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Blog a cura di Mario Natangelo
28 punti

28 punti – La mia vignetta su il Fatto Quotidiano di oggi in edicola

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Data articolo:Fri, 28 Nov 2025 08:35:16 +0000
Prove su strada a cura di Cesare Gasparri Zezza
Hyundai Tucson, la prova de Il Fatto.it – Più potente ed efficiente col full hybrid 4WD – FOTO

Ci sono mattine in cui Milano sembra prendersi una pausa. L’aria è tersa, i viali vibrano appena del rumore di chi va al lavoro, e “l’autunno è una seconda primavera, quando ogni foglia è un fiore”, scriveva Albert Camus. È in una di queste giornate nitide che incontriamo la nuova Hyundai Tucson full hybrid Model Year 2026, alle porte della città.

Il nostro percorso è quello reale: Porta Romana, Peschiera Borromeo, poi su verso Lainate, tra raccordi, rotonde e tratti veloci dove l’hinterland si ricama attorno alla città. Uno scenario perfetto per capire quanto siano concreti gli aggiornamenti della Tucson 2026, uno dei suv di taglia media più venduti in Italia ed Europa.

Il cuore del progetto resta il sistema full hybrid, basato sul 1.6 T-GDI benzina abbinato a un motore elettrico dalla spinta più corposa che in passato, per una potenza complessiva di 239 cavalli. La novità più interessante è la versione 4WD, quella della nostra prova, con trazione integrale elettronica HTRAC. Non è un sistema da off-road duro, ma nel quotidiano offre più motricità sul bagnato, più stabilità nei curvoni veloci e un comportamento generale più pieno. Lo 0-100 km/h è coperto in 8,0 secondi, ma il dato più rilevante è la fluidità: molte partenze in elettrico, passaggi termico-elettrico quasi impercettibili, un’erogazione lineare che aiuta a guidare rilassati.

La gamma è ampia: oltre alla full hybrid 4WD ci sono la full hybrid 2WD, la plug-in hybrid 4WD da 288 cavalli, il benzina 1.6 T-GDI da 150 cavalli (manuale o doppia frizione) e il diesel 1.6 CRDi mild-hybrid 48V da 136 cavalli con cambio a doppia frizione. Una proposta completa, che copre quasi tutte le esigenze senza sovrapposizioni.

A bordo, la Tucson MY26 introduce un ambiente moderno e razionale. La plancia è dominata dal nuovo doppio display curvo da 12,3 pollici affiancati, strumentazione e infotainment nella stessa palpebra. Il selettore del cambio, spostato dietro il volante, libera spazio sulla console, ora più ordinata. Restano i comandi fisici per il clima e i tasti rapidi per le funzioni principali: una rarità oggi, ma una benedizione nella guida quotidiana. Lo spazio, poi, resta uno dei grandi argomenti della Tucson: cinque adulti stanno comodi e il bagagliaio della full hybrid 4WD offre 616 litri netti, senza penalizzazioni dovute alla batteria.

Sul fronte tecnologico arrivano connettività Bluelink, servizi Hyundai LIVE, aggiornamenti software via rete e la Digital Key 2.0, che permette di aprire, avviare e condividere l’auto tramite smartphone o card. Per la sicurezza c’è l’ultima evoluzione del pacchetto SmartSense: frenata automatica d’emergenza, cruise adattivo con funzione stop&go, mantenimento e centraggio di corsia, riconoscimento dei limiti, monitoraggio della stanchezza, controllo del traffico posteriore e il Blind Spot View Monitor, che mostra nel quadro strumenti l’immagine delle telecamere laterali quando si inserisce la freccia.

Su strada la Tucson resta fedele a sé stessa: morbida senza essere cedevole, silenziosa, intuitiva. Assorbe bene le asperità, gestisce con compostezza il passaggio da elettrico a termico e mantiene consumi reali intorno ai 6,3 l/100 km, un valore ottimo per una 4WD di questa potenza.

Non avrà il blasone delle premium tedesche, ma la distanza percepita si è ridotta: materiali curati, ergonomia superiore alla media, tanta sostanza e zero effetti speciali inutili. È un SUV che parla alla parte razionale di famiglie e professionisti, insomma.

Il listino di Hyundai Tucson Model Year 2026 parte da 33.400 euro per la 1.6 T-GDI benzina XTech. La full hybrid 4WD da 239 cavalli che abbiamo guidato parte da 42.100 euro nell’allestimento XTech, con Business ed Excellence che arrivano a 44.600 euro

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Data articolo:Fri, 28 Nov 2025 07:45:10 +0000
Blog a cura di LINGUAFRANCA-sabir
Gojko Božović, poeta minimalista (Traduzione di Stevka Šmitran)

Gojko Božović è nato nel 1972 a Pljevlja, in Montenegro, e vive a Belgrado, dove si è laureato alla Facoltà di Filologia. Poeta, saggista, critico letterario, editore e fondatore della casa editrice Arhipelag, possiede una rara proprietà della parola che ha sperimentato il senso dell’esperienza nelle sue pieghe più nascoste, in cui ogni cosa vissuta è potenziale parola poetica. Il contenuto è collegato al titolo stesso delle poesie e chiarisce il concetto della originalità stilistica del verso. Poeta minimalista malinconico, Gojko Božović, con temi che sembrano ovvi, ha creato una riflessione profonda sulle cose e sul nostro sguardo su di esse, per mezzo di una lingua metaforica moderna, sia nella forma che nel contenuto.

Ha pubblicato diverse raccolte di poesia tra cui: Cinema sotterraneo (1991), Poesie sulle cose (1996), Arcipelago (2002), Gli dei vicini (2012), Mentre scompariamo nel buio (2021). Tra i saggi pubblicati molti riguardano la storia della poesia serba: I luoghi che amiamo. Saggi sulla letteratura serba (2009), I regni senza confini. Saggi sulla poesia serba del XX e XXI secolo (2019), Nascita della poesia (2023). Tradotto in diverse lingue, ha ricevuto premi nazionali e internazionali tra cui il premio italiano “Europa Giovani International Poetry Prizeâ€. È ideatore e organizzatore del Beogradski festival evropske književnosti (Festival belgradese di letteratura europea).

S.Å 

Odisseo

Una volta che me ne sono andato,
E non tornerò più.
Non tornerò più.
Verrà qualcun altro,
Con il mio nome e con il mio volto.
Parlerà con la mia lingua
E avrà la cicatrice
Sulla gamba destra.
Nessuno mi riconoscerà per questo.
Non tornerò più.

Musica per le tue orecchie

Le cose importanti sono trascorse.
Tutto ciò che doveva è già accaduto.
I re sono caduti, i miti raccontati,
La Repubblica distrutta con l’indifferenza nelle botti.
Il vino, instabile, matura nelle botti
I fiumi sono incanalati nei tubi
E i tubi buttati nella spazzatura.
Sono ancora lì, perché la spazzatura
Non butta niente, non si
Rimette in una posizione di alternativa.
Quello che non è accaduto
È la vita in cui non siamo entrati,
Sono alcune vite
Che non sono né nostre, né altrui,
Né dei nati, né dei non nati,
Né la vita, né la morte.
Bisogna rinnovare il racconto,
Alla foce soddisfare la sete
Sentire la voce del vento
Tra i corpi dei palazzi.
I giovani, uomini chiassosi
Distruggeranno le lettere del canone
Nel loro fischio sarà composto
Il concerto soltanto per le tue orecchie.

Quando tutto sarà passato

Una volta, quando tutto sarà passato,
E tutto passerà,
Tutto quello che dura per giorni
E per mille giorni,
E anni
E per mille anni,
Finirà in un giorno,
Quando tutti alzano la testa
Chinata dalla paura,
Di menzogne a poco prezzo
E di costosi prestiti,
In un primo momento,
Non ci sarà nessuno vicino,
Ci sarà lo spazio vuoto,
Libero spazio dove sarai solo,
E tutto ciò che saprai sarà: che sei solo,
Ognuno s’incontrerà
Solo con se stesso,
Un giorno, quando tutto finirà.

