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Nella sala Berlinguer di Montecitorio, davanti ai deputati del Pd, alla segretaria Elly Schlein e al leader della Cgil Maurizio Landini, Massimo D’Alema torna alla Camera nelle vesti di direttore editoriale di Italianieuropei. L’occasione è la presentazione dell’ultimo numero della rivista, dedicato al lavoro e alle trasformazioni economiche, con la partecipazione anche di Cecilia Guerra, responsabile Lavoro della segreteria nazionale del Pd, e dell’ex commissario europeo Nicolas Schmit.
Ma più che un intervento accademico, quello di D’Alema si trasforma in un monito politico: serve un’opposizione compatta, un “campo largo” capace di ritrovare un linguaggio comune e una prospettiva credibile di governo.
Il cuore della sua analisi è la questione del lavoro, che per l’ex premier non riguarda solo una parte della società , ma “ha a che vedere col destino del nostro Paese” e con la capacità competitiva del sistema produttivo. Per D’Alema, la destra al governo incarna un modello “destinato inesorabilmente al declino”, incapace di reggere le sfide globali, tecnologiche e soprattutto demografiche.
“La politica dei confini chiusi significa per l’Italia di qui a 50 anni avere 40 milioni di abitanti con età media 62 anni – avverte – e cioè la fine di tutto: sistema economico, welfare, pensioni. Un Paese che respinge, invece di attrarre, lavoratori giovani finirà per perdere anche i propri”.
Da qui la necessità di rimettere al centro dignità , diritti e retribuzioni: non per ideologia, ma perché l’Italia potrà competere soltanto investendo nella qualità del lavoro, nell’innovazione e nella capacità di far crescere i consumi interni in un mondo attraversato da conflitti e rallentamenti del commercio globale. “Riconoscere dignità del lavoro è centrale per l’avvenire del Paese”, insiste l’ex leader dei Ds.
Ma l’analisi economica si intreccia con un allarme democratico: l’astensione dilaga, soprattutto nelle fasce sociali più fragili, dove si sfiora il 70%. È un sistema “censitario”, dove votano quasi solo i ceti più forti.
D’Alema vede un’indicazione preziosa nell’esempio americano: la recente vittoria di Zohran Mamdani, neo-sindaco socialdemocratico di New York City, eletto il 4 novembre 2025 grazie alla capacità di mobilitare “la parte più marginale della popolazione”. “Hanno votato per lui sapendo che avrebbe affrontato il caro affitti e il caro vita“, sottolinea, aggiungendo come l’impegno su condizioni concrete di vita abbia convinto gli esclusi a tornare alle urne.
Da qui l’appello ai leader del centrosinistra, e in particolare al Pd: ricostruire un dialogo stabile e più forte con sindacati e mondo culturale. “C’è una parte importante della cultura che vuole dare un contributo… Bisognerebbe chiamarla in modo più esplicito”, ammonisce, ricordando che questa responsabilità non è di un solo partito, ma dell’intera coalizione. Perché, avverte, “si vince o si perde tutti insieme” e “le egemonie di partito dentro una coalizione hanno un valore relativo”.
D’Alema richiama anche un passaggio del libro Manifesto per un’altra economia e un’altra politica dell’economista e storico Emanuele Felice, che lui stesso ha recensito per la rivista: la storia dell’indice di Gini, misura statistica della disuguaglianza economica in una popolazione, che è cresciuta senza sosta dagli anni Sessanta, ma si è invertita in due soli momenti. Ovvero, alla fine dei Settanta grazie alle riforme sociali della sinistra, e nel 1998 con le politiche dell’Ulivo. “È la dimostrazione che si può conciliare rigore finanziario e riduzione delle diseguaglianze“, sostiene, rivendicando investimenti dell’epoca in sanità con la riforma Bindi, scuola e Mezzogiorno.
E conclude: “Lo dico perché questo fa parte del vostro patrimonio storico, noi siamo vecchi oramai, ed è qualcosa che appartiene all’ordine delle possibilità e alla storia della sinistra in questo paese”.
L'articolo D’Alema striglia il campo largo: “Si vince o si perde tutti insieme. Bisogna parlare agli esclusi e coinvolgere la cultura” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Niente da fare per Simone Bolelli e Andrea Vavassori. Comincia con una delusione per l’Italia la giornata di semifinali alle Atp Finals 2025 di Torino. La coppia azzurra, dopo aver disputato un grande girone, vede il sogno svanire sul più bello: netta la sconfitta in due set (6-4, 6-3) contro il finlandese Harri Heliovaara e l’inglese Henry Patten. In finale ci va la coppia numero 2 al mondo, che invece si è ritrovata nel momento più importante dopo un passo falso nel girone.
Bolelli e Vavassori erano in grande forma, come testimoniato anche dalla vittoria nel Masters 1000 di Parigi che ha preceduto le Finals. Oggi però non sono quasi mai riusciti a impensierire i rivali, mentre hanno spesso servito sotto pressione: la coppia anglo-finlandese ha vinto l’83% dei punti in cui ha risposto alla seconda azzurra.
Ora per il rodato duo italiano è tempo di voltare subito pagina, dimenticare Torino e fare rotta su Bologna. L’Italia di Coppa Davis, viste le assenze di Jannik Sinner e Lorenzo Musetti, ha bisogno della loro miglior versione per poter sperare di fare strada.
