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Babbo natale torna al polo nord
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L'articolo Ritorno al polo nord proviene da Il Fatto Quotidiano.
Già nel 2001 e nel 2008 il presidente russo Vladimir Putin espresse chiaramente all’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush la sua opposizione all’adesione dell’Ucraina alla Nato. Lo scrive Rbc-Ucraine che cita il centro stampa del Nsa, il National Security Archive.
Il capo del Cremlino, in particolare, disse a Bush che l’ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica avrebbe creato un terreno di scontro tra Russia e Stati Uniti a lungo termine. Putin sostenne allora che l’Ucraina era uno Stato complesso, creato artificialmente, formato da territori di Paesi confinanti. Affermò che i russi costituiscono circa un terzo della popolazione ucraina e che una quota significativa dei suoi residenti percepisce la Nato come una struttura ostile. Putin affermò che l’adesione avrebbe creato seri problemi alla Russia, avrebbe rappresentato una minaccia attraverso il dispiegamento di basi militari e nuovi sistemi d’arma vicino ai suoi confini e avrebbe generato incertezza e pericolo. Aggiunse che Mosca avrebbe fatto affidamento sulle forze anti-Nato in Ucraina per impedire l’espansione dell’Alleanza e avrebbe continuato a creare ostacoli a tale espansione.
Nel 2008, poi, Putin predisse un conflitto tra Washington e Mosca, nonché una possibile “scissione” dello Stato ucraino, aggiungendo che le divisioni interne all’Ucraina avrebbero potuto portare alla sua frammentazione. Ribadì la sua narrazione dell’Ucraina come uno “stato creato artificialmente in epoca sovietica” e ha espresso preoccupazione per l’avvicinamento dell’infrastruttura militare della Nato ai confini russi. Putin disse a Bush di aver a lungo sostenuto che l’Ucraina fosse divisa tra forze filo-occidentali e filo-russe e che, una volta saliti al potere i leader filo-occidentali, si erano rapidamente divisi internamente.
E oggi Mosca, come ricorda ancora la testata ucraina, non accetta l’attuale versione del piano di pace statunitense e uno dei punti su cui si rifiuta di accettare è la futura adesione dell’Ucraina alla Nato.
***
Nella foto in alto | Bush e Putin in un incontro a Soci nel 2008
L'articolo “No all’Ucraina nella Nato”: Putin lo disse già a Bush nel 2001 e nel 2008. “Sarebbe vista come una minaccia” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un’ondata di maltempo interessa l’Italia nel giorno di Natale, portando freddo, piogge intense, nevicate a quote variabili e venti forti su gran parte del territorio. Dal Nord al Sud le condizioni meteorologiche restano instabili: temporali e precipitazioni diffuse lambiscono regioni settentrionali e centrali, mentre la neve imbianca i rilievi appenninici e le montagne del Centro-Nord. Le temperature sono generalmente sotto la norma stagionale, aumentando l’impatto delle perturbazioni sul traffico stradale, sulla rete ferroviaria e sulle attività all’aperto.
Le condizioni più critiche si registrano in Emilia-Romagna, dove la pioggia persistente ha mantenuto elevati i livelli dei corsi d’acqua e ha determinato l’attivazione di un’allerta rossa per rischio idraulico e idrogeologico in particolare sulla pianura bolognese e nelle aree limitrofe di Ferrara e Ravenna. In tutta la regione è confermato il monitoraggio continuo da parte della Protezione civile regionale: il Centro operativo rimane attivo h24 per seguire l’evoluzione dei livelli dei fiumi e la risposta della rete idrografica. In territorio emiliano, il monitoraggio di Arpae e dei sistemi locali segnala livelli idrometrici preoccupanti su più corsi d’acqua. L’Idice, affluente del Reno alle porte di Bologna, ha più volte superato la soglia 3, la massima criticità , pur mostrando livelli in lieve flessione nelle ultime ore. Anche altri affluenti e torrenti presentano situazioni di attenzione: il Zena a Farneto, il Correcchio, il Sillaro a Sesto Imolese e Portonovo, e il Santerno a San Bernardino, con alcuni livelli in leggero aumento. Alcuni tratti del Gaiana e del Senio registrano ancora livelli elevati, benché in generale calo. Criticità analoghe si registrano anche alla Chiavica di Accursi, tra Molinella e Argenta, dove il fiume resta oltre la soglia rossa. Nel Bolognese, a San Lazzaro di Savena, è stata emessa un’ordinanza di evacuazione dei piani interrati e seminterrati in alcune zone del comune: “È fatto assoluto divieto di transitare o sostare nelle vicinanze dei corsi d’acqua durante la pienaâ€, ha comunicato l’amministrazione comunale.
In Appennino, il Natale è invece segnato dalla neve. Nevicate diffuse interessano l’Appennino emiliano-romagnolo già a partire dai 300-400 metri, con accumuli di 5-15 centimetri sulle colline e fino a 20-30 centimetri sulle zone montuose. Nel Reggiano si segnalano tracce di neve già dai 450 metri, mentre nel Parmense la neve è arrivata fino alle quote collinari. Sull’Appennino centrale, da Sestola al Cimone, il paesaggio si è risvegliato imbiancato, con temperature sotto lo zero intorno ai 1.000 metri.
Situazione critica anche fuori dall’Emilia-Romagna. A Venezia è tornata l’acqua alta: piazza San Marco ha iniziato ad allagarsi e sott’acqua è finito anche il Caffè Quadri. Nel Nordest, il maltempo è accompagnato da forti raffiche di bora: a Trieste il vento ha divelto recinzioni e abbattuto alberi, mentre sono previste precipitazioni nevose anche a bassa quota. In Campania, la Protezione civile regionale ha prorogato l’allerta gialla per temporali fino alle 18 di oggi nelle zone della Piana Campana, Napoli, area vesuviana e Penisola sorrentina-amalfitana. Nonostante l’attenuazione delle piogge, viene segnalato un “rischio residuo†legato alla saturazione dei suoli, con possibilità di ruscellamenti, caduta massi e frane.
Secondo le previsioni, il maltempo continuerà a interessare l’Italia anche nelle prossime ore, con piogge e vento soprattutto al Nord e sulle regioni tirreniche. Un miglioramento più deciso è atteso solo nel corso dell’ultimo weekend dell’anno, quando dovrebbe tornare il sole.
L'articolo Natale di pioggia, freddo e neve: allerta rossa in Emilia Romagna, rischio frane in Campania. A Venezia torna l’acqua alta proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Oggi condividiamo tutti un sogno. Ed esprimiamo un desiderio, per tutti noi. ‘Che muoia’, ognuno di noi potrebbe pensare tra sé e sé. Ma quando ci rivolgiamo a Dio, ovviamente, chiediamo qualcosa di più grande. Chiediamo la pace per l’Ucraina. Lottiamo per essa. E preghiamo per essa. E la meritiamo”. Sono le parole usate dal presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky per salutare gli ucraini alla vigilia di Natale. Qual è il soggetto sottinteso della frase “che muoia”? A chi si riferiva il leader ucraino? Tutti i media danno per scontato che intendesse il grande nemico, invasore, il presidente russo Vladimir Putin. Questo è il terzo Natale che l’Ucraina celebra il 25 dicembre, secondo il calendario gregoriano occidentale, insieme all’Occidente, dopo aver deciso due anni fa di abbandonare il calendario giuliano antico di molte altre chiese ortodosse, come quella russa, che celebrano invece il Natale il 7 gennaio.
“Nonostante tutte le sofferenze che ha portato”, ha detto Zelensky, la Russia non è in grado di “occupare” ciò che più conta: l’unità dell’Ucraina. “Celebriamo il Natale in un momento difficile – ha sottolineato in particolare il presidente ucraino -. Purtroppo, non tutti siamo a casa stasera. Purtroppo, non tutti hanno ancora una casa. E purtroppo, non tutti sono con noi stasera. Ma nonostante tutte le sofferenze portate dalla Russia, non è in grado di occupare o bombardare ciò che più conta. Questo è il nostro cuore ucraino, la nostra fiducia reciproca e la nostra unità ”.
Nel suo discorso, Zelensky ha anche affermato che in questo momento “gli ucraini pregano per tutti coloro che sono in prima linea: che tornino vivi. Per tutti coloro che sono prigionieri: che tornino a casa. Per tutti i nostri eroi caduti che hanno difeso l’Ucraina a costo della loro vita. Per tutti coloro che la Russia ha costretto all’occupazione e alla fuga. Per coloro che stanno lottando ma non hanno perso l’Ucraina dentro di sé, e quindi l’Ucraina non li perderà mai“.