Il taglio

Quando sono nato
Avevo
Più anni di adesso
Prima di questo
La mia memoria
Era migliore
Solo che dopo
Perdevo tempo

Tra due parole

Tra due parole
Tra due secoli
Giaceva la poesia
La parola è troppo carnale
Per essere poesia

La poesia è bella
Quanto lo permettono
Le circostanze
Come in cielo
Così in terra

Teoria della discarica

Alla discarica incantata
Nella patria delle rose
È seduta bellezza la bestia

La discarica è
Tra sogno e realtà

Nel vecchio posto

Mia cara bellezza
Mia amata bestia
Parla
In una delle sue
Lingue mute

Parla
Mentre da tutte
Le parti del mondo
Ti saluta
Graziosa bruttezza

Il cimitero di casamatta

Dalla casamatta
Arriva l’umanesimo
Là è il posto
Di lavoro della Bibbia

Da lì arrivano
Divinità e i giusti
con l’agnello
Tra i denti

Dal cimitero di casamatta
Si va soltanto
In paradiso
Perché altre strade non ci sono
E neppure le casematte.

Il diluvio

Nel baule di Noè
È entrato tutto il mondo
Tempo e spazio

Uno di ciascuno
C’era

Tutto c’era
Perché
Le forme si ripetono

Il diluvio ha coperto tutto
Tranne le anime che sono
Nel mondo alluvionato.

La scelta

Noi non abbiamo scelta,
E la nostra scelta è facile.
All’alba raccogliere la rugiada.
A mezzogiorno entrare nell’ombra.
Al crepuscolo sapere che
Il mattino è più saggio della sera.
E riflettere
Mentre aspetti le notizie.
Mentre aspetti amici e nemici,
Mentre niente dici e ancor di più
Mentre parli,
Mentre gli altri parlano
E soprattutto mentre stanno zitti,
E mentre la città in cui vivi
È la stella solitaria
All’orizzonte lontano.

Dietro lo specchio dell’automobile

Conosco molto bene le immagini che passano
Da ambedue le parti della strada
Nella notte buia
Dietro lo specchio dell’automobile.
Il buio nasconde le immagini
Che chiare vedo nel ricordo.
Tante volte sono passato da quella parte
Che so esattamente dove sono le cose.
Sono io quel movimento
Tra le immagini nel buio
E le immagini nel ricordo.

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Data articolo:Fri, 28 Nov 2025 06:55:18 +0000
Blog a cura di Luca Antonio Pepe
Fondi alle fondazioni liriche e sicurezza sismica: Giuli ce l’ha ancora con il Sud

E’ sempre più evidente che il Mezzogiorno sia uscito dai radar di questo Esecutivo che, provvedimento dopo provvedimento, sta violando ogni dispositivo legislativo posto a tutela dei meridionali. Sul banco degli imputati, ancora una volta, il ministro della Cultura Alessandro Giuli, artefice di una politica governativa che ha messo nel mirino la cultura meridionale. Giusto per farvi capire la portata dei suoi provvedimenti ammazza-Sud, analizzo qui di seguito due atti adottati negli ultimi giorni.

Ebbene, il 7 novembre 2025 sul sito del Ministero è stato pubblicato il decreto ministeriale n.356, volto a finanziare le fondazioni lirico sinfoniche per l’anno 2025, una manicata di spiccioli per un settore importantissimo. Parliamo di importi del tutto esegui rispetto alle esigenze di attrattori culturali che coinvolgono centinaia di professionisti, e cioè di 399.498 euro per le fondazioni Teatro alla Scala di Milano e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e di 1.366.891,40 euro per tutte le altre eccellenze, come ad esempio l’Arena di Verona.

Più di tutto, però, fa riflettere il riparto sperequato dell’esigua dotazione, che vede ancora una volta il Mezzogiorno messo in un angolo. Infatti, solo il San Carlo di Napoli, il teatro Massimo di Palermo e la Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari riescono a portare qualcosa a casa, rispettivamente 128.383, 136.211 e 80.221 euro, per un totale complessivo di appena 344.815 euro. Effettuando un rapido calcolo, il Sud è destinatario di appena il 19% dei 1.766.390 euro messi sul tavolo.

Sul punto, andrebbe ricordato a Giuli il criterio ispiratore della clausola del 40%, introdotta col decreto-legge n. 60/2024, secondo cui le Amministrazioni centrali dello Stato devono destinare alle regioni meridionali il 40% delle risorse ordinarie. Il paradosso è che proprio questo Esecutivo ha inteso rafforzare la vecchia clausola del 34%, incrementando a 40 la percentuale delle risorse allocabili. Una beffa ulteriore per i meridionali. In questo caso il Sud ha percepito il 21% delle risorse in meno. Si dirà che è un caso. L’ennesimo.

Quindi, per tastare la buona fede del dicastero della cultura sono andato ad approfondire l’ultima ripartizione territoriale attuata dal ministro, pubblicata lo scorso 20 novembre nella sezione dedicata ai decreti direttoriali. E, più specificamente, il Decreto DiAG n. 2091 che stanzia risorse per la sicurezza sismica luoghi di culto e dei siti di ricovero per le opere d’arte. La domanda sorge spontanea: possibile che persino questa misura conosce una ripartizione sbilanciata? Vediamo.

Il Capo Dipartimento per l’Amministrazione generale ha assegnato 8.960.476 euro per il finanziamento di interventi di adeguamento e messa in sicurezza sismica di 27 luoghi di culto e per il restauro del patrimonio culturale del Fondo Edifici di Culto e siti di ricovero per le opere d’arte. Ancora una volta, a beneficiare di questi importi sono pochi siti meridionali, che percepisce appena 2.815.000 euro, a fronte degli 8.960.476 complessivi, cioè poco più del 30%.

A questo punto, giova puntualizzare che questi interventi sono finanziati con la Missione 1 ‘Turismo e Cultura 4.0’ del Pnrr, il che demanderebbe all’obbligo di rispettare un’altra Clausola, sempre denominata ‘40%’ ma adottata con decreto legge n. 77/2021. Questo provvedimento dispone che le Amministrazioni centrali coinvolte nell’attuazione del Pnrr debbano assicurare almeno il 40% delle risorse allocabili territorialmente alle regioni meridionali. Dunque, ancora una volta Giuli ha tagliato al Sud circa il 10% di risorse spettanti. Ma in questo caso una fetta di responsabilità è attribuibile anche al ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e per il Pnrr, Tommaso Foti, giacché spetta al Dipartimento per le politiche di coesione verificare il rispetto di tale clausola, dovendo relazionare periodicamente alla Cabina di regia appositamente costituita per l’attuazione del Piano.

E qual è il risultato? Che la ‘Relazione sulla destinazione al Mezzogiorno delle risorse del Pnrr’ è ferma al 31 dicembre 2023, come si evince dal sito del Dipartimento delle Politiche di Coesione. A proposito, qualcuno dica a Luigi Sbarra che riveste il ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per il Sud e non più i panni del sindacalista. Ciò detto, è ormai evidente che ci troviamo di fronte al Governo più anti-meridionale della storia, e non è certo un caso: com’ebbe a dire Agatha Christie ‘un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova’.

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Data articolo:Fri, 28 Nov 2025 06:52:05 +0000
Blog a cura di Giorgio Simonelli
Su Focus Tv un documentario imperdibile sulla vittima collaterale della strage di Ustica

A tutti coloro, politici o giornalisti, che ogni giorno esaltano le virtù del mondo occidentale e i valori della libertà d’impresa che vi sono garantite do un consiglio. Non perdetevi venerdì 28 novembre sera sulle rete Focus in seconda serata un bel documentario di Antonio Nasso. Si intitola L’82° vittima. Di chi si tratta?

Come è noto, le vittime della cosiddetta strage di Ustica sono state, tra passeggeri e membri dell’equipaggio, 81. La numero 82 è Aldo Davanzali o se preferite la sua società, l’Itavia, oppure la libertà d’impresa. I fatti sono noti. Un aereo dell’Itavia compagnia privata di Aldo Davanzali, che sta conquistando uno spazio nel mercato delle rotte aeree, cade una sera di fine giugno del 1980 nel mar Tirreno provocando la morte di 81 persone. Il disastro viene attribuito dalle versioni ufficiali prese per buone dall’informazione a un cedimento strutturale, gettando un’ombra sull’affidabilità della compagnia, che va in crisi e chiude nel giro di pochi mesi.

