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News lantidiplomatico.it

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OP-ED
Andrea Zhok - Caso Hannoun. E gli aiuti militari al terrorismo di Israele?

 

di Andrea Zhok*

 

A quanto pare alcune associazioni italiane hanno raccolto nel corso di 20 anni fino a 7 milioni di euro per sostenere Hamas.

Orsù indigniamoci tutti in coro.

Non si fa!

Non si fa perché Hamas è un gruppo armato che ha commesso atti terroristici. 

Nel frattempo, solo dal 7 ottobre 2023 ad oggi gli Stati Uniti hanno trasferito 21 miliardi di dollari in aiuti militari ad Israele, che li ha usati per bombardare 7 paesi, aggredirli unilateralmente, commettere omicidi mirati di militari e civili, uccidere al minimo 65.000 palestinesi (di cui 18.400 bambini).

Questo naturalmente non è terrorismo, è legittima difesa. Se un bambino ti guarda storto una sventagliata di Uzi è il minimo.

In sostanza, se ho capito bene, 7 milioni in 20 anni per un gruppo armato a sostegno dei palestinesi è uno scandalo immorale, mentre  21 miliardi di armi in 2 anni per uno stato che ha ripetutamente agito in forme terroristiche è un lodevole dettaglio.

Non bisogna armare Hamas, i palestinesi devono solo porgere l'altra guancia - quando hanno la fortuna di averne ancora una - mentre i soldi si potevano raccogliere legittimamente solo per l'acquisto dei sacchi per le salme.


E' davvero scandaloso che questa gente non si lasci ammazzare e imbustare in silenzio.


......
...... 

Ma voi, sepolcri imbiancati del giornalismo e della politica, riuscite ancora a vergognarvi, o dovete pagare qualcuno per farlo al vostro posto?

 

*Post Facebook del 28 dicembre 2025

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 20:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Maduro: "L'Erode moderno non sconfiggerà il Venezuela"

In un messaggio diffuso domenica 28 dicembre, in occasione della commemorazione della Giornata dei Santi Innocenti, il Presidente venezuelano Nicolás Maduro ha tracciato un parallelo tra il racconto biblico e l’attuale momento storico del Paese sudamericano segnato da sazioni e assedio militare statunitense. La data ricorda la strage ordinata dal re Erode contro i bambini di Betlemme, nel tentativo di eliminare il neonato Gesù, visto come una minaccia al suo potere.

Attraverso i propri canali social, il leader bolivariano ha lanciato un messaggio di fermezza e ottimismo, affermando che, così come Erode fallì di fronte a Gesù, oggi le forze imperialiste non prevarranno contro la nazione sudamericana: "Così come Erode fallì di fronte a nostro Signore Gesù Cristo, oggi non prevarrà neppure contro la nazione sudamericana", le sue parole. Maduro ha inoltre sottolineato come la resistenza del popolo venezuelano sia sorretta da una speranza incrollabile in un futuro migliore. 

Sulla stessa linea, la diplomazia venezuelana ha ampliato la riflessione allo scenario internazionale. Il ministro degli Esteri Yván Gil ha espresso profonda preoccupazione per la ripetizione di antiche tragedie in territorio palestinese, paragonando la situazione dei bambini nella Striscia di Gaza al massacro degli innocenti di Betlemme.

Il Ministro degli Esteri ha denunciato una politica di sterminio condotta da attori che, protetti da poteri imperiali in declino, agirebbero con la stessa crudeltà dell'Erode biblico. Gil ha definito quanto accade a Gaza un tentativo mortale che colpisce migliaia di innocenti, lanciando un appello globale per la tutela dei diritti fondamentali dell’infanzia.

Il diplomatico ha aggiunto che il Venezuela si unisce alla richiesta internazionale di un mondo in cui i minori possano crescere lontani da guerre, abusi e violenza, sottolineando l’urgenza di garantire alle nuove generazioni una vita piena e serena, dove prosperità e felicità sostituiscano il dolore dei conflitti.

In ultima analisi, il Governo bolivariano ha riaffermato il proprio impegno per la pace e la giustizia sociale, insistendo sul fatto che il vero significato di questa commemorazione risieda nella difesa attiva dei più vulnerabili. Caracas ha così commemorato la giornata del 28 dicembre ribadendo la speranza in un nuovo ordine mondiale capace di preservare la vita dei bambini in ogni angolo del pianeta.

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 19:28:00 GMT
IN PRIMO PIANO
USA: Trump ha avuto chiamata "produttiva" con Putin prima di incontrare Zelensky

Il presidente statunitense Donald Trump ha avuto una "buona e molto produttiva" conversazione telefonica con il suo omologo russo Vladimir Putin, poche ore prima di incontrare, alla presenza della stampa nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida, il leader ucraino Vladimir Zelensky. La chiamata, confermata dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, è avvenuta su iniziativa di Washington e ha gettato le basi per l'imminente confronto con Kiev.

Secondo il resoconto dell’assistente presidenziale russo Yuri Ushakov, Trump avrebbe sottolineato "la necessità di terminare la guerra quanto prima", evocando al tempo stesso "le impressionanti prospettive di cooperazione economica" che si aprirebbero dopo un accordo di pace. L’inquilino della Casa Bianca si sarebbe detto nuovamente convinto dell'impegno di Mosca per una soluzione politico-diplomatica, intendendo strutturare il successivo colloquio con Zelensky alla luce di questo scambio.

Dal Cremlino arriva però un netto monito al regime di Kiev. Ushakov ha affermato che per porre fine alle ostilità in modo definitivo è necessaria, da parte ucraina, "una decisione politica coraggiosa e responsabile" riguardante il Donbass, da adottarsi "senza indugio" considerando la situazione sul fronte. Sia Putin che Trump condividerebbero, in generale, la valutazione che l'opzione sostenuta da Kiev e da alcuni europei per un cessate il fuoco temporaneo - giustificato con la preparazione di un referendum o altri pretesti - non farebbe che prolungare il conflitto.

Lo scambio tra Washington e Mosca avviene su uno sfondo negoziale complesso. Nella settimana precedente, Stati Uniti e Ucraina hanno scambiato bozze sul piano di pace, ma la proposta in venti punti che Zelensky porterebbe con sé negli USA è stata definita dal Ministero degli Esteri russo "radicalmente distante" dalla versione discussa dalle due potenze. Già venerdì Trump aveva lasciato intendere uno scarso entusiasmo, affermando che Zelensky "non avrà nulla" senza la sua approvazione personale. Fonti di Politico riferiscono di un presidente USA tiepido e senza fretta di appoggiare l'iniziativa ucraina, che include l'istituzione di una zona smilitarizzata e garanzie di sicurezza da parte statunitense.

Mentre si attende l'esito del faccia a faccia di Mar-a-Lago, il dialogo russo-statunitense dimostra di essere, come ha commentato l'inviato speciale della presidenza russa Kirill Dmitriev, "il più importante" e quello che continua. Tutto sembra ora dipendere dalla capacità di Trump di mediare tra le posizioni, e dalla risposta di uno Zelensky che spalleggiato dai guerrafondai eruopei sembra essere più propenso a continuare le ostilità fino all'ultimo ucraino.

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 19:01:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Lavrov: "Se qualcuno decidesse di attaccare la Russia, la risposta sarà travolgente"

I circoli governativi della maggior parte dei paesi europei esagerano la fantomatica "minaccia russa" e "alimentano sentimenti russofobi e militaristi nella società", mentre "la Russia non ha mai intrapreso iniziative ostili verso i suoi vicini europei", ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov in un'intervista all'agenzia TASS.

"Ai poco perspicaci politici europei, ai quali spero venga mostrata questa intervista, ripeto ancora una volta: non c'è motivo di temere che la Russia attacchi qualcuno. Ma se qualcuno decidesse di attaccare la Russia, la risposta sarà travolgente", ha affermato, ribadendo gli avvertimenti pubblici di Vladimir Putin.

Allo stesso modo, Lavrov ha ricordato che qualsiasi contingente militare europeo inviato in Ucraina come "coalizione di volontari" - qualora venisse presa tale decisione - costituirà un "bersaglio legittimo" per le Forze Armate russe.

Mosca ha sottolineato in numerose occasioni che non pianifica alcun attacco contro i paesi europei.

La scorsa settimana Vladimir Putin ha denunciato come in certi paesi europei alla gente "vengano inculcati" timori su un presunto scontro inevitabile con la Russia, il che non è altro che una menzogna. "L'ho già detto più volte: questa è una menzogna, un'assurdità, semplicemente una follia sulla presunta minaccia russa per i paesi europei. Ma lo si fa in piena consapevolezza", ha dichiarato il presidente russo. "La verità è che la Russia, anche nelle circostanze più difficili, ha sempre cercato - fino all'ultimo, finché esisteva la minima possibilità - di trovare soluzioni diplomatiche alle contraddizioni e ai conflitti", ha sottolineato.

 

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 18:18:00 GMT
Dalla parte del lavoro
ANPI, Napoli e il doppio standard di guerra


di Giorgio Cremaschi*

La segreteria nazionale dell’ANPI ha sconfessato le sua sezione di Napoli, che il 22 dicembre aveva organizzato all’Università Federico II un incontro con il professor Angelo D’Orsi e con Alessandro di Battista sulla guerra in Ucraina.

L’incontro, partecipatissimo, aveva subito alla fine lo scatenamento di un gruppo di radicali, di sostenitori del regime di Zelensky e di estremisti di centro vari. Qualcuno era salito in piedi sul tavolo, altri avevano tentato di strappare il microfono dagli oratori, un altro aveva urlato: perche siete andati in Russia? Per chi l’aveva subìto e per gli stessi organizzatori dell’ANPI locale quello avvenuto è stato un atto squadrista, ma per la segreteria nazionale dell’organizzazione si è trattata di un semplice “flashmob di contestazione”. Sostanzialmente giustificato visto che la Russia è l’aggressore da condannare.

