NEWS - prima pagina - NEWS - politica - NEWS meteo

Cliccando su i link posti di seguito, si aprirĂ  la pagina delle news relativa al titolo del link stesso


News lantidiplomatico.it

News lantidiplomatico.it

IN PRIMO PIANO
Il Venezuela denuncia all’ONU la “maggior estorsione” della storia, Russia e Cina alzano la voce

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è diventato il teatro di una denuncia molto forte da parte del Venezuela, che ha accusato pubblicamente gli Stati Uniti di orchestrare quella che ha bollato come “la maggior estorsione conosciuta nella nostra storia”. L’ambasciatore venezuelano Samuel Moncada, in un intervento carico di tensione, ha dipinto un quadro di aggressione sistematica, descrivendo le azioni di Washington come “un gigantesco crimine di aggressione in sviluppo, fuori da ogni parametro razionale”. Il cuore dell’accusa risiede nelle dichiarazioni pubbliche del presidente statunitense Donald Trump, che, come evidenzia Caracas, ha esplicitamente rivendicato il furto di terre, petrolio e minerali venezuelani, minacciando altrimenti di “scaricare la furia della maggiore Armata della storia” sul paese sudamericano.

Moncada ha lanciato un allarme che va ben oltre i confini nazionali, definendo l’ambizione statunitense come “continentale”. Ha avvertito che il Venezuela è solo il primo obiettivo di un piano più ampio, volto a dividere e conquistare l’intera regione, applicando una versione aggiornata e aggravata della Dottrina Monroe. Come prova di questa deriva, il diplomatico ha citato gli oltre ventinove attacchi condotti dalle forze statunitensi nei Caraibi e nel Pacifico negli ultimi mesi, operazioni che avrebbero causato più di centouno vittime civili non combattenti. Ha stigmatizzato con forza il tentativo di Washington di giustificare queste azioni come parte di un “diritto di guerra”, sottolineando come non esista alcun conflitto armato internazionale in atto nella regione. “È assurdo”, ha affermato, “che il Governo degli Stati Uniti pretenda di giustificare i suoi assassinii applicando le norme di diritto di guerra”.

La crisi ha radici nell’ampio e minaccioso dispiegamento militare statunitense nelle acque dei Caraibi, iniziato ad agosto e giustificato inizialmente con la lotta al narcotraffico. Una narrazione che, rileva il Venezuela, ha mostrato il suo vero volto con il passare dei mesi, trasformandosi in un discorso aperto di controllo e appropriazione delle risorse energetiche venezuelane, culminato nei recenti sequestri di petroliere denunciati come “furto e pirateria”.

Di fronte a queste accuse, la risposta della comunità internazionale nel Consiglio di Sicurezza è stata netta. La Cina, per voce dell’ambasciatore alterno Geng Shuang, ha espresso una ferma opposizione a “tutti gli atti di unilateralismo e di minaccia”, condannando esplicitamente la minaccia dell’uso della forza, l’ingerenza negli affari interni del Venezuela e le sanzioni unilaterali illecite. Pechino ha esortato Washington a “ascoltare il giusto appello della comunità internazionale”, a fermare immediatamente le sue azioni e a rispettare la sicurezza della navigazione e i diritti sovrani dei paesi della regione.

Anche la Russia ha alzato il tono, con l’ambasciatore Vasili Nebenzia che ha trasformato la difesa del Venezuela in un monito per tutta l’America Latina. Le azioni degli Stati Uniti, ha avvertito, non sono un episodio isolato ma “un intervento che potrebbe diventare un modello” per future azioni militari contro altri Stati della regione che perseguano politiche sovrane. Con una citazione potente, Nebenzia ha ammonito: “Non chiedetevi per chi suonano le campane, suonano per voi”. Mosca ha ribadito la sua piena solidarietà con il popolo venezuelano, esortando tutti coloro che credono nel diritto internazionale a fare altrettanto.

La denuncia è stata rafforzata dagli interventi di Cuba e Nicaragua. Il rappresentante cubano, Ernesto Soberón Guzmán, ha smascherato quella che ha definito la “doppia morale” di Washington, ricordando come gli Stati Uniti proteggano organizzazioni terroristiche sul proprio territorio mentre designano come terrorista il governo venezolano. Ha anche sottolineato l’impatto devastante delle azioni statunitensi sull’economia e sul sistema energetico cubano, strettamente legato a quello venezuelano. Da parte sua, l’ambasciatore del Nicaragua, Jaime Hermida, ha parlato senza mezzi termini di “atti di pirateria moderna”, condannando il saccheggio delle risorse venezuelane e chiedendo il cessate il fuoco immediato del blocco navale, definito una minaccia diretta alla sicurezza di tutta l’America Latina.

La sessione d'emergenza del Consiglio di Sicurezza ha così messo a nudo la condotta predatoria e unilaterale degli Stati Uniti, che, agendo al di fuori di ogni quadro legale internazionale e calpestando i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite, ha trasformato i Caraibi in un teatro di operazioni militari illegittime. Il Venezuela bolivariano, con il supporto di membri permanenti del Consiglio e della comunità regionale, ha smascherato non una semplice disputa bilaterale, ma una strategia calcolata di coercizione e appropriazione delle risorse. Questa escalation, presentata sotto prestesti fallaci come il narcotraffico e la sicurezza, rivela in realtà l'applicazione brutale di una dottrina di dominio che pretende di sostituire il diritto internazionale con la legge del più forte, instillando un pericoloso precedente di aggressione impunita che getta un'ombra lunga sulla sovranità di tutti gli stati del Sud globale.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 23:26:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Un jet con a bordo alti ufficiali libici precipita in Turchia

 

Un jet privato Dassault Falcon 50, che trasportava una delegazione militare libica, è precipitato a sud-ovest della capitale turca Ankara. Lo riportano i media locali, citando fonti ufficiali. La delegazione si trovava in Turchia per una serie di colloqui svoltisi nella prima parte della giornata.

Il Ministro dell’Interno turco, Ali Yerlikaya, ha confermato che i controllori di volo hanno perso il contatto con l’aeromobile circa 40 minuti dopo il suo decollo dall’aeroporto Esenboga di Ankara. Secondo le dichiarazioni ufficiali, il velivolo aveva precedentemente richiesto un atterraggio di emergenza prima che le comunicazioni cessassero definitivamente.

Il ministro ha precisato che a bordo del jet si trovavano cinque passeggeri, tra i quali il Capo di Stato Maggiore libico, il generale Muhammad Ali Ahmed al-Haddad. Nel frattempo, immagini di telecamere a circuito chiuso circolate online mostrano una violenta esplosione che ha illuminato i cieli sopra la capitale turca. Le autorità ritengono che l’evento sia collegato alla scomparsa dell’aereo. Al momento non è stato possibile accertare con immediatezza se l’esplosione catturata dai video sia avvenuta in volo o dopo l’impatto al suolo. Le indagini sono in corso.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 20:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Ministro della Difesa tedesco: "Putin non è interessato ad una guerra su larga scala contro la Nato"

 

Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha espresso un'analisi divergente rispetto alle recenti dichiarazioni allarmistiche del Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, riguardo alle intenzioni della Russia. In un'intervista al quotidiano *Die Zeit*, Pistorius ha dichiarato di non credere che il Presidente russo Vladimir Putin sia intenzionato a entrare in una guerra diretta e su vasta scala con l'Alleanza Atlantica.

Rutte, all'inizio del mese, aveva esortato i paesi membri ad accelerare gli aumenti della spesa militare, affermando che l'Europa occidentale sarebbe il "prossimo obiettivo" della Russia al termine del conflitto in Ucraina e che Mosca "potrebbe essere pronta a usare la forza militare contro la NATO entro cinque anni".

Pistorius, interpellato su queste valutazioni, ha replicato: "Non credo in uno scenario del genere". Secondo la sua interpretazione, "Putin non è interessato a scatenare una guerra mondiale su vasta scala contro la NATO. Vuole distruggere la NATO dall'interno... minandone l'unità". Il ministro tedesco ha aggiunto che, a suo avviso, Mosca sta anche "lavorando strategicamente per convincere gli americani a ritirarsi" dall'Europa.

Le osservazioni di Pistorius seguono i commenti del Presidente russo Vladimir Putin durante la sua conferenza stampa di fine anno. Pur definendo Rutte un "uomo intelligente" in base alla loro precedente collaborazione, Putin si è chiesto retoricamente: "A volte vorrei chiedergli: che sciocchezze stai dicendo sulla guerra con la Russia?". Il leader russo ha invitato a consultare la nuova strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, pubblicata a dicembre dall'amministrazione del Presidente Donald Trump, notando che il documento non menziona la Russia come una minaccia per l'Occidente, esplicita che la NATO non dovrebbe espandersi ulteriormente e contiene critiche alla direzione politica e culturale dell'UE.

In una dichiarazione di lunedì, il Vice Ministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov ha ribadito la posizione di Mosca, affermando la disponibilità a fornire garanzie legali di non attaccare la NATO e l'UE come parte di una risoluzione del conflitto in Ucraina basata sul principio di sicurezza uguale e indivisibile.

La Russia ha costantemente respinto le accuse di pianificare aggressioni contro i paesi NATO, descrivendole come un pretesto utilizzato dai leader occidentali per distogliere l'attenzione dai problemi interni e giustificare l'aumento delle spese militari.

 

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 20:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Le forze ucraine uccidono 20 civili in una settimana – Miroshnik

 

Almeno 20 civili sono stati uccisi e altri 73 rimasti feriti, tra cui tre bambini, negli attacchi condotti dalle forze ucraine nell’ultima settimana. Lo ha dichiarato l’ambasciatore straordinario del Ministero degli Esteri russo, Rodion Miroshnik, incaricato di monitorare le presunte violazioni del diritto internazionale in Ucraina.

Secondo l’aggiornamento settimanale del diplomatico, le vittime si sono concentrate principalmente nelle regioni di Kherson, Belgorod e Zaporizhzhia, con la maggior parte delle perdite attribuite a incursioni mediante droni. Tra le vittime figurano un neonato di cinque mesi ferito nella città di Belgorod e una donna di 91 anni colpita in un villaggio della regione di Zaporizhzhia.

