NEWS - prima pagina - NEWS - politica - NEWS meteo

Cliccando su i link posti di seguito, si aprirà la pagina delle news relativa al titolo del link stesso


News lantidiplomatico.it

News lantidiplomatico.it

OP-ED
L’economia cinese al servizio del popolo, tra adattamento e progettazione

 

di Fabio Massimo Parenti* - CGTN

A fronte delle incertezze e delle tensioni internazionali, il sistema economico-politico cinese mantiene la sua stabilità e conferma la direzione verso uno sviluppo di alta qualità caratterizzato dall’innovazione come motore di maggiore autonomia e sostenibilità del Paese. Il bilancio del lavoro economico del 2025, anno di conclusione del XIV Piano, è positivo e permette di delineare le manovre per il 2026, quando prenderà avvio il nuovo Piano quinquennale.

Recentemente, il documento di indirizzo macroeconomico della Repubblica popolare, pubblicato pochi giorni fa a seguito della Central Economic Work Conference 2025 del Partito comunista, ha offerto una riflessione articolata su tutti i principali temi del sistema economico-sociale cinese. Si tratta di un forum annuale che, in modo complementare ad altri eventi, contribuisce a definire gli sforzi della leadership finalizzati a garantire stabilità e continuità allo sviluppo economico del Paese. Si badi bene, non si tratta mai di puro tecnicismo economico, ma di un approccio e di un metodo di lavoro che ha al centro una concezione sociale dell’economia, perché la priorità in Cina non è tanto controllare l’inflazione o favorire la domanda interna, necessità indiscutibili, ma perseguire e promuovere la coesione sociale, attraverso manovre economiche ben integrate e coordinate.  

Dopo aver sintetizzato risultati, problemi, orientamento politico ed adesione alla nuova filosofia dello sviluppo cinese, la Conferenza Centrale sul Lavoro Economico ha stabilito otto compiti prioritari per il lavoro economico del prossimo anno. Al riguardo, ci preme richiamare direttamente un paio di punti in relazione all’idea-pratica dello sviluppo guidato dai bisogni del popolo. Al punto sette del documento si legge: “perseverare nel dare priorità al benessere della popolazione e impegnarsi a fare più cose concrete a favore delle masse”. Ecco, questo è sempre l’obiettivo centrale di ogni azione politica cinese e va sempre ricordato: il PCC non si siede sugli allori dei successi già conseguiti.

Ad esempio, il grande traguardo dell’azzeramento della povertà assoluta in Cina, completato nel 2021 con 10 anni di anticipo rispetto alla tabella di marcia Onu, non ha ridotto l’attenzione della leadership su questo tema. Il punto cinque del documento, che affronta l’importante questione dello sviluppo coordinato al livello regionale ed urbano-rurale, sottolinea infatti la necessità di prevenire il ritorno alla povertà per alcuni segmenti sociali e di espandere i risultati delle politiche di riduzione della povertà.

Nel documento si ribadiscono le caratteristiche che hanno ben funzionato fino ad oggi, tanto nella lotta alla povertà quanto nel miglioramento complessivo delle condizioni di vita di centinaia di milioni di persone. Pertanto, lo Stato continuerà a svolgere un ruolo di guida fondamentale nelle dinamiche di mercato, fornendo incentivi fiscali, liquidità, sussidi e più in generale politiche volte al miglioramento di un modello di economia mista Stato-mercato, usando deficit e strumenti fiscali per stimolare domanda e investimenti.

Questo percorso è coerente con la strategia di Pechino di promuovere ed espandere sia i consumi interni, sia le capacità innovative-produttive high-tech, per obiettivi sociali ed ambientali a medio e lungo termine. Le riforme, dunque, continueranno in ogni settore economico ed in ogni area di governance, guardando ai grandi obiettivi del 2035 e del 2049.

I termini più ricorrenti nel documento sono riforme, promozione e stabilità. E’ necessario saper assorbire gli shock, continuare a risolvere i vecchi problemi legati all’immobiliare, ai debiti locali ed alla domanda interna (“rimozione delle restrizioni irrazionali al consumo”), nonché rafforzare il sistema di assistenza sanitaria, aumentando nel contempo l’offerta di beni e servizi di qualità, e favorendo l’integrazione tra investimenti fisici e investimenti in capitale umano. Qui la Cina sta ricostruendo il patto sociale in un contesto internazionale nuovo: la domanda interna diventa dunque uno strumento di coesione nazionale e non solo una leva di crescita.

Come dicevamo, uno degli aspetti più interessanti del documento è che non c’è alcuna opposizione Stato/mercato: si parla di “market vitality”, “effective regulation”, “policies for the Private Sector Promotion Law”, dove lo Stato non sostituisce il mercato, ma lo incanala. Il documento non è aggressivo, ideologico o propagandistico, poiché riconosce i risultati raggiunti, da mantenere e migliorare ulteriormente, ma evidenzia anche le criticità ed i problemi esistenti, tanto sul piano del mercato, quanto sul piano sociale, demografico ed ambientale, offrendo strategie e misure possibili per superarli. La Central Economic Work Conference non annuncia svolte clamorose, perché la vera svolta è già avvenuta: la Cina ha già dimostrato di poter governare la complessità per mezzo di una pianificazione costante, sperimentale, flessibile di lungo periodo.

In un mondo che reagisce a volte in modo irrazionale ed alza muri contro nemici immaginari, Pechino continua a progettare il proprio futuro ponendo l’economia al servizio del popolo.

*Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia

______________________________________________________

UNO SGUARDO DAL FRONTE

 19,00

 
IN USCITA IN TUTTE LE LIBRERIE DAL 12 DICEMBRE.

PER I PRIMI 50 CHE ACQUISTANO IN PREVENDITA: SCONTO DEL 10% E SENZA SPESE DI SPEDIZIONE!

Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 17:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Assange denuncia la Fondazione Nobel: "Premio per la Pace trasformato in strumento di guerra"

Una denuncia penale di portata storica scuote le fondamenta del Premio Nobel per la Pace. Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, ha sporto formale accusa in Svezia contro trenta persone associate alla Fondazione Nobel, inclusi i vertici Astrid Söderbergh Widding e Hanna Stjärne. I reati contestati sono gravissimi: appropriazione indebida aggravata di fondi e facilitazione di crimini di guerra. L'atto giudiziario colpisce al cuore la controversa assegnazione del Nobel per la Pace 2025 alla cosiddetta leader dell'opposizione venezuelana María Corina Machado, figura notoriamente schierata a favore di un intervento armato straniero nel suo paese e golpista dichiarata.

Secondo la denuncia, depositata presso l’Autorità Svedese per i Reati Economici e l’Unità Svedese per i Crimini di Guerra, la Fondazione avrebbe tradito il testamento di Alfred Nobel del 1895, trasformando coscientemente "uno strumento di pace in uno strumento di guerra". Il mandato di Nobel è chiaro: il premio deve andare a chi promuove "la fraternità tra le nazioni" e "l'abolizione o riduzione degli eserciti permanenti". La scelta della Machado, al contrario, rappresenterebbe una flagrante violazione di questo principio fondamentale.

Assange riporta una serie di dichiarazioni che rendono l’esponente dell’opposizione estremista venezuelana "categoricamente ineleggibile" per un premio alla pace. Dalla testimonianza al Congresso USA nel 2014, in cui affermò che "l'unica via rimasta è l'uso della forza", alla recente dichiarazione del 30 ottobre 2025, dove ha sostenuto che "l'escalation militare può essere l'unica via" e che "gli Stati Uniti potrebbero dover intervenire direttamente". Non solo: Machado avrebbe definito "giustificati" e "visionari" attacchi statunitensi a navi civili, con un bilancio di almeno 95 vittime, e ha dedicato il premio all'ex presidente Donald Trump per aver messo il Venezuela "tra le priorità di sicurezza nazionale degli USA".

L'azione legale sottolinea come la cerimonia di premiazione si sia svolta durante quello che analisti militari definiscono il più grande dispiegamento USA nei Caraibi dalla Crisi dei Missili di Cuba, con oltre 15.000 effettivi e la portaerei USS Gerald R. Ford. In questo contesto, il premio da 11 milioni di corone svedesi (1,18 milioni di dollari USA) assume, per Assange, le caratteristiche di un finanziamento a operazioni belliche.

La denuncia cita anche le lodi pubbliche di Machado verso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per le sue azioni a Gaza, azioni qualificate come genocidio dalla Corte Internazionale di Giustizia. Un ulteriore elemento che, secondo l'accusa, dimostra l'allineamento della premiata con politiche di aggressione internazionale.

Assange, perseguitato dagli Stati Uniti per aver rivelato crimini di guerra attraverso WikiLeaks, chiede alle autorità svedesi il congelamento immediato del trasferimento dei fondi a Machado e la restituzione della medaglia, unitamente a un'indagine penale completa sui trenta dirigenti. La Fondazione Nobel, al momento, non si è pronunciata.

Questa denuncia non è solo una questione legale. È un atto di accusa politico e morale che mette a nudo la deriva di un'istituzione che un tempo si voleva prestigiosa, accusata di aver svuotato il concetto di pace per trasformarlo nel suo opposto: un'arma di propaganda a sostegno di un cambio di regime e di escalation militare. Come ha osservato il premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel, citato negli atti, "dare il premio a chi invoca un'invasione straniera è una beffa al testamento di Alfred Nobel". Un monito che ora la giustizia svedese è chiamata a valutare, mentre il mondo osserva se il Nobel per la Pace possa davvero essere assegnato a chi vede nella guerra la "sola via" possibile.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 16:21:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Golpe elettorale in Honduras: portavoce del CNE ribadisce le accuse di brogli

Dopo che sono passate oltre due settimane dalle elezioni presidenziali e legislative, l’Honduras è ancora prigioniero di un’incertezza che mina le fondamenta stesse della sua democrazia e conferma il paventato golpe elettorale favorito dalle ingerenze USA. Il centro della tormenta è il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), accusato di negare risposte alle gravissime denunce di frode nel Sistema di Trasmissione dei Risultati Elettorali (TREP) e di perpetuare così uno stallo carico di tensione.

In una sessione plenaria tenutasi martedì, il portavoce del CNE, Marlon Ochoa, ha lanciato un monito drammatico. Ha denunciato la necessità improrogabile di procedere a un conteggio voto per voto delle 19.167 actas (verbali) del livello presidenziale, delle quali ben 16.839 presentano, come evidenzia, irregolarità di varia natura. Tra queste figurano voti in numero superiore a quelli registrati dal sistema biometrico, somme che non collimano e firme assenti. Un quadro che getta un’ombra lunga sulla regolarità del voto del 30 novembre.

Secondo Ochoa, la fiducia nel sistema non può essere ricostruita “a gocce”, in attesa di accordi tra quelle “cupole specializzate nell’alterare i verbali elettorali”, un chiaro riferimento alle ombre che offuscarono anche le contestate elezioni del 2017. La risposta dell’organismo, tuttavia, sembra andare in direzione opposta. I consiglieri del CNE avrebbero infatti deciso di limitare lo scrutinio speciale a soli 553 verbali presidenziali, aggiungendole ai 1.081 già selezionati in una sessione precedente.