L'articolo Svanisce sul più bello il sogno di Bolelli e Vavassori: perdono in due set e sono fuori dalle Atp Finals proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Se arrivi a Napoli e dopo un po’ inizi a dire però non mi piace come vivete qua, non mi piace come si vestono le vostre donne e non mi piace San Gennaro, e basta col calcio e non mi piace il presepe e non mi piace Gesù Bambino e non mi piacciono le vostre chiese, se arrivi qua e non rispetti le nostre leggi, la nostra cultura e le nostre tradizioni fuori dalle pa**e, fuori dalle pa** dal primo all’ultimo torna a casa tua amico mio, torna a casa tua non ci mancherai”. Lo ha detto il leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini durante il comizio del centrodestra a Napoli per le regionali in Campania.
L'articolo Salvini insiste: “Se non ti piace il calcio e San Gennaro torna a casa tua” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Un anno rubato”. Parole dure, pubblicate qualche ora fa sul profilo Facebook “Alberto Trentini Libero”, raccontano la Via Crucis del cooperante veneto, da 365 giorni ostaggio in Venezuela e recluso nel maxi-carcere de El Rodeo I, e dei suoi genitori, Armanda Colusso ed Ezio Trentini, che ogni giorno, insieme all’avvocata Alessandra Ballerini, aspettano il suo ritorno. Quella dei 365 giorni, si sa, è una linea rossa che non andava superata; una frontiera esistenziale tra l’impegno, finora mancato, e l’indifferenza, che ha avuto la meglio a Palazzo Chigi e dintorni.
“Sono certa che per Alberto non si è fatto quel che era necessario e doveroso fare per la sua liberazione”, ha denunciato Armanda, intervenuta oggi in conferenza stampa a Palazzo Marino (Milano), insieme – fra gli altri – a Ballerini che, dall’inizio, ne chiedono la liberazione. “Sono stata troppo paziente ed educata. Ora la mia pazienza si è esaurita”, ha poi ammesso, rinnovando il suo appello ai giornalisti: “Io andrò a casa con la convinzione che parlerete e scriverete di Alberto e chiederete assieme a me a gran voce la sua liberazione”. Non c’è dubbio che per la liberazione di suo figlio “doveva esserci, e invece non c’è stato, un gruppo coeso e motivato di persone che doveva mirare allo stesso risultato”.
Lo sanno bene Roma e Caracas, dove temporeggiano mentre i familiari di Trentini vivono “notti insonni e giornate senza senso, con il pensiero fisso su Alberto, ad immaginare come sta, cosa pensa, cosa spera, di cosa ha paura”, come denuncia Armanda. Gli unici benefici: tre chiamate brevi e una visita consolare, concesse anche ad altri detenuti. Del resto gli è “stato tolto un anno di vita” nel quale “non ha potuto godere dell’affetto della sua famiglia“, prosegue Armanda.
Al Rodeo I si vive in “condizioni igieniche difficili”, come già raccontato da un ex-prigioniero svizzero, che ha conosciuto Alberto e per il quale il governo svizzero non ha risparmiato alcuno sforzo. È andata così anche per gli americani, ora tutti liberi, i colombiani e altre persone che “hanno raccontato le medesime condizioni terribili di detenzione“. Dal canto suo il governo italiano – che all’inizio aveva imposto “il silenzio” ai familiari per “non danneggiare la posizione” di Trentini – ha mantenuto, fino a poco tempo fa, una sorta di linea di fermezza nei confronti delle autorità venezuelane, mai telefonate nei primi nove mesi. “Mi sorge spontanea una domanda: fosse stato un loro figlio l’avrebbero lasciato in prigione un anno intero?”, ha detto Armanda.
L’immobilismo italiano è stato in parte compensato dalla mobilitazione della famiglia Trentini con l’avvocata Ballerini – e l’aiuto dell’associazione Articolo 21, la parrocchia, gli amici – entrati a contatto con “politici, diplomatici, artisti e negoziatori perché Alberto potesse tornare a casa”. Faceva ben sperare la distensione dell’ultimo mese, con la stretta di mano tra il capo di Stato Sergio Mattarella e la ministra dell’Istruzione venezuelana durante la canonizzazione dei santi José Gregorio Hernández e MarÃa Carmen Rendiles, ma Alberto non è ancora tornato. E poco c’entrano i venti di guerra che in queste ore soffiano al largo del Venezuela, vista la recente liberazione di decine di detenuti colombiani (che hanno riferito di aver visto Alberto). Su questo punto il ministro degli Esteri Antonio Tajani era intervenuto il 14 novembre, ribadendo lo sforzo italiano per “sollecitare la liberazione” dei connazionali detenuti in Venezuela, facendo però riferimento a “una tensione crescente” che coinvolge il Venezuela, “anche a livello internazionale.