Come è altrettanto noto, la caparbia inchiesta di un grande giornalista e quella successiva di un valoroso giudice portano alla luce la verità nascosta dai depistaggi, dalle bugie, dalle omertà di testimoni, generali e ministri come i socialisti Formica e Lagorio. Non ci fu nessun cedimento strutturale, ma l’abbattimento da parte di un missile sparato in un teatro di guerra tra forze occidentali e aerei libici. La storia è già stata raccontata benissimo in un bel film di Marco Risi, Il muro di gomma.

Il documentario aggiunge alcune cose piuttosto interessanti. Da un lato c’è la storia dell’azienda: i suoi successi, il clima di serenità familiare vissuto e ricordato a distanza di anni nelle interviste di piloti, tecnici, assistenti di volo, fino al dramma della chiusura e alla malattia del proprietario, causata dalle ingiuste accuse come una recente sentenza riconosce. Da un altro lato, c’è il depistaggio che inizia molto prima di quanto fino ad oggi si pensava. Il doc ci rivela, infatti, che tutto comincia la sera stessa della strage come racconta un geologo di Ustica; i primi soccorsi vengono inviati verso le acque circostanti l’isola mentre il disastro è avvento 150 kilometri a nord, poi quando puntano verso nord viene loro intimato di spostarsi a ovest.

D’altronde a Davanzali e al suo più stretto collaboratore fu chiaro fin da subito che la causa del disastro fosse un missile; l’invenzione del cedimento strutturale era una “porcata†messa in piedi dai militari, avallata dal governo, ribadita dai giornali, che portò un’azienda florida e utile al paese alla chiusura, un imprenditore valido e perbene alla malattia e la libertà d’impresa nelle solite chiacchiere.

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Data articolo:Fri, 28 Nov 2025 06:45:54 +0000
Blog a cura di Domenico De Felice
“Medici di famiglia dipendenti del Servizio sanitarioâ€: Garattini mi dà ragione. Schillaci, batti un colpo!

Cosa aspetti, collega Schillaci? Aspetti che il Servizio Sanitario Nazionale imploda? Aspetti che i cittadini italiani si ammalino irreversibilmente? Favorisci, insieme ai tuoi colleghi, il continuo allontanamento dei cittadini dalla politica perché non credono più ai vostri sproloqui? Tu che fai il medico e che sicuramente dovesti avere prontezza di riflessi nel campo sanitario si sono un po’ rallentati?

Oggi sono felice perché per chi mi legge, e per chi non lo ha fatto può andare a leggere i miei articoli degli ultimi anni, posso dare una notizia entusiasmante. Anche il prof Garattini ha detto in una intervista che “i medici di famiglia devono diventare dipendenti del SSNâ€! Sante parole sembra abbia, lui sì, letto le mie! Ma con tutto il rispetto, caro prof Garattini, per avere veramente una svolta occorrerebbero che i medici di base si allocassero in strutture ospedaliere, pubbliche o private accreditate, non nelle case di comunità, costose isole nel deserto!

Ed ancora, caro prof Garattini, per allontanarci ancor più dai sindacati dei medici di base che vogliono difendere il lavoro di privati accreditati, occorre fondare una nuova facoltà di Medicina del Territorio che sforni ogni cinque anni nuovi medici che facciano solo il primo contatto in strutture ospedaliere che hanno tutto per giungere ad una diagnosi ed una terapia più utile al paziente. Lasciando finalmente liberi i Pronto Soccorso per le vere urgenze.

Perché, altrimenti, le sue ultime parole saranno sicuro da prendere come un presagio non troppo lontano: “Io ho vissuto il periodo in cui il Servizio sanitario nazionale non esisteva – ha detto –. Mio padre dovette prendere un secondo lavoro per curare i familiari, perché bisognava pagare tutto. Oggi si rischia di tornare a quella situazione, e questo dobbiamo assolutamente evitarloâ€.

Schillaci, batti un colpo se ci sei. Partiamo da qui subito per una riforma epocale prima che il paziente, inteso come SSN, muoia.

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Data articolo:Fri, 28 Nov 2025 06:41:41 +0000
Blog a cura di Sostenitore
Noi dipendenti di Telecontact chiediamo che Tim annulli questa esternalizzazione

di Enzo Ravanelli

È sempre più evidente il disegno dietro al quale si cela la cessione di Telecontact a DNA, ovvero il licenziamento dei dipendenti del contact center di Tim. A tale proposito, ciò che noi dipendenti chiediamo con forza anche attraverso le nostre azioni presenti e future alla Casa Madre, ai Sindacati e alle Istituzioni non è il mancato riconoscimento degli incentivi previsti in questi casi dalla legge, ma l’annullamento di tutta questa operazione messa in piedi mesi or sono.

Non è difficile provare che non si tratta “solamente” di un’esternalizzazione, ma di un licenziamento mascherato. E, come si suol dire, tre indizi fanno una prova.

Primo indizio: la “prospettata” possibilità di avere nuove committenze anche nell’ambito della digitalizzazione, facendo fare corsi appositi ai dipendenti della newco. Purtroppo, però, sfugge il piccolo particolare che in questi casi, come prevede la legge, vadano vinte delle gare d’appalto e che non c’è mai, a prescindere, la certezza di vincerle e di vincere tutte quelle a cui si partecipa.
Secondo indizio: la recente creazione di DNA, creata appositamente a questo scopo e che si tratta di una Società a responsabilità limitata con capitale versato di soli 10.000 euro, nella quale confluiscono anche 1.591 lavoratori provenienti da una Società per Azioni.
Terzo e ultimo indizio: le solite voci di esuberi che girano da anni nel gruppo Tim e che hanno portato, tra le altre, alla cessione della rete (con il benestare di un governo che si definisce sovranista) e dei dipendenti ad essa collegati al fondo americano Kkr.

Pertanto, tutti noi 1.591 dipendenti di Telecontact ribadiamo ad alta voce il nostro no a questo matrimonio.

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Data articolo:Fri, 28 Nov 2025 06:00:43 +0000
Giustizia a cura di Giovanna Trinchella
Processo Rigopiano, l’allarme sulla prescrizione del pg di Perugia. L’avvocato di parte civile: “Grande ritardoâ€

Sul nuovo processo d’appello sulla tragedia dell’hotel Rigopiano (deciso dalla Cassazione poco meno di un anno fa) potrebbe calare la scure della prescrizione. A segnalarlo con forza è il procuratore generale di Perugia, Paolo Barlucchi, che ha richiamato la “problematicità del doppio termine di prescrizione†legato al complesso percorso giudiziario iniziato a Pescara e approdato in Umbria dopo la decisione della Suprema corte. Un rischio concreto, secondo l’avvocato Romolo Reboa, legale di alcuni familiari delle vittime: “Questo processo è arrivato a Perugia con grande ritardo: purtroppo le famiglie rischiano di pagare cara la tempistica e l’organizzazione del giudizio che si ebbe a Pescara, che criticai fortemente. Purtroppo, il tempo mi sta dando ragione”.

L’hotel Rigopiano di Farindola (Pescara) il 18 gennaio 2017 fu travolto e distrutto da una valanga poche ore dopo il terremoto che si registro in Centro Italia. L’indagine fu molto complessa: si indagò sulle responsabilità di Comune e provincia e Regione, sull’omessa pianificazione territoriale di una Legge del 1992 e la carta valanghe approntata in ritardo. Accertamenti sulla strada provinciale n.8 che non era stata liberata dalla neve impedendo agli ospiti dell’hotel, che avrebbero avuto la possibilità di lasciarlo dopo le scosse di terremoto, di andare via perché era rotta una turbina spazzaneve. Si indagò sull’allarme dato in ritardo e quello che era stato ignorato. Secondo gli ermellini sarebbe stato possibile prevenire il disastro. Le 29 vittime vittime erano ospiti della struttura e dipendenti, undici i superstiti tirati fuori dalla neve e dalle “macerie†della struttura dai soccorritori che lavorarono giorno e notte per salvare più persone possibile, mentre l’Italia teneva il fiato sospeso.