Il 25 dicembre di Putin, invece, si è diviso tra un incontro al Cremlino con i rappresentanti del mondo degli affari e una lettera al presidente coreano Kim Jong-un. Con gli imprenditori il presidente russo ha discusso, tra le altre cose, della sostituzione delle importazioni, del tasso di cambio del rublo, del tasso di interesse chiave e dei prestiti. “L’incontro in sé è stato di natura puramente pratica e professionale – ha raccontato il portavoce Dmitri Peskov -. In particolare, i partecipanti hanno sollevato questioni come la situazione demografica del Paese, le politiche perseguite dalle aziende per sostenere il tasso di natalità e l’attività di investimento delle aziende”.
A Kim Putin ha parlato di “amicizia invincibile” tra Russia e Corea del Nord, elogiando la partecipazione dei soldati nordcoreani allo sforzo bellico di Mosca contro l’Ucraina, affermando che ciò ha dimostrato una “fratellanza militante” tra le due nazioni. Le agenzie di intelligence sudcoreane e occidentali hanno stimato che la Corea del Nord abbia inviato più di 10mila soldati in Russia nel 2024, principalmente nella regione di Kursk, insieme a proiettili di artiglieria, missili e sistemi missilistici a lungo raggio.
L'articolo “Tutti abbiamo un sogno: che muoia”: Zelensky evoca Putin (senza nominarlo) nel discorso di Natale proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un Natale segnato da un monito netto contro un sistema economico che svuota l’uomo della sua dignità . Papa Leone XIV ha presieduto nella Basilica di San Pietro la sua prima Messa della Notte di Natale, a un anno esatto dall’apertura della Porta Santa con cui Papa Francesco aveva inaugurato il Giubileo 2025. E proprio nel solco di quel passaggio simbolico il nuovo Pontefice ha collocato un’omelia centrata sul valore della persona e sulla denuncia di un’economia che “tratta gli uomini come merceâ€.
Alla celebrazione hanno partecipato circa 11mila fedeli, tra quelli presenti all’interno della Basilica e coloro che hanno seguito la funzione dai maxi-schermi allestiti all’esterno, secondo quanto riferito dalla Sala stampa vaticana. Poco prima dell’inizio della Messa, Papa Leone XIV ha voluto rivolgere un saluto a sorpresa ai fedeli riuniti sul sagrato di piazza San Pietro. Nel corso dell’omelia, il Pontefice ha ricordato che il Natale è innanzitutto una rottura dell’ordine consueto delle cose. Gesù, ha detto, “sorprende il mondo†e “illumina di salvezza la nostra notteâ€. “Non esiste tenebra che questa stella non rischiari – ha affermato – perché alla sua luce l’intera umanità vede l’aurora di una esistenza nuova ed eternaâ€. Al centro del messaggio natalizio, ha sottolineato, c’è l’Incarnazione: “Nel Figlio fatto uomo, Dio non ci dona qualcosa, ma Sé stessoâ€.
Papa Leone XIV ha poi legato in modo diretto l’accoglienza di Dio all’accoglienza dell’uomo: “Sulla terra non c’è spazio per Dio se non c’è spazio per l’uomo: non accogliere l’uno significa non accogliere l’altro. Invece là dove c’è posto per l’uomo, c’è posto per Dioâ€. Il passaggio più esplicito è stato dedicato alla critica di un sistema economico e sociale che nega questa centralità . “Mentre un’economia distorta induce a trattare gli uomini come merce, Dio si fa simile a noi, rivelando l’infinita dignità di ogni personaâ€, ha detto. E ancora: “Mentre l’uomo vuole diventare Dio per dominare sul prossimo, Dio vuole diventare uomo per liberarci da ogni schiavitùâ€. Un contrasto che, secondo il Papa, interpella direttamente la responsabilità individuale e collettiva. “Ci basterà questo amore, per cambiare la nostra storia?â€, ha chiesto ai fedeli, indicando come risposta l’esperienza dei pastori che, destandosi “da una notte mortale alla luce della vita nascenteâ€, riconoscono nel bambino Gesù l’inizio di qualcosa di nuovo.
Nella parte conclusiva dell’omelia, Papa Leone XIV ha richiamato il significato pieno del Natale come “festa della fede, della carità e della speranzaâ€. “È festa della fede, perché Dio diventa uomo; è festa della carità , perché il dono del Figlio si realizza nella dedizione fraterna; è festa della speranza, perché il bambino Gesù la accende in noi, facendoci messaggeri di paceâ€. “Con queste virtù nel cuore – ha concluso – senza temere la notte, possiamo andare incontro all’alba del giorno nuovoâ€. Giovedì mattina Papa Leone XIV presiederà la Messa del giorno di Natale e, alle 12, pronuncerà il suo primo messaggio “Urbi et Orbi†dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro.
L'articolo L’omelia di Papa Leone alla messa di Natale: “Un’economia distorta induce a trattare gli uomini come merce, così si nega Dio” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Come sarà il 2026? L’astrologo romano e noto volto televisivo Paolo Fox ha appena pubblicato “L’oroscopo 2026†(Cairo edizioni). Come ogni anno svela e anticipa, segno per segno e mese per mese, le previsioni del nuovo anno con l’indicazione dei giorni più fortunati e le affinità di coppia, per orientare al meglio le proprie scelte seguendo i consigli delle stelle.
Ma, prima di passare ai dodici segni, vediamo le sue anticipazioni generali. Ecco l’incipit: “Il 2026 si apre sotto l’insegna di un importante cambiamento astrale: a fine gennaio, infatti, Nettuno ritorna in Ariete, dando inizio a un transito che accompagnerà il cielo per ben quattordici anni. Questo passaggio sancisce la conclusione della lunga permanenza del pianeta della spiritualità in una regione a lui affine e lo spinge all’interno della carica impulsiva e combattiva dell’Ariete, segno dominato da Marte. Dal 14 febbraio, anche Saturno fa il suo ingresso in Ariete, rafforzando ulteriormente la componente dinamica, conflittuale e “incendiaria†che caratterizza il panorama astrologico del 2026â€.
Secondo Fox, in questo scenario, le energie planetarie trasformano il cielo in un autentico campo di battaglia, governato da una tempra innovativa a tratti dirompente. Rivela: “Ci troviamo di fronte a un anno in cui l’elemento fuoco acquisisce sempre più centralità , simbolo di coraggio, rigenerazione e voglia di mettersi in gioco, ma anche di una crescente attrazione verso il trionfo personale e l’agiatezza, non di rado a discapito dei valori spirituali. Il fuoco racchiude in sé una duplice natura: da un lato rappresenta una forza trasformativa e creatrice, capace di generare rinnovamento; dall’altro, porta con sé un potenziale pericolo, che può devastare e distruggereâ€. Vediamo, allora, segno per segno come questi transiti influenzeranno la nostra vita astrologica.
L'articolo L’oroscopo di Paolo Fox per il 2026: “Ariete? Ti attendono sfide e tensioni. Capricorno, è l’anno della revisione. Momento propizio per il Toro ma c’è da lavorare sodo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Quando chiediamo a Filippo Laganà , 31 anni, perché abbia deciso di scrivere un comedy show, risponde che “oggi c’è un gran bisogno di ridere. E poi, noi le cose drammatiche non le sappiamo fareâ€. Il suo sorriso e la sua ironia li ha riversati in “Minimarketâ€, la serie che ha ideato e prodotto, di cui è autore e protagonista e che sarà disponibile con le prime cinque puntate dal 26 dicembre su RaiPlay (dal 9 gennaio invece il boxset completo). Laganà interpreta Manlio Viganò, un ragazzo ricco e laureato in legge, ma che di lavorare nello studio del padre commercialista non ne vuole sapere. Il suo sogno è fare lo showman. Da questa ferma convinzione e da un’occupazione in un alimentari di fronte alla sede della Rai a Roma, dove ha trovato impiego per mantenersi, comincia la serie. “È stata scritta e sceneggiata in un mese e mezzo circa. Girata e montata in due: è stato tutto molto veloce – spiega a FqMagazine –. Il direttore (contenuti Digitali e Transmediali Rai, ndr) Marcello Ciannamea ha creduto in questa follia, ma prima di ricevere un sì sono passato da tanti pianti, delusioni e speranze sfumate. Sono cinque anni che presento progetti in giroâ€.