La stessa ANPI nazionale precedentemente aveva espresso piena solidarietà all’esponente del PD Emanuele Fiano, fondatore della “Sinistra per Israele” e contestato da un gruppo di studenti filopalestinesi all’Università di Venezia. Sempre l’ANPI nazionale aveva definito “ assalto di sapore squadrista” la manifestazione di giovani a Torino nei locali del quotidiano La Stampa.

A Napoli invece il metro di misura è stato diverso e, anche se gli aggrediti erano addirittura? parte della propria organizzazione, la segreteria nazionale dell’ANPI non ha speso una parola per difenderli, anzi.

Mentre Carlo Calenda rivendicava dannunzianamente l’impresa napoletana, c’era chi piegava la testa e chiedeva pietosamente di “abbassare i toni”.

Questa viltà della segreteria nazionale dell’ANPI non è solo frutto del suo totale collateralismo con il PD e con i suoi equilibri interni. C’è qualcosa di più grave e profondo: lo scivolamento di tutti i palazzi della politica italiana verso la logica della guerra.

Il massimo rappresentante di questa deriva è proprio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha appena affermato che il riarmo è necessario anche se impopolare, dopo aver pubblicamente sostenuto che la Russia sia il nuovo Terzo Reich. È evidente che se si afferma questo, chi sostiene un punto di vista critico sulla guerra e sulla NATO diventi nemico del paese. Antitaliano urlano quelli di Giorgia Meloni.

Papa Leone XIV ha appena sommessamente lamentato che chi rivendica la pace venga poi accusato di essere un agente del nemico. È? l’intolleranza verso il dissenso, che diventa tanto più forte e brutale quanto più l’Italia affonda nella politica di guerra.

La Russia è il nemico e ci vuole aggredire, la NATO è la nostra Patria e Israele, con tutti i suoi difetti, il nostro alleato. Questi sono i cardini del sistema politico italiano, e chi li viola va trattato da nemico. Per questo a Napoli non c’è stato squadrismo, mentre a Torino sì.

La segreteria nazionale ANPI ha fatto proprio il doppio standard guerrafondaio che governa la nostra politica e infatti ha sì affermato che “bisogna fermare la folle corsa al riamo”, ma contemporaneamente ha respinto “radicalmente qualsiasi accusa al Presidente della Repubblica che rappresenta l’unità nazionale”. E che del riarmo è il primo sostenitore.

Solidarietà a chi si oppone e subisce lo squadrismo di palazzo, il vero assalto alla democrazia.

Ecco il vergognoso comunicato della segretaria nazionale ANPI.

*Tratto da Facebook

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 18:09:00 GMT
Dalla Russia
Liquidazione del nazista Kapustin


di Marinella Mondaini

In risultato dell’attacco di un drone russo sulla direzione di Zaporiž’e, nei pressi di Guljaipole, è stato ucciso stamattina il fondatore dell'organizzazione “Corpo volontario russo” (RDK), vietata nella Federazione Russa e riconosciuta come terroristica, Denis Kapustin, inserito nella lista degli estremisti e dei terroristi della Federazione Russa. Lo hanno riferito la stessa organizzazione e i siti ukrobanderisti. 
Kapustin era un neonazista trasferitosi in Ucraina, dove fondò il “Corpo Volontario Russo” che combatte contro le Forze Armate russe.
In Russia è stato condannato in contumacia all'ergastolo dal tribunale militare per crimini di guerra e per tradimento di Stato. Aveva organizzato l’invasione della regione di Brjansk da parte dei sabotatori delle forze armate ucraine nel 2023, e commesso un’altra serie di crimini.

Denis Kapustin è un terrorista ed estremista, “rifugiato ebreo” in Germania. Un ebreo nazista.
Suo nonno Efim Karpman è un veterano della Grande Guerra Patriottica. Per quasi 20 anni è stato il direttore artistico del circo di Sochi.  In Germania viveva con la madre. Tuttavia, la donna ha da tempo interrotto ogni rapporto con il figlio a causa delle sue idee estremiste.
Nel 2019  in Germania gli era stato revocato il permesso di soggiorno. Le autorità tedesche gli hanno pure imposto il divieto di entrata nel paese, poiché hanno riconosciuto che “le sue aspirazioni sono dirette contro l’ordine sociale libero e democratico”, scrive il sito

https://ukraina.ru/20251227/1073705544.html

 

Gli inquilini del condominio nella zona est di Mosca, dove la famiglia Kapustin ha vissuto negli anni '90 prima di trasferirsi in Germania, hanno affermato che “il nonno lo avrebbe ucciso con le sue mani, se fosse stato ancora vivo”.
In Russia, tra l'altro, Kapustin aveva cambiato il cognome in Nikitin.

L'RDK è noto come un'unità che non ha combattuto molto. Sì, hanno attaccato sia la regione di Belgorod che quella di Kursk. Ma la funzione dell'RDK non era militare, bensì punitiva. Come i polizaj durante la Grande Guerra Patriottica. Terrorizzare i civili, maltrattarli, sparare ai bambini. E scattare belle foto. Come durante l'attacco terroristico alla regione di Brjansk, dove i collaborazionisti dell'RDK si sono fatti notare per la prima volta proprio in un'azione punitiva contro il popolo russo, prendendo anche in ostaggio molti civili.

L'RDK è sempre stata e rimane una cellula terroristica sotto l'egida del GUR, l’Intelligence militare ucraina. E aveva due compiti principali. Primo: dimostrare che ci sono dei “russi che combattono” (preferibilmente sui social con “belle foto”) contro il “sanguinario Cremlino per un'Ucraina libera e una Russia libera”. Secondo: coprivano gli attentati terroristici compiuti dal GUR in Russia. Ad esempio, Kapustin ha dichiarato che l'omicidio di Daria Dugina è stato “un'azione dell'RDK”.

I canali russi sono in fibrillazione e non nascondono la soddisfazione. “In effetti, scrive il giornalista russo Andrej Medvedev,” Kapustin ha avuto la sua punizione sotto forma di un drone russo oppure è stato semplicemente ucciso come un cane dai suoi padroni del GUR, perché non avevano più bisogno di lui. Da tempo avevano smesso di invitarlo ai programmi televisivi ucraini. Onestamente, questa è la versione più credibile. Attendiamo conferma dai nostri servizi segreti”.

Altri blogger russi scrivono che “Il traditore è sempre una morte vergognosa e una vita senza senso. Nessuno rispetta i traditori, nemmeno quelli a cui loro leccano i piedi. Il nazista dichiarato ha trovato la sua meritata fine nella regione di Zaporiž’e sotto i colpi dell'FPV-drone. Che la terra gli sia di cemento”.

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 17:23:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Gemellaggi saltati, censure nelle scuole e arresti di palestinesi


di Agata Iacono

Stavo per raccontare uno dei tanti episodi di sionismo nelle scuole italiane.
A Vicenza, la preside del liceo  Fogazzaro nega un'assemblea sulla situazione in Palestina, poiché "manca il contraddittorio".
Cioè gli studenti sono colpevoli  di non aver invitato i soldati israeliani in pausa blindata antistress in Italia, poiché psicologicamente provati dall'uccisione indiscriminata di bambini.

La preside non si è svegliata la mattina con la luna storta o in vena di iperbole.
Stessi gravissimi episodi emblematici di deriva autoritaria si sono manifestati in questi mesi in tutte le scuole italiane.
«Se organizziamo un incontro sulla violenza di genere dobbiamo invitare anche i violentatori?». 

È questa la domanda che si fanno i docenti delle scuole, dopo la circolare del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che limita la libertà di insegnamento e censura gli appuntamenti didattici relativi sia alla vera storia  del conflitto in Ucraina sia a qualsiasi evento riguardi la Palestina.
Formalmente il ministro impone che negli incontri con personalità esterne sia «garantito il pluralismo», una sorta di par condicio o di contraddittorio che però, sottolineano i docenti, è "inapplicabile se riguarda temi come i diritti umani".

Avevamo già raccontato come lo stesso ministro Valditara abbia vietato un corso di formazione dei docenti italiani sulla Pace e contro la militarizzazione delle scuole, con conseguente disciplinari, con queste motivazioni.

Non contento, ha criminalizzato le scuole che hanno osato ospitare il rappresentante ONU Francesca Albanese, avviando addirittura un'indagine...

Mi sembrava, in realtà mi sembra ogni volta, che il limite sia stato superato, che oltre non sia possibile spingersi, se non altro per non fomentare proprio quel clima di avversione, orrore , disgusto, contro lo stato genocida di Israele, che chiamano impropriamente "antisemitismo".

E, invece, pare che siano davvero convinti che la formuletta "solidarietà alla Palestina=terrorismo" possa realmente funzionare per intimidire, ricattare, tacitare per sempre la solidarietà di milioni di italiani nei confronti di Gaza e della Cisgiordania.

In questo quadro si inserisce la bocciatura del gemellaggio tra il paese di Riace e Gaza.

Perché fosse ratificato regolarmente il gemellaggio, già celebrato mesi fa con il sindaco di Gaza, presente da remoto, occorreva il placet del Ministero per gli affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli.
Un iter scontato, una prassi burocratica caratterizzata solitamente da automatismo.

E invece il sindaco Mimmo Lucano riceve una lettera a firma del ministro, che nega l'assenso al gemellaggio.

Lui stesso dichiara:

"Rimango senza parole alla vigilia di queste festività. Anche se il periodo storico che il mondo sta vivendo ci porta a trascorrere il Natale 2025 come uno dei più drammatici della storia dell’umanità, normalmente un sindaco, in questi giorni, si aspetta gli auguri dalle altre istituzioni. A Riace, invece, arriva una lettera con la quale il governo Meloni, per bocca del ministro leghista Calderoli, ci dice che non abbiamo il suo assenso al gemellaggio del mio Comune con la città di Gaza, per oltre due anni assediata da un vero e proprio genocidio messo in atto da Israele”.
È una lettera che reputo gravissima perché, senza alcuna spiegazione nel merito, il ministero degli Esteri accusa il sindaco di Gaza di essere legato ad Hamas. Come la nostra iniziativa possa arrecare danno alla politica estera italiana dovrebbe chiarirlo il ministro Antonio Tajani che, assieme a tutto il governo, sembra più interessato a capire cosa accade a Riace, piuttosto che impegnarsi in un reale percorso di pace in Palestina. Aver voluto a tutti i costi fare il gemellaggio tra Riace e Gaza è stato un atto di fraternità umana con il quale abbiamo, nel nostro piccolo, voluto riconoscere un popolo martoriato dalla guerra. Volevamo trasformare il dolore in speranza e unirci al messaggio di un mondo che nei palestinesi vede esseri umani e non terroristi, come fa invece il nostro ministero degli Esteri.
Rimango esterrefatto, perché quello che ho letto non è altro che un tentativo di azzerare una decisione di un Comune che non si occupa solo di buche nelle strade e che, a differenza del governo Meloni, non si gira dall’altra parte davanti ai bambini uccisi a Gaza”.
 

Ecco il testo della lettera:

"Gentile Sindaco,

mi riferisco alla missiva del 26 novembre 2025, con la quale è stato trasmesso lo schema del gemellaggio tra codesto Comune di Riace e la Città di Gaza (Palestina).

Al riguardo, a conclusione dell'istruttoria esperita presso le Amministrazioni interessate, si rappresenta che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha espresso parere negativo alla sottoscrizione del gemellaggio.

In particolare, il citato Dicastero ha evidenziato che "sussistono rilevanti motivi ostativi, connessi al legame esistente tra consigli locali e sindaci di Gaza e l'organizzazione terroristica Hamas, sottoposta a sanzioni da parte dell'Unione europea. Pertanto, ove effettivamente concluso, il gemellaggio in questione sarebbe suscettibile di arrecare un grave pregiudizio alla politica estera italiana. L'Italia, infatti, sostiene senza ambiguità la necessità di escludere Hamas da qualsivoglia futuro politico e securitario nella Striscia".

Ciò posto, tenuto conto delle considerazioni sopra riportate, non si ravvisano le condizioni necessarie al rilascio del prescritto assenso finalizzato alla sottoscrizione del gemellaggio in questione.
 
Roberto Calderoli".
 
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In sintesi il concetto è:  "Se aiuti il popolo palestinese aiuti Hamas e quindi sei un terrorista".
In altri termini, fino a quando i gazawi non accetteranno di essere  percepiti quali vittime di una catastrofe naturale senza colpevoli, e oseranno resistere, saranno tutti considerati terroristi, anche quelli nati ieri e morti di freddo.

Ed è proprio secondo tale distopia cognitiva e manipolazione sillogica, che oggi sono stati arrestati 9 attivisti volontari di associazioni che raccoglievano donazioni per fare arrivare cibo, acqua, coperte, medicine, tende, a Gaza.

L'accusa è quella di aver "dirottato parte dei 7,2 milioni di euro di donazioni alle milizie e non ai civili".
 
Insomma, siamo davanti alla solita fialetta di Colin Powell.
 
Nel mirino ci sono tre realtà benefiche. La prima è l'Associazione Benefica di Solidarietà col Popolo Palestinese (A.B.S.P.P.), fondata nel 1994 con sede a Genova; l'Organizzazione di Volontariato (A.B.S.P.P. O.D.V.), costituita nel 2003, sempre nel capoluogo ligure, l'Associazione Benefica La Cupola d'Oro, con sede a Milano, nata nel dicembre 2023.

Non è bastata la figuraccia che il governo italiano ha fatto arrestando e cercando di estradare Mohamed Shahin, Imam della moschea di S. Salvario, a Torino, tornato in libertà dopo 21 giorni di detenzione nel Centro per il rimpatrio di Caltanissetta dove si trovava, in seguito ad un decreto di espulsione firmato dal Ministro Piantedosi.

Adesso ci riprovano arrestando il presidente di API, l'Associazione dei palestinesi in Italia, Mohammad Hannoun.
Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 17:06:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La solidarietà degli studenti di Napoli al prof. D'Orsi


Il 22 dicembre scorso un manipolo di estremisti europeisti, accompagnati da alcuni imboscati ucraini, ha fatto irruzione nella sede della conferenza organizzata dall’ANPI di Napoli, “Russofobia, russofobia: verità”, contestando gli intervenuti e arrivando a strappare di mano il microfono al professor Angelo D’Orsi. Dopo questo episodio di grave intimidazione, né l’ANPI nazionale né le forze politiche locali hanno espresso la benché minima solidarietà; al contrario, di concerto con gran parte della stampa filo-europea, sono state lanciate accuse e insulti nei confronti delle vittime dell’accaduto.

In questo quadro particolarmente grave, merita invece di essere segnalata positivamente l’iniziativa di un gruppo di studenti dell’Università di Napoli, che ha deciso di diffondere un comunicato di solidarietà al professor D’Orsi.

 


In merito ai fatti del 22/12 

Col Natale alle porte, il 22/12 si è tenuto presso la nostra università, la Federico Il di Napoli, un convegno organizzato dall'ANPI, con gli interventi di Alessandro Di Battista e del prof. Angelo D'Orsi. Mentre c'era chi pregustava struffoli e pandoro, c'era anche chi organizzava una (lecita, in quanto vige ancora seppure debolmente una dimensione democratica) contestazione. Contestazione giustificata con l'accusa di "russofilia" verso gli organizzatori. Al termine del convegno, una manica di militanti liberali (varie sigle: Ora, Radicali, +Europa e l'associazione LiberiOltre), assoldando ideologicamente persone di origine ucraina e di chiaro schieramento anti-russo, hanno messo in piedi un ridicolo flash mob, al quale è seguito un'aggressione verbale (e per poco anche a carattere fisico) ai danni dei medesimi organizzatori del convegno, in nome di una presunta difesa dell'altrettanto supposta lesa "democrazia" e della libertà dell'Ucraina. Tentativi di apporre (democraticamente) spille azovite (simbolo di crimini e violenza terrificanti dal ormai quasi un dodicennio nell'Oriente Ucraino) sul docente D'Orsi; sottrazione (democratica) del microfono dalle mani del suddetto docente; contestazione del viaggio (nondemocratico) del prof. D'Orsi nella cosiddetta "terra del male" (la Russia) e via discorrendo. Nel mentre della contestazione, i nondemocratici (D'Orsi, Di Battista ? organizzatori) ascoltavano il democraticissimo discorso di un giovane esponente liberale. È seguito poi il caos: non contenti, gli squadristi liberali, hanno ritenuto fosse legittimo e democratico inseguire il prof. D'Orsi, in lungo e in largo per l'università, per chiedere spiegazioni in merito al suo viaggio in Russia (non accettabile in una democrazia). II professore è costretto, dunque, a dover lasciare la città, con sdegno e manifestando (giustamente) preoccupazione per quanto accaduto. E pure, il prof. D'Orsi, a cui va tutto il nostro sostegno, la nostra stima e solidarietà, non è nuovo a questo tipo di "contestazione democratica". Già nel mese scorso, infatti, il suo convegno sulla "Russofobia", è stato più volte censurato nella sua Torino: prima dal tandem Picierno-Calenda (fresco di tatuaggio), successivamente dai salesiani, presso i quali doveva tenere tale convegno. Ma non è tutto: negli ultimi 4 anni, chiunque provi a far luce su quanto accade in Ucraina, chiunque provi ad analizzare criticamente la situazione e chiunque provi a dissentire rispetto alla propaganda ufficiale di regime, viene (democraticamente) censurato. È successo al prof. Orsini, ultimamente a Lucio Caracciolo (e alla sua rivista di geopolitica Limes), al giornalista Giorgio Bianchi e molti ancora. Questo è il clima di censura instaurato in Italia (e non solo) in questi anni, difeso a spada tratta dai media, dai partiti e, ora, dai democratici squadristi. Alla luce di questi fatti, come studenti di Storia della Federico II, siamo chiamati a difendere la (vera) libertà di parola, la (vera) libertà di espressione e la verità, e a condannare ogni tentativo di deturpamento di questi principi, da qualsiasi parte politica provenga. In quanto aspiranti storici noi dobbiamo porci come sentinelle della veridicità se non immediatamente della verità storica: non possiamo accettare manipolazioni dei dati, offuscamento della realtà, vittimismo infame e smentito da prove visive e testimonianze degli aggrediti. Vogliamo che emerga dalle occasioni di confronto non il tentativo di inquisire un intero popolo ricco di Storia e di glorie quale quello delle Russie, ma gli effettivi argomenti che consentano di ricostruire il quadro di una guerra che militarmente si disputa da quasi 4 anni apertamente e più di 10 nelle forme più disparate. Si parli di Odessa e dei suoi martiri, di Euromaidan, delle 13 basi americane nascoste al fronte che conduce alle porte di Mosca, dei fondi che l'Occidente ha inviato alle vili élites oligarchiche di Kiev che hanno provocato la morte di un'intera generazione di giovani ucraini. Il nostro augurio è che tra questi due popoli torni a splendere il segno della fratellanza e del bene, contro i nemici che lavorano contro gli interessi di quello che è un nostro vicino (molto di più dei campioni democratici statunitensi) ovverosia la Russia. La nostra solidarietà al prof. D'Orsi, ad Alessandro Di Battista, agli organizzatori dell'ANPI e a tutti i presenti".

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 17:00:00 GMT
OP-ED
L’ARRESTO DI HANNOUN. REPRESSIONE-METODO E MOVIMENTO INNOCUO

 

 

Pasquale Liguori

 

C’è qualcosa di ipnotico nel leggere, in fila, le dichiarazioni di Calenda, Meloni, Renzi, Lupi, Picierno, Salvini e Tajani. Non è politica: è karaoke. Uno spartito unico, un’impressionante omogeneità lessicale, simbolica e politica. Parole d’ordine preconfezionate: infiltrazioni, tolleranza zero, sicurezza, ordine.

