa in secondo piano. Trump non apre con discorsi roboanti sulla legge e l'ordine o sulle guerre culturali, ma con un programma economico condiviso. "Abbiamo una cosa in comune", dice alle telecamere. "Vogliamo che questa nostra città che amiamo vada molto bene... molto forte in comune, come gli alloggi e la costruzione di alloggi. Il cibo e i prezzi, [... t]utto ciò che faccio sarà positivo per New York". Mamdani risponde allo stesso modo, inquadrando l'incontro intorno alle pressioni del costo della vita piuttosto che alla guerra ideologica:

La necessità di garantire l'accessibilità economica ai newyorkesi, gli otto milioni e mezzo di persone che chiamano la nostra città casa loro, che lottano per permettersi la vita nella città più costosa degli Stati Uniti d'America.

Elenca affitti, generi alimentari, utenze; Trump gli fa eco pochi minuti dopo con il suo mantra: "La cosa più importante è il costo della vita. La nuova parola del momento è 'affordability' [...] in altre parole, sono i generi alimentari".

Quella che a prima vista sembra una bizzarra tregua mediatica è in realtà molto più rivelatrice. La conferenza stampa rende esplicita una convergenza che si sta delineando nella politica americana da un decennio: il costante allineamento delle frange più estreme della sinistra e della destra attorno a un populismo economico comune e a una retorica anti-élite condivisa. Lo stesso Trump allude a questa lunga storia quando si vanta di aver conquistato nel 2016 molti elettori di Bernie Sanders perché d'accordo con lui su commercio, dazi e la sensazione che l'America fosse stata "derubata". Ora, in piedi accanto a un sindaco autodichiaratosi socialista, osserva con naturalezza che "molti dei miei elettori hanno effettivamente votato per lui"; un punto confermato da Mamdani, che cita la sua campagna elettorale tra i sostenitori di Trump, i quali gli hanno ripetuto più volte che la loro preoccupazione principale era "il costo della vita. Il costo della vita. Il costo della vita".

In definitiva, questo quadro dell'Ufficio Ovale è meno un'aberrazione che una cristallizzazione. Segna il momento in cui due politici che hanno passato mesi a denunciarsi a vicenda scoprono, in pubblico, di essere in competizione per lo stesso elettorato economicamente insicuro e sono pronti ad adottare un linguaggio sorprendentemente simile per farlo. L'uomo che ha cercato di trasformare il Partito Repubblicano come il "partito dell'accessibilità" ora si affida a un vocabolario che non sarebbe fuori luogo in un comizio socialista democratico. Il sindaco eletto la cui campagna prometteva il congelamento degli affitti, autobus gratuiti e tasse più elevate sui ricchi, sembra a suo agio nel parlare di regolamentazione semplificata e rapida costruzione di alloggi in termini che potrebbero tranquillamente trovare posto in un comizio elettorale di Trump.

 Accessibilità economica e alloggi: un programma economico condiviso

Fin dal primo minuto della conferenza stampa, entrambi gli uomini insistono sul fatto che la politica inizia con il prezzo della sopravvivenza a New York. Trump dice ai giornalisti che lui e Mamdani

hanno parlato di alcune cose che hanno in comune, come gli alloggi e la loro costruzione. Il cibo e i prezzi, [...] Tutto ciò che faccio sarà positivo per New York. Se riesco a far abbassare i prezzi, sarà positivo per New York.

Mamdani risponde sulla stessa linea: l'incontro, dice, riguardava

necessità di garantire l'accessibilità economica ai newyorkesi [...] che faticano a permettersi la vita nella città più costosa degli Stati Uniti d'America. Abbiamo parlato di affitti. Abbiamo parlato di generi alimentari. Abbiamo parlato di servizi pubblici.

Questa sovrapposizione non è puramente estetica. La campagna di Mamdani è stata costruita attorno a un programma esplicito di accessibilità economica: congelamento degli affitti, autobus gratuiti, ampliamento dei servizi di assistenza all'infanzia, negozi di alimentari gestiti dalla città e aumento del salario minimo, finanziati da un aumento delle tasse sulle società e sui ricchi. Da parte sua, Trump ha cercato di riposizionare i repubblicani come il "partito dell'affordability", vantandosi del calo dei prezzi dei generi alimentari e del carburante e riducendo il suo messaggio a una formula schietta: "Una cosa importante sui costi. La nuova parola è 'accessibilità economica'. In altre parole, si tratta semplicemente di generi alimentari".

È nel settore dell'edilizia abitativa che questo vocabolario condiviso si trasforma in un programma concreto. Trump afferma che il sindaco eletto

vuole vedere diminuire gli affitti [...] Penso che una delle cose che ho davvero capito molto bene oggi è che lui vorrebbe vederli diminuire, idealmente costruendo molti alloggi aggiuntivi. Questo è il modo migliore. Lui è d'accordo con questo, e anch'io. [... Lui] vuole vedere aumentare il numero di case. Vuole vedere la creazione di molte case, la costruzione di molti appartamenti, ecc. [...] la gente ne sarà scioccata, ma io voglio vedere la stessa cosa.

Mamdani va oltre gli slogan e descrive il sistema di tassazione immobiliare di New York come "così iniquo che non può nemmeno reggere in tribunale" e afferma che il suo programma per l'edilizia abitativa ha due pilastri:

non solo costruire più alloggi, ma anche garantire che la regolamentazione degli alloggi sia qualcosa di gestibile da attuare e non la causa di un'altra attesa che vediamo nella nostra città.

Quando un giornalista ostile lo accusa di pianificare "tasse sulla proprietà basate sulla razza", lui nega, ma non rinuncia al suo obiettivo di "un sistema fiscale equo [...] che tutti i newyorkesi possano permettersi".

Retoricamente, Trump tratta l'edilizia abitativa come un problema di offerta ed eccessiva regolamentazione: ridurre la "burocrazia", spingere le autorità locali ad aumentare la densità edilizia e lasciare che il settore privato costruisca per abbassare i prezzi. Il programma di Mamdani è incentrato sull'edilizia sociale, la giustizia fiscale e la tutela degli inquilini, con una semplificazione normativa utilizzata per accelerare l'edilizia pubblica e al di sotto del mercato piuttosto che semplicemente per liberare le mani dei costruttori. Ma quando parlano insieme, tutto ciò che si sente è semplicemente: più gru, più appartamenti, meno strozzature. Gli antagonismi tra proprietari e inquilini e tra ricchi e poveri che strutturano il mercato immobiliare della città gettano le basi per la promessa condivisa di "costruire" in modo che "gli affitti scendano".

È qui che diventa visibile una convergenza più profonda. Un socialista democratico che vuole una ridistribuzione aggressiva e il leader di un'ampia coalizione conservatrice che vuole la deregolamentazione e l'edilizia privata sono ora entrambi d'accordo sul fatto che lo Stato deve agire per cambiare il lato dell'offerta del mercato immobiliare. E deve farlo più rapidamente che mai. Per i centristi che per decenni hanno insistito sul fatto che il compito principale del governo era quello di "lasciar spazio" ai mercati, si tratta di un cambiamento silenziosamente radicale.

Elettorato condiviso: da Bernie a Donald e da Trump a Mamdani

Se la conferenza stampa ha un protagonista, non è nessuno dei due uomini sul podio, ma quella fetta di elettorato che si sposta da uno all'altro. Mamdani giustifica l'incontro con un presidente che ha definito "fascista" non in termini di dovere istituzionale, ma utilizzando i termini degli elettori che ha incontrato in prima persona. Racconta di aver chiesto ai newyorkesi che avevano votato per Trump perché lo avessero fatto; le loro risposte, dice, "vertevano consistentemente" su due temi: la fine delle "guerre infinite" e il peso delle spese quotidiane. Su quest'ultimo punto è volutamente ripetitivo: "Costo della vita. Costo della vita. Costo della vita". Gli elettori elencano "il costo della spesa, il costo dell'affitto, il costo della Con Ed e il costo dell'assistenza all'infanzia".

Trump, insolitamente, non contesta questa descrizione. "Ha detto che molti dei miei elettori hanno effettivamente votato per lui [...] e mi sta bene". Dietro la tipica retorica trumpiana, c'è il riconoscimento che una parte della sua base spesso apprezza i candidati democratico-socialisti. I sondaggi dopo la corsa di New York hanno fornito dati che lo confermano: circa il dieci per cento degli elettori di Mamdani ha sostenuto Trump nel 2024, e una percentuale simile degli elettori di Trump nel 2024 è passata a Mamdani nella corsa alla carica di sindaco. Si tratta di persone perlopiù giovani, generalmente meno abbienti, nettamente più diffidenti nei confronti dell'establishment di entrambi i partiti, affittuari nei quartieri periferici dove gli affitti e le bollette sono aumentati di più in proporzione sui salari.

Lo stesso Trump fornisce la genealogia di questa base elettorale. Nel bel mezzo dell'evento, senza imbeccata dei giornalisti, ricorda a tutti che quando Bernie Sanders si è ritirato dalle primarie democratiche del 2016, lui ha "raccolto molti dei suoi voti" e che i due erano d'accordo su più cose di quanto la gente pensasse. Soprattutto sul fatto che gli Stati Uniti fossero "derubati" dai partner commerciali e sull'uso dei dazi. La scienza politica e le analisi post-elettorali gli danno ragione: una parte non trascurabile degli elettori che scelsero Sanders alle primarie è passata a Trump nel novembre 2016, formando l’ormai familiare categoria degli "elettori Sanders-Trump": economicamente di sinistra, anti-establishment, ostili alla globalizzazione e alle guerre all'estero, e aperti sia a un socialista democratico che a un esponente della destra, purché promettano di sconvolgere lo status quo.

Il progetto di Mamdani è rivolto proprio a questi stessi strati sociali. Come Sanders, Mamdani si presenta come un ribelle contro la gerarchia del proprio partito. Come Sanders, propone un programma apertamente redistributivo e un'attenzione incessante ai costi della vita quotidiana. Gli elettori di Trump che gli dicono di volere il controllo degli affitti, autobus più economici e la fine delle "guerre infinite" sono varianti locali dell'elettorato che un tempo è passato da Sanders a Trump. Ciò che suggeriscono i dati di New York è che questo movimento non è più a senso unico. Il bacino di elettori animati principalmente da rivendicazioni economiche e sentimenti anti-élite è ora in gioco in entrambe le direzioni.

Per questi elettori, la linea di demarcazione principale non è "socialismo contro capitalismo" o "sinistra contro destra" in senso tradizionale. È tra coloro che possono vivere comodamente sotto l'attuale regime economico e coloro che non possono. Una persona che ha sostenuto Trump come presidente perché era l'uomo che avrebbe "riportato i posti di lavoro" e "messo fine alle guerre infinite" dovrebbe, se la logica regge, sostenere Mamdani come sindaco perché offre il congelamento degli affitti, autobus gratuiti e generi alimentari gestiti dalla città. Quando entrambi riconoscono con calma di condividere lo stesso elettorato, ammettono che le loro fortune politiche dipendono dalla loro capacità di convincere quella stessa base sociale che ha deciso le recenti elezioni e che potrebbe continuare a essere determinante nei prossimi decenni.

Politica estera: Qualcosa oltre alla fine delle "guerre infinite"?