Miroshnik ha ricordato che il picco di vittime civili settimanali si è registrato alla fine di maggio, in coincidenza con i colloqui di pace tenutisi a Istanbul. Secondo la sua ricostruzione, l’intensificazione degli attacchi in quel periodo fu ordinata dai sostenitori europei di Kiev con l’obiettivo di sabotare i negoziati. “A Kiev è stato detto di usare praticamente qualsiasi mezzo, comprese azioni terroristiche”, ha affermato il diplomatico.

Le autorità russe accusano ripetutamente l’Ucraina di adottare “tattiche terroristiche” e di colpire deliberatamente i civili per compensare le difficoltà sul campo di battaglia. Mosca sostiene inoltre che tali pratiche, antecedenti all’escalation del 2022, riflettono l’approccio delle autorità insediatesi dopo il cambiamento di governo del 2014 a Kiev, accusate di reprimere il dissenso con la forza e di rifiutare la via diplomatica.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 20:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Rappresentante russo all'ONU: "Il blocco statunitense al Venezuela è un atto di aggressione"

 

Il Rappresentante Permanente della Federazione Russa presso le Nazioni Unite, Vasilij Nebenzia, ha definito le recenti misure statunitensi contro il Venezuela come "un vero e proprio atto di aggressione". Nel corso di un intervento al Consiglio di Sicurezza, l'ambasciatore russo ha condannato aspramente l'embargo navale imposto dagli Stati Uniti.

"Il blocco illegale imposto dagli Stati Uniti alla costa del Venezuela costituisce un atto di aggressione a tutti gli effetti", ha dichiarato Nebenzia, aggiungendo che "Washington è chiaramente responsabile delle conseguenze catastrofiche che questo comportamento 'da cowboy' ha per la popolazione del Paese assediato".

L'ambasciatore ha inoltre ribadito la posizione di Mosca, affermando che, di fronte alle azioni di Washington contro Caracas, la Russia "rinnova la sua piena solidarietà al popolo venezuelano". L'intervento si inserisce nel contesto di una lunga serie di tensioni diplomatiche tra Russia e Stati Uniti su diverse crisi internazionali, incluso il sostegno reciproco ai rispettivi alleati.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 20:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
La Cina condanna all'ONU le azioni unilaterali degli USA contro il Venezuela

 

La delegazione cinese presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso una ferma condanna delle recenti misure statunitensi contro il Venezuela. In una dichiarazione rilasciata martedì, l'ambasciatore supplente di Pechino all'ONU, Geng Shuang, ha ribadito l'opposizione della Cina a "tutti gli atti di unilateralismo e vessazione" da parte degli Stati Uniti, nonché a qualsiasi ingerenza di Washington negli "affari interni" del paese sudamericano.

"La Cina si oppone a tutti gli atti di unilateralismo e di molestia. Tutti i paesi devono difendere la loro dignità sovrana", ha dichiarato Geng Shuang. Ha inoltre precisato: "Siamo contrari a qualsiasi misura che violi i principi e gli scopi della Carta [delle Nazioni Unite] e che interferisca con la sovranità e la sicurezza di un terzo Stato".

Nel suo intervento, il diplomatico cinese ha sottolineato che il Venezuela, in quanto "Stato indipendente e sovrano", "ha il diritto di difendere i propri legittimi diritti e interessi". La presa di posizione di Pechino, allineata con quella espressa precedentemente dalla Russia, evidenzia una convergenza tra i due membri permanenti del Consiglio di Sicurezza nel respingere l'approccio statunitense e nel difendere il principio di non interferenza negli affari interni degli Stati, secondo i dettami della Carta delle Nazioni Unite.

 

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 20:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
SBU: cittadini ucraini in etĂ  di leva scappati nell'UE attraverso un gasdotto in disuso

 

Diversi cittadini ucraini in età di leva hanno eluso la mobilitazione attraversando il confine verso l'Unione Europea attraverso un vecchio gasdotto in disuso. Lo ha reso noto il Servizio di Sicurezza dell'Ucraina (SBU), illustrando i metodi sempre più elaborati adottati da coloro che intendono sfuggire al servizio militare.

In un comunicato stampa diffuso oggi, l'SBU ha annunciato l'arresto di otto persone in diverse regioni, sospettate di associazione finalizzata al traffico di migranti. Tra questi, un 62enne della regione occidentale della Transcarpazia, accusato di aver guidato uomini fino a un gasdotto abbandonato, facilitandone il passaggio clandestino oltre confine in cambio di somme di denaro. Dall'altro lato del confine, i fuggitivi sarebbero stati accolti da un connazionale residente nell'UE. Il gruppo, secondo le indagini, pubblicizzava i propri servizi attraverso la piattaforma TikTok.

L'SBU ha segnalato altri casi analoghi: a Poltava, un ex agente di polizia è sospettato di aver venduto certificati medici falsi per ottenere esoneri; a Dnipro, due individui avrebbero condotto renitenti attraverso sentieri forestali, fornendo loro abbigliamento mimetico per l'attraversamento illegale.

I dati ufficiali riflettono la portata del fenomeno. All'inizio dell'anno, il portavoce del servizio di frontiera ucraino, Andriy Demchenko, aveva stimato in oltre 13.000 gli arresti per tentativo di espatrio illegale nei primi otto mesi del 2024. Dal febbraio 2022, decine di persone hanno perso la vita nel tentativo di fuggire attraverso percorsi impervi.

La campagna di mobilitazione è diventata più stringente nei mesi recenti, a fronte delle perdite al fronte e delle segnalate carenze di personale da parte di comandanti militari. Pratiche di reclutamento aggressive, informalmente definite "busificazione" per l'uso di minibus non contrassegnati, sono state più volte denunciate da fonti locali e organizzazioni per i diritti umani.

La scorsa settimana, il Ministro della Difesa russo, Andrey Belousov, ha dichiarato che l'Ucraina avrebbe perso quasi 500.000 militari nel solo corso di quest'anno. Stime che Kiev non ha commentato.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 19:00:00 GMT
OP-ED
Andrea Zhok - “Russofilia Russofobia Verità”. L'elemento più preoccupante del sabotaggio alla Federico II

 

di Andrea Zhok*

 

Ieri la conferenza su “Russofilia Russofobia Verità”, già boicottata due volte, si è tenuta a Napoli, protagonisti Angelo D'Orsi e Alessandro DI Battista. Al termine della conferenza una folta claque presente tra il pubblico si è alzata con addosso magliette dell'Ucraina, urlando a squarciagola domande retoriche tipo "Chi vi paga?", cioè domande che non sono tali, ma sono in effetti ingiurie. Alla resistenza di alcuni astanti a questa azione di disturbo, alcuni hanno cominciato a lamentarsi della scarsa democraticità per non aver risposto alle domande (tipo che se ti chiedono "A che ora tua madre smette il turno sulla tangenziale?" devi rispondere educatamente dandogli un orario - e non invece con una sacrosanta testata sul setto nasale.) 

Ora, qui gli organizzatori politici del sabotaggio sono i soliti noti: Radicali, + Europa et similia, ma qui c'è stato anche il sostegno di elementi della comunità ucraina locale. Napoli, come molte altre città italiane ed europee, ospita una folta comunità di profughi ucraini e questo fatto credo sia stato finora sottovalutato nella sua portata.

L'Ucraina ha esportato in questi anni - grazie alle leggi europee che lo consentivano - milioni di propri cittadini in una moltitudine di città europee. Come è emerso da dati sul traffico social, tra gli ucraini, la maggior parte dei più acerrimi sostenitori della prosecuzione ad oltranza della guerra sono proprio ucraini fuggiti all'estero. 

Il sostegno degli ucraini alla guerra alberga soprattutto tra gli imboscati all'estero, mentre in patria l'auspicio di una rapida conclusione, anche con sacrifici territoriali, appare maggioritario.

Alla luce della chiusura del conflitto, che potrebbe non essere distante (io scommetterei su una tempistica di 6 mesi), un problema con cui temo avremo a che fare in futuro sarà precisamente la presenza di folti gruppi di nazionalisti ucraini nel cuore di tutte le città europee. 

Sono certo che molti cittadini ucraini vorranno soltanto vivere pacificamente, ma la rilevanza di una diaspora di ipernazionalisti - peraltro connessi con l'area con la massima circolazione di armi di contrabbando al mondo - rappresenterà un serio problema. Tutte le comunità all'estero, soprattutto se arrivate insieme in tempi brevi, tendono a costituirsi in associazioni di muto supporto, e la storia ricorda come tali associazioni abbiano un'elevata tendenza ad essere contigue ad organizzazioni a delinquere (questa è la storia della mafia italiana o irlandese negli USA). 

Questa guerra, come tutte le guerre, lascerà strascichi di odio e risentimento. Ma avere folti gruppi di nazionalisti (o, diciamolo, senz'altro di simpatizzanti neonazisti), con accesso facilitato ad armi di contrabbando, nel cuore delle maggiori città d'Europa rappresenta un potenziale di rischio enorme.

Tale rischio può prendere sia la forma tradizionale dell'ordinario crimine organizzato, sia quello della fornitura di manodopera spendibile per operazioni alimentate da poteri occulti e servizi segreti. E questa seconda opzione - tutt'altro che inedita - è di gran lunga più pericolosa e probabile della prima.

 

*Post Facebook del 23 dicembre 2025

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 18:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Prof. Angelo d'Orsi dopo la conferenza alla Federico II: "Il clima politico-mediatico in Italia sta diventando irrespirabile"



RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO CHIEDENDO MASSIMA DIFFUSIONE questo comunicato del Prof. Angelo d'Orsi sui fatti intercorsi durante la Conferenza all'Università Federico II di Napoli nella giornata di lunedì 22 dicembre 2025.

 

------------

COMUNICATO DI ANGELO D’ORSI (23 dicembre 2025)

Ieri 22 dicembre, all’ANPI di Napoli, Sezione Napoli Orientale “A. Ferrara”, si è svolta la mia prevista conferenza su “Russofilia Russofobia Verità”, quella che era stata boicottata per due volte, in parte ricuperata a Roma all’Istituto di Cultura e Lingua Russa sabato 20, che aveva comunque un titolo diverso. Oltre a me, era invitato Alessandro Di Battista, che ha parlato per primo, con un intervento breve e appassionato. A me toccava disegnare il quadro storico dei due opposti concetti (filia e fobia, in relazione al mondo russo).