Ma in realtà l’ostacolo più grosso non è a stelle e strisce, bensì italiano, ed è rappresentato da negoziatori entrati in scena per colmare il vuoto lasciato dal governo Meloni e facendo perdere tempo e risorse, senza portare a casa Alberto. “Si sono palesati dei negoziatori e la sensazione è che questi mediatori millantassero un potere che non avevano. Quando sembrava che Alberto potesse arrivare a casa, lui di fatto non è tornato”, ha detto Ballerini rispondendo a Ilfattoquotidiano.it. “Io ho chiesto fin dai primi mesi il visto per andare a Caracas, come avvenuto per Giulio Regeni in Egitto. Spero che il visto venga finalmente concesso. Il mio scopo sarebbe quello di andare a trovare Alberto in carcere”. E ha aggiunto: “Per mia sicurezza personale, approfittando della presenza dell’inviato speciale per gli italiani in Venezuela, Luigi Maria Vignali, affinché – previa autorizzazione – possa tornare nel Paese”. Quanto alle invocazioni di pace di Maduro, la legale ha ricordato che “l’Italia ripudia la guerra” e ha sottolineato il “valore del canale recentemente aperto” con Caracas, dopo quattro anni di silenzi. L’Italia? “Pur lontana politicamente dal Venezuela potrebbe rassicurare Caracas sul rispetto del Diritto internazionale, anche dopo l’eventuale rilascio di Alberto“.
A Palazzo Marino c’erano anche Beppe Giulietti (Articolo 21), Paola Deffendi e Giulio Regeni, genitori del ricercatore ucciso nel 2016 al Cairo, ed Elisa Signori e Rino Rocchelli, il cui figlio, il fotografo Andy, è morto per mano delle forze ucraine mentre svolgeva il proprio lavoro nel Donbass. La loro sete di giustizia si unisce ora al clamore per la liberazione di Alberto, affinché, almeno una volta, l’epilogo sia diverso. E la vita prevalga, al di sopra di ogni calcolo e meschinità .
L'articolo “Un anno rubato a mio figlio Alberto Trentini. Non è stato fatto il necessario per liberarlo, la pazienza è finita” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Sono passati 23 anni dalla morte di Alex Baroni, ma il suo ricordo e la sua musica sono sempre vivi. Lo dimostra quanto avvenuto pochi giorni fa, quando durante un concerto a Roma Marco Mengoni ha accontentato alcuni fan che gli hanno chiesto di cantare il ritornello di “Cambiareâ€, uno dei brani più noti di Baroni. E Mengoni, che non ha mai nascosto l’ammirazione per il compianto artista, è stato ben lieto di intonare ancora una volta il brano. Anche Caterina Balivo, nella puntata de “La volta buona†in onda venerdì 14 novembre, ha voluto ricordare il cantante, e per questo ha invitato in studio Guido, fratello di Alex, e Giulio Todrani, il papà di Giorgia che come noto ebbe una relazione con Baroni fino a pochi mesi prima della sua morte.
A informare la famiglia di Alex Baroni dell’incidente in moto fu una telefonata fatta proprio da Giulio Todrani alla mamma del giovane, “perché la mia ex moglie non aveva il coraggio di chiamarla†ha raccontato nel salotto di Balivo. “Mi ha risposto Marina, la mamma. ‘Ti volevo dare una notizia, Alex ha aveva avuto un incidente’. Non ho fatto in tempo a dire così che lei ha urlato. Quando ci penso mi viene la pelle d’oca. Ha attaccato il telefono e sono venuti subito a Romaâ€. “Abbiamo preso il treno subito e siamo scesi senza sapere cosa avremmo trovato, poi l’abbiamo saputo†ha aggiunto il fratello del cantante, rimasto in coma irreversibile per molti giorni prima di morire.
A far conoscere Baroni e Giorgia fu proprio il papà della cantante romana: “I suoi produttori facevano parte del mio gruppo†ha spiegato Giulio Todrani, “Lui veniva di tanto in tanto a Roma a provare i pezzi e la sera veniva a cantare con me sul palco. Un giorno mi dice: ‘Mi porti a vedere Giorgia?‘ La sera andiamo al Sistina assistiamo al concerto e poi andiamo a salutarla in camerinoâ€. La serata proseguì con una cena al ristorante, dove Giorgia e Alex parlarono di musica tutto il tempo. Dopo qualche giorno la cantante di “E poi†si confidò con il padre: “Esco con un tuo amico†gli disse, “Ok ma chi è?†chiese il genitore. “Alex†rispose lei.
La morte di Baroni fu una pagina molto dolorosa anche nella vita della stessa Giorgia, che tempo fa in un’intervista per “Gente†spiegò: “Davo un po’ i numeri in quegli anni. Il mio manager mi aveva convinto a non smettere di lavorare. Addirittura il giorno del funerale mi hanno fatto prendere un aereo per l’Olanda. Ma non avrei dovuto: finivo i concerti e piangevo. Ad un certo punto ho pensato anche di voler morire, pensavo: così lo ritrovo subito da qualche parte. Ho toccato il fondo dei pensieri, la disperazione. La vita non mi aveva ancora insegnato che può accadere: ti saluti senza sapere che non ti vedrai più. Ma poi sono risalita: perché prima o poi la vita ti insegna anche a sfruttare il dolore come risorsaâ€.
L'articolo “Ricordo le urla della mamma di Alex Baroni quando la chiamai per dirle dell’incidente. Quando ci penso mi viene la pelle d’ocaâ€: le parole del papà di Giorgia a “La volta buona†proviene da Il Fatto Quotidiano.