In materia di politica estera, la distanza tra Trump e Mamdani è evidente a prima vista: un presidente che si vanta della "pace in Medio Oriente" e si allinea strettamente con Israele, e un sindaco eletto che ha accusato Israele di genocidio a Gaza e gli Stati Uniti di finanziarlo. Eppure, quando ciascuno di loro spiega ciò che vogliono i propri elettori, le conclusioni sono sorprendentemente simili. Le guerre all'estero sono troppo lunghe, troppo costose e troppo lontane; prosciugano il denaro dei contribuenti e distolgono l'attenzione dalle persone che lottano per pagare le spese quotidiane.

Mamdani lo dice chiaramente. Raccontando le sue conversazioni con i newyorkesi che hanno votato per Trump, dice di aver sentito "ripetere più volte" due ragioni: volevano "la fine delle guerre infinite" e volevano un alleggerimento del costo della vita. Le stesse persone che si lamentano del "costo dei generi alimentari, del costo dell'affitto, del costo della Con Ed [società fornitrice di servizi elettrici di New York], del costo del crescere un bambino" gli dicono anche che sono stanche di vedere "i nostri soldi delle tasse finanziare violazioni dei diritti umani" all'estero. Quando difende il suo linguaggio su Gaza, lo ricollega immediatamente alla situazione locale: se più di 100.000 scolari newyorkesi sono senza casa, sostiene, allora c'è un "bisogno disperato" di reindirizzare le risorse dalla guerra all'edilizia abitativa e alla dignità di base nella città.

Trump ricorre a un vocabolario diverso, popolato di pasta e di imminenti "accordi" sostenuti dalla "forza" dell'America e che porteranno al "disarmo" dei suoi avversari. Eppure, il presidente fa la stessa mossa. L'Ucraina, dice, è una guerra che "non avrebbe mai dovuto verificarsi" e che "non ci riguarda" al di là dell'orrore di vedere morire delle persone "dall'altra parte dell'oceano"; ciò che conta a livello interno è che lui ha "un modo per ottenere la pace". La sua critica di lunga data alle "guerre infinite" e allo scarso investimento dei partner NATO viene riproposta come una promessa di smettere di sprecare le risorse americane nei conflitti altrui, in modo che il Paese possa prosperare. Anche le sue osservazioni sulle infrastrutture energetiche sotto attacco in Ucraina sono inquadrate meno come un problema geopolitico che come un ulteriore punto di pressione sui prezzi e sui servizi pubblici.

Eppure, le linee di frattura sono sostanziali e profonde. Mamdani basa la sua posizione sui diritti umani e sulla solidarietà con la Palestina; Trump sulla gestione delle alleanze e su un nazionalismo transazionale "America First". Non sono d'accordo su Gaza, sull'Ucraina o su come dovrebbe essere una soluzione giusta. Ma a livello retorico, entrambi parlano come se il significato principale della politica estera per i loro elettori fosse una voce nella legge fiscale e un vincolo alla spesa interna. La promessa che risuona nelle loro basi molto diverse è semplice: porre fine alle "guerre infinite", smettere di investire denaro in crisi lontane e utilizzare le risorse dello Stato per rendere la vita nel Paese accessibile.

In questo senso, la politica estera nella conferenza stampa non è un ambito separato, ma un'estensione dello stesso populismo economico che struttura le loro argomentazioni sull'alloggio e sui generi alimentari. La guerra viene ricodificata come un altro modo in cui un establishment indifferente distribuisce male le risorse; la pace viene interpretata come un prerequisito per affrontare l'affitto, le utenze e l'assistenza all'infanzia. Il divario ideologico tra un anti-imperialista di sinistra e l'"America First" di destra rimane; ma ora parlano di quel divario in un linguaggio comune che considera i coinvolgimenti esteri come un ulteriore ostacolo alla sicurezza materiale della "gente comune".

L'eredità di FDR: colmare il divario tra la storia della sinistra e la reinvenzione della destra

Il momento più significativo della conferenza stampa arriva quando entrambi smettono di parlare di affitti e generi alimentari e iniziano a parlare di Franklin Delano Roosevelt. Il simbolismo è evidente. Un socialista democratico e un nazionalista repubblicano si stanno letteralmente allineando sotto la stessa immagine di Roosevelt, cercando ciascuno di rivendicarne l'eredità.

Mamdani evoca FDR per primo. Dice che durante il loro incontro ha "apprezzato" il ritratto di FDR appeso alla parete e

l'incredibile lavoro svolto con il New Deal e, inoltre, nel pensare a come [avere...] il governo federale e quello di New York City [che] lavorano insieme per garantire l'affordability [... p]uò essere trasformativo.

Trump trasforma immediatamente l'aneddoto in una storia su di sé:

Abbiamo un magnifico ritratto di FDR che ho trovato nei sotterranei, che era sparito da anni. L'ho trovato e l'ho appeso... quando il sindaco ha visto quel ritratto, ha detto: "Signore, le dispiace se faccio una foto davanti a quel ritratto?" [...] Quindi immagino che sia un grande fan del New Deal e di FDR.

Per Mamdani, FDR rappresenta un tipo particolare di Stato: uno Stato che riunisce il potere federale e il governo municipale per rendere accessibili gli alloggi, i trasporti e i beni di prima necessità. La sua campagna è già stata definita una sorta di "New York New Deal": congelamento degli affitti, edilizia popolare, autobus gratuiti, ampliamento dei servizi di assistenza all'infanzia, finanziati da tasse più elevate sulle società e sui ricchi. Per lui, invocare il New Deal è un modo per dire che un intervento pubblico aggressivo nell'economia non è utopistico, ma parte della storia stessa della città.

L'uso che Trump fa di FDR è più personale, ma punta nella stessa direzione. Si presenta come l'uomo che ha "trovato" il ritratto "scomparso" nei sotterranei della Casa Bianca e lo ha restaurato, inserendo Roosevelt nella sua mitologia dei presidenti “forti” e rivoluzionari. In precedenti dichiarazioni ha elogiato FDR come un leader "straordinario" e ha sottolineato l'importanza di curare la selezione dei presidenti da appendere nella Sala del Gabinetto; qui usa quella storia per segnalare che anche lui si colloca nella tradizione di una leadership nazionale forte piuttosto che in quella reaganiana del “governo minimo”. Il messaggio riguarda meno la previdenza sociale e più la scala dell’intervento federale nell’economia: grandi progetti, grandi investimenti, e il governo federale come agente di rinnovamento nazionale.

Nonostante il recente riggetto di FDR da parte della sinistra intellettuale e la lunga opposizione alle sue politiche da parte della destra, entrambi gli uomini non hanno problemi a utilizzarlo come simbolo per legittimare programmi molto diversi. Un sindaco socialista eletto che vuole tassare i ricchi, espandere i servizi pubblici e costruire alloggi sociali, e un presidente nazionalista che vuole deregolamentare l'edilizia, aumentare le tariffe e riaffermare l'"America First", entrambi ricorrono istintivamente a FDR piuttosto che, ad esempio, a Clinton o Reagan. Questo la dice lunga su dove si è spostato il baricentro. Il vecchio sospetto nei confronti di un governo attivista è più debole proprio sul terreno che entrambi condividono: accessibilità economica, sicurezza economica, lo Stato come garante che la "gente comune" non sia lasciata completamente in balia del mercato.

Fragile convergenza e nuove linee di faglie

Nonostante tutte le sovrapposizioni in materia di affordability, alloggi e "guerre infinite", persiste un certo grado di antagonismo ideologico. Mamdani non ritratta mai di aver definito Trump un despota con un "programma fascista" e, quando viene messo alle strette, ammette che "ci sono molti [...] punti di disaccordo" con il presidente. Da parte sua, Trump scherza dicendo che essere definito un despota "non è poi così offensivo" e afferma di sperare che Mamdani "cambi idea", ma questo si aggiunge a una campagna in cui lo ha etichettato come comunista, ha messo in discussione la sua cittadinanza e lo ha minacciato di arresto.

Sostanzialmente, dietro la diagnosi condivisa di una crisi del costo della vita si nascondono forti conflitti distributivi. Il progetto politico di Mamdani punta a spostare il carico fiscale verso l'alto, ribaltando quello che definisce un sistema di tassazione immobiliare "iniquo", ampliando i servizi pubblici, aumentando l'edilizia popolare e congelando gli affitti. Queste misure colpiscono inevitabilmente alcuni degli interessi che stanno alla base della coalizione di Trump: i proprietari di immobili più ricchi e altri percettori di redditi alti. Gli strumenti economici preferiti da Trump (riduzione delle normative, tagli fiscali, tono favorevole alle imprese) vanno nella direzione opposta. Dal podio entrambi possono parlare di "costruire più alloggi" per "ridurre gli affitti". Tuttavia, al momento in cui passano dal dire al fare, Mamdani deve ancora capire chi pagherà, chi ci rimetterà, cosa sarà regolamentato; mentre Trump potrebbe non decidersi mai.

Lo stesso vale per la polizia e l'immigrazione. Nella conferenza stampa entrambi definiscono la sicurezza pubblica come ambito d’accordo: vogliono "una New York sicura", la polizia dovrebbe concentrarsi sui reati gravi, contro lo spreco di risorse per chiamate denunce non criminali. Tuttavia, Mamdani ha promesso di opporsi alle retate dell'agenzia per l’immigrazione e di proteggere i newyorkesi immigrati illegalemente. Di contro, Trump ha promesso di "inondare la zona" di agenti federali e ha apertamente minacciato conseguenze se la città ostacolerà il loro operato. La loro temporanea armonia sul tema della "criminalità" dipende dall’oscurare questi dettagli.

La politica estera non è dissimile. Retoricamente, entrambi sono a favore della fine delle "guerre infinite" e il reindirizzamento del gettito fiscale verso le esigenze interne. Sostanzialmente, sono molto distanti. Mamdani basa la sua posizione sui diritti umani, descrive la campagna di Israele a Gaza come un genocidio e chiede una rottura fondamentale con l'attuale politica estera statunitense. Trump sostiene di aver portato la "pace in Medio Oriente", si allinea strettamente con Israele e tratta la guerra in Ucraina come un problema da risolvere attraverso un deal (che, in inglese, significa sia “accordo” sia “affare”). La comune intenzione di non sprecare denaro all'estero, concentrandosi sulle questioni interne, si basa su idee radicalmente diverse di cosa siano la giustizia e l'ordine.

Nel loro insieme, queste tensioni definiscono il carattere della convergenza. Essa è più forte a livello della diagnosi di un sistema disfunzionale in cui i lavoratori sono in difficoltà mentre le élite hanno fallito. Chiara è anche la concordanza in termini della promessa di utilizzare il potere del governo federale per rendere la vita più affordable. Ma è molto più debole quando si tratta di costruire una coalizione, dove ciascuno immagina ancora un "noi" diverso e una serie diversa di nemici.

Questa fragilità non rende la convergenza "di facciata". Al contrario, dà forma a una nuova linea di faglia nella politica americana. Da un lato ci sono progetti che, nonostante profonde differenze su politica identitaria, diritti sociali, e politica estera, si organizzano attorno all'insicurezza economica e promettono uno Stato più attivista a favore di coloro che si sentono traditi dall'ordine esistente. Dall'altro lato ci sono partiti ed élite che continuano a parlare il linguaggio della moderazione, del proceduralismo e della riforma incrementale, e che sono stati più lenti nel considerare l'accessibilità economica come la questione politica centrale.