Mentre arrivavano le porte in faccia “che fanno parte del percorsoâ€, però, iniziava a materializzarsi un’opportunità più grande. Perché in “Minimarketâ€, al fianco del giovane classe 1994 e nel ruolo di mentore e coscienza artistica di Manlio, recita il due volte premio Oscar Kevin Spacey. “È partito tutto da una e-mail, poi abbiamo cominciato a scriverci, gli ho spiegato il progetto e ha accettato di esserci. Le accuse di molestie sessuali che ha ricevuto? Non mi sono posto il problema, non è mio interesse giudicareâ€. Nel microcosmo multietnico del minimarket, gestito da un proprietario cingalese burbero (il padre della fidanzata di Manlio) che ha trasformato il negozio in un luogo di sopravvivenza quotidiana, gravitano poi anche una serie di personaggi (nel cast anche il papà attore e comico di Laganà , Rodolfo) che contribuiscono a rendere vivace il tono della serie. All’interno del negozio, Manlio si può rifugiare nelle sue fantasie, alternando il lavoro a visioni in cui si immagina già su un palco. “Lui vuole fare il suo show e cerca solo qualcuno che lo ascolti. Anche se magari gli dirà che non apprezza l’idea. Questo è il messaggio della serieâ€.
Com’è nata “Minimarket�
È un progetto che ho scritto qualche anno fa partendo dal concetto che in qualsiasi parte del mondo, sotto casa di ognuno di noi, c’è un minimarket. Che è sempre uguale: senza la porta, con la serie indiana o cingalese che si sente dalle casse del telefonino del proprietario e vende di tutto. All’interno tutti si ritrovano alla pari, dal personaggio molto famoso al clochard.
Nella serie c’è molto spazio per la musica. È una scelta che rispecchia il sogno da showman di Manlio o un omaggio al grande varietà ?
Entrambe. Il sogno di Manlio è fare proprio quel grande varietà , che è importante e oggi manca, in modo moderno. La struttura di “Minimarket†in realtà è un varietà essa stessa: ci sono tutti i suoi elementi in una chiave diversa dagli spettacoli del passato. Non siamo più abituati a quel tipo di tv, anche se in realtà la ricerchiamo. Parliamo solo ed esclusivamente del passato e mai del futuro. Manlio ha quel sogno che è anche il mio.
Quanto c’è di te in Manlio Viganò?
Direi che c’è molto, ma in generale in tutti i personaggi ci sono gli attori e le attrici che li interpretano. Ognuno ha portato i propri sogni all’interno del progetto: è stato bello e divertente anche per questo motivo. Ci siamo trovati tutti a collaborare verso un obiettivo, nessuno ha creato polemiche o non ha seguito ciò che andava realizzato. Abbiamo tutti scritto, inventato, collaborato, giocato in un’unica direzione.
“Sognare è il vizio più pericoloso che ci sia†dice la voce narrante all’inizio. I giovani possono ancora sognare?
Si può sempre sognare. Una volta svegli, però, bisogna decidere se inseguire quel sogno o fare i conti con la realtà , che molto spesso non aiuta a realizzare i progetti perché ci sono troppi ostacoli. Per questo bisogna essere incoscienti, andare contro le barriere e provarci. Tre quarti delle volte si abbandona prima della partenza. Se hai il coraggio di partire non è detto che arrivi al traguardo, ma almeno vivi con la consapevolezza di averci provato.
La famiglia di Manlio e quella della fidanzata non lo supportano nell’obiettivo di diventare showman. Le nuove generazioni faticano a essere capite?
Secondo me ci sono colpe da entrambe le parti: i giovani vogliono lavorare poco e guadagnare tanto, ma dall’altra parte chi deve prendere le decisioni, in qualsiasi ambito, vede le loro proposte come una perdita di tempo e non ha voglia di ascoltare. Forti della loro esperienza, i più adulti partono dal presupposto che tu, giovane, debba farti le ossa per diverso tempo. Noi siamo abituati a un mondo più veloce e più smart, quindi riteniamo che questo percorso debba essere un po’ più rapido rispetto alla famosa gavetta che hanno fatto loro. Riassumendo: i grandi dovrebbero ascoltare di più e noi lavorare molto di più.
Sei cresciuto con ospiti in casa come Antonello Falqui. Hai “rubato†qualcosa del suo modo di fare tv per “Minimarket�
Forse inconsciamente. Ho sempre guardato molto e non cercato di imitare, ma capire quali potessero essere le sue idee. Antonello è stato un visionario, ha sfidato il modo di fare tv di quell’epoca, ha avuto molto coraggio. Ecco, direi che mi sono ispirato alla sua audacia: provarci costa solo tanta fatica, ma per fortuna faticare è gratis.
Nel cast c’è anche il vincitore di due premi Oscar Kevin Spacey. Perché hai pensato di scrivere proprio a lui?
Lo reputo tra i primi cinque attori in circolazione e tra i miei preferiti in assoluto: mi è venuto in mente e gli ho scritto una mail. Da lì è cominciato un carteggio, ci siamo incontrati dal vivo e per me è stato folle. Quando vedo le immagini, il trailer di “Minimarket†e leggo gli articoli che dicono “Kevin Spacey al fianco di Filippo Laganà †rido perché mi sembra assurdo, uno scherzo. E invece è reale.
Come sei riuscito a convincerlo?
Gli ho semplicemente raccontato la verità . Poi perché lui abbia accettato lo ha dimostrato subito dopo sul set: ha una gran voglia di aiutare, si è messo a nostra completa disposizione divertendosi e con un’umiltà pazzesca. A girare sul set con noi non si è presentato un due volte premio Oscar, ma una persona con la voglia di ridere e giocare. Ha messo tutti a loro agio.
Cosa hai imparato da lui?
Sopratutto che l’umiltà è la base, ma è un valore che avevo già appreso da altri grandi che ho frequentato in casa come Proietti. Il gioco è il secondo elemento importante e fondamentale. E soprattutto l’essere sempre se stessi. Lui è stato veramente indescrivibile. È costantemente aggiornato sullo sviluppo della serie, ci manda messaggi e ci dà consigli. Insieme al suo manager, che è una persona eccezionale, ci ha dimostrato tanto. Ci hanno dato uno schiaffo di realtà .
Nella serie Spacey è la coscienza artistica di Manlio. Perché gli hai proposto questo ruolo?
Gliel’ho scritto pure per e-mail: penso che solamente con l’aiuto dei grandi e della loro esperienza i giovani possano riuscire a realizzare i loro progetti. È come se a un colloquio non sapessi la risposta e potessi chiederla alla persona vicino a te. La forza di Kevin è stata quella di non ergersi in un piedistallo. Il primo giorno sul set io ero in camerino a truccarmi ed è venuto lui a salutarmi. Non sapevo fosse arrivato. È un gesto molto piccolo, ma nel nostro ambiente eclatante. Fa capire con quanto rispetto tratti questo mestiere, rispetto a noi che siamo molto più cialtroni.
“Nessuno può farcela in questo mondo senza l’aiuto degli amici†ricorda il mentore a Manlio. È un messaggio che hai voluto mandare?
È il messaggio che ho ricevuto io per primo. Questa serie l’ho fatta con gli amici intorno. Mi sono potuto permettere un grande cast perché è formato da amici che hanno deciso di abbracciare il progetto senza leggere niente, con grande spirito di squadra. È fondamentale circondarsi delle persone giuste.
Qual è il tuo più grande sogno adesso?
Continuo a pensarci, ma non ho una risposta. Sono in un momento di grande confusione e spero vada tutto bene, c’è grande attesa per “Minimarket†ed è ciò che più mi preoccupa. Fino a ora non mi sono reso conto di cosa abbiamo messo in piedi. Anche con Spacey sul set non mi sono mai detto che recitavo accanto a un grande divo. Ho notato però il bene che la gente gli vuole: c’è un grande tifo nei suoi confronti ed essendo amante della sua arte non vedo l’ora di rivederlo dove merita di stare. Se la serie può essere solo un piccolissimo aiuto sono solo che felice.
L'articolo “Kevin Spacey? È stato folle, è iniziato tutto con una mail. Oggi gli adulti dovrebbero ascoltare di più e i giovani lavorare molto di più”: parla Filippo Laganà proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il prossimo gennaio, in Florida andrà all’asta un gioiello senza precedenti: la Ferrari 250 GTO con numero di telaio 3729GT. Non si tratta di una “semplice” GTO, ma dell’unico esemplare al mondo uscito dalla fabbrica di Maranello nella livrea Bianco Speciale. Una rarità assoluta che, secondo gli esperti di Mecum Auctions, potrebbe raggiungere una valutazione record, superiore ai 60 milioni di euro.