Nella nuova puntata di Fratelli di Crozza, in onda il venerdì sera in prima serata sul Nove e in streaming su Discovery+, Maurizio Crozza veste i panni di Matteo Salvini che, alternando proclamazioni sulle tradizioni italiane a elogi di cibi e culture straniere, discute di mestieri e lavori, commentando anche ponti e opere pubbliche.
L'articolo Crozza-Salvini esagera con le sagre e i liquori: “Accogliamo i somali che lavorano, non Tajani…” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Leone XIV prega per la salvezza del cinema. Durante l’udienza al Palazzo Apostolico in Vaticano dedicata al mondo del cinema, il Papa ha mostrato sincera preoccupazione per l’esistenza futura delle sale cinematografiche. “Stanno vivendo una preoccupante erosione che le sta sottraendo a città e quartieri. E non sono in pochi a dire che l’arte del cinema e l’esperienza cinematografica sono in pericolo. Invito le istituzioni a non rassegnarsi e a cooperare per affermare il valore sociale e culturale di questa attività â€, ha affermato perentorio Leone XIV che nelle scorse ore, in vista dell’incontro con registi e attori, ha selezionato simbolicamente quattro titoli – La vita è meravigliosa (1946) di Frank Capra; La vita è bella (1997) di Roberto Benigni; Tutti insieme appassionatamente (1965) di Robert Wise e Gente comune (1980) di Robert Redford – mostrando una cinefilia non di poco conto.
“La nostra epoca ha bisogno di testimoni di speranza, di bellezza, di verità : voi con il vostro lavoro artistico potete esserlo. Recuperare l’autenticità dell’immagine per salvaguardare e promuovere la dignità umana è nel potere del buon cinema e di chi ne è autore e protagonista. Non abbiate paura del confronto con la ferite del mondo. La violenza, la povertà , l’esilio, la solitudine, le dipendenze, le guerre dimenticate sono ferite che chiedono di essere viste e raccontateâ€, ha continuato Leone XIV dimostrando capacità produttive degne delle grandi major hollywoodiane.
“Il grande cinema non sfrutta il dolore: lo accompagna, lo indaga. Questo hanno fatto tutti i grandi registi. Dare voce ai sentimenti complessi, contraddittori, talvolta oscuri che abitano il cuore dell’essere umano è un atto d’amore. L’arte non deve fuggire il mistero della fragilità : deve ascoltarlo, deve saper sostare davanti ad essoâ€, ha poi concluso il Pontefice.
L'articolo Papa Leone prega per la salvezza del cinema: “I grandi registi non sfruttano il dolore, lo indagano. Dare voce ai sentimenti complessi, contraddittori, talvolta oscuri che abitano il cuore dell’essere umano è un atto d’amore” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Con la sentenza n. 945 depositata in questi giorni, la Corte di Cassazione mette la parola fine al processo Grimilde e all’egemonia mafiosa della cosca Grande Aracri trapiantata nel paese di Brescello sulle rive del Po. La Corte Suprema presieduta da Rosa Pezzullo ha dichiarato inammissibile il ricorso dei legali di Francesco Grande Aracri, condannato in primo grado a 19 anni e 6 mesi, con pena inasprita a 24 anni dalla Corte d’Appello di Bologna nel 2024. È il più anziano tra i tanti fratelli e sorelle, residente nel comune di Peppone e don Camillo già dal lontano 1988. Ma Francesco non era semplicemente un membro della cosca: “Era il vertice massimoâ€, sostenne la pm Beatrice Ronchi della Dda di Bologna durante il processo. Guidava la cosca al nord: era l’altra faccia autorevole della famiglia, mentre il boss Nicolino giù a Cutro controllava, prima di finire all’ergastolo, le attività di una delle più potenti organizzazioni di ‘ndrangheta infiltrate nei mercati economici, capace di tessere relazioni per la gestione di affari criminali in mezza Europa.
Nel censurare i motivi del ricorso presentato dagli avvocati difensori, la Corte ha richiamato nella sentenza la differenza esistente tra la semplice associazione a delinquere e quella di stampo mafioso, con la seconda che ribalta il rapporto tra “i mezzi e i fini†delle azioni illecite. Per i comuni criminali la realizzazione dei delitti è lo scopo della associazione; per i mafiosi invece l’attività delinquenziale è solo un insieme di azioni che consentono di perseguire “un obiettivo diverso e più ampio†che si configura nel “controllo stabile di un segmento della vita sociale†attraverso il quale garantirsi poi “l’arricchimento parassitarioâ€. All’associazione mafiosa si aderisce quindi non necessariamente per commettere azioni illecite ma anche solo “per partecipare alla suddivisione dei profitti o per realizzare una duratura supremazia territoriale su ogni genere di attività â€. L’organizzazione mafiosa raggiunge i propri obiettivi, che astrattamente possono essere anche leciti, come ottenere appalti o condizionare i mercati di un territorio, “avvalendosi della forza d’intimidazione del vincolo associativo†e dei conseguenti “assoggettamento e omertà †che ne derivano.