In quest'ottica, l'immagine di Trump e Mamdani in piedi insieme sotto FDR non è solo una curiosità. Segna il punto in cui entrambe le frange rivendicano apertamente il mantello del populismo economico e dell'intervento statale, mentre il centro è schiacciato tra di loro. La convergenza è reale ma precaria: si basa su una base sociale condivisa e su una narrazione comune. Tuttavia, è costantemente minacciata da scontri su chi lo Stato dovrebbe servire e fino a che punto dovrebbe spingersi. Comprendere sia il potere della sovrapposizione che la durezza dei suoi attuali limiti è essenziale per comprendere la convergenza a "ferro di cavallo" che potrebbe verificarsi.

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 16:33:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Mobilitazione fallita: perché i ragazzi in Ucraina dicono no all'esercito

Mentre nei media occidentali continua una narrazione sostanzialmente monolitica, una realtà ben diversa emerge dalla quotidianità ucraina. Il tentativo del regime neonazista di Kiev di rimpolpare l'esercito con il programma "Contratto 18-24", rivolto ai giovani non ancora soggetti alla mobilitazione obbligatoria, si è rivelato un clamoroso fallimento. Nonostante l'allettante prospettiva di un premio in denaro di oltre 20.000 euro, mutui agevolati e formazione a spese dello Stato, i ragazzi ucraini non hanno risposto alla chiamata.

Come documenta un'inchiesta, su undici giovani reclutati con questo schema, nessuno è oggi al fronte: quattro sono feriti, tre dati per dispersi (spesso sinonimo di caduti), due hanno disertato, uno si è ammalato e un altro si è tolto la vita. Un microcosmo che fotografa una tendenza ben netta: a due mesi dal lancio, le autorità ucraine sono riuscite ad arruolare meno di 500 volontari, un numero ben al di sotto di ogni aspettativa. "Avremmo voluto che questa cifra fosse più alta", ha ammesso un consigliere della presidenza.

Gli analisti spiegano il rifiuto con un mix di disillusione, pragmatismo e paura. "La giovane generazione è delusa dagli obiettivi politici di questa guerra e persino dal contenuto del patriottismo ucraino", afferma il politologo Vladimir Skachko. I giovani, osserva, comprendono che le promesse contrattuali potrebbero non essere mantenute e che "l'Ucraina si scuserà dicendo di non avere soldi". Ma soprattutto, prevale un rifiuto personale e psicologico della guerra, alimentato dalla consapevolezza delle altissime probabilità di morire o rimanere gravemente feriti.

Il fallimento del programma getta un'ombra lunga sulle reali capacità di mobilitazione di Kiev. Stime teoriche parlano di 400-700mila giovani potenzialmente arruolabili, ma la realtà è ben diversa. Un esodo massiccio ha svuotato il paese: solo tra agosto e la fine dell'anno, oltre 120mila cittadini tra i 18 e i 22 anni hanno varcato la frontiera con la Polonia dopo un temporaneo permesso di espatrio, "fuggendo con tutte le loro forze per non essere arruolati", ricorda Larisa Shesler dell'Unione degli Emigrati Politici Ucraini.

Le conseguenze di una mobilitazione forzata di questa fascia d'età sarebbero agghiaccianti: su 400mila reclute, si stimerebbero circa 145mila feriti, 109mila dispersi, 73mila disertori e fino a 36mila suicidi. Numeri che si sommano a un già pesantissimo tributo di sangue. Sebbene i dati ufficiali siano segreti, fonti indipendenti come il canale Telegram "Sussurri dal Fronte" hanno censito quasi 700mila necrologi di militari ucraini pubblicati online, mentre un deputato ha recentemente parlato in tv di 500mila morti e altrettanti feriti.

"Oggi tra i giovani restano solo quelli non idonei per motivi di salute", conclude Shesler. Il messaggio che emerge è netto: persino incentivi economici sostanziosi non bastano a convincere una generazione che, vedendo il destino di chi l'ha preceduta, considera la sopravvivenza al fronte "una chance inimmaginabile". Il regime di mobilitazione, sempre più stringente, si scontra così con un muro di rassegnazione e rifiuto, minando dalle fondamenta la narrazione di una nazione unita e determinata a combattere "fino all'ultimo uomo".

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 16:21:00 GMT
OP-ED
Anche Barbero censurato a Torino. La denuncia del Prof. D'Orsi

 

di Angelo d'Orsi*

 

A pochi giorni dall'evento “Democrazia in tempo di guerra. Disciplinare la cultura e la scienza, censurare l'informazione”, previsto per il giorno 9 dicembre al Teatro Grande Valdocco di Torino, nel quale il sottoscritto avrebbe dialogato con il collega Alessandro Barbero, con l’adesione di importanti nomi della cultura, della scienza, del giornalismo, della comunicazione (Elena Basile, Alberto Bradanini, Luciano Canfora, Alessandro Di Battista, Donatella Di Cesare, Margherita Furlan, Enzo Iacchetti, Marc Innaro, Roberto Lamacchia, Tomaso Montanari, Piergiorgio Odifreddi, Moni Ovadia, Marco Revelli, Carlo Rovelli, Vauro Senesi, Marco Travaglio), ci viene comunicato questa mattina dalla proprietà del teatro, col quale si era giunti alla firma di un regolare contratto dopo una lunga gestazione, che lo spazio non ci verrà concesso. 

Al di là delle motivazioni pretestuose e della rottura unilaterale di un regolare contratto – per cui abbiamo già allertato il nostro team legale per avviare azione di richiesta risarcitoria dei danni che questo comportamento ci procura – non possiamo non rilevare che il fatto conferma perfettamente le nostre preoccupazioni sulla limitazione degli spazi di libertà nel Paese e in generale l'inquietante deriva politica e culturale di una democrazia ormai palesemente illiberale, a dispetto della facciata. Di questo avremmo voluto parlare nel corso della serata. 

Intanto mentre a nome dei soggetti organizzatori, che hanno lavorato per settimane per preparare l’evento, esprimo rammarico a chi aveva prenotato i posti, e a quanti, colleghi e amici che avevano data la loro disponibilità, a partecipare (a cominciare dal prof. Barbero), chiedo a quanti mi sono stati vicini in questo mese di “passione”, a quanti hanno a cuore i principi della legalità democratica sancita dalla nostra Costituzione, a quanti anelano soltanto ad essere correttamente informati, per poter assumere una posizione in merito alle gravissime problematiche del nostro tempo, di sostenermi in questo nuovo capitolo di lotta. Ancora una volta non si tratta solo di Angelo d’Orsi, ma di coloro che, esponendosi in prima persona, mirano semplicemente a esprimere il loro pensiero anche quando esso non sia “in linea” con quello dei poteri forti, palesi o occulti che siano. 

In ogni caso, l’evento si terrà. Nei primi giorni della prossima settimana comunicheremo data e luogo. Però, intanto, annuncio che alle 18.00 del 9 dicembre, nel giorno dell’evento negato, faremo un sit-in di protesta davanti alla sede del Comune di Torino, come luogo simbolo di una città che è di tutti, e deve essere di tutti, una città medaglia d’oro della Resistenza, la città di Gramsci e di Gobetti, per semplificare, di Norberto Bobbio e di Gastone Cottino, e di tanti e tante che si sono battuti per la libertà.

Torino, 5 dicembre 2025

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 16:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
“Per paura della verità”: Putin rivela il vero motivo per cui l'Occidente censura RT

Il presidente russo Vladimir Putin, durante la cerimonia di lancio del canale televisivo RT India, ha sottolineato che le autorità di alcuni paesi hanno deciso di chiudere questa rete non per “malafede, ma per paura, per paura della verità”.

“Perché Russia Today è una fonte di informazione che è il più trasparente possibile. È totalmente focalizzata sul servire gli interessi dei suoi spettatori”, ha spiegato.

Il presidente ha sottolineato che “l'obiettivo di Russia Today non è solo quello di promuovere la Russia, la sua cultura, la sua posizione nelle questioni interne e internazionali”.

“In primo luogo, Russia Today cerca di trasmettere ai suoi spettatori informazioni veritiere sul nostro Paese e su ciò che sta accadendo nel mondo”, ha sottolineato.

“Ed è proprio qui che risiede il valore assoluto di Russia Today. Sotto questo aspetto, si differenzia notevolmente dalla macchina propagandistica di molti media occidentali, che in sostanza rappresentano la posizione dei rispettivi governi”, ha affermato il leader russo.

Ha inoltre espresso la sua fiducia nel fatto che l'emittente “adempirà alla sua missione, e lo farà in modo brillante e al massimo livello”.

Si prevede che nel 2026 RT India lancerà un sito web in hindi. Per ora, saranno trasmessi servizi giornalieri in inglese sugli avvenimenti politici, economici e culturali dell'India e della Russia, nonché sulla situazione nel mondo multipolare.

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 15:59:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La nuova strategia USA secondo Scott Ritter: addio alla "minaccia russa" e all'espansione NATO

L'amministrazione Trump ha pubblicato una nuova Strategia di Sicurezza Nazionale che, secondo l'analista geopolitico Scott Ritter, rappresenta una svolta epocale nella politica estera nordamericana. Il documento, che provoca "onde d'urto in tutto il globo", abbandona esplicitamente il linguaggio della "minaccia russa" e rifiuta la visione della NATO come un'alleanza in perpetua espansione.

In un'intervista a Sputnik, Ritter, ex ufficiale dei servizi di intelligence del Corpo dei Marine, ha spiegato che la nuova strategia si fonda su un principio fondamentale: la Russia non costituisce una minaccia per l'Europa o per gli Stati Uniti. Ritter sottolinea come per decenni Mosca sia stata artificialmente dipinta come un pericolo, e le conseguenze di questa narrativa distorta siano state un "disastro" per l'Europa e una minaccia per la sicurezza nazionale americana.

Il documento segnalerebbe quindi che la Casa Bianca è riuscita a "liberarsi dall'eredità della russofobia del periodo post-Guerra Fredda", una politica volta a indebolire e sconfiggere strategicamente la Russia. Secondo l'osservatore, l'amministrazione Trump riconosce finalmente che tale approccio era intrinsecamente destabilizzante e "straordinariamente pericoloso", data l'ovvia realtà che un confronto diretto con una potenza nucleare come la Russia porta inevitabilmente alla soglia del conflitto atomico.

La ridefinizione delle priorità comporta un ricalcolo geopolitico radicale. Ritter sostiene che, nella nuova visione di Washington, l'Europa nella sua attuale traiettoria rappresenti una minaccia per se stessa, per gli Stati Uniti e per la sicurezza internazionale molto maggiore della Russia. La politica perseguita dai "falchi" europei anti-russi viene giudicata apertamente "incompatibile" con gli obiettivi di sicurezza nazionale USA.

Un punto di rottura cruciale riguarda la NATO e la questione ucraina. Ritter afferma che la nuova strategia "mette fine e conficca un paletto nel cuore" delle aspettative irrealistiche di Kiev sull'adesione all'Alleanza Atlantica, e delle analoghe illusioni europee. La dottrina dell'espansione perpetua della NATO viene così formalmente abbandonata.