Il peso dei ritardi e la nuova cornice fissata dalla Cassazione

Il processo d’appello bis è stato disposto dopo la decisione della Suprema Corte, depositata nelle 158 pagine delle motivazioni del 3 dicembre 2024. La Cassazione ha stabilito che la tragedia “si poteva prevenire†e che ciò “era possibile e dovutoâ€, indicando come elemento cardine la mancata pulizia della strada provinciale che conduce all’albergo. Se quella via fosse stata sgomberata la mattina del 18 gennaio 2017, quando gli ospiti tentarono di lasciare la struttura, la tragedia non si sarebbe verificata. Accogliendo parzialmente il ricorso della Procura generale dell’Aquila, la Corte aveva disposto un nuovo giudizio per dieci imputati, tra cui sei funzionari della Regione Abruzzo inseriti che erano stati assolti nei primi due gradi di giudizio. Gli ermellini avevano chiesto ai giudici umbri di valutare per loro le accuse di disastro colposo e lesioni plurime colpose.

Chiesta l’esclusione di Primavera dall’appello

Gli avvocati di Emilio Primavera, ex direttore del Dipartimento di Protezione civile della Regione Abruzzo, hanno chiesto la sua esclusione dal nuovo giudizio. Per la Cassazione l’ingegnere doveva essere nuovamente imputato, ma i legali Vittorio Manes e Augusto La Morgia sostengono che debba essere confermata l’assoluzione ottenuta in primo grado a Pescara. Secondo la difesa, l’ingegnere — in carica da meno di due anni prima della tragedia — non avrebbe comunque potuto redigere in tempo la Carta valanghe (Clpv), un documento che, come confermato dai periti del Tribunale, richiede almeno quattro anni solo per la fase preliminare. I lavori, secondo le stime, si sarebbero conclusi due anni e mezzo dopo il gennaio 2017. Di conseguenza, affermano i legali, “non è possibile predicare alcuna prevedibilità dell’evento” rispetto alla condotta del dirigente.

Le richieste delle parti civili e il nuovo appuntamento in aula

Nell’udienza del 25 novembre scorso, le parti civili hanno presentato richieste in linea con quelle del sostituto procuratore generale Paolo Barlucchi, confermando la volontà di mantenere il perimetro accusatorio indicato dalla Cassazione. Il processo riprenderà lunedì 1° dicembre: un calendario che procede, ma che continua a fare i conti con i tempi oggettivamente stretti imposti dal rischio prescrizione. Per le famiglie delle vittime, il timore è che dopo otto anni dalla tragedia la giustizia possa sfumare non per le conclusioni dibattimentali, ma perché troppo tempo è passato. “Le famiglie rischiano di pagare — ha ribadito Reboa — i ritardi accumulati in origine e un sistema che ancora una volta non garantisce risposte nei tempi dovuti”. Un rischio che, per chi ha perso tutto a Rigopiano, sarebbe l’ennesimo peso da sopportare.

La storia del processo

In primo grado furono condannati il sindaco di Farindola Ilaria Lacchetta (due anni e otto mesi); i dirigenti della Provincia di Pescara D’Incecco e Di Blasio (tre anni e quattro mesi ciascuno); sei mesi ciascuno per l’ex gestore Di Tommaso ed il geometra Giuseppe Gatto. In quella occasione l’accusa di disastro colposo cadde per molti dei principali imputati, tra i quali l’ex prefetto, per il quale il pool della procura coordinato dal procuratore capo Giuseppe Bellelli e composto dai sostituti procuratori Anna Benigni e Andrea Papalia, aveva chiesto 12 anni; l’ex presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, per il quale erano stati chiesti sei anni.

Erano stati assolti anche tecnici e dirigenti regionali in uno scenario, secondo l’articolato impianto accusatorio, di diffuse responsabilità su vari fronti, dai permessi di costruzione dell’albergo, alla gestione dell’emergenza di quei giorni drammatici sul fronte delle condizioni atmosferiche, alla gestione dei soccorsi, fino ad una presunta vicenda di depistaggio in merito alla telefonata di Gabriele D’Angelo, dipendente dell’albergo e una delle vittime, che aveva allertato la Prefettura sulla situazione di pericolo, fatta sparire.

Tre condanne in più, compresa quella dell’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, in secondo grado. In appello era stata parzialmente riformata la sentenza. La condanna di maggior rilievo era stata quella di Provolo, assolto in primo grado, al quale i giudici avevano inflitto 1 anno e otto mesi per falso ideologico e rifiuto di atti di ufficio. Sentenza ribaltata anche per Enrico Colangeli, tecnico comunale, e Leonardo Bianco, dirigente della Prefettura di Pescara, entrambi assolti in primo grado. Confermate in appello 22 assoluzioni. Il verdetto della Corte d’appello dell’Aquila aveva stabilito quindi un totale di 8 condanne confermando le condanne inflitte in primo grado per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, per i dirigenti della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, per il tecnico Giuseppe Gatto e per l’ex gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso. Per l’ex capo di gabinetto della Prefettura Leonardo Bianco, la Corte aveva disposto una condanna di un anno e 4 mesi mentre per il tecnico Colangeli la pena era stata di due anni e 8 mesi. Poi era intervenuta la Cassazione e il nuovo processo.

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Data articolo:Thu, 27 Nov 2025 20:13:56 +0000
Politica a cura di F. Q.
Schlein: “Serve salario minimo, lo conferma anche il rapporto Svimez. Ma la destra continua a bloccarloâ€

“Oggi il rapporto Svimez chiarisce che il potere d’acquisto dei salari degli italiani è sceso di 10 punti dal 2021, specialmente al sud, meno al nord 8,2. In altri paesi quello che ha aiutato le famiglie a reggere il peso dell’inflazione e il caro bollette è stato il salario minimo che qui ancora dobbiamo approvare, perché la destra continua a bloccare la nostra iniziativa, quella delle opposizioni, che porteremo avanti”. Lo ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein a margine della presentazione de “Il libro segreto di Casapound” di Paolo Berizzi a Roma.

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Data articolo:Thu, 27 Nov 2025 19:29:42 +0000
Politica a cura di Redazione Politica
Atreju, Meloni: “Sì al duello con Schlein, ma ci sia anche Conteâ€. Ok del leader 5S. La segretaria Pd: “La premier scappa, allora porti Salviniâ€

“Sono pronta a confrontarmi con l’opposizione, ma ritengo che al confronto debba partecipare anche Giuseppe Conte“. Giorgia Meloni fa la mossa del cavallo nella partita a scacchi sul dibattito con i leader del centrosinistra ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia in programma dal 6 al 14 dicembre a Roma. Mercoledì la segretaria del Pd Elly Schlein aveva accettato l’invito alla kermesse, a condizione però di poter duellare in un faccia a faccia con la premier: un modo per rivendicare il ruolo di numero uno della coalizione. Il mattino dopo, al Fatto, il presidente M5s ha però chiesto parità di trattamento: “Anche io l’anno scorso, quando ero stato invitato ad Atreju, avevo sondato la disponibilità della premier Meloni per un confronto diretto con me”, ma “quella disponibilità allora non mi venne data“, ha ricordato. Così la capa del governo ne approfitta per ributtare la palla nel campo avversario, evidenziando i disaccordi interni al centrosinistra. Meloni afferma che il leader M5s deve partecipare al confronto “per due ragioni: la prima è che Giuseppe Conte, a differenza di Elly Schlein, anche negli anni passati è venuto ad Atreju senza imporre alcun vincolo. Lo ha fatto anche da presidente del Consiglio”, riconosce. “La seconda”, aggiunge, “è che non spetta a me stabilire chi debba essere il leader dell’opposizione, quando il campo avverso non ne ha ancora scelto uno. Atreju è sempre stata una casa aperta al dialogo, anche con chi la pensa diversamente”, conclude.