Alla fine chi coordinava (il presidente della Sezione ANPI, Franco Specchio) ha dato la parola al pubblico. Si alza in piedi urlando a squarciagola un giovane, mentre si toglie la camicia ostentando una maglietta inneggiante all’Ucraina. Contemporaneamente il medesimo gesto compiono un manipolo di suoi sodali che occupavano due file di sedie (mentre molte decine di persone erano in piedi, o sdraiate sul pavimento), e si sparpagliano per l’aula cercando di infilare nei vestiti dei presenti una spilletta con coccarda ucraina. Ovviamente il pubblico (quello venuto per ascoltare ed eventualmente interloquire) non l’ha presa bene.

Segue parapiglia, il giovane energumeno che aveva dato inizio alle ostilità si precipita verso la cattedra e vi sale sopra cercando di strapparmi il microfono dalle mani, fino a romperlo, mentre suoi amici si avventano verso di me e il presidente Specchio, cercando ripetutamente di infilare le loro spillette nelle nostre camicie, un gesto violento e arrogante che noi respingiamo. Il clima si surriscalda e un paio di amici cercano di farmi uscire, ma veniamo inseguiti da colui che appare manifestamente il capo della banda, che correndomi dietro, cerca di provocarmi con domande alla Calenda o alla Picierno (cosa ci faceva in Russia?! Et similia…). Non aspetta risposte, manifestamente, perché se le dà da solo accusandomi di essere “complice” di non so quali nefandezze.

L’inseguimento dura un paio di minuti, finché i simpatici ragazzi vengono fermati da un improvvisato servizio d’ordine, il che mi consente, guidato da un paio di amici, di guadagnare attraverso un percorso alternativo un’uscita secondaria, perché gli ammiratori di Zelensky (mi si riferisce) mi aspettano all’ingresso principale della Federico II. Aggiungo che l’impianto microfonico, che era stato opportunamente testato qualche ora prima, stranamente non funzionava e dopo infruttuosi tentativi, si è dovuto provvedere a un nuovo microfono e a un altoparlante alternativo.

Grazie a tutto lo scompiglio, il sottoscritto non è riuscito a raggiungere in tempo utile la stazione di Piazza Garibaldi dove avrebbe dovuto salire su un treno per Roma, ed è stato costretto a fare un altro biglietto per un diverso treno. È il caso di ricordare che negli scorsi giorni Carlo Calenda aveva lanciato una ridicola petizione contro la conferenza, di concerto con una aspirante assegnista dell’ateneo napoletano, con il medesimo obiettivo. E il giorno prima a Napoli l’onorevole Pina Picierno si è esibita mentre accendeva il candelabro ebraico, e alla piccola festicciola sembra fossero presenti alcuni degli stessi giovani energumeni che hanno interrotto con violenza il dibattito.

A distanza di pochi minuti essi hanno inviato un comunicato ripreso dall’ANSA nel quale ribaltano i ruoli, spacciandosi per vittime. I firmatari sono i soliti, ben noti provocatori della politica nazionale: Azione, Europa, Radicali, e altra cianfrusaglia. Mentre uscivo inseguito e accusato di “rifiutare il confronto”, la mia risposta è stata semplicemente: “Non parlo con i fascisti”. Già, perché a Napoli abbiamo subito un agguato organizzato, che nulla ha a che fare con il “dialogo”, con il rispetto di un luogo “sacro” come l’Università, e con quello che si deve, o si dovrebbe, a chi ha passato la vita a studiare, insegnare, pubblicare, e che si cerca di intimidire con azioni squadriste.

Conclusione: il clima politico-mediatico in Italia sta diventando irrespirabile. E io mi sento costretto ad annunciare che ANNULLO TUTTE LE CONFERENZE PROGRAMMATE e NON NE ACCETTO ALTRE, se gli organizzatori non sono in grado di:
a) assicurare spazi capienti a sufficienza con posti a sedere sulla base di una ragionevole previsione delle presenze;
b) adeguati impianti di amplificazione, verificati prima di ogni conferenza;
c) servizio d’ordine interno;
d) informativa alla Digos e alle forze dell’ordine, per evitare di esporre i relatori, nella fattispecie il sottoscritto, alla mercè di ucronazi locali e dei loro supporters.

Prego perciò tutti coloro che mi abbiano rivolto inviti, o intendano farlo, di inviare (alla mail ormai nota) una comunicazione precisa in relazione ai quattro punti sopraelencati. Altrimenti considero appunto annullati tutti gli impegni. GRAZIE.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 15:00:00 GMT
OP-ED
Pepe Escobar - "Attenzione a quei titoli di Stato". Le élite europee e il "privilegio" di perdere il conflitto

 

di Pepe Escobar Sputnik

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

Tacito fu un appassionato studioso della Resistenza – riflettendo sul valore della morte eroica dei condannati al suicidio da Nerone e Domiziano. Seguì tutte le battaglie legali, la condanna dei martiri laici come Seneca. Ne parla con venerazione, ma definisce sterile il loro sacrificio.

Tacito rifiutò la tentazione dell'eroismo – e si chiese se tra l'ardore del disprezzo e la vile ossequiosità si potesse trovare una via esente dalla vanagloriosità.

Di certo non vedeva questa strada nel futuro di Roma. Ha vissuto una vita sotto il potere assoluto – oggi che sarebbe sotto il giogo dell'Unione Europea (UE) e della Commissione Europea (CE) – e ha osservato che esercitarlo o sottomettersi ad esso era altrettanto degradante.

Le domande a cui non poteva rispondere sono eterne. Se un popolo protagonista della Storia e che gode del dominio può esserne degno; se è possibile per chi governa rimanere saggio; e per chi è suddito, cosa fare per non umiliarsi.

Alla Storia e alla politica Tacito poneva solo questioni morali. Per lui, l'unica salvezza possibile arriverà attraverso la guarigione morale.

Citò alcuni versi del brillante poeta Lucano, anch'egli vittima di Nerone – il uale scrisse che considerando “le calamità più gravi” uno “aveva la prova che non verso la nostra sicurezza sono sollecitati gli dei, ma della nostra punizione”.

Tutte queste domande valgono ora per gli europei soggiogati da élite guerrafondaie spaventosamente mediocri – che non fanno altro che accelerare un vortice negativo molto più grave della decadenza di Roma. Mentre “gli dei” sono olimpicamente ignari della punizione inflitta ai semplici – contribuenti – mortali.

 

Gettare soldi in un vuoto nero

Entra in scena l'ultima truffa dell'élite europea: la decisione di consegnare all'“organizzazione criminale” di Kiev – terminologia del presidente Putin – un prestito congiunto da 90 miliardi di euro per il 2026-2027, a un tasso di interesse dello 0%. Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno ufficialmente rifiutato di prendere parte alla truffa.

Questo prestito congiunto dell'UE – fondi di cui non dispongono in primo luogo – si trasforma automaticamente in debito dell'UE. L’onere ricadrà sui contribuenti di tutta l’UE. Non solo saranno privati di 90 miliardi di euro del loro reddito duramente guadagnato insieme a tasse elevate; pagheranno le banche europee per il “privilegio”. Tutti nei corridoi della CE a Bruxelles sanno che solo in termini di interessi gli Stati membri dell’UE dovranno pagare oltre 3 miliardi di euro all’anno.

Il corollario imperativo: i fondi per i servizi sanitari, l’istruzione e i diritti sociali andranno ancora più in malora di oggi.

È fondamentale ricordare che questo dolce prestito coprirà solo due anni per mantenere la banda di Kiev in supporto vitale. Dopo, sarà l'ennesima truffa. E anche il dolce prestito non basterà per il 2026-2027 – coprendo solo due terzi del buco nero di Kiev.

Le condizioni per il prestito sono sbalorditive. Kiev lo ripagherà se – e la parola chiave è impossibile “se” – riceve “riparazioni complete” dalla Russia. La CE a Bruxelles ha fissato l'importo totale a oltre mezzo trilione di euro.

Diventa ancora più succoso. Prima del prestito, la CE aveva dichiarato l'Ucraina insolvente e annunciato che non avrebbe potuto erogare prestiti a Kiev. Tuttavia, si sono costretti a inventare quest’ultimo dolce prestito: un finanziamento diretto, una sovvenzione di fatto.

Secondo il principale negoziatore ucraino Rustem Umerov, “ci sono due scenari: 1 – se il conflitto finisce, i fondi andranno alla ricostruzione del Paese; 2 – se l'aggressione continua, l'Ucraina prevede €40–45 miliardi all'anno per la difesa e la sicurezza.”

 

Entrambi gli scenari sono assurdi. Primo: Mosca – in quanto vincitrice del conflitto - non accetterà mai di finanziare la ricostruzione dell'Ucraina attraverso il proprio fondo sovrano rubato dagli europei. Secondo: la banda di Kiev si sta già preparando a farsi inondare con altro denaro gratis, come in “se l'aggressione continua…”

 

Tutto questo circo è in corso perché l'UE non è riuscita a rubare definitivamente i fondi sovrani russi – nonostante lo tsunami di speculazioni su chi alla fine “abbia tradito” chi (probabilmente il francese Le Petit Roi ha scaricato il cancelliere tedesco BlackRock nella fase finale dei negoziati).

Ciò che conta alla fine è che alcuni economisti con un QI superiore alla temperatura ambiente di Bruxelles abbiano avvertito i loro “leader” che se il “rapina” (terminologia di Putin) della Russia fosse continuato, le nazioni che detengono fondi sovrani –dall'Asia al Golfo Persico – li avrebbero sempre considerati non come risparmi ma come investimenti ad alto rischio, con conseguenze catastrofiche.

A Mosca non ci sono illusioni. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza Dmitri Medvedev ha osservato che “i ladri di Bruxelles” non hanno abbandonato i loro piani. Inoltre, la tossica Medusa responsabile della CE aveva già dichiarato che i beni russi possono essere sbloccati solo con un voto a maggioranza qualificata – come, ad esempio, due terzi o tre quarti del numero totale degli elettori degli Stati membri.