L’arresto di Mohammad Hannoun ha un obiettivo tricolore preciso: criminalizzare retroattivamente e in prospettiva l’intero campo palestinese. Non è un caso che Calenda parli di “movimenti infiltrati”, che Picierno ne approfitti per cucire il fantasy del filo “galassia putiniana”-Palestina, che Salvini ironizzi sulle masse e che Meloni celebri l’operazione come una vittoria geopolitica. Tutti mobilitati a ridefinire il perimetro del dicibile.

Dentro questo trionfalismo securitario colpisce soprattutto ciò che manca (al netto della disonestà intellettuale e della profonda ignoranza storico-politica su cosa siano resistenza, Hamas, Gaza). È un’analisi condotta col buco intorno: non esiste occupazione illegale; non esiste idiritto alla resistenza; non esiste la parola genocidio.

Per costoro, bisogna infatti rassicurare i carnefici. Dire a Israele, agli Stati Uniti, all’architettura imperiale occidentale: «Siamo affidabili. Conteniamo il dissenso. Facciamo anche noi il lavoro sporco». È lo stesso ceto politico che esprime esponenti apicali che, senza imbarazzo, dichiarano di voler accogliere sul suolo italiano criminali sionisti ricercati a livello internazionale. Qui il doppio standard non è un inciampo: è la regola. Da questa gente te lo puoi aspettare.

Che Hannoun sia una voce autentica palestinese è evidente a chiunque lo abbia ascoltato. Ed è proprio questo il punto: non il “terrorismo”, ma la legittimità politica di una parola — resistenza — che non chiede permesso all’Occidente per esistere.

La cosa più disgustosa (ma non sorprendente) è un’altra. Una vasta parte del nostrano movimento “ProPal” mostra tutta la sua debolezza strutturale: si ritrae, si disperde, balbetta. Nessuna linea, nessun nerbo, nessuna voce realmente forte, autorevole e acuta. Non riesce a prendere parola ferma e incarnare una posizione di rottura. E Hannoun, in definitiva, appare praticamente solo. Questo isolamento non è casuale: è il prodotto di anni e, soprattutto, di mesi recenti di depoliticizzazione, moralismo e paura di essere “radicali”. La galassia “ProPal”, con buona manualità esperta di selfie arcobaleno, si limita a postare indignazione a bassa intensità: regge finché la solidarietà non costa nulla.

Qui va spezzato un equivoco che circola anche in ambienti che si immaginano radicali e che, purtroppo, funziona come anestetico politico. La repressione non è, di per sé, una rivelazione. Non chiarisce automaticamente il conflitto, né apre inedite possibilità solo perché mostra il volto duro del potere. Senza organizzazione, senza una lettura reale dei rapporti di forza, senza una strategia capace di reggere l’urto, la repressione non è una crepa del sistema: è il suo funzionamento ordinario. È il modo con cui il potere seleziona chi può essere isolato e reso sacrificabile senza costi politici rilevanti. Ed è ciò che sta accadendo. Hannoun e gli altri con lui arrestati non vengono colpiti perché il sistema è in difficoltà, ma perché il campo che avrebbe dovuto difenderlo è stato reso innocuo, moralizzato, frammentato. La repressione non arriva dopo la debolezza: la utilizza. La sfrutta e la mette a valore.

Non si costruisce alcun movimento reale a colpi di indignazione, né brandendo citazioni come lasciapassare identitari. La guerra, la repressione, la pace non si spiegano con gli anatemi, ma seguendo i flussi materiali di potere: il denaro, gli interessi economici, le architetture che rendono conveniente il conflitto e sostenibile la violenza coloniale. Senza questo sguardo, ogni discorso “antimperialista” resta una posa estetica della radicalità, autocompiacimento. Un movimento moltitudinario del comune non nasce dai selfie arcobaleno, né dalla liturgia della purezza, ma dalla capacità di capire chi decide, chi guadagna, chi paga, e come colpire quei nodi. Tutto il resto - rutti ideologici, scomuniche reciproche, citazioni peraltro improprie - non produce forza. Serve solo a mascherare l’impotenza mentre il potere, molto concretamente, seleziona i suoi bersagli.

Questo vuoto, questa incapacità di reagire in modo politico alla repressione, non cade dal cielo. È il risultato diretto di un movimento costruito come sommatoria occasionale di presenze, privo di orientamento, di organizzazione e di senso della lotta. Un campo che ha confuso la massa con la forza, la visibilità con il radicamento, l’evento con il conflitto. Un movimento che non sa - o non vuole - assumere fino in fondo ciò che la resistenza palestinese ha mostrato nella pratica: che senza disciplina, continuità e capacità di reggere il costo politico e umano dello scontro, la solidarietà resta un gesto revocabile, facilmente neutralizzabile.

In questo quadro, dunque, il silenzio dominante che oggi circonda Hannoun non è un’anomalia: è una conseguenza. È lo stesso campo che, per mesi, è stato cavalcato opportunisticamente da figure pronte a salire sui palchi quando la solidarietà garantiva consenso e visibilità, ma del tutto indisponibili a esporsi quando il prezzo diventa reale. In particolare, quegli esponenti di partiti “presentabili” che hanno calcato - e persino convocato, applauditissimi - le manifestazioni oceaniche e le iniziative a sostegno di regate nel Mediterraneo, oggi scompaiono. Gli stessi che, di fronte a restrizioni dirette a soggetti più appetibili sul piano mediatico ed elettorale, si erano spesi in roboanti atti di denuncia, ora tacciono. Zero parole, zero conflitto: Hannoun non è un simbolo spendibile, ma una voce palestinese reale; non un testimonial, ma un soggetto politico. È precisamente per questo che può essere lasciato solo. E perciò gli annacquati politici “progressisti”, inebriati dal lusso delle loro decorate e ostentate dimore natalizie, scelgono la confortevole e complice prudenza del singhiozzo: «la giustizia farà il suo corso, siamo garantisti».

Chi oggi applaude o tace non sta “aspettando gli accertamenti”. Sta dicendo che il problema non è il genocidio, ma chi lo nomina; non è l’occupazione, ma chi la contrasta; non è la violenza coloniale, ma chi non si inginocchia. È tutto insieme un mondo decadente, in putrefazione.

 

Data articolo: Sun, 28 Dec 2025 15:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La Nigeria smentisce la narrazione religiosa di Trump sui bombardamenti

Il governo nigeriano ha chiarito la propria posizione riguardo ai recenti bombardamenti nel nordovest del Paese, respingendo la cornice religiosa in cui il presidente statunitense Donald Trump ha voluto inquadrare l’operazione. A pochi giorni dagli attacchi aerei condotti congiuntamente dagli Stati Uniti e approvati da Abuja, il ministro degli Esteri nigeriano, Yusuf Tuggar, ha ribadito che l’obiettivo dell’azione militare era esclusivamente antiterrorista e non legato a una presunta difesa del cristianesimo.

Trump, in un messaggio pubblicato sulla piattaforma Truth Social, aveva definito l’intervento come una risposta a una “massacro di cristiani” e parte di una campagna globale per “salvare il cristianesimo”. Una narrazione che, secondo Tuggar, non corrisponde alla realtà sul terreno. “Non si tratta di religione, si tratta di nigeriani, civili innocenti”, ha affermato il ministro, sottolineando che le vittime degli attacchi terroristici appartengono a tutte le fedi - musulmani, cristiani, appartenenti ad altre religioni o non credenti - e che la violenza jihadista rappresenta un’offesa ai valori fondanti della Nigeria e alla sicurezza internazionale.

L’operazione, condotta nello Stato di Sokoto con l’approvazione personale del presidente Bola Tinubu, è stata preceduta da una lunga conversazione tra Tuggar e il segretario di Stato USA Marco Rubio. Il ministro ha tenuto a precisare che si è trattato di uno sforzo congiunto, ma ha messo in guardia contro qualsiasi forma di intervento che possa minare la sovranità nazionale. Pur non escludendo una maggiore collaborazione con Washington - già manifestatasi in passato con la fornitura di aerei Super Tucano durante la prima amministrazione Trump - Tuggar ha ribadito che ogni futura cooperazione dovrà rispettare l’integrità territoriale e la piena autonomia decisionale della Nigeria.

Di fronte alle accuse di Trump, che da settimane denunciava un presunto genocidio dei cristiani in Nigeria e aveva persino minacciato un intervento militare diretto, il governo nigeriano ha respinto con fermezza l’idea di una persecuzione religiosa sistematica. In un comunicato ufficiale, il ministero degli Esteri ha ricordato come nigeriani di diverse confessioni abbiano convissuto pacificamente per decenni, praticando liberamente la propria fede. Al tempo stesso, ha chiesto maggiore sostegno internazionale nella lotta al terrorismo, riconoscendo la complessità della minaccia rappresentata dal ramo locale dello Stato Islamico.

Nel frattempo, il segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth ha assicurato che “ci saranno altri” bombardamenti contro il gruppo terroristico. Tuttavia, dal punto di vista nigeriano, ogni azione futura dovrà inserirsi in una strategia condivisa, rispettosa della leadership locale e focalizzata sulla protezione di tutti i civili, senza distinzioni di fede. La Nigeria, dunque, rifiuta di farsi strumentalizzare in una narrazione che divide per religione, insistendo invece sulla natura universale della minaccia terroristica e sull’unità nazionale come fondamento della propria risposta.

Data articolo: Sat, 27 Dec 2025 16:50:00 GMT
MondiSud
Da Guaidó a "la Sayona": Maduro bolla i pupazzi USA e denuncia l'assedio per le risorse


di Fabrizio Verde

Il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro, ha lanciato una forte accusa, diretta e senza mezzi termini, contro gli Stati Uniti, dipingendo un quadro di aggressione sistematica il cui fine ultimo è palesemente il controllo delle immense risorse naturali del paese sudamericano. In un discorso tenuto durante il Consiglio dei Ministri nella capitale Caracas, Maduro ha smontato le narrative costruite da Washington, affermando che dietro la campagna internazionale contro il governo bolivariano non vi è la persona di "Maduro", ma piuttosto il petrolio, l'oro, le terre rare e la ricchezza del sottosuolo venezuelano. "Non possono dire di Maduro che ha armi di distruzione di massa, nessuno gli crederebbe. Non possono dire che ha armi biologiche o chimiche, o che sta costruendo una bomba atomica", ha dichiarato il leader bolivariano, sottolineando come, in assenza di queste classiche accuse utilizzate dall’imperilialismo per scatenare guerre, le autorità statunitensi ripetano "permanentemente quattro o cinque menzogne".