Una misura che, per il portavoce, è del tutto insufficiente e pericolosa. Ochoa ha affermato senza mezzi termini che questa scelta “non va a garantire che si conosca la volontà del popolo honduregno”, con il rischio concreto di proclamare un “falso vincitore”. La sua denuncia si è fatta ancora più specifica, sostenendo l’esistenza di una precisa intenzione di limitare la revisione dei verbali, compromettendo la trasparenza totale e lasciando nell’ombra migliaia di irregolarità potenzialmente in grado di alterare l’esito finale.

La disputa elettorale honduregna si è così interamente trasferita all’interno dello stesso organo che dovrebbe garantirne l’imparzialità. Ochoa insiste pubblicamente che l’unica via per uscire dalla crisi e adempiere alla responsabilità democratica è una sola: uno scrutinio integrale, voto per voto, di tutti i verbali presidenziali. Solo questo, sostiene, potrebbe restituire legittimà a un processo ormai sfilacciato e scongiurare il pericolo che l’Honduras affondi in una nuova, profonda instabilità. Il paese attende, in un silenzio carico di apprensione, una risposta chiara che sembra non arrivare mentre le proteste dei militanti del partito Libre vengono represse dalle forze di polizia.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 15:46:00 GMT
IN PRIMO PIANO
"Guerra civile e destabilizzazione": l'allarme dell'ex generale ucraino Zaluzhny

L'ex comandante in capo delle Forze Armate ucraine, Valerij Zaluzhny, oggi ambasciatore a Londra e papabile successore di Zelensky a capo del regime di Kiev, ha rivolto un severo monito al suo paese riguardo al potenziale "ritorno dal fronte" di centinaia di migliaia di militari. Intervenendo in videoconferenza a un forum, i cui stralci sono stati diffusi dai media locali, Zaluzhny ha delineato uno scenario ad alto rischio di destabilizzazione interna.

Secondo l'ex generale, alla fine delle ostilità potrebbero fare ritorno alle loro case circa un milione di uomini e donne con esperienza di combattimento. Un evento che rappresenterebbe, a suo avviso, "una nuova sfida per lo Stato, per la società e per i soldati stessi". Zaluzhny ha sottolineato con amarezza un paradosso già in atto: "Sebbene i combattimenti continuino, all'interno del paese alcuni hanno già cominciato a etichettare i militari come 'nemici'".

Il pericolo principale, spiega l'ex capo dell'esercito, è il trauma del reinserimento. I reduci potrebbero affrontare un crollo verticale dei redditi, la disoccupazione, la mancanza di un alloggio e profonde difficoltà a reintegrarsi nel tessuto familiare e sociale. Questa condizione di fragilità, avverte Zaluzhny, rende le persone con esperienza bellica vulnerabili a provocazioni e facili reclute per il 'guadagno facile' della criminalità.

"Ne derivano gravi rischi, a partire dall'aumento della criminalità e dell'insicurezza per le strade, come minimo", ha affermato. Per supportare la sua tesi, ha citato gli esempi storici del dopo Seconda Guerra Mondiale e del ritorno dei veterani dall'Afghanistan, con il successivo periodo turbolento degli anni Novanta. Il monito si fa poi ancora più cupo: "Tutto questo potrebbe condurre a rischi di destabilizzazione politica dell'Ucraina e a minacce per la sicurezza nazionale. Rischi come, per esempio, una guerra civile".

Precedentemente, Zaluzhny aveva già sollevato polemiche proponendo, come garanzia di sicurezza in un eventuale accordo di pace con la Russia, opzioni estreme tra cui lo spiegamento di armi nucleari sul territorio ucraino, l'ingresso nella NATO o lo stanziamento di un grande contingente militare alleato. Le sue ultime dichiarazioni spostano però l'attenzione dalla minaccia esterna a quella interna, dipingendo un quadro delle profonde e potenzialmente esplosive ferite sociali che la guerra rischia di lasciarsi dietro, ben dopo la fine dei combattimenti.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 15:26:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Trump minaccia il Venezuela: Sheinbaum invoca intervento ONU

La presidente del Messico Claudia Sheinbaum ha invitato l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ad agire contro le aggressioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei confronti del Venezuela.

"(Faccio) appello alle Nazioni Unite affinché assumano il loro ruolo. Non si è vista. Assuma il suo ruolo per evitare qualsiasi spargimento di sangue e cercare sempre una soluzione pacifica dei conflitti", ha dichiarato la presidente in conferenza stampa.

Martedì Trump ha dichiarato il governo venezuelano “organizzazione terroristica straniera” e ha ordinato un blocco militare nelle acque dei Caraibi per impedire il passaggio delle petroliere del Paese sudamericano.

“Il Venezuela è completamente circondato dalla più grande flotta navale mai riunita nella storia del Sud America. Questa presenza è destinata ad aumentare e lo shock per loro sarà senza precedenti, finché non restituiranno agli Stati Uniti tutto il petrolio, le terre e gli altri beni che ci hanno rubato in precedenza”, ha minacciato Trump nel mezzo delle crescenti tensioni tra i due paesi.

“In seguito alla dichiarazione di ieri del presidente Trump e alla situazione del Venezuela, ribadiamo la posizione del Messico, in linea con la Costituzione, di non intervento, non ingerenza straniera, autodeterminazione dei popoli e risoluzione pacifica delle controversie”, ha risposto Sheinbaum.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 15:14:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Pechino ribadisce: Taiwan è una questione interna alla Cina

La questione di Taiwan è una questione puramente interna alla Cina e la sua risoluzione spetta al popolo cinese stesso, senza alcuna interferenza esterna. La parte giapponese dovrebbe riflettere seriamente sui propri errori, correggerli e ritirare le sue dichiarazioni errate.

Zhu Fenglian, portavoce dell'Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di Stato, ha rilasciato queste dichiarazioni durante una conferenza stampa tenuta nella giornata di mercoledì - come riporta il quotidiano Global Times - quando gli è stato chiesto di commentare la recente affermazione del primo ministro giapponese Sanae Takaichi durante un'interrogazione alla Camera dei Consiglieri, secondo cui la questione di Taiwan dovrebbe essere risolta pacificamente attraverso il dialogo. 

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 15:06:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Incontro Putin e Modi: quali accordi strategici hanno raggiunto?


di Francesco Corrado

 

L'incontro della settimana scorsa tra Putin e Modi, avvenuto in India è stato di grande importanza. Quasi ignorato dalla stampa occidentale nella sua vera essenza, rimane un passo avanti nel percorso di quella che sembra essere la materializzazione della dottrina Primakov. I princìpi cui si ispirava il diplomatico russo erano il multipolarismo e l'esigenza per la Russia di volgere il proprio sguardo ad est. Per ottenere il contenimento degli USA si incoraggiava un accordo a tre tra Russia, Cina e India per contrastare l'influenza degli USA nel blocco euroasiatico. 

 
Gli eventi degli ultimi anni hanno fatto sì che le tre potenze, ognuna delle quali tentava di avere i migliori rapporti possibili con l'Occidente, si ritrovino ad avvicinarsi proprio a causa delle politiche aggressive dell'Occidente collettivo. In pratica le continue minacce subite dai tre giganti asiatici hanno ottenuto l'involontario risultato di spingerle l'uno nelle braccia dell'altro anche se i tre erano di fatto riluttanti e avrebbero preferito essere in migliori rapporti con l'Occidente.
 
Le politiche antirusse in Georgia, Ucraina, ed in Asia centrale hanno costretto i russi. L'uso di Taiwan come grimaldello per fare pressioni sulla Cina, insieme alle continue affermazioni bellicose di pubblici ufficiali USA hanno costretto il gigante dell'Estremo Oriente. Sanzioni e uso del terrorismo, che ha portato alla guerra dei cinque giorni col Pakistan, hanno spinto gli indiani, i cui aerei francesi hanno fatto una brutta contro quelli cinesi in dotazione al Pakistan. 

Il contesto della SCO, l'Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, che, ricordiamo, è un'organizzazione diretta alla sicurezza dei paesi asiatici, ha fornito la cornice per gli attuali sviluppi. 
L'incontro tra Putin e Modi si inserisce in questo contesto. Innanzitutto gli accordi raggiunti sono di vasta portata a livello economico, culturale e strategico-militare. Su quest'ultimo aspetto ci concentreremo.
 
Va rilevato che l'incontro è stato preceduto da intensi colloqui tra i diversi comparti delle rispettive amministrazioni e l'incontro tra i due capi di stato è stato semplicemente il suggello, la firma definitiva su una serie di accordi di grande portata come da tradizione della diplomazia. Questo aspetto lo rende diverso dagli incontri cui assistiamo di continuo tra i capi di stato europei, che sono oramai meeting vuoti di contenuti: i leader non fanno altro che abbracciarsi e baciarsi in favor di telecamere, per dare spunti al giornalismo propagandistico che impera sovrano in Europa, rimanendo i loro incontri inconsistenti dal punto di vista delle conseguenze. Oramai più gli incontri tra capi di stato sono inconsistenti e privi di reali contenuti, più la stampa occidentale da loro risalto. Più essi sono strategici e gravidi di conseguenze e meno risalto hanno nella stampa. 

India e Russia hanno concluso accordi nei seguenti campi: 1- Energia, 2- Turismo 3- Cultura 4- Istruzione 5-Economia 6-Tecnologia militare.
 
Tra le tante cose in India sarà operativa il canale televisivo RT, poi si snelliranno le procedure per i visti, sia relativamente all'ambito lavorativo, sia per turismo, che per motivi di istruzione nel cui ambito sono stati sviluppati progetti in materia sanitaria, navigazione artica e difesa. Venendo poi all'aspetto energetico, la Russia si impegna a rifornire l'India di idrocarburi, gas e carbone ad libitum oltre ad aver avviato le procedure per la costruzione di almeno 4 centrali nucleari. A ciò si aggiungono garanzie di forniture da parte della Russia di fertilizzanti oltre ad investimenti nell'industria farmaceutica e nei settori ad alta tecnologia come IA, aviazione e ricerca spaziale.

Nel complesso, gli accordi economici raggiunti tra i due stati stanno configurando una rapporto di libero scambio che avverrà per la quasi totalità in monete nazionali, lasciando una quota minima (10%) al dollaro di cui entrambi i paesi sono grandi possessori.
 
Ma l'aspetto più significativo rimane quello attinente alla difesa dato che i progetti avviati lasciano intendere una maggiore coesione futura tra i due paesi. Infatti a livello di difesa si parla di condivisione nella fabbricazione. Un esempio è il sistema di difesa S-500. Innanzitutto giova ricordare che gli indiani hanno già comprato i sistemi S-400, modernissimi e funzionali, ma ora si parla non solo di comprare gli S-500, ma addirittura della possibilità che sia l'India stessa a produrseli. Ovviamente per arrivare ad avere simili rapporti vuol dire che l'avvicinamento politico tra i due Paesi è stato notevole.