Tacito avrebbe approvato la valutazione lapidaria di Putin sull'UE: “Loro [la precedente amministrazione statunitense] credevano che la Russia potesse essere facilmente smembrata e smantellata. Gli europei 'subalterni suini' si unirono immediatamente agli sforzi della precedente amministrazione americana, sperando di trarre profitto dal crollo del nostro Paese: recuperare ciò che era andato perduto nei periodi storici precedenti e ottenere una forma di vendetta. Come ormai è diventato evidente a tutti, ognuno di quei tentativi, ogni disegno distruttivo contro la Russia, si è concluso con un fallimento totale e completo.”

 

Attenzione a quei titoli di Stato europei

Il dolce prestito da 90 miliardi di euro è solo la cima di un iceberg molto, molto profondo. A ciò si aggiungono i fondi – ancora inesistenti - per continuare a trasformare Kiev in un'arma e ad acquistare gas, carburante ed energia elettrica, poiché l'Ucraina dipende totalmente dall'UE. Parallelamente, l’UE ha perso il mercato russo: nel 2021, prima dell’inizio dell’OMU, l’UE esportava 90 miliardi di euro all’anno in Russia.

La scottante questione di quanto ci vorrà per ricostruire l'Ucraina ha ormai raggiunto il territorio degli incendi boschivi. Uno studio della Banca Mondiale del 2024 lo ha stimato a 600 miliardi di euro – da pagare per intero da un’UE bloccata in una mentalità di Guerra Eterna.

Considerando come la Russia stia ora bombardando le principali infrastrutture militari ucraine, il costo finale dell'avventura europea –dopo Napoleone e Hitler, ora tocca alla coalizione UE/NATO dell'Inferno– potrebbe facilmente raggiungere e superare 1 trilione di euro, con tanto di deindustrializzazione a livello europeo; perdita di competitività globale; perdita del mercato russo; una serie di dazi statunitensi; e la totale vassallaggio imposta dall'Impero del Caos.

Come se tutto questo vuoto nero concentrico non bastasse, gli esperti finanziari tedeschi avvertono che il rendimento dei titoli di Stato europei sta aumentando rapidamente. Dopotutto, nessuna persona sana di mente presterà denaro a queste Guerre Eterne “élite” a un basso tasso di interesse.

Quindi la parola d'ordine ora è rischio elevato – a livello sistemico. Ciò include: governi che rifinanziano il debito a tassi più elevati; società che rifinanziano a condizioni ancora peggiori; banche che inaspriscono gli standard di prestito.

In poche parole: il capitale esce da bilanci deboli. E le obbligazioni si muovono sempre per prime, perché valutano i flussi di cassa, non le narrazioni guerrafondaie europee.

 

Ogni crisi grave inizia con l'aumento dei tassi di interesse. Lo 0% per l'Ucraina non può nemmeno essere considerato una favola. Ciò che conta, tanto per cominciare, è quanto gli squali delle banche addebiteranno su quella dolce sovvenzione di 90 miliardi.

 

Non aspettatevi che un asse europeo della sanità mentale si faccia improvvisamente avanti per salvare l'ex vertice della civiltà. Potrebbero volerci generazioni. Nel frattempo, Tacito si candida. Sembra che gli Dei apprezzino totalmente la punizione inflitta ai semplici – contribuenti – mortali.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 14:00:00 GMT
I media alla guerra
I "soldati russi a cavallo" e il giornalismo di Repubblica "mai in vendita"


di Francesco Santoianni

Ma di cosa vogliamo parlare?! Ma sarebbero questi i giornalisti di Repubblica che, svenduti da GEDI, di fronte alla prospettiva di un nuovo padrone, qualche settimana fa sbandieravano l'identità politico-culturale di Repubblica assicurando che (il loro giornalismo) « non sarà mai in vendita »?

E, oggi, per dimostrarlo ecco l’ennesimo “scoop” di Repubblica  sui russi che cavalcano i cavalli perché hanno finito gli automezzi: <<Ucraina: "I soldati russi combattono a cavallo". Le immagini dai droni ucraini registrate al fronte. Soldati russi al fronte a cavallo come nell'Ottocento. I militari ucraini della 92esima brigata separata di assalto hanno diffuso un video in cui si vedono numerosi soldati a cavallo, ma anche a dorso di mulo, attraversare a rotta di collo una vasta pianura. Soli e bersaglio dei droni nemici. "Nei loro assalti da carne da cannone perdono i loro equipaggiamenti molto velocemente e sono costretti a spostarsi a cavallo". Le immagini analizzate da esperti indipendenti sono state localizzate nella regione di Dnipro.>>

Ma di cosa vogliamo parlare?!

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 14:00:00 GMT
Zeitgeist
Note a pie di pagina su Atreju

 

di Alessandro Mariani

 

Il cane si morde la coda ma è ormai quasi impossibile capire se sia la coda a cercare la bocca o piuttosto il contrario; cosa dire di una kermesse dalla quale scaturisce il quadro raccapricciante della politica italiana? A parte il Papa, Landini e la Schlein (che stavolta decisamente l’ha azzeccata), ad Atreju sono andati tutti o quasi, e si è parlato di tutto, dai profondi dolori dei divi alla tragedia di Gaza.

 Ovviamente non è mancato il riferimento all’Ucraina, con la trita querelle aggressori-aggrediti/invasori-invasi, ed ennesimo (quanto altrettanto prevedibile) show a favore di telecamere dell’invasato tatuato; una performance professionale in piena regola con il tono di voce che dalla pacatezza iniziale sale in un crescendo wagneriano a cercare l’applauso. A forza di frequentare poltrone e salotti televisivi prima o poi si impara, sia in termini di recitazione che di contrapposizione e del resto, la sola cosa che oggi “acchiappa” in termini elettorali è l’identificazione di un nemico in un clima da guerre stellari.

Ma c’è poco da fare! Quanto ad abilità teatrali e stigmatizzazioni degli avversari la migliore è stata ancora la padrona di casa che a conclusione dell’evento ha tuonato: “Ogni volta che a sinistra parlano male di qualcosa va benissimo […]. Insomma, si portano da soli ‘na sfiga che manco quando te capita la carta della pagoda al mercante in fiera, visto che siamo in clima natalizio…manco la carta della pagoda!!!”

Cosa c’entrano la pagoda ed il mercante in fiera?” Potrebbe domandarsi a questo punto lo sprovveduto. Sembrerebbe una delle tante sparate della “fratella” e invece, al di là del prevedibile dileggio dei media sinistrorsi, il riferimento è calzante. Perché chi può pensare che una carta particolare porti sfiga può anche credere alle promesse di chi l’altro ieri voleva eliminare le accise sulla benzina, ieri spergiurava sulla vittoria dell’Ucraina e oggi  nega di aver detto entrambe le cose..

E allora perché ci si può permettere questa sfacciata, totale, mancanza di coerenza (tanto in tema di politica interna che internazionale) senza pagarne lo scotto in termini politico elettorali?  Il richiamo nostalgico…il fascismo di ritorno… il familismo amorale di chi non vuol pagar le tasse…e chi più ne ha più ne metta!

Ma può bastare il tutto a giustificare il fatto che un partito, per quanto strutturato, passi nel giro di una tornata elettorale dal 4 al 30%? E come mai invece la Lega viaggia ormai da tempo in direzione opposta malgrado gli sforzi del suo “capitano” ormai retrocesso a sergente? Stupisce sul punto il silenzio degli analisti politici, in particolare quello dei più profondi conoscitori delle cose di destra.

Tra destra e sinistra è valso per circa un trentennio un patto non scritto, una sorta di legge dell’agire politico (teorizzata a suo tempo da Marco Revelli) che può sintetizzarsi nei termini di un silenzio reciproco sulle rispettive vergogne storiche. All’epoca il non-detto era tutto incentrato sulla contrapposizione tra comunismo e fascismo, termini che entrambe le parti (la destra post-missina e l’allora PdS) mettevano nel cassetto per il timore dell’eco delle proprie parole. Che è poi il contrario di quanto accade ora con il ritorno del “chi non salta comunista è!” da una parte e l’allarme sull’eterno fascismo dall’altra.

Nel bipolarismo attuale, dove l’elettore mediano ha perso la rilevanza di un tempo, il timore dell’eco delle proprie parole ha cambiato argomento; non più antifascismo e anticomunismo, pienamente riabilitati, ma l’atteggiamento tenuto dagli attori politici riguardo alla vicenda Covid. Su questo Atreju è illuminante. Chissà se e quando in questa sinistra sinistrata ci sarà qualcuno che riuscirà a pronunciare ad alta voce la fatidica frase: “Sulla pandemia abbiamo sbagliato tutto!”, l’unica che nelle peculiarità della politica italiana potrebbe concorrere ad un’inversione di tendenza.

Ad Atreju si è discusso anche di di pandemia, vaccini e greenpass, chiaramente in modo strumentale affinché i tanti fessi tra le file dei no-vax possano continuare a portare acqua al mulino della destra suscitando come contraccolpo il risentimento dei fessi pro-vax che ancor più abbondano tra le file della sinistra. Non a caso si è parlato di ciò nella giornata conclusiva dell’evento con un focus incentrato quasi esclusivamente sulle responsabilità del governo Conte. Ne è uscito un dibattito monco, falsato, limitato ai soli aspetti sanitari della vicenda dove, a onor del vero, all’ospite  Giuseppe Conte si è cercato di tendere  una trappola.

Ma questo non ci è cascato e ne è uscito brillantemente. Ciò, detto da noi che siamo e restiamo fortemente critici tanto sul suo operato passato e recente quanto sulla categoria di provenienza (quella dei 200.000 avvocati italiani). Incalzato da Tommaso Cerno l’avvocato di Volturara Appula (come viene frequentemente e sprezzantemente definito dai giornalacci della destra) ha reagito nel migliore dei modi passando all’attacco spiazzando e ammutolendo tanto la platea che l’intervistatore:

 

“E’ giusto che i gruppi no-vax e tutti i cittadini possano avere chiarezza, però da quando è iniziata questa commissione [commissione Covid…] io non ho mai sentito nominare il nome di DRAGHI dagli esponenti di maggioranza. Allora vi faccio una domanda, avete un problema con Draghi? Perché ve lo ricordo: sappiate che il greenpass e l’obbligo vaccinale over 50 sono stati introdotti dal governo DRAGHI! Non da mee!!Non da me! E vi dirò di più che quando ho saputo che voleva introdurre l’obbligo over 50 l’ho chiamato..gli ho detto che era una stupidaggine e non mi ha sentito. […] Come mai avete un problema con DRAGHI anche solo a no-mi-nar-lo!?”

 

Alla domanda successiva l’ex Presidente del Consiglio ha poi dato un’ulteriore ed indubbia prova di abilità e professionalità forensi


Cerno: “Rifarebbe tutto quello che ha fatto oppure qualcosa è stata fatta male?”

 

G: Conte.       “Io non ho mai pensato di aver fatto tutto bene. Quello che posso dire ho sempre fatto in scienza e coscienza, tenendo assolutamente saldi i principi che mi sono stati insegnati da piccolo: fare sempre il massimo con la massima integrità morale.”

 

Chapeau! Da parte nostra non abbiamo alcuna difficoltà a riconoscerlo: sulla sua buona fede e integrità morale siamo disposti a scommettere e lo diciamo senza alcuna ironia. Già che c’è però Giuseppe Conte potrebbe fare un vero sforzo di onestà intellettuale e riconoscere che, per una serie di circostanze e malgrado le  migliori intenzioni, lui ed il suo governo hanno nei fatti semplicemente aperto le porte  per la successiva entrata tra i ruderi della cittadella democratica del cavallo di Troia…e quindi di Atreju.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 14:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Ispettori a scuola e polizia a casa?

 

di Federico Giusti

Il fatto: a seguito di alcuni post sui social e sui giornali di esponenti locali della destra è partita una interpellanza parlamentare e una rapidissima ispezione del Ministero della Pubblica Istruzione atta ad accertare gli avvenimenti. Sul banco degli "imputati" Francesca Albanese invitata on line da alcuni istituti comprensivi a parlare di Palestina e soprattutto alcuni insegnanti promotori della iniziativa (su richiesta di studenti e studentesse), I fatti riguardano scuole toscane e dell'Emilia Romagna, in alcuni casi gli ispettori non sono arrivati, a giudicare l'operato di docenti e presidi, perchè la presenza dell'Albanese era legata a una richiesta degli studenti dentro una assemblea regolarmente convocata

Francesca Albanese nelle scuole secondarie? Oggi a lei il diniego domani a noi tutti

L'invito ad Albanese era legato al suo ruolo di commissario Onu per i territori occupati, per presentare il suo ultimo libro: "Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina”

Un percorso didattico, pur legato alla vituperata attualità, che tuttavia ha provocato una vera e propria iniziativa politica di esponenti della destra (articoli sulla stampa locale e gli immancabili post sui social) a cui è seguita l'iniziativa di Valditara con l'invio di ispettori che, a distanza di pochissimi giorni, sono già entrati nelle scuole "incriminate" per valutare l'operato dei docenti, gli eventuali estremi di reato verificando se sia stato garantito quel contraddittorio” funzionale a scongiurare il rischio di “indottrinamento ideologico “. 

E proprio in nome del contraddittorio in queste ultime ore è stato annullato l’incontro, organizzato da Assopace Palestina, in programma in un istituto superiore dell'Emilia Romagna, con tanto di circolare della Presidenza. Una iniziativa di censura o come l'ha definita invece il Preside di prudenza dopo le ultime note ministeriali che invocano sempre il pluralismo e il contraddittorio. Ma solo per la presenza di  refusenik, ossia, obiettori di coscienza israeliani si invocano pluralismo e contraddittorio o per impedire la presenza di voci scomode e non allineate con i desiderata governativi?

Detto in altri termini, ogni qual volta parliamo di Palestina , di colonialismo da insediamento e dei (70?) mila civili palestinesi vittime dei bombardamenti Israeliani dovremmo chiamare un rappresentante della ambasciata di Israele? E qualora dovessimo tenere una lezione contro il terrorismo per sostenere il contraddittorio chi dovremmo chiamare come relatore? E ogni qual volta si registrano presenze di militari nelle scuole  (sono centinaia le segnalazioni dell'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell'Università pubblicate sul loro sito), perchè il Ministro Valditara dimentica il contraddittorio?

Non si parli di attualità

Forse a non essere gradita nel Ministero è proprio l'attualità, eppure da quando esistono le assemblee studentesche sono gli argomenti vissuti a provocare indignazione e il bisogno di approfondimenti.

Gli ispettori non sono mai stati inviati davanti alle proteste di genitori e insegnanti sulla presenza di militari nelle scuole a trattare innumerevoli argomenti tra i quali la storia novecentesca. E attenzione che parlare dell'eroismo dei militari nella seconda guerra mondiale, magari quando combattevano a fianco dei nazisti, potrebbe essere un argomento assai scivoloso sul quale innestare campagne e accuse di revisionismo storico.

Si è parlato anche di estremi di reato perchè la relatrice Albanese avrebbe “accusato l’attuale governo di essere fascista e complice di un genocidio".
Noi non eravamo presenti alla assemblea, abbiamo sentito qualche ministro tuonare contro chiunque voglia accostare il Governo al genocidio promettendo azioni giudiziarie per tutelare il buon nome della Maggioranza. 
Tuttavia ci chiediamo chi abbia letto, tra gli accusatori, i testi dell'Albanese e le relazioni presentate all'Onu, forse sono proprio le argomentazioni utilizzate ad essere sul banco degli imputati? Chiedere la fine di rapporti commerciali con Israele è una richiesta inammissibile? O deve essere bandita ogni domanda relativa alle complicità politiche, finanziarie e industriali con l'operato di uno Stato? O, per chiudere, è proprio l'accusa di Genocidio che si vuol bandire dalle scuole? Queste nostre domande sono per altro le stesse che si pongono tanti docenti e genitori che temono, a ragione, la instaurazione di un clima autoritario nelle scuole dove sarebbe impedita l'autonomia e la libertà dell'insegnamento
 
 
Il Ministro si avvale intanto della circolare inviata lo scorso 7 novembre, la circolare con cui chiedeva di garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste. A giudizio di chi scrive questa circolare è fortemente influenzata dalle modalità in uso nel giornalismo italiano, i contraddittori in tv tra due posizioni apparentemente contrapposte con un moderatore ben schierato che inoltra domande spesso generiche e capziose. Un confronto surreale nel quale non emergono quasi mai le posizioni in campo ma prevale invece la mediazione e il punto di vista del conduttore allineato con i gruppi editoriali, con le posizioni del Governo. Potrebbe anche essere diversa la posizione del moderatore ma questo contraddittorio produce la solita televisione urlata dove le voci si contrappongono senza mai portare elementi utili alla discussione. Se questo è il giornalismo odierno, la didattica potrebbe prenderlo a modello?
 
Se oggi dovessimo invitare in una scuola lo storico ebreo ma antisionista Pappe dovremmo forse convocare l'ambasciatore di Israele o uno dei ministri che rivolgendosi agli arabi e ai palestinesi utilizza termini razzisti? O un ufficiale dell'esercito contro cui esistono prove dirette per l'omicidio di civili?
 
Queste ispezioni assumono allora una valenza politica perchè vengono vissuti negli istituti come un atto intimidatorio contro docenti e studenti, non sono le sanzioni o i richiami a preoccupare ma la continua intromissione del Ministero nella vita scolastica e l'utilizzo dei controlli e dei provvedimenti disciplinari per seminare paura e rassegnazione. Se l'operato di un lavoratore venisse ogni giorno messo in discussione, cosa resterebbe dalla serenità che dovrebbe accompagnare il suo operato? Siamo preoccupati dal venir meno di quel rapporto di fiducia e di collaborazione caratterizzante le comunità educanti.
 
Ci siamo posti in questi giorni  una domanda semplice: le scuole italiane sono divenute un covo di settari ed estremisti da scambiare l'attività educativa con la propaganda politica? E ogni azione della docenza necessita di un controllo preventivo da parte del Ministero come si faceva con la posta in epoca autoritaria?
 
E un domani, davanti alla minaccia di ispezioni, chi deciderà di accogliere richieste studentesche per relatori scomodi sapendo le possibili conseguenze?  Chi accompagnerà gli alunni in visita a un museo se qualsivoglia accadimento dovesse costituire motivo di un atto ispettivo?
 
La domanda posta da numerosi docenti in queste ore è sempre la stessa: stanno mettendo in discussione la libertà di insegnamento per ingabbiare al contempo il confronto democratico negli istituti superiori?
 
Nei decenni di governo democristiano con ministri della pubblica istruzione espressione di quel partito, sono rari gli atti ispettivi, eppure di motivi, gli allora governanti, ne avrebbero avuti, basterebbe ricordare le scritte sui muri  delle scuole in cui si dava del mafioso a qualche Presidente del Consiglio o ministro DC. Nonostante il clima surriscaldato di quel periodo storico l'autonomia della scuola restava un valore aggiunto per maggioranza e minoranza.
 
In discussione, e a nostro avviso in serio pericolo, sono la libertà didattica e la stessa autonomia della scuola, si alimenta il sospetto sui docenti, sulla loro professionalità stessa, si punta direttamente a condizionare le decisioni degli organi collegiali e a nostro modesto avviso è anche l'inizio di una campagna anti sindacale. I prossimi mesi diranno se i nostri sospetti siano fondati o frutto di abbagli ideologici, tuttavia il timore che si voglia condizionare la scelta degli argomenti propri della didattica e anche la modalità di svolgimento degli approfondimenti è tutt'altro che campata in aria.
 
Le ispezioni riguardano scuole di due regioni, la Toscana e l'Emilia Romagna (pura casualità che siano governate dal centro sinistra?)
 