Una sfida che il presidente pentastellato accetta dopo pochi minuti: “Avevo sondato la possibilità di un confronto con Meloni ad Atreju anche nelle precedenti edizioni e mi fu risposto di no. Ora leggo che la premier accetta di confrontarsi a patto che sul palco ci siamo sia io che Schlein. Per me va sempre bene confrontarsi e dirsi le cose come stanno. Anche in “trasferta”, davanti a un pubblico che ho rispettato anche quando ero presidente del Consiglio e Fratelli d’Italia non era forza di maggioranza. Non mi sottraggo certo oggi. Ci sono!”, scrive in sui social. La leader Pd invece, ospite di Piazzapulita, non si mostra entusiasta dell’ipotesi e accusa la premier di voler fuggire dal confronto: “Mi dispiace che Giorgia Meloni abbia rifiutato di fare il confronto con me. Tanto più che l’anno scorso, prima delle Europee, aveva accettato di farlo. Mi viene da chiedere che cosa sia cambiato. Forse oggi faccio più paura, visti i risultati elettorali”, provoca, riferendosi alle regionali vinte in Puglia e Campania. “Se vuole fare il confronto di coalizione, portasse anche Matteo Salvini. E se vuole portare anche Tajani noi portiamo anche Fratoianni e Bonelli. È ridicolo“, accusa.

Così da Fratelli d’Italia il responsabile Organizzazione Giovanni Donzelli sfrutta l’assist: “Dispiace che Elly Schlein abbia anche quest’anno alla fine declinato l’invito ad Atreju. Come sempre la nostra festa è aperta a chiunque a prescindere da idee politiche e posizionamento culturale. Il confronto per noi è il sale dell’impegno politico e tutti gli ospiti sono ben accolti e graditi”, scrive. “Giorgia Meloni con disponibilità aveva anche accettato di cambiare l’impianto storico della festa per fare un confronto con Schlein e Conte, vista la disponibilità da entrambi dimostrata. Se questo non è possibile andiamo avanti con gli ospiti che parteciperanno senza porre condizioni e che ringraziamo per questo. Quando l’opposizione avrà un leader unico e riconosciuto da tutti saremo felici di accogliere ad Atreju un confronto diretto tra Giorgia Meloni e il leader individuato”, conclude provocatoriamente.

L’invito ad Atreju è stato rivolto a tutti i capipartito d’opposizione, compresi quelli di Europa Verde e Sinistra italiana (riuniti in Parlamento nell’Alleanza Verdi e Sinistra) Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Il primo ha accettato e sarà a un dibattito con il ministro delle Imprese Adolfo Urso, mentre Fratoianni ha declinato ringraziando: “Con la destra il confronto lo faccio in Parlamento. Ma ogni scelta vale, ringrazio per l’invito cortese. Lascio il posto a un giornalista, perché se ogni tanto la premier si offrisse alle domande sarebbe una buona cosa”, provoca. Dalla kermesse gli rispondono acidi: “Fratoianni, Atreju non morde: non serviva scappare. Da noi c’è posto per tutti”.

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Data articolo:Thu, 27 Nov 2025 19:26:10 +0000
Politica a cura di F. Q.
Roberto Cingolani (Leonardo): “La guerra non sta finendo, buon momento per investire sulla difesa. Altrimenti ci sterminanoâ€

“Sono in conflitto di interesse, ma vi dico chiaramente che se c’è un momento in cui bisogna investire sulla difesa, è questo perché non sta finendo la guerra, sta iniziando la guerra nuova”. Parola di Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo, campione nazionale nel settore difesa e aerospazio. L’ex ministro della Transizione Ecologica nel governo Draghi (sponsorizzato al tempo da Beppe Grillo) ha perorato l’acquisto di armi e strumenti di difesa durante la presentazione del Michelangelo Dome, una tecnologia basata sull’intelligenza artificiale. Nel contesto della guerra in Ucraina, Cingolani ha citato “18.000 casi di attacco ibrido all’anno nelle grandi nazioni”, prima di mettere in guardia: “I prossimi anni di pace apparente potrebbero essere gli anni necessari a chi attacca da sempre per sviluppare armi che sono difficili da neutralizzare”, aggiunge.

Cingolani l’ha detto in premessa: “sono in conflitto di interessi”. Lunedì scorso Leonardo ha ceduto in borsa il 2,2%, ma non è stata la sola. L’indice del settore, lo Stoxx Aerospace & Defence, ha iniziato la settimana perdendo l’1,7%, dopo il -3% di venerdì, toccando i minimi da fine agosto. Il pressing degli Stati uniti per chiudere il conflitto in Ucraina ha rallentato la corsa dei titoli della difesa europei. L’indice europeo in una settimana è arretrato del 7,8 per cento. Ma giova ricordare come l’indice Stoxx Europe Total Market Aerospace & Defense, resta su livelli superiori di quasi il 200% rispetto a quelli precedenti l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022.

Nel suo discorso, Cingolani ha ricordato come “la pace va difesa, ma ha un costo, non è gratuita”. Se in futuro “il discorso diventasse serio, quello che temono ali servizi segreti, dovremo essere pronti a proteggere i nostri paesi, lo standard della vita occidentale”, ha proseguito il manager di Leonardo. Che a un certo punto ha virato su toni apocalittici: secondo Cingolani l’Occidente dovrà unire le forze per realizzare delle tecnologie adeguate, “sennò ci sterminano”. Il motivo? L’assenza di scrupoli del nemico. “Noi abbiamo ancora dei vincoli etici che vogliamo rispettare e non sacrificheremo mai mille giovani al giorno – ha dichiarato l’amministratore delegato di Leonardo – mentre i nostri avversari se ne fregano”. Dunque, conclude Cingolani, “se noi intendiamo rispettare le regole di etica della civiltà occidentale, noi dobbiamo mettere su queste tecnologie, sennò ci sterminano“. Eppure non viene mai nominata la Russia.

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Data articolo:Thu, 27 Nov 2025 19:16:17 +0000
Politica a cura di Andrea Giambartolomei
Vescovo, pastore valdese, Anpi, Cgil, cittadini in piazza: Torino si mobilita contro l’espulsione dell’imam decisa da Piantedosi. Lettera inviata a Mattarella

Cittadini di San Salvario, quartiere multietnico al centro di Torino, rappresentanti religiosi e civici, nessuna bandiera, neanche quelle palestinesi. Con un presidio alla moschea di via Saluzzo, giovedì sera, una parte della società civile di Torino ha manifestato solidarietà a Mohamed Shahin, imam su cui pende un provvedimento di espulsione per le frasi pronunciate nel corso di una manifestazione per Gaza il 9 novembre. In questi giorni, cattolici e valdesi impegnati nel dialogo interreligioso, la sezione dell’Anpi del quartiere, la Cgil e altri ancora hanno chiesto la revoca del decreto firmato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in persona dopo l’interrogazione della deputata torinese di Fratelli d’Italia, Augusta Montaruli. Shahin è al momento nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) a Caltanissetta, lontano da famiglia e avvocati.

Una serie di personalità legate alla rete torinese del dialogo cristiano-islamico, tra cui il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo), rappresentanti della Chiesa valdese (con il pastore valdese Francesco Sciotto) e il coordinamento dei centri islamici, ha scritto una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Hanno ricordato sì che, nel corso della manifestazione, l’imam ha affermato di ritenere gli attacchi di Hamas “non una violenza, ma una reazione ad anni di oppressioneâ€, ma anche che “l’imam aveva già rettificato e cui aveva fatto seguito un comunicato congiunto†dei rappresentanti delle diverse comunità religiose cittadine (cattolici, valdesi, ebrei e musulmani) contro l’intolleranza e per la pace.