Nel 1962, mentre la quasi totalità delle gran turismo da competizione firmate Enzo Ferrari sfoggiava la canonica tinta Rosso Corsa, il telaio 3729GT rompeva gli schemi. Ordinata originariamente da John Coombs, noto proprietario di scuderie britanniche, la vettura fu consegnata in un bianco candido che la rese immediatamente riconoscibile sui tracciati di tutto il mondo. Oltre alla colorazione unica, questo modello vanta la guida a destra, una caratteristica condivisa solo da altri sette esemplari tra i trentasei prodotti complessivamente, elevando ulteriormente il suo status di “unicorno” tra le auto d’epoca.
A rendere questo specifico telaio una vera leggenda vivente è la schiera di piloti straordinari che ne hanno domato la potenza in pista: campioni del calibro di Graham Hill e Roy Salvadori ne hanno saggiato le doti velocistiche, affiancati da icone del volante come Jack Sears, Mike Parkes e Richie Ginther. La bellezza estetica e il prestigio dei suoi piloti sono supportati da un palmarès sportivo di altissimo livello: la vettura ha debuttato a Brands Hatch nell’agosto del 1962 proprio con Salvadori e ha continuato a collezionare successi sotto l’insegna della Coombs Racing.
Durante la sua carriera agonistica, ha ottenuto una vittoria assoluta e ben cinque secondi posti di classe. Sotto la raffinata carrozzeria Scaglietti batte il motore V12 Colombo da 3 litri e 300 CV di potenza, capace di assicurare prestazioni che hanno reso la 250 GTO la regina indiscussa del Campionato Mondiale Marche. La Ferrari 250 GTO è da sempre considerata il “Sacro Graal” delle quattro ruote e la combinazione tra lo stato di conservazione impeccabile, l’esclusività cromatica e la storia nobile rende questo esemplare un vero e proprio unicorno su quattro ruote.
L'articolo L’asta che può riscrivere la storia? A gennaio, con una Ferrari GTO bianca. Si parte da 60 milioni di euro proviene da Il Fatto Quotidiano.
Fuori da Buckingham Palace e lontano dal castello di Windsor. Carlo III ha scelto l’abbazia di Westminster per parlare ai suoi sudditi in occasione del suo quarto Natale da re. Il sovrano continua a cercare la sua cifra per entrare nella storia e lasciare qualcosa di sé ai posteri e, prendendo le distanze dalla tradizione, ha deciso di registrare il suo discorso nella Lady Chapel dell’abbazia che lo ha visto incoronato dopo la morte di Elisabetta II. Il 2025 è stato l’anno degli incontri con due capi successivi della Chiesa cattolica, Papa Francesco I e poi Leone XIV. E’ stato l’anno del giubileo dei pellegrini della speranza che, lo scorso ottobre, ha riportato a Roma il capo della chiesa anglicana per riaprire un dialogo interrotto 500 anni fa da Enrico VIII che sancì il divorzio tra le fedi che oggi Carlo III vuole assolutamente ricucire.
In gennaio il sovrano aveva anche visitato Auschwitz, nell’anno dell’80esimo anniversario dalla fine della Seconda guerra mondiale e, tra Natale, fede e religione, la politica che sembra assente, in realtà è sempre sullo sfondo. A Westminster si celebra il Christmas Carol della principessa del Galles che, nel 2022, portò un grande messaggio di solidarietà nei confronti del popolo ucraino mettendo in scena le voci del St Mary’s Ukranian School Choir, composto da bambini rifugiati.
Il coro di Westminster canta anche la musica del paese martoriato dalla guerra e spesso ospita veglie di preghiera per la pace. Il quarto messaggio natalizio del re non potrà dunque fare a meno di ammiccare, sebbene in maniera molto indiretta, alle sue posizioni politiche e alla sua impronta così fortemente spirituale, continuando ad intrecciare la sua stessa storia con quella del suo regno. L’anno scorso era stata la malattia a determinare la decisione di dedicare il discorso a tutti gli operatori sociosanitari del paese allontanandosi, per la prima volta nella storia, dalla consueta ambientazione ingessata dietro al tavolo di una sala reale tra fiori, lampade e ritratti di famiglia. Allora la scelta ricadde sulla Fitzrovia Chapel, nell’ex ospedale Middlesex nel cuore di Londra, per un discorso arrivato ad un anno dall’annuncio della sua diagnosi di tumore contestualmente a quella ricevuta da Kate.
La monarchia per dodici mesi aveva mostrato tutto il suo coraggio nell’affrontare apertamente il tema della salute fragile dei reali, diventati “un numero†come tutti gli altri. Carlo III e dopo di lui la principessa del Galles, aveva abbracciato medici, pazienti ed infermieri per condividere una battaglia per la vita e dare sostegno a chi soffre, cercando di sviluppare una più forte cultura della diagnosi precoce, molto debole nel Regno Unito. Questo che va a concludersi sarà invece ricordato come l’anno degli scandali e del continuo tentativo del re e della famiglia che gli è rimasta accanto, di dare dignità ad una istituzione messa a dura prova dai comportamenti e dalle frequentazioni di Andrea Mountbatten-Windsor, al quale è stato tolto anche il titolo di principe e di Sarah Ferguson. Sistemato davanti alle telecamere della Bbc che ha registrato il suo discorso di Natale prima che partisse per Sandringham, un re anziano che ancora combatte contro il cancro e che qualche settimana fa ha voluto rassicurare i suoi sudditi sui progressi positivi delle sue cure, si è messo accanto alle spoglie del milite ignoto e alle tombe di quindici sovrani britannici. Tra questi figura anche Edoardo il Confessore, morto nel 1066 con l’arrivo dei normanni; un re che aveva vissuto come un monaco, un modello per ribadire il desiderio di Carlo III di essere ricordato come il protettore delle fedi. E del Natale della famiglia Windsor.
L'articolo Il discorso di Natale di re Carlo III a un anno dalla diagnosi di cancro: ecco di cosa parlerà proviene da Il Fatto Quotidiano.
Nel panorama contemporaneo, dove le definizioni artistiche sembrano evaporare come nebbia al sole, Max Richter continua a rappresentare un’incursione lucida nel territorio della musica colta. Anglo-tedesco, classe 1966, formatosi tra Edimburgo, Londra, Firenze e soprattutto nella scuola di Luciano Berio, Richter non è soltanto un compositore: è un costruttore di ponti. Ponti tra tradizione e futuro, tra lirismo e minimalismo, tra l’ascolto “alto†delle sale da concerto e la sensibilità emotiva del grande pubblico abituato alle colonne sonore. Ma soprattutto, ponti tra estetica e responsabilità civile, in un tempo che sembra aver dimenticato il valore etico della bellezza.
È quasi un paradosso che un musicista così profondamente radicato nella tradizione europea, capace di maneggiare il contrappunto con la naturalezza di un artigiano del Rinascimento, sia diventato uno dei principali interpreti della nuova ondata neoclassica che popola playlist, cinema, serie televisive, musei e installazioni d’arte. Eppure, è proprio in questa tensione tra rigore e immediatezza che si nasconde la cifra più autentica del suo lavoro. La svolta arriva nel 2012 con l’album Recomposed by Max Richter: Vivaldi – The Four Seasons, un’operazione tanto audace quanto rivelatrice. Richter non si limita a riorchestrare o “modernizzare†Vivaldi: lo attraversa, lo filtra, lo modella con la lente analitica del minimalismo e con la cura scenografica del sound design. Il risultato è un’opera che non cancella l’originale, ma lo rimette in circolo, lo riporta alla vita. È un gesto concettualmente netto: l’atto di un compositore che dichiara che il passato, se maneggiato con intelligenza, può ancora essere materia viva.
Ma la ricomposizione è solo una parte del suo percorso. Chi conosce il suo lavoro per il cinema e la televisione (L’amica geniale) sa che Richter parla la lingua delle immagini con una naturalezza impressionante. Waltz with Bashir, Ad Astra, Mary Queen of Scots, The Leftovers, Hamnet: ognuna di queste colonne sonore restituisce un pezzo del suo universo. Cicli ripetitivi che si sviluppano in lente spirali emotive, pianoforti che sembrano sospesi in uno spazio rarefatto, archi che avanzano come correnti sottomarine, improvvisi lampi armonici che illuminano la scena con la precisione di un fotogramma. Richter compone come un regista: ogni nota è un’inquadratura, ogni crescendo una transizione, ogni pausa un taglio di montaggio.
