NEWS - prima pagina - NEWS - politica - NEWS meteo

Cliccando su i link posti di seguito, si aprirĂ  la pagina delle news relativa al titolo del link stesso


News lantidiplomatico.it

News lantidiplomatico.it

IN PRIMO PIANO
La trappola dei dazi: perché il Messico non ha paura di Trump

Donald Trump ha deciso di alzare la posta nella sua guerra commerciale contro il Messico, imponendo dal primo agosto dazi del 30% su tutte le esportazioni verso gli Stati Uniti. Una mossa aggressiva, giustificata con la crisi del fentanyl e una denunciata incapacità di Città del Messico nel fermare i cartelli della droga. Ma dietro la retorica sulla sicurezza, c’è una strategia economica che punta a forzare la mano al vicino meridionale, sperando in una resa. Il Messico, però, non è per niente intenzionato a cedere.

La minaccia del fentanyl: un pretesto?

Trump ha inviato una lettera alla presidente Claudia Sheinbaum, accusando il Messico di non fare abbastanza contro il narcotraffico e definendo i cartelli come "le persone più abominevoli che abbiano mai calcato la Terra". Una retorica dura, che però nasconde un obiettivo più pragmatico: spingere le aziende messicane a delocalizzare negli Stati Uniti. "Se producete da noi, i dazi spariranno", è stato il messaggio.

Ma il Messico non è nuovo a queste pressioni. Già durante il primo mandato di Trump, l’ex presidente Andrés Manuel López Obrador aveva gestito le tensioni senza piegarsi completamente, evitando una rottura totale. Ora, con Sheinbaum pronta a ereditare quella linea, è probabile che la risposta sarà ancora una volta di resistenza calcolata. Del resto, il Messico è oggi il primo partner commerciale degli USA, superando persino la Cina. Una leva che Città del Messico potrebbe usare per negoziare, piuttosto che arrendersi alle imposizioni di Washington.

La trappola dei dazi: perché la strategia di Trump potrebbe fallire

Trump sembra convinto che aumentare i dazi sia un modo per "vincere" nei negoziati. Ma la storia recente dimostra che questa strategia ha limiti evidenti. Quando nel 2019 minacciò tariffe punitive sul Messico per fermare i migranti, ottenne solo accordi parziali, senza risolvere il problema. Oggi, il rischio è che la nuova stretta danneggi soprattutto i consumatori statunitensi, già alle prese con l’inflazione, mentre il Messico potrebbe cercare alternative commerciali altrove.

Inoltre, il governo messicano ha già dimostrato di saper reagire. Quando pochi giorni fa Trump ha imposto dazi del 50% sul Brasile, il presidente Lula ha immediatamente minacciato ritorsioni. E se Sheinbaum dovesse seguire la stessa strada, Trump si troverebbe con un’altra crisi autoinflitta, proprio in piena campagna elettorale.

Il deficit Usa intanto cresce, nonostante i dazi

Ironia della sorte, l’offensiva tariffaria di Trump non sta migliorando i conti pubblici di Washington. Nonostante le entrate doganali siano raddoppiate (+113 miliardi), il deficit federale ha toccato 1.400 miliardi, con un aumento del 6% su base annua. Colpa della spesa sanitaria e degli interessi sul debito, che hanno superato i 920 miliardi. Numeri che dimostrano come i dazi siano un palliativo, non una soluzione.

Trump promette di recuperare 300 miliardi entro fine anno grazie alle tariffe, ma intanto le imprese frenano gli investimenti in attesa di stabilità. E mentre lui alza i muri, il Messico potrebbe semplicemente aspettare che la sua strategia si sgretoli da sola, come già successo in passato. Perché quando si tratta di resistere alle pressioni di Washington, Città del Messico ha già dimostrato di saperci fare.

Data articolo: Sat, 12 Jul 2025 14:34:00 GMT
Una finestra aperta
Dialogo tra CiviltĂ , impegno e pratiche della Cina per promuovere scambi e apprendimento reciproco




Una finestra aperta - CGTN


Dal 10 all’11 luglio si tiene a Beijing la Riunione Ministeriale del Dialogo Globale tra le Civiltà. Oltre 600 ospiti provenienti da 140 Paesi e regioni si sono riuniti per rafforzare gli scambi e l’apprendimento reciproco tra le diverse civiltà, avanzando insieme verso lo sviluppo e la prosperità.

Nel mondo convivono oltre 200 Paesi e regioni, con più di 2500 gruppi etnici, le cui civiltà, ricche e diversificate, compongono insieme il rigoglioso giardino della civiltà umana. Il dialogo tra le civiltà sta diventando un "incontro reciproco" che supera montagne e oceani per unire il mondo: presso la sede delle Nazioni Unite a New York, le melodie provenienti da diverse civiltà risuonano in una sinfonia armoniosa; ai piedi del Partenone, il "Dialogo tra Antiche Capitali" mette a confronto le due grandi civiltà cinese e greca; in Asia, Europa, nelle Americhe e in Africa, una serie di attività ha riunito gli amici intorno a una tazza di tè... A giugno, le vivaci celebrazioni in occasione della prima "Giornata Internazionale del Dialogo tra Civiltà" delle Nazioni Unite diventano una testimonianza tangibile degli scambi tra civiltà diverse.

In qualità di sostenitrice e praticante del dialogo tra le civiltà, la Cina ha sempre aderito al concetto di "armonia" , integrando l'apprendimento reciproco tra le civiltà nella pratica della governance globale, invitando, ad esempio, i cinque paesi dell'Asia centrale a partecipare all'attuazione del piano "Via della Seta Culturale"; ha proposto di lavorare con la parte araba per istituire il "Centro arabo-cinese per l'iniziativa della civiltà globale", ha lavorato con l'Africa per promuovere l'"Azione di partenariato per l'apprendimento reciproco tra le civiltà"; ha tenuto una conferenza sul dialogo tra le civiltà cinese e latinoamericana......

Azioni solide hanno ottenuto maggiori risultati  nell'attuazione dell'Iniziativa per la Civiltà Globale, promuovendo la coesistenza armoniosa e la realizzazione reciproca di diverse civiltà. Sull'onda della globalizzazione economica, il dialogo tra civiltà ha fornito una solida base umanistica per la cooperazione e gli scambi tra i Paesi, e ha reso sempre più forte la forza della solidarietà globale.

Oggi la Cina sta costruendo ponti di dialogo tra ogni forma di civiltà, dai successi del Forum "Understanding China", del "Liangzhu Forum" e del Congresso Mondiale di Studi Classici, all'istituzione del Centro di Ricerca Sino-ungherese per gli Scambi Culturali e dell'Istituto di civiltà classica cinese ad Atene, fino all'attuazione di una serie di misure per facilitare l'ingresso dei turisti stranieri in Cina e all'organizzazione di eventi culturali come l’Anno del turismo, feste culturali e festival giovanili d'Arte.

In qualità di due antiche civiltà, la Cina e l'Italia promuovono insieme lo scambio e l'apprendimento reciproco tra civiltà, ottenendo fruttuosi risultati di cooperazione in settori quali la protezione del patrimonio culturale, le mostre d'arte e la ricerca accademica. Lasciamo che la civiltà attecchisca attraverso lo scambio e fiorisca attraverso l'apprendimento reciproco, affinché il giardino delle civiltà del mondo possa prosperare in armonia.

 
 
 
Data articolo: Sat, 12 Jul 2025 13:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
"Campo di concentramento". Il momento in cui Repubblica ammette che a Gaza è in corso un genocidio


Sabato 12 luglio 2025. Mentre 27 palestinesi venivano uccisi e oltre 180 sono rimasti feriti con i terroristi dell'IDF che hanno aperto il fuoco su una folla di civili in attesa di aiuti umanitari vicino al punto di distribuzione degli aiuti di Al-Shakoush, a nord di Rafah, nella striscia di Gaza meridionale, alla fine anche il giornale del Gruppo Elkann ha dovuto ammettere che in corso a Gaza c'è un genocidio.


Nella diretta di Repubblica sui fatti in corso a Gaza, infatti, vengono così commentate le parole scritte da sul suo account X dal ministro della Difesa israeliano Katz:

Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha pubblicato su X una foto delle rovine di Gaza, accompagnate dal commento: "Dopo Rafah, Beit Hanoon". Rafah, la città più meridionale di Gaza, al confine con l'Egitto, è stata quasi completamente distrutta dall'esercito israeliano. Beit Hanoon è una città importante nella parte settentrionale dell'enclave, ora sotto pesante assedio da parte delle forze israeliane. Le autorità israeliane vorrebbero sfollare la maggior parte dei palestinesi dal nord di Gaza e costringerne centinaia di migliaia in un campo di concentramento che verrà costruito sulle rovine di Rafah. 




Costringere centinaia di migliaia in un "campo di concentramento" è proprio la definizione più chiara genocidio. Dopo mesi e mesi di megafono stolto e complice dello sterminio, Repubblica ci è finalmente arrivata. Ora dovrebbe chiedere scusa a tutti i suoi lettori per le menzogne scritte fino ad oggi per coprirlo e, soprattutto, chiedere umilmente scusa a coloro che aveva precedentemente bollato come antisemiti al soldo di Hamas per esserci solo arrivati molto prima.

Data articolo: Sat, 12 Jul 2025 12:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Caso Epstein e Mossad. L’accusa di Tucker Carlson all'amministrazione Trump

 

Quasi cinque anni dopo la morte di Jeffrey Epstein, il caso che ha scosso l’élite globale rimane un groviglio irrisolto di segreti, ricatti e scomode verità nascoste. Il noto giornalista Tucker Carlson, durante un intervento alla conferenza Turning Point USA in Florida, ha accusato apertamente le autorità statunitensi di voler "mettere a tacere" chiunque cerchi di far luce sulla vicenda.

Epstein, finanziere legato a potenti di tutto il mondo, fu arrestato nel luglio 2019 con l’accusa di sfruttamento sessuale di minori. La sua morte in cella – ufficialmente un suicidio – solo un mese dopo ha spento le indagini giudiziarie, ma non i sospetti. "Epstein era un maniaco sessuale che abusava di ragazze. Lo sapevamo tutti", ha detto Carlson. "Ma perché il governo ha archiviato il caso con tanta fretta? Perché chi fa domande viene zittito con un ‘Caso chiuso, complottista’?" Secondo Carlson, la riluttanza delle istituzioni a indagare sulle connessioni di Epstein – che includevano ex presidenti, miliardari e celebrità – suggerisce un insabbiamento sistematico. Il giornalista è andato oltre, ipotizzando persino legami con servizi segreti stranieri, menzionando esplicitamente Israele. "Se fosse stato un criminale qualsiasi, avremmo avuto risposte. Invece, ogni domanda viene censurata", ha denunciato. "Chi cerca la verità non dovrebbe essere bollato come complottista, ma sostenuto. Perché senza giustizia, non c’è democrazia".


Abbiamo tradotto il suo intero intervento. Buona visione:

Data articolo: Sat, 12 Jul 2025 11:00:00 GMT
Lavoro e Lotte sociali
Ma gli Enti locali possono sottrarsi alla ideologia della guerra?