Ebbene, dice la Corte di Cassazione, nella sentenza d’Appello veniva documentata, grazie ad “un imponente quadro probatorioâ€, l’esistenza del sodalizio mafioso in Emilia, già accertata nei processi Edilpiovra e Aemilia, con il ruolo apicale di Francesco Grande Aracri a partire dal 2001. Attraverso le società affidate a prestanome o a famigliari, ma a lui riconducibili, Francesco aveva incuneato la propria famiglia nel “tessuto socio-politico-economico del territorio emiliano e in particolare nel Comune di Brescello†tanto da determinare lo scioglimento del Consiglio Comunale nel 2015 per infiltrazioni mafiose. Aveva ottimi rapporti con il sindaco Marcello Coffrini e con il padre Ermes (a sua volta sindaco in anni precedenti), che era stato anche suo legale in contenziosi riguardanti immobili. Gestiva società , come la Eurogrande Costruzioni srl, che ricevevano appalti e lavori dalla amministrazione comunale. Aveva ottenuto una variante edilizia “ad hoc†per la realizzazione del quartiere soprannominato Cutrello. Si era infilato nei ricchi appalti per la costruzione di immobili a Reggiolo e Sorbolo, scambiando corrispettivi gonfiati con i subappaltatori per ripulire denaro. Aveva sfruttato società cartiere e falsa fatturazione secondo il tipico modus operandi della ‘ndrangheta emiliana. Era stato uno dei protagonisti dell’acquisto della grande discoteca Italghisa alle porte di Reggio Emilia, “divenuta simbolo del potere mafioso dei Grande Aracri nel territorioâ€; luogo dove la sera ballavano centinaia di giovani della città e di giorno “spesso i sodali si riunivano†per trattare i loro loschi affari. Aveva educato in senso mafioso i figli Salvatore e Rosita, condannata di recente a 7 anni e 2 mesi per appartenenza al sodalizio.
A fronte di tutti questi elementi, e di tanti altri elencati dalla Corte di Cassazione, la difesa di Francesco Grande Aracri si è limitata, nel suo ricorso, a “reiterare censure già analiticamente vagliate dalla Corte di Bologna, offrendo argomenti manifestamente infondati o genericamente formulatiâ€. Il fratello anziano di Nicolino, diceva già la sentenza d’Appello, è dunque “uno ndranghetista moderno, teso a operare con modalità più morbide, sofisticate e insidiose… come la falsa fatturazione. Cauto e prudente nelle frequentazioni, attento a non sovraesporsiâ€. Assieme alla faccia buona sapeva però mostrare (o non riusciva a trattenere) anche quella cattiva, come documentato nel docufilm “Aemilia 220â€, trasmesso da Rai 2 lo scorso 23 maggio. Mentre viene ripreso al di là della cancellata della sua azienda a Brescello, Francesco Grande Aracri impugna un’ascia di cantiere e minaccia il tecnico dell’emittente locale Telereggio che invece impugna solamente la telecamera. Lo scambio di battute in quei pochi secondi è essenziale ed eloquente: “Chi sei tu?! Dimmi chi sei!â€. “Telereggioâ€. “E va ‘ffan culo Telereggio!! Vai via!!!â€
L'articolo “Affari e politica, le mani della ‘Ndrangheta in Emilia”: definitiva la condanna del boss Francesco Grande Aracri proviene da Il Fatto Quotidiano.
In dodici anni si sono abbassate definitivamente 118mila serrande di negozi italiani e sono scomparse circa 23mila bancarelle di vendita ambulante. Un’emorragia che rischia di precipitare nel prossimo decennio e che già ora presenta cali particolarmente accentuati in centri storici e piccoli comuni. Sotto il profilo della tipologia di attività , ad avere la peggio sono stati finora i distributori di carburante, articoli culturali e ricreativi, mobili e ferramenta nonché abbigliamento e calzature.
È quanto emerge da un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio in vista dell’iniziativa nazionale “inCittà -Spazi che cambiano, economie urbane che crescono”, dedicata al futuro delle città e delle economie urbane, organizzato dalla Confederazione che si terrà a Bologna, a Palazzo Re Enzo, il 20 e 21 novembre prossimi. Un trend che, senza nuove ed efficaci politiche di rigenerazione urbana e senza interventi per riutilizzare gli oltre 105mila negozi sfitti (un quarto dei quali da oltre un anno), è destinato ad aggravarsi ulteriormente con il rischio di perdere, da qui al 2035, altre 114mila imprese al dettaglio. In pratica, oltre un quinto delle attività oggi esistenti sparirebbe con gravi conseguenze per l’economia urbana, la qualità della vita e la coesione sociale.
In particolare, analizza l’Ufficio Studi di Confcommercio, dal 2012 al 2024 hanno chiuso quasi 118mila imprese del commercio al dettaglio in sede fissa e circa 23mila attività ambulanti, per una riduzione totale di oltre 140mila unità , risultato di un eccesso di chiusure rispetto alle aperture. Le cause – ad avviso di Confcommercio – sono riconducibili a una crescita insufficiente dei consumi interni, al cambiamento dei comportamenti di spesa dei consumatori e alla diffusione delle tecnologie digitali che hanno favorito gli acquisti online. Non a caso, nello stesso periodo le imprese attive operanti prevalentemente su internet o nella vendita per corrispondenza sono aumentate di oltre 16mila unità (+114,9%).