Ma ciò che colloca Richter in un territorio davvero unico è il suo costante impegno civile. Non è un intellettuale che predica dal palco: usa la musica come un dispositivo politico, come un amplificatore delle fragilità umane. Uno dei tratti più sorprendenti della sua opera è la capacità di far convivere l’intimità del gesto musicale con l’urgenza dei temi globali. La sua non è una militanza esterna, ma un impegno che si incarna nelle strutture stesse della musica. Non sorprende quindi che molte delle sue composizioni nascano come risposte emotive o intellettuali a eventi geopolitici, crisi umanitarie o dilemmi etici del nostro tempo. Uno dei lavori in cui questo impegno emerge con maggiore forza è The Blue Notebooks (2004), probabilmente il suo album più emblematico. Scritto come protesta contro l’invasione dell’Iraq nel 2003, intreccia testi di Franz Kafka e Czesław Miłosz letti da Tilda Swinton, creando un diario sonoro che riflette la fragilità del pensiero umano in tempi di violenza. I brani, sobri e meditativi, alternano archi e pianoforte in un’atmosfera sospesa, come se la musica stessa tentasse di interrogare la legittimità della guerra e le sue ombre morali.
La guerra, tuttavia, non è solo un tema politico ma anche un trauma collettivo che Richter esplora più volte. In Memoryhouse (2002), il suo album d’esordio, compaiono riferimenti espliciti ai conflitti balcanici degli anni ’90, alla devastazione di Sarajevo, ai desaparecidos della storia europea recente. Il disco si muove come un reportage poetico: frammenti di voci d’archivio, armonie malinconiche e atmosfere da documentario creano un paesaggio emotivo che restituisce la guerra dal punto di vista dei civili, dei luoghi feriti, della memoria.
La questione della fragilità sociale e della paura collettiva emerge anche in Infra (2010), scritto originariamente per una coreografia del Royal Ballet e poi ampliato in un album ispirato agli attentati di Londra del 7 luglio 2005. Qui Richter non compone una musica “sulla tragediaâ€, ma una musica “dopo la tragediaâ€: un tentativo di comprendere come una città attraversa lo shock, come le persone riorganizzano l’emotività dopo una ferita. E l’elettronica sottile che accompagna gli archi nei brani dell’album amplifica la sensazione di smarrimento, dando vita ad un paesaggio urbano incrinato e al tentativo umano di ricostruire una normalità fragile.
E poi il tema della migrazione che emerge in più lavori, spesso in modo sotterraneo ma riconoscibile. In Voices (2020) e Voices 2 (2021), dedicati alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), Richter include fra le voci molte testimonianze di rifugiati e attivisti, e ha dichiarato di aver concepito l’opera come risposta all’ondata di retorica anti-migratoria in Europa e negli Stati Uniti. La voce di Eleanor Roosevelt convive con centinaia di lettori provenienti da tutto il mondo, dando spazio alle vittime silenziose della negazione dei diritti umani di oggi e di ieri.
I lettori si alternano scandendo tutti i trenta articoli della Dichiarazione, dall’iniziale All Human Beings, e la musica diventa lo strumento di questa operazione: archi e pianoforte, nel consueto stile del musicista tedesco, creano mondi dilatati e sognanti, minimalisti e (a volte) ripetitivi, ma capaci di aprirsi in stringenti crescendo melodici. Il progetto, costruito su un’ “orchestra negativa†(gli archi suonano quasi esclusivamente registri bassi, come un mondo che fatica a sollevarsi), è una meditazione sulla dignità e sulla necessità di proteggere chi fugge da guerra e persecuzioni.
Anche la questione della sorveglianza digitale e del controllo sociale è entrata nel suo orizzonte creativo. Pur non essendo legato a un singolo album tematico, questo tema ritorna in molte sue dichiarazioni pubbliche e in alcune partiture che esplorano la tensione tra intimità e esposizione. In particolare Sleep (2015), nella sua apparente quiete, è stato interpretato dallo stesso Richter come un’opera che difende uno spazio privato in un’epoca in cui la tecnologia invade ogni interstizio della vita. Questo concept album sfida apertamente i confini della musica stessa: otto ore di partitura (l’intero ciclo di un riposo notturno) pensate per essere ascoltate dormendo, o meglio, abitandole. Trentuno sezioni composte per pianoforte, violoncello, due viole, due violini, organo, voce soprano, sintetizzatori ed elettronica. E durante la realizzazione, Richter si è avvalso della collaborazione del neuroscienziato americano David Eagleman per apprendere cosa accade nel cervello durante il sonno. Non si tratta di una provocazione, ma di una riflessione sulla lentezza e sul rapporto tra coscienza e arte. Sleep non chiede di essere capito, chiede di essere vissuto. È una risposta poetica alla frenesia del mondo tecnologico, un atto di resistenza attraverso la calma. La sua lunghezza, la sua dolcezza e la sua inattualità diventano un gesto politico: rivendicare il diritto a un tempo non sorvegliato, non monetizzato, non manipolato.
Ora, questo impegno sociale non si esaurisce nelle sue composizioni. In più occasioni Richter ha partecipato a campagne per la tutela dei diritti civili, ha sostenuto ong impegnate nei corridoi umanitari, ha suonato in contesti istituzionali per richiamare l’attenzione su crisi dimenticate. Ha dedicato concerti a rifugiati siriani, ha collaborato con Amnesty International e ha firmato appelli contro le politiche anti-migratorie e contro l’erosione delle libertà civili. La musica, per lui, non è mai un rifugio dal mondo: è un luogo attraverso cui tornare nel mondo con maggiore lucidità .
Ed è proprio questa fusione tra estetica e responsabilità che rende Richter una figura chiave della musica di questo secolo. Nella sua opera convivono la precisione del compositore di scuola europea, la sensibilità popolare di chi conosce i linguaggi delle immagini e dei media e la tensione morale dell’artista che non accetta l’irrilevanza come destino. Le sue partiture, pur spesso essenziali, sono dense di significati; il loro minimalismo non è riduzione, ma concentrazione. Ogni nota sembra dire: “Ascoltare è un atto politicoâ€. In un mondo saturo di suoni, Richter ha costruito una poetica dell’ascolto consapevole. Le sue melodie non pretendono di essere ricordate: pretendono di essere vissute, condivise. Che si tratti di una sala da concerto, di un film o di uno spazio intimo, la sua musica lavora sull’interiorità , sul fragile equilibrio tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere. Forse è per questo che è diventato, quasi senza clamore, uno degli autori più influenti del nostro tempo: perché è riuscito a riportare la musica colta dentro la vita quotidiana, senza svilirne la complessità . Perché ha costruito un linguaggio in cui Bach può dialogare con l’elettronica, la filosofia con la cronaca, il sogno con la responsabilità . E perché, in definitiva, ci ricorda una verità che troppo spesso dimentichiamo: che la musica non è solo un’arte, ma uno spazio morale. Un luogo dove l’umano può ancora trovare rifugio, e forse anche direzione.
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Esiste un sesto senso del viaggiatore capace di svegliare anche il sonno più intenso, persino il dolce abbraccio di Morfeo che allieta l’ansia delle turbolenze. C’è un’emozione più forte della paura: il piacere del cibo. Il subconscio è vigile quando si tratta di mangiare in aereo, e capta come un radar la domanda “pasta, chicken or beef?†svegliandosi di soprassalto. Quando il personale di bordo si affaccenda per servire il pasto c’è un attimo di esaltazione generale, e l’aspettativa vola più alta della quota di crociera: cosa svelerà quel micro vassoio con vaschette perfettamente incastrate? Nonostante le combinazioni non siano un segreto poiché le compagnie aeree specificano anticipatamente le proposte (alcune consegnano anche il menù cartaceo di reminder prima di servire il pasto), dietro l’alluminio che protegge le pietanze c’è sempre un pizzico di mistero, il sale della scoperta che impreziosisce l’esperienza, così il mix della classica “insalata†in micro contenitore, meglio nota come “antipastoâ€, il design e la disposizione delle vaschette, per non parlare del set di posate, in plastica, legno o acciaio. I bicchieri premiano una selezione di bevande che varia dagli alcolici alle bibite (consiglio healthy: attenzione ai succhi di frutta iper zuccherati).
Le compagnie catering che forniscono i voli aerei studiano le combinazioni di ingredienti e gli apporti nutrizionali proponendo menù stagionali, con variabilità a seconda della classe e della tratta. Nonostante si tratti di pasti preconfezionati e standardizzati, non mancano le opzioni speciali che assecondano le esigenze di salute e di credo dei viaggiatori (vegetariano, kosher, halal), e i menù ispirati alle destinazioni. Alcune aziende propongono anche una ricerca estetica nella composizione, ma se in merito a questa raffinatezza possa sorgere qualche ragionevole dubbio, quel che è certo sono gli standard di igiene e freschezza molto alti.