Il contesto di questa nuova denuncia è l’escalation militare e diplomatica che Caracas denuncia – a ragion veduta - come un vero e proprio assedio militare. Da agosto, gli Stati Uniti mantengono nel Mar dei Caraibi il più ampio dispiegamento navale e aereo degli ultimi decenni, inizialmente giustificato con la lotta al narcotraffico ma che, come evidenzia il governo venezuelano, ha mostrato il suo vero volto. La narrazione ufficiale di Washington, infatti, ha subito una prevedibile torsione, passando dalla guerra alla droga a un discorso apertamente centrato sul controllo delle risorse energetiche del Venezuela. Azioni concrete, come la recente requisizione (illegale) di almeno due petroliere da parte statunitense - definita da Caracas un atto di "pirateria" e "furto" -, conferma queste affermazioni. L’operazione ha avuto anche un costo umano: più di cento persone sono morte in oltre venti bombardamenti contro piccole imbarcazioni nelle acque caraibiche e del Pacifico, senza che Washington abbia pubblicamente dimostrato alcun legame di queste con attività illecite.

La tensione ha raggiunto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, convocato d’urgenza su richiesta del Venezuela. Davanti al consesso internazionale, il rappresentante permanente venezuelano, Samuel Moncada, ha condannato le azioni statunitensi definendole come "la riconquista di tutto il continente" e una "massiccia violazione del diritto internazionale". Una posizione che ha trovato un forte sostegno nella Russia, il cui ambasciatore Vasili Nebenzia ha avvertito che quanto accade al Venezuela potrebbe diventare un "modello per future azioni militari contro altri Stati latinoamericani". Anche Cina, Nicaragua, Cuba e diversi paesi della regione, tra cui Messico, Brasile e Colombia, hanno espresso solidarietà a Caracas.

Nel suo intervento, Maduro ha tracciato una cronistoria dei tentativi, tutti fallimentari, di Washington e dei suoi alleati interni di imporre un cambio di regime in Venezuela attraverso il sostegno a leader dell’opposizione estremista e golpista. Ha ricordato figure come Pedro Carmona Estanga, protagonista del golpe del 2002, Henrique Capriles Radonski, sconfitto nelle elezioni del 2013, e Leopoldo López. Con tono particolarmente duro, ha accusato ex funzionari della Casa Bianca - John Bolton, Rex Tillerson, John Kelly e Mike Pompeo - di aver "inventato" Juan Guaidó, investendo in lui "migliaia di milioni di dollari". Oggi, ha affermato, la stessa strategia si ripete evidentemente con María Corina Machado, da lui descritta come "la nuova versione di Guaidó", soprannominata "la Sayona", di "pensiero estremista e mente isterica". "Hanno sempre scommesso sull'estremismo", ha dichiarato Maduro, contrapponendo a questa strategia la costruzione da parte del chavismo di una "patria rafforzata, bella, pacifica e sovrana".

Il fulcro della risposta venezuelana è però una ferma dichiarazione di resistenza nazionale. Con un passaggio in inglese, il presidente ha scandito che è "impossible" per gli Stati Uniti imporre un modello di "dominazione coloniale e schiavista" per depredare le risorse del paese. "Qui c'è un popolo radicato nel territorio, nelle comunità, nelle università, nelle fabbriche, nelle caserme", ha proclamato, "e questo popolo ha dimostrato sufficiente capacità di condurre la nostra patria per il buon cammino". Un messaggio che vuole essere al tempo stesso di fermezza e di apertura al dialogo, ma solo se basato sul "rispetto reciproco". Maduro ha infine lanciato un appello ai media statunitensi, invitandoli a liberarsi dall'influenza delle molti "lobby" – da quella petrolifera ai corrotti di Miami - e ad aprire gli occhi sulla "Venezuela profonda che vuole la pace", che ha dalla sua "la ragione storica, legale, giuridica" e, ha concluso, "le benedizioni di Nostro Signore Gesù Cristo".

Data articolo: Sat, 27 Dec 2025 16:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Ucrainizzazione di ANPI e Russofobia. Volano stracci...


di Agata Iacono

Dopo l'aggressione del gruppo di facinorosi violenti ucronazisti al convegno sulla Russofobia, organizzato a Napoli da ANPI - NA Zona Orientale Sez. "Aurelio Ferrara", ho cercato invano, indefessamente, una dichiarazione ufficiale di ANPI che condannasse l'irruzione dei lettori di Kant...
 
Invano.
 
Ma come è possibile, mi chiedevo ingenuamente, che proprio ANPI, che ha ospitato il convegno sulla Russofobia, vietato a Torino dal PD, non si senta in diritto e in dovere di denunciare la gravissima aggressione di nazisti violenti, per combattere i quali sono morti i nostri partigiani?
 
E, invece, eccola qui la dichiarazione ufficiale della segreteria nazionale, in un post su facebook.
 
 
 
Nonostante il giorno di festa, per Santo Stefano, è successo il finimondo.
L'ucrainizzazione dell'associazione partigiani d'Italia è nero su bianco, anzi nero su sfondo rosso con tanto di meme.
E volano stracci.
Per fortuna.
 
Scrive ANPI:
 
«L’ANPI ribadisce le sue chiarissime posizioni sul conflitto in Ucraina, la condanna dell’invasione russa, l’urgenza di operare per una soluzione negoziata del conflitto, la necessità di fermare la folle corsa al riarmo e respinge radicalmente qualsiasi accusa al Presidente della Repubblica che rappresenta l’unità nazionale. 
In merito all’episodio avvenuto in una iniziativa promossa da una sezione dell’ANPI di Napoli e non condivisa dalla Segreteria nazionale, la prima cosa da fare è abbassare i toni.
Nei fatti, al termine di una affollatissima conferenza pubblica, è stato organizzato un flash mob di contestazione. 
Abbiamo poi registrato un crescendo inaccettabile di strumentale rumore e di calunnie rivolte all’Associazione nazionale che respingiamo con sdegno, ma anche con amarezza, perché in qualsiasi polemica non dovrebbe mai sfuggire a personalità della politica e delle istituzioni il limite dell’offesa e della diffamazione.
L’ANPI, per sua natura e costituzione, considera un valore il pluralismo e la dialettica democratica: beni da salvaguardare, anche nei confronti più aspri».
 
La Segreteria nazionale ANPI
 
#Pace
 
 
L'aggressione dei seguaci di Bandera e del battaglione Azov diventa un piccolo "Flashmob di contestazione".
ANPI si schiera ufficialmente con l'Ucraina, contro "l'invasione russa", come un calenda o una Pina Picerno qualsiasi.
 
https://www.facebook.com/share/p/1DGrhkPCtH/
 
Chiama pluralismo e dialettica il vandalismo e la violenza di quattro nazisti disertori, come se i martiri della nostra resistenza antifascista, invece di lottare, si fossero piuttosto dovuti "confrontare" con i fascisti a farsi menare democraticamente...
 
I commenti sotto il post delineano una profonda spaccatura, ma il più rilevante è quello della sezione ANPI che ha ospitato il convegno.
 
"alcune doverose precisazioni:
1. quella del 22 è stata una chiara aggressione di stampo squadristico, altro che flashmob;
2. l'iniziativa è stata concordata con la ANPI nazionale, tanto da prevedere ufficialmente la presenza del responsabile per il Mezzogiorno della Segreteria nazionale ANPI assente solo perché gravemente ammalato;
3. l'iniziativa era comunque presieduta ed introdotta dall'autorevole Compagno Marino, del Comitato nazionale ANPI, cofondatore dell' ANPI a Napoli;
4. alla gremitissima iniziativa erano presenti ed alla presidenza 7 Presidenti di Sezioni ANPI, con ampie delegazioni delle Sezioni stesse ;
5. agli attacchi violenti abbiamo comunque risposto con compostezza e dando COMUNQUE la parola ai facinorosi;
7. per una contestazione molto meno dura a tale Fiano si provvide ad esprimergli solidarietà entro poche ore ;
8. accogliamo con soddisfazione la solidarietà che ci giunge da innumerevoli organizzazioni e compagni da tutta Italia, comprese quelle dell' ANPI ;
9. facciamo presente che fanno fede i filmati integrali dell'evento, avallati da autorevoli organi di stampa, compreso il Corriere della Sera ;
10. rimaniamo in attesa, rispettosamente ma fermamente, di un confronto con gli estensori di questo comunicato."
 
ANPI - NA Zona Orientale Sez. "Aurelio Ferrara"
 
https://www.facebook.com/share/1G3YufvMv3/
 
Credo che le parole di di Marinella Mondaini, figlia di Francesco Mondaini, partigiano dell’8 Brigata Garibaldi, tesserato ANPI, siano, tra i tantissimi post, le più incisive:
 “L’ANPI nazionale ha pubblicato questo coacervo di contraddizioni.Incredibile e doloroso, ma vero. Dunque si pone contro la Russia, della cui Operazione Speciale in Ucraina non ha capito nulla; si pone a favore e sostiene il l regime neo nazista ucraino, nato da un colpo di Stato nel 2014 e usurpato dal 20 maggio 2024 dal folle dittatore Zelenskij; si pone a totale favore e sostegno del presidente Mattarella, il quale ritiene “necessaria come non mai la spesa per dotarsi di efficaci strumenti che garantiscano la difesa collettiva, anche se è sempre stata comprensibilmente poco popolare”. Dunque Mattarella un grande sostenitore del riarmo e l’ANPI nazionale lo sostiene mentre dichiara “la necessità di fermare la folle corsa al riarmo. Che vergogna, come si fa a non sostenere e condannare “l’invasione russa” quando la Russia è stata costretta a intervenire per fermare il genocidio dei neo nazisti al potere a Kiev, con l’aiuto dalla NATO?I nostri padri partigiani si rivoltano nella tomba! Io, figlia di Francesco Mondaini, partigiano dell’8 Brigata Garibaldi, tesserato ANPI. Per fortuna, devo amaramente dire, non legge e non vede il vostro scempio, gli errori madornali che state commettendo".
 
https://www.facebook.com/share/172b659ZJY/
 
Che esplodano, finalmente, le contraddizioni di una istituzione che, sui cadaveri dei nostri partigiani, il 25 aprile sventola bandiere ucraine e israeliane.
Noi, a Roma, ce ne eravamo già accorti...
Data articolo: Sat, 27 Dec 2025 15:12:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Le spese militari, la "nota aggiuntiva" alla Legge di bilancio


di Federico Giusti

Le spese militari? A legge di Bilancio non ancora approvata sappiamo già che cresceranno esponenzialmente, basta invocare nuovi pericoli nazionali ed internazionale per accrescere i capitoli di spesa a fini di guerra.