Nell’ambito del commercio al dettaglio in sede fissa, le contrazioni più rilevanti si registrano tra i distributori di carburante (-42,2%), i negozi di articoli culturali e ricreativi (-34,5%), il commercio non specializzato ( 34,2%), store di mobili e ferramenta (-26,7%) nonché negozi di abbigliamento e calzature ( 25%). Molte città medio-grandi del Centro-Nord sarebbero quelle più esposte a questo fenomeno, mentre per alcuni Comuni del Mezzogiorno il calo sarebbe più contenuto, soprattutto per la riduzione dei residenti e il minor ricorso agli acquisti online. A fronte di questa emergenza Confcommercio, anche attraverso il progetto Cities, propone un’Agenda Urbana Nazionale da definire insieme a Governo, Regioni e Comuni, per rigenerare i centri urbani valorizzando le economie di prossimità e le imprese del terziario di mercato con l’obiettivo di creare un quadro stabile e integrato delle politiche urbane, promuovendo strumenti condivisi contro la desertificazione commerciale e per una logistica urbana sostenibile.
L'articolo Allarme di Confcommercio: 140mila attività scomparse in 12 anni proviene da Il Fatto Quotidiano.
Martedì 11 novembre la troupe di Dritto e Rovescio ha subito un’aggressione mentre si trovava a Torino. I fatti sono avvenuti in corso Novara 78. Qui un uomo incappucciato armato di mazza chiodata si è accanito sull’auto con cui erano arrivati cronisti e operatori video, sfasciandone il parabrezza, prima di darsi alla fuga facendo perdere le proprie tracce.
E nella puntata di ieri 14 novembre, Paolo Del Debbio, conduttore del programma di Rete4, ha commentato l’accaduto: “Erano incappucciati, se non sbaglio, vero Erika (Antonelli, l’inviata che si trovava a Torino, ndr)? Incappucciati, quindi dei vigliacchi, perché chi combatte per una causa va a volto scoperto. Così come io dico a voi a volto scoperto che siete degli str***i, ma non mi intimidite, perché io la settimana prossima vengo lì e abbiate il coraggio a volto scoperto di venire a parlare, di confrontarvi, di dirmi le vostre ragioni. Io vi dirò le mie e non occorre portare una mazza, basta portare il cervello, se ce l’avete e in che quantità e soprattutto se le sinapsi collegano i neuroni, perché quello è il punto. Però non pensate di intimidire con queste cose. Questo fatto non va sottovalutato, perché così è la prima volta che ci capita”.
E Antonelli ha spiegato: “Sì, Paolo, questa persona aveva una mazza di almeno 30 centimetri. Quello che mi è rimasto impresso è che la parte superiore di questa mazza aveva tre chiodi. Tre chiodi grandi che spuntavano, con cui non si è fatto nessun problema a colpire la nostra auto parcheggiata. Noi dentro, inermi, a fare il nostro lavoro. Io, Nicolò Cicala e Andrea Grattarola, ottimi professionisti. Fino a spaccare il lunotto posteriore e danneggiare gravemente il vetro anteriore, che aveva tre fori, con il vetro rientrato. È stato agghiacciante. Abbiamo avuto molta paura“.
L'articolo “Io vi dico che siete degli stronzi ma non mi intimidite. La settimana prossima vengo lì, non occorre portare una mazza, basta il cervello se l’avete”: Paolo Del Debbio agli aggressori della troupe di Dritto e Rovescio proviene da Il Fatto Quotidiano.
L'articolo Kallas: “Se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra”. Tajani: “Le tangenti in Ucraina? I corrotti ci sono in tutto il mondo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Intelligente, lucido, forse la persona più lucida che ho intorno in questo momentoâ€. Giada Bocellari parla così di Alberto Stasi a “Ore 14 seraâ€. L’avvocata è chiamata da Milo Infante a descrivere il proprio assistito, al momento unico condannato in via definitiva per l’omicidio di Chiara Poggi, e lo fa in questi termini: “Molto razionale, consapevole, con una grande capacità di resilienza, grande forza interiore e valori – merito della famiglia – che gli hanno consentito di affrontare non solo gli anni del carcere ma ancor più gli anni del processo con grande forza, adattandosi alla situazione in cui si è venuto suo malgrado a trovare, ma senza mai confondersi con l’ambiente carcerarioâ€.
Nonostante siano passati 18 anni dal delitto di Chiara, Stasi parlerebbe ancora oggi della sua ex fidanzata: “Molto più di quanto l’opinione pubblica pensi†fa sapere Bocellari. “In tutti questi anni Alberto spesso ha parlato di Chiara e ancora oggi lo fa, il problema è che nella sua posizione parlare di Chiara è pericoloso perché qualunque cosa lui dovesse dire potrebbe essere interpretato in maniera negativa. Come il discorso del ritrovamento [del corpo, ndr]: non ha pianto, non si è strappato i capelli ma era molto agitato in quella telefonata, eppure è stato considerato freddo. Se avesse pianto e si fosse disperato avrebbero detto probabilmente: ‘Fa finta di essere disperato’â€.