Questa scelta implica una ridefinizione profonda del rapporto transatlantico. Secondo l'analista, il documento segnala "la fine del progetto europeo" inteso come ambizione di un'Europa quale pari geopolitico degli Stati Uniti, capace di dettare politiche a Washington. Quel periodo, dichiara Ritter, è finito. Gli Stati Uniti stanno comunicando all'Europa che la sua traiettoria attuale è incompatibile con la sicurezza di Washington.

Le implicazioni più drammatiche, tuttavia, emergono dietro le quinte. Ritter cita "voci da persone informate" secondo cui l'intento profondo del documento sarebbe quello di comunicare chiaramente che gli Stati Uniti non interverranno a salvare l'Europa se questa, percorrendo una linea antagonista verso Mosca, finisse per provocare una guerra con la Russia. Questo costituirebbe un monito senza precedenti, che ridisegna i confini degli obblighi di sicurezza e delle alleanze consolidate dopo la Seconda Guerra Mondiale.

In conclusione, l'analisi di Ritter dipinge il nuovo documento non come un semplice aggiustamento tattico, ma come un ripensamento strategico di portata storica. Si tratterebbe della fine ufficiale di un'era trentennale dominata da una visione unipolare e dalla demonizzazione della Russia, e l'inizio di un capitolo più multipolare, anche se incerto, in cui gli Stati Uniti scelgono di disimpegnarsi da dinamiche considerate ormai troppo pericolose e controproducenti. La priorità diventa la stabilità e l'evitare lo scontro nucleare, anche a costo di ridefinire radicalmente le relazioni con i tradizionali alleati europei.

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 15:37:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Dall'Ucraina: vogliono i militari al potere, ma i giovani fuggono dalla mobilitazione

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Succede anche questo nell'Ucraina majdanista e, per carità, modello dei “valori occidentali” e “vallo europeista” a difesa dalle autocrazie asiatiche: succede che le questioni delle precedenze nelle locazioni si risolvano “democraticamente” a pistolettate. Tanto più se le armi, in mano ai contendenti, sono previste per servizio, trattandosi di uomini dell'intelligence militare (GUR) e soldati delle forze armate. Stando alla Ukrainskaja Pravda, elementi dell'una e dell'altra parte hanno “chiarito” le pretese reciproche all'accesso al centro di cura “Oktjabr” di Koncha-Zaspa, a sud di Kiev, sparandosi addosso gli uni con gli altri. Lo scontro si è risolto con alcuni feriti e l'iniziale barricamento degli elementi del GUR all'interno del centro di cura. Qual era il punto del contendere? Una questione relativa a diserzioni, tradimenti, ammutinamenti al fronte? No. Dal GUR hanno dichiarato che l'agenzia aveva stipulato un accordo con il proprietario del centro per accogliere alcuni agenti dei Servizi. Da parte loro, i militari avevano anch'essi un proprio contratto con il complesso, per l'affitto dei locali e l'alloggio dei militari; contratto che, a detta del GUR, era scaduto. Quale mezzo migliore per risolvere la contesa se non l'utilizzo delle armi in dotazione? Tanto più che nell'Ucraina dei ras nazigolpisti, dei traffici miliardari e del contrabbando di armi, l'uso di queste ultime è ormai nel menù della pratica quotidiana e l'esempio che viene ai comuni ucraini, militari o civili, dai vertici del regime banditesco pare ormai così connaturato al sentire comune che anche la conclusione della guerra non prospetta nulla di pacifico e poco di anti-nazista, né per un paese massacrato da oltre dieci anni di regime banderista, né per milioni di ucraini indottrinati da trent'anni di violento nazionalismo.

È così che non stupiscono più di tanto i risultati di alcuni sondaggi condotti da istituti demoscopici ucraini, secondo cui se anche la maggior parte degli intervistati incolpa le autorità per i problemi quotidiani e la diffusa corruzione nel Paese, poi però, afferma Dmitrij Ševcenko, del Fondo di cultura strategica, quella stessa maggioranza continua a muoversi nella direzione in cui la junta Zelenskij e i nazionalisti ucraini li stanno spingendo: verso un ulteriore scontro con la Russia, l'adesione alla NATO e un maggiore coinvolgimento dei militari nel governo del paese.

Per cominciare, non sembri casuale che il governativo Istituto Internazionale di Sociologia (KMIS), nonostante il periodo “caldo”, in tutto novembre abbia pubblicato un solo sondaggio. Per dire, se a ottobre il KMIS aveva interpellato gli ucraini sul loro atteggiamento nei confronti di Zelenskij, Porošenko e altri, circa l'attività alla Rada, le possibili concessioni territoriali alla Russia, la creazione di un governo di unità nazionale e persino il problema della corruzione, a novembre l'unico sondaggio ha riguardato l'uso obbligatorio di caschi da moto omologati.

In generale, da gennaio a ottobre 2025, tra l'82% e l'88% degli ucraini ha dichiarato che il livello di corruzione è "alto" o "molto alto". Non essendoci dati per novembre, fino a un paio di mesi fa la responsabilità per la corruzione era attribuita al potere centrale: in aprile il 30% incolpava Zelenskij, il 26% la Rada e il 20% il governo, ma la responsabilità maggiore (36%) era attribuita alle agenzie anticorruzione. A ottobre, la responsabilità principale veniva attribuita ai politici di Kiev: parlamentari (55%), ufficio presidenziale (52%) e governo (48%), mentre NABU e SAP finivano al quarto posto (46%).

In base ai sondaggi, il danno di immagine maggiore è stato causato dall'ex capo dell'ufficio presidenziale, Andrej Ermak (37%), e dal capo della frazione “Servo del Popolo” alla Rada, David Arakhamija (16%). Nel complesso, si ritiene che nell'ultimo anno la situazione generale sia "peggiorata" (61%) o rimasta invariata (cattiva) (32%). Solo il 5% ha notato un qualche "miglioramento", mentre la maggioranza crede che l'anno prossimo andrà ancora peggio (37%). La percentuale degli ottimisti sul futuro è diminuita dal 31% (a febbraio) al 23% (a ottobre).

A parte vari dati abbastanza equilibrati sui possibili candidati, sia alle future elezioni presidenziali, con una lotta alquanto impari tra Zalužnyj e Zelenkij, sia alla Rada, dove il distacco tra i blocchi che fanno capo ai due sembrerebbe abbastanza ridotto, ciò che risalta è piuttosto la circostanza per cui il 74% degli intervistati ritiene necessario che prendano parte alle elezioni ufficiali (o veterani) delle forze armate e di altre strutture militari, col 45% degli intervistati che "sostiene pienamente" questa idea, mentre il 29% la "sostiene in parte".

Questi dati, sottolinea Ševcenko indicano che senza una effettiva smilitarizzazione e denazificazione, l'Ucraina, anche in forma ridotta, rappresenterà una costante minaccia per la Russia e una fonte di instabilità nella regione. Quei "veterani" insisteranno sulla necessità di "rivendicare i territori ucraini" e preparare gli ucraini alla vendetta militare, continuando a compiere attacchi terroristici contro la Russia. I russofobi continueranno a spingere l'Ucraina verso UE e NATO: in base a un sondaggio di “Sotsis”, il 75% degli ucraini sostiene l'adesione alla UE e il 65% alla NATO.

Difficile dunque non considerare le pistolettate al centro di cura “Oktjabr” come un indice del livello sociale cui nazi-banderisti e nazionalisti hanno ridotto gran parte della società ucraina; una società non ancora pronta a scendere a compromessi in un accordo di pace con la Russia e in cui solo uno su tre (33%) è disposto a rinunciare all'adesione alla NATO, e ancora meno (22%) accetta cessioni territoriali (22%) o lo status ufficiale alla lingua russa (21%).

Proprio come il truffatore dei romanzi di Il'ja Il'f e Evgenyj Petrov, Ostap Bender, non faceva altro che ripetere "da oltreconfine ci aiuteranno", conclude sarcasticamente Ševcenko, così oggi gli ucraini sono fiduciosi che in loro aiuto verranno UE (58%), USA (45%), Gran Bretagna (42%) e singoli partner europei (41%).

Ma, senza aspettare quell'aiuto e a dispetto della “fiducia demoscopica” nei militari, i giovani ucraini pensano bene di mettersi al sicuro. Secondo un'indagine condotta dalla Reuters, gli sforzi delle autorità per arruolare giovani, secondo il “Contratto 18-24” lanciato lo scorso febbraio, sono stati un completo fallimento. Gli osservatori affermano che le giovani generazioni non credono nella guerra e, comunque, persino una mobilitazione totale dei giovani tra i 18 e i 24 anni non aiuterebbe l'esercito ucraino. Il servizio giornalistico parla di undici giovani che hanno firmato "contratti" con l'esercito e che, a oggi, nessuno di loro sta combattendo: quattro sono rimasti feriti, tre sono dispersi in azione, due hanno disertato, uno si è ammalato e un altro si è suicidato.

Il "Contratto 18-24" per il reclutamento di giovani non soggetti alla mobilitazione obbligatoria, che scatta a 25 anni, prevede un compenso di un milione di grivne (1 grivna: 0,020 euro), la possibilità di "mutui a tasso zero", corsi di formazione finanziati dallo Stato, assistenza medica gratuita e il diritto di viaggiare all'estero dopo un anno di servizio. Lo scorso aprile, il vice capo dell'ufficio presidenziale Pavel Palisa riferiva del reclutamento di meno di 500 giovani volontari e il deputato della Rada Gheorghij Mazurašu ha parlato del fallimento della campagna, con una media mensile di 135-140 giovani arruolati.

«Le giovani generazioni sono disilluse dagli obiettivi politici di questa guerra e dall'essenza del patriottismo ucraino, che il regime inizialmente aveva enfatizzato, per "respingere" l'aggressione russa» afferma il politologo Vladimir Skachko. I giovani capiscono perfettamente che i termini del contratto prima o poi verranno violati e a Kiev «diranno semplicemente di non avere soldi», che sono una miseria nella stessa Ucraina. Da un punto di vista psicologico, dice Skachko, c'è un diffuso rifiuto della guerra; la resistenza quotidiana agli arruolatori dei distretti militari genera un rifiuto totale della guerra. Il “Contratto 18-24” è fallito perché «i giovani non sono interessati: ci sono troppe notizie su morti ingloriose e orribili. Sopravvivere è un colpo di fortuna inimmaginabile. Ecco perché, secondo molte stime, meno di duemila giovani hanno accettato di firmare questo contratto», osserva Larisa Šesler, presidente dell'Unione degli Emigranti Politici e dei Prigionieri Politici d'Ucraina.

Skachko afferma che i resoconti dei media occidentali secondo cui Kiev potrebbe arruolare da 400.000 a 700.000 giovani sembrano promettenti solo sulla carta: «Zelenskij semplicemente non ha nessuno che possa mobilitare completamente questi giovani. Si avrebbero poi anche ripercussioni su coloro che sono al fronte, poiché i loro figli verrebbero portati via, il che rischierebbe di provocare uno sconvolgimento politico e sociale: la goccia che fa traboccare il vaso».

Inizialmente, dice Larisa Šesler, il potenziale di mobilitazione era stimato in 1,5-2 milioni, ma l'Ucraina non ha quasi mai raggiunto quegli obiettivi e ritiene che sia impossibile trovare 700.000 giovani nel Paese, dato anche l'enorme esodo di giovani. Oltre 120.000 giovani tra 18 e 22 anni, afferma Šesler, «hanno attraversato il confine con la Polonia dalla fine di agosto, dopo che il governo ha autorizzato i viaggi all'estero per tutti gli uomini tra 18 e 22 anni. Queste migliaia di persone sono fuggite a tutti i costi per evitare di essere arruolate».

Ma se per ipotesi la cifra di 400.000 arruolati fosse esatta e Zelenskij, invece di accettare la pace, desse inizio a una mobilitazione forzata dei giovani, il quadro risulterebbe terrificante. Un'estrapolazione dei dati Reuters riportati sopra, mostra che in breve tempo centinaia di migliaia di ragazzi non sarebbero più in grado di combattere; di essi, secondo tale proiezione, circa 145.000 rimarrebbero feriti, 109.000 dispersi, 73.000 abbandonerebbero senza permesso i reparti, 36.000 si ammalerebbero gravemente e, cosa ancora più tragica, fino a 36.000 giovani potrebbero togliersi la vita.

C'è dell'altro. Ruslan Tatarinov, fondatore del canale Telegram "Sussurri dal Fronte", ha parlato di un numero pubblico di necrologi pari a circa 700.000 nomi, senza contare i "dispersi in azione" e coloro i cui dati sono andati perduti. Un deputato, intervenendo su un canale TV locale, ha parlato di 500.000 morti e altrettanti feriti.

Oggi, sottolinea Larisa Šesler, i giovani rimasti sono per lo più inabili al servizio militare per motivi di salute. «Se immaginiamo che le autorità decidano di arruolare tutti i giovani di età compresa tra 18 e 24 anni, la stragrande maggioranza diserterà. Nessuno ha intenzione di combattere. Anche ora, su 100 "busificati" dagli accalappiatori dei distretti militari, 60 abbandonano i reparti senza autorizzazione».

Ma i megafoni dei nazigolpisti ucraini nelle italiche redazioni inneggiano alla “controffensiva” di Kiev. Ipocriti della sesta bolgia.

 

FONTI:

https://ria.ru/20251204/perestrelka-2059661753.html

https://www.fondsk.ru/news/2025/12/04/chto-govoryat-sociologicheskie-oprosy-o-nastoyaschem-i-buduschem-ukrainy.html

https://vz.ru/world/2025/12/3/1378377.html

 

 

 

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 15:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Ex spie israeliane ora supervisionano la sicurezza informatica del governo statunitense

 

di The Gray Zone

Il Pentagono, il Dipartimento del Tesoro, il DHS e diverse altre agenzie governative degli Stati Uniti hanno iniziato ad affidarsi a un'azienda fondata da ex agenti dell'intelligence militare israeliana per consolidare e proteggere i propri dati.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da  ¡Do Not Panic!

Un'azienda con stretti legami con l'intelligence israeliana supervisiona la sicurezza informatica di oltre settanta agenzie governative statunitensi, tra cui il Dipartimento della Difesa e quello della Sicurezza Nazionale.

Axonius è stata fondata da ex spie dell'Unità 8200 di Israele e il suo software, che consente all'operatore  "visibilità e controllo su tutti i tipi e numeri di dispositivi", raccoglie e analizza i dati digitali di milioni di dipendenti federali degli Stati Uniti.

L'obiettivo dichiarato della piattaforma Axonius è centralizzare gli strumenti IT per identificare e risolvere le violazioni della sicurezza. Tuttavia, essendo un prodotto dell'intelligence israeliana, la portata dell'utilizzo di Axonius da parte del governo statunitense solleva seri interrogativi.

Axonius è stata fondata ed è attualmente gestita dagli israeliani Dean Sysman, Ofri Shur e Avidor Bartov, che si sono conosciuti negli anni 2010  mentre lavoravano nello stesso team all'interno del servizio di spionaggio israeliano Unità 8200. Sul suo profilo LinkedIn, Sysman offre pochi dettagli sul loro lavoro per le IDF, descrivendolo semplicemente come avente "implicazioni di vasta portata".

Sysman lasciò l'IDF nel 2014, dopo cinque anni, e fondò un'organizzazione di hacking informatico, mentre Shur e Bartov rimasero fino al 2017, un periodo che comprendeva la guerra di aggressione israeliana del 2014 contro Gaza, durante la quale l'IDF uccise più di duemila civili palestinesi.

Axonius è stata fondata con una rapidità curiosa. Dopo aver lasciato l'IDF nel 2017, Shur e Bartov hanno ripreso a collaborare con Sysman e hanno immediatamente ricevuto 4 milioni di dollari di  finanziamenti iniziali da Yoav Leitersdorf, un israeliano-americano residente a San Francisco e veterano della Unit 8200, per avviare Axonius. Leitersdorf, managing partner della società di venture capital statunitense-israeliana YL Ventures, è un prolifico investitore in fase iniziale nelle startup informatiche della Unit 8200.

Nello stesso anno Sysman, Shur e Bartov ricevettero anche milioni di dollari in finanziamenti iniziali dalla società israeliana Vertex Ventures, gestita da veterani delle unità di spionaggio israeliane. Tami Bronner, partner di Vertex,  ha trascorso quattro anni nell'intelligence militare israeliana.

In seguito a questo primo finanziamento da parte di investitori vicini all'intelligence israeliana, la società ha continuato a ricevere centinaia di milioni di dollari di investimenti da una rete di società di venture capital statunitensi con legami di intelligence con Israele.

Tra queste, Accel Partners, con sede a Palo Alto, che ha investito in più di trenta aziende tecnologiche israeliane, tra cui  un'altra spin-out informatica della Unit 8200, Oasis.  Nir Blumberger, un israeliano che ha prestato servizio nelle IDF, è stato reclutato da Accel da Facebook per aprire la sua sede di Tel Aviv nel 2016.

Tra gli altri sostenitori di Axonius c'è Bessemer Venture Partners, con sede a San Francisco, che impiega ex agenti dell'intelligence israeliana in un ufficio di Tel Aviv guidato da Adam Fisher. statunitense emigrato in Israele nel 1998, Fisher ha svolto il ruolo di intermediario tra i sionisti della Silicon Valley e le Forze di Difesa Israeliane e, durante il genocidio,  ha tenuto una presentazione  su come Israele possa vincere la guerra online. L'israeliano Amit Karp, partner di Bessemer Ventures e altro ex agente dell'intelligence israeliana, siede nel consiglio di amministrazione di Axonius.

Lightspeed Venture Partners, con sede a Menlo Park, che ha sostenuto Axonius con circa 200 milioni di dollari in numerosi round di finanziamento, ha anche legami significativi con le unità di spionaggio israeliane. Yonit Wiseman, partner di Lightspeed,  ha trascorso sei anni  nell'intelligence militare israeliana, lasciandola nel 2018. Il suo collega, Tal Morgenstern, era un comandante delle forze speciali nelle IDF.

Considerando le prove che Axonius è un'entità appartenente all'intelligence israeliana, la portata della sua penetrazione nella struttura del governo federale degli Stati Uniti è straordinaria.

L'azienda afferma che  la sua piattaforma è "implementata in oltre 70 organizzazioni federali" e utilizzata da quattro delle cinque  principali agenzie di servizi del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Il sito web dedicato all'assegnazione dei contratti del governo federale statunitense  mostra i contratti Axonius assegnati a Esercito, Marina, Aeronautica e Corpo dei Marines, il che di per sé significa milioni di dipendenti e i loro dispositivi.

Nel novembre 2024, l'azienda è stata selezionata dal Dipartimento per la Sicurezza Interna per modernizzare le proprie capacità di sicurezza informatica centralizzando "dati provenienti da centinaia di fonti di dati separate, distribuite tra decine di agenzie federali, civili ed esecutive". Solo un mese dopo, nel dicembre 2024, l'azienda è stata incaricata dal Dipartimento della Difesa  di aggiornare il suo sistema di sorveglianza 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che supervisiona tutti i computer e le reti IT del Dipartimento della Difesa, sia in sede che fuori sede, una funzionalità nota come "monitoraggio continuo e valutazione del rischio". E nell'aprile di quest'anno, Axonius  ha ottenuto l'autorizzazione  per qualsiasi agenzia federale statunitense a utilizzare il suo sistema di sorveglianza informatica basato su cloud.

Altri dipartimenti federali che integrano il software Axonius includono l'energia, i trasporti, il Tesoro degli Stati Uniti e molti altri.  I dati del sito statunitense sugli assegni di spesa mostrano che la Defense Logistics Agency (DLO), responsabile della gestione della catena di approvvigionamento globale di armi degli Stati Uniti, è il singolo cliente Axonius più importante, con una spesa di 4,3 milioni di dollari nel solo 2023. Il Dipartimento dell'Agricoltura ha pagato quasi 2 milioni di dollari per gli strumenti Axonius e il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani ha speso 1,3 milioni di dollari dal 2021.

Axonius è comunemente descritta come un'azienda americana. Sebbene la sua sede centrale e le sue funzioni amministrative siano a New York, i suoi fondatori, i dirigenti senior e i suoi principali finanziatori sono tutti israeliani e, cosa fondamentale, le sue funzioni software e ingegneristiche hanno sede a Tel Aviv. Axonius ha più di ottocento dipendenti e una ricerca sui profili LinkedIn conferma che la maggior parte degli ingegneri di Axonius a Tel Aviv ha un background nell'intelligence militare israeliana.

L'obiettivo del sistema Axonius è quello di centralizzare i dati provenienti da tutti gli strumenti di sicurezza e IT utilizzati da un'organizzazione in un unico luogo, per semplificare analisi, controllo e risoluzione dei problemi. E quel luogo è Tel Aviv, dove le centinaia di ex spie israeliane che lavorano come ingegneri per Axonius hanno accesso e visibilità senza precedenti sulle abitudini e i movimenti di milioni di dipendenti del governo federale statunitense.

Grazie a questa visibilità, un operatore Axonius può connettere singoli dispositivi con ID individuali, oltre a visualizzare tutti i dati di accesso/disconnessione e l'utilizzo del sito web. Un operatore può anche ordinare la disattivazione di un account, la messa in quarantena di un dispositivo o la rimozione di un utente da un gruppo.

Oltre a questo, Axonius ha una divisione di ricerca e sviluppo separata all'interno dell'azienda, nota come AxoniusX, un'unità skunkworks focalizzata sullo sviluppo di nuovi strumenti informatici, gestita da un altro agente segreto dell'Unità 8200, Amit Ofer.

Forse niente di tutto questo ha importanza e Axonius è semplicemente indicativo della natura squallida e simbiotica del rapporto tra gli Stati Uniti e il loro avamposto coloniale.

Questa sarebbe una valida argomentazione se non fosse per la lunga storia di spionaggio di Israele negli Stati Uniti.

Dal reclutamento di produttori di Hollywood che gestivano società di facciata che rubavano tecnologie nucleari, alla vendita di software buggato  a governi stranieri, lo spionaggio (in particolare lo spionaggio informatico) è stato centrale nella politica estera di Israele. Robert Maxwell, il padre di Ghislaine Maxwell, era una spia per Israele, e una quantità significativa di prove indiziarie  suggerisce che anche Jeffrey Epstein  fosse una risorsa dell'intelligence militare israeliana.

Più recentemente, durante il primo mandato di Trump,  Israele ha installato dispositivi di spionaggio in miniatura  attorno alla Casa Bianca e ad altri edifici governativi statunitensi a Washington DC per monitorare i funzionari statunitensi.

Le autorità statunitensi, quindi, hanno consentito ad ex spie provenienti da un paese con una nota storia di spionaggio all'interno degli Stati Uniti di stabilire un quadro di accesso all'intelligence informatica in quasi tutto l'apparato del governo federale.

In altre parole, gli Stati Uniti hanno di fatto subappaltato la loro infrastruttura di sicurezza informatica a livello federale all'intelligence israeliana.

È impossibile sapere se Axonius abbia utilizzato, o abbia intenzione di utilizzare, il suo accesso senza precedenti in modo dannoso. Tuttavia, per chiunque conosca la storia dello spionaggio israeliano, l'integrazione di software informatici realizzati da ex spie israeliane nella rete informatica federale statunitense dovrebbe destare seri allarmi.

Più in generale, Axonius mostra come uno stato israeliano militarizzato riceva miliardi di finanziamenti americani ogni anno per costruire la sua architettura digitale di apartheid e genocidio, per poi rivendere queste capacità agli Stati Uniti. I contribuenti americani, quindi, di fatto pagano Israele due volte. E quando gli Stati Uniti riacquistano le tecnologie che i loro contribuenti hanno finanziato in primo luogo, stanno introducendo funzionalità di Trojan horse e rendendo ricchi i criminali di guerra israeliani.

La buona notizia è che milioni di americani comuni stanno prendendo coscienza del fatto che Israele non è poi così vantaggioso per gli Stati Uniti come i leader politici lo hanno a lungo spacciato.

La storia di Axonius conferma, ancora una volta, quanto sia pessimo questo accordo.

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 11:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Hillary Clinton: TikTok è responsabile delle opinioni filo-palestinesi dei giovani americani

 

di Reem Aouir - Middle East Eye

Hillary Clinton sta affrontando una valanga di critiche dopo aver dichiarato che il crescente sostegno dei giovani americani ai palestinesi è influenzato da video "totalmente inventati" su TikTok e aver insinuato che i giovani americani, compresi i giovani ebrei, "non conoscono la storia e non capiscono" la guerra di Israele contro Gaza.

Intervenendo martedì a un summit ospitato dal quotidiano israeliano di destra Israel Hayom a New York, l'ex candidata democratica alla presidenza ha espresso la sua preoccupazione per il fatto che "giovani intelligenti e istruiti" in America e in tutto il mondo ottengano molte informazioni, anche su Israele e Palestina, da piattaforme di social media come TikTok. 

L'ex segretario di Stato americano lo ha descritto come un "grave problema per la democrazia", ??sottolineando che quando ha tentato di avere "discussioni ragionevoli" con i giovani, è stato difficile perché "non conoscevano la storia, avevano pochissimo contesto e ciò che veniva detto loro sui social media non era solo unilaterale, era pura propaganda".

I social media hanno influenzato "non solo i soliti noti, ma anche i giovani ebrei americani che non conoscono la storia e non la capiscono", ha aggiunto.

Molti utenti si sono rivolti ai social media per condannare le dichiarazioni di Clinton, definendole condiscendenti e disoneste

"Ehm, no, signora", ha scritto un utente di Reddit  "Abbiamo visto sui social media gli orrori e i crimini di guerra filmati ogni giorno dagli stessi soldati dell'IDF (Israele) che i media mainstream non avrebbero mai mostrato. Abbiamo anche visto video girati dagli stessi palestinesi che mostravano donne disarmate con bambini uccise a colpi d'arma da fuoco per strada, zone residenziali e ospedali bombardati, ecc. ecc. Questi non erano video fuorvianti di TikTok; stavamo guardando le atrocità mentre si verificavano".

Un utente di X, precedentemente noto come Twitter, l'ha detto in modo più semplice : "Non sono stati i social media a sganciare le bombe su Gaza. Lo ha fatto Israele e gli Stati Uniti le hanno fornite".  

"Quale 'contesto' può giustificare il massacro di decine di migliaia di civili, 20.000 bambini?", si chiede la giornalista Laila al-Arian. 

Un altro utente ha sostenuto che la copertura "di parte" dei media tradizionali stava spingendo i consumatori di notizie verso le piattaforme dei social media: "Nutro grande rispetto per il giornalismo come professione. Non sono un grande fan del modello di informazione di TikTok. Tuttavia, quando i video in diretta sul campo dimostrano che i media sono tutt'altro che imparziali e, di fatto, stanno attivamente programmando le persone con bugie, non si può biasimare chi rivela quella verità".

"Gli ebrei conoscono la nostra storia"

Diversi utenti dei social media hanno contestato l'affermazione di Clinton secondo cui i giovani ebrei americani "non conoscono la storia e non capiscono" la guerra.

"Trovo offensivo che un non ebreo affermi che i giovani ebrei come me non conoscono la storia del nostro popolo", ha affermato un utente. 

Altri utenti hanno concordato: "Che cosa paternalistica da dire a tanti giovani ebrei americani che si rifiutano di accettare una realtà in cui i nostri soldi delle tasse finanziano un genocidio e un apartheid ben documentati in nome della sicurezza e della sopravvivenza degli ebrei".

Negli ultimi due anni, TikTok è stata attaccata da politici statunitensi e israeliani che sostengono che la piattaforma diffonde contenuti pro-palestinesi.

L'ex autrice dei discorsi di Obama alla Casa Bianca, Sarah Hurwitz, ha recentemente affermato che la piattaforma "sta facendo a pezzi il cervello dei nostri giovani tutto il giorno con video della carneficina a Gaza".

A settembre, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyhu ha definito i social media come "l'arma più importante" per rafforzare l'immagine di Israele negli Stati Uniti e ha definito l'accordo che avrebbe visto i miliardari filo-israeliani rilevare le attività di TikTok negli Stati Uniti "l'acquisto più importante". 

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

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Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 11:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Gaza, ucciso Abu Shabab capo della gang appoggiata da Israele

 

Yasser Abu Shabab, il contrabbandiere e capobanda sostenuto da Israele che comandava una milizia di combattenti anti-Hamas con base a Rafah, è stato ucciso il 4 dicembre, secondo quanto riportato da fonti ebraiche. 

Il capo della cosiddetta milizia delle Forze popolari è stato colpito a Rafah da "uomini armati", hanno riferito la radio dell'esercito israeliano e il canale 14. 

Fonti citate dal Times of Israel hanno riferito che Abu Shabab è morto per le ferite riportate dopo essere stato trasportato in un ospedale in Israele in seguito allo scontro. Haaretz ha citato una smentita dell'ospedale Soroka, secondo cui Abu Shabab sarebbe morto a Gaza. 

"L'ospedale ha dichiarato che Abu Shabab non è arrivato", ha riportato Haaretz . 

Il canale israeliano Channel 12 ha affermato che Abu Shabab è stato ucciso in "combattimenti tribali interni".

Il canale Radaa Force, legato ad Hamas, ha pubblicato un'immagine del capobanda con la didascalia: "Ve l'avevamo detto; Israele non vi proteggerà".

"L'esercito non è stato in grado di proteggere la milizia, e la prova di ciò è l'uccisione del leader della più grande milizia di Gaza. Purtroppo, la propaganda di Hamas sul destino della milizia ha avuto successo", secondo l'analista militare israeliano Avi Ashkenazi.

Il canale israeliano Channel 12 ha definito la sua morte un "clamoroso fallimento" derivante dalla politica a breve termine di Tel Aviv volta a trovare un'alternativa ad Hamas a Gaza, aggiungendo che "alla fine, la milizia è crollata e Hamas è sopravvissuta".

Durante la guerra, Abu Shabaab e la sua banda sono stati armati e sostenuti da Israele. Le sue forze erano dietro ai continui saccheggi dei camion degli aiuti umanitari, per i quali Tel Aviv ha lanciato una campagna per attribuire la responsabilità ad Hamas. 

I miliziani di Abu Shabab hanno anche esplorato la zona alla ricerca di truppe israeliane prima delle operazioni e si sono ripetutamente scontrati con la resistenza a favore di Tel Aviv. 

Si dice che il suo gruppo, soprannominato Forze Popolari, sia la più grande delle milizie anti-Hamas attualmente operative nella Striscia. Abu Shabab comandava circa 2.000 combattenti con base a Rafah, distrutta e occupata dall'esercito israeliano durante il genocidio. 

Altri gruppi sostenuti da Israele includono la milizia di Hossam al-Astal, un beduino legato all'Autorità Nazionale Palestinese (AP). 

Alla fine di ottobre, Sky News ha riferito che le bande di Astal e Abu Shabab, insieme ad altri gruppi, si stavano preparando per una campagna sostenuta da Israele, dai paesi arabi e dall'Autorità Nazionale Palestinese per cacciare Hamas da Gaza. 

Da quando il mese scorso è stato raggiunto il cessate il fuoco, Hamas ha iniziato a reprimere le bande sostenute da Israele.

A metà ottobre, le forze del Ministero dell'Interno di Gaza si sono scontrate con gruppi armati e hanno ucciso decine di combattenti. Decine di altri sono stati arrestati. Il periodo di amnistia annunciato dalle autorità di Gaza – riservato esclusivamente ai membri delle milizie non coinvolti nelle uccisioni – è scaduto.

A luglio, Hamas ha annunciato di aver concesso ad Abu Shabab 10 giorni di tempo per arrendersi alle autorità con l'accusa di tradimento, ribellione armata e formazione di banda armata, pena il processo in contumacia. 

Abu Shabab è stato arrestato da Hamas nel 2015 e condannato a 25 anni di carcere con l'accusa di traffico di droga e furto.

Fuggì nell'ottobre 2023 dopo che i raid aerei israeliani colpirono la prigione in cui era detenuto. I leader del clan Tarabin di Abu Shabab lo hanno pubblicamente rinnegato e hanno chiesto la sua morte per aver collaborato con Israele.

Quando il cessate il fuoco a Gaza è entrato in vigore in ottobre, i media ebraici hanno ribadito che Abu Shabab e la sua banda non sarebbero stati evacuati in Israele. 

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Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 11:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Netanyahu respinge il ritorno dell'ANP a Gaza e annuncia: Israele è pronto a sostenere i palestinesi che si oppongono ad Hamas

 

In un'intervista al New York Times (NYT) pubblicata il 3 dicembre, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito il suo rifiuto del ritorno dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) nella Striscia di Gaza.

"L'Autorità Nazionale Palestinese era a Gaza. Ci abbiamo già provato. Sono stati cacciati via sommariamente, sono molto corrotti, non hanno mai tenuto elezioni", ha detto il premier al NYT. 

"Ho detto alla mia gente che non li avremmo abbattuti, anche se sono in molti a spingermi a farlo", ha aggiunto, riferendosi a figure della sua coalizione come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che ha guidato una campagna di strangolamento finanziario contro Ramallah e ha ripetutamente minacciato di far crollare l'Autorità Nazionale Palestinese. 

"Ma li terremo a bada e, cosa più importante, esigeremo delle vere riforme. Non possono insegnare ai loro figli a diventare attentatori suicidi. Non possono 'pagare per uccidere'", ha proseguito, riferendosi a una legge dell'Autorità Nazionale Palestinese che per anni ha consentito il pagamento di stipendi alle famiglie dei prigionieri palestinesi condannati per attacchi della resistenza contro gli israeliani. 

Ramallah ha abrogato la legge sotto la pressione degli Stati Uniti e di recente ha licenziato il suo ministro delle finanze per aver continuato a erogare illecitamente gli stipendi. 

L'Autorità Nazionale Palestinese "non è un partner per la pace", ha ribadito il premier al NYT. "Ci sono altre possibilità, e credo che alla fine i palestinesi che vogliono davvero un futuro prenderanno il controllo di Gaza".

“E a proposito, in questo momento ci sono palestinesi a Gaza che stanno combattendo contro Hamas… Queste persone non vogliono l'Autorità Nazionale Palestinese e non vogliono Hamas, vogliono essere padroni del proprio destino.”

"Dicono: 'Basta con la dittatura del terrore'", ha proseguito il premier. "Penso che dovremmo dare loro una possibilità".

Netanyahu si riferiva ai gruppi armati di Gaza sostenuti da Israele durante tutta la guerra, tra cui le bande di Yasser Abu Shabab e Hossam al-Astal. Questi gruppi sono responsabili del saccheggio degli aiuti umanitari e dell'uccisione di civili palestinesi e si sono coordinati con l'esercito israeliano contro la resistenza. 

Molte di queste milizie hanno ricevuto anche il sostegno dell'Autorità Nazionale Palestinese e dei Paesi arabi e hanno in programma di smantellare Hamas e formare una "nuova Gaza", ha riferito Sky News in ottobre. 

Netanyahu ha suggerito nell'intervista che questi gruppi costituiscano una leadership alternativa. 

Ha anche affermato che Israele intende ampliare gli Accordi di Abramo del 2020, includendo accordi con "paesi islamici al di fuori della regione", ma ha ribadito il suo rifiuto dello Stato palestinese. 

Il "piano di pace" del presidente statunitense Donald Trump per Gaza prevede un eventuale ritorno dell'Autorità Nazionale Palestinese a Gaza, subordinato alle riforme che Ramallah dovrà attuare. Tuttavia, Tel Aviv ha ripetutamente respinto l'idea di un governo dell'Autorità Nazionale Palestinese nella Striscia.

Ramallah ha già iniziato ad attuare riforme su richiesta di Washington, degli stati arabi e dei paesi occidentali, anche all'inizio di quest'anno, quando ha posto fine alla politica degli stipendi. 

A settembre, i governi francese e britannico hanno annunciato il riconoscimento di uno Stato palestinese. Secondo un articolo del Telegraph di quel mese, Londra e Parigi hanno condizionato il riconoscimento della Palestina a una "revisione" del sistema educativo palestinese.

L'Egitto e la Giordania hanno presentato un piano per addestrare migliaia di agenti dell'Autorità Nazionale Palestinese, con l'obiettivo di dispiegarli a Gaza come forza di polizia locale. 

Tutto ciò avverrebbe nell'ambito della seconda fase del cessate il fuoco a Gaza , che Israele, a quanto si dice, è stato riluttante a portare avanti. 

L'Autorità Nazionale Palestinese (ANP) è stata fondata in seguito agli Accordi di Oslo del 1993 tra Israele e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Abbas è stato eletto presidente nel 2005 e da allora è al potere, nonostante la scadenza del suo mandato nel 2009.

Hamas espulse l'Autorità Nazionale Palestinese da Gaza nel 2007, dopo aver vinto le elezioni l'anno precedente. 

Nonostante anni di intenso coordinamento in materia di sicurezza tra Ramallah e Tel Aviv e nonostante l'Autorità Palestinese abbia represso la resistenza in Cisgiordania per conto di Israele, l'autorità si trova ad affrontare una campagna israeliana di strangolamento finanziario ed è costantemente accusata di incoraggiare il terrorismo e l'antisemitismo.

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Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 11:30:00 GMT
OP-ED
Caitlin Johnstone: Come diventare la prima specie ad estinguersi per troppo essere gentili

 

Caitlin Johnstone*

Siamo sulla buona strada per diventare la prima specie a estinguersi a causa della cortesia. Seguiremo i dinosauri fuori dalla porta perché era troppo scomodo e provocatorio dire a qualche miliardario e manager di imperi di andare a farsi fottere.

Come ha affermato Howard Zinn:

"Non appena dici che l'argomento è la disobbedienza civile, stai dicendo che il nostro problema è la disobbedienza civile. Non è questo il nostro problema... Il nostro problema è l'obbedienza civile. Il nostro problema è il numero di persone in tutto il mondo che hanno obbedito ai dettami dei leader dei loro governi e sono andate in guerra, e milioni sono state uccise a causa di questa obbedienza. E il nostro problema è quella scena di " Niente di nuovo sul fronte occidentale" in cui gli scolari marciano diligentemente in fila indiana verso la guerra. Il nostro problema è che le persone sono obbedienti in tutto il mondo, di fronte alla povertà, alla fame, alla stupidità, alla guerra e alla crudeltà. Il nostro problema è che le persone sono obbedienti mentre le prigioni sono piene di ladruncoli, e nel frattempo i grandi ladri governano il paese. Questo è il nostro problema."

O come ha detto Utah Phillips: "La Terra non sta morendo, sta venendo uccisa. E le persone che la stanno uccidendo hanno nomi e indirizzi".

Hanno nomi e indirizzi, ma non li fermiamo. Li lasciamo sventolare armi da guerra per i loro programmi di potere globale e distruggono la nostra biosfera per profitto, e chissà dove vogliono arrivare con tutta questa intelligenza artificiale senza alcuna regolamentazione o responsabilità. Possono semplicemente giocare con la vita di ogni organismo su questo pianeta, senza alcun impedimento.

Non lo permettiamo per nessuna buona ragione. Semplicemente non vogliamo essere maleducati. Fermarli sarebbe un po' troppo, capisci? Un po' troppo da polizia sveglia e sarcastica. A nessuno piace una sgridata senza senso dell'umorismo.

Che ragione ridicola per la fine del mondo.

A volte mi piace pensare al paradosso di Fermi. Sai, l'apparente contraddizione tra il fatto che non riusciamo a rilevare alcun segno di vita extraterrestre nella nostra galassia e il fatto che l'equazione di Drake suggerisca che dovremmo vederne un po', dato l'elevato numero di stelle nella Via Lattea.

Sono state elaborate teorie di ogni tipo per risolvere questo paradosso. Forse gli extraterrestri ci nascondono per qualche motivo i segni della loro esistenza. Forse la vita è esistita su altri pianeti molte volte nel corso della storia della nostra galassia, ma ogni volta che la vita raggiunge un certo livello di intelligenza, si autodistrugge sempre cannibalizzando la propria biosfera o annientando se stessa con armi nucleari.

Una teoria che mi piace prendere in considerazione è la possibilità che ci sia vita su altri pianeti e che queste forme di vita un giorno sviluppino alti livelli di intelligenza, ma non vediamo alcun segno di tecnologia extraterrestre perché gli esseri umani sono le prime forme di vita ad arrivare a questo stadio.

Non è assurdo immaginarlo? Se SIAMO NOI gli adulti qui? Se siamo i fratelli maggiori nella nostra famiglia galattica? Gli alieni non sono mai venuti a salvarci con tecnologie di una civiltà milioni di anni più avanzata della nostra perché NON ci sono civiltà più avanzate della nostra. Siamo arrivati ??prima noi.

Immaginate quanto sarebbe assurdo se ci estinguessimo per educazione, e poi altre civiltà arrivassero qui milioni di anni dopo e scoprissero che è quello che è successo alla prima forma di vita intelligente della loro galassia. Se si presentassero e trovassero un mucchio di rovine su un pianeta avvelenato, con un cartello che dice "Scusate, abbiamo cercato di sopravvivere ma non ci sentivamo abbastanza in diritto di far smettere Sam Altman di comportarsi da stronzo".

Che imbarazzo sarebbe! Saremmo lo zimbello della Via Lattea. Ci verrebbero rivolte intere offese.

"Qualcuno deve porre fine a questa assurdità, ma non voglio creare situazioni spiacevoli."

"Ah, smettila di fare il piccolo homo sapiens!"

Che eredità sciocca per una specie!

Cambiamo le cose prima che si arrivi a questo punto, va bene?

_______________

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/

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Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 11:00:00 GMT
OP-ED
Gli uomini come nemici: il nuovo reato di femminicidio 


di Francesco Corrado 

 
Il 25 novembre la Camera dei Deputati ha approvato le modifiche al codice penale che introducono il reato di femminicidio dopo che lo stesso testo era stato approvato al Senato il 23 luglio. 

La destra e la sinistra quindi, in amoroso connubio, impongono agli italiani tutti (maschi e femmine) le pene più severe dell'Europa occidentale per l'omicidio di un essere umano di sesso femminile. Perché? A parte il motivo di far regredire la cultura giuridica del paese è difficile darsi uno spiegazione razionale. 
 
Innanzitutto siamo di fronte a due fatti incontestabili: 1- il numero dei femminicidi in Italia è stabile (forse in lieve diminuzione) da 40 anni. 2- l'Italia è uno dei paesi con meno femminicidi (per milione di abitanti) d'Europa. 
 
Il numero assoluto di femminicidi in Italia si aggira intorno ai 110 (ad abundantiam) ed è invariato da 40 anni. Con la scomparsa del fenomeno terroristico e la fine della guerre di mafia il numero di omicidi in Italia è diminuito dai 1300 dell'inizio degli anni '90 agli attuali 400. Quindi il fenomeno cosiddetto dei femminicidi spicca di più. Ma solo perché la violenza terroristica è terminata e solo perché le strade di Napoli e di Palermo non grondano sangue come successe negli anni '80 e '90.
 
I dati riportati nell'immagine in alto, cioè dati dell'ONU sui femminicidi relativi al 2023, in cui si evince chiaramente che l'Italia è uno dei paesi con meno femminicidi dell'intero continente, dovrebbero dire qualcosa al legislatore ed al cittadino, comprese le femministe più radicali. Invece no.
 
Se si prendono i dati di altri anni o dati forniti da altri enti come l'UE o l'OMS o l'OSCE il risultato sarà lo stesso. L'Italia è in generale uno dei paesi meno violenti d'Europa in tutto e per tutto. Non solo relativamente ai femminicidi ma anche agli omicidi in generale, ai suicidi e alle violenze di altro genere, comprese quelle su minoranze religiose, etniche, razziali e sessuali (gay, trans eccetera). Per fare un esempio ci sono più aggressioni a sfondo razziale in un solo mese nella sola Londra che in tutta Italia in due anni a volte anche di più. Sulle aggressioni a sfondo omofobo poi la situazione non è diversa.
 
L'allarme allora a cosa è dovuto? Innanzitutto a speculazioni politiche ed al fatto che i giornalisti non fanno più il loro lavoro. Esempio da manuale: Damilano nel suo programma su RAI3, "il Cavallo e la Torre", un giorno ospitava Karola Rackete, cittadina tedesca. Quel giorno c'era stato un femminicidio quindi la domanda all'ospite fu inevitabile: "ha visto? Oggi c'è stato un altro femminicidio" Risposta della europarlamentare tedesca che dovrebbe fare gli interessi dell'Italia: "Si voi in Italia avete un problema coi femminicidi". Eppure per ogni 100 femminicidi commessi in Italia se ne commettono 250 in Germania, quindi di cosa si parla?
 
Ma torniamo alla "politica criminale" tra virgolette ovviamente perché le favolette nulla hanno a che fare con la politica.
Perché la sinistra è passata dallo storico garantismo al giustizialismo più feroce? E com'è possibile che i cosiddetti progressisti si impegnino a riportare l'orologio della nostra civiltà giuridica indietro di decenni se non di secoli?
 
Una volta le battaglie della sinistra erano molto più serie in materia criminale. Pio la Torre o Peppino Impastato erano gli esempi di questo impegno: cioè lotta alla mafia, roba seria, non chiacchiere. Ma ora la sinistra giustamente vuole anche governare, mica fare solo opposizione come dal 1948 al 1996. Quindi ha dovuto accettare la mafia come parte integrante della società italiana (date le protezioni di cui gode a livello internazionale, Falcone docet) e non avendo più alcun argomento in materia criminale si getta nella lotta al patriarcato che si concretizza in leggi di una ferocia inaudita nei confronti degli uomini italiani che sono tra i meno violenti del mondo. 
 
Quindi con la scusa di una impalpabile lotta ad un ancor più impalpabile patriarcato, anche la sinistra intraprende quelle che i manuali di diritto penale chiamano le "campagne legge ed ordine" grazie alle quali politici senza argomenti fanno parlare di se. 
Salvini citofona alle porte degli spacciatori mentre la Boldrini se la prende con tutti gli uomini.
 
Ricordate Bracardi vestito da squadrista che ripeteva ossessivamente "In galera!". Se nel DNA della cultura della sinistra storica c'erano la pietas ed il rispetto anche del reo (nessuno tocchi Caino), basterebbe pensare alla teoria dei sostitutivi penali del Ferri (e siamo nella seconda metà del 1800), l'attuale sinistra indefinita boldriniana se ne fotte e spinge sulla colpevolizzazione preventiva di tutti gli uomini.
 
In questa scia vogliono introdurre demenziali corsi di affettività nelle scuole materne, tipici di quei paesi che, al contrario di noi italiani, di problemi di femminicidi e di violenza in generale ne hanno un bel po'.
Del resto se i protestanti si erano fissati che le donne fossero inferiori agli uomini, cosa che del resto trovò addirittura dimostrazioni "scientifiche" (falsissime) nelle università europee infettate dal positivismo, su una lunghezza d'onda del tutto differente si sono sempre mossi i cattolici. Del resto i paesi più matriarcali d'Europa sono proprio Spagna ed Italia.
 
Insomma l'Italia ha problemi di criminalità specifici e gravi con la presenza, sul territorio nazionale, di ben 4 eserciti privati a difesa degli interessi della criminalità organizzata. Su questo versante non vola una mosca, anzi le mafie, grazie ai contatti politici, riescono a ricevere lauti finanziamenti addirittura dall'UE (la mafia dei pascoli ne è un esempio da manuale).

Ma il problema è il patriarcato.
Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 11:00:00 GMT
Lavoro e Lotte sociali
Le manifestazioni di piazza degli operai fanno ben sperare

 

di Federico Giusti

Scioperi generali e non, presidi, cortei e proteste, le organizzazioni sindacali, non tutte ma quelle di base e la Cgil  almeno si, percepiscono ormai la necessità del conflitto senza cui non riusciremo a tutelare anche le condizioni esistenti che non sono per altro ottimali  tra erosione del potere di acquisto e incapacità di tutelare l'occupazione. Aziende e cooperative iniziano a dubitare del Governo Meloni, comprendono forse che non basterà tagliare le tasse per uscire dalla crisi, nel frattempo stanno arrivando lettere di licenziamento, richieste di ammortizzatori sociali, riduzioni orarie.
 
Il lavoratore indebitato che non arriva alla terza settimana del mese è ormai un lavoratore frustrato, depresso, scontento della sua prestazione e mortificato per i salari da fame. 
 
Abbiamo toccato con mano nella Pubblica amministrazione come si materializza il bisogno formativo, attraverso corsi da remoto che poi sono lezioni registrate, ore e ore a ripetere un insieme di norme legislative senza suscitare interesse alcuno nel pubblico, senza coinvolgimento empatico, senza opportunità di approfondimenti e di prove pratiche successive alle lezioni.
 
I lavoratori pubblici, nell'esigere dei percorsi di aggiornamento, non si attendevano certo questa tipologia di corsi che, per le modalità di svolgimento, non aggiungono conoscenze effettive  trasformando la formazione stessa in una farsa.
 
Non è sufficiente parlare in termini generici di formazione quando all'atto pratico il Ministero non mostra alcun interesse a utilizzare questi percorsi in strumenti utili al potenziamento della Pubblica amministrazione, all' arricchimento del bagaglio professionale e culturale dei singoli spingendoli ad andare oltre le prestazioni legate ai profili professionali. Siamo dinanzi al  classico comportamento italico con il rapporto tra costi e benefici non preso in  considerazione, si segue la moda del momento senza mai effettuare alcuna verifica.
Urge riflettere sulla crisi dell’attuale sviluppo italiano, sulla incapacità di cogliere limiti e contraddizioni, arretratezze del sistema produttivo e di quello scolastico fino all'università.
 
In una scuola tecnica siamo stati accolti da un aereo di 70 anni fa, se questo è il messaggio lanciato (venite a imparare come si smonta e si guida un caccia da guerra) ,a prescindere dalla offerta formativa prettamente militarista che indurrebbe all'immediato boicottaggio dell'istituto,  quale effetto pensiamo di avere su giovani abituati a ben altra tecnologia?
 
Qualcuno da tempo chiede ai lavoratori di ragionare sul modello di sviluppo e sulla crisi climatica, sul  modello industriale dei fossili e sulla transizione energetica, in altri termini si pretende dalla classe lavoratrice quel salto di qualità che intellettuali, vertici di partiti e sindacati non sanno neanche  affrontare. I lavoratori dovranno porsi quesiti importanti ma una volta tanto vogliamo almeno salvaguardare il loro potere di acquisto facendoli ragionare prima di tutto sulla necessità di arrestare la erosione dei salari e delle pensioni?
 
Un vecchio vizio quello di girare attorno ai reali problemi non sapendo come affrontarli, se parliamo di politica industriale o di autonomia energetica vogliamo provare almeno a ragionare sul taglio dei finanziamenti alle comunità energetiche?
 
Davanti ai lacrimogeni lanciati contro gli operai siderurgici genovesi, la risposta è stata semplice e diretta: senza lavoratori non si fa la decarbonizzazione, senza i lavoratori della Pa non si difendono i servizi pubblici. Rimettere al centro la forza lavoro e i bisogni collettivi , è questa la soluzione e soprattutto la premessa da cui partire per ogni ulteriore iniziativa

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Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 10:30:00 GMT
Dalla parte del lavoro
Il PD e lo stato di Israele


di Giorgio Cremaschi*

L’onorevole Piero Fassino è andato in Israele a proclamare la grande democrazia di quello Stato genocida.

Intanto due bambini venivano assassinati da uno dei tanti killer dell’IDF. La loro colpa era di aver oltrepassato là linea gialla della finta pace. Cercavano legna da ardere, perché nelle tende di Gaza si muore di freddo e nel fango, oltre che sotto le bombe. Il genocidio continua, ma per l’onorevole Fassino questa è democrazia.

Provenzano della segretaria del PD ha commentato che Fassino non era lì ad omaggiare gli assassini a nome del partito. E allora cosa cambia?

Pina Picierno che urla contro l’antisemitismo in Italia e accoglie con sorrisi i rappresentanti dei coloni razzisti, di che partito è?

E la sindaca di Firenze che rifiuta la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese?

E Graziano Del Rio che fa sua la legge fascista voluta dalla destra che equipara all’antisemitismo ogni difesa della libertà palestinese?

E Luciano Violante che chiede repressione totale contro chi manifesta per la Palestina?

Tutti costoro di che partito sono?

E l’ossimoro “sinistra per Israele” in che partito principalmente si colloca?

Tutti questi e tutto questo sono nel PD.

E che legame c’è tra il PD e Romano Prodi, che invita pesantemente il Comune di Bologna a seguire quello di Firenze contro Francesca Albanese?
Uno cosa è chiara, dentro il PD e nel suo campo largo ci sono totali complici del genocidio israeliano, distinguibili da quelli di destra solo per qualche ipocrisia in più.

Nei casi più sfacciati e insostenibili, come quello di Fassino, la segreteria del partito prende le distanze, poi però rapidamente se ne dimentica e i fanatici sionisti continuano ad agire nel e con il PD.

Ma quanto fa schifo il PD!

*Post Facebook del 5 dicembre 2025

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 10:00:00 GMT
OP-ED
Macron in Cina e la schizofrenia UE

 

di Laura Ru*

 

La visita di Macron a Pechino mette a nudo la schizofrenia dell’UE e il crescente divario tecnologico con la Cina. Il presidente francese arriva con al seguito una delegazione di 60 amministratori delegati francesi. Davanti a Xi Jinping dichiara, con entusiasmo: “La Francia accoglie gli investimenti cinesi.” Il messaggio è forzatamente caloroso ed esplicito: venite, costruite fabbriche, acquistate aziende, portate il vostro capitale e il vostro know-how.

Un tempo la Cina esportava beni a basso costo in Europa – oggi detiene un vantaggio tecnologico mentre l’Europa fatica a restare competitiva nelle industrie strategiche. È per questo che Macron sollecita le imprese cinesi a trasferire competenze tecnologiche. Un'iniezione di realismo politico nelle relazioni tra Parigi e Pechino? Non proprio.

A Bruxelles, l’ex ministro degli Esteri di Macron e suo storico confidente Stéphane Séjourné – oggi vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la Prosperità e la Strategia Industriale – annuncia esattamente l’opposto. L’UE sta valutando di obbligare le industrie a ridurre gli acquisti dalla Cina per proteggere l’Europa da 'futuri atti ostili', afferma il commissario all’industria, Séjourné.

Le sue dichiarazioni arrivano mentre la Commissione europea presenta una strategia da 3 miliardi di euro per ridurre la dipendenza dalla Cina per le materie prime critiche e accusa Pechino di usare le sue esportazioni come arma, dai magneti alle batterie, dai microchip alle terre rare.

Il programma ReSourceEU ha lo scopo dichiarato di ridurre i rischi e diversificare le catene di approvvigionamento del blocco per le materie prime chiave. L'obiettivo chiaro sono le importazioni dalla Cina. In pratica, se un’azienda francese, tedesca o italiana acquista terre rare, litio o grafite solo dalla Cina, presto sarà accusata di violare la legge europea. Da un lato c’è Macron che implora le imprese cinesi di investire di più in Francia. Dall’altro c’è il suo ex consigliere capo, ora a Bruxelles, che redige silenziosamente proprio quelle regole che limiteranno l’accesso delle stesse aziende cinesi al mercato europeo e puniranno le imprese europee considerate “troppo dipendenti” dalla Cina. Vale la pena ricordare che nel 2021, quando era ancora membro del Parlamento europeo, Séjourné fu uno dei più accesi oppositori dell’Accordo Globale sugli Investimenti UE-Cina (CAI), contribuendo ad affossarlo poche settimane prima della firma.

Dichiarazioni pubbliche di apertura agli investimenti cinesi, accompagnate da mosse istituzionali per ridurre il ruolo economico della Cina in Europa. Cosa potrebbe mai andare storto?

 

*Post Telegram tratto dal canale @LauraRuHk

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 07:00:00 GMT

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