E' altresì previsto l'aggiornamento degli aerei SU-30 già in possesso degli indiani cui si aggiungerà l'acquisto degli aerei SU-57. A tutto ciò si aggiungerebbe l'affitto di alcuni Tupolev 160, bombardieri strategici che possono trasportare e lanciare missili con testate atomiche. Questo fattore darebbe all'India, che è una potenza nucleare, la possibilità si aumentare la propria capacità e deterrenza. Infine si parla di sviluppi congiunti di tecnologia missilistica che peraltro nei rapporti tra i due Paesi non sono una novità.
 
Altro ambito cruciale è l'affitto di un sottomarino nucleare per la cifra di 2 miliardi di dollari. In questo caso l'affitto non è fine a se stesso, ma serve a far sì che il personale indiano possa essere formato all'utilizzo di tale tecnologia mentre i due Paesi collaboreranno alla costruzione di altri sommergibili nucleari da prodursi. Questi sono accordi strategici e non di breve cabotaggio e sono diversissimi da ciò che accade nell'Occidente collettivo, in cui molti contratti di acquisto puro e semplice, sono stipulati per poter accedere ad altro genere di rapporti e contratti. Della serie: se vuoi questo ti devi impegnare a comprarmi tot aerei o altro sistema d'arma, ovviamente fornito in forma depotenziata nelle capacità e funzionalità.

Determinante è che la Russia stia aprendo all'India l'uso delle rotte artiche (cosa già concessa alla Cina con grande soddisfazione) che anche il Paese di Modi considera determinante dati i comportamenti pirateschi posti in essere dagli USA contro il Venezuela proprio in questi giorni. Le rotte artiche garantiscono sicurezza ed anche velocità dei trasporti.

Insomma l'aggressività dell'Occidente collettivo a guida neocon, sta riuscendo nella difficile impresa di riunire i giganti asiatici, migliorando i loro rapporti e aiutandoli a far crescere le proprie economie. Questo mentre l'Europa vede un crollo della propria produzione e produttività industriale, l'aumento esponenziale dei costi energetici, la scarsezza di materie prime e una estrema difficoltà nel far impennare la produzione soprattutto quando si minaccia di guerra una superpotenza come la Russia. 

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 14:56:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Il discorso di Putin al Collegio della Difesa: trionfo sul fronte ucraino e sguardo agli armamenti del futuro

La Russia ribadisce la sua forza e guarda al futuro con nuovi sistemi d'arma. In un discorso denso di annunci dinanzi all'alta dirigenza militare riunita per il Collegio del Ministero della Difesa, il Presidente russo Vladimir Putin ha tracciato un bilancio dell'anno di guerra in Ucraina con toni di netta superiorità, delineando al contempo le priorità strategiche di un esercito che si presenta in costante crescita.

L'anno che sta per concludersi, come evidenzia il capo del Cremlino, ha segnato una svolta decisiva. "L'Esercito russo ha conquistato e mantiene saldamente l'iniziativa strategica lungo tutta la linea del fronte", ha dichiarato Putin, evidenziando che le truppe avanzano con sicurezza e "polverizzano" il nemico, comprese le unità d'élite ucraine addestrate e equipaggiate dall'Occidente. A conferma di questa spinta offensiva, il Presidente ha citato la liberazione, solo nel 2025, di oltre trecento insediamenti, tra cui città trasformate in roccaforti dal regime di Kiev.

Oltre al quadro operativo, il cuore del messaggio ha riguardato il potenziale bellico presente e futuro della Russia. Putin ha annunciato che entro la fine dell'anno, quindi nelle prossime due settimane, il nuovo missile ipersonico balistico a raggio intermedio "Orešnik" (Nocciola) verrà posto in servizio di combattimento. Ma gli occhi sono puntati soprattutto sui sistemi strategici di nuova generazione. Il missile da crociera a propulsione nucleare "Burevestnik" (Uccello delle tempeste) e il veicolo subacqueo autonomo "Poseidon" sono stati presentati come armi uniche e irripetibili, destinate a garantire la parità strategica della Russia "per i prossimi decenni". L'ammodernamento delle forze nucleari, ha ribadito Putin, rimane la priorità assoluta per la deterrenza.

Un passaggio di grande rilevanza politica è stato il pubblico ringraziamento rivolto ai militari nordcoreani. Il leader russo ha affermato che, per decisione di Kim Jong Un, soldati della Corea del Nord hanno combattuto "spalla a spalla" con le truppe russe durante le operazioni per la riconquista della regione di Kursk, partecipando anche alle complesse operazioni di sminamento. Una dichiarazione che sancisce ulteriormente l'alleanza militare tra Mosca e Pyongyang sul campo.

L'attacco alla NATO è stato netto e senza mezzi termini. Putin ha accusato l'Alleanza Atlantica di essere il vero motore dietro i guerrafondai ucraini, fornendo assistenza militare, intelligence e mercenari. Le dichiarazioni dei leader occidentali su un presunto confronto inevitabile con la Russia sono state bollate come "menzogna" e "delirio", parte di una strategia per alimentare l'isteria in Europa. A questa tensione geopolitica, definita critica, la Russia risponde con un rafforzamento ininterrotto delle proprie forze e con la volontà di condividere l'esperienza bellica maturata in Ucraina con i propri alleati.

Pur affermando con sicurezza che gli obiettivi dell'"operazione militare speciale" saranno raggiunti, il Presidente ha lasciato come di consuento una porta socchiusa alla via diplomatica. Ha dichiarato che la Russia preferirebbe risolvere le cause del conflitto al tavolo dei negoziati, ma ha avvertito che, in caso di rifiuto dell'altra parte, Mosca conseguirà la liberazione di "quelle che definisce sue terre storiche" con la forza delle armi. Un epilogo che delinea uno scenario di confronto prolungato, sostenuto da una macchina militare che il Cremlino presenta come sempre più potente e tecnologicamente avanzata, pronta a fronteggiare le crescenti minacce di Europa e NATO che nonostante la sconfitta sul campo non hanno ancora abbandonato l'idea di infliggere alla Russia una sconfitta strategica. 

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 14:20:00 GMT
IN PRIMO PIANO
"La lista di Kaja": la mezzanotte della democrazia in Europa

 

di Clara Statello per l'AntiDiplomatico

Siamo alla buia mezzanotte dell’Unione europea. Ad un passo dal fallimento dei nostri valori, ideali, ad un passo dalla guerra. Al capolinea della nostra civiltà, come la conoscevamo.

Dopo la vergognosa cancellazione della conferenza contro la guerra organizzata dal professor Angelo D’Orsi, che vedeva tra i tanti relatori le eccellenze e i maggiori intellettuali del nostro tempo (quei pochi rimasti) come Alessandro Barbero e Carlo Rovelli, sono tre gli atti persecutori e di censura che devono destare la nostra preoccupazione:

  1. Gli attacchi a Limes

Il professor Lucio Caracciolo, direttore di Limes, è stato accusato da 4 dei suoi (ormai ex) collaboratori di essere “filorusso”. Le formule usate per delegittimare la più autorevole rivista di geopolitica italiana in un paese normale desterebbero risate o compassione: uno dei quattro definisce gli autori di Limes degli “antiputiniani” sfegatati, un altro parla di disinformazione e “nube tossica” sul pubblico.

In Italia, invece, alimentano la macchina del fango contro Caracciolo, reo di volersi mantiene fedele alla complessità della realtà, e non ad una ideologia evidentemente assurta a verità di Stato. L’analisi deve tener conto di tutte le voci, non è un atto di fede. Per fare strategia bisogna conoscere il proprio nemico, evitare di cadere nell’errore di credere alla propria propaganda. In una parola l’analisi deve essere libera, non asservita ad un obiettivo politico o ideologico. È questa libertà che nella “democrazia” europea è diventata pericolosa, trattata con un tradimento o un crimine. 

  1. Il rapper antimilitarista “sgherro di Putin”

In Germania, un famoso rapper è stato accusato di essere uno “sgherro di Putin” da un alto ufficiale tedesco, per un brano antimilitarista. Bisogna fare una dovuta premessa: le autorità tedesche conducono una violentissima ondata repressiva contro chi si oppone alla linea militarista e di politica estera di Berlino. Ne abbiamo preso atto dai video delle violenze di polizia contro i manifestanti pro-pal, anche minori. Gli osservatori più maliziosi e irriverenti (come la scrivente) potrebbero concludere che “le scimmie” che nell’89 “ballavano la polka sul muro”, hanno finalmente intravisto nella guerra russo-ucraina l’occasione per rifondare “il quarto Reich”, per citare De Andrè. Berlino può nuovamente aspirare a ripristinare il suo status di potenza militare, castigato dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale. Al vaglio del Bundestag, in questi giorni, il bilancio federale con oltre 52 miliardi di euro in spese di Difesa. Una grossa occasione anche per le industrie militari come Rheinmetall – che ha decuplicato il valore delle proprie azioni in tre anni di guerra. In questo contesto, chiunque si opponga al piano di riarmo o critichi la propaganda che lo legittima, diventa una minaccia per i piani di crescita economica e di potenza di Berlino. Così succede che un alto ufficiale dello stato maggiore della Bundeswehr, Marcel Bohnert, ha diffamato sui social come agente di Putin il rapper tedesco Finch per il brano antimilitarista "Kein Bock auf Krieg" (Nessun desiderio  di guerra). Queste logiche possono essere giustificate (ma neanche troppo) in legge marziale, che in Germania e UE non è stata imposta, dato che non siamo in guerra con nessuno.

 

  1. La lista di Kaja

 

Il 15 dicembre, su proposta di Kaja Kallas, il Consiglio dell’Unione europea ha incluso nella lista delle sanzioni 12 giornalisti, accademici, analisti geopolitici per “reati” di opinione. Le virgolette sono d’obbligo, visto che non si tratta di veri reati. Tra i soggetti colpiti, non ci sono soltanto cittadini russi e ucraini, ma anche occidentali e cittadini UE. Si tratta di: John Mark Dougan, statunitense ed ex vice-sceriffo della Florida, Xavier Moreau, ex militare francese e il generale Jaques Baud, cittadino svizzero, ex ufficiale NATO e analista. Inoltre, sono sanzionati studiosi e analisti geopolitici del calibro di Fyodor Lukyanov, caporedattore russo della rivista Global Affair. Un caso a parte merita la giornalista ucraina Diana Panchenko è accusata di essere una propagandista e di diffondere narrazioni anti-ucraine, filo-russe e anti-NATO. Questo diventa un pericoloso precedente di criminalizzazione delle opinioni: chi osa criticare Kiev e le guerre della NATO, è passibile del blocco dei conti e chissà quali altri provvedimenti. Il provvedimento getta le basi per colpire legalmente e economicamente il movimento pacifista e NO NATO sulla base delle proprie istanze ed idee politiche. Il documento, inoltre, indica ogni soggetto inserito nella lista come: “responsabile dell'attuazione o del sostegno di azioni o politiche attribuibili al governo della Federazione Russa che compromettono o minacciano la stabilità o la sicurezza in un paese terzo (Ucraina) ricorrendo alla manipolazione e all'interferenza delle informazioni”. Si tratta di una formulazione vaga, che rinuncia intenzionalmente alla dimostrazione di un effettivo vincolo causale tra il soggetto stesso e l’entità individuata come minaccia (il Cremlino in questo caso) e che indica come interesse da tutelare quello di una parte terza che le autorità europee non sono tenute a difendere.