Premessi questi aspetti, com’è realmente l’esperienza di mangiare in aereo nel 2025? Le compagnie aeree sembrano investire sempre di più nell’offerta gastronomica mentre sono sempre più numerosi i viaggiatori abituali a notare (e lamentare) una leggera controtendenza di questi ultimi anni: la qualità dei pasti d’alta quota non è più la stessa. È realmente così o semplicemente sono i nostri standard da consumatori sempre più esigenti ad aver alzato l’asticella? Anche quest’anno, la nota testata americana Usa Today, ha stilato la classifica “Best Inflight Foodâ€, una delle più prestigiose e attese che premia le dieci compagnie aeree più votate per l’offerta gastronomica a bordo, basandosi su nomination di esperti e voti dei lettori. Scopriamo quali sono. Piccolo spoiler: tra le top anche compagnie low cost.
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Rimandati al prossimo anno. Nessun giudizio è mai netto o definitivo: nel calcio la regola è sempre quella del ‘basta una partita per…’. Ecco, per questi giocatori l’attesa è proprio verso quella partita giusta che possa cambiare le sorti personali di un campionato finora molto deludente: almeno in base ai soldi spesi per acquisti sulla carta top ma che, finora, si sono rivelati più o meno dei flop. Pagando anche aspettative molto, molto alte. Cinque nomi, o cinque situazioni, che meritano di essere segnate con la matita blu.
È stato uno dei primi colpi del mercato estivo del Como. Mercato estivo faraonico, come dimostrano i 18 milioni di euro spesi per acquistare il croato classe 2003 dalla Dinamo Zagabria. La concorrenza era fortissima, ma lui ha scelto Fabregas e il suo progetto. Peccato che, al momento, in campo si sia visto per poco meno di 250 minuti, con 8 partite e 1 gol segnato (ininfluente: era il quinto nel 5-1 in casa del Torino). È molto giovane e si sa che ai giovani va dato tempo. Ma forse le aspettative erano molto alte anche per una piazza tranquilla per quanto decisamente ambiziosa come Como. Ed è per questo che è lecito aspettarsi molto, ma molto di più.
Viene ridefinito acquisto, perché alla fine il suo riscatto da parte della Fiorentina in estate non era così scontato. Tra questioni giudiziarie e flop stagionali, l’anno scorso non aveva per nulla convinto. E i 13 milioni spesi per comprarlo a titolo definitivo dal Genoa (peraltro, l’estate precedente fu protagonista di una lunghissima telenovela di mercato) non sono stati per nulla ripagati. Perché dal riscatto di mercato, ci si aspettava un riscatto in campo che non solo non è avvenuto, ma che anzi ha fatto precipitare l’islandese in una spirale ancora più negativa. È un po’ tra i simboli di questa Fiorentina così tanto malmessa e ultima in classifica: è fischiato, è stato protagonista di un dibattito fuori dal campo con Vanoli per non aver, a detta dell’allenatore, voluto battere un rigore. Insomma, non ci siamo. Forse Firenze non è il posto giusto per rimettersi in piedi. Si vedrà .
Sono i tre giocatori considerati l’emblema della campagna acquisti non soddisfacente portata avanti dalla nuova gestione di Comolli. Il primo è stato inseguito per tutta un’estate, nonostante fosse a parametro zero: ha segnato soli 3 gol tra tutte le competizioni e non sembra aver sviluppato un grande feeling con la squadra (cena mancata, con tanto di battuta di Spalletti: “Non è venuto perché ha messo il parmigiano nella pasta con le vongoleâ€). Il secondo era l’altro attaccante pescato un po’ a sorpresa a fine mercato: spesa di 3,5 milioni per il prestito, 686’ in campo e 1 gol (in Champions). Ancora peggio l’esterno che veniva da un lunghissimo infortunio al Lille: acquistato per 15,5 milioni, ha giocato 145’ in totale senza lasciare davvero il segno. L’arduo compito di Spalletti sarà recuperare almeno uno di questi tre giocatori. Per non mandare all’aria degli investimenti importanti, economici ma pure mediatici.
L’attaccante è arrivato come vice Lukaku. Ma quando si è infortunato il belga, il Napoli non si è fidato del tutto e ha preso Hojlund, che finora sta facendo il titolare. Poco spazio per il classe 2000 acquistato per 30 milioni dall’Udinese. Ha segnato una rete in campionato (in 13 partite) e 1 in Coppa Italia. In totale, lo si è visto in campo tra tutte le competizioni per 569 minuti. Non è un caso che ora sia la società , sia il suo entourage si stiano muovendo per trovargli una sistemazione anche solo in prestito fino a giugno, per non deprezzare il suo cartellino e soprattutto per non demoralizzare il giocatore. Piace alla Roma (che tra i flop non segnati ha sicuramente Ferguson, anche se in leggera ripresa) e timidamente al Milan (più orientato verso altre scelte). Vivrà un gennaio con le valigie mezze aperte e mezze chiuse.
Mica noccioline. Tre acquisti che in rossonero non stanno per niente convincendo. Si parte dall’attaccante, che in campionato è ancora a 0 reti e che è costato qualcosa come 37 milioni di euro dati al Chelsea. Il francese non sembra la soluzione giusta per l’attacco e infatti Allegri si aspetta una punta. Non piace nemmeno il terzino colombiano, prelevato per 17 milioni dalla Premier (Brighton) ma preferito ora decisamente a Bartesaghi. Avrebbe dovuto prendere il posto di Theo Hernandez, l’ha fatto per sole 8 partite e un totale di 445’ in campionato. Sfortunato, per un infortunio arrivato ad agosto, ma finora davvero inconsistente Jashari. Per lui, il Milan ha fatto di tutto, ma letteralmente di tutto: trattativa a oltranza, colloqui continui, il giocatore nel Brugge si mette addirittura fuori rosa perché vuole i rossoneri. Che lo pagano 36 milioni di euro. Allegri non è mai sembrato del tutto convinto (va detto che Rabiot e Modric sono di altro livello ed esperienza), ma anche in Supercoppa contro il Napoli ha giocato al di sotto della sufficienza. Servirà moltissimo per far ricredere l’allenatore e soprattutto l’ambiente rossonero. Che a certi livelli, quelli a cui vuole tornare, non perdona proprio. Il 2026 si apre con un fardello importante sulle spalle.
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In Giappone anche le imbarcazioni navigano in maniera autonoma. Si chiama Olympia Dream Seto il primo traghetto al mondo capace di attraversare il mare autonomamente. Come riporta Il Corriere della Sera, la barca è lunga 66 metri e sulla prua si staglia l’immagine blu di Poseidone. Al timone non c’è un essere umano ma l’intelligenza artificiale. La nave passeggeri può salpare, mantenere la rotta e aggirare gli ostacoli da sola.
Dopo aver superato l’ispezione tecnico-navale dei sensori e dei sistemi anticollisione lo scorso 3 dicembre, il traghetto ha ottenuto l’autorizzazione nazionale. L’Olympia Dream Seto è salpata ufficialmente lo scorso 10 dicembre, percorrendo la tratta Okoyama-Shodoshime, lungo la costa meridionale del Giappone. L’imbarcazione ha percorso un viaggio di circa un’ora e dieci. Come ha dichiarato la compagnia Kosukai Ryobi Ferry, le prime traversate saranno eseguite in modalità semi-autonoma per testare al meglio ogni meccanismo della nave.
Dopo i primi test l’Olympia Dream Seto passerà alla navigazione completamente autonoma. Le tecnologie necessarie per il successo dell’imbarcazione sono state sviluppate dalla Nippon foundation e da altre 50 compagnie. L’iniziativa rientra nel progetto Meguri2040, inaugurato dal Giappone nel 2020, finalizzato a rendere automatico il 50% delle tratte navali giapponesi entro i prossimi 15 anni.
In Giappone ci sono oltre 400 isole abitate che dipendono dai traghetti per lo spostamento di persone e merci. “È un primo passo emozionante” ha dichiarato il direttore esecutivo della Nippon foundation Mikihiro Umino. “I traghetti autonomi sono i precursori di una nuova era per la sicurezza marittima e l’alleggerimento del carico di lavoro dell’equipaggio” ha aggiunto il Ceo della compagnia navale Kosukai Ryobi Ferry. Altri tre mezzi navali inseriti sempre nel progetto Meguri2040 dovrebbero entrare in servizio entro aprile 2026. Tra queste c’è una nave commerciale portaconteiner.