 

di Federico Giusti

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni rivolte a tale scopo

Questo è l’art 11 della Costituzione italiana, eppure nonostante il ripudio della guerra il nostro paese è stato direttamente coinvolto in numerosi conflitti sotto l’egida Onu, Nato e dietro a cartelli temporanei di paesi occidentali. E al contempo un paese che ripudia la guerra ospita decine di basi militari Usa e Nato da cui partono rifornimenti e logistica militare. E’ fin troppo facile nascondersi dietro al dettato costituzionale ignorando l’effettivo apporto del nostro paese alle strategie di guerra.

Ci siamo chiesti, nel passato, quanto sia efficace il costante richiamo al dettato costituzionale se lo stesso poi si rivela del tutto inutile a fermare la partecipazione a conflitti bellici, non serve da argine alla spesa militare che nel Globo, in tre anni, è cresciuta del 20 per cento con la Ue a superare il 17 e i paesi Nato che rappresentano da soli oltre il 55 per cento della spesa militare globale.

Allo stesso tempo siamo certi che questo articolo costituzionale, come tanti altri, sia da contestualizzare storicamente, erano gli anni successivi alla cacciata del fascismo che il nostro paese aveva condotto in guerra, prima le avventure coloniali e poi l’alleanza con il nazismo, la guerra era portatrice di memorie dolorose e autentici disvalori, a distanza di decenni non solo la memoria delle immani distruzioni si è persa ma la propaganda guerrafondaia è diventata sempre più asfissiante.

In questi anni numerosi Consigli comunali hanno sottoscritto appelli e ordine del giorno contro la guerra salvo poi partecipare attivamente, su dettato nazionale, ai lavori di potenziamento della logistica a fini militari. Una presa di posizione di un Consiglio comunale è utile alla lotta contro la militarizzazione o piuttosto fa parte di quell’avanspettacolo a cui il movimento pacifista italiano ci ha abituato?

Se guardiamo alle basi presenti nei nostri territori il ruolo attivo degli enti locali è stato determinante per il loro potenziamento, si sono create vere e proprie servitù  e gli amministratori diventano i principali sponsors della militarizzazione  mettendosi a disposizione di Fondazioni legate a imprese di armi e sottoscrivendo  accordi per iniziative locali organizzate con le forze armate.

I lavori di potenziamento delle basi e della logistica asservita a fini militari sono secretati e le procedure semplificate, la sicurezza nazionale ed internazionale sono ragioni sufficienti a scongiurare ogni approfondimento e discussione pubblica e perfino una corretta informazione alla cittadinanza.

Quali sono i benefici per le comunità locali? Ben pochi, ci sono aree del paese inquinate, altre da decenni occupate da basi che a loro volta tengono, sempre le solite ragioni di sicurezza, a rendersi autonome sotto ogni punto di vista prevedendo all’interno delle aree militari palestre, abitazioni, supermercati ed empori.

L’ aumento della spesa militare al 5 per cento del PIL comporterà ingenti tagli alla spesa pubblica, a sanità, istruzione, spesa sociale. Con tutti i soldi destinati al militare sarebbe possibile costruire interventi sociali e posti di lavoro, ma non sono certo ragionevoli dubbi e argomentazioni di buon senso a far cambiare idea ai governanti.

Se è indubbio che i Comuni siano stati penalizzati dalle manovre fiscali e finanziarie degli ultimi decenni, nonché dai tetti di spesa imposti dalla Ue e recepiti nella nostra Costituzione, è altrettanto vero che la militarizzazione non porterà beneficio alcuno, anzi è quasi certo che il Riarmo determini nuove riduzione di spesa,  tagli diffusi e anche a minori trasferimenti di risorse.

Gli enti locali hanno molto da perdere ma ormai i consigli comunali sono dei rituali stanchi dove il dibattito politico langue e i consiglieri comunali votano a comando dai capigruppo sovente senza intervenire nelle commissioni e nelle sedute pubbliche

Quando si parla di cospicui tagli ai Comuni fino a metterne in pericolo le stesse funzioni sociali pensiamo che la economia di guerra sia parte attiva di quel processo antidemocratico che rafforza la finanza, i processi speculativi e le disparità economiche e allora non potrà bastare una semplice dichiarazione di intenti senza mai mettere in discussione gli interessi economici, ideologici e politici che sostengono i processi di militarizzazione e l’economia di guerra  

 

 

Data articolo: Sat, 12 Jul 2025 10:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Da Londra a Roma un unico obiettivo: spremere l'Ucraina fino all'ultimo ucraino

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Soldi, soldi, soldi. C'è chi va in giro per il mondo a chiederli, spesso sicuro che glieli daranno. C'è chi invece è proprio ansioso di concederli ed è anche per questo che il mendicatore professionale (non offendiamo i mendicanti) si sente così sicuro di riceverli. Soldi e resilienza. Sono questi i temi ufficiali della cosiddetta “Ukraine Recovery Conference” del 10-11 luglio a Roma, così come lo erano stati, nella sostanza, nelle tre edizioni precedenti a Lugano, Londra e Berlino, in cui era stato messo ipocritamente – ma soprattutto beffardamente per le masse popolari ucraine che, a milioni, ormai da anni e non dal 2022, sono costretti a emigrare in cerca di una vita decente, mentre centinaia di migliaia vengono mandati al macello per gli interessi dei monopoli ucraini e occidentali -  l'accento sul «significativo potenziale economico» dell'Ucraina.

Temi ufficiali: per non chiamarla apertamente volontà di guerra; per non spiattellare platealmente, stravaccati sulle poltrone d'ordinanza, con le gambe rigorosamente accavallate, come si conviene a autentici “cultori della materia” affaristica, che i soldi vengono dalla guerra e vanno per la guerra. “Cultori della materia” con una brama di soldi da spingere fino a Roma «oltre 8 mila delegati, cento delegazioni ufficiali, quindici capi di Stato e di governo, una quarantina di ministri degli esteri, circa duemila rappresentanti aziendali e circa 500 aziende italiane», come recitano le cronache, snocciolando cifre di miliardi che dovrebbero invogliare anche gli investitori più cauti. Perché di questo si tratta: soldi e ancora soldi.

A Roma, dunque, tra i discorsi che fanno da contorno alla “Fiera imprenditoriale” che costituisce il motore della patetica “conferenza”, il mendicatore Vladimir Zelenskij afferma di aver trovato la soluzione per «abbattere i 700-1000 droni russi», producendo in massa «droni intercettori»: basta che i “Partner” euro-americani, dice il nazigoilpista-capo, finanzino il lavoro dei tecnici di Kiev. Et voilà; soldi. Soldi per sconfiggere i piani di Mosca; soldi perché Mosca, dicono i fascisti di governo, persegue ancora il disegno che «è lo stesso dall'inizio della guerra, tentare di piegare gli ucraini con il freddo, la fame e la paura». Già: esattamente ciò che le masse popolari ucraine sperimentano, come minimo, dal 2014, da quando Banca Mondiale, UE, FMI, che ora sbavano per gli introiti che verranno dalla “ricostruzione”, imponevano ai nazi-nazionalisti al potere a Kiev, di imporre tariffe su gas, energia elettrica, riscaldamento, tali da costringere le famiglie a scegliere tra nutrirsi o scaldarsi, con l'angoscia quotidiana dei posti di lavoro che scomparivano.

Esattamente «il freddo, la fame e la paura» che la signora Meloni imputa ai piani russi, mentre assicura che la conferenza all'EUR costituirà «il punto di partenza per il miracolo della ricostruzione dell’Ucraina. Investire in Ucraina non è un azzardo, è un investimento in pace e nella crescita dell’Europa intera». Perché, come assicura la signora Nathalie Tocci su La Stampa, «è solo con più sicurezza che aumenteranno gli investimenti. È in questo senso che la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina non è che un’altra faccia della stessa medaglia che vede il lavoro dei Paesi Volenterosi sull’altra», cioè il clan franco-britannico riunito a Londra per decidere quali missili si debbano produrre per fare la guerra alla Russia. E la smettano di contrapporre i colloqui di Roma e di Londra, con «il primo volto alla pace, il secondo alla guerra. Niente potrebbe essere più lontano dalla realtà». Già, perché contrapporli, quando in effetti la guerra fa da sfondo, da obiettivo, in una prospettiva più o meno lunga, a entrambi i “seminari” bellico-affaristici che, nella sostanza, sentenziano quello che la signori Tocci si limita a scrivere: «che Mosca non vuole la fine della guerra», mentre tutti gli altri, gli ottomila di Roma e i “volenterosi” di Londra, per carità, si danno da fare per «difendere l’Europa nel suo insieme, con molta meno, se non addirittura senza, l’America». Vogliono la pace, giurano, contro «il freddo, la fame e la paura». Ma, come si dice: i soldi in avanti.

Ma non è la paura quella che frena il bellicista cancelliere tedesco dal gridare a Putin: «noi non ci fermeremo!», Berlino non smetterà di armare e finanziare la junta di Kiev. Certo, Merz lo urla dall'EUR, non è che vada a dirglielo in faccia: non è poi così ardito e, sul momento, si accontenta di chiedere gentilmente alla Slovacchia di togliere il proprio veto al 18° pacchetto di sanzioni anti-russe.

Già più cauto, in materia di soldi, il Ministro degli esteri britannico David Lammy, che da Londra, non da Roma, annuncia di «sperare» che, per l'autunno, potrà contribuire per la sua parte, confermando che le spese per l'Ucraina non verranno «ridotte». Tanto più che, ricorda, Londra «dall'inizio del conflitto, ha dato 18 miliardi di sterline» a Kiev, con 1,5 miliardi sotto forma di credito. Solo, ha detto Lammy, Kiev non aspetti i “Patriot”: al momento, Londra non può darglieli, ma discuterà la questione con gli alleati. E forse Friedrich Merz si darà da fare per comprarli dagli USA e passarli a Kiev.

Nel frattempo, la ZDF, citando un alto ufficiale del QG speciale per l'Ucraina del Ministero della difesa tedesco, parla di possibile consegna a Kiev dei primi sistemi d'arma a lunga gittata già a fine di luglio.

Più “spericolato”, sempre da Roma, attorniato da amici e dagli “amici degli amici”, si mostra el jefe da la junta, che chiede la formazione di una «coalizione per la ricostruzione dell'Ucraina» con soldi russi, procedendo con «un approccio stile “Piano Marshall”»; perché il ripristino dell'Ucraina «non riguarda solo il nostro paese, ma anche i vostri paesi, le vostre imprese», affonda spavaldo con una stoccata da attore che, sin dal 2019, ha pregustato l'arricchimento personale dagli affari di una guerra che conferma, una volta di più, il legame tra crisi economiche, divisione del bottino tra pescecani che si azzannano tra loro, ora “politicamente”, ora a suon di cannoni, e intese tra quegli stessi squali per cercare di arrestare una troppo rovinosa caduta dei profitti. Pensate voi, dice, ai «meccanismi di finanziamento specifici», destinando alla ricostruzione ucraina i beni russi congelati. Quindi, dettando la linea ai fascisti di casa, i quali ambiscono a impedire che dalla «ricostruzione possano beneficiare anche quelle entità che hanno contribuito a finanziare la macchina da guerra russa», el jefe impone che nel «progetto comune di ricostruzione accetteremo solo veri partner: coloro che non aiutano la Russia a continuare questa guerra». Tutto in linea; tutti uniti per «superare anche il prossimo inverno... Grazie Norvegia, Paesi Bassi per l'aiuto, grazie Germania, grazie Ursula... Grazie anche all'Italia: qui sono rappresentate più di 500 aziende, circa 200 accordi sono pronti per essere firmati per un totale di 10 miliardi di euro... E per favore, concentriamoci anche sull'energia», perché Putin ha «solo due veri alleati: il terrore e l'inverno».