Oggi questa formula è utilizzata per criminalizzare chi si oppone alle politiche di riarmo o non sostiene Kiev, domani verrà utilizzata per i pro-pal, dopo domani per chi scenderà in piazza in difesa dei propri diritti di lavoratore o per chi scriverà libri e articoli contro lo sfruttamento del sistema neoliberista.

Più in generale, le misure del Consiglio UE forniscono la base legale per colpire l’opposizione, attuale e futura, identificando il pensiero o una posizione o un’ideologia critica come una minaccia per la sicurezza. E di conseguenza, individuando una verità di stato che non può essere messa in discussione.

 

Il salto di qualità: essere “filorusso” è un reato

La democrazia liberale in crisi per superare le proprie contraddizioni interne ha bisogno di criminalizzare il pensiero che è altro da sé, stigmatizzandolo come minaccia esterna. Così facendo prepara il suo suicidio assistito (dagli EUristocratici): non può esistere democrazia senza pluralismo di idee, dove il pluralismo non può intendersi come una pluralità di voci che ripetono lo stesso slogan (bidimensionale, appiattito e semplicistico) ma come dialettica viva tra tesi e antitesi, tra maggioranza e opposizione, tra popolo e potere.

Questi tre episodi differenti ci indicano che siamo davanti ad un salto di qualità. Nel giardino europeo delle meraviglie, essere “filorusso” è diventato un crimine. Se la logica non è ancora stata sanzionata da Kaja Kallas, i cittadini europei per non essere fuorilegge dovrebbero odiare la Russia e tutto ciò che è russo. Da Putin a Dostojevsky. Il piano inclinato con la messa al bando di Sputnik e RT ci sta precipitando in un sistema totalitario, in cui il termine “filorusso” è utilizzato come strumento per gettare discredito, diffamare e imporre la censura su giornalisti, analisti e accademici scomodi.

Siamo anche davanti a un punto di non ritorno. Il diritto esprimere liberamente le nostre opinioni, la libertà politica e di manifestare non ci sono arrivati dal nulla, non ce li siamo ritrovati per caso in costituzione. Sono il frutto della lotta antifascista, l’eredità che i nostri nonni partigiani ci hanno lasciato versando il loro sangue per la nostra libertà durante la Resistenza. Gli EUristocratici hanno trovato la formula per toglierceli. Non ci restituiranno diritti e libertà gratuitamente.  

 

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 14:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Blocco navale USA al Venezuela, Mosca avverte: "Conseguenze imprevedibili per l'emisfero"

Un monito carico di preoccupazione giunge dalla Russia: l'escalation in corso attorno al Venezuela potrebbe avere "conseguenze imprevedibili per tutto l'emisfero occidentale". Ad esprimere l'allarme è stato Alexander Schetinin, direttore del Dipartimento per l'America Latina del Ministero degli Esteri russo, nel corso di una cerimonia a Mosca in onore di Simón Bolívar. "Speriamo che i responsabili della tensione attuale riescano a evitare che la situazione peggiori ulteriormente", ha dichiarato, in un chiaro riferimento agli Stati Uniti.

La fonte della nuova, pericolosa fase di tensione è l'annuncio del presidente statunitense Donald Trump, che ha ordinato "il blocco totale e completo" per le navi petroliere in entrata e uscita dal Venezuela, designando contemporaneamente il governo di Caracas come "organizzazione terroristica". In un discorso, Trump ha accusato senza fornire prove il paese sudamericano di usare "petrolio di giacimenti rubati" per finanziare sé stesso e un presunto "terrorismo legato alla droga". Ha quindi intimato a Caracas di "restituire immediatamente" il petrolio e altri asset che, a suo dire, sarebbero stati "sottratti".

La reazione del governo di Nicolás Maduro non si è fatta attendere. In un comunicato, Caracas ha denunciato la "vera intenzione" degli USA, che sarebbe "sempre" stata quella di "appropriarsi del petrolio, delle terre e dei minerali" del Venezuela attraverso "gigantesche campagne di menzogne". Maduro, parlando al Congresso Costituente della Classe Operaia, ha bollato le accuse sul narcotraffico come "fake news" e un "pretesto" per giustificare l'aggressione, paragonando la strategia statunitense a quella usata in Afghanistan e Libia. "Siccome non possono dire che abbiamo armi di distruzione di massa, inventano un pretesto", ha affermato.

Caracas ha definito "atto di pirateria internazionale" l'assalto compito la scorsa settimana da militari statunitensi a un petroliere al largo delle sue coste, un episodio che ha segnato un'ulteriore escalation dopo mesi di crescente presenza militare americana nel Caribe, giustificata ufficialmente come parte della "guerra alla droga".

La mossa di Washington ha suscitato un'ondata di solidarietà verso Caracas e di critiche internazionali. Il presidente cubano Miguel Díaz-Canel e il ministro degli Esteri Bruno Rodríguez hanno espresso il loro "totale appoggio" al Venezuela, condannando quella che definiscono una "gravissima violazione del diritto internazionale". Anche la rete mediatica araba Al Mayadeen ha parlato di "crimine di lesa umanità" e "politica di pirateria oscura e medievale", esortando i media globali a non rimanere in silenzio.

Un netto rifiuto è giunto anche dalla Rete di Intellettuali e Artisti in Difesa dell'Umanità, che in un comunicato ha accusato l'amministrazione Trump di agire con "una logica di Stato criminale e senza scrupoli", il cui unico obiettivo è il "saccheggio del petrolio venezuelano". L'organizzazione ha avvertito che tali azioni "potrebbero provocare un conflitto bellico nella regione", con esiti nefasti e incontrollabili.

A smontare le giustificazioni di Washington contribuiscono anche dati oggettivi. Sia le Nazioni Unite che la stessa DEA (Drug Enforcement Administration) statunitense indicano che il Venezuela non è una rotta principale per il traffico di droga verso gli USA, dove oltre l'80% della cocaina transita via Pacifico. Esperti internazionali hanno inoltre definito i bombardamenti USA contro presunte navi di trafficanti nel Mar dei Caraibi come "esecuzioni sommarie" che violano il diritto internazionale.

 
 
 
 
 
Visualizza questo post su Instagram
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Un post condiviso da @humanidadenred

Mentre Caracas annuncia che denuncerà formalmente la misura all'ONU come una "grave violazione", il panorama si fa sempre più cupo. Le parole dalla Russia risuonano come un avvertimento per tutto l'emisfero: la posta in gioco non è solo il destino del Venezuela, ma la stabilità di un'intera regione, messa a rischio dalla bramosia dell'imperialismo statunitense deciso ad appropriarsi con la forza delle risorse naturali di cui il Venezuela è ricco.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 13:31:00 GMT
IN PRIMO PIANO
La bagarre su Salvini-Zakharova e la chiosa (anti)storica de la Stampa

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Non paghi delle divinazioni di Andrius-Merlino-Kubilius e delle starnazzate di Kaja-Fredegonda-Kallas, gli articolisti de La Stampa sono andati a chiedere vaticini all'ex oligarca Mikhail Khodorkovskij, il «più famoso oppositore» di Putin «ancora attivo sulla scena internazionale» e lui, dalla sua residenza londinese, non poteva che ribadire l'oracolo di una Russia che attaccherà l'Europa. Avessero evocato gli spiriti dei martiri della fede d'epoca sovietica, Sinjavskij e Daniel, non c'è da dubitare che avrebbero dato lo stesso responso e, scendendo ancora più giù nell'ade delle anime perse, avrebbero forse incontrato quella della vittima del dispotismo brežneviano, Aleksandr Solženitsyn che, dal suo esilio dorato in USA, esortava a usare l'atomica contro l'Unione Sovietica. Altra epoca, certo. Tanto più che sia Putin che Khodorkovskij sono creature dirette dell'abbattimento dell'URSS. Ma il portato della cosiddetta dissidenza, sia d'era sovietica che borghese, è in ogni caso quello della guerra a una Russia presentata comunque come il «pericolo maggiore per l'Europa», come vanno blaterando dalle cancellerie europee, che si tratti di primi ministri o capi di stato.

Dunque, «Al dittatore serve la guerra permanente. Dopo l’Ucraina attaccherà l’Europa»: la Pizia londinese conferma il vaticinio e all'intervistatore, Marco Varvello, sentenzia che si dovrà dichiarare il Donbass “zona smilitarizzata”. Come uscito fresco fresco dal vertice dei “volenterosi” di Berlino di due giorni prima, Khodorkovskij punta a «una presenza militare forte per garantirne la sicurezza ed evitare che i russi in futuro avanzino di nuovo». E magari, da lì, attacchino qualche altro paese europeo, “o forse più di uno”; perché, sibila il vate Khodorkovskij, «quando questa guerra finirà, anche il sistema di potere del Cremlino dovrà fare i conti con il riassetto economico e sociale. Putin sarà tentato ancora una volta di gridare all’emergenza del nemico alle porte. E ai confini della Russia ci siete voi Europei». Dunque, miseri, date ascolto a quanti, da Bruxelles, Parigi, Londra, ammoniscono ad adottare una «mentalità da tempo di guerra», secondo le smarronate di Mark Rutte, a esser pronti «a mandare i figli in guerra contro la Russia e a perderli», secondo le facce di bronzo dei capi stato maggiore britannico e francese, Richard Knighton e Fabien Mandon. Rinverdite, o meschini, la coscrizione obbligatoria, così che «davanti a una Europa forte e unita, anche militarmente, la Russia di Putin si fermerebbe».

Sì, perché chi l'ha detto che la Russia abbia sempre vinto le guerre, tranquillizza i lettori la signora Anna Zafesova, ancora su La Stampa, commentando le ormai note parole di Matteo Salvini e la chiosa alle stesse di Marija Zakharova, a proposito delle sconfitte in Russia di Napoleone e Hitler. La Russia è stata sconfitta in più di un'occasione, esulta l'articolista trapiantata in terra italica. E, ancora una volta, mescolando insieme epoca zarista e periodo sovietico, si parte ricordando la disfatta della flotta zarista nella battaglia di Tsushima che – ma questo guai a dirlo - dette il via alla rivoluzione del 1905, quella che il genio di Vladimir Lenin avrebbe poi definito come la «prova generale» della Rivoluzione d'Ottobre. Senza entrare nei particolari delle condizioni in cui erano costretti i marinai della flotta zarista (basti ricordare alcune scene de “La corazzata Potëmkin”, di Serghej Ejzenštejn) e delle cause che determinarono la frantumazione della flotta prima ancora dello scontro decisivo, è forse il caso di soffermarsi appena un po' di più sulla guerra russo-polacca del 1920, su cui la signora Zafesova mescola in maniera truffaldina un dato di fatto e proprie personali osservazioni, come se le parole di Maria Zakharova su Lenin che aveva creato «la Polonia indipendente» fossero solo una trovata della stessa portavoce ministeriale russa. Già agli inizi del 1918, la giovane Russia sovietica riconosceva il diritto della Polonia all'autodeterminazione, mentre nel dicembre precedente era stata concessa l'indipendenza alla Finlandia. Detto questo, è il caso di ricordare come fosse lo stesso Lenin a parlare di “eccessivo entusiasmo” con cui le forze di Mikhail Tukhacevskij, in quel 1920, erano andate all'attacco (non entriamo nelle più generali questioni relative al comando del fronte settentrionale, sotto la direzione di Lev Trotskij) quando i rapporti di classe in Polonia erano già divenuti sfavorevoli alla classe operaia, con gli strati urbani e contadini ormai presi dalla propaganda nazionalista, che consentì alle forze di Józef Pilsudski di operare quel cosiddetto “miracolo sulla Vistola” che fermò l'Esercito Rosso alle porte di Varsavia. Come sia andata poi la storia, con le decine di migliaia di prigionieri sovietici fatti morire di malattie e stenti nei lager polacchi e le condizioni della pace di Riga, che tennero sotto il giogo fascista di Varsavia, fino al 1939, Ucraina e Bielorussia occidentali, non rientra in queste brevissime note.