Nel 2023, in Svezia era stato realizzato un progetto simile. La compagnia Zeabuz aveva lanciato un battello di piccole dimensioni a guida autonoma. L’imbarcazione aveva una capienza massima di 24 passeggeri, mentre l’Olympia Dream Seto può trasportare fino a 500 persone e 60 auto in viaggi superiori a un’ora.
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Il centrodestra si prende l’Ispra. Per la prima volta nella storia dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale sarà una figura politica a guidare l’ente. E, nemmeno a dirlo, sarà un’esponente dell’attuale maggioranza di governo. Il Mase ha indicato come prossima presidente Alessandra Gallone, ex senatrice di Forza Italia e attuale consigliera proprio di Gilberto Pichetto Fratin. E così il più importante e indipendente organo scientifico italiano che si occupa di inquinamento, rischio idrogeologico, cambiamenti climatici, che tutela la biodiversità , le aree protette e che finora è stato retto da tecnici, passerà sotto il controllo della politica.
Per il governo Meloni è una grande occasione: controllare il principale riferimento scientifico per le politiche ambientali significa indirizzarlo quando sorgono potenziali conflitti proprio con l’esecutivo, con le Regioni e con gli enti locali. Ispra infatti fornisce pareri tecnico-scientifici, talvolta vincolanti, quando per esempio di mezzo ci sono piani antismog, quando va valutato l’impatto di grandi opere e infrastrutture o quando si parla di acque e depurazione. D’altra parte non è un segreto che il centrodestra volesse mettergli sopra le mani. Nel corso della legislatura c’ha provato più volte, tanto che a un certo punto, lo scorso anno, docenti ed esperti hanno inviato una lettera a Meloni per denunciare come Ispra stesse subendo “attacchi sempre più pressanti e ingiustificatiâ€. E siccome in quel caso si parlava di prelievo venatorio, l’accusa era rivolta alle associazioni dei cacciatori, agli armieri e alla politica che di quei mondi cura gli interessi.
All’inizio di quest’anno è stata la volta della Lega, che ha proposto di sottrarre a Ispra la tutela dalla fauna selvatica, affidandola a un nuovo organismo (politico) in capo al ministero guidato da Francesco Lollobrigida. L’ostruzionismo del M5s (e in misura minore dei Verdi) ha bloccato il blitz del Carroccio. Ma l’attacco più grave è anche quello più recente: negli emendamenti alla riforma della legge sulla caccia, l’Ispra dovrebbe avere sempre meno peso tanto nella gestione dell’attività venatoria quanto in tutti gli altri settori, poiché verrebbe posta sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri. E addio indipendenza.
Tornando alla nomina di Gallone, sul piano delle regole è tutto legittimo, dal momento che è proprio il ministero dell’Ambiente ad avere la facoltà di avanzare la candidatura. Ciò che è irrituale è che per la prima volta l’incarico non viene affidato a un tecnico, ma a una figura strettamente politica (il disco verde arriverà il 6 gennaio, quando si esprimerà la commissione Ambiente). Prima della senatrice di Fi, Ispra è stata guidata per sette anni da Bernardo De Bernardinis, noto più che altro per la condanna definitiva a due anni per il terremoto dell’Aquila. Bernardinis, in ogni caso, era professore universitario (ordinario di Idraulica), con decine di pubblicazioni all’attivo, prima dirigente e poi vicecapo del Dipartimento della Protezione civile. Nel 2017 gli succedette Stefano Laporta, avvocato e viceprefetto, con una lunga esperienza nell’Istituto: sub-commissario nel 2008, direttore generale dal 2010 e dal 2023 vicepresidente dell’Agenzia europea per l’Ambiente.
Gallone, invece, ha il pedigree del politico: esponente del Msi, aderisce ad An e nella sua Bergamo diventa prima consigliera e poi assessora all’Istruzione. Entra in Senato col Pdl nel 2008 e nel 2012 diventa capogruppo del neonato partito di FdI. Appena un anno dopo saluta Meloni per abbracciare Silvio Berlusconi e Forza Italia. Nel 2018 rientra a Palazzo Madama, questa volta da azzurra, in Aula è sempre presente e battagliera e in entrambe le esperienze, tra le varie Commissioni di cui entra a fare parte, c’è anche quella Territorio e ambiente. A Bergamo è molto apprezzata, tanto che all’ultima tornata il suo partito la vuole candidare a sindaca. Ma Fi in città non conta come un tempo, e Gallone salta. Chi la conosce dice che ama gli animali, tanto da essere stata vista diverse volte all’Oasi Wwf di Valpredina; sui social al posto della sua foto-profilo ha quella di Berlusconi, tra gli account seguiti ci sono lo stesso Wwf e Greenpeace.
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C’è chi per tutta la vita anela di acquistare un biglietto di sola andata alle Hawaii e c’è chi, invece, sogna di trascorrere la propria esistenza in un palazzo signorile del Quattrocento o del Cinquecento circondandosi di opere d’arte rinascimentali: in pratica di vivere “immerso†nella bellezza del Rinascimento. Quest’ultima scelta vide protagonisti Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, due fratelli di Varedo – oggi in provincia di Monza Brianza – che a metà del XIX secolo decisero di ampliare il palazzo di famiglia in via Gesù, nel centro di Milano, e di trasformarlo in un vero e proprio museo. Nel 1975 l’edificio fu acquisito dalla Regione Lombardia e nove anni più tardi fu aperto al pubblico, diventando una casa-museo fra le più importanti e meglio conservate d’Europa, retta da una Fondazione Onlus presieduta da Camilla Bagatti Valsecchi e diretta da Antonio D’Amico.
Fedele alla regola che oggi più che mai l’arte non solo si vede, ma la si ascolta anche, la Fondazione che gestisce il Museo Bagatti Valsecchi per il 2026 ha messo a punto un programma di appuntamenti sia espositivi, sia di incontri. E in una Milano ormai votata ad assumere sempre più il ruolo di capitale italiana dell’arte contemporanea, la presenza di una casa-museo così spiccatamente neoclassica nel cuore della città , non può che incuriosire e affascinare a tal punto che perfino i più restii potrebbero finire sedotti da tanta bellezza e armonia. E se poi s’innesca l’effetto “passaparola†il gioco è fatto: Milano è grande, grandissima, ma per certe cose è come un paesone e quando accade qualcosa di nuovo o semplicemente una meta diventa estremamente desiderata, la notizia si propaga velocemente sia tra il pubblico, sia tra i sostenitori della cultura, nel senso più ampio della parola.
Come spiega il direttore D’Amico “il 2026 è un anno molto importante perché il museo, quello immaginato da due fratelli che volevano vivere in un’opera d’arte totale, invita tutti a visitarlo per ammirare ciò che l’arte ci propone per stare meglio, ovvero che cosa la bellezza ci consente di vivere per poter guardare oltre il visibile, oltre i nostri problemi, oltre la storia contemporanea che troppo spesso ci rende affaticati. Quindi io invito tutti a vederci al Bagatti Valsecchi per poter vedere oltre la realtà e stare insieme”.
Tra il 2026 e la primavera del 2027 sono in programma tre mostre: dal 13 febbraio al 2 agosto 2026 il museo milanese ospita Depero Space to Space. La Creazione della Memoria a cura di Nicoletta Boschiero e Antonio D’Amico. Realizzata in collaborazione con il Mart di Trento e Rovereto e inserita nell’ambito dell’Olimpiade Culturale Milano Cortina 2026, la mostra racconta il singolare parallelismo che lega, seppur in tempi differenti, i baroni Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi al pittore e scultore Fortunato Depero, tutti desiderosi di realizzare un sogno: abitare dentro spazi sospesi tra antico e contemporaneo. “Per la prima volta si potrà vedere una mostra di Depero che entra con armonia all’interno della casa – spiega D’Amico – instaurando un dialogo senza tempo dove il concetto secondo cui i Bagatti Valsecchi, uomini dell’Ottocento, vogliono vivere dentro un’opera d’arte totale, in un contesto rinascimentale cercando di rivalutare il tempo della perfezione, armonia e bellezza, attraverso opere del XV e XVI secolo e opere che loro si fanno realizzare ispirandosi all’antico nel cuore dell’Ottocento, questo è un po’ il concept che anima Depero tornando dal suo viaggio americano. In pratica riabilita il tempo: acquista la casa a Rovereto che diventa poi la sua casa-museo, e interviene con il suo lavoro, la sua visione futurista in un contesto cinquecentesco, senza annientare il tempo, ma riquadrandoli e facendoli entrare in gioco con il contemporaneo. Questo è il senso della prima mostra del 2026 nel museo del centro di Milano, dove le opere di Depero entrano in stretta armonia con il mondo ottocentesco dei fratelli Bagatti Valsecchi che guardano al Rinascimento e quello futurista di Depero che dialoga con il Cinquecento”.