Di Alberto Stasi si è spesso sottolineata l’apparente freddezza, a partire da quegli occhi molte volte definiti “di ghiaccioâ€. “Alcune foto sono risultate funzionali a un certo tipo di narrazione che in quel momento serviva†commenta l’avvocata. “Nel momento in cui i media puntano su di lui e raccontano di questo ragazzo con questo sguardo apparentemente glaciale, diventa il candidato ideale per compiere un omicidio, si costruisce il mostro che è accettabile per l’opinione pubblica anche come potenziale assassinoâ€. Bocellari ricorda il primo incontro con Stasi: “Alberto ha tanti pregi ma la simpatia non credo sia il suo pregio più evidente. Non suscita particolare empatia nell’interlocutoreâ€. Ai tempi lei era una praticante nello studio Giarda, e non era interessata alla vicenda di Garlasco. “Poi mi chiedono di iniziare a fare delle ricerche sull’altro procedimento, quello della pedopornografia, e quindi inizio da lì a guardare le cose. Non ero avvocato, ma quando inizio a leggere le carte mi convinco dell’innocenza di Alberto Stasiâ€.
Nello studio di “Ore 14 seraâ€, Bocellari conclude spiegando quello che secondo lei è stato il più grande sbaglio commesso in tutta la vicenda: “L’errore più macroscopico a mio modesto parere è stato quello di innamorarsi da parte degli inquirenti di una tesi, forse in quel momento la più probabile – il fidanzato era correttissimo che venisse sospettato – ma di essersi fermati lì. Su Stasi sono stati fatti tutti gli approfondimenti possibili, non approfondendo in maniera corretta l’alibi che era il punto chiave. E se fosse stato fatto in tempo Stasi non sarebbe stato rinviato a giudizioâ€.
L'articolo “Alberto Stasi parla ancora oggi di Chiara Poggi, ma nella sua posizione è pericoloso. Gli inquirenti hanno commesso un errore macroscopico nelle indagini: ecco qualeâ€. Così l’avvocato Bocellari a “Ore 14 sera†proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Ad Acciaroli tutti conoscono la verità (sull’omicidio Vassallo, ndr), nessuno si fa avanti. Molti, lì, hanno le coscienze compromesse. Allontanare i sospetti da un ambiente in cui tutti sono amici o parenti, indirizzandoli verso di me, è stato sempliceâ€. E’ questo il passaggio clou dell’intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno dal colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo. Ed è un peccato che non abbia chiarito quali siano i suoi sospetti sulla verità a tutti nota in paese, e rimasta ignota in quindici anni di indagini.
L’ufficiale è il principale imputato del processo per la morte di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica ammazzato con nove colpi di pistola la sera del 5 settembre 2010 mentre rincasava dalla frazione marina di Acciaroli. “Sono innocente e lo dimostrerò, ma vorrei ricordare a tutti, anche ai familiari di Angelo Vassallo, che in Italia esiste ancora la presunzione di innocenza e vorrei che questo principio venisse rispettato anche per meâ€. “Ad oggi non sono stato neanche rinviato a giudizio – aggiunge Cagnazzo – ma sembra di ascoltare e leggere sentenze definitive sul mio conto“.
Cagnazzo auspica che sia fatta giustizia “per me e per lui”. Il militare ha parlato dopo che ieri, giorno di svolgimento della terza udienza preliminare, tantissime persone – tra cui diversi colleghi dell’Arma, venuti da ogni parte d’Italia – si sono ritrovate dinanzi al tribunale di Salerno per esprimergli vicinanza, srotolando uno striscione con la scritta “Giustizia per Fabio Cagnazzoâ€.
Il colonnello non nasconde di essere ‘arrabbiato’ per questa vicenda dolorosa, per aver subito perquisizioni in casa ed in ufficio, per aver trascorso sette mesi nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere “ottenendo poi la scarcerazione – dice – grazie ad una sentenza della Corte di Cassazione“. “Sembra di vivere in una fiction all’ombra del Vesuvio”, prosegue augurandosi “di essere rinviato a giudizio affinché nella sede opportuna, il Tribunale, si ponga fine a questa vicenda”.
Il figlio del sindaco ucciso, Antonio Vassallo, ha commentato duramente la solidarietà dei colleghi di Cagnazzo: “Significa che qualcuno, pur appartenendo a un’istituzione che dovrebbe difendere la legalità , sceglie di esporsi pubblicamente a favore di un imputato su cui, in aula, si è parlato di condotte gravissime, anomalie e comportamenti tutt’altro che trasparenti. Se io indossassi una divisa e credessi davvero nei valori che rappresenta, proverei imbarazzo nel vedere certe scene. Quello che ho provato non è stata rabbia, ma disgustoâ€.
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Lotta per la vita dopo avere ingoiato “per scherzo” un hamburger intero. Siamo a Koropi, in Grecia, e i fatti risalgono al 13 novembre, quando il 22enne si trovava in un ristorante con gli amici e ha voluto provare una specie di “gioco”. La notizia la dà il Daily Mail e sul giornale britannico si legge che il ragazzo è in condizioni critiche e si trova nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale locale, attaccato a un respiratore.
Un amico, presente al momento dell’incidente, ha raccontato che il ragazzo ha iniziato a farsi prendere dal panico dopo aver inghiottito l’hamburger, prima di accasciarsi a terra: “Ha avuto una sorta di attacco di panico. L’abbiamo visto alzarsi e muoversi in avanti, pensavamo volesse sputarlo ma non lo ha fatto, poi è tornato verso di noi. Il momento in cui abbiamo capito che qualcosa non andava è stato appena ha iniziato a sbattere la schiena contro una colonna, probabilmente per fare uscire l’hamburger. Non si trattava di una challenge, semmai di uno scherzo”.