Permettendoci di sorvolare sulle controverse circostanze e sulle decisioni verticistiche che portarono al ritiro del contingente sovietico dall’Afghanistan nel 1989, che la signora Zafesova sembra far rientrare tra le sconfitte militari della Russia, ecco che invece la signora di cui sopra vi include la “guerra d'inverno” e dice e che la Russia, «soprattutto, è stata umiliata nella guerra che gli storici più spesso paragonano all’invasione dell’Ucraina: quella contro la Finlandia, che nonostante una sproporzione immensa in dimensioni e arsenale, riuscì nel 1940 a infliggere all’Armata Rossa perdite pesantissime e difese la propria indipendenza, a prezzo della perdita della Carelia».

Cerchiamo di riassumere,  per quanto l'argomento richiederebbe molto più spazio.

Come detto, la Finlandia aveva ottenuto l'indipendenza con uno dei primissimi decreti del potere sovietico, dopo di che si era alleata prima col Kaiser e, alla caduta di questo, con l'Intesa. Al pari della Polonia, che aveva pretese territoriali praticamente su tutti i vicini, anche la Finlandia mirava ad annettere Karelia, penisola di Kola, Arkhangelsk, fino agli Urali settentrionali e Siberia occidentale, per dar vita a una “Grande Finlandia”. Il generale Mannerheim mirava ad annettere tutta la Karelia orientale e le terre bagnate dal mar Bianco e trasformare Pietrogrado in “città libera”, sul modello di Danzica. Prima del 1941, allorché sostenne Hitler nell'aggressione all'URSS, la Finlandia aveva attaccato la Russia sovietica e l'URSS nel 1918 e 1921, in alleanza col generale bianco Nikolaj Judenic. Con la pace di Tartu dell'ottobre 1920, la Finlandia ottenne comunque il distretto di Pecenga, la parte occidentale della penisola di Rybacij e la maggior parte delle isole Srednij, a ovest della linea di confine nel mar di Barents.

Vedendo l'approssimarsi di una nuova guerra mondiale, Moskva cercò di proteggere i confini nord-occidentali, in particolare Leningrado, “seconda capitale” dell'URSS: le artiglierie a lunga gittata finlandesi potevano facilmente colpire la città, mentre le flotte dei potenziali nemici (Germania, Inghilterra e Francia, che puntavano sulla Finlandia quale una delle porte d'accesso per un possibile intervento in URSS; ricordiamo che Londra e Parigi avevano già approntato contingenti di centomila uomini da inviare in Finlandia contro l'URSS, mentre pianificavano bombardamenti sulla Russia: i piani franco-britannici furono accantonati solo con la fine della guerra nel 1940) potevano facilmente irrompere su Leningrado e Kronštadt, base della più forte flotta sovietica, quella del Baltico. Con l'Estonia, la questione fu risolta per via diplomatica: a settembre 1939 fu concluso un patto di mutua assistenza e l'URSS poté stabilire basi militari sulle isole di Saaremaa e Hiiumaa, a Paldiski e Haapsalu. Con la Finlandia, non fu possibile trovare un accordo. Moskva aveva proposto un accordo di mutua assistenza: difesa congiunta del Golfo di Finlandia, possibilità per l'URSS di una base sulla penisola di Hanko, vendita o affitto di varie isole nel Golfo di Finlandia. Per allontanare il confine da Leningrado, a titolo di risarcimento l'URSS offriva aree molto più estese nella Karelia orientale, prestiti agevolati, benefici economici, ecc. Ma, a quanto pare, Londra incoraggiava ogni rifiuto finlandese, finché Helsinki non avviò la mobilitazione generale e l'evacuazione dei civili dalle zone di confine. Il 28 novembre, Moskva denunciò il Trattato di non aggressione e il 30 diede il via alle operazioni militari, che si conclusero nel marzo del 1940. 

Intervenendo alla riunione del comando dell'Esercito Rosso del 17 aprile 1940, Stalin trasse alcune conclusioni dalla guerra. Constatò innanzitutto che lo scontro non poteva essere evitato, a causa del fallimento delle trattative sui confini. L'opportunità di dichiarare guerra in quel momento, disse Stalin, pur non essendo completamente preparati militarmente, era stata dettata dalla circostanza che, a ovest, Germania, Francia e Gran Bretagna erano impegnate a guerreggiare tra loro e non avevano tempo di intervenire a sostegno della Finlandia.

Sul tema degli iniziali insuccessi dell'Esercito Rosso, Stalin si chiedeva: «Cosa ha impedito alle nostre truppe di adattarsi alle condizioni della guerra in Finlandia?» e rispondeva che la relativa facilità con cui i soldati e i comandanti erano entrati in Polonia, nel settembre 1939, aveva avuto su di loro un «effetto psicologico deleterio... I nostri compagni si vantavano che il nostro esercito fosse invincibile»; ma «non esiste un tale esercito e mai ci sarà». Il nostro esercito, disse Stalin «non capì per tempo che la guerra in Polonia era stata una passeggiata militare e non una guerra». Bisogna far comprendere ai soldati che «in tutto il periodo del potere sovietico, non abbiamo ancora mai condotto una vera guerra moderna. Piccoli episodi in Manciuria, al lago Hassan, o in Mongolia, ma sono state sciocchezze, non una vera guerra... nemmeno la guerra civile era stata una vera guerra, perché si era condotta senza artiglieria, aviazione, carri armati, mortai». E invece, «la guerra moderna richiede l'impiego in massa di artiglierie... senza risparmio di proiettili e munizioni... e impiego in massa dell'aviazione, senza risparmio di bombe... quanti più proiettili e quante più bombe si impiegano, tanti più si risparmiano nostri soldati... e ancora impiego in massa di carri armati, di mortai... non risparmiate le mine, risparmiate gli uomini... Infine: Quartier generali temprati e competenti... e commissari politicamente fermi e competenti... Pensate che noi disponessimo di un esercito simile quando abbiamo iniziato la guerra con la Finlandia? No, non l'avevamo».

Ora, il capo della Lega può dire quello che gli pare e la signora Zafesova può rispondergli che la Russia può ben essere sconfitta, come accaduto nella storia. Ma le uscite guerrafondaie dei Rutte, Merz, Kublius, Kallas, dei Knighton e Mandon non lasciano presagire nulla di buono e c'è da dubitare che la Russia del 2025 potrebbe farsi sorprendere da novelli Napoleone e Hitler, lasciando loro spazio di arrivare fino alle porte di Moskva prima di portare la propria risposta.

Gaglioffi bellicisti dei giornali di regime.


FONTI:

https://www.lastampa.it/esteri/2025/12/17/news/khodorkovsky_guerra_russia_europa-15437321/?ref=LSHA-BH-P2-S1-T1

https://www.lastampa.it/esteri/2025/12/17/news/cremlino_salvini_guerra_russia-15437375/?ref=LSHA-BH-P5-S2-T1

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 13:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Emiliano Brancaccio : il «whatever it takes» degli asset russi

 

Nel suo ultimo articolo per il Manifesto il professore di economia all'Università del Salento Emiliano Brancaccio affronta la vicenda degli asset russi e le discussioni tra gli Stati membri dell'Unione Europea sulle prossime mosse. 

Gli asset, spiega il professore, sono stati accumulati per la tendenza della banca centrale russa a "sterilizzare" i proventi dalle esportazioni di materie prime e tenere sotto controllo il tasso di cambio. "Di norma, che questi asset siano depositati a Bruxelles o a Fort Knox o a Pechino, nessuno osa dibattere sulla totale libertà del proprietario di rivendicare la titolarità su di essi e di utilizzarli come crede", scrive Brancaccio, sottolineando come questa normalità venga messa in discussione nelle fasi di "violenza imperialista" che rimette in discussione tutto, perfino "il più sacro dei diritti capitalistici: la proprietà".

Dopo aver ricordato alcuni esempi storici di questi “congelamenti” - Siria, Iran e Afghanistan in particolare come arma finanziaria - usati per mettere in ginocchio paesi in guerra. "Nel caso della Russia, tuttavia, le cose non andate come l’Occidente sperava. Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito di Putin, la Cina ha incrementato di oltre il 65 percento l’interscambio con l’economia russa. E un aumento di proporzioni simili è avvenuto, guarda caso, con l’intera area Brics. Un risultato di questa maggiore integrazione è che la Russia non ha subìto stravolgimenti del saldo di bilancia commerciale".

Come spiegare l'“escalation finanziaria”? Non basta più congelare, si passa all’esproprio. A ben vedere, prosegue Brancaccio, si tratta di una posizione opposta a quella degli Stati Uniti, che suggeriscono "di utilizzare gli asset russi non come donazioni riparatrici ma al contrario come investimenti remunerativi da attuare in Ucraina".

È questa una partita chiave, conclude Brancaccio che ricorda il monito della BCE che se si mette in discussione il diritto di proprietà denominate in euro, si mette in crisi la fiducia mondiale intorno alla moneta unica. "In fin dei conti, è un «whatever it takes» adattato alla nuova epoca imperiale: fare tutto il necessario per salvare l’euro, al limite anche lasciare l’Ucraina al suo destino".

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 12:00:00 GMT
Mondo grande e terribile
Anche Caracciolo "filo russo"?


di Paolo Desogus*

Filorussa per alcuni, filoatlantica per altri: sono anni che di Limes si dice tutto e il contrario di tutto. A me pare una rivista ben fatta, con molti limiti, certo, ma collocata in un contesto editoriale a dir poco disastroso, che le consente di spiccare per qualità e profondità.

Quanto poi a Caracciolo, credo che sia un ottimo giornalista, anche lui con i suoi limiti, le sue predilezioni, la sua prospettiva politica: e sarebbe ridicolo e disonesto nasconderla in nome di una presunta neutralità intellettuale. A questo proposito credo occorra valutare quanto sia difficile maneggiare la geopolitica, cioè un ambito di indagine molto scivoloso, le cui radici teoriche stanno senz'altro a destra e che rischia sempre di virare nell'essenzialismo culturale e nella giustificazione dello status quo.