La rete del dialogo interreligioso e anche l’Anpi sottolineano come l’eventuale espulsione di Shahin metta a rischio anni di dialogo e progettualità a cui l’imam partecipa in prima persona: “La moschea di via Saluzzo è sempre stata aperta e collaborativa – si legge nella nota del circolo Anpi del quartiere –. Ha ospitato iniziative che hanno coinvolto tutte le comunità religiose e laicheâ€. “Come la maggior parte dei centri culturali islamici della Città di Torino, la moschea di via Saluzzo è sempre stata aperta e collaborativa, ospitando iniziative che hanno coinvolto tutte le comunità, laiche e religiose, testimoniando concretamente e giorno dopo giorno l’impegno sincero della sua direzione, dell’imam e di tutti i fedeli nel senso del rispetto delle leggi, della pace e della cooperazione civile e interculturaleâ€, si legge nella lettera della rete del dialogo. Conferma Sergio Velluto, presidente del concistoro della chiesa valdese (il consiglio dei fedeli) e componente del comitato interfedi della città: “La cosa stupisce perché era molto conosciuto. Pochi mesi fa c’è la giornata delle moschee aperte, dove siamo stati accolti dall’imam Shahin. Da anni gestisce una delle moschee più integrate e attive nel dialogo interreligioso. Proprio la sua moschea aveva chiesto di diffondere la Costituzione italiana scritta in arabo ai suoi fedeli. Lui ha espresso opinioni sue, ma arrivare a deportare una persona come lui per delle opinioni è preoccupanteâ€.

L’imam italiano Gabriel Iungo (in passato finito nell’occhio del ciclone per aver rilanciato una vignetta sulle stragi del 7 ottobre), in un lungo post di Facebook ha denunciato un paradosso: “‘Per ragioni di sicurezza’ legate a dichiarazioni problematiche – pure rettificate – andrebbe a discapito proprio di quella sicurezza che si vorrebbe tutelare, in un quartiere ed in periferie dove figure come la sua operano da anni, in stretta collaborazione con istituzioni e forze dell’ordine, come riferimenti educativi essenziali anche per arginare criminalità e disagio giovanileâ€. Ha ricordato inoltre come, nel corso di tante manifestazioni a sostegno della causa palestinese, la sinagoga di Torino non sia mai stata “oggetto di aggressioni o episodi antisemiti†anche per il “fatto di avere come ‘vicini di casa’ comunità islamiche responsabili, moderate e moderatriciâ€, prive di “predicatori d’odio, facinorosi o estremisti violentiâ€.

“Al di là di eventuali violazioni, che spetta all’autorità giudiziaria verificare – premette la Cgil in un comunicato –, chiediamo il rientro immediato a Torino di Shahin e l’immediata revoca del provvedimento di espulsione. Stigmatizziamo l’uso di strumenti amministrativi finalizzati alla gestione dell’immigrazione che troppo spesso sono utilizzati come strumenti di razzializzazione del dissenso, effetti del clima che il decreto sicurezza ha generato nel nostro paeseâ€.

Le autorità di polizia ritengono Shahin “una minaccia concreta, attuale e grave per la sicurezza dello Statoâ€, è scritto nel decreto firmato da Piantedosi. Secondo quanto riportato, Shahin è un esponente della Fratellanza musulmana in Italia e questo lo metterebbe a rischio nell’Egitto guidato dal generale Al-Sisi, che ha preso il potere con un golpe un anno dopo l’elezione, nel 2012, di Mohammed Morsi, leader dell’organizzazione. Sempre secondo quanto riportato dal provvedimento, Shahin avrebbe “intrapreso un percorso di radicalizzazione religiosa connotata da una spiccata ideologia antisemita†e risulta “in contatto con soggetti noti per la visione violenta dell’Islamâ€: i suoi comportamenti sarebbero quindi una “minaccia sufficientemente grave per la sicurezza dello Stato†e si teme che “agevoli in vario modo organizzazioni o attività terroristicheâ€. Un punto di vista diverso rispetto a quello delle persone impegnate nel dialogo tra fedi. Già due anni fa, l’8 novembre 2023, le autorità negarono a Shahin la cittadinanza italiana per “ragioni di sicurezza dello Statoâ€. Di fronte a questo quadro, però, agli avvocati dell’imam risulta soltanto un procedimento pendente per un blocco stradale.

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Data articolo:Thu, 27 Nov 2025 18:47:18 +0000
Calcio a cura di Lorenzo Vendemiale
La fuga dei piedi buoni: i talenti dell’Italia Under17 terza ai Mondiali stanno già giocando all’estero

Per una nazionale che rischia di non andare a Usa 2026 e saltare la terza edizione di fila, c’è un’altra Italia che ai Mondiali ci va, facendo pure bella figura: l’Under17 guidata da Massimiliano Favo ha conquistato uno storico terzo posto ai Mondiali di categoria in Qatar, battendo ai rigori nella finalina di consolazione il Brasile campione in carica. Non è la prima squadra giovanile azzurra che fa segnare ottimi risultati di recente.

L’Under20 poche settimane fa si era fermata agli ottavi (sempre meglio che non qualificarsi proprio), ma veniva comunque da un secondo, un quarto e un terzo posto di fila. L’Under19 ha fatto due semifinali e una vittoria nelle ultime tre edizioni degli Europei. Adesso si aggiunge l’Under17 con questo storico bronzo, miglior piazzamento di sempre. È il solito discorso dei giovani che ci sono, ma che si perdono nella fase della crescita: tant’è vero che se in queste prime categorie gli azzurrini primeggiano ancora, cominciano a faticare già in Under21 (la nostra rappresentativa non si qualifica alle Olimpiadi dal 2008 e ora sta rischiando di non andare ai prossimi Europei, dove non vinciamo dal 2004), per poi sprofondare proprio a livello maggiore. Segno che evidentemente – oltre ad una serie di questioni tattiche e di sviluppo del calcio giovanile – nel sistema italiano c’è anche, e tanto, un problema di maturazione, dovuto allo scarso spazio e tempo concesso ai nostri talenti nei vari campionati, per quelle che sono le logiche stantie con cui vengono gestiti i club.

Nell’exploit dell’Under17, però, c’è anche un altro elemento di novità, che merita una riflessione. Innanzitutto, l’Italia che ha così ben figurato tra i pari età in Qatar ha in rosa diversi italiani di cosiddetta “seconda generazioneâ€, e sappiamo quanto questo possa arricchire le potenzialità di una squadra: si pensi a ciò che accade nel calcio da anni con Francia, Olanda, Inghilterra, ma più di recente in un’altra disciplina anche all’atletica italiana. Non solo: alcuni azzurrini, tra cui quasi tutti i migliori, non giocano nemmeno in Italia ma già all’estero. È il caso ad esempio di Luca Reggiani e Samuele Inacio (quest’ultimo figlio d’arte, dell’ex attaccante Inacio Pià), considerati i due prospetti più interessanti, che dalla scorsa estate si sono accasati in Germania al Borussia Dortmund, uno dei club più rinomati d’Europa per la capacità di lanciare talenti. Oppure di Jean Makumbu, che ha fatto tutta la trafila in Francia e oggi è in forza al Reims, con cui potrebbe esordire un giorno in Ligue1, il campionato che più di tutti dà spazio ai giovani. E ancora Dauda Idrissa, nato a Brescia ma trasferitosi presto con la famiglia in Inghilterra, dove ha già fatto l’esordio in prima squadra al West Bromwich Albion e firmato un contratto professionistico.

In un calcio italiano vecchio, quasi morto, la fuga dei cervelli (o in questo caso bisognerebbe dire dei piedi) all’estero rischia di essere un fenomeno sempre più diffuso e anche necessario. Non dobbiamo nemmeno vergognarcene, ma quasi augurarcelo: abbiamo citato l’esempio del valore aggiunto che hanno portato gli italiani di seconda generazione all’atletica, potremmo fare qui invece quello del rugby, dove la rinascita della nazionale è coincisa anche con la rinuncia al progetto autarchico delle accademie e la constatazione che i nostri giocatori crescevano meglio all’estero. È quello che si spera potrà capitare ai vari Inacio, Reggiani &Co., in società serie, che credono nei giovani, sanno quando aspettarli e come lanciarli, per arrivare poi un giorno a dare un contributo alla nazionale. Mentre da noi facciamo tutto il contrario (basta pensare alla gestione recente di Simone Pafundi, che veniva considerato il miglior talento della nuova generazione e invece si perso tra prestiti e contratti). Se il calcio italiano è ormai incapace di produrre, crescere o forse persino riconoscere il talento, non resta che augurarci lo facciano altrove. Che ci salvino gli altri dalla nostra mediocrità.

X: @lVendemiale

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Data articolo:Thu, 27 Nov 2025 18:43:44 +0000
Giustizia a cura di F. Q.
Omicidio Nada Cella, le difese puntano a far cadere le accuse: “Cecere innocente, Soracco estraneoâ€

Dopo le richieste dell’accusa, è stato il turno delle difese di parlare ai giudici che dovranno esprimersi sull’omicidio di Nada Cella, la segretaria massacrata il 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco. Cuore dell’udienza le arringhe dei difensori dei principali imputati: Anna Lucia Cecere, l’ex insegnante accusata di essere l’autrice del delitto per cui è stato chiesto l’ergatsolo, e Soracco, per il quale la Procura ha chiesto una condanna a quattro anni per favoreggiamento.

A prendere la parola per prima è stata l’avvocata Gabriella Martin, che insieme al collega Giovanni Roffo difende Cecere. L’ex insegnante, ha sottolineato la legale, “non ha commesso il fatto†e non può diventare “un capro espiatorio perché il clamore e l’indignazione portano alla necessità di trovare un colpevoleâ€. La difesa ha messo in luce le presunte falle dell’impianto accusatorio: secondo Martin e Roffo, Cecere e Cella non si conoscevano e non esisteva alcun legame, neppure nascosto, con il commercialista Soracco. Nessuno, inoltre, ha collocato l’ex insegnante nello studio il giorno dell’omicidio, e persino il bottone rinvenuto sulla scena non corrisponde a quelli della sua abitazione.

L’avvocata ha ribadito che la partenza da Chiavari dell’imputata non era una fuga, ma legata alla volontà di completare l’ultimo anno integrativo per ottenere il diploma quinquennale e iscriversi all’università. Cecere aveva mezzi sufficienti per vivere e lavorare, e il suo carattere e comportamento non corrispondono a chi avrebbe potuto compiere un omicidio. Non emerge alcun movente plausibile, e secondo la difesa “è doveroso individuare non una verità, ma la verità, che si fonda su certezzeâ€. Martin ha aggiunto: “In questo processo sono emersi elementi confusi che non vanno oltre il ragionevole dubbio. Le emozioni non possono sostituire i fatti e le prove. Non esiste prova certa né indizi concordati che colleghino Cecere all’omicidio, né direttamente né indirettamenteâ€.

La difesa ha sottolineato che quel giorno Nada Cella era già sotto stress e non voleva recarsi nello studio di Soracco per motivi personali, mentre Cecere stava andando a lavorare a Santa Margherita Ligure. La legale ha concluso chiedendo la libertà della sua assistita, “una donna innocente ingiustamente accusataâ€.

A intervenire subito dopo è stato l’avvocato Andrea Vernazza, difensore di Marco Soracco. Vernazza ha respinto con fermezza le accuse di favoreggiamento, sottolineando che il commercialista è stato a sua volta una vittima della vicenda e che non vi sono prove che possa aver nascosto informazioni sull’autore del delitto. “Soracco non ha mai ritardato a chiamare i soccorsi e non aveva alcun interesse a favorire Cecere, che anzi lo odiava e detestavaâ€, ha dichiarato il legale. Vernazza ha messo in discussione la solidità delle prove e ha respinto l’idea che Soracco potesse custodire segreti: “Soracco è sempre stato stimatissimo, non c’è alcun elemento concreto che dimostri segreti da custodireâ€.

Dubbi sono stati sollevati anche sull’alterazione della scena del crimine: la spillatrice indicata come arma del delitto sarebbe stata usata dalla scientifica durante le indagini, mettendo in discussione l’integrità delle prove raccolte. Vernazza ha inoltre criticato il lavoro della criminologa Antonella Delfino Pesce, che con l’avvocata Sabrina Franzone ha riletto le carte della vecchia indagine. Secondo la difesa, Pesce si sarebbe presentata come studentessa, senza rivelare di svolgere indagini difensive, rendendo illegittime le prove da lei raccolte.

La parola passerà nuovamente alla difesa di Cecere il 4 dicembre, mentre il 18 dicembre è prevista la sentenza. In questo processo, che riapre un caso vecchio di quasi trent’anni, le difese puntano a smontare l’impianto accusatorio, sottolineando la mancanza di prove certe e la necessità di una verità fondata sui fatti.

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Data articolo:Thu, 27 Nov 2025 18:31:34 +0000
Sport a cura di Giuseppe Pietrobelli
Criticità sulla pista da bob di Innsbruck dopo la ristrutturazione: annullate le gare di slittino e skeleton

La pista per il bob, lo skeleton e lo slittino di Igls, nei pressi di Innsbruck, ha superato solo parzialmente la fase di avvio agonistico dopo un pesante intervento di ristrutturazione. Così si disputeranno solo le gare di coppa del mondo del bob, mentre sono state annullate quelle di skeleton e slittino. Si tratta della pista che era stata indicata come possibile alternativa alla “Eugenio Monti†di Cortina, la cui costruzione (costo 124 milioni di euro) ha costituito uno dei tanti scandali delle Olimpiadi invernali italiane che si terranno a febbraio 2026. Rendere agibile l’impianto austriaco per le gare, infatti, avrebbe richiesto un intervento di una trentina di milioni di euro, un quarto della somma di denaro pubblico speso in Italia. A cose fatte Igls ha però dimostrato di non aver superato tutte le criticità a conclusione di lavori durati una ventina di mesi, anche a causa della mancanza di tempo. Se non fosse stato concluso positivamente il cantiere di Cortina, Fondazione Milano Cortina 2026 aveva valutato l’ipotesi di disputare le gare dei Giochi all’estero, non tanto a Innsbruck, quanto a Lake Placid, negli Stati Uniti, il vero “piano B†alternativo alla “Eugenio Montiâ€.

A dire di no alle gare di coppa del mondo sono stati per primi gli slittinisti, il che ha comportato il trasferimento delle gare a Winterberg, in Germania. La Federazione Internazionale di Slittino (Fil) ha bloccato le gare a causa di un’insufficiente aderenza ai requisiti tecnici, in particolare all’altezza della curva 14. Saranno ora necessari interventi per sistemare la struttura. Situazione analoga, ma con motivazioni legate anche allo scarso tempo per la sistemazione dell’impianto e per le prove, è venuta dallo skeleton. La seconda tappa di Coppa del mondo è stata cancellata dal comitato esecutivo della Federazione internazionale (Ibsf) dopo una votazione degli atleti. Trenta di loro si sono detti contrari a gareggiare, mentre 21 erano disposti a farlo. Secondo la dichiarazione ufficiale, la decisione è stata presa “a causa del ridotto tempo a disposizione degli atleti per testare e conoscere il tracciatoâ€, dopo un confronto con la loro rappresentante Elisabeth Vathje e le giurie di gara. La prossima tappa della Coppa di skeleton, che si svolge in concomitanza con quella di bob, è in programma dal 12 dicembre a Lillehammer in Norvegia.

Restano invece confermate a Igls le gare di bob, per le quali i requisiti tecnici e di sicurezza hanno superato l’esame. Igls è un impianto storico per gli sport di scivolamento che ha ospitato due edizioni dei Giochi invernali, nel 1964 e nel 1976.

CORTINA CHIEDE SOLDI ALLA REGIONE VENETO. Intanto a Cortina si è disputata la prima tappa della Coppa del mondo di bob e skeleton sul nuovo impianto olimpico. Praticamente non c’era pubblico, visto che l’area mantiene l’aspetto di un cantiere. Gli atleti hanno però portato a compimento le loro gare a distanza di 18 anni dalle ultime che vennero disputate nel 2007. Adesso l’appuntamento si sposta alla fase olimpica. Il Comune di Cortina deve però pensare ai problemi economici di gestione della pista. La Regione Veneto si è già impegnata con 4,5 milioni di euro (a sostegno anche di altre opere nell’Ampezzano), ma non basteranno.

Durante il consiglio comunale il sindaco Gianluca Lorenzi ha ammesso: “E’ un tema che affronteremo con il nuovo presidente Alberto Stefani, perché si tratta di una situazione che non può essere sottovalutataâ€. Il primo cittadino ha anche ammesso che, contrariamente a quanto previsto dal dossier di candidatura olimpica, “le province autonome di Trento e Bolzano non hanno firmato la convenzione per la gestione della pista dopo le Olimpiadiâ€. L’ex sindaco Giampietro Ghedina, che fu in prima linea durante la candidatura, ha ricordato che l’impegno era di un sostegno economico per un periodo di 15 anni. Alla prova dei fatti sia il Trentino che l’Alto Adige hanno lasciato Cortina da sola, anche perché si sono resi inutilizzabili i Fondi di confine, che non possono essere impiegati in spese di gestione, ma solo nel finanziamento di progetti.

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Data articolo:Thu, 27 Nov 2025 18:26:16 +0000
Lobby a cura di Redazione Economia
Ponte sullo Stretto, perché la Corte dei Conti ha detto no: violate due direttive Ue su ambiente e appalti. E c’è il nodo tariffe

Ci sono la violazione di due direttive europee tra cui quella relativa alla conservazione di habitat naturali e la mancanza del parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti sul piano tariffario dietro il no della Corte dei Conti al visto di legittimità e alla registrazione della delibera Cipess sul via libera al ponte sullo Stretto di Messina. Dalle 33 pagine di motivazioni, depositate giovedì dalla Sezione centrale di controllo di legittimità, emerge che i magistrati contabili contestano innanzitutto il superamento della valutazione ambientale negativa attraverso la procedura “Iropi”, quella a cui si ricorre quando ci sono imperative motivazioni di rilevante interesse pubblico che giustificano un progetto anche se ci sono criticità. Il secondo profilo riguarda i contratti con il general contractor Eurolink, di cui è capofila WeBuild: la loro “riattivazioneâ€, con aggiornamento dei corrispettivi e radicale modifica delle condizioni economiche, viola l’articolo 72 della direttiva appalti. Abbastanza per fermare il provvedimento che avrebbe dovuto segnare il via ai cantieri dell’opera simbolo del governo Meloni.

Il giudizio arriva al termine di un’istruttoria durante la quale il Collegio ha chiesto chiarimenti a Palazzo Chigi, ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ministero dell’Ambiente, Tesoro e società Stretto di Messina, senza ottenere risposte ritenute sufficienti a superare i rilievi. Ora il Mit “prende atto delle motivazioni” e fa sapere che “continua l’iter per la realizzazione del collegamento tra Calabria e Sicilia, anche alla luce della positiva collaborazione con la Commissione europea”. Tecnici e giuristi, assicura il dicastero guidato da Matteo Salvini, “sono già al lavoro per superare tutti i rilievi e dare finalmente all’Italia un Ponte unico al mondo per sicurezza, sostenibilità, modernità e utilità”. Mercoledì l’ad della Stretto di Messina, Pietro Ciucci, in audizione aveva espresso “fiducia e determinazione” nel fatto che di potere ottenere una “registrazione piena” nella convinzione di “aver operato nel completo rispetto delle norme generali e speciali italiane ed europee relative alla realizzazione del ponte”.

La violazione della direttiva Habitat

Il primo fronte riguarda la decisione di superare il parere negativo della Commissione tecnica VIA-VAS, che nel 2024 aveva rilevato criticità gravi per tre siti Natura 2000. Il governo ha scelto di ricorrere alla procedura “Imperative reasons of overriding public interest”, prevista dalla direttiva Habitat solo in casi eccezionali. Ma per la Corte l’uso della deroga non è stato adeguatamente motivato né accompagnato da un’istruttoria tecnica conforme ai criteri europei. La relazione Iropi approvata dal Consiglio dei ministri il 9 aprile 2025, osservano i giudici, è priva di firma, data e, soprattutto, di una valutazione autonoma da parte delle amministrazioni competenti (in particolare il Mase). Non dimostra l’assenza di soluzioni alternative, che la direttiva impone di analizzare in modo approfondito “alla luce degli effetti sugli habitat e sulle specie” e non solo sulla base degli studi prodotti dal soggetto proponente.

La Corte contesta anche la qualificazione dei “motivi imperativi di interesse pubblico”. Il governo ha fondato la deroga sulle ricadute economiche del Ponte, sull’aumento dell’accessibilità e sull’integrazione territoriale fra Calabria e Sicilia. Ma per l’Unione europea, ricorda la Corte, quelle motivazioni non consentono di prescindere dal parere della Commissione: si può procedere solo in presenza di ragioni legate alla salute pubblica, alla sicurezza o a impatti ambientali di primaria importanza. Ragioni che non sono state dimostrate. A ciò si aggiunge la carenza del confronto con Bruxelles: la Dg Environment, con una lettera del 15 settembre, aveva chiesto chiarimenti specifici su diversi profili critici, ma il Mase ha fornito una risposta giudicata “meramente riproduttiva” dei pareri VIA, senza nuovi elementi. Nel complesso, secondo il Collegio, la fase Iropi “non risulta coerente con il riparto delle competenze e con i criteri stringenti della direttiva”.

I contratti riattivati senza rifare la gara

Il secondo pilastro della decisione riguarda i contratti già affidati negli anni Duemila e poi caducati con la messa in liquidazione della Stretto di Messina. Il decreto-legge 35/2023 ha “rianimato†la concessione e consentito allo Stato di ripristinare gli accordi con i soggetti aggiudicatari responsabili della progettazione definitiva, esecutiva e della realizzazione dell’opera. Insieme a Eurolink sono stati riattivati i rapporti con il Project Management Consultant e con il Monitore ambientale.

Per la Corte questa operazione non rispetta l’articolo 72 della direttiva Appalti, che consente modifiche contrattuali senza nuova gara solo in casi circoscritti e entro un limite massimo del 50% del valore iniziale, e comunque solo quando tali modifiche non avrebbero potuto attrarre nuovi potenziali concorrenti. Qui avviene l’opposto. L’elemento decisivo è il mutamento delle condizioni economiche: l’opera non è più finanziata in project financing, come previsto nel 2003-2006, ma interamente con fondi pubblici, come stabilito dalle leggi di bilancio 2024 e 2025. Una trasformazione che “avrebbe potuto attrarre ulteriori partecipanti” e che quindi rende obbligatoria una nuova procedura competitiva.

Non solo: gli aggiornamenti dei corrispettivi riconosciuti al general contractor (oltre 10,5 miliardi) e alle altre strutture tecniche sono stati accolti senza che il Cipess o il Mit verificassero nel merito l’aderenza ai criteri dell’articolo 72. Né nel piano economico-finanziario né nella documentazione allegata, rileva il Collegio, esiste un’analisi che dimostri in che misura gli aumenti siano imputabili a inflazione o revisioni tecniche e non costituiscano invece modifiche sostanziali che alterano l’equilibrio contrattuale originario. Per questo l’intera operazione è ritenuta incompatibile con il diritto Ue.

Il Piano economico finanziario senza basi

Un ulteriore punto critico è quello del piano tariffario su cui si basa il Piano economico-finanziario. La delibera Cipess ha escluso la necessità di acquisire il parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti, perché il Ponte sarebbe assimilabile a una “strada extraurbana di categoria B” e quindi fuori dal perimetro di competenza dell’autorità. La Corte smonta questa lettura: ricorda che l’articolo 37 del decreto 201/2011 attribuisce ad ART un ruolo generale e trasversale nella definizione dei criteri tariffari su tutte le infrastrutture soggette a pedaggio, indipendentemente dalla classificazione stradale.

Secondo i giudici, l’esclusione di ART e del Nucleo di consulenza per l’Attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità ha indebolito l’istruttoria sul Piano, soprattutto perché le tariffe proposte sono solo “provvisorie” e costruite su stime di traffico non consolidate. La Corte contesta anche l’argomentazione introdotta dal Mit nella fase finale dell’istruttoria, secondo cui il pedaggio non avrebbe funzione remunerativa, essendo l’opera interamente finanziata dallo Stato: il decreto-legge 35/2023 impone comunque che ricavi e tariffe concorrano alla sostenibilità economico-finanziaria del progetto.

L'articolo Ponte sullo Stretto, perché la Corte dei Conti ha detto no: violate due direttive Ue su ambiente e appalti. E c’è il nodo tariffe proviene da Il Fatto Quotidiano.

Data articolo:Thu, 27 Nov 2025 18:13:34 +0000

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