Dal 18 settembre al 25 ottobre 2026 gli spazi del Museo Bagatti Valsecchi accoglieranno invece le opere di Bertozzi & Casoni nella mostra Eterne e fragili presenze, a cura di Alberto Mattia Martini, ovvero il dialogo tra la passione collezionistica dei fratelli Fausto e Giuseppe nella loro dimora neorinascimentale e la ceramica contemporanea del sodalizio artistico formato da Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni, scultori della ceramica famosi in tutto il mondo che coniugavano tecnologie e materiali industriali con l’arte pittorica. Infine dal 27 novembre 2026 al 16 maggio 2027 sarà la volta di Trama e ordito: tra Pistoletto, Buren e Boetti. Capolavori d’arte contemporanea dalla collezione Canclini a cura di Antonio D’Amico, in cui il tessile diventa linguaggio d’arte che racconta, unisce e trasforma attraverso capolavori di Daniel Buren, Michelangelo Pistoletto, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Andy Warhol e tanti altri.
Torneranno poi Lasciami mezz’ora per vedere – quinta edizione della rassegna di Stasera al Museo, nove appuntamenti tra teatro, danza e musica vanno in scena nel Salone d’Onore e nei cortili storici di Palazzo Bagatti Valsecchi da febbraio a dicembre – e la terza edizione delle Conversazioni d’arte a Casa Bagatti Valsecchi, ispirata alla mostra su Depero e che prende avvio dall’universo futurista per ampliare lo sguardo sulle dinamiche artistiche e sui fermenti culturali della metà del Novecento.
Torna insomma la funzione riflessiva ed educativa del museo: “Per me fare museo è vivere le emozioni e le sensazioni – aggiunge D’Amico -, riflettere sul nostro tempo e sulla storia, su ciò che è stato, ma anche sul futuro per costruire uno spazio migliore. Oggi il museo è una casa che ancora vuole accogliere quest’idea di opere d’arte totali per cui attraverso le nostre attività , che rappresentano il desiderio di tornare in un luogo di comfort, dove si è accolti nella bellezza, con gentilezza, nello spirito dell’amicizia e della fraterna concordia come i fratelli che questo museo l’avevano pensato. In definitiva, per me il museo è un luogo di pace e di bellezza, una casa aperta a tutti e non un museo statico, bensì un luogo da vivere, dinamico, ricco di sorprese dove poter vivere e respirare l’arte in immersione totale”.
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Info
Museo Bagatti Valsecchi | Casa Museo nel cuore di Milano
Dove | Via Gesù 5, Milano (zona Montenapoleone)
Orari | Merc ore 13-20, giov e ven ore 13-17.45, sab e dom ore 10-17.45
Biglietti | Ingresso 12 euro; ridotto 9 euro
Web | museobagattivalsecchi.org/it
Social | Fb @MuseoBagattiValsecchi – Ig @museobagattivalsecchi
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Chi se lo immagina asceta di ferro, pronto a passare il Natale a digiuno sorseggiando tisane tiepide, resterà deluso. Franco Berrino sorride: “Lo passerò con primo, secondo e dolce, con crema, e del vinoâ€. Dopo che il noto epidemiologo ha riferito al Corriere della Sera il suo Natale ideale, gli ho chiesto di racconarmelo personalmente, visti i tanti anni di collaborazione editoriale che ho avuto l’onore di condividere con lui. E insomma, quello che viene fuori non è tanto il manifesto della redenzione gastronomica, ma semplicemente un Natale da trascorrere “Con criterio, si festeggia nel rispetto della tradizione e della saluteâ€. Tradotto: sì, sgarra., ma “alla Berrinoâ€.
Il suo pranzo comincia da un atto d’amore e di memoria: i tortelli di zucca della nonna. Il ripieno è cambiato (“il parmigiano l’ho sostituito con tofu e gomasioâ€); e come ho pensato subito, la farina pure: “Niente 00, uso la tipo 2 o l’integrale setacciataâ€; il condimento definitivamente traslocato dal burro al miso-tahini. Eppure, l’immagine è tenerissima: Berrino che rilegge l’infanzia in chiave macrobiotica, ma senza perdere il sorriso. “Sono buonissimiâ€, assicura l’epidemiologo.
La gallina ripiena della nonna, simbolo festivo di un tempo, oggi non c’è più: “Non ci sono più quelle di una volta. Non le cerchi: sono spariteâ€. Nei suoi menù la carne è diventata presenza rarissima: “Pochissime volte in un anno. Ma quando succede dev’essere eccellente. I surrogati non mi interessanoâ€. Così nasce il piano alternativo: una “bistecca†di cavolo cappuccio. Una fetta al forno, servita su una crema personalizzata: non hummus, ma topinambur. “Fa bene all’intestino grazie all’inulina: aiuta bifidobatteri e lattobacilliâ€. Con un bonus di ironia scientifica: “Test di tolleranza obbligatorio: prendetene un cucchiaio. Se non gonfia, via liberaâ€.
Il panettone resta intoccabile – “a Natale non manca mai†– ma deve essere artigianale e senza emulsionanti: “Se trovate mono e digliceridi degli acidi grassi, lasciate perdereâ€. Accanto, la crema al mascarpone non è un tabù, ma lui suggerisce la variante “leggera†al miglio. Non manca il suo brownie “intelligenteâ€: patate dolci, cacao, mandorle, pere e forno a 180°C. “I grassi buoni rallentano l’assorbimento degli zuccheri e stabilizzano la glicemiaâ€. E per brindare? “Un bicchiere purché di ottima qualità e senza solfiti. Io userò un Sauternesâ€.
La sera di Natale, niente cena: “In generale non mangio, a maggior ragione nei giorni di festaâ€. Per San Silvestro fa un’eccezione: sarà ospite a Villa Leri, tra Rimini e San Marino, “cucina biologica e biodinamica, una volta mi hanno preparato trenta verdure diverse!â€. Poi, dal 3 gennaio, inizia un percorso detox in Sicilia: “Passeggiate all’alba sul mare, meditazione, cucina OlisticoMediterranea, silenzio e digital detox per ripartire con energia e leggerezzaâ€.
Non si tratta di rispettare quindi una tradizione logora di consumismo. E qui Berrino mi confida quanto per lui “i giorni di Natale non sono giorni qualsiasi. Sono giorni in cui i ricordi che si affollano nella mente sono quelli dell’infanzia, dell’attesa dei regali, dei nonni, dei genitori che non ci sono più, del mistero che abita i riti delle tradizioni. I ricordi di quando c’era la neve, e il silenzio. Sono giorni in cui dedicare più tempo al silenzioâ€. E qui ci risintonizziamo allo spirito originario della festa: “Dobbiamo dedicare più tempo alla meditazione, al perdono, a liberarci dai rancori, giorni in cui riflettere sul senso della vita, se abbiamo fatto quello che dovevamo fare, quello che siamo venuti a fare sulla terra. Sono giorni in cui la luce comincia a rinascere dopo il solstizio, che non è la luce del consumismo natalizio, sono giorni di speranza e di intenzioniâ€. Sono anche giorni in cui dedicare un pensiero a quello che tendiamo a rimuovere dalla nostra cultura contemporanea, alla “sora nostra morte corporaleâ€.
E ancora: “Cominciano le 12 notti sante delle tradizioni nordiche, i giorni e le notti delle intenzioni, dei buoni propositi, della bontà , della compassione, della gentilezza, della generosità , del non attaccamento, dell’impegno per il bene comune, del servizio, dell’umiltà , della consapevolezzaâ€. Con un invito a delle buone letture: “Ogni giorno è bene leggere pagine dai grandi libri sapienziali, il Vangelo, il Tao Te Ching, il Dammapada, la Bagavad Gita… e piantare semi di saggezza per il prossimo annoâ€.
L'articolo Cosa mangia Franco Berrino a Natale e Capodanno? “Non c’è più la gallina ripiena della nonna, al suo posto una bistecca di cavolo. Niente parmigiano, ma tofu e gomasio” proviene da Il Fatto Quotidiano.