Ora, la linea di Limes sull'Ucraina è la stessa da anni. Non mi pare che sia "filorussa", ma dalle nostre parti sembra che sia sufficiente rifiutarsi di parteggiare sperticatamente per l'Ucraina per essere dei putiniani patentati.

Trovo dunque del tutto anomale le proteste contro Limes di questi giorni e la fuoriuscita di tre membri dal comitato di redazione. Perché hanno aspettato tutto questo tempo per andarsene? E non è singolare che vadano via ora che Gedi, cioè l'editore, è nella tempesta?

Detto questo, è davvero curioso che si rimproveri Putin di essere un autocrate, giudizio che condivido in pieno, ma poi pretendere l'allineamento militare della stampa e degli intellettuali.

*Post Facebook del 17 dicembre 2025
Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 12:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
L'Arabia Saudita "stabilisce un nuovo record di pena di morte in un anno"

 

L'Arabia Saudita ha battuto il suo stesso record per il numero di esecuzioni effettuate in un anno, con 340 persone uccise quest'anno, secondo un conteggio dell'AFP. 

La nuova cifra arriva dopo che le autorità saudite hanno dichiarato lunedì che tre persone sono state messe a morte. 

Il ministero degli Interni ha dichiarato che tre individui sono stati giustiziati alla Mecca dopo essere stati condannati per omicidio. 

Il numero è due in più rispetto alle 338 persone giustiziate secondo l'AFP nel 2024, che all'epoca costituivano anch'esse un record. 

Il conteggio dell'AFP per il 2024 è leggermente inferiore alla cifra monitorata dalle organizzazioni per i diritti umani Alqst, Amnesty e Reprieve, che indicano un numero di 345. 

"Il fatto che le autorità saudite siano pronte a superare il numero record di esecuzioni dell'anno scorso sottolinea un cupo disprezzo per il diritto alla vita e i ripetuti appelli degli esperti delle Nazioni Unite e della società civile", ha dichiarato a Middle East Eye Nadyeen Abdulaziz, del gruppo britannico Alqst

"Le esecuzioni sono state eseguite al termine di processi profondamente viziati, che hanno comportato confessioni estorte sotto tortura e hanno coinvolto anche individui che erano minorenni al momento dei presunti reati."

Delle esecuzioni di quest'anno, la maggior parte (232) riguardava casi di droga. Molti altri sono stati giustiziati per accuse di terrorismo, alcune delle quali erano vaghe secondo l'ampia definizione del termine in Arabia Saudita.

Molte di queste imposizioni della pena di morte potrebbero violare il diritto internazionale, che consente l'uso della pena di morte solo in relazione ai "crimini più gravi" che comportano omicidi intenzionali.

Alla fine del 2022, il regno ha ripreso l'uso della pena di morte nei casi legati alla droga, dopo averla sospesa per circa tre anni. 

Un gran numero di coloro che sono stati giustiziati dopo la ripresa delle ostilità sono cittadini stranieri. 

'Tetro disprezzo' per la vita

Negli ultimi mesi, l'Arabia Saudita ha giustiziato due uomini che erano minorenni al momento dei crimini che avrebbero commesso, violando il diritto internazionale. 

L'imposizione della pena di morte a individui che avevano meno di 18 anni al momento del reato è vietata dal diritto internazionale sui diritti umani, tra cui la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia, di cui l'Arabia Saudita è firmataria.

Nel 2020, sotto l'attenzione globale, le autorità saudite hanno promesso di porre fine alla discrezionalità dei giudici nell'imporre la pena di morte ai minorenni condannati.

La commissione per i diritti umani del regno ha dichiarato che è stato emesso un ordine reale per porre fine alla pena di morte per i minorenni condannati. 

Tuttavia, da quando è stata rilasciata questa dichiarazione, si sono verificate diverse esecuzioni di persone che avevano commesso crimini quando erano minorenni.

Alqst ha individuato altri cinque minorenni a rischio imminente di esecuzione. 

Secondo Amnesty International, l'Arabia Saudita ha registrato il terzo numero più alto di esecuzioni a livello mondiale nel 2022, 2023 e 2024, dopo Cina e Iran.  

______________________________________________________

UNO SGUARDO DAL FRONTE

 19,00

 
IN USCITA IN TUTTE LE LIBRERIE DAL 12 DICEMBRE.

PER I PRIMI 50 CHE ACQUISTANO IN PREVENDITA: SCONTO DEL 10% E SENZA SPESE DI SPEDIZIONE!

Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 11:30:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Hamas rifiuta la presenza straniera a Gaza. Le ISF israeliane "monitoreranno solo il confine"

 

Un alto funzionario di Hamas ha ribadito il 16 dicembre che i palestinesi saranno responsabili della sicurezza nella Gaza del dopoguerra, mentre Washington insiste per mettere insieme la Forza internazionale di stabilizzazione (ISF) prevista dal "piano di pace" del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. 

"Tutte le fazioni palestinesi hanno concordato su una posizione unitaria riguardo alla presenza straniera nella Striscia di Gaza. Il loro consenso alla presenza di qualsiasi forza internazionale è subordinato alla limitazione del suo mandato al monitoraggio del cessate il fuoco al confine", ha precisato il funzionario di Hamas Hussam Badran in un'intervista all'agenzia di stampa russa Sputnik .

"I palestinesi gestiranno la Striscia di Gaza in modo indipendente, in collaborazione con un comitato di esperti, per garantire la sicurezza interna della Striscia. Le forze internazionali non avranno alcun ruolo in questo aspetto", ha proseguito Badran. 

Badran ha anche ricordato che Hamas “preferisce che la forza internazionale comprenda paesi amici del popolo palestinese”, sottolineando “la difficoltà di immaginare la partecipazione di paesi che hanno sostenuto Israele nella sua ultima guerra contro Gaza”.

"È ormai praticamente chiaro che nessun Paese è pronto per un vero impegno. Tutti sono consapevoli di quanto sia difficile la situazione e, naturalmente, nessuno vuole scontrarsi con i palestinesi", ha aggiunto, riferendosi ai tentativi finora falliti di riunire le Forze di Sicurezza israeliane. 

Lunedì Trump ha affermato che 59 paesi hanno espresso la volontà di unirsi alle forze di sicurezza. 

"Abbiamo 59 paesi che lo sostengono. E vedremo cosa succederà con Hamas, vedremo cosa succederà con Hezbollah [in Libano], ma in ogni caso, abbiamo paesi che vogliono intervenire e ripulire tutto se vogliamo che lo facciano", ha dichiarato. 

Due fonti statunitensi citate dalla Reuters la scorsa settimana hanno rivelato che le forze di sicurezza israeliane potrebbero essere inviate nella Striscia di Gaza assediata già il mese prossimo.

"La Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) non combatterà Hamas. Molti paesi hanno espresso interesse a contribuire e i funzionari stanno attualmente definendo le dimensioni, la composizione, l'alloggio, l'addestramento e le regole di ingaggio dell'ISF", hanno affermato le fonti. 

"Si sta valutando la possibilità di nominare un generale statunitense a due stelle per guidare le ISF, ma non è stata ancora presa alcuna decisione", hanno aggiunto.

Sebbene le fonti affermino che le forze di sicurezza israeliane non saranno incaricate di combattere Hamas, il piano di cessate il fuoco di Trump prevede che la forza internazionale debba imporre al gruppo la totale consegna di tutte le armi. 

In precedenza, Hamas aveva respinto questa proposta, ritenendola un tentativo di ottenere ciò che Israele non era riuscito a ottenere durante i due anni di guerra genocida.

Nelle ultime settimane sono emersi numerosi resoconti che rivelano un notevole disagio da parte del mondo arabo e regionale all'idea di essere costretti a partecipare a scontri armati a Gaza.

Le ISF “stanno faticando a decollare poiché i paesi considerati propensi a inviare soldati sono diventati diffidenti” per il timore che i loro soldati possano essere costretti a usare la forza contro i palestinesi, ha riportato il Washington Post a fine novembre. 

Il piano di Trump per Gaza prevedeva un significativo contributo di truppe da parte degli stati arabi, tra cui Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Tuttavia, dopo aver espresso un iniziale interesse, nessuno si è impegnato a partecipare, si legge nel rapporto.

Un alto funzionario pakistano ha dichiarato di recente che il suo Paese è pronto a inviare truppe per il mantenimento della pace, ma ha escluso di partecipare a qualsiasi disarmo.

"Gli americani sono insoddisfatti e stanno cercando altri Paesi", ha riferito Yedioth Ahronoth nel fine settimana. I Paesi sono esitanti "per timore di scontri con il movimento di Hamas, ma allo stesso tempo si stanno offrendo di fornire assistenza nel campo dell'addestramento e del finanziamento delle forze", ha aggiunto.

______________________________________________________

UNO SGUARDO DAL FRONTE

 19,00

 
IN USCITA IN TUTTE LE LIBRERIE DAL 12 DICEMBRE.

PER I PRIMI 50 CHE ACQUISTANO IN PREVENDITA: SCONTO DEL 10% E SENZA SPESE DI SPEDIZIONE!

Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 11:30:00 GMT
WORLD AFFAIRS
Orban: l'Ungheria rifiuta la leale cooperazione con l'UE sulla questione dei beni russi

 

L'Ungheria sta abbandonando il principio di leale cooperazione con l'Unione Europea perché l'UE è stata la prima a violarlo affrontando la questione dei beni russi congelati in Occidente, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orban.

"L'Ungheria ha aderito al principio di leale cooperazione in merito ai beni russi congelati. In risposta, l'UE ha privato l'Ungheria dei suoi diritti. Credo che da questo momento in poi l'Ungheria non sia tenuta a rispettare il principio di leale cooperazione se la controparte lo ha respinto, come è chiaramente accaduto", ha dichiarato Orbán parlando con i giornalisti a bordo dell'aereo diretto alla capitale belga. Il capo del governo ha pubblicato un video della conversazione sulla sua pagina sulla piattaforma social X.

Orbán ritiene che i leader dell'UE abbiano violato il diritto comunitario proponendo di prendere decisioni sulle attività finanziarie russe non per consenso, ma a maggioranza qualificata. "Ciò viola il principio di leale cooperazione nelle discussioni sulle sanzioni e crea un precedente pericoloso", ha affermato il primo ministro. A suo avviso, "questo caso avrà conseguenze di vasta portata".

Il 12 dicembre, il Consiglio dell'Unione Europea ha deciso di bloccare a tempo indeterminato i beni sovrani della Russia. La Commissione Europea spera di ottenere, al vertice del 18-19 dicembre, una decisione per espropriare 210 miliardi di euro di beni russi, inclusi 185 miliardi di euro congelati presso la piattaforma Euroclear in Belgio.

______________________________________________________

UNO SGUARDO DAL FRONTE

 19,00

 
IN USCITA IN TUTTE LE LIBRERIE DAL 12 DICEMBRE.