Michalis Giannakos, presidente della Federazione Panellenica dei Lavoratori degli Ospedali Pubblici (POEDHN), ha dichiarato: “Può salvarsi solo per miracolo, è in condizioni molto critiche. Anche se avesse ricevuto il primo soccorso, sarebbe servito comunque subito l’intervento di un medico perché, quando il cervello resta senza ossigeno, si causano danni irreparabili”. Secondo le testimonianze, il ragazzo sarebbe rimasto senza respirare per oltre due minuti.
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Tre vittorie su tre, zero set persi: Jannik Sinner arriva in semifinale alle Atp Finals 2025 come meglio non poteva. L’azzurro affronterà Alex De Minaur, che invece si è classificato secondo nel gruppo “Jimmy Connors”, davanti a Taylor Fritz e Lorenzo Musetti, ma dietro a Carlos Alcaraz. Le due semifinali si giocheranno entrambe sabato 15 novembre, una nella sessione pomeridiana e una nella sessione serale, entrambe dopo le semifinali di doppio. Doppio in cui è presente anche l’Italia con Simone Bolelli e Andrea Vavassori, che sfideranno Harri Heliovaara ed Henry Patten. Le finali invece si giocheranno domenica.
Atp Finals, la situazione dei gironi: classifica e risultati
Il montepremi da record del torneo
Le schede degli 8 tennisti presenti a Torino
Dodici partite, Dodici vittorie. I precedenti tra Jannik Sinner e Alex De Minaur non lasciano alcun dubbio. L’italiano ha vinto sempre contro il collega australiano nei dodici incontri tra il 2019 e il 2025. Il primo risale alla finale alle Next Gen Atp Finals nel 2019, quando Sinner s’impose in tre mini-set. Nel 2025 i due si sono sfidati tre volte: la prima ai quarti di finale degli Australian Open, con Sinner che vinse in tre set (6-3, 6-2, 6-1). La seconda in semifinale a Pechino, dove Sinner vinse 2-1 con i parziali di 6-3, 4-6, 6-2. L”ultima – la più recente – il 25 ottobre a Vienna, nel torneo che Jannik Sinner ha vinto prima delle Atp Finals. Nell’ultimo precedente fu un 6-3, 6-4 netto.
Sessione Pomeridiana – Inizio alle 12:00
H. Heliovaara (FIN) / H. Patten (GBR) vs S. Bolelli (ITA) / A. Vavassori (ITA) – Diretta Sky e Now
Non prima delle 14:30
Jannik Sinner (ITA) [2] vs Alex De Minaur (AUS) [7] – Diretta Sky, Now e Rai
Sessione Serale – Non prima delle 18:00
J. Salisbury (GBR) / N. Skupski (GBR) vs J. Cash (GBR) / L. Glasspool (GBR) – Diretta Sky e Now
Non prima delle 20:30
Carlos Alcaraz (ESP) [8] vs Felix Auger-Aliassime (CAN) [8] – Diretta Sky e Now
Le ATP Finals si disputano a Torino fino a domenica 16 novembre 2025. Tutti i match vengono trasmessi in diretta tv sui canali Sky. I due principali canali di riferimento sono Sky Sport Uno e Sky Sport Tennis, ma sugli altri canali è possibile vedere anche tutti gli altri match. Il tutto è visibile anche in mobilità su SkyGo. Stesso servizio anche per gli abbonati alla piattaforma streaming NowTV. Inoltre, una partita al giorno è visibile in chiaro in diretta tv sui canali Rai e in streaming sulla piattaforma RaiPlay. Nella giornata di oggi, sabato 15 novembre, su Rai2 viene trasmesso in diretta il match tra Jannik Sinner e Alex De Minaur.
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Sul “no” più doloroso che ha ricevuto in vita sua non ha dubbi: “Quando stavo per realizzare il sogno di mio padre: diventare un calciatore professionista. Ero a un passo… e mi hanno fatto fuori. Non per un infortunio: mi hanno fatto fuori. Piansi l’ultima volta lì… e poi piansi quando nacque mio figlio”.
Così Pino Insegno ospite di Ciao Maschio si racconta a Nunzia De Girolamo nella puntata in onda sabato 15 novembre alle 17.05 su Rai 1. Un’intervista nella quale c’è un momento di commozione (quindi il terzo della sua vita, proprio lì), quando il conduttore parla della mamma: “Mamma mi manca ogni giorno. Quando è morta, io debuttavo a teatro la sera stessa. Il giorno dopo nasce mio figlio. Tre, quattro giorni che non mi hanno fatto respirare. Ma mamma… mamma manca sempre. Veniva al mercato sottobraccio con me, orgogliosa del figlio conosciuto. Sognava per me una famiglia, dei nipoti… Scusa, non ce la faccio”, chiude Insegno che non riesce a parlare per via delle lacrime.
E alla domanda di De Girolamo su un errore imperdonabile risponde: “No. Rifarei tutto. Nel bene e nel male. E nel male… non ho fatto molto. Altrimenti, soprattutto in questo periodo, sarebbe uscito sui giornali. Per tanti motivi…”.
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