Perchè, a scanso di equivoci, è bene sapere che nuovi sistemi di arma frutto di anni di ricerca e di complicate produzioni dovranno essere testate in un campo di battaglia. Non si costruiscono cannoni a fin di pace, tutte le storielle sulla deterrenza armata non hanno mai retto al cospetto della storia, le guerre spaziali negli Usa, tra gli anni ottanta e inizio novanta avevano l'obiettivo di mandare in crisi il blocco sovietico (incapace di reggere la competizione) ma anche di spianare la strada a processi di innovazione tecnologica duale (civile e militare)

Mentre il Parlamento italiano è ancora impegnato nella approvazione della Legge di Bilancio, leggendo i documenti aggiuntivi redatti dal Mef si inizia a comprendere come ogni uscita del Ministro Crosetto non sia occasionale ma ben studiata

Nel momento in cui si parlava di minacce interne e guerre ibride, la conferenza stampa in Parlamento sulla riforma dell'esercito annunciata per inizio 2026 mentre in Germania le piazze si riempivano contro la leva obbligatoria, puntualmente il ministro Crosetto interveniva con alcune puntualizzazioni che poi abbiamo ritrovato nei programmi di Governo.

Il peso di questo ministro nell'Esecutivo Meloni è senza dubbio tra i più rilevanti.

Le prossime settimana saranno dedicate intanto alla riorganizzazione della Difesa, quali saranno le linee guida le apprendiamo dalla nota integrativa al disegno delle Legge di Bilancio

 -   eliminare le duplicazioni e velocizzare il processo decisionale;
 -   attestare e razionalizzare le funzioni critiche, di policy e indirizzo, all’Autorità Politica;
 -  rivedere e modernizzare la formazione del personale, definendo le competenze necessarie e creando i percorsi per acquisirle; 
 -  rivedere e rendere più dinamica la gestione della comunicazione; - dare impulso alla ricerca e sviluppo, razionalizzando le capacità interne e coinvolgendo gli attori esterni, pubblici e privati; 
 -  rivedere il corpo normativo e proporre modifiche per snellire e velocizzare le procedure.

DLBNOT1C_120.pdf

Gli argomenti trattati sono sempre gli stessi, a pensarci bene non rappresentano una novità, si parla da tempo di evitare doppioni anche nella produzione dei sistemi di arma ma tra il dire e il fare c'è sempre grande differenza come dimostra il riarmo europeo delle ultime settimane, l'acquisto da parte tedesca di sistemi missilistici dagli Usa (anche da Israele?) quando avrebbe potuto attingere da produzioni europee.

Non basta la sinergia tra aziende per dotarsi di una politica militar industriale competitiva con Usa e Israele, molto dipende dai tempi del riarmo, dalle spinte costruite ad arte da parte degli Usa per favorire corposi e veloci acquisti di armi bruciando sul tempo il complesso Ue. E se guardiamo alla alleanza tra due colossi del settore militare europeo, una azienda tedesca e una italiana si capisce che entrambe guardano con crescente interesse alla produzione negli Usa in sinergia con marchi locali, al contrario di quanto invece vorrebbe la Francia di Macron.

E, a nostro modesto avviso, per ragioni differenti tra loro,  tanto la Germania quanto l'Italia potrebbero essere i paesi che maggiormente spingono in una certa direzione auspicata, guarda caso, dagli Usa.

E nel frattempo Crosetto spiega quali saranno gli indirizzi della riforma del sistema militare che sarà ancora costruito su base volontaria.

Urge tuttavia ridurre l’età media del personale, al progressivo “invecchiamento” dei Graduati si risponde con una corsia preferenziale agli ex militari nella Pubblica amministrazione, regole previdenziali differenti dai civili e senza dubbio più favorevoli, un welfare potenziato, la formazione per destinare militari avanti negli anni ad altre mansioni, da qui la necessità di sviluppare e padroneggiare le nuove tecnologie (in primis dominio dello spazio e cyber).

Ma quello che temiamo è ben altro ossia l'acquisire da parte del settore militare una peso sempre maggiore nello Stato e nella comunità secondo quei dettami da economia di guerra già sperimentati nel da altri paesi. Serviranno poi percorsi celeri per far passare i militari inidonei ai servizi civili favorendo l'immediata assunzione in ruolo di nuove e più giovani figure professionali in campo bellico, sarà necessario intervenire nella legislazione vigente e favorire la capacità reclutativa fino alla istituzione di una “Forza di Riserva” (sul modello israeliano e in parte tedesco), aggiuntiva alle Forze regolari.

Aspettiamoci allora una vera e propria riforma del sistema pensionistico per i militari, una sorta di "previdenza dedicata" che sarà senza dubbio vantaggiosa rispetto alle norme adottate in ambito civile.

Ove si parla di valorizzare le competenze altamente qualificate possiamo anche attenderci aumenti stipendiali assai maggiori di quelli accordati ai lavoratori pubblici.

Uno spazio ad hoc meriterebbe l’introduzione di misure di mitigazione economica, rispetto all’aumento generalizzato del costo della
vita, a favore del personale militare che, con le relative famiglie, è tenuto a trasferirsi per esigenze di servizio in ambito nazionale ed estero. Se un insegnante o un infermiere va  a lavorare lontano da casa deve sostenere innumerevoli spese, al contrario il militare avrà una sorta di welfare a sua disposizione, case magari a disposizione e interventi atti ad agevolare il suo trasferimento. Questa è la economia di guerra ossia un sistema pubblico piegato alla guerra e ai suoi voleri.

Data articolo: Sat, 27 Dec 2025 14:58:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Geopolítica del Mar Rosso: perché Israele riconosce il Somaliland?

Nel giro di poche ore, la mossa diplomatica di Israele ha scatenato un terremoto geopolitico. Dopo che Tel Aviv ha riconosciuto ufficialmente la repubblica autoproclamata di Somaliland come Stato indipendente e sovrano, diventandone il primo alleato internazionale, l'attenzione si è immediatamente spostata sulla reazione degli Stati Uniti. Tuttavia, il presidente Donald Trump ha bruscamente spento ogni speculazione, prendendo le distanze dall'iniziativa israeliana con un secco rifiuto. "Chi sa veramente cos'è Somaliland?", ha dichiarato telefonicamente al New York Post da un campo da golf in Florida, aggiungendo, quando interrogato su un eventuale riconoscimento USA: "Semplicemente di no".

La freddezza di Trump contrasta con le intenzioni del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che aveva annunciato di voler discutere con il presidente statunitense, in un incontro previsto per lunedì, della possibile adesione di Somaliland agli Accordi di Abramo. Questi accordi, siglati nel 2020 su impulso della stessa amministrazione Trump, avevano normalizzato le relazioni tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Netanyahu ha giustificato il riconoscimento di Somaliland proprio come un'espansione di quello "spirito". Tuttavia, Trump ha chiarito di non volersi lasciare influenzare, auspicando piuttosto che il colloquio con Netanyahu si concentri sulla situazione nella Striscia di Gaza.

La decisione israeliana, presa in un momento di crescente isolamento internazionale per le sue operazioni militari (leggi genocidio) a Gaza, è ampiamente interpretata come una mossa strategica per aprirsi un varco nel Corno d'Africa. Analisti israeliani sottolineano la necessità di acquisire alleati nella regione del Mar Rosso, cruciale per le rotte commerciali e per possibili scenari di confronto con gli Houthi dello Yemen. La posizione strategica di Somaliland, affacciata sul Golfo di Aden, ne fa un partner potenziale di valore.

Questa logica, però, si scontra con un muro di condanne internazionali. La manovra è stata definita un "fatto compiuto" che mina il diritto internazionale e la stabilità regionale. Oltre cinquanta paesi, insieme all'Unione Africana e a governi chiave come Turchia, Egitto e Gibuti, hanno respinto con forza il riconoscimento. L'Unione Africana ha espresso "profonda preoccupazione", ribadendo il sostegno all'integrità territoriale della Somalia e avvertendo che si crea un "precedente pericoloso" per tutto il continente.

La Turchia ha bollato la decisione come un "nuovo esempio di azioni illegali" che generano instabilità, paragonando la negazione del diritto alla statualità per la Palestina alla creazione artificiale di nuovi Stati in Africa. Il governo somalo, dal canto suo, ha denunciato un "attacco deliberato" alla sua sovranità, ricordando che il Somaliland è una parte inalienabile del suo territorio.

Mentre Trump chiude la porta a un impegno USA, la comunità internazionale si stringe attorno alla Somalia, lasciando Israele solo, per ora, nel suo riconoscimento. La partita sul Somaliland si rivela così non solo una questione di autodeterminazione, ma uno specchio delle tensioni geopolitiche globali, dove le alleanze si frammentano e il diritto internazionale viene sfidato da calcoli di pura realpolitik.

Data articolo: Sat, 27 Dec 2025 14:22:00 GMT
IN PRIMO PIANO
ONU: esperti definiscono "attacco armato" il blocco navale USA al Venezuela

Il governo venezuelano ha posto nuovamente sotto i riflettori internazionali la dura questione delle sanzioni statunitensi, questa volta attraverso un rapporto di esperti delle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri Yván Gil ha diffuso tramite i suoi canali ufficiali il documento, definendo il blocco navale imposto da Washington "illecito e unilaterale". Secondo Caracas, queste misure rappresentano una palese aggressione non solo contro il paese sudamericano, ma contro l'intera regione, minacciando diritti fondamentali come la pace, il libero commercio e la navigazione.

Gli esperti delle Nazioni Unite, i cui pareri sono stati fatti propri dal governo venezuelano, sollevano un'accusa gravissima. Questi sostengono che non esista alcun diritto a imporre sanzioni unilaterali attraverso un blocco, arrivando a qualificare tale azione come un vero e proprio "attacco armato". Questa definizione, che richiama l'articolo 51 della Carta ONU, apre a scenari giuridici di notevole peso, poiché quel articolo sancisce il diritto all'autodifesa in caso di aggressione.

Il rapporto degli specialisti internazionali avanza preoccupazioni precise, sottolineando come le sanzioni possano configurarsi come illegali, sproporzionate e punitive secondo il diritto internazionale. La condanna si estende oltre l'aspetto economico, toccando un nervo scoperto: il diritto alla vita. Gli esperti, infatti, collegano le misure coercitive alle esecuzioni extragiudiziali, denunciando come queste ultime costituiscano una violazione arbitraria e inumana di un diritto inviolabile.

Il Ministero degli Esteri venezuelano, nel ribadire il suo totale ripudio, ha espresso apprezzamento per l'appello contenuto nel comunicato ONU a un'azione collettiva degli Stati membri. L'obiettivo dichiarato è la protezione e la salvaguardia del diritto internazionale, che si trova sotto un pesante attacco portato dalle tracotanti politiche unilaterali di Washington. Questa presa di posizione rafforza la campagna diplomatica del governo bolivariano, che è impegnato nel costruire un fronte di consenso contro le pressioni statunitensi, inquadrando la contesa non come una questione bilaterale, ma come una minaccia all'ordine multilaterale e ai principi della Carta delle Nazioni Unite.

Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 17:25:00 GMT
I media alla guerra
I "lupi di Putin": la tabella che smentisce l'ennesima fake news resa virale da Repubblica


di Francesco Santoianni 

In settimana evidenziavamo l’abissale livello raggiunto dai mass media di regime (e il conseguente crollo di lettori) segnalando un articolo apparso su Repubblica sui soldati di Putin costretti a scappare a dorso di cavalli o asinelli di fronte all’avanzare dell’esercito ucraino; articolo anonimo e, forse, imposto dalla direzione editoriale. Oggi Repubblica sfodera un altro capolavoro, questa volta firmato dal suo giornalista di punta, intitolato: << La guerra di Putin uccide in Finlandia: i lupi sconfinano e fanno strage di renne. I cacciatori si sono dovuti arruolare e così questi predatori si riproducono indisturbati e cercano cibo al di là della frontiera >>; una “notizia” (creata su un controverso articolo della CNN <<Le "renne di Babbo Natale" sono a rischio. La colpa è dei lupi russi?>>) che si direbbe faccia da pendant con un’altra subdola campagna stampa contro la Russia basata su un altro simpatico animale: il “delfino di Putin”.

Ma addentriamoci nella disamina dell’articolo della CNN il cui titolo, a differenza di quello di Repubblica, si conclude con un punto interrogativo e che, sostanzialmente, si limita a riportare, con sorprendente cautela, la teoria dei bracconieri russi (in Russia, circa 100.000 esemplari, il lupo è una specie protetta) che sarebbero ora impegnati in Ucraina.

<<La teoria è che le renne finlandesi vengano uccise in gran numero dai lupi russi che attraversano il confine di oltre 1.300 chilometri che corre tra i due paesi. Il motivo esatto per cui i lupi in queste regioni di confine russe stiano attraversando il confine con la Finlandia è oggetto di un continuo dibattito scientifico. Alcuni media russi hanno documentato l'impatto dell'industria del legname sugli habitat della fauna selvatica in questa parte del Paese. Un’altra teoria punta (invece) alla guerra in Ucraina. (…)

Sebbene le popolazioni di lupi siano aumentate in tutta Europa, la spiegazione più diffusa in Finlandia per il numero record di attacchi di lupi nelle regioni settentrionali di allevamento delle renne si trova a centinaia di chilometri di distanza: nelle profondità delle trincee russe dell'Ucraina. (…) Si dice che in Russia si stiano cacciando meno lupi, grazie al reclutamento di massa e alla parziale mobilitazione di uomini abili al combattimento – cacciatori inclusi – nello sforzo bellico russo in Ucraina. E questo porterebbe a un'esplosione di predatori come orsi, ghiottoni, linci e lupi, tutti predatori di renne.>>

Ovviamente, dell’aumento del numero degli orsi, dei ghiottoni (mammiferi carnivori della famiglia dei mustelidi) e delle linci, nessuna traccia. In compenso, gli scienziati intervistati dalla CNN si affidano (oltre ad un insolito DNA ritrovato nelle feci di lupi) ad una tabella che dovrebbe attestare il legame tra l’aumento delle aggressioni dei lupi e la guerra in Ucraina.





In realtà, quello che la tabella evidenzia si direbbe un aumento progressivo delle aggressioni dei lupi cominciato nel 2013 e, rispetto al 2021, un vistoso calo del numero delle aggressioni (registrato negli anni 2022, 2023, 2024). Una situazione che, in Finlandia, nonostante l’inconsistenza della documentazione, ha scatenato la psicosi dei “lupi di Putin” e una legge, che abrogando una protezione in vigore dal 1973, permetterà di uccidere ben 65 lupi su una popolazione complessiva di appena 400 esemplari.

Poveri lupi. E povero Babbo Natale che, ora senza renne, si è ridotto a derubare i bambini. Ovviamente, per colpa di Putin.

 



 

 

Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 17:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Bombe USA sulla Nigeria musulmana. Lo sceicco: "Basta con Washington, andiamo da Cina e Turchia"

Nel cuore della notte di Natale, quando Washington era immersa nelle celebrazioni, un annuncio su Truth Social ha proiettato la Nigeria al centro della politica estera statunitense. "Questa notte, sotto la mia direzione, gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell'ISIS nel nord-ovest della Nigeria". Con queste parole, il presidente Donald Trump ha rivendicato un raid aereo nello Stato nigeriano di Sokoto, scatenando un turbine di reazioni che mescola sicurezza, geopolitica, fede e campagna elettorale.

L'operazione, definita "su richiesta delle autorità nigeriane" dal Comando Africano degli Stati Uniti (AFRICOM) e confermata dal Ministero degli Esteri di Abuja come parte di una "cooperazione strutturata", è stata presentata da Trump come la risposta a una crisi umanitaria di proporzioni storiche. Già a inizio novembre, il presidente aveva tuonato contro quello che definiva un genocidio: "I combattenti dell'ISIS hanno attaccato e brutalmente ucciso cristiani innocenti, a livelli non visti in molti anni, persino secoli!", promettendo che se gli attacchi non fossero cessati, si sarebbe scatenato "un inferno".

Il simbolismo dell'attacco nel giorno del Natale non è stato casuale. "Auguro Buon Natale a tutti, inclusi i terroristi morti, che saranno molti di più se il massacro di cristiani continua", ha scritto Trump. Un messaggio che risuona potentemente tra la sua base: gli elettori cristiani evangelici, tra i suoi sostenitori più ferventi, per i quali la difesa dei correligionari perseguitati all'estero è una priorità assoluta.

Tuttavia, sul terreno nigeriano, il quadro dipinto da Trump si scontra con una realtà più complessa. Il governo di Abuja ha prontamente respinto le sue accuse di una persecuzione esclusivamente anti-cristiana, sottolineando come i gruppi jihadisti colpiscano indiscriminatamente sia comunità musulmane che cristiane. La sicurezza nazionale, affermano, non può essere ridotta a una narrativa religiosa binaria.

Il raid ha colpito Sokoto, uno Stato a schiacciante maggioranza musulmana. Secondo analisti di sicurezza consultati da AP, il bersaglio più probabile non è la ben nota filiale di Boko Haram, ma un gruppo meno conosciuto affiliato all'ISIS chiamato Lakurawa. Questo gruppo, emerso con forza negli ultimi anni, controlla territori negli Stati nord-occidentali, approfittando del vuoto lasciato dal governo centrale e dalle forze di sicurezza. Come ha ammesso lo stesso ministro della Difesa nigeriano, Christopher Musa, la soluzione alla crisi è solo per il 30% militare; il restante 70% dipende dall'applicazione di politiche efficaci e dallo sviluppo.

È proprio da Sokoto che è arrivata la reazione più veemente e carica di conseguenze politiche. L'influente sceicco musulmano Sheikh Ahmad Abubakr Mahmud Gumi ha condannato il raid come un atto simbolico di una nuova "crociata anti-islamica". In una dichiarazione infuocata, Gumi ha invocato la fine di ogni cooperazione militare con gli Stati Uniti, accusati di "tendenze imperialiste globali". "Il coinvolgimento degli USA, giustificato con la scusa di 'proteggere i cristiani', non farà altro che polarizzare la nostra nazione e violare la nostra sovranità", ha affermato il clerico.

La sua proposta è radicale: abbandonare l'alleato statunitense e rivolgersi a partner considerati più neutrali, come Cina, Turchia e Pakistan, per un supporto militare meno carico di bagagli ideologici. "Come principio, nessuna nazione dovrebbe permettere che la propria terra diventi un teatro di guerra. E nessuna nazione dovrebbe permettere che i suoi vicini diventino i suoi nemici", ha aggiunto Gumi, delineando una visione di non-allineamento.

Mentre il Segretario alla Guerra USA, Pete Hegseth, promette che "ce ne saranno altri", il rischio per la Nigeria è di trovarsi stretta in una morsa pericolosa tra terrorismo e imperialismo statunitense. 

Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 16:47:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Zakharova: le sanzioni sono l'ultimo strumento del neocolonialismo occidentale

Il tentativo dell'Occidente collettivo di mantenere un dominio che sta sfuggendo di mano attraverso misure coercitive unilaterali "in un mondo multipolare non regge". Lo ha affermato la portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, lanciando un duro attacco contro la politica sanzionatoria guidata dagli Stati Uniti e dai loro alleati/vassalli.

Secondo la diplomatica, il potere di imporre tali misure spetta esclusivamente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e la prassi delle sanzioni unilaterali ne viola i diritti esclusivi. "Tutti sanno che l'Occidente collettivo vi ricorre frequentemente, mosso principalmente da interessi geopolitici", ha sottolineato Zakharova.

Nel suo intervento, ha definito queste misure "un serio ostacolo all'instaurazione di un ordine mondiale multipolare giusto ed equo" e "uno dei principali strumenti della politica neocoloniale dell'Occidente". Il loro obiettivo, ha accusato, è "aggrapparsi a un dominio che scivola via, privare la maggioranza globale del diritto a una scelta politica indipendente e ostacolarne lo sviluppo economico, tecnologico e industriale".

Zakharova ha anche respinto gli sforzi di chi promuove queste sanzioni per dipingerle come "mezzi pacifici per risolvere le controversie", affermando che tali pretese non reggono a un esame approfondito. Ha evidenziato come le misure coercitive unilaterali, ostacolando il pieno sviluppo socio-economico dei paesi del Sud e dell'Est del mondo, finiscano per minare la risoluzione delle crisi. La loro applicazione indiscriminata, ha aggiunto, viola diritti umani fondamentali, colpendo in modo sproporzionato le fasce più vulnerabili, come più volte condannato in risoluzioni dell'Assemblea Generale e del Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU.

La portavoce ha concluso indicando che il "Gruppo di amici in difesa della Carta delle Nazioni Unite", che include la Russia, è in prima linea nella lotta contro queste pratiche. "Siamo convinti che nella giusta architettura multipolare delle relazioni internazionali a cui aspiriamo non ci sia posto per la coercizione o l'egemonia neocoloniale. Insieme ai nostri partner - membri responsabili della maggioranza globale - continueremo a combattere tutte le vestigia dell'epoca coloniale vergognosa", ha concluso Zakharova.

Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 16:03:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Putin svela il balzo dell'industria bellica e fissa i nuovi obiettivi: droni, IA e forze strategiche

Il presidente russo Vladimir Putin, nel corso di un incontro sul programma statale per gli armamenti, ha delineato una visione chiara e risoluta del presente e del futuro delle Forze Armate della Federazione Russa, forgiate da quella che definisce "un'esperienza unica" maturata nella zona dell'operazione militare speciale. In un intervento che ha toccato i temi della modernizzazione, della produzione industriale e della disponibilità al dialogo, il capo del Cremlino ha sottolineato come il carattere dinamico del conflitto stia plasmando un esercito senza pari al mondo.

Come evidenziato da Putin, la natura, le forme e i metodi delle azioni di combattimento si evolvono costantemente, e il "bagaglio assolutamente inestimabile" acquisito dalle truppe al fronte viene integralmente trasfuso nella definizione del nuovo profilo delle Forze Armate e del complesso militare-industriale. Un processo di apprendimento continuo che diventa la pietra angolare per lo sviluppo futuro. Il presidente ha quindi ribadito con forza un concetto: le Forze Armate russe sono una realtà totalmente unica, composta da professionisti temprati dal fuoco della battaglia. "Non esiste un esercito simile al mondo. Semplicemente non esiste", ha affermato, riconoscendo al contempo l'esistenza di "molti problemi" ma descrivendo le truppe che ritornano dal fronte come "completamente diverse", ormai "indurite dal combattimento".

Pur nell'evidente orgoglio per questa forza in ascesa, Putin ha voluto riaffermare la tradizionale posizione negoziale di Mosca. "Come prima, siamo pronti ad avviare negoziati e a risolvere in modo pacifico tutti i problemi sorti negli ultimi anni", ha dichiarato, bilanciando la dimostrazione di potenza con un'apertura diplomatica.

Il potenziamento dell'esercito poggia saldamente sulle spalle di un complesso militare-industriale che, stando alle parole del presidente, opera ormai in un regime stabile ed efficiente. Putin ha fornito numeri precisi sulla crescita produttiva, evidenziando aumenti multipli rispetto al 2022 per le categorie più cruciali. La produzione di mezzi di protezione individuale corazzata è cresciuta di quasi 18 volte, mentre quella di munizioni e sistemi di attacco ha superato le 22 volte. Impressionanti anche gli incrementi per la tecnica blindata, i veicoli leggeri corazzati, l'aeronautica e l'armamento missilistico-artiglieristico, i cui volumi produttivi sono saliti, rispettivamente, di 2,2, 3,7, 4,6 e 9,6 volte.

Questo sforzo titanico, reso possibile anche da tempestive misure di sostegno statale, è stato esaltato da Putin, che ha ringraziato i collettivi degli stabilimenti della difesa per il loro "lavoro dedicato e valoroso". Tuttavia, il presidente ha anche indicato come obiettivo ulteriore la riduzione dei costi di produzione, ammettendo che "qui c'è sicuramente ancora su cosa lavorare". Ha poi collegato esplicitamente questo successo industriale alla salute dell'intera economia nazionale, sottolineando come senza una situazione stabile nella finanza e nell'economia nel suo complesso un simile traguardo sarebbe stato irraggiungibile.

Guardando al prossimo decennio, l'incontro ha avuto come obiettivo la definizione dei parametri fondamentali del nuovo Programma Statale per gli Armamenti 2027-2036. Putin ha posto l'accento sulla necessità di sviluppare ulteriormente la base di test e i poligoni, di implementare le tecnologie dell'intelligenza artificiale e di creare materiali avanzati. Questi indirizzi si inseriscono in un quadro strategico più ampio, già illustrato dal Ministro della Difesa Andrey Belousov, che poggia su quattro pilastri: la definizione di priorità chiare (forze nucleari strategiche, mezzi spaziali, difesa aerea, droni e sistemi basati su nuove tecnologie come l'IA), la costruzione del programma in base alle capacità di combattimento future, la sincronizzazione tra sviluppo, acquisizione e infrastrutture, e l'aumento della produttività nel settore della difesa.

Il programma, che interesserà l'intero spettro degli armamenti di nuova generazione, si baserà al massimo grado sull'esperienza acquisita nell'operazione militare speciale. Un'attenzione particolare sarà riservata al potenziamento della triade nucleare, già modernizzata al 95%, e alla creazione di sistemi d'arma moderni per l'aviazione.

Il messaggio che emerge è quello di una Russia che, partendo dalle prove del presente, sta già costruendo metodicamente il proprio strumento di sicurezza e difesa per i decenni a venire.

Data articolo: Fri, 26 Dec 2025 15:48:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Le parole di Natale di Zelensky scatenano polemiche e reazioni internazionali

Il discorso natalizio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky continua a generare un acceso dibattito, travalicando i confini nazionali e sollevando interrogativi sulla sua natura e sul suo impatto. Dalle colonne dei giornali britannici ai microfoni del Cremlino, le parole pronunciate in occasione delle festività hanno suscitato a giusta ragione forti reazioni, alimentando un fuoco di polemiche che mescola critiche morali, giudizi politici e analisi psicologiche.

In un video trasmesso per il Natale, celebrato il 25 dicembre in Ucraina dopo la riforma del calendario voluta dallo stesso Zelensky nel luglio 2023, il leader del regime di Kiev ha espresso un desiderio che ha colpito per la sua violenza intrinseca. "Oggi il sogno di tutti noi è uno solo e il desiderio che chiediamo è lo stesso per tutti: che muoia", ha dichiarato, senza specificare a chi fossero indirizzate queste parole, sebbene il contesto del conflitto con la Russia lasci pochi dubbi sull'implicito destinatario.

Oltremanica, i lettori del Telegraph hanno accolto con forte critica il messaggio. Un lettore, John O'Connor, ha sottolineato la dissonanza tra il contenuto della dichiarazione e lo spirito della ricorrenza, scrivendo: "Questa è una dichiarazione scioccante per un discorso di Natale. Chiaramente non ha letto il Sermone della Montagna". Altri commenti hanno dipinto l’immagine di un leader sotto pressione: "Parole di una persona debole, perdente e rancorosa", ha osservato un utente, mentre Lynn Hughes-Wilson ha giudicato il pensiero come poco saggio, affermando che "sarebbe stato più intelligente tenerselo per sé". L'accusa più diretta è arrivata da Stuart Williams, che ha definito Zelensky un "ipocrita criminale".

La reazione ufficiale russa non si è fatta attendere. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha espresso pubblicamente dei dubbi sulla capacità del presidente ucraino di prendere decisioni adeguate per una risoluzione politica e diplomatica del conflitto. Peskov ha bollato il messaggio come "incolto e rancoroso", arrivando a descrivere Zelensky come "una persona fuori di sé". Una valutazione che va oltre la critica politica, puntando sullo stato mentale dell'interlocutore.

Nel suo intervento, Zelensky aveva anche toccato un nervo religioso, definendo i russi "empi" e affermando che non hanno nulla a che fare con il cristianismo né con "qualcosa di umano". Un’aggiunta che ha ulteriormente inasprito i toni di un messaggio già di per sé carico di odio e frustrazione.

Le violente parole di Zelesnky indicano ancora una volta un pericoloso allontanamento dai principi che il regime neonazista di Kiev dichiara di voler difendere. In un momento tradizionalmente dedicato alla pace e alla riconciliazione, le parole di Zelensky sono volte ad allontanare ulteriormente la prospettiva di un dialogo.

Data articolo: Thu, 25 Dec 2025 18:32:00 GMT

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