PER I PRIMI 50 CHE ACQUISTANO IN PREVENDITA: SCONTO DEL 10% E SENZA SPESE DI SPEDIZIONE!

Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 11:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Continua il Calvario del metropolita Arseniy

 

di Eliseo Bertolasi

 

Il Tribunale distrettuale di Chechelovskij di Dnepro ha deciso di prorogare la detenzione del metropolita Arseniy (Yakovenko), abate della Santa Dormizione di Svyatogorsk Lavra. La notizia è stata riportata il 16 dicembre dal canale Telegram Ukraina.ru.

Il metropolita è stato portato in tribunale come un pericoloso criminale in manette e accompagnato da quattro agenti di sicurezza. Nessun imputato nel “caso Mindich” ha dovuto affrontare misure così severe. Pare che per il regime di Kiev, rubare non sia un reato così grave, come avere dei principi morali.

Dopo l’annuncio del verdetto, il monaco è stato condotto fuori dall’aula mentre i fedeli cantavano l’inno religioso “Eis polla eti, despota”, che esprime l’augurio di “molti anni” di servizio spirituale.

Secondo la decisione del tribunale, il metropolita Arseniy sarà tenuto in custodia cautelare fino al 3 febbraio 2026, quindi il “Calvario” continua.

Il tribunale ha riunito due procedimenti penali contro il monaco in un unico procedimento. Il metropolita è accusato di aver diffuso informazioni sulle Forze armate ucraine, oltre al fatto “d’aver giustificato l’aggressione russa e glorificato i suoi partecipanti”.

Il pubblico ministero ha sostenuto che la detenzione è necessaria poiché il metropolita Arseniy, che ha ampie conoscenze e autorità, potrebbe fare pressione sui testimoni.

Lo stesso monaco non si è dichiarato colpevole e ha chiesto che la mozione del pubblico ministero fosse respinta.

Secondo l’Unione dei giornalisti ortodossi, agli avvocati del metropolita Arseniy non è stato permesso di partecipare all’udienza.

Come riportato dal canale Telegram Ukraina.ru il 29 ottobre, il metropolita Arseniy era stato rilasciato su cauzione dalla custodia cautelare in carcere a causa della necessità di un intervento chirurgico urgente al cuore. Tuttavia, subito dopo il suo rilascio, è stato accolto dagli ufficiali del Servizio di sicurezza ucraino, i quali, esibendo una nuova accusa lo hanno portato al loro quartier generale, affermando il loro diritto a trattenerlo fino a 72 ore. I rappresentanti della Chiesa Ortodossa russa hanno descritto queste azioni come “pubblica presa in giro” e “spudorata persecuzione”.

Di seguito, il tribunale ha rimandato di nuovo il vescovo in custodia cautelare per altri 60 giorni con una nuova accusa.

È stato anche riferito che, durante il suo secondo arresto, i farmaci del metropolita sono stati confiscati e lui è stato rinchiuso in una cella fredda.

L’intero procedimento penale contro il religioso è una presa in giro del concetto stesso di giustizia.

La situazione è chiara, qualcuno a Kiev ha deciso che l’anziano monaco deve morire.

Il metropolita Arseniy è un vero monaco, molto amato e ascoltato da religiosi e fedeli, proprio per questo è stato incarcerato.

Con l’inizio della guerra il monastero di Svyatogorsk si trovò nell’epicentro dei combattimenti. Nonostante gli fosse stata intimata l’evacuazione, il metropolita rimase nel monastero, insieme agli altri monaci, sopravvivendo miracolosamente ai bombardamenti.

I bombardamenti - è doveroso sottolinearlo - arrivarono da parte ucraina, nonostante nel monastero ci fossero solo profughi e monaci. La colpa principale del metropolita fu di avere rivelato questa scomoda verità, oltre ad aver affermato che lo stesso missile che colpì la città di Slavyansk fu lanciato dagli ucraini.

Continuando a prendersi cura dei fratelli e delle migliaia di profughi che la Lavra ogni giorno accoglieva, divenne presto una figura scomoda, questa la ragione per cui fu accusato di tradimento e incarcerato.

Negli ultimi anni le autorità ucraine hanno perseguito attivamente una politica di estromissione della “Chiesa Ortodossa Ucraina” (Ukrainskaya Pravoslavnaya Cekov’ - UPC), quella canonica, legata al Patriarcato di Mosca, incoraggiando le sue comunità religiose a passare sotto la giurisdizione della “Chiesa Ortodossa dell’Ucraina” (Pravoslavnaya Cekov’ Ukrainy – PCU), creata nel 2018 da due organizzazioni religiose scismatiche.

Le autorità locali hanno privato la “Chiesa Ortodossa Ucraina” del diritto di affittare terreni, soprattutto incoraggiano i sostenitori della “Chiesa Ortodossa dell’Ucraina” a sequestrare con la forza i luoghi di culto della Chiesa canonica, perfino con l’aggressione ai sacerdoti. Le forze dell’ordine ucraine stanno accusando i sacerdoti della “Chiesa Ortodossa Ucraina” di tradimento e altri crimini, imponendo loro sanzioni.

 

Fonti:

https://ukraina.ru/20251215/mitropolita-arseniya-vyveli-iz-zala-suda-pod-penie-veruyuschikh-1073161025.html

https://theotherukraine.info/2025/12/15/mitropolita-upcz-arseniya-priveli-v-sud-kak-opasnogo-prestupnika/

https://argumenti.ru/world/2025/12/979416

https://tass.ru/obschestvo/25529177

 

 

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 11:00:00 GMT
IN PRIMO PIANO
Muore prigioniero palestinese. Nelle carceri israeliane aumentano i decessi legati alla tortura

 

di Middle East Eye

Un prigioniero palestinese di 26 anni è morto mentre era in custodia israeliana, dove negli ultimi due anni le morti legate alla tortura sono aumentate notevolmente, hanno riferito domenica le autorità palestinesi.

Secondo la sua famiglia, Sakhr Ahmad Khalil Zaoul, di Betlemme, era in perfetta salute quando è stato arrestato a giugno e posto in detenzione amministrativa, ovvero in carcere senza accusa né processo, nella famigerata prigione di Ofer. 

La sua morte è avvenuta pochi giorni dopo l'annuncio della morte di un altro prigioniero, il ventunenne Abdul Rahman al-Sabateen, confermata dalla Commissione per gli affari dei detenuti e degli ex detenuti e dalla Società dei prigionieri palestinesi (PPS).

"Le pratiche israeliane contro i prigionieri non sono altro che uno sterminio sistematico, portato avanti dietro appelli aperti ed espliciti da parte dei leader e dei ministri del governo", hanno affermato domenica la commissione e il PPS.

I gruppi hanno aggiunto che le condizioni all'interno delle prigioni gestite da Israele "vanno oltre ogni descrizione", citando torture, fame, negligenza medica, abusi sessuali e negazione dei diritti fondamentali.

Le organizzazioni per i diritti umani e i resoconti dei media hanno già accusato le autorità israeliane di aver torturato i palestinesi a Ofer, situato tra Gerusalemme e Ramallah, e in altri centri di detenzione.

I palestinesi tenuti in detenzione amministrativa affrontano condizioni particolarmente dure e aggressioni violente.

Questa controversa politica, che consente la reclusione senza accusa né processo, è stata utilizzata sempre più spesso a partire dall'ottobre 2023.

In un incontro tenutosi domenica dal Centro palestinese per lo sviluppo e la libertà dei media (MADA), il giornalista palestinese Sami al-Saai, detenuto in base a questa politica, ha descritto le torture subite, tra cui lo stupro. 

"Sono stato sottoposto a percosse, minacce e aggressioni sessuali da parte di numerose guardie carcerarie durante la mia detenzione nel carcere di Megiddo, da febbraio 2024 a giugno di quest'anno", ha affermato.

'Campi di tortura'

Si ritiene che almeno 9.300 palestinesi siano attualmente detenuti nelle prigioni israeliane, anche se si ritiene che la cifra effettiva sia più alta, poiché Israele omette informazioni su centinaia di persone rapite a Gaza.

Sebbene gli abusi nelle carceri israeliane siano documentati da tempo, le segnalazioni di torture e morti tra i prigionieri sono aumentate a partire dall'ottobre 2023.

Sono stati documentati almeno 100 decessi in tali condizioni, anche se i gruppi palestinesi affermano che il numero effettivo è probabilmente più alto a causa dell'omissione di informazioni da parte di Israele.

Gruppi internazionali e israeliani per i diritti umani hanno condannato gli abusi. B'Tselem ha definito le prigioni israeliane "campi di tortura".

L'ufficio del difensore pubblico israeliano ha ammesso all'inizio di questo mese che le condizioni sono peggiorate dall'ottobre 2023, con i palestinesi che soffrono di fame estrema, sovraffollamento e violenza sistematica da parte del personale carcerario.

Un rapporto del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, pubblicato il mese scorso, afferma che la tortura nelle carceri israeliane è "organizzata e diffusa" e che è notevolmente aumentata dall'inizio della guerra di Gaza.

"Il comitato era profondamente preoccupato per le segnalazioni che indicavano una politica statale di fatto di tortura e maltrattamenti organizzati e diffusi durante il periodo di riferimento, che si era gravemente intensificata dal 7 ottobre 2023", si legge nel rapporto.

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

______________________________________________________

UNO SGUARDO DAL FRONTE

 19,00

 
IN USCITA IN TUTTE LE LIBRERIE DAL 12 DICEMBRE.

PER I PRIMI 50 CHE ACQUISTANO IN PREVENDITA: SCONTO DEL 10% E SENZA SPESE DI SPEDIZIONE!

Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 11:00:00 GMT
Lavoro e Lotte sociali
Se la Meloni fa rimpiangere la Fornero

 

di Federico Giusti

Il governo Meloni getta la maschera e ancora una volta sulle pensioni, in attesa del dibattuto parlamentare ormai da settimane stanno cercando di far quadrare i conti e sono, per la ennesima volta, le pensioni il banco di prova per attestare la tenuta del Bilancio.
 
Un emendamento appena presentato aggiunge l'ennesimo intervento sulla età pensionabile, infatti, dal 2032 in poi, chi vorrà andare in pensione con lieve anticipo (ossia quanti avranno l'anzianità di servizio, i versamenti per capirci ma non ancora l'età anagrafica)  dovranno aspettare qualche mese. Per l'esattezza si lavora sulle solite finestre, raggiunto il requisito per la pensione dovrai aspettare la prima finestra di uscita utile che slitta di un mese  che poi diventeranno 2 nel 2034 aggiungendo ulteriori tre mesi nel 2035. Fatti due conti tra 10 anni, rispetto ad oggi, l'uscita dal lavoro verrebbe posticipata di 9 mesi.
 
Un emendamento non è detto che passi ma se a presentarlo è la maggioranza dopo settimane di discussione ci sono buone probabilità che rappresenti la mediazione sulla quale convergere per la tenuta della Legge di Bilancio.
 
Questo emendamento poi aggiunge un' ulteriore novità difficile da digerire: ricordate il riscatto della laurea che a molti è costato decine di migliaia di euro con versamenti diluiti nel corso degli anni? Parliamo di soldi finiti nelle casse statali per recuperare, a fini previdenziali, gli anni universitari, si pagano tanti soldi per accrescere gli anni contributivi, uscire un anno o due prima dal mondo del lavoro o raggiungere un futuro assegno previdenziale meno povero.
 
L'emendamento prevede che parte di questi anni non varrà per raggiungere il requisito  della pensione anticipata attraverso un meccanismo, beffardo, che taglia da qui al 2025 30 mesi.
 
A chi non fosse chiara l'operazione , basti ricordare che il riscatto della laurea era stato caldeggiato per anni nonostante i costi elevati, presentato come occasione per uscire prima dal mondo del lavoro previo sacrificio economico. Con questo emendamento invece scopriamo che tra 10 anni, per la pensione, serviranno quasi 44 anni di contributi e l'oneroso riscatto della laurea non sarà preso in esame per uscire prima,  appena raggiunti  i requisiti previdenziali, dal mondo del lavoro
 
Fatti due conti la pensione verrà ritardata in un decennio di 33 mesi, ossia  30 mesi di quelli riscattati non più validi ai fini dell'anticipo dell'età previdenziale  (ce ne lasceranno alcuni, bontà loro) più i 3 mesi per la prima finestra.
 
Siamo davanti all'ennesima misura retroattiva in materia previdenziale, lo avevamo annunciato settimane or sono e per questo venimmo accusati di voler mettere il carro davanti ai buoi
Questa Legge di Bilancio, per far quadrare i conti, confermare la tassa piatta agli autonomi e procedere con gli sgravi fiscali alle imprese si accanisce contro chi ha già effettuato i versamenti previdenziali, cambia le regole  e vanifica gli sforzi economici di tanti. 
 
Ma c'è di peggio, il cittadino che non ha pagato le tasse viene "premiato" con la rottamazione delle cartelle esattoriali o la dilatazione dei pagamenti in comode rate, chi invece aveva provato , pagando, a mettere in sicurezza la sua futura pensione si trova oggi beffato e capisce di avere donato soldi allo Stato senza poter utilizzare questo sforzo per anticipare l'uscita dal lavoro. L'età pensionabile si innalza tra aspettativa di vita, l'applicazione delle finestre che posticipano l'uscita, il tutto per raggranellare meno di 1,5 miliardi che, per altro, un controllo effettivo sulla evasione fiscale con misure atte all'immediato recupero delle somme dovute garantirebbe cifre assai maggiori
 
Per il lavoratore credulone che applaudiva Meloni e Salvini quando tuonavano dai banchi della opposizione contro la Fornero è un amaro risveglio, scoprire che invece di cambiare la legge previdenziale aumentano gli anni da lavorare  sarà motivo valido per cambiare idea su questo Esecutivo? Comprenderanno  che gli interessi tutelati dalle destre non sono certo quelli dei salariati?

______________________________________________________

UNO SGUARDO DAL FRONTE

 19,00

 
IN USCITA IN TUTTE LE LIBRERIE DAL 12 DICEMBRE.

PER I PRIMI 50 CHE ACQUISTANO IN PREVENDITA: SCONTO DEL 10% E SENZA SPESE DI SPEDIZIONE!

Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 10:30:00 GMT
OP-ED
Caitlin Johnstone: I propagandisti israeliani ripetono tutti la stessa identica frase sulla sparatoria di Bondi

 

Caitlin Johnstone*

Sembra che sia stato diffuso un qualche tipo di promemoria o qualcosa del genere, perché i media e gli individui filo-israeliani stanno tutti amplificando a gran voce un argomento specifico sulla sparatoria di Bondi Beach.

Ecco alcuni esempi:

Bondi Beach è ciò che significa 'globalizzare l'Intifada' "
~ Bret Stephens, New York Times

“ L’Intifada arriva a Bondi Beach 
~ David Frum, The Atlantic

“ L’Intifada arriva in Australia 
~ Walter Russell Mead, Wall Street Journal

“ La sparatoria a Bondi Beach è l’immagine di un’intifada globalizzata 
~ Herb Keinon, Jerusalem Post

“ L’Intifada arriva in Australia 
~ Ayaan Hirsi Ali, The Free Press

Benvenuti all'intifada globale "
~ David Harsanyi, Washington Examiner

“ La propaganda palestinese ha globalizzato l’intifada 
~ Zachary Faria, Washington Examiner

“ Il massacro di Bondi Beach è l’esempio della globalizzazione dell’Intifada 
~ Vivian Bercovici, National Post

Cantare 'globalizzare l'intifada' porta a Bondi Beach "
~ Danny Cohen, The Telegraph

"Ho una domanda semplice per la sinistra dopo la sparatoria antisemita in Australia. Cosa pensate che significhi 'globalizzare l'Intifada'?"
Senatore statunitense Ted Cruz

"Quell'attacco a Sydney è esattamente ciò che significa 'globalizzare l'Intifada'. Abbiamo visto l'effettiva applicazione della globalizzazione dell'Intifada a Sydney."
Il sindaco di New York, Eric Adams

"Questi sono i risultati della furia antisemita nelle strade dell'Australia negli ultimi due anni, con gli appelli antisemiti e incitanti di 'Globalizzare l'Intifada' che si sono concretizzati oggi."
Gideon Sa'ar, Ministro degli Esteri di Israele

"Quando ti rifiuti di condannare e ti limiti a 'scoraggiare' l'uso del termine 'Globalizzare l'Intifada', contribuisci a facilitare (non a causare) il pensiero che porta a Bondi Beach."
Deborah Lipstadt, ex inviata statunitense per l'antisemitismo (rivolgendosi al sindaco eletto di New York City Zohran Mamdani)

"Cosa diavolo pensi significhi globalizzare l'Intifada? E la gente non riesce a vedere il collegamento tra quel tipo di retorica e gli attacchi agli ebrei in quanto ebrei? Perché è questo che ha davvero colpito il cuore degli ebrei nel nostro Paese oggi: un attacco agli ebrei che si organizzano intorno a Hannukah, che si uniscono come ebrei."
Wes Streeting, Ministro della Salute del Regno Unito

"Perché è ancora permesso? Qual è il significato di globalizzare l'Intifada? Ve lo dico io il significato... è quello che è successo ieri a Bondi Beach."
Ephraim Mirvis, Rabbino Capo del Regno Unito

"Gli appelli a 'globalizzare l'Intifada' e gli slogan 'dal fiume al mare' non sono slogan astratti o retorici. Sono espliciti appelli alla violenza, e comportano conseguenze mortali. Ciò a cui stiamo assistendo è l'inevitabile risultato di una radicalizzazione sostenuta, a cui è stato permesso di inasprirsi sotto le spoglie della protesta."
Ambasciata israeliana nel Regno Unito

"Ecco cosa succede quando si 'globalizza l'intifada'."
Redattori di Newsweek

"Non si è trattato di un atto di violenza isolato, ma del culmine della retorica "globalizzare l'Intifada" che si è diffusa in tutto il mondo a partire dal 7 ottobre."
Yoni Bashan, The Times

"Per coloro che hanno marciato negli ultimi anni chiedendo di 'globalizzare l'intifada', questa è una barbara conseguenza antisemita della loro stupidità filo-islamista."
Ex conduttore della BBC Andrew Neil

"Quando le persone chiedono di 'globalizzare l'intifada', questo è ciò che chiedono: ebrei morti, terrorismo e famiglie distrutte per sempre."
Portavoce della Campagna contro l'antisemitismo

"Prendere posizione contro l'antisemitismo dopo Bondi Beach dovrebbe iniziare con un riconoscimento inequivocabile che la retorica dell'"intifada" è un incitamento all'odio."
Cathy Young di The Bulwark

"Sarebbe fantastico se coloro che hanno gridato 'Intifada globale' rivisitassero questa frase proprio ora. Non è uno 'slogan innocuo di sinistra'. È un invito a incolpare – e uccidere – gli ebrei che non hanno nulla, assolutamente nulla a che fare con le azioni del governo israeliano."
Marianne Williamson, guru spirituale ed ex candidata alla presidenza degli Stati Uniti

Naturalmente, a queste testate e a questi individui non importa davvero dell'espressione "globalizzare l'Intifada". Se gli attivisti pro-Palestina non avessero mai scandito quello slogan, oggi i fautori della propaganda pro-Israele si concentrerebbero su una linea diversa. Non stanno cercando di fermare slogan che percepiscono come pericolosi, stanno cercando di soffocare le critiche alle atrocità genocide di Israele.

Come ha scritto Natasha Lennard di The Intercept a proposito del suddetto articolo di Bret Stephens, "Tutto viene fatto in nome della lotta all'antisemitismo, confondendo le peggiori forme di intolleranza antiebraica violenta, come quella che abbiamo visto a Bondi Beach, con qualsiasi critica a Israele e alle sue azioni. Affermare che i palestinesi dovrebbero godere dei diritti umani fondamentali, in quest'ottica, diventa un attacco mortale alla sicurezza ebraica".

Il termine "intifada" significa "scuotersi di dosso" e "sollevarsi" e, come hanno spiegato l'anno scorso Craig Birckhead-Morton e Yasmin Zainab Bergemann di Middle East Eye , le intifade hanno storicamente incluso la resistenza non violenta. Dire "globalizzare l'intifada" non significa incitare a massacrare civili ebrei in tutto il mondo, ma sostenere la resistenza alla struttura di potere che ha incenerito Gaza e continua a infliggere abusi ai palestinesi e a qualsiasi altra popolazione che non si pieghi agli interessi dell'impero.

E chi diffonde allarmismo attorno a questa frase lo sa. Sono pienamente consapevoli di usare una tragica sparatoria di massa come arma politica contro chi crede che i palestinesi siano esseri umani. Questa è solo l'ennesima cinica manipolazione volta a proteggere Israele dalle critiche, in modo che possa infliggere ulteriore violenza e sofferenza al mondo.

Come ha scritto Em Hilton per il quotidiano israeliano +972, "È osceno la rapidità con cui la destra si è avvalsa di questo orrore per promuovere un programma islamofobo e anti-palestinese. Ed è disgustoso vedere i politici israeliani quasi esultanti all'idea di poter distogliere l'attenzione dal loro assalto genocida a Gaza usando il nostro dolore e la nostra sofferenza come arma politica".

_______________

(Traduzione de l'AntiDiplomatico)

*Giornalista e saggista australiana. Pubblica tutti i suoi articoli nella newsletter personale: https://www.caitlinjohnst.one/

______________________________________________________

UNO SGUARDO DAL FRONTE

 19,00

 
IN USCITA IN TUTTE LE LIBRERIE DAL 12 DICEMBRE.

PER I PRIMI 50 CHE ACQUISTANO IN PREVENDITA: SCONTO DEL 10% E SENZA SPESE DI SPEDIZIONE!

Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

Data articolo: Wed, 17 Dec 2025 10:30:00 GMT

News su Gazzetta ufficiale dello Stato, Corte costituzionale, Corte dei Conti, Cassazione, TAR