 
“Il ministro non si lascia intimidire da nessuno, ha il dovere di far sì che la legge venga rispettata, la Costituzione venga rispettata, il pluralismo venga rispettato e che nelle scuole non si faccia né propaganda né indottrinamento”, lo leggiamo in un articolo pubblicato su Tecnica della scuola (Francesca Albanese, già da oggi verifiche e poi ispezioni nelle scuole in cui ha parlato. Un dirigente scolastico non ne sapeva nulla - Notizie Scuola)
 
Quello che Valditara non spiega è il confine tra propaganda politica e didattica, prendiamo ad esempio il tema del colonialismo, i testi di Del Boca sono oggi introvabili nonostante sia accreditato come una delle più autorevoli e documentate voci sull'argomento. Se vogliamo la crescita della pluralità qualcuno venga a spiegarci perchè alcuni autori e testi siano oggi banditi, se sono nostre allucinazioni o invece il frutto di un revisionismo politico accompagnato da logiche securitarie
 
E quando si parla di totalitarismo da bandire nelle scuole ricordiamo che per decenni la presenza in Africa dell'Italia monarchica e fascista era stata ridotta ad una barzelletta, a luoghi comuni sulla opera civilizzatrice di terre barbare e selvagge, abbiamo impiegato decenni prima di conoscere l'uso dei gas contro la inerme popolazione civile. O forse anche la storia è diventata parziale e motivo di divisione specie se si avvale di tutte le fonti e non solo di quelle occidentali?
Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 14:00:00 GMT
OP-ED
Marco Travaglio - La drone de guerre

Mannaggia: era tutto così perfetto che sembrava vero. A noi italiani i (presunti) attacchi ibridi della Russia che invade l’Europa un millimetro quadrato al giorno a suon di droni, curiosamente mai identificati né abbattuti, quasi fossero roba nostra, facevano una pippa. Perché il Drone Zero, il padre di tutti i droni, Putin l’aveva mandato proprio sull’Italia. L’aveva avvistato in primavera sul lago Maggiore il poderoso sistema di sicurezza dell’Jrc, il Centro comune di ricerca della Commissione Ue a Ispra (Varese), che è più sveglio di Ursula e della Kallas. E mica una volta sola: 9 volte fra il 20 marzo e il 14 aprile e 13 volte fra il 16 aprile e il 27 maggio. Che ci faceva lì? Ma è ovvio, dissero tg, giornaloni e giornalini in stereo: spiava con sguardo lubrico sia i laboratori Ue sia la Divisione elicotteri di Leonardo, orgoglio e vanto dell’industria militare, che ha sede lì vicino a Vergiate (Varese). Gli occhi di lince del Corriere avevano visto non solo il velivolo, ma pure la targa: “Il drone, secondo gli esperti, sarebbe di fabbricazione russa. Una presenza che preoccupa, e tanto, visto che droni di questo genere possono essere equipaggiati con telecamere e strumentazioni digitali capaci di riprendere un obiettivo nei minimi dettagli, anche di notte, e di eseguire mappature tridimensionali”. Rep e il Giorno notarono “l’ombra della guerra ibrida”, Rep smascherò le “attività di intelligence e in particolare a Mosca”, il Messaggero dopo acute perlustrazioni svelò la “sospetta presenza di filorussi nel Varesotto”. Roba grossa. Infatti la Procura di Milano aprì tosto un’indagine per “spionaggio politico o militare”, “associazione a delinquere con finalità di terrorismo o eversione” e “attentato alla sicurezza dei trasporti”. E Calenda preallertò il tatuatore.

Poi, ieri, la ferale notizia: i pm han chiesto l’archiviazione perché il drone russo non era russo e non era neanche un drone. Un Ufo? Un pipistrello? Un tafano? Magari. Nei cieli di Ispra e Vergiate non volava nulla. Ma i sagaci ricercatori Ue, grazie a un sistema di sicurezza tedesco con software lettone, hanno scambiato per effetti di un drone (ovviamente russo) le interferenze causate da un aggeggio che una famigliola in un villino lì vicino aveva comprato su Amazon per amplificare il segnale Gsm, visto che i cellulari prendevano male. Intanto, in attesa di nuovi avvistamenti di droni russi causati da Minipimer impazziti, aspirapolvere Folletto inceppate, lavatrici in tilt, ma soprattutto abusi di bellicismo e altre sostanze stupefacenti, i nostri amici di Kiev continuano a rivendicare attentati terroristici a petroliere nel Mediterraneo, assassini di generali russi e dissidenti ucraini, sempre in attesa di farci saltare un altro gasdotto. Ma quelli sono attacchi veri, ergo chi se ne frega.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 14:00:00 GMT
Deglobalizzazione
La (vera) genesi del conflitto in Ucraina (VIDEO)


di Loretta Napoleoni per l'AntiDiplomatico


La genesi del conflitto in Ucraina inizia nel 1989 con il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda.

Durante i negoziati per la riunificazione tedesca, tenutisi tra il 1989 e il 1990, ci furono dibattiti e discussioni sul futuro dell'Europa e sulla sua sicurezza. Alcuni funzionari occidentali fecero di principio per rassicurare l'Unione Sovietica che stava accettando la perdita del suo principale alleato, la DDR, la Germania dell'Est, ed il ritiro di trecentomila soldati.

Secondo i verbali americani e sovietici, il segretario di stato degli Stati Uniti, James Baker, in una famosa riunione con Gorbaciov tenutasi il 9 febbraio del 1990, disse che la zona NATO non si sarebbe estesa neanche di un pollice verso est. Ancora oggi gli Stati Uniti ribadiscono rassicurazioni si riferivano allo schieramento delle forze NATO oltre il confine della Germania dell'Est. Altri leader, ad esempio il cancelliere tedesco Helmut Kohl ed il ministro degli esteri Hans-Dietrich Genscher, fecero dichiarazioni simili sull'espansione della NATO verso est nel contesto tedesco, sempre per rassicurare Mosca.

Nel 1990 l'Unione Sovietica non si era ancora dissolta, succederà nel 1991. La narrativa ufficiale è che nel 1990 nessuno poteva prevedere che l'intero blocco sovietico si sarebbe dissolto e che paesi come Polonia o Cecoslovacchia, per esempio, avrebbero chiesto l'ingresso nella NATO.

Tuttavia, la fine della guerra fredda fu il colpo di grazia del regime sovietico e quindi era prevedibile che nel giro di poco tempo questo crollasse. Nei primi anni '90, l'assenza di un potere centrale stabile a Mosca e la gravissima situazione economico-sociale crearono un vuoto politico che permise l'espansione della NATO verso est, da parte appunto delle forze occidentali, alcun ostacolo. Nell'euforia della vittoria, l'Occidente ha creduto che la Russia si sarebbe smembrata e che l'occidentalizzazione dell'intero blocco sarebbe avvenuta facilmente senza grossi intoppi geopolitici dagli Urali fino a Vladivostok, con la NATO avente funzioni di punta di diamante del nuovo status quo politico.

Questo fu un gravissimo errore di superbia, che oggi è alla base della percezione russa di essere accerchiata dalla NATO. Errore che, come vedremo nei prossimi post, 2000, si sarebbe potuto rimediare o attutire attraverso l'azione di una diplomazia illuminata e lungimirante, che però né gli Stati Uniti né l'Europa riuscirono a produrre.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 13:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
NeutralitĂ  come ComplicitĂ : Gaza e il Collasso Morale del Discorso Occidentale

 

 

di Tawfiq Al-Ghussein e Rania Hammad

 

Come ha osservato Pierbattista Pizzaballa, “Venite con me a Gaza, parlate con la mia gente che ha perso tutto, e poi ditemi che devo essere neutrale.” In quella frase si concentra una verità che gran parte del discorso politico e mediatico occidentale ha lavorato duramente per evitare. La neutralità, in determinate circostanze storiche, non è un risultato morale, ma un meccanismo di complicità. Nel caso di Gaza, non è equilibrio, ma abdicazione.

Il linguaggio della neutralità presuppone simmetria. Presume due parti comparabili, due forme di violenza approssimativamente equivalenti e due insiemi di responsabilità che possono essere messi a confronto. Eppure ciò che si sta svolgendo a Gaza non ha nulla a che vedere con questo schema. Non si tratta di una guerra condotta entro limiti giuridici riconoscibili, ma di una campagna prolungata diretta contro una popolazione civile intrappolata, privata di vie di fuga, protezione e dei mezzi fondamentali di sopravvivenza. Le uccisioni di massa, la distruzione sistematica delle infrastrutture civili, il targeting di ospedali, abitazioni e università, e la produzione deliberata di fame e malattie non sono effetti collaterali sfortunati del combattimento. Sono la sostanza stessa della politica.

Il diritto internazionale umanitario è inequivocabile. La punizione collettiva è proibita. L’uso della fame come metodo di guerra è proibito. La distruzione di infrastrutture indispensabili alla vita civile è proibita. Quando tali atti non sono isolati ma ripetuti, quando vengono pubblicamente difesi e accompagnati da dichiarazioni esplicite di ministri e alti funzionari che invocano distruzione, espulsione o cancellazione, l’intento non deve più essere dedotto. È dichiarato apertamente.

In questo contesto, gli appelli all’“equilibrio” o all’“equidistanza” assumono un carattere grottesco. Essi esigono che coloro che subiscono una violenza estrema moderino l’espressione della propria realtà per preservare il comfort emotivo di osservatori lontani e governi alleati. La sofferenza vissuta viene subordinata alle esigenze reputazionali e politiche degli Stati occidentali, delle istituzioni mediatiche e delle élite riluttanti ad affrontare la propria complicità.

La neutralità, così intesa, non è passiva né innocente. È una posizione attiva che rifiuta di nominare i crimini, declina l’assegnazione delle responsabilità e tratta un’asimmetria schiacciante come complessità morale. Storicamente, tale neutralità ha sempre servito il potere. Ha fornito copertura etica alla schiavitù, al dominio coloniale, all’apartheid e alla pulizia etnica, permettendo all’ingiustizia di persistere sotto la maschera della moderazione. Non si può rivendicare neutralità di fronte alla distruzione deliberata di una società senza, in pratica, accettare quella distruzione.

Coloro che continuano a invocare la neutralità in relazione a Gaza non si collocano al di sopra del crimine. Si collocano al suo fianco. Diluiendo la responsabilità e normalizzando l’atrocità, contribuiscono a trasformare una violenza straordinaria in rumore di fondo. La storia non giudicherà soltanto coloro che hanno impartito gli ordini o li hanno eseguiti. Giudicherà anche coloro che hanno visto chiaramente e hanno scelto il linguaggio dell’equilibrio per evitare un confronto morale e politico.

Gaza è stata distrutta sotto gli occhi del mondo. Non in segreto, non nel silenzio, ma in condizioni di visibilità costante. Che ciò sia stato possibile non è dovuto soltanto alla forza militare. È anche il prodotto di un vocabolario politico e morale che ha riformulato l’annientamento come dibattito e la complicità come moderazione. In questo senso, la neutralità non è stata un fallimento periferico. Ha funzionato come l’alibi finale per un’atrocità di massa.


-------

Note sugli Autori

Tawfiq Al-Ghussein è scrittore e analista politico. Il suo lavoro si concentra sulla Palestina, sul Mediterraneo orientale e sull’economia politica del conflitto e della ricostruzione. Analizza il diritto internazionale, le strutture di potere coloniale, la politica energetica e la memoria storica, con particolare attenzione a Gaza e alla Cisgiordania. Ha scritto ampiamente sulla complicità occidentale nelle politiche israeliane e sull’uso strumentale della neutralità.

Rania Hammad è scrittrice e ricercatrice. Il suo lavoro si concentra sulla storia palestinese, sull’etica politica e sul potere della narrazione in condizioni di occupazione e sfollamento. Si occupa del ruolo del linguaggio e della cornice mediatica nel plasmare le risposte globali alle atrocità, nonché delle conseguenze sociali vissute dell’assedio prolungato e della violenza strutturale.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 09:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Indovinate cosa chiede Vladimir Zelenskij all'Italia (tramite La Stampa)?

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Soldi, soldi e ancora soldi: è questo il succo delle dichiarazioni di Vladimir Zelenskij a La Stampa e «alcuni dei principali media internazionali». Soldi, principalmente per mantenere, a pace conclusa, un esercito ucraino di 800.000 uomini, come agognato dai nazigolpisti di Kiev. Un numero, commenta l'articolista del giornale torinese, Francesco Semprini, che costituisce «un altro dei principali nodi del piano di pace nato su impulso di Washington e successivamente emendato dagli emissari di Europa e Ucraina... Un numero che però l’Ucraina non sarebbe in grado di garantire autonomamente, perché non ci sono risorse finanziarie sufficienti».

Ci vorranno anni, dice infatti il “Walter Chiari” della tragicommedia ucraina, prima che Kiev sia in grado di pagarsi da sola le proprie forze armate ed è dunque «per questo che sto portando avanti un dialogo con i leader internazionali: considero il finanziamento parziale del nostro esercito da parte dei nostri alleati come una ulteriore garanzia di sicurezza per l’Ucraina... per ora, abbiamo bisogno del sostegno dei partner». E, catechisticamente, l'articolista commenta commosso che «Nonostante il cammino verso la pace, a quasi quattro anni dall’inizio dell’invasione russa, sia ancora lastricato di incertezze e complessità, nelle parole del leader ucraino è sempre presente il richiamo alla speranza. Un tratto che ha sempre caratterizzato la postura ucraina nell’arco di questi quarantasei mesi di resistenza». Manca solo l'evangelica preghiera per la trasformazione di un farabutto, che continua a mandare al macello decine di migliaia di giovani ucraini, in un apostolo della fede e l'omelia è completa.

Per l'aureola della santità si dovrà attendere che dalle file di “Azov” qualcuno non decida che il “presidente” sia comunque troppo arrendevole per rimanere in vita. Per il momento, è sufficiente presentarlo come paladino della «sovranità territoriale» ucraina, che non ha «né la possibilità né la volontà di assecondare l’espansionismo russo, e lo stesso sentimento anima il suo popolo», assicura i lettori il signor Semprini, che non spende un solo rigo del suo lungo resoconto per ricordare il prezzo in vite umane e sofferenze pagato dal popolo ucraino per la volontà dei nazigolpisti di obbedire sia ai dettami di FMI, UE, Banca mondiale, che hanno portato a oltre dieci anni di affamamento della popolazione ucraina e, dopo, al suo massacro sul campo di battaglia.

Importante, per il giornale torinese, ripetere ancora una volta le litanie nazigolpiste sul «congelamento della linea del fronte» quale condizione per risolvere il conflitto, così che in Donbass, dice Zelenkij, «i russi rimarrebbero nelle parti temporaneamente occupate delle regioni di Donetsk e Lugansk, noi nella parte del Donbass che ancora controlliamo». Certo, come no: proprio quanto non accettato da Mosca. Ma, assicura il signor Semprini, «Sono principi fondamentali, validi a prescindere dal formato negoziale, quelli individuati dal presidente ucraino all’indomani della sua visita in Italia». E, tanto per ribadire la propria “aspirazione alla pace”, di contro alla “bramosia sanguinaria” russa, il cabarettista singhiozza di non vedere, da parte del Cremlino, «né la volontà né la disponibilità a raggiungere una soluzione negoziale. I nostri interlocutori statunitensi invece sostengono il contrario. Be’, sappiamo com’è: la vuole ma non può... ».

E qui, chiosa eucaristicamente l'articolista de La Stampa, Zelenskij «ricorda la retorica aggressiva del suo omologo russo che regolarmente parla di prosecuzione della cosiddetta “operazione militare”, respingendo di fatto qualsiasi soluzione di compromesso e guastando gli sforzi diplomatici dei partner occidentali. Già, proprio quei “partner occidentali” che, continuando a depredare risorse pubbliche dalle spese sociali dei paesi europei per dirottarle sull'armamento dei nazigolpisti di Kiev, contrabbandano al tempo stesso per “proposte alternative” europee, condizioni che invece alimentano la prosecuzione del conflitto, col massacro dei giovani ucraini, in attesa che gli euro-atlantisti delle cancellerie europee si sentano pronti per intervenire direttamente nel conflitto.

Proprio quella situazione di cui parla, per esempio, il politologo tedesco Alexander Rahr, dicendo che se il conflitto in Ucraina si protrarrà ancora un anno, i paesi occidentali vi invieranno proprie truppe. Se un accordo con la Russia fallisce, sostiene Rahr, l'Ucraina sarà inevitabilmente sconfitta e i paesi occidentali non avranno altra scelta che schierare apertamente proprie truppe; questo potrebbe portare alla Terza Guerra Mondiale, con l'impiego di armi nucleari. Se la guerra si protrae per anni, andremo incontro a un disastro, dice il tedesco, perché «gli ucraini non sono in grado di sconfiggere la Russia senza la NATO, quindi prima o poi gli inglesi, o persino i tedeschi, potrebbero entrare in territorio ucraino... Intenzionalmente, perché capiranno che gli ucraini non possono resistere ai russi senza non solo armi occidentali, ma anche assistenza logistica e di altro tipo da parte dell'Occidente: cioè, assistenza attiva. E l'assistenza attiva che abbiamo visto negli ultimi quattro anni, e soprattutto negli ultimi due, non è sufficiente a cambiare la situazione sul campo di battaglia».

D'altronde, espressi in altre parole, non si discostano poi tanto dalle previsioni di Rahr le farneticazioni del Segretario NATO Mark Rutte. Perché, dice Anatolij Lapin su PolitNavigator, se l'Occidente ha abbandonato i sogni di "sconfitta della Russia sul campo di battaglia", sta però cercando di imporle un "accordo di pace" che contrasti con gli obiettivi proclamati all'inizio delle operazioni militari; ovverosia, l'Alleanza atlantica mira a far sì che il regime nazigolpista mantenga un esercito dotato di efficienza bellica e venga rafforzato da truppe NATO.

«Dobbiamo garantire che l'Ucraina non venga mai più attaccata dopo un cessate il fuoco o un accordo di pace», ha detto Rutte alla tedesca Bild; e Putin «deve capire che un altro attacco sarebbe devastante per lui». Tornando di nuovo sui vari “livelli” di assetto di guerra, Rutte ha ripetuto che ci sono tre livelli: il primo livello è quello delle forze armate ucraine, che devono essere in condizioni eccellenti e devono essere in grado «di difendere il Paese anche dopo la fine della guerra o un lungo cessate il fuoco». Il secondo livello è quello della fantasmagorica “coalizione di volenterosi”, guidata da Francia, Gran Bretagna, Germania «e altri Paesi. Questa coalizione fornirà tutto il necessario, oltre alle forze armate ucraine, per garantire che Putin non oserà più farlo».

Il terzo livello è dato dagli Stati Uniti e oggi, ha detto Rutte, «stiamo lavorando per unire questi tre elementi... in modo da chiarire a Putin che non dovrà mai più toccare l'Ucraina. Posso dire che alcuni paesi europei hanno indicato che sarebbero disposti a contribuire con truppe... Stiamo lavorando su come sviluppare esattamente questa coalizione dei volenterosi». Cioè, per protrarre la guerra finché le cancellerie euroatlantiste non decideranno che sia giunto il momento di entrare direttamente in guerra.

Il tutto, ignorando beffardamente le dichiarazioni di Vladimir Putin secondo cui Moskva non intraprenderà alcuna operazione se l'Europa tratterà la Russia in maniera adeguata, nel rispetto dei suoi «interessi, proprio come noi abbiamo sempre cercato di rispettare i vostri. Se non ci imbrogliate, come avete fatto con l'espansione verso est della NATO». Proprio la settimana scorsa, ricorda Dmitrij Popov su Moskovskij Komsomolets, Putin aveva ribadito che non è stata Mosca a dare inizio al conflitto in Ucraina; è stato l'Occidente a scatenarlo: «Tutti davano per scontato che la Russia sarebbe crollata in breve tempo e i lattonzoli europei si sono subito buttati in questa impresa, sperando di trarre profitto dal crollo del nostro Paese».

Tuttavia, si è verificato il contrario: la Russia ha «riacquistato lo status di piena sovranità; è diventata un paese sovrano in ogni senso della parola». E, dato che è un paese sovrano, dice Popov, negozieremo con chi vogliamo e con chi non vogliamo, non lo faremo; ecco perché ci sono negoziati con gli USA, ma non con l'Europa, che non fa che frapporre ostacoli.

In fondo, poi, il conflitto sta diventando troppo costoso per la UE: «non a caso hanno passato l'intera notte da giovedì a venerdì a cercare di rubare beni russi. La rapina è fallita». Si sono dovuti accontentare di dare soldi a Kiev «depredando i loro stessi popoli, derubando i loro contribuenti. Perché nessuno restituirà il prestito. La condizione per il rimborso è che la Russia paghi le riparazioni. La probabilità che ciò accada è alta quanto il sorgere del sole a Occidente». E la beffa ulteriore è che Zelenskij non abbia nemmeno ringraziato gli “alleati” e si sia limitato a dire, come suo solito, che «non sarà abbastanza».

A dispetto delle evangeliche interviste de La Stampa, la realtà è che Zelenskij, come del resto le cancellerie europee, è assolutamente contrario ad accettare qualsiasi proposta di USA e Russia. Afferma che non esiste ancora un accordo di pace e potrebbe non essercene mai uno e dal momento che sostiene che la linea di contatto debba essere fissata sulle posizioni attuali, l'Ucraina non ha alcuna intenzione di ritirarsi dai territori che attualmente controlla nelle regioni di Donetsk e Lugansk; qualsiasi ritiro delle truppe è possibile solo a condizioni reciproche, passo dopo passo da entrambe le parti, e Zelenskij ha persino respinto l'idea di una "zona smilitarizzata", se truppe o armi pesanti dovessero rimanere.

Ma, se ne facciano una ragione a La Stampa, il rappresentante speciale, Kirill Dmitriev, ha definito costruttivi i colloqui con gli americani. Così che, conclude Popov, i lattonzoli europei costituiscono solo un intralcio e se Putin ha spiegato che, ricorrendo a quell'epiteto, non si riferiva a uno specifico gruppo di persone, ebbene, in realtà li si «conosce per nome. E loro sanno che lo sappiamo. Ecco perché grugniscono finché possono. Ma non si può sfuggire al destino».

E se il farabutto Rutte si dice convinto che «siamo più forti della Russia sotto ogni aspetto. Dobbiamo solo assicurarci di rimanere più forti possibile», ricordiamogli, parafrasando i versi di Ovidio, che anche per la NATO «non più la Parca aveva per te filo sul fuso».


FONTI:

https://www.lastampa.it/esteri/2025/12/22/news/zelensky_a_la_stampa_piu_pressione_su_mosca_o_putin_non_si_fermera-15443550/?ref=LSHA-BH-P1-S1-T1

https://politnavigator.news/esli-vojjna-zatyanetsya-eshhe-na-god-zapad-vvedet-vojjska-na-ukrainu-nemeckijj-ehkspert.html

https://politnavigator.news/gensek-nato-banderovskie-vojjska-dolzhny-byt-v-otlichnojj-forme.html

https://www.mk.ru/politics/2025/12/21/zelenskiy-otverg-mirnye-predlozheniya-ssha-putinykh-slishkom-mnogo.html

 

 

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 08:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
La Russia ha ribadito il suo pieno sostegno al Venezuela. Le parole di Lavrov

 

 

La Russia ha ribadito il suo pieno sostegno e solidarietà al Venezuela, mentre il Paese affronta un blocco militare statunitense nei Caraibi. Il ministero degli Esteri di Mosca ha annunciato ieri che il ministro Sergej Lavrov, in una conversazione telefonica con il suo omologo venezuelano Yvan Gil, ha espresso “seria preoccupazione per le azioni sempre più aggressive di Washington nel Mar dei Caraibi”.

Da settembre, la Marina statunitense ha dispiegato diverse navi da guerra nella regione, attaccando imbarcazioni che sostiene siano coinvolte nel traffico di droga e impedendo alle petroliere di entrare o uscire dal Paese. Negli ultimi giorni, fonti di intelligence americane citate da diversi media hanno riferito che la Guardia Costiera degli Stati Uniti era “attivamente all'inseguimento” di una petroliera collegata al Venezuela nelle acque internazionali. Nelle ultime due settimane, le forze statunitensi hanno già sequestrato due petroliere.

Il Cremlino ha avvertito che il rafforzamento militare degli Stati Uniti potrebbe “portare a conseguenze di vasta portata per la regione e creare una minaccia alla navigazione marittima internazionale”. Gli Stati Uniti affermano che i trafficanti di droga operino dal Venezuela con il sostegno del governo, accuse sempre negate da Caracas, che accusa Washington di complottare per un cambio di regime per ottenere l'accesso alle risorse naturali del Paese.

Il Venezuela ha condannato il sequestro delle petroliere al largo delle sue coste come un “atto di pirateria” e ha accusato Washington di cercare di instaurare un “governo fantoccio” a Caracas. Il presidente russo Vladimir Putin aveva in precedenza espresso “solidarietà con il popolo venezuelano”, ribadendo il sostegno alla determinazione del governo di Nicolás Maduro “a difendere gli interessi nazionali e la sovranità contro le pressioni straniere”.

All'inizio di questo mese, anche il ministero degli Esteri cinese ha appoggiato Caracas, affermando che Pechino si oppone a “tutti gli atti di unilateralismo e bullismo”.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 08:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Ad Aleppo tornano gli scontri

 

Nuova violenza ha insanguinato ieri la città siriana di Aleppo, riaccendendo le tensioni tra le forze del governo centrale di Damasco e le Forze Democratiche Siriane (SDF) a guida curda. Lo scontro, scoppiato nei quartieri di Ashrafieh e Sheikh Maqsoud, ha provocato vittime civili e scambi di accuse tra le parti, minando gli accordi di riconciliazione siglati nella primavera scorsa.

Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa statale SANA, citando le autorità sanitarie locali, almeno due civili sono rimasti uccisi e numerosi altri sono stati feriti durante i combattimenti. Il Ministero dell’Interno siriano ha accusato le SDF di aver commesso “un atto di tradimento”, sostenendo che i combattenti del gruppo, dopo essersi ritirati lunedì da posti di blocco gestiti congiuntamente, avrebbero poi attaccato quelle posizioni e le zone residenziali adiacenti.

Le SDF hanno respinto categoricamente la ricostruzione governativa. In una dichiarazione, il gruppo ha affermato di aver già “ceduto le proprie posizioni alle forze di sicurezza interne in conformità con l'accordo del 1° aprile” e ha addossato la responsabilità dell’incidente alle “fazioni frammentate affiliate al governo di Damasco”. Le milizie curde accusano queste fazioni di aver “assedato” i quartieri per almeno quattro mesi.

I combattimenti avvengono in un contesto politico e di sicurezza estremamente fragile. Dopo la caduta del presidente Bashar al-Assad alla fine dello scorso anno, il governo di transizione siriano in mano al terrorismo di Al Qaeda ha raggiunto ad aprile un accordo con il consiglio locale dei quartieri curdi di Aleppo, che ha posto le aree sotto l'autorità di Damasco pur garantendo una certa autonomia. Un accordo separato prevedeva l'integrazione delle strutture civili e militari curde nel governo centrale entro la fine del 2025. Tuttavia, l'implementazione di questo piano è in stallo, mentre le SDF mantengono il controllo effettivo di circa un quarto del territorio siriano.

L'incidente di Aleppo non è isolato. Negli ultimi mesi, in tutto il Paese si sono moltiplicati gli scontri tra forze affiliate a Damasco e milizie delle SDF, mettendo a dura prova il processo di stabilizzazione.

La tensione si è acuita ulteriormente poche ore dopo la visita a Damasco del ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan. Il capo della diplomazia turca ha accusato pubblicamente le SDF di non aver rispettato gli accordi, esortandole a “smettere di essere un ostacolo al raggiungimento della stabilità, dell'unità e della prosperità della Siria”. Ankara, che considera le SDF una costola del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) – da essa classificato come organizzazione terroristica – ha condotto ripetute operazioni militari contro le milizie curde in territorio siriano negli ultimi anni.

La complessità del quadro è accentuata dal ruolo degli attori internazionali. Le SDF, infatti, hanno storicamente mantenuto stretti legami operativi con gli Stati Uniti, agendo come il principale alleato terrestre di Washington nella campagna contro lo Stato Islamico. L'ultima esplosione di violenza ad Aleppo segnala le profonde difficoltà nel conciliare le esigenze di sicurezza di Damasco, le rivendicazioni autonomiste curde, le mire regionali della Turchia e gli interessi strategici delle potenze globali, in un Paese ancora lontano da una pace duratura.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 08:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Nuovo rapporto SVR: “I topi abbandonano la nave ucraina che sta affondando”

 

Il Servizio di Intelligence Estero della Federazione Russa (SVR) ha lanciato un duro attacco alla leadership ucraina, diffondendo una dichiarazione in cui accusa i funzionari di Kiev di prepararsi all’espatrio in massa in previsione di un imminente “crollo” del governo del Presidente Volodymyr Zelensky. Il comunicato, dal titolo emblematico “I topi abbandonano la nave ucraina che sta affondando”, dipinge un quadro di crescente disfattismo all'interno dell’élite ucraina. Lo riporta Ria Novosti. 

Secondo quanto riferito dall'SVR, i “funzionari” del governo e, in particolare, oltre il 90% del “corpo diplomatico ucraino nei paesi occidentali” starebbero attivamente trasferendo famiglie e beni finanziari all’estero, con l’intenzione di non fare ritorno al termine dei loro incarichi. L’agenzia di spionaggio russa sostiene che i diplomatici di Kiev siano “pienamente consapevoli” dell’assenza di prospettive per una conclusione del conflitto favorevole a Zelensky e percepiscano un calo dell’interesse occidentale nel sostenere la leadership ucraina.

In un comunicato separato della scorsa settimana, l’intelligence russa ha collegato lo scandalo di corruzione di alto profilo che ha recentemente investito la cerchia presidenziale ucraina a un crollo del morale dell'esercito e a un aumento dei casi di diserzione, citando anche una presunta “stanchezza della popolazione” verso la guerra. Lo scandalo in questione, che ha portato alle dimissioni di alti funzionari tra cui il capo di gabinetto Andriy Yermak, ha  scosso la politica ucraina. Un recente sondaggio dell’istituto Info Sapiens, citato nel rapporto, indica un calo del consenso per Zelensky al 20,3%. Il presidente statunitense Donald Trump ha inoltre più volte pubblicamente espresso scetticismo sulle possibilità di successo dell’Ucraina.

Il ministero della Difesa russo, dal canto suo, ha stimato in un rapporto che l'esercito ucraino avrebbe subito quasi 500.000 perdite nel solo corso di quest'anno, un dato che, se non verificabile indipendentemente, contribuisce alla narrazione di una situazione militare insostenibile per Kiev.

Data articolo: Tue, 23 Dec 2025 08:00:00 GMT

News su Gazzetta ufficiale dello Stato, Corte costituzionale, Corte dei Conti, Cassazione, TAR