Già, per l'appunto: il terrore neonazista di chi affama il proprio popolo, sponsorizza la militarizzazione dei giovanissimi e manda al macello i propri diciottenni e i propri sessantenni, obbedendo ai piani UE-NATO di continuare la guerra ancora qualche anno, finché gli arsenali euro-atlantici non saranno pronti per un conflitto armato in prima persona con Mosca. Già: “l'inverno” di un paese ormai quasi completamente deindustrializzato e svenduto, le cui risorse sono preda dei monopoli finanziari, industriali e agro-alimentari occidentali. Terrore e inverno ucraini che durano ormai da almeno undici anni.

Un “inverno” che, vanta dall'ottava bolgia, quella dei consiglieri di frode, il ministro degli esteri della junta, Andrej Sibiga, ha consentito a Kiev nientepopodimeno che presentarsi quale “poligono sperimentale” per le armi occidentali. Come possono le masse ucraine non essere orgogliose di un tale privilegio, riservato al loro paese, di essere quello «che può testare le armi sul campo di battaglia... i nostri partner percepiscono l'Ucraina come un paese che fornisce un contributo significativo allo spazio di sicurezza comune, transatlantico, europeo». Ne sono convinte le masse ucraine!

Non è da meno il Primo ministro polacco Donald Tusk che a Roma, da perfetto “europeista”, tronfia che l'Ucraina ci ispira nel conflitto con la Russia: è di fatto un banco di prova europeo per i metodi di guerra contro la Russia, «ci insegna coraggio, resistenza. E innovazione. Tecnologie che stanno già cambiando il campo di battaglia: droni, sistemi autonomi, cyberdifesa. L'Ucraina sta già sperimentando tutto questo. La NATO  impara dall'Ucraina». Finalmente uno che non annacqua omelie con la “resilienza”, col «fermare l'oscurità, costruire un futuro forte» meloniani; uno che spiattella che la UE, la guerra, la farà eccome e ha bisogno oggi dell'esperienza ucraina: costi quel che costi in diciottenni e sessantenni ucraini.

Uno che, da Roma, fa il paio col Primo ministro britannico Keir Starmer e il Presidente francese Emmanuel Macron che, da Londra, annunciano la formazione di un corpo d'armata congiunto di 50.000 uomini e la produzione, sempre congiunta, di missili a lungo raggio: ovviamente, per difendere l'Europa, con «Francia e Gran Bretagna quale nucleo solido in grado di riunire altri partner europei ed essere a disposizione dell'Alleanza. La nostra partnership conferisce credibilità e forza operativa a questo pilastro europeo della NATO». Tanto più che, ci tiene a sottolineare Macron, si è decisa l'accelerazione «sui futuri missili da crociera e antinave», lavorando anche sulle future generazioni di missili aria-aria, nuovi missili terra-aria e, in cooperazione con la Germania, missili terra-aria antinave». Autentici enclave di pace, a Roma come a Londra, con Francia e Gran Bretagna che, per difendere meglio la “concordia mondiale”, coordinano le proprie forze nucleari.

Rimane solo una “piccola” incognita: proprio alla vigilia della conferenza, la società yankee di investimenti “BlackRock” avrebbe interrotto la ricerca di investitori per il fondo di ricostruzione per l'Ucraina, a causa della crescente incertezza sul futuro del Paese. Questo sarebbe avvenuto quando pare che il fondo fosse in procinto di ricevere circa 500 milioni di dollari da paesi, banche di sviluppo e altri finanziatori, oltre a 2 miliardi di dollari da investitori privati. Invece, nulla. Con il fondo di investimento, gli asset ucraini di particolare valore avrebbero dovuto ufficialmente finire alla “BlackRock”, ma poi i banchieri si sarebbero accorti che l'accordo sembrava privo di liquidità. In altre parole, commenta Dmitrij Kovalevic su Ukraina.ru, se persino un fondo di investimento che ha portato interi paesi alla bancarotta non ha alcun interesse in Ucraina, allora la situazione economica è semplicemente disastrosa.

L'economista ucraino Aleksej Kushch osserva che la rinuncia di “BlackRock” all'Ucraina indica che non si tratta più di restaurare il Paese, ma di preservare almeno qualcosa. In parole povere, banchieri e investitori americani non vedono più alcuna prospettiva o opportunità di ottenere alcunché dall'Ucraina.

Invece di “BlackRock”, Zelenskij conta sugli “alleati” europei, che sterebbero mettendo in cantiere un fondo da 100 miliardi di euro, da includere nella proposta di bilancio settennale UE, la cui presentazione è prevista per il 16 luglio.

Fu così che a Roma «la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si schiantarono» (Matteo – 27,51).


FONTI:

https://politnavigator.news/my-ne-ostanovimsya-merc-iz-rima-grozit-moskve.html

https://politnavigator.news/velikobritaniya-soglasna-obeshhat-ukraine-dengi-no-tolko-ne-pehtrioty.html

https://politnavigator.news/zelenskijj-potreboval-vosstanovit-ukrainu-za-schet-rossii.html

https://politnavigator.news/zelenskijj-obyavil-zimu-soyuznikom-putina-i-klyanchit-dengi-na-ehnergetiku.html

https://politnavigator.news/mazokhizm-ot-mid-ukrainy-nam-povezlo-stat-ispytatelnym-poligonom-dlya-zapadnogo-oruzhiya.html

https://politnavigator.news/ukraina-vdokhnovlyaet-nas-na-vojjnu-s-rossiejj-tusk.html

https://politnavigator.news/britaniya-i-franciya-grozyat-rossii-50-tysyachnym-korpusom-dlya-zashhity-evropy.html

 https://ukraina.ru/20250710/slt-prozhekterov-chto-govoryat-na-ukraine-o-konferentsii-vosstanovleniya-v-rime-1064989436.html

https://www.lastampa.it/esteri/2025/07/11/news/guerra_russia_ucraina_ricostruzione_resilienza_kiev-15227135/?ref=LSHA-BH-P1-S5-T1

 

 

Data articolo: Sat, 12 Jul 2025 10:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Il nuovo fronte scelto dai tagliagole euro-liberali dopo la caduta dell'Ucraina



di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Il Kazakhstan si sta rapidamente trasformando in una colonia francese, spostandosi verso la NATO, con la Turchia che la spinge in quella direzione, scrive Ajnur Kurmanov su PolitNavigator. Ne sono testimonianza le frequenti esercitazioni militari congiunte e la crescente cooperazione militare-industriale, che finiscono per contrapporre Astana al ODKB (Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kyrghyzstan, Russia, TadĹľikistan) creando tensione ai confini meridionali russi.

Forze speciali kazakhe hanno preso parte alle manovre “Anadolu-2025” con unità di 33 paesi (tra questi, anche AzerbajdĹľan, Georgia, Kyrgyzstan, Uzbekistan, Turkmenistan) membri o candidati NATO, con esercitazioni al combattimento urbano con l'uso di droni. Allo scopo, si sta adottando l'esperienza ucraina nell'impiego di droni d'attacco; si sta cioè praticando l'interazione delle forze nel quadro del sistema occidentale di coordinamento, con l'obiettivo a lunga scadenza di rafforzare le posizioni NATO nel Caucaso e in Asia centrale. Fa da tramite Ankara, nell'ambito del blocco politico-militare dell'Organizzazione degli Stati Turchi (OTG: AzerbajdĹľan, Kazakhstan, Kyrghyzstan, Turchia, Uzbekistan) e del progetto di "esercito del Turan".

Ora, alla luce del fatto che in AzerbajdĹľan verrà realizzata la più grande base militare turca, il coinvolgimento delle forze kazakhe nelle esercitazioni “Anadolu-2025” fa supporre che anche Astana stia diventando parte integrante di questo sistema di sicurezza unificato. Per dire: il prossimo settembre, nella zona di Baku, si svolgerà un'esercitazione con forze turche, uzbeke, kazakhe e pakistane, il che appare come uno strumento di pressione su Mosca e Teheran nel bacino del Caspio.


Si sta già insomma formando un nuovo saliente di tensione ai confini meridionali della Russia, mentre lo status degli “alleati” nel ODKB in Asia centrale diventa sempre più sfocato e non fa che mascherare il vero quadro geopolitico che va delineandosi nella regione.

È però anche significativo che Astana, mentre rafforza l'integrazione militare con Ankara, stia contemporaneamente intensificando la cooperazione con Parigi nel campo dell'estrazione e esportazione di minerali strategici. Mentre in Turchia erano in corso le esercitazioni delle forze speciali, Astana annunciava l'apertura di un impianto di lavorazione dell'uranio con la partecipazione di un'azienda francese presso il giacimento di Tortkuduk meridionale, nella regione del Turkestan. In tal modo, con una svolta coloniale in Kazakhstan, la rivale della Turchia ha l'opportunità di sostituire i giacimenti perduti in Africa occidentale, con 2.000 tonnellate di uranio all'anno che verranno destinate direttamente alle centrali nucleari francesi. Allo stesso tempo, Parigi non abbandona i piani per partecipare alla costruzione della prima centrale nucleare nel sud del Kazakhstan, come parte di un consorzio comune, imponendo le proprie "tecnologie verdi".

Ciò dimostra che, nonostante la concorrenza tra Ankara e Parigi, i loro interessi nell'accaparramento delle ricchezze del Kazakhstan e dell'Asia centrale convergono. Dopotutto, il raggruppamento OTG, prototipo del "esercito del Turan", si concentra proprio sul controllo dei giacimenti e della rotta transcaspica per l'esportazione di minerali da parte del capitale occidentale.


Impianto per la lavorazione dell'uranio insieme ai francesi

Comicamente, in questo contesto di servilismi verso l'Occidente, Donald Trump ha imposto dazi commerciali del 25% su Astana che, d'altra parte, partecipa attivamente alle sanzioni contro Mosca, esibendosi in una politica compradora e collaborazionista. Politica che si esprime anche, al pari di Kyrghyzstan e AzerbaidĹľan, in sanzioni interne per il mancato rispetto della quota linguistica nazionale in televisione. Al senato kazakho, si lamenta la propaganda russa nelle regioni di confine e, di contro, si alimentano sentimenti russofobi: una testimonianza di coordinamento all'interno dell'Organizzazione degli Stati Turchi. Così come a Biškek, infatti, anche ad Astana il Ministero della cultura parla di introduzione di responsabilità amministrativa per canali televisivi e stazioni radiofoniche che non forniscano un volume richiesto di trasmissioni in lingua kazakha, mentre emendamenti al Codice Amministrativo vanno a punire, di fatto, un uso del russo ritenuto “eccessivo”.

In realtà, il discorso verte sul “repulisti” del campo informativo da trasmissioni russe e dall'influenza politica sulla mentalità dei kazakhi. Così, Olga Bulavkina, senatrice della regione del Kazakhstan orientale, lamenta che i cittadini delle zone di confine "assorbano" in modo incontrollato l'ideologia russa. Di fatto, il Kazakhstan va cadendo completamente sotto il controllo anglosassone, sulla strada di un "cordone sanitario" attorno alla Russia. Stando alla Reuters, gli USA stanno mettendo in piedi in Kazakhstan un gruppo speciale per monitorare l'attuazione delle sanzioni contro Mosca, mentre il Ministero degli esteri britannico pubblica una guida dettagliata rivolta alle aziende kazakhe, che delinea i potenziali rischi associati alle relazioni commerciali con partner russi soggetti a sanzioni britanniche.

A poco sembrano servire, per il momento, prese di posizione contro una tale colonizzazione, come quelle di vari partiti comunisti e operai, che hanno rilasciato una dichiarazione congiunta contro l'appropriazione di giacimenti metalliferi di terre rare in Kazakhstan, da parte di compagnie francesi, britanniche e americane. Nel documento, si parla di “aperta confisca di ricchezze e risorse kazakhe, di politica imperialista volta a radicare il neocolonialismo” e si rileva che il Kazakhstan si sta trasformando in un deserto senza vita, sull'esempio della morte del mar Caspio, dove la fanno da padrone compagnie americane ed europee.

Ma un fronte anti-russo si va delineando anche tra Baku e Erevan, specialmente dopo i colloqui tenuti a Abu Dhabi tra Il'kham Aliev e Nikol Pašinjan. Le parti non hanno ovviamente firmato un "trattato di pace", poiché Aliev continua a insistere sull'adozione di una nuova Costituzione armena, da cui vengano rimossi i riferimenti al Karabakh, sul completamento del processo di delimitazione e sull'apertura del corridoio di Zangezur. Quest'ultima questione è stata anzi quella al centro dell'incontro, dato che riveste un'importanza strategica sia per Baku, che per Ankara. Non si tratta infatti solo di un'arteria di trasporto, ma del fulcro dell'intera rotta di mezzo che collega l'Asia centrale all'Europa, attraverso la Turchia, per l'esportazione di materie prime e, allo stesso tempo, un trampolino per l'ulteriore avanzata della NATO verso Oriente. L'apertura del corridoio alle condizioni turche, significa di fatto la perdita da parte di Erevan del controllo sull'Armenia meridionale e la trasformazione dell'intera repubblica in una zona di transito per l'Occidente.


Non si può escludere che Baku abbia altre rivendicazioni territoriali, in particolare su Sjunik e sui territori del “AzerbajdĹľan occidentale", mentre l'operatività del corridoio di Zangezur sarà solo una tappa verso l'attuazione di piani espansionistici azeri. Con tali mosse, Aliev sta assediando l'élite armena, privandola di qualsiasi opportunità di manovra e di ritirata, possibili solo con la partecipazione della Russia al processo di pacificazione. Dunque, poiché qualsiasi accordo sarebbe a priori iniquo, con conseguente perdita della sovranità e dell'indipendenza dell'Armenia, Il'kham Aliev e Nikol Pašinjan avevano bisogno di deteriorare il più possibile i rapporti con Mosca, rendendone impossibile la presenza.

E la questione centrale non è che il Cremlino abbia perso il controllo sulla Transcaucasia e le parti stiano negoziando senza Mosca, ma che questa sia una vera capitolazione, un tradimento nazionale da parte di Pašinjan, con l'Armenia che va velocemente integrandosi nel "mondo turco", in accordo con Inghilterra, Stati Uniti e UE: un processo in cui la Russia non solo non è necessaria, ma è anche considerata come il comune principale nemico.

Nei piani occidentali, non rientra alcuna presenza russa nell'area, quantunque nell'accordo del 2020 si ipotizzasse che l'arteria viaria sarebbe stata presidiata dalle forze di frontiera russe. Il fatto che ora saranno gli anglosassoni a fare da padroni è testimoniato dalla visita straordinaria a Erevan, il 10 luglio, del vice Capo di SM del Comando delle Forze Congiunte della NATO, John Mead. È quasi sicuro che, in quell'occasione, siano state discusse questioni relative alle garanzie fornite dalla NATO a Erevan in caso di ritiro dal ODKB e i dettagli pratici del dispiegamento di forze a "protezione" della società di gestione americana. In questo modo, viene assicurata la procedura per il definitivo riorientamento geopolitico dell'Armenia, così che a contrapporsi a Mosca nel Caucaso e in Asia centrale sarà un'intera coalizione di paesi ostili.

«Penso che per l'Occidente e l'AzerbajdĹľan» afferma il politologo armeno Ajk Ajvazjan. sia «importante non tanto il trattato di pace in sé, quanto l'inclusione dell'Armenia nel progetto del Corridoio di Mezzo, parte del quale si chiama Corridoio Zangezur. La parte armena di questo corridoio sarà controllata dagli americani, l'Armenia perderà la sovranità su questa strada, poiché non sarà in grado di resistere da sola. E i beneficiari di questo Corridoio di Mezzo sono decine di paesi, tra i quali non c'è un solo alleato dell'Armenia. Proprio per questo, gli agenti occidentali in Armenia hanno fatto di tutto per far fallire l'adempimento della dichiarazione del 9 novembre 2020, mediata dalla Russia, che prevedeva l'apertura di comunicazioni regionali sotto la giurisdizione armena, con il controllo dell'alleato dell'Armenia, la Russia», dice Ajvazjan.

Inoltre, sempre come risultato dei colloqui Aliev-Pašinjan negli Emirati Arabi, potrebbe verificarsi un ritiro anticipato delle truppe russe dall'Armenia, con la liquidazione della base di Gjumri, nella parte nordoccidentale del paese, senza attendere la scadenza del 2041. È quanto ipotizza il giornalista azero Il'kham Ismail che parla, probabilmente con eccessivo ottimismo filo-occidentale, di «pace, stabilità e sviluppo economico nella regione».

Se domani si aprisse la strada tra Turchia e Armenia, afferma Ismail, la «dipendenza economica dell'Armenia dalla Russia diminuirebbe e la Turchia sarebbe già uno Stato amico», ricordando che tra Turchia e AzerbajdĹľan esiste un accordo strategico per aiuto militare reciproco.

Insomma, in vista della liquidazione del fronte sudoccidentale, quello ucraino, tutti i soggetti del dramma stanno già vestendo gli abiti di scena e approntano le nuove scenografie atte a rappresentare la “lotta dei giusti”, delle «democrazie del benessere», contro quelle che i tagliagole euro-liberali del Corriere della Sera, avendo in mente se stessi, definiscono le «mire espansionistiche di uno stato guerrafondaio, la Russia di Putin».


FONTI:

https://politnavigator.news/kazakhstan-na-pravakh-francuzskojj-kolonii-ukhodit-pod-tureckijj-zontik-nato.html

https://politnavigator.news/kazakhstan-perekhodit-pod-vneshnee-upravlenie-anglosaksov.html

https://politnavigator.news/azerbajjdzhan-mozhet-vydavit-rossijjskuyu-bazu-iz-armenii.html

https://politnavigator.news/baku-i-erevan-sozdayut-edinyjj-antirossijjskijj-front-na-kavkaze.html

 

 

 

Data articolo: Sat, 12 Jul 2025 10:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Trump colpisce il Brasile (e fa un favore alla Cina)

Il 1º agosto entreranno in vigore nuovi dazi del 50% imposti dagli Stati Uniti su prodotti brasiliani. A darne l’annuncio è stato Donald Trump, motivando la scelta con quella che definisce una “persecuzione politica” del Supremo Tribunale Federale (STF) contro Jair Bolsonaro. Ma secondo Folha e Brasil de Fato, la vera miccia è la crescente regolamentazione delle piattaforme digitali in Brasile, che Washington interpreta come un affronto al potere delle big tech statunitensi.

Nel mirino di Trump c’è il ministro Alexandre de Moraes, autore di sanzioni contro Elon Musk e promotore di un processo storico sulla responsabilità dei social. La reazione del presidente statunitense, però, va ben oltre la diplomazia: ha sostenuto una causa legale contro de Moraes e, con l’aiuto del deputato “autoesiliato” Eduardo Bolsonaro, ha avviato un’offensiva economica che danneggia l’intero Brasile.

Eduardo, figlio dell’ex presidente, ha persino ringraziato Trump, invocando una “tarifa-Moraes” come punizione per il sistema giudiziario brasiliano. Secondo molti analisti, si tratta di un atto di “lesa patria”: applaudire all’ingerenza di una potenza straniera per colpire un ministro, col prezzo pagato da imprese e lavoratori brasiliani. La manovra, che intende salvare Bolsonaro da un processo per golpe, è vista anche come un boomerang elettorale e diplomatico.

Il presidente Lula ha reagito duramente, citando la legge di reciprocità e ricordando che il commercio con gli USA vale appena l’1,7% del PIL: “Non abbiamo bisogno del dollaro per sopravvivere. Il Brasile è sovrano”. Un messaggio chiaro: Trump, nel tentativo di difendere interessi politici e imprenditoriali, rischia di spingere il Brasile ancora di più verso i BRICS e la Cina.

Data articolo: Sat, 12 Jul 2025 05:00:00 GMT
OP-ED
Il dovere di non avere doveri

 

di Francesco Erspamer*

 

Detesto gli «ultimi paradisi» dove si affollano, più spesso in estate, i forzati della vita come spettacolo e come distrazione: americanate anche quando autentici in quanto è proprio della società dei consumi dare attenzione (quel poco di attenzione consentito) solo a ciò che sta per scomparire. Gli oggetti nuovi sono tutti a obsolescenza programmata e quelli vecchi devono adeguarsi: per essere apprezzati o tollerati devono essere prossimi all’estinzione, altrimenti che noia. 

In effetti ciò che detesto, più che i posti o le cose, sono loro, i consumisti, gli edonisti: che non si limitano a sprecare la propria esistenza; magari. Per non avere dubbi o rimpianti pretendono un mondo a loro immagine e somiglianza.

Naturalmente in nome della libertà, dell’emancipazione: che non può mai essere la loro libertà, la loro emancipazione. Le devono imporre a tutti, anche a chi non le vuole. Ancora vengono spacciate come diritti ma stanno diventando dei doveri: le etichette «umano» e «universale» li rendono obbligatori.

A cominciare dal comandamento primario: il dovere di non avere doveri. Essenziale per far trionfare l’indifferenza, che altro non significa se non assenza di diversità, sostituita da una molteplicità fissa di opzioni politicamente corrette e di moda, perfettamente coincidenti con le esigenze e gli interessi contingenti del neocapitalismo. 

Odio gli indifferenti, diceva il giovane Gramsci; benché all’epoca fossero tali per inerzia. Oggi l’indifferenza è attiva, militante. Una sedicente avanguardia, ma non nel senso leninista bensì futurista: quella degli artisti che per affermarsi hanno distrutto l’arte, non necessariamente in modo intenzionale, peggio, per superficialità, per fretta, per arroganza. Il gusto della trasgressione facile, protetta dal primo emendamento (della costituzione statunitense e per questo da applicare in tutto il mondo): il diritto di trasgredire senza conseguenze, dunque la riduzione dell’arte, e poi della politica, a gioco di società, anzi, a gioco individuale, un solitario, virtuale e autoreferenziale: una masturbazione concettuale.

Il tempo delle origini è finito, da molto tempo. Il pianeta è saturo, sovrappopolato, stremato. Il nuovo è una finzione e il culto dell’intelligenza artificiale (che non è né intelligente né artificiale, il contrario di “artis facere”) ne è la dimostrazione. È tempo che coloro che vogliono proteggere e mantenere, invece di buttare e sostituire, inizino la loro Resistenza. Contro il nichilismo dei tanti (ma non quanti si crede e si credono) che fanno il vuoto perché già ce l’hanno dentro.

 

*Post Facebook dell'11 luglio 2025

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 20:00:00 GMT
MondiSud
Milei e il dialogo militare segreto con il Regno Unito: la svendita delle Malvinas


di Fabrizio Verde

Le rivelazioni della rivista britannica The Economist hanno scosso la politica estera argentina, svelando un dialogo militare riservato tra il governo di Javier Milei e il Regno Unito. Un negoziato che potrebbe segnare una svolta storica, ma nella direzione sbagliata: quella di un progressivo abbandono della rivendicazione sulle isole Malvinas in cambio di un avvicinamento alla NATO e di un allentamento dell’embargo britannico sulle vendite di armamenti all’Argentina.

Secondo il settimanale, Buenos Aires starebbe valutando un accordo che, in cambio di un accesso a equipaggiamenti militari di seconda mano, ridimensionerebbe la sua storica posizione sulla sovranità delle isole. Un patto che, dietro le quinte, sarebbe spinto dagli Stati Uniti, ansiosi di contrastare l’influenza cinese e russa nella regione e di mantenere l’Argentina allineata agli standard della NATO.

La mossa di Milei non sorprende chi conosce la sua ideologia neoliberista e la sua sottomissione agli interessi geopolitici di Washington. Già la recente acquisizione di caccia F-16 danesi, senza componenti britannici, aveva dimostrato la volontà del governo di aggirare le restrizioni, ma sempre all’interno di un quadro di dipendenza strategica dagli USA. Come sottolineato da UK Defense Journal, qualsiasi utilizzo significativo di questi velivoli richiederebbe l’approvazione statunitense, rendendo di fatto impossibile un loro impiego contro le forze britanniche.

Un tradimento della memoria e della sovranità

L’ipotesi di un riavvicinamento militare con il Regno Unito, il paese che dal 1833 occupa illegalmente le Malvinas, ha scatenato un’ondata di indignazione in Argentina. Come è possibile che un governo argentino possa trattare con chi continua a sfruttare le risorse ittiche, avanza progetti di esplorazione petrolifera illegittima e mantiene una base NATO in territorio contestato?

Eppure, Milei, ammiratore dichiarato di Margaret Thatcher e già incline a posizioni concilianti sul diritto all’autodeterminazione degli isolani, è ben disposto a svendere la causa nazionale pur di ottenere il placet di Washington e Londra. Un atteggiamento che non solo tradisce la memoria dei 649 caduti della guerra del 1982, ma che legittima di fatto l’occupazione britannica.

La resa di un fantoccio neoliberista

Chi si aspettava una lotta serrata per le Malvinas sotto Milei ha preso una colossale cantonata. La sua natura di fantoccio neoliberista, fino al midollo, era già chiara: la priorità non è mai stata la difesa della sovranità, ma l’allineamento incondizionato ai diktat del mercato e delle potenze occidentali.

Ora, con questo dialogo segreto, viene confermato quanto molti temevano: per Milei, le Malvinas sono solo una merce di scambio. Una resa annunciata, che dimostra ancora una volta come il suo progetto politico non abbia nulla a che fare con l’interesse nazionale, ma solo con la servile adesione all’agenda del capitale globale. In classico stile neolibrista.

 

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 15:58:00 GMT
OP-ED
Global Times - Perché il dialogo tra civiltà è particolarmente importante in questo momento?

Global Times

 

Il vertice ministeriale del Dialogo tra civiltà globali si tiene a Pechino dal 10 all'11 luglio. Il tema dell'evento è “Salvaguardare la diversità delle civiltà umane per la pace e lo sviluppo mondiali” e ha attirato oltre 600 ospiti provenienti da 140 paesi e regioni per partecipare a scambi approfonditi. Nella sua lettera di congratulazioni alla riunione, Xi Jinping, segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista cinese (PCC) e presidente cinese, ha affermato che “in un mondo in cui trasformazioni e turbolenze si intrecciano e l'umanità si trova a un nuovo bivio, c'è un bisogno sempre più urgente che le civiltà superino l'alienazione attraverso gli scambi e superino gli scontri attraverso l'apprendimento reciproco”. Ha affermato: “La Cina collaborerà con altri paesi per promuovere l'uguaglianza, l'apprendimento reciproco, il dialogo e l'inclusività tra le civiltà e attuare l'Iniziativa per la Civiltà Globale (GCI), nel tentativo di fornire un nuovo impulso per far progredire le civiltà umane e promuovere la pace e lo sviluppo nel mondo”. 

Il momento scelto per questo incontro non potrebbe essere più appropriato. Esso segna non solo un altro passo importante da quando la Cina ha presentato il GCI, ma anche uno degli eventi globali più grandi e simbolicamente significativi dalla designazione del 10 giugno come prima Giornata internazionale per il dialogo tra le civiltà delle Nazioni Unite. Il mondo sta attraversando profonde trasformazioni senza precedenti in un secolo, con una situazione internazionale complessa e instabile. Le tensioni geopolitiche si stanno intensificando; l'unilateralismo, il protezionismo e la politica di potenza sono in aumento; e i divari di sviluppo e i dilemmi di sicurezza sono intrecciati. La globalizzazione sta affrontando forti venti contrari, mentre molti paesi stanno vivendo polarizzazione interna, frammentazione sociale e crisi di identità culturale. In questo contesto, il dialogo e l'apprendimento reciproco tra le civiltà non sono solo ponti fondamentali che collegano nazioni, etnie e religioni diverse, ma sono anche chiavi essenziali per risolvere pacificamente i conflitti, colmare le divisioni e perseguire congiuntamente lo sviluppo.

Il dialogo tra civiltà non è un concetto astratto, ma un modo pratico per cercare un terreno comune e ridurre il confronto nella realtà. Le guerre spesso iniziano con incomprensioni, mentre la pace affonda le sue radici nella comprensione. Molti dei focolai di crisi che oggi turbano il mondo possono sembrare, in apparenza, questioni geopolitiche o politiche, ma a un livello più profondo spesso implicano differenze nelle percezioni culturali, nei giudizi di valore o nelle narrazioni storiche. Rafforzare la comprensione reciproca attraverso il dialogo tra civiltà può contribuire a ridurre l'ostilità e promuovere la tolleranza quando i paesi affrontano i conflitti. Ciò non solo è essenziale per mantenere la pace regionale, ma costituisce anche un pilastro importante per migliorare il sistema di governance della sicurezza globale.

Un antico filosofo cinese osservò che “tutti gli esseri viventi possono crescere fianco a fianco senza danneggiarsi a vicenda, e strade diverse possono correre parallele senza interferire l'una con l'altra”. La civiltà cinese è una civiltà diversificata che, avendo sperimentato lo splendore portato da una visione aperta e inclusiva della civiltà, nonché i bassi risultati derivanti dall'attuazione di una politica di chiusura, comprende ancora di più i vantaggi dello scambio tra civiltà e dell'apprendimento reciproco, nonché l'importanza dell'uguaglianza tra le civiltà.

L'integrazione e l'apprendimento reciproco delle civiltà possono trascendere il pensiero a somma zero e offrire nuove opportunità per lo sviluppo globale. Nel mondo odierno, lo sviluppo rimane la preoccupazione principale per la maggior parte dei paesi, in particolare quelli del Sud del mondo. La rivoluzione tecnologica e la trasformazione industriale stanno accelerando, con settori emergenti come l'intelligenza artificiale, la biotecnologia e l'energia verde in continua evoluzione. Tuttavia, l'accesso a queste tecnologie non è uguale per tutti i paesi e c'è il rischio che il divario di sviluppo globale possa aumentare. 

Il dialogo tra civiltà fornisce un punto di partenza concettuale: civiltà diverse possono ispirarsi a vicenda sulla base delle loro esperienze di sviluppo uniche. La modernizzazione cinese stessa è il prodotto dell'apprendimento reciproco tra civiltà e di un'esplorazione che combina la cultura tradizionale con la logica dello sviluppo moderno. Man mano che il consenso globale secondo cui “esiste più di un percorso di sviluppo” prende gradualmente forma, il dialogo tra civiltà offre ai paesi un quadro di riferimento decentralizzato e un sostegno in termini di valori, incoraggiando la coesistenza e la complementarità di percorsi di sviluppo diversi.

“Esistono solo civiltà diverse, non civiltà superiori o inferiori”. Sottolineare la diversità delle civiltà è la caratteristica fondamentale della società umana e una forza motrice intrinseca del movimento del mondo verso la multipolarità e la diversificazione. Oggi il mondo sta vivendo una profonda ristrutturazione delle dinamiche di potere; la multipolarità significa sia una ridistribuzione del potere sia la coesistenza di discorsi e valori diversi. Il fondamento di un mondo veramente multipolare risiede nella coesistenza e nel dialogo tra valori civili diversi ma armoniosi. Se la globalizzazione economica ha portato alla connettività delle risorse e dei mercati, il dialogo tra civiltà funge da “corridoio morbido” che collega diversi paesi a livello spirituale e di valori, consentendo al mondo di muoversi verso una vera inclusività basata sulla coesistenza pluralistica.

Più la situazione internazionale diventa turbolenta, più abbiamo bisogno del potere della civiltà; più le differenze si ampliano, più abbiamo bisogno di ascoltarci, rispettarci e capirci a vicenda. Costruire ponti in un momento in cui il mondo è lacerato è proprio il fascino e il profondo significato di questo dialogo. Inoltre, ospitare un dialogo di alto livello tra civiltà dimostra la sincera volontà della Cina di interagire con le diverse civiltà globali.

Come attività di “riscaldamento” pre-conferenza, gli ospiti stranieri hanno partecipato questo mese a eventi a Shanghai, Zhejiang, Shandong, Shaanxi e Gansu, vivendo da vicino la fusione tra civiltà cinese antica e moderna. Nell'ambito del GCI, la Cina continuerà a lavorare fianco a fianco con il mondo per promuovere il progresso del dialogo tra le civiltà, infondendo nuova saggezza, fiducia e direzione nella futura coesistenza del mondo.

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 15:25:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Attivista pro-Palestina denuncia il governo USA: "Voglio giustizia per la mia detenzione illegale"

Mahmoud Khalil, leader delle proteste studentesche filo-palestinesi, ha avviato giovedì le procedure per citare in giudizio l’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump, chiedendo un risarcimento di 20 milioni di dollari per i danni subiti a causa di quello che definisce un "piano politicamente motivato" volto ad "arrestare, detenere e deportare illegalmente" lui e altri attivisti.

"Questo è solo il primo passo verso la giustizia", ha dichiarato Khalil in un comunicato. "Niente potrà restituirmi i 104 giorni che mi sono stati rubati. Il trauma, la separazione da mia moglie, la nascita di mio figlio che ho dovuto perdere. Ma sia chiaro: lo stesso governo che mi ha preso di mira per le mie opinioni sta usando i soldi dei contribuenti per finanziare il genocidio in corso a Gaza".

"Deve esserci un conto da pagare per le ritorsioni politiche e gli abusi di potere", ha aggiunto. "E non mi fermerò qui. Continuerò a cercare giustizia contro chiunque abbia contribuito alla mia detenzione illegale o abbia diffuso menzogne per distruggere la mia reputazione, compresi quelli legati alla Columbia University. Sto chiedendo conto al governo statunitense non solo per me, ma per tutti coloro che cercano di ridurre al silenzio con la paura, l’esilio o la detenzione".

Lo scorso marzo, agenti federali in borghese e senza mandato hanno fermato Khalil, residente permanente legale e neolaureato alla Columbia University, e sua moglie Noor Abdalla, cittadina statunitense all’epoca incinta, fuori dalla loro abitazione a New York. Dopo l’arresto di Khalil, altri studenti critici verso il sostegno degli Stati Uniti all’offensiva israeliana su Gaza sono stati presi di mira per la deportazione.

Secondo il Center for Constitutional Rights (CCR), che fa parte del suo team legale, la denuncia presentata giovedì da Khalil (30 anni) contro i Dipartimenti di Sicurezza Nazionale e di Stato, nonché contro l’Immigration and Customs Enforcement (ICE), è un preludio a una causa che farà leva sul Federal Tort Claims Act del 1946.

Il documento accusa l’amministrazione Trump di aver orchestrato un piano per deportare Khalil "in modo da terrorizzare lui e la sua famiglia", causandogli "grave stress emotivo, difficoltà economiche, danni alla reputazione e una significativa violazione dei suoi diritti garantiti dal Primo e dal Quinto Emendamento".

Khalil, cittadino algerino di origine palestinese rilasciato lo scorso mese da un centro di detenzione ICE in Louisiana, chiede 20 milioni di dollari per sostenere altre vittime di azioni simili da parte del governo. Tuttavia, come spiegato dal CCR, "sarebbe disposto ad accettare, in alternativa al risarcimento, delle scuse ufficiali e l’abbandono delle politiche incostituzionali dell’amministrazione".

L’Associated Press ha riportato che un portavoce della Casa Bianca ha rinviato ogni commento al Dipartimento di Stato, il quale ha affermato che le sue azioni erano pienamente legittime. In una dichiarazione via email, Tricia McLaughlin, portavoce del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale, ha definito "assurda" la richiesta di Khalil, accusandolo di "comportamenti e retorica d’odio" che avrebbero minacciato studenti ebrei.

Mentre le reazioni delle istituzioni lasciano intendere che l’amministrazione Trump non intende scusarsi, il team legale di Khalil è determinato a portare avanti il caso.

"L’obiettivo incostituzionale dell’amministrazione Trump su Khalil ha causato danni gravissimi, tra cui perdite economiche, danni reputazionali e sofferenza emotiva", ha dichiarato Samah Sisay, avvocato del CCR. "Khalil non recupererà mai i tre mesi rubati durante la detenzione, compresa la nascita e i primi mesi di vita di suo figlio. Il governo deve rispondere delle sue azioni illegali e risarcirlo per quanto ha subito".

La denuncia di Khalil arriva un giorno dopo che un funzionario dell’ICE ha testimoniato sotto giuramento che un’unità operativa creata a marzo ha utilizzato liste fornite da Canary Mission, organizzazione legata ai servizi segreti israeliani, e dal gruppo filo-israeliano Betar Worldwide per redigere rapporti su studenti internazionali presi di mira per le loro attività di protesta.

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 14:49:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Caso Epstein, Dershowitz accusa: "Documenti soppressi per proteggere i potenti"

A pochi giorni dalla notizia – trapelata dall’FBI al sito Axios – che il caso Epstein è ufficialmente "chiuso" (conclusione: suicidio, nessuna "lista" di clienti), l’ex avvocato e collaboratore di Jeffrey Epstein, Alan Dershowitz, rilancia accuse esplosive. In un’intervista al programma di Sean Spicer, l’esperto legale ha dichiarato di conoscere i nomi presenti nelle liste legate al finanziere, ma di essere vincolato dal segreto giudiziario.

"Ho visto, ricordate che io stesso sono stato falsamente accusato", ha affermato Dershowitz. "So per certo che documenti vengono occultati per proteggere determinate persone. Conosco i loro nomi, so perché vengono protetti e chi sta coprendo tutto. Ma sono obbligato alla riservatezza da un giudice e non posso rivelare ciò che so. Ma giuro su Dio: so chi viene protetto da questi file, ed è sbagliato".

Alla domanda di Spicer se si trattasse di politici, imprenditori o entrambi, Dershowitz ha risposto in modo evasivo ma significativo: "Sono di tutto il mondo. Alcuni sono accusati, altri sono accusatori. I giudici hanno stabilito che se qualcuno si autodefinisce vittima, le informazioni su di loro non saranno divulgate. Ma potrebbero non essere vittime, bensì perpetratori. Ci sono falsi accusatori che hanno denunciato innocenti per soldi, e quei documenti vengono volutamente nascosti. Se un’accusa viene resa pubblica, dovrebbero esserlo anche gli elementi che ne sminuiscono la credibilità. Vogliamo trasparenza totale: nessuna censura, tutti i documenti. Io per primo rinuncio a ogni diritto alla privacy: su di me non ci sarà nulla di compromettente".

Intanto, l’attenzione rimane alta dopo le imbarazzanti dichiarazioni del presidente Trump e dell’ex procuratore generale Pam Bondi. In seguito a una domanda su Epstein, Trump ha reagito con irritazione: "State ancora parlando di Jeffrey Epstein?". Bondi, intervenuta per "chiarire", ha citato un’intervista di febbraio in cui aveva affermato che la lista clienti era "sulla sua scrivania, in fase di revisione", insieme ai file su JFK e Martin Luther King. Poi, parlando dei "decine di migliaia di video" sequestrati, ha aggiunto: "Erano materiale pedopornografico scaricato dal disgustoso Jeffrey Epstein. Non saranno mai pubblicati, mai resi pubblici. Sulla sua eventuale attività di agente, non ho informazioni".

Mentre il caso viene archiviato dalle autorità, le dichiarazioni di Dershowitz riaccendono i sospetti: chi viene protetto? E perché? La richiesta di trasparenza si scontra con un muro di segreti che, per ora, sembra invalicabile.

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 14:18:00 GMT
Finanza
I dazi di Trump e le aziende italiane

 

di Alessandro Volpi*

 

Come funzionano le strategie di Trump. Le politiche daziarie di Trump sembrano funzionare soprattutto nei confronti delle imprese italiane. Ferrero International, con sede fiscale in Lussemburgo, ha acquisito la società americana Kellogg per circa 3 miliardi di dollari, dopo aver acquisito nei mesi passati la divisione cioccolata di Nestlè e la grande produttrice di gelati Usa   Wells Enterprises; due operazioni da circa 5 miliardi di dollari.

Peraltro Ferrero international controlla la società, con sede in Belgio, Cth dove sono confluite le aziende che producono biscotti negli Stati Uniti. Vale la pena ricordare che i dipendenti italiani di Ferrero sono circa 6000 su un totale di quasi 50 mila in giro per il mondo e ora sempre più negli Stati Uniti.

In estrema sintesi, Trump mette i dazi, Ferrero international accresce la presenza negli Stati Uniti, contribuendo alla "reindustrializzazione" americana, mentre la sede fiscale è tutta europea, in Lussemburgo... Con un'imprenditoria molto finanziarizzata, ben poco "nazionale" e attenta ai costi fiscali, in cui rientrano anche i dazi, l'occupazione italiana ha poco da stare serena.

Ma in Europa il vero problema è difendersi, a tempo pieno, dall'invasione militare di russi e cinesi, concentrandosi sulla costruzione di armamenti, magari comprati negli Stati Uniti e magari prodotti da società i cui titoli decollano con immensa gioia dei grandi fondi finanziari.

* Post Facebook dell'11 luglio 2025

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 07:00:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Gaza. Il Parlamento venezuelano chiede la fine dei rapporti commerciali con l'UE per "sponsorizzazione del genocidio"

 

Il Venezuela punta il dito contro l'UE per aver "sponsorizzato il genocidio" a Gaza e sollecita l'esecutivo a tagliare i legami con le aziende del blocco.

L’Assemblea nazionale del Venezuela sul suo account X:

"Il progetto di accordo per denunciare l'UE e il suo Parlamento come sponsor del genocidio e dello sterminio di bambini, donne e civili, dei crimini contro l'umanità nella Striscia di Gaza e del reato di riciclaggio di denaro proveniente dal traffico di droga, dal traffico di armi e dalla tratta di esseri umani è approvato a maggioranza qualificata."

Sottolineando la "sponsorizzazione da parte dell'UE del genocidio criminale perpetrato nella Striscia di Gaza" dall'esercito di Tel Aviv, il parlamento venezuelano chiede all'esecutivo di valutare "la rottura delle relazioni commerciali con le aziende dell'Unione Europea che operano nel territorio venezuelano".

Allo stesso modo, invita i Ventisette ad "abbandonare la loro fallimentare e decadente strategia neocoloniale" contro il Venezuela e a porre fine alle loro ricorrenti e ossessive aggressioni contro "i popoli del Sud", e a concentrarsi sulle gravi violazioni dei diritti umani all'interno dei loro confini.

Dal 7 ottobre 2023, l’occupazione israeliana, sostenuta dagli Stati Uniti e da alcuni paesi europei, ha ucciso almeno 57.860 palestinesi, per lo più donne e bambini, e ne ha feriti più di 137.400 nella Striscia di Gaza.

__________________________________________________________

GAZA HA BISOGNO DI TUTTI NOI: PROPRIO IN QUESTO MOMENTO

l'AntiDiplomatico è in prima linea nel sostenere attivamente tutti i progetti di Gazzella Onlus a Gaza (Gli eroi dei nostri tempi).

Acquistando "Ho ancora le mani per scrivere. Testimonianze dal genocidio a Gaza" (IL LIBRO CON LA L MAIUSCOLA SUL GENOCIDIO IN CORSO) sosterrete i prossimi progetti di "Gazzella Onlus" per la popolazione allo stremo.

Clicca QUI Per Seguire OGNI GIORNO le attività BENEFICHE di GAZZELLA ONLUS.

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 06:30:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Il ministro degli Esteri iraniano e il principe ereditario saudita hanno discusso del cessate il fuoco tra Iran e Israele

 

Il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, a Gedda, durante un incontro con il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha espresso la speranza che il cessate il fuoco tra l'Iran e il regime israeliano, dopo la guerra di 12 giorni, promuova la stabilità in Medio Oriente.

Esmaeil Baqaei, portavoce del ministero degli Esteri iraniano, in merito al summit ha spiegato: "Araghchi ha avuto proficue conversazioni con il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, il ministro degli Esteri Faisal bin Farhan e il ministro della Difesa Khalid bin Salman sulle relazioni bilaterali tra Iran e Arabia Saudita e sugli ultimi sviluppi nella regione".

In questo contesto, il Primo Ministro saudita ha espresso "l'aspirazione del Regno affinché l'accordo di cessate il fuoco contribuisca a creare condizioni che promuovano la sicurezza e la stabilità nella regione", sottolineando al contempo l'impegno dell'Arabia Saudita a "sostenere il dialogo attraverso i canali diplomatici come via per risolvere le controversie".

Nel corso dell'incontro, in cui sono state esaminate le relazioni bilaterali e discusse le recenti evoluzioni regionali nonché gli sforzi in corso per ridurre le tensioni nella zona, Araghchi ha espresso la sua "gratitudine al Regno per la sua posizione di condanna dell'aggressione israeliana e per il suo riconoscimento degli sforzi e delle iniziative per promuovere la sicurezza e la stabilità nella regione".

Prima dell'incontro, Araghchi ha incontrato anche il suo omologo saudita, Faisal bin Farhan. Secondo quanto riferito, i due hanno affrontato le relazioni bilaterali, sebbene nessuna delle due parti abbia fornito ulteriori informazioni.

__________________________________________________________

GAZA HA BISOGNO DI TUTTI NOI: PROPRIO IN QUESTO MOMENTO

l'AntiDiplomatico è in prima linea nel sostenere attivamente tutti i progetti di Gazzella Onlus a Gaza (Gli eroi dei nostri tempi).

Acquistando "Ho ancora le mani per scrivere. Testimonianze dal genocidio a Gaza" (IL LIBRO CON LA L MAIUSCOLA SUL GENOCIDIO IN CORSO) sosterrete i prossimi progetti di "Gazzella Onlus" per la popolazione allo stremo.

Clicca QUI Per Seguire OGNI GIORNO le attività BENEFICHE di GAZZELLA ONLUS.

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 06:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Francesca Albanese: sanzioni e solidarietĂ 

 

La relatrice speciale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Francesca Albanese aveva già infastidito l’occidente e il suo padrino, gli Stati uniti d’America per aver sensibilizzato l’opinione pubblica mondiale con i suoi rapporti, le sue interviste  sul fatto che quello che è in atto nella Striscia di Gaza da parte di Israele è un vero e proprio genocidio.

Albanese non si è accontentata, nel suo ultimo report, il 2 luglio, ha rivelato il ruolo delle aziende e delle varie corporation che lucrano sul genocidio. “Imperdonable” avrebbe detto Edoardo Galeano, come si permette una qualunque relatrice dell’Onu, originaria di Ariano Irpino, piccolo paese in provincia di Avellino, invece di fare il burocrate con i soliti report graditi all’occidente quando si tratta di accusare Cina, Russia, Iran, Cuba, di mettere il dito nella piaga dimostrando, di fatto, come il liberismo si nutra da sempre si nutra di guerre?

Eppure, povera Francesca, ha dovuto subire anche il fuoco amico dei Pro Palestina, in particolare, in Italia in quanto non avrebbe denunciato la natura coloniale dell’occupazione israeliana, quasi come se fosse una leader di qualche movimento un tempo definito terzomondista.

Chi ha capito il valore e la pericolosità del suo rapporto è Washington. L'Impero ha volito ribadire che esiste un mondo alla rovescia, rimuovendo all'inizio della settimana l'organizzazione terroristica straniera per il Fronte al-Nusra, in seguito nota come Hayat Tahrir al-Sham (HTS), dalla lista delle organizzazioni terroristiche.

Dunque, prima si riabilita un sanguinario tagliagole come Ahmad al-Sharaa, ex braccio destro del leader dell'ISIS, Al Bagdadi, che ha preso il potere in Siria e che sta commettendo massacri contro le minoranze religiose, e poi allo stesso tempo il segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato il 9 luglio che Washington ha sanzionato  Albanese, per la sua “campagna di guerra politica” e precisato “ed economica contro gli Stati Uniti e Israele”.

Rubio sul suo account X ha scritto: "Oggi impongo sanzioni alla relatrice speciale del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Francesca Albanese, per i suoi illegittimi e vergognosi tentativi di indurre la Corte penale internazionale ad agire contro funzionari, aziende e dirigenti statunitensi e israeliani".

Un avvertimento in stile mafioso, Albanese potrebbe dire quello che vuole su Gaza ma non può toccare l’establishment economico.

Fra le multinazionali citate dalla relatrice figurano Lockheed Martin, Caterpillar, Hyundai, Microsoft, Palantir, solo per rendere idea della denuncia del suo rapporto.

Albanese ha confessato di aver paura, è un sentimento umano e legittimo, visto cosa è capace di fare senza alcuna vergogna l’occupazione israeliana.

Mai all’Onu era stato elaborato e documentato un atto di accusa così potente contro l’occupazione israeliana con l’opinione pubblica anche in occidente sempre più sensibile verso il dramma dei palestinesi.

Le critiche possono sempre esserci, giuste o sbagliate, ma questo è il momento di sostenere ed essere solidali con Francesca Albanese.

Se succedesse l’irreparabile fare post di solidarietà sarebbe un’inutile esercizio di opportunismo e di viltà.

__________________________________________________________

GAZA HA BISOGNO DI TUTTI NOI: PROPRIO IN QUESTO MOMENTO

l'AntiDiplomatico è in prima linea nel sostenere attivamente tutti i progetti di Gazzella Onlus a Gaza (Gli eroi dei nostri tempi).

Acquistando "Ho ancora le mani per scrivere. Testimonianze dal genocidio a Gaza" (IL LIBRO CON LA L MAIUSCOLA SUL GENOCIDIO IN CORSO) sosterrete i prossimi progetti di "Gazzella Onlus" per la popolazione allo stremo.

Clicca QUI Per Seguire OGNI GIORNO le attività BENEFICHE di GAZZELLA ONLUS.

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 06:00:00 GMT
OP-ED
Chris Hedges - La persecuzione di Francesca Albanese

 

di Chris Hedges* - Scheerpost

Quando verrà scritta la storia del genocidio a Gaza, una delle più coraggiose e schiette paladine della giustizia e del rispetto del diritto internazionale sarà Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite che oggi l'amministrazione Trump sta sanzionando. Il suo ufficio ha il compito di monitorare e segnalare le violazioni dei diritti umani commesse da Israele nei confronti dei palestinesi.

Albanese, che riceve regolarmente minacce di morte e subisce campagne diffamatorie ben orchestrate da Israele e dai suoi alleati, cerca coraggiosamente di assicurare alla giustizia coloro che sostengono e alimentano il genocidio. Lei denuncia aspramente quella che definisce «la corruzione morale e politica del mondo» che permette al genocidio di continuare. Il suo ufficio ha pubblicato rapporti dettagliati che documentano i crimini di guerra a Gaza e in Cisgiordania, uno dei quali, intitolato “Genocidio come cancellazione coloniale”, ho ristampato come appendice nel mio ultimo libro, “A Genocide Foretold” (Un genocidio annunciato).

Ha informato le organizzazioni non governative che sono “penalmente responsabili” per aver aiutato Israele a compiere il genocidio a Gaza. Ha annunciato che, se fosse vero, come è stato riportato, l'ex primo ministro britannico David Cameron avrebbe minacciato di ritirare i fondi e di ritirarsi dalla Corte penale internazionale (ICC) dopo che questa aveva emesso mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della difesa Yoav Gallant, per i quali Cameron e l'altro ex primo ministro britannico Rishi Sunak potrebbero essere accusati di reato penale, ai sensi dello Statuto di Roma. Lo Statuto di Roma criminalizza coloro che cercano di impedire il perseguimento dei crimini di guerra.

Ha invitato gli alti funzionari dell'Unione Europea (UE) ad affrontare le accuse di complicità in crimini di guerra per il loro sostegno al genocidio, affermando che le loro azioni non possono rimanere impunite. È stata una sostenitrice della flottiglia Madleen che cercava di rompere il blocco di Gaza e consegnare aiuti umanitari, scrivendo che la nave intercettata da Israele trasportava non solo rifornimenti, ma anche un messaggio di umanità.

Potete vedere l'intervista che ho fatto con Albanese qui.

Il suo ultimo rapporto elenca 48 società e istituzioni, tra cui Palantir Technologies Inc., Lockheed Martin, Alphabet Inc. (Google), Amazon, International Business Machine Corporation (IBM), Caterpillar Inc., Microsoft Corporation e Massachusetts Institute of Technology (MIT), insieme a banche e società finanziarie come BlackRock, assicurazioni, società immobiliari e organizzazioni di beneficenza, che in violazione del diritto internazionale stanno guadagnando miliardi dall'occupazione e dal genocidio dei palestinesi.

Potete leggere il mio articolo sull'ultimo rapporto di Albanese qui.

Il segretario di Stato Marco Rubio ha condannato il suo sostegno alla Corte penale internazionale, quattro dei cui giudici sono stati sanzionati dagli Stati Uniti per aver emesso mandati di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant lo scorso anno. Ha criticato Albanese per i suoi sforzi volti a perseguire i cittadini americani o israeliani che sostengono il genocidio, affermando che non è adatta a ricoprire il ruolo di relatrice speciale. 

Rubio ha anche accusato Albanese di aver “vomitato antisemitismo sfacciato, espresso sostegno al terrorismo e aperto disprezzo per gli Stati Uniti, Israele e l'Occidente”. Le sanzioni impediranno molto probabilmente ad Albanese di recarsi negli Stati Uniti e congelano tutti i beni che potrebbe avere nel Paese.

L'attacco contro Albanese preannuncia un mondo senza regole, in cui Stati canaglia come gli Stati Uniti e Israele sono autorizzati a commettere crimini di guerra e genocidi senza alcuna responsabilità o restrizione. Mette a nudo i sotterfugi che usiamo per ingannare noi stessi e cercare di ingannare gli altri. Rivela la nostra ipocrisia, crudeltà e razzismo. D'ora in poi, nessuno prenderà sul serio i nostri impegni dichiarati a favore della democrazia, della libertà di espressione, dello Stato di diritto o dei diritti umani. E chi può biasimarli? Parliamo esclusivamente il linguaggio della forza, il linguaggio dei bruti, il linguaggio del massacro di massa, il linguaggio del genocidio.

“Gli atti di uccisione, gli omicidi di massa, le torture psicologiche e fisiche, la devastazione, la creazione di condizioni di vita che non consentono alla popolazione di Gaza di sopravvivere, dalla distruzione degli ospedali, allo sfollamento forzato di massa e alla perdita di casa, mentre la popolazione veniva bombardata quotidianamente e moriva di fame: come possiamo interpretare questi atti isolatamente?” Albanese ha chiesto in un'intervista che le ho fatto quando abbiamo discusso il suo rapporto, “Il genocidio come cancellazione coloniale”.

I droni militarizzati, gli elicotteri da combattimento, i muri e le barriere, i posti di blocco, i rotoli di filo spinato, le torri di guardia, i centri di detenzione, le deportazioni, la brutalità e la tortura, il rifiuto dei visti d'ingresso, l'esistenza simile all'apartheid che deriva dall'essere privi di documenti, la perdita dei diritti individuali e la sorveglianza elettronica sono familiari ai migranti disperati lungo il confine messicano o che tentano di entrare in Europa, così come lo sono ai palestinesi.

Questo è ciò che attende coloro che Frantz Fanon definisce “i dannati della terra”.

Coloro che difendono gli oppressi, come Albanese, saranno trattati come gli oppressi.

Tradotto con DeepL.com (versione gratuita)

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

*Giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha ricoperto il ruolo di redattore capo per il Medio Oriente e per i Balcani. In precedenza, ha lavorato all'estero per The Dallas Morning News, The Christian Science Monitor e NPR. È il conduttore dello Show The Chris Hedges Report.

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 06:00:00 GMT
Diritti e giustizia
L'Ucraina non è uno Stato democratico perché il governo viola i diritti umani

 

di Michele Blanco

Qualcuno sostiene che Zelensky sia un sincero democratico e difenda la democrazia in Ucraina e anche per l'Europa.  Ma la realtà non sembra essere proprio cosi.

Zelensky di sua iniziativa ha sciolto ben 11 partiti d’opposizione, rendendogli illegali.
 
Ha sciolto la Chiesa Ortodossa, imprigionato parte del clero, sequestrato conventi e seminari. Ha fondato una nuova Chiesa i cui vertici vengono nominati da lui stesso. 
Ha fatto bruciare in piazza tutti i classici della letteratura russa, cosa che avviene solo nelle dittature e avveniva nel medioevo.
Ha abolito le elezioni “perché c’è la guerra”. 
Ha fatto in modo che tutti i giornali e le tv ucraine siano sotto controllo di un’unica agenzia statale, guarda caso controllata da lui stesso.
 
Ha fatto uccidere (5 marzo ‘22) Denis Borisovi? Kireev, agente dei servizi e membro della delegazione ucraina ai negoziati con la Russia, per sua personale decisione. Niente processo, una pallottola alla nuca e via. Ha ordinato gli omicidi di Darja Dugina (figlia del filosofo russo Dugin), il giornalista russo Vladen Tatarski, l’ex sindaco di Lugansk Manolis Pilavov e innumerevoli altri.
 
 Consente ai servizi segreti di pubblicare la lista di persone “da eliminare”, in cui fu inserito anche Papa Francesco, poi cancellato per le proteste diplomatiche. Prima della guerra varò leggi che annullavano l’indipendenza della magistratura (“svolta dittatoriale”, scrissero tutti i giornali occidentali,vtra questi ricordiamolo: The Times, The Guardian, La Stampa, ecc. ma nessuno più lo ricorda). 
In Ucraina, con Zelensky presidente sono state approvate leggi che sono state definite liberticide, soprattutto in relazione alle proteste e alle libertà civili. Queste leggi hanno introdotto disposizioni che, secondo tutte le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, limitano le libertà fondamentali, tra cui la libertà di espressione e di riunione.
 
Sono state riscontrate “significative questioni relative ai diritti umani che hanno coinvolto funzionari del governo ucraino”. Nel documento “Made in USA” del dipartimento di stato degli Stati Uniti d'America, si parla di “rapporti credibili di: sparizione forzata; tortura e pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti; condizioni carcerarie dure e pericolose per la vita; l’arresto o la detenzione arbitrari; gravi problemi di indipendenza della magistratura; restrizioni alla libertà di espressione, anche per i membri dei media, comprese le violenze o le minacce di violenza contro i giornalisti, gli arresti o le azioni penali ingiustificate nei confronti dei giornalisti e la censura; gravi restrizioni alla libertà di Internet; un’ingerenza sostanziale nelle libertà di riunione pacifica e di associazione; restrizioni alla libertà di circolazione; grave corruzione del governo; violenza di genere diffusa; restrizioni sistematiche alla libertà di associazione dei lavoratori; e l’esistenza delle peggiori forme di lavoro minorile.
 
Alcune di queste questioni relative ai diritti umani derivavano dalla legge marziale, che continuava a limitare le libertà democratiche, tra cui la libertà di movimento, la libertà di stampa, la libertà di riunione pacifica e le protezioni legali”. E tutto questo non per mano degli “invasori” russi, ma da parte delle autorità ucraine. Una situazione resa ancora più grave, secondo gli USA, dal fatto che “il governo spesso non abbia adottatomisure adeguate a identificare e punire i funzionari che potrebbero aver commesso abusi”.
 
Sebbene la Costituzione ucraina e la legge proibiscano la tortura e altre punizioni crudeli, sono state molte le segnalazioni di “abusi da parte delle forze dell’ordine”. Abusi solo in parte giustificati dall’istituzione della legge marziale. “Ci sono state segnalazioni di forze dell’ordine e funzionari militari che hanno abusato e torturato persone in custodia per ottenere confessioni, di solito legate a presunte collaborazioni con la Russia”. In generale “le condizioni delle carceri e dei centri di detenzione (ucraini) sono rimaste pessime e a volte hanno rappresentato una seria minaccia per la vita e la salute dei prigionieri.
 
L’abuso fisico, la mancanza di cure mediche e nutrizionali adeguate, le scarse condizioni igienico-sanitarie e la mancanza di luce adeguata sono problemi persistenti”. Alcuni “detenuti hanno riferito che le autorità e i cosiddetti assistenti della popolazione carceraria abbiano usato trattamenti crudeli e degradanti, oltre a violenze fisiche e sessuali”. “Gli osservatori dell’Ufficio del difensore civico, del Meccanismo nazionale di prevenzione e del Gruppo per la protezione dei diritti umani di Kharkiv (KHPG) hanno riferito di cattive condizioni nel carcere di Kharkiv, nella colonia correzionale di Dykanivska e nel penitenziario di Temnivska”: strutture affollate, prive di illuminazione adeguata, con pareti umide e ricoperte di muffa e cavi elettrici sfilacciati ed esposti che rappresentano un pericolo per la vita e la salute dei detenuti.
 
L’OHCHR ha documentato decine di “casi di detenzione ingiusta, sparizione, tortura e maltrattamento di imputati e sospetti al fine di costringerli a testimoniare; violazioni procedurali per perquisizioni domiciliari o arresti; e la mancanza di accesso all’assistenza legale durante il periodo iniziale di detenzione e interrogatorio”.
Gravi anche i casi di violazione della privacy. In Ucraina la Costituzione proibisce tali azioni, ma ci sono state segnalazioni che “le autorità in generale non abbiano rispettato i divieti”.
Secondo il rapporto degli USA “il Servizio di sicurezza e le forze dell’ordine a volte hanno condotto perquisizioni senza un mandato adeguato”, e “molti cittadini non erano a conoscenza dei loro diritti o del fatto che le autorità avessero violato la loro privacy”.
Come si può definire un regime del genere?
Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 06:00:00 GMT
Il Principe
La cena per l'Ucraina: il vertice della spartizione

 

di Giuseppe Giannini

La conferenza per la ricostruzione dell'Ucraina che si tiene a Roma è un impegno ufficiale per ripetere agli ospiti quanto è stato fatto. La solita retorica, con il Capo dello Stato che parla di pace apparente, perchè "non è possibile abdicare all'aggressore". Anche se tre anni e mezzo di carneficina dimostrano che, nonostante l'appoggio militare occidentale, l'intelligence e gli sconfinamenti con attentati su quella parte del territorio russo non coinvolto dalla guerra, e gli enormi sacrifici umani, la situazione non è per niente migliorata. Parlano di rispetto del diritto internazionale ben sapendo di mentire.

La stessa enfasi e lo stesso impegno, limitandoci solo alle pronunce istituzionali, riguardanti appunto la tutela dei diritti umani fondamentali e degli oppressi, non si vede con riguardo ad esempio ai crimini che commette Israele. Una cena per fare il punto della situazione. Come stiamo messi con  la distribuzione delle armi? E le scorte? Fino a questo momento l'unica certezza è che l'economia del Paese è al collasso. Le forniture militari, i cd. "aiuti occidentali" all’Ucraina stanno portando il Paese in bancarotta, ed hanno impattato pesantemente anche sull'economia europea ed americana.

Su tutti l'aumento dei costi energetici e la difficoltà negli approvvigionamenti. Il burattino in mimetica, che prende soldi a debito, pretende anche di dettare le condizioni ai fornitori, considerando donazioni i milioni di dollari spesi dagli americani per supportarlo e sopportarlo. E non è un caso che Trump in quei famosi incontri chiese in cambio le terre rare, ricordando a Zelensky di non essere nelle condizioni, militari, economiche, geopolitiche per andare alla Casa Bianca e fare il gradasso. Prestiti e sovvenzioni da restituire con gli interessi (elevati). Più continua la guerra è più il disastro economico-sociale aumenta.

I creditori sono i soliti noti, abili a destreggiarsi nell'economia dello shock (ricorda qualcosa?): i fondi privati, il FMI e la  Banca Mondiale. Ma la parte da protagonista, in negativo, la sta facendo l'Unione europea. La gestione improntata sul terrore, con in testa la sempre più insopportabile Von der Leyen, per la quale non è stata sufficiente la mozione di sfiducia, tra l'altro presentata da parte di quelle stesse forze di destra che la sostengono, insieme a liberali e socialdemocratici guerrafondai, dopo la narrazione tossica del covid ha trovato nell'invenzione della invasione russa dell'Europa la possibile continuazione della diffusione della paura a Stati unificati. L'Europa istituzionale, che si è impegnata economicamente e militarmente a sostenere una guerra che invece l'Europa dei popoli non vuole, come nel caso del genocidio palestinese. Uno sforzo economico che oggi la vede in posizione di creditore per oltre il 40% riguardo all'esposizione ucraina. Il governo ucraino non è in grado di onorare i debiti. E già Blackrock e gli altri investitori cercano di sfilarsi per lasciare la patata bollente agli europei.

La cena organizzata dalla ambigua Meloni, legata a Trump e fedele alla tecnocrazia continentale, che non smette di far venir meno il proprio aiuto logistico-militare all'Ucraina, è servita formalmente a ribadire il sostegno economico ma di fatto è una parziale resa dei conti: il debito va pagato, bisogna solo trovare il mezzo adatto. E cosa meglio delle liberalizzazioni, come fatto in passato con l'Iraq,  per svendere il patrimonio ucraino, e risarcire gli avidi creditori occidentali, che già si sfregano le mani? L'eufemismo utilizzato dal governo italiano per ammorbire la portata predatoria è  "semplificazione delle regole". In pratica, senza perdersi in dettagli, il vertice culinario è stata l'occasione per decidere i soggetti coinvolti, pubblici e privati, degli Stati "filantropi", che dovranno occuparsi della ricostruzione, mettendo le mani sulla ricchezza ucraina. E che già hanno imposto la linea di condotta politica da seguire per servire i futuri alleati: atlantismo ed europeismo austeritario.

Come era il titolo di quel film francese? "La cena dei cretini", invitare gli idioti per ridere alle loro spalle. Così, tra sventolio di bandiere gialloblu e carezze come gesti simbolici di immedisimazione verso le sofferenze altrui, sotto sotto gli avvoltoi "democratici" sperano di riuscire almeno dove hanno fallito in passato. Poco importa se ciò vorrà dire che bisogna imparare a considerare normale la destabilizzazione dei rapporti internazionali. Ed anche se le estreme conseguenze potranno essere ancora peggiori. C'è un piano di riarmo che tiene unite le cancellerie in nome della guerra. A meno che non sia stata l'ultima cena.

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 06:00:00 GMT

News su Gazzetta ufficiale dello Stato, Corte costituzionale, Corte dei Conti, Cassazione, TAR