Oggi è Mercoledi' 10/12/2025 e sono le ore 00:05:05
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Oggi è Mercoledi' 10/12/2025 e sono le ore 00:05:05
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Nostra publicità
Compra su Vinted
Compra su Vinted
#news #ilfattoquotiano.it
“Io non tolgo soldi alla sanità italiana per fare andare avanti una guerra che è persa“. Mentre Giorgia Meloni incontra a Palazzo Chigi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e gli assicura che “l’Italia continuerà a fare la sua parte” per Kiev, il vicepremier Matteo Salvini va in tv e insiste sulla contrarietà della Lega ad altri aiuti militari per l’Ucraina. Tutto questo nonostante Meloni e l’altro vicepremier Tajani hanno assicurato nei scorsi giorni che entro la fine del mese arriverà in Consiglio dei ministri il decreto per la proroga per tutto il 2026 dell’autorizzazione all’invio di armi a Kiev.
“Al di là delle centinaia di migliaia di morti che sono il dramma numero uno, questa guerra è già costata 300 miliardi di euro e l’anno prossimo Trump ha già detto: ‘Io non ci metto più una lira, se volete andare avanti la pagate voi’ e solo all’Europa costerebbe 140 miliardi di euro. Ora chi li mette quei soldi? Io non tolgo soldi alla sanità italiana per fare andare avanti una guerra che è persa. Questa è la realtà ”, ha detto Salvini intervenendo in collegamento con 4 di sera in onda su Rete4. Il segretario del Carroccio ricorda che “c’è un piano proposto dal presidente Trump, lasciamo che si confrontino loro”. Poi attacca: “L’impressione è che qualcuno in Europa, per salvare il suo posto e la sua poltrona, non abbia interesse a fare una pace concreta. Qualcuno continua a dire dalle parti di Bruxelles ‘Vinceremo, vinceremo’. Ma non ci sono riusciti Napoleone e Hitler a mettere in ginocchio la Russia. Quindi io ritengo – continua – che prima ci si siede al tavolo e si trova un accordo meglio è per tutti”.
In merito a quanto dichiarato da Trump nella sua intervista a Politico, Matteo Salvini condivide la posizione del presidente Usa: “La critica di Trump immagino non sia ai cittadini, cioè agli italiani, ai tedeschi, agli spagnoli, ma ai vertici, alla burocrazia europea, che è quella che contesto anch’io da anni, senza aspettare Trump”. “Sono quelli che ci impongono regole folli sulle caldaie, sui caminetti, sui motorini, sui furgoni”, conclude il segretario della Lega.
L'articolo Salvini contro l’invio di armi a Kiev: “Non tolgo soldi alla sanità italiana per fare andare avanti una guerra che è persa” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Una sanzione 4,2 milioni di euro per tre pratiche commerciali scorrette. È quella inflitta dall’Antitrust a Sky Italia. Lo si legge nel bollettino settimanale dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato. Nel dettaglio, l’Antitrust ha deliberato una sanzione da due milioni di euro per “ingannevolezza delle comunicazioni di aumento dei costi degli abbonamenti ai servizi Tv”; un’ulteriore sanzione di 800.000 euro per “l’applicazione di tali aumenti a offerte Tv di Now il cui claim (“finché non disdici”) induceva a pensare che ne fossero esclusi”; infine 1,4 milioni di euro per “la prospettazione alla clientela di offerte vantaggiose, con finalità di customer retention, confezionate in particolare mediante l’attivazione di pacchetti Tv aggiuntivi o servizi accessori (Sky Wi-Fi), le cui condizioni promesse vengono sistematicamente disattese in fattura”.
Sky Italia ha commentato la sanzione con una nota: “Siamo stupiti dalla sanzione comunicata oggi dall’Autorità , perché arriva nonostante le azioni messe in campo da Sky con l’obiettivo condiviso di rafforzare ulteriormente la trasparenza dei processi aziendali e di porre sempre il cliente al centro. Restiamo convinti della correttezza del nostro operato e ci riserviamo di valutare tutte le azioni necessarie nelle sedi più opportune”, si legge nella replica dell’azienda.
L'articolo Dall’Antitrust multa da 4,2 milioni di euro a Sky Italia per “pratiche commerciali scorrette” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo l’annullamento dell’evento “Democrazia in tempo di guerra” che si sarebbe dovuto tenere al Teatro Grande Valdocco, a Torino trecento persone sono scese in piazza davanti al Comune per dire no alla censura. “Ci hanno chiamato traditori” ha denunciato lo storico Angelo D’Orsi che avrebbe dovuto dialogare con Alessandro Barbero sul palco del teatro. Ma così non è stato a causa del diniego dei vertici della struttura. E così lo storico ha raccolto i messaggi di solidarietà da tutta Italia. Da Enzo Iacchetti a Piergiorgio Odifreddi. Da Marco Travaglio ad Alessandro Barbero. “Ma faremo l’evento a gennaio al palasport con 5mila posti a sedere – annuncia D’Orsi – e sarà la prima tappa di un giro d’Italia per affrontare il tema democrazia in tempo di guerra”.
L'articolo Sit-in contro la censura a Torino. Il professor D’Orsi: “Ci hanno chiamati traditori”. E lancia un tour per l’Italia proviene da Il Fatto Quotidiano.
La pista nera che ipotizza un ruolo di Stefano Delle Chiaie nelle stragi del 1992? “Giudiziariamente vale zero tagliato“. Salvatore De Luca fa una pausa, poi lo ripete ancora: “Zero tagliato“. È in quel preciso momento che a Chiara Colosimo sembra scappare un sorriso. Insieme alla presidente della commissione Antimafia, esultano anche vari esponenti di destra, come Maurizio Gasparri che definisce l’audizione del procuratore di Caltanissetta come uno “scrigno di verità ” E pazienza se De Luca abbia anche puntualizzato come “siano ancora aperti filoni di indagine su tutte le principali ipotesi riguardanti le cause o i concorrenti esterni delle stragi del 1992”, compreso “un’ulteriore pista nera, chiamiamola così, che potrebbe dare dei risultati, ma la stiamo ancora approfondendo”. Va comunque detto che l’audizione del capo della procura nissena, competente per le indagini sulle stragi di Capaci e di via d’Amelio, rappresenta un punto a favore della maggioranza. De Luca, infatti, ha detto più volte di ritenere “la gestione del filone Mafia e appalti presso la procura di Palermo retta da Pietro Giammanco” come “una delle concause della strage di via D’Amelio”. E ancora: “Allo stato noi non siamo in grado di escludere alcuna concausa. Quella sulla quale abbiamo trovato maggiori elementi e maggiori riscontri è Mafia e appalti”. Dichiarazioni che fanno esultare la destra, ma provocano anche polemica nei ranghi dell’opposizione. Ma andiamo con ordine.
Il capo dell’ufficio inquirente nisseno è comparso a Palazzo San Macuto insieme a due sostituti Davide Spina e Claudia Pasciuti. Alle spalle degli auditi, custodita in una teca, c’è la valigetta di Paolo Borsellino, ancora bruciacchiata dall’esplosione del 19 luglio 1992. “È un onore per noi, riferire qui”, ha detto De Luca, alla fine di un intervento lungo quasi tre ore. Un’audizione cominciata con una premessa: tutte le indagini di Caltanissetta sono state portate avanti in “piena sintonia con la Procura nazionale antimafia“. Che tipo di sintonia? “Prima di iniziare le indagini sul cosiddetto filone di Mafia e appalti, ho ritenuto d’informare il procuratore nazionale dottor Melillo, che è stato perfettamente d’accordo con noi”. Secondo la destra, l’interesse di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per il dossier investigativo del Ros dei carabinieri è il movente segreto delle stragi. Una ricostruzione che sembra essere condivisa da De Luca. “Noi abbiamo in corso filoni di indagine aperti su tutte le principali ipotesi riguardanti le cause o i concorrenti esterni delle stragi del 1992 – ha premesso – Oggi parlerò principalmente del cosiddetto filone Mafia e appalti, perché abbiamo ottenuto i migliori risultati proprio in questo filone di indagine. Gli altri filoni sono ancora in corso in una fase in cui è necessario attendere l’esito di ulteriori accertamenti prima di potere delineare una ipotesi sufficientemente suffragata della pubblica accusa”, ha detto, puntualizzando che “l’arco cronologico di rilievo secondo l’ipotesi accusatoria che abbiamo formulato è quello in cui è stato procuratore Pietro Giammanco“.
Secondo l’ipotesi accusatoria, la procura di Palermo insabbiò l’indagine su Cosa Nostra, l’imprenditoria e la politica. Una tesi che recentemente è stata smentita dall’ex procuratore Gian Carlo Caselli, proprio in commissione Antimafia. “Relativamente alle concause delle stragi del 1992, a parer nostro le precondizioni sono l’isolamento prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino nell’ambito della Procura di Palermo; la sovraesposizione prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino, presso la Procura di Palermo e non solo. Poi riteniamo che vi siano molteplici e concreti indizi per affermare che la gestione del filone Mafia e appalti presso la procura retta da Giammanco sia una delle concause della strage di via D’Amelio, e vi sono elementi per ritenere che sia anche una delle concause della strage di Capaci”, ha detto De Luca. Aggiungendo: “Credo che alcuni manifestino scetticismo riguardo Mafia e appalti come concausa. Sinceramente non capisco perché”. Chiaro riferimento a Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore dei 5 stelle, seduto tra i commissari presenti all’audizione. De Luca ha spiegato che le indagini su Mafia e appalti partono solo dopo le stragi. “Nel 1992 non si fatto quello che si doveva fare. Dopo la strage di Borsellino cambia l’Italia, perché ci sono state due stragi e perché c’è la forza propulsiva di Mani pulite che scompaginerà un intero sistema politico, cambia lo stesso gruppo imprenditoriale Ferruzzi, cambia il procuratore. Ciò che era fattibile o, secondo la nostra ipotesi, voleva la dirigenza della Procura fino al luglio 1992 cambia decisamente già quando è stato sfiduciato Pietro Giammanco e a ancora di più quando è arrivato il procuratore Caselli, che dà un nuovo impulso a certe indagini, non ha alcun interesse politico personale a bloccare le indagini o a rallentare o insabbiare le indagini su Mafia e appalti”. Poi, però, De Luca critica la difesa operata da Caselli sull’intera gestione del dossier. “La relazione della Procura di Palermo depositata nel 1999 è estremamente lacunosa e manca di tutti quegli elementi che rendono problematica l’indagine da parte della procura di Palermo. Il fatto che le cose si siano fatte dopo è un indice del fatto che prima non si erano fatte”. Il riferimento è per il dossier preparato proprio dalla procura di Caselli per spiegare come le indagini su Mafia e appalti fossero sempre state regolari.
A proposito delle indagini sull’eversione di destra, De Luca ha detto di considerare “singolare che si insista su un certo filone legato alla pista nera. Mi riferisco alla pista di Stefano Delle Chiaie a seguito delle dichiarazioni rese da Maria Romeo e anche dal luogotenente Walter Giustini. Se qualcuno vuole approfondire, approfondiremo ma sinceramente mi sembra un’autentica perdita di tempo e già ne abbiamo perso abbastanza su questa pista. Dalle dichiarazioni di Romeo e Giustini e dalle presunte dichiarazioni del collaboratore Alberto Cicero, che non ci sono mai state, viene fuori una pista che giudiziariamente vale zero tagliato. Ripeto: zero tagliato. Non mi dilungo perché mi sembra di farvi perdere tempo. C’è un’archiviazione tranciante del gip – ha aggiunto De Luca – Un gip che fra parentesi non è certamente appiattito sulle nostre posizioni”. Romeo e Giustini sono sotto processo con l’accusa di aver depistato le indagini su via d’Amelio. “Questo filone – ha detto De Luca – ci era stato prospettato dall’attuale senatore Scarpinato, proprio gli ultimi giorni prima di andare in pensione. Appena abbiamo ricevuto gli atti, è successo tutto l’inverso di Mafia e appalti. Siamo partiti con l’idea: qua c’è una pista eccezionale. Ma guardando le carte ci siamo resi conto che si trattava di zero tagliato”.
Gran parte dell’audizione è stata dedicata al ruolo di Giammanco (deceduto nel 2018), di Giuseppe Pignatone e di Gioacchino Natoli. I due ex magistrati (il primo è deceduto nel 2018) sono ancora sotto indagine da parte della procura di Caltanissetta per favoreggiamento. La questione riguarda l’archiviazione di un’indagine parallela a Mafia e appalti, nata su input della procura di Massa Carrara nel 1991 e archiviata a Palermo l’anno dopo: riguardava il ruolo dei fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina, divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini. Secondo i pm guidati da De Luca, Pignatone e Natoli archiviarono con l’unico obiettivo di coprire i Buscemi. “Non abbiamo prova che ci furono elementi corruttivi sul conto di Pignatone e Giammanco. Ma alcuni collaboratori li hanno chiamati in causa. Pignatone lo ha definito chiacchiericcio. E’ possibile che abbia ragione, ma bisogna verificare se i dottori Pignatone e Giammanco, all’epoca sostituto e procuratore capo, abbiano avuto comportamenti inopportuni. Ovvero comportamenti che possano avere indotto i mafiosi a pensare che la procura di Palermo avesse un vertice malleabile”, ha detto il capo dell’ufficio inquirente siciliano. Da una parte, ha ricordato De Luca, “Giammanco ostentava l’amicizia con Mario D’Acquisto (ex presidente della Regione ndr). E quando l’europarlamentare della Dc Salvo Lima fu ucciso, nel marzo del ’92, Giammanco sarebbe voluto andare al funerale e fu bloccato dai sostituti”. Il procuratore ha riferito che l’ex procuratore “aveva un nipote a Bagheria, un imprenditore che è stato poi condannato perché vicino a Bernardo Provenzano e già nel 1985 era indicato dai carabinieri come un rampante collettore dei rapporti tra imprenditoria, politica e mafia”. Riguardo Pignatone, invece, il procuratore nisseno ha detto che “negli anni Ottanta la sua famiglia fa un grossissimo acquisto in un immobile in via Turr venduto dalla Immobiliare Raffaello, cioè i Bonura, Francesco Buscemi e Vincenzo Piazza. Si tratta di circa 26 immobili che comprendono non solo appartamenti, ma anche garage a altro. Vi sono concreti indizi che Salvatore Buscemi, Vincenzo Piazza, Francesco Bonura siano anche iscritti alla massoneria. Sono tutti e tre saldamente intrecciati nel mondo imprenditoriale, tutti e tre condannati per mafia e legati da legami di parentela. Bonura abita anche vicino ai Piazza. Sono tutti e tre soci della Immobiliare Raffaello. Si tratta di una immobiliare in cui se si riuniscono i soci diventa una riunione di Cosa nostra. Ha un capomandamento, un capofamiglia e un associato. Una riunione di questa società può comportare l’arresto in flagranza. Non è facile da trovare una società del genere”. De Luca ha anche ricordato l’esistenza di una intercettazione ambientale in cui “Bonura parlando con un’altra persona afferma che la signora Pignatone (madre dell’ex procuratore di Roma) lo prendeva sottobraccio, notando una certa confidenza. Che può derivare da una frequentazione che non sia occasionale”. De Luca ha anche aggiunto che “nella sua memoria difensiva Natoli afferma di aver pagato 20 milioni in nero per l’acquisto della casa. Qui non si deve fare del mero moralismo, dobbiamo vedere in che situazione di inopportunità si va ficcare una persona. Il dottore Pignatone afferma, ed è l’ipotesi a lui più favorevole, di avere pagato 20 milioni o qualcosa di più in nero, al capo mandamento Salvatore Buscemi del mandamento Uditore, Boccadifalco, Passo di Rigano. Non è reato, perché siamo sotto soglia. Però è un illecito amministrativo”.
Natoli, invece, secondo il procuratore di Caltanissetta “ha mentito davanti al Csm” a proposito dei rapporti tra Falcone e Giammanco. Il riferimento è alle audizioni dei magistrati della procura di Palermo nei giorni immediatamente successivi alla strage di via d’Amelio. “In particolare – ha ripercorso De Luca – il dottor Natoli dinanzi al Csm, a domanda del Presidente ha dichiarato: ‘Sui rapporti Giammanco-Falcone non posso dire nulla perché io arrivo alla procura di Palermo quattro mesi dopo che Falcone è andato via, quindi non ho alcuna conoscenza diretta del problema’. ‘E indiretta?’, gli chiede il presidente. ‘Indiretta neppure perché, ripeto Falcone si era trasferito a Roma, ci si sentiva telefonicamente e ci si vedeva di tanto in tanto a Palermo, ma ovviamente l’intensità del rapporto è più tale quando ci vedevamo tutti i giorni. E dice: ‘non posso dare nessun contributo né diretto né indiretto‘. Bene nel corso dell’audizione giovani colleghi – segnatamente Antonella Consiglio, de relato Domenico Gozzo, marito della Consiglio che ha avuto raccontato da lei quanto ora riferirò e il collega Antonino Napoli – hanno dichiarato che nel corso di una riunione del Movimento per la giustizia – di cui il dottor Natoli era uno dei leader indiscussi – il dottor Giovanni Falcone, a richiesta dei colleghi preoccupati dal fatto che stesse lasciando Palermo per andare al ministero, ha dichiarato con molta chiarezza: non ci sono più le condizioni per lavorare a Palermo, non posso più lavorare a Palermo’. Antonino Napoli ha avuto anche con lui una conversazione privata sul punto in cui Falcone ha confermato questa sua linea che se ne andava perché non riusciva più a lavorare”. De Luca ha detto anche che “nel corso del suo interrogatorio il dottor Natoli ha confermato di essere presente a tale riunione. Quindi, vi sono degli indizi ben concreti per ritenere che il dottor Natoli dinanzi al Csm abbia mentito”.
A proposito dell’indagine sul dossier del Ros dei carabinieri, De Luca ha definito come “sopravvalutata” la rilevanza della riunione del 14 luglio 1992 alla procura di Palermo. Il riferimento è al vertice dei magistrati, convocato il giorno successivo la richiesta di archiviazione di alcuni indagati di Mafia e appalti. Secondo il procuratore di Caltanissetta, “sembra corroborato da numerosi indizi che in quella sede non si parlò di richiesta di archiviazione del dossier su mafia e appalti”. Eppure il procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio , tra i presenti a quel vertice, ha raccontato proprio alla commissione Antimafia di aver saputo della richiesta di archiviazione di Mafia e appalti proprio durante la riunione del 14 luglio. Secondo De Luca “nella riunione del 14 luglio non ci fu uno scontro tra Paolo Borsellino e la dirigenza. La strategia e la personalità di Borsellino escludevano che si arrivasse a uno scontro in quella sede. Borsellino aveva una mentalità di rispetto e delle gerarchie negli ambiti ufficiali: per cui in sede privata, nella riservatezza di una stanza poteva anche scontrarsi con il procuratore Giammanco, ma davanti ai sostituti non lo avrebbe mai fatto. E questo ce lo dice Antonio Ingroia. Attenzione, Borsellino non aveva paura di Giammanco, Borsellino era un leoneâ€. Per De Luca, “Paolo Borsellino nutriva una estrema diffidenza nei confronti Di Giammanco, Natoli e Lo Forte”. Il fatto che il magistrato non si fidasse dei suoi colleghi e del suo capo, secondo il procuratore di Caltanissetta è confermato anche da un altro passaggio: “Dopo aver ascoltato il pentito Gaspare Mutolo, che gli rivelò le collusioni con la mafia di Bruno Contrada e del pm Domenico Signorino, Paolo Borsellino non ne parla con Lo Forte e Natoli e neanche a Giammanco, ma riferisce quanto aveva appreso dal collaboratore di giustizia a due colleghi non titolari dell’inchiesta, cioè Vittorio Teresi e Ignazio De Francisci“.
L’audizione del procuratore di Caltanissetta ha ovviamente provocato reazioni politiche. I parlamentari di Fdi sottolineano come De Luca abbia “affermato in maniera chiara e inequivocabile che la cosiddetta pista nera, ovvero l’ipotesi giudiziaria di un coinvolgimento di Delle Chiaie nella strage di via d’Amelio, vale zero tagliato. È un’affermazione che merita rispetto e attenzione, perché proviene dall’autorità giudiziaria titolare delle indagini. Continuare a insistere su un filone che, secondo la Procura, non presenta concreti elementi probatori rischia di alimentare confusione e di allontanare la ricerca della verità ”. Al partito di Giorgia Meloni, replicano i parlamentari del Pd, che ricordano come il procuratore abbia “affermato di non sentirsi di escluderè altre piste, sulle quali sono ancora in corso indagini. Tra queste, ha espressamente citato anche una pista nera. Alla luce di questo, appare inquietante il comunicato del gruppo di Fratelli d’Italia, che esprime una sorta di soddisfazione per una – arbitraria – interpretazione del ruolo delle piste nere anche nelle stragi del 92-93, quasi con – inspiegabile – senso di sollievo”. I 5 stelle, invece, definiscono quella di De Luca come “una requisitoria senza contraddittorio con gli indagati e i loro avvocati, svolta in una sede politico-parlamentare anziché nella fisiologica sede giudiziaria. De Luca, a lungo invocato dalla maggioranza, non si è limitato a una sommaria esposizione degli elementi su cui sta portando avanti la sua indagine seguendo la pista mafia-appalti, ma ha esposto a lungo e senza secretazione dell’audizione una analisi di svariati elementi processuali di dettaglio, alcuni dei quali non sono nemmeno a conoscenza degli avvocati degli indagati, come le dichiarazioni testimoniali del dottore Lo Forte”. Il riferimento è alle indagini su Natoli e Pignatone. “Nella lunga audizione – continuano ancora i 5 stelle – sono state implicitamente mosse anche accuse di aver detto il falso a magistrati come Patronaggio, attuale procuratore generale di Cagliari, e Lo Forte. Il primo, in commissione Antimafia, dove è stato chiamato dalla maggioranza, ha detto che nella famosa riunione del 14 luglio 1992 si parlò della temporanea archiviazione di un filone di mafia-appalti, quello che tra gli altri riguardava Antonino Buscemi. Il secondo lo ha affermato sotto giuramento in pubblico dibattimento. Oggi si è anche detto che quella archiviazione parziale di mafia-appalti fu frutto di un mancato approfondimento della procura di Palermo che avrebbe dovuto e potuto sollecitare il Ros affinché integrasse il suo primo dossier che ometteva elementi importanti. Peccato che la richiesta di approfondimento sia stata avanzata dalla Procura di Palermo con un’ampia delega di indagine del 18 luglio 1991 e che la risposta del Ros sia arrivata solo il 5 settembre 1992, cioè dopo la Strage di via D’Amelio e dopo l’inevitabile parziale richiesta di archiviazione formulata il 13 luglio ’92”.
L'articolo Il procuratore di Caltanissetta in Antimafia: “Inchiesta su Delle Chiaie e le stragi? Vale zero. Indaghiamo su un’altra pista nera” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Se mi riconosco nell’attuale centrosinistra? Mi faccia la domanda successiva…“. Così ha risposto Francesco Rutelli, ospite ad Atreju, a Hoara Borselli nel corso del dibattito con Gianfranco Fini. “Hai fatto la felicità dei colleghi giornalisti” ha commentato sorridendo Fini. Rutelli, dopo la battuta, ha raccontato al pubblico la simbologia dell’arcangelo che non sguaina la spada, come si è portati a credere, ma la rinfodera dopo la fine della peste: “E così si può tornare a un periodo di pace”.
L'articolo Rutelli ad Atreju: “Se mi riconosco nell’attuale centrosinistra? Mi faccia la domanda successiva…” – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il disegno di legge che introduce il concetto di “consenso libero e attuale” nel reato di violenza sessuale “è un atto di civiltà giuridica“. Il magistrato Fabio Roia, sentito in commissione Giustizia del Senato, ha ribadito la sua posizione a difesa del disegno di legge che la Lega ha bloccato il 25 novembre scorso, in occasione proprio della giornata contro la violenza sulle donne. Il provvedimento, arrivato a un passo dal via libera definitivo grazie anche a un patto bipartisan tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein,è stato fermato dal Carroccio per “ulteriori approfondimenti” richiesti innanzitutto dalla presidente leghista della commissione Giulia Bongiorno. Dopo lo stop, i lavori a Palazzo Madama proseguono, dove sono stati convocati giuristi ed esperti per un massimo di due richieste per ogni gruppo parlamentare.
Oggi è stata la volta di Roia, presidente del tribunale di Milano e noto per la sua decennale esperienza in materia di violenza di genere. “Il concetto dell’introduzione del consenso risponde innanzitutto ad una legislazione europea”, ha esordito, “a cui noi siamo vincolati avendo per esempio nel caso della convenzione di Istanbul sottoscritto la fonte sovranazionale. È un principio che adegua la legislazione italiana a quelle più evolute come Francia, Spagna e Germania dove si parla di consenso ed altro ed amplia soltanto rispetto a situazioni che sono già codificate”. Nelle scorse settimane, la ministra per la Famiglia Eugenia Roccella aveva sostenuto che “il rischio sarebbe quello dell’inversione dell’onere della prova”. “Un falso giuridico”, come già detto da Roia. Che oggi ha ribadito: “Sull’inversione dell’onere della prova non cambia assolutamente nulla, perché la donna che lamenta di avere subito un atto di violenza sessuale in assenza di consenso si assume la responsabilità di quello che dice sul piano ovviamente della denuncia primaria che nel caso sia falsa apre al rischio di accusa di calunnia“.
Secondo Roia, “è giusto codificare il concetto di consenso dell’atto sessuale, anche se è già presente in giurisprudenza, perché talvolta i giudici di merito non lo tengono in considerazione. All’obiezione di chi afferma che il consenso è stato ampiamente introdotto dalla giurisprudenza, ed è quindi meglio non metter mano all’attuale norma, affidandosi alla giurisprudenza, Roia ha replicato: “Io la codificherei, molte volte i giudici di merito – e lo dico con autocritica – si discostano da questa giurisprudenza e si arriva a situazioni paradossali per le donne e talvolta non si arriva in Cassazione”, dove invece la giurisprudenza è consolidata.
Roia ha anche lanciato un appello: gli uomini, in caso di dubbio sul consenso della donna “si astengano”. “Da uomo”, ha detto, “ci vuole un minimo di self restraint; se un uomo ha un dubbio si deve astenere. Se una donna o una ragazza ha bevuto o per altri motivi non sta bene, un self restraint dovrebbe spingerci ad astenersi, nel dubbio. Lo dico non tanto dal punto di vista giuridico, lo dico sul piano della continenza e di rispetto che appartiene al nostro Paese avanzato in materia di diritti”. In tal senso Roia ha suggerito di non qualificare ulteriormente il consenso, perché la verifica è un problema che si pone più in sede probatoria, che non in quella di scrittura della norma.
Come ricostruito dall’agenzia Ansa, nelle due successive audizioni della professoressa Ilaria Merenda e dell’avvocato Bartolomeo Romano, è arrivata l’ipotesi di “spacchettare” l’articolo, prevedendo due fattispecie e due diverse sanzioni a seconda della gravità dell’atto. Su questo punto la presidente della commissione, nonché relatrice, Giulia Bongiorno ha replicato: “Come relatore ancora non ho preso decisioni; ascolto con attenzione, di certo lavorerò per un punto di equilibrio. Un punto di equilibrio che valorizzi il consenso cercando di ridurre i rischi di strumentalizzazioni”.
L'articolo Ddl stupro, Roia in audizione in Senato: “Giusto introdurre il consenso, ci adegua a legislazioni più evolute” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Non appare in pubblico da mesi e adesso anche la sua presenza a Oslo è avvolta nel mistero. Alla vigilia della cerimonia di consegna del premio Nobel per la Pace nella capitale norvegese, la conferenza stampa di Maria Corina Machado è stata annullata. La leader dell’opposizione venezuelana era attesa a Oslo per la tradizionale conferenza stampa prima della cerimonia di assegnazione. La conferenza era già stata rinviata in giornata. Ma Erik Aasheim, portavoce dell’Istituto Nobel, aveva rassicurato sul suo svolgimento.
Nel frattempo, però, si sono moltiplicate le voci secondo sui Maria Corina Machado potrebbe non riuscire a ritirare il premio di persona. La leader dell’opposizione venezuelana, infatti, vive in clandestinità : presentandosi alla cerimonia di premiazione, rischia di essere dichiarata “latitante” dalle autorità venezuelane. La sua ultima apparizione in pubblico risale al 9 gennaio, quando la politica 58enne ha partecipato a una manifestazione a Caracas contro il terzo mandato di Nicolas Maduro come presidente. Il premio Nobel per la Pace le è stato assegnato proprio per la sua “lotta per raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia” in Venezuela, sfidando il governo di Maduro, si leggeva nella motivazione.
Alcune oro dopo, è arrivata la notizia dell’annullamento della conferenza stampa. “La stessa Maria Corina Machado ha parlato di quanto sia difficile venire in Norvegia. Speriamo venga per la cerimonia”, ha fatto sapere il portavoce Erik Aasheim. L’Istituto Nobel ha poi dichiarato di non poter fornire ulteriori informazioni su quando e come Machado arriverà alla cerimonia di premiazione, e non è stato nemmeno chiarito se la conferenza stampa verrà recuperata in un secondo momento.
Intanto, mentre ancora non è chiaro se Machado sia riuscita a partire, arriva una dichiarazione da parte di Magalli Meda, la responsabile della sua ultima campagna elettorale: “Non esiste alcuna possibilità che Maria Corina resti in esilio” dopo la consegna del Premio Nobel: “È come dire a una madre che dovrà smettere di amare i propri figli”, ha dichiarato in un video diffuso su uno dei profili social dell’opposizione venezuelana.
Intanto, a Oslo sono arrivati diversi leader politici sudamericani. Il presidente dell’Argentina, Javier Milei, ha dichiarato che la sua presenza è a sostegno di Maria Corina Machado e dell’opposizione venezuelana. Saranno presenti anche i leader di Panama, Ecuador e Paraguay. Nella capitale norvegese è presente anche la famiglia di Machado.
L'articolo Giallo sulla presenza di Maria Corina Machado alla cerimonia del Nobel: annullata la conferenza stampa proviene da Il Fatto Quotidiano.
“La simpatia che ho per Meloni è nata anni fa, quando lei stava al 3%. Mi costò amici e artisti. Ma io sono libero di andare dove voglio”. Lo ha detto l’attore e regista Michele Placido, ospite ad Atreju, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia. “Qualche anno dopo era al 7-8%, a una cena pre-natalizia con alcuni artisti dissi ‘oh, ma avete visto ‘sta Meloni? Politici così in Italia non ci sono’. Una certa persona mi guarda e mi urla ‘fascista’ decine di volte”.
L'articolo Michele Placido ospite ad Atreju incensa Meloni: “Dissi che come lei non ce ne sono, mi diedero del fascista” – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
Le recenti dichiarazioni, sull’Unione europea, di Donald Trump e di Elon Musk – con quest’ultimo arrivato a sostenere apertamente che la Ue dovrebbe essere “abolita†– segnano un punto di discontinuità sconvolgente se confrontato con la storia dei tradizionali rapporti tra Stati Uniti ed Europa unita. In particolare, se consideriamo come e quanto gli Usa abbiano non solo ufficialmente e legittimamente “auspicato†e “assecondato†il processo di unificazione europeo, ma quanto lo abbiano deliberatamente, e astutamente, “influenzato†e “manipolato†fin dagli albori.
È noto, e ormai ampiamente documentato, che l’Europa occidentale del dopoguerra venne ricostruita dentro un perimetro rigidamente americano: dai fondi del Piano Marshall alla creazione di un mercato perfettamente complementare a quello statunitense fino al vincolo atlantico tramite la Nato, prerequisito obbligatorio per ogni Paese che volesse salire sul treno dell’integrazione.
In una intervista del 2015, Morris Mottale, professore di relazioni internazionali, politica comparata e studi strategici presso la facoltà di Scienze Politiche della Franklin University, università americana con sede a Sorengo, vicino a Lugano, ha avallato una tesi ben precisa. E cioè che l’Unione europea – lungi dall’essere un’idea frutto della spontanea aggregazione di un “comune sentire†dei popoli – sia una costruzione in vitro degli americani finalizzata a togliere le briglie alla circolazione dei capitali tra le due sponde dell’atlantico: “Gli Stati Uniti non hanno mai nascosto che la creazione di un’Europa unita e da loro controllata fosse la premessa della propria politica estera. Per costruirla hanno utilizzato e utilizzano la Nato”.
E gli Usa non si sono limitati a un lavoro di soft power, per così dire, ma hanno direttamente coinvolto il deep state per incanalare quello che è sempre stato descritto come uno “spontaneo afflato†dei popoli europei verso la “giusta†(cioè voluta dagli americani) direzione. A confermare questo quadro vi sono ricerche d’archivio condotte negli ultimi anni. Nel 2000, venne pubblicato su The Telegraph, dal giornalista Evans Pritchard, il risultato delle indagini svolte da Joshua Paul, studioso della Georgetown University. Lo scoop in questione portò alla luce documenti attestanti il fatto che organismi legati all’intelligence americana, inclusa la Cia, avevano finanziato e sostenuto per anni movimenti, think tank e personalità politiche favorevoli all’unificazione europea, considerando quest’ultima un tassello fondamentale della strategia occidentale nel pieno della Guerra fredda.
Secondo Joshua Paul, un memorandum del 1950, sottoscritto dal generale William Donovan, già direttore dell’Oss (antesignano della Cia) durante il secondo conflitto mondiale, indicava nell’American Committee for a United Europe (Acue) il “veicolo†per la realizzazione degli obiettivi statunitensi. Nella direzione dell’Acue troviamo proprio Donovan e alcuni altri ufficiali della Cia. L’Acue finanziò il “Movimento europeoâ€, l’organizzazione su cui confluirono nel 1948 numerosi movimenti unitari europei (di cui facevano parte Winston Churchill, Konrad Adenauer, Léon Blum e Alcide De Gasperi) che nel 1958 arrivò a incamerare il 53,5% dei propri fondi proprio dagli Usa. In uno di questi memorandum, la sezione “affari europei” del dipartimento di stato Usa “suggeriva” al vicepresidente della Comunità Economica Europea (Cee), Robert Marjolin, di “portare avanti in segreto†i progetti di Unione monetaria finché “l’adozione di tali proposte diventerà virtualmente inevitabile”.
Per tutte le suesposte ragioni, le parole di Trump e soprattutto quelle di Musk, appaiono oggi come una sorta di “oggetto verbale non identificato†nella storia delle relazioni transatlantiche, un elemento totalmente alieno rispetto all’approccio di tutte le amministrazioni Usa per quasi un secolo. E meritano una riflessione.
Forse, i cittadini europei – prima di cedere al sussulto “patriottico†ed euro-sovranista invocato dagli attuali vertici della Ue – dovrebbero chiedersi: 1) se sia mai esistito un desiderio autenticamente popolare di fusione dal basso delle singole sovranità nazionali del vecchio continente in quella entità cui diamo il nome di Unione; 2) se questa entità – alla luce delle vicende degli ultimi anni, della scarsa legittimazione dei suoi apici e dell’opaca e quasi “illeggibile†modalità di funzionamento della medesima – possa realmente definirsi “democratica; 3) se, e in che misura, lungo questo cammino, i popoli europei siano stati “usati†e manipolati (tramite una ben precisa operazione di intelligence) da certe realtà d’oltreoceano; 4) se quello evocato da Musk – al netto delle considerazioni, dei dubbi, delle riserve che il personaggio in questione solleva a ogni piè sospinto – non sia, dopotutto, uno scenario da prendere in seria considerazione.
www.francescocarraro.com
L'articolo Perché credo che le parole di Trump e Musk sull’abolizione dell’Ue meritino una riflessione proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Prima di tutto sono qua da uomo libero. Sui social mi hanno insultato, poi ho capito che era partita la comunicazione di questa ospitata. Purtroppo dall’altra parta sanno solo coltivare l’odio, l’invidia”. Lo ha detto Francesco Facchinetti dal palco di Atreju, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia, a Roma. “In 30 anni non hanno fatto nulla, Giorgia invece fortunatamente ha fatto politica. Lei sa farsi capire in inglese, sa quello che fa”. Poi ha aggiunto: “Non sono qui per endorsare nessuno, voglio solo dare il mio supporto a Giorgia” Meloni.
L'articolo Francesco Facchinetti ad Atreju: “Meloni sa fare politica, a sinistra invece coltivano odio. Sono qui per darle una mano” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Giovedì 11 dicembre debutta la nuova edizione di MasterChef Italia, che quest’anno vedrà la presenza di Lexus come auto ufficiale del programma. Il cooking show Sky Original prodotto da Endemol Shine Italy accompagnerà gli aspiranti chef non solo tra i fornelli, ma anche negli spostamenti necessari per le prove in esterna e per le attività del MasterChef Magazine.
La collaborazione, realizzata con Sky Brand Solutions (Sky Media) ed Endemol Shine Italy, metterà a disposizione dei concorrenti il Lexus NX, il SUV scelto per questa edizione. Il modello sarà presente in versione Full Hybrid e Plug-in Hybrid, a sottolineare il percorso del marchio giapponese verso soluzioni di mobilità a basse emissioni e una strategia basata su più livelli di elettrificazione.
MasterChef Italia torna dunque mantenendo la formula che unisce competizione culinaria, formazione e racconto dei percorsi personali dei partecipanti, guidati dai giudici attraverso prove che richiedono tecnica, concentrazione e capacità di gestione della pressione.
Parallelamente, Lexus utilizza la visibilità del programma per mostrare le tecnologie e le soluzioni adottate sul suo sport utility di punta, un’opportunità che si inserisce in un contesto di crescente attenzione del pubblico verso temi come l’innovazione e la sostenibilità nel settore automotive.
L’edizione 2024 di MasterChef Italia andrà in onda ogni giovedì in esclusiva su Sky e in streaming su NOW.
L'articolo MasterChef Italia riparte l’11 dicembre, i concorrenti salgono a bordo di Lexus NX proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un’opinione pubblica sensibilizzata e un Parlamento assente. Una ricerca accademica ha scattato una fotografia completa dell’Italia sul tema del suicidio assistito. Le richieste aumentano e il vuoto normativo si fa più pesante, lasciando sempre più cittadini e rappresentanti delle istituzioni privi di risposte su come procedere al suicidio assistito. Un vuoto che genera delle risposte frammentarie e talvolta contradditorie, come spesso capita con il Servizio sanitario nazionale.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychiatry ed è firmato da Emanuela Turillazzi e Naomi Iacoponi dell’Università di Pisa, insieme a Donato Morena e Vittorio Fineschi della Sapienza di Roma. Un punto fondamentale che emerge dalla ricerca è come l’opinione pubblica appaia molto più avanti della politica. Secondo i dati Censis, il 74% degli italiani si dichiara favorevole all’eutanasia o al suicidio assistito, con percentuali ancora più alte tra i giovani e tra i laureati.
Il lavoro di ricerca ripercorre anche la storia giuridica del suicidio assistito in Italia: nel 2019, ci fu la storica sentenza con cui la Corte costituzionale indicò le condizioni in cui l’aiuto al suicidio può essere considerato non punibile. Da allora, il percorso è stato tutt’altro che lineare: molte aziende sanitarie non hanno applicato le indicazioni della Consulta in modo uniforme, accumulando ritardi e rifiuti a procedere, costringendo i malati a fare ricorso. Un vuoto normativo che ha generato un conflitto istituzionale.
In questo quadro incerto, la Toscana è stata la prima regione ad aver approvato nel marzo 2025 una normativa organica che definisce tempi, procedure e responsabilità per la valutazione delle richieste. Una scelta subito contestata dal governo, che ha impugnato la legge. Il risultato è un conflitto istituzionale che aggiunge ulteriori incertezze a una questione già complessa. Lo studio ricostruisce anche i casi che hanno segnato la storia recente del fine vita in Italia. La vicenda di “Mario”, il primo paziente a ottenere il suicidio assistito nel nostro Paese, così come la storia di “Anna”, la prima persona a cui il trattamento è stato garantito con costi interamente coperti dal sistema pubblico. Altri casi, come quello di Davide Trentini, hanno esteso l’interpretazione dei criteri stabiliti dalla Consulta per i “trattamenti di sostegno vitale”. Tutto questo avviene mentre l’opinione pubblica appare molto più avanti della politica. Secondo i dati Censis citati nello studio, il 74% degli italiani si dichiara favorevole all’eutanasia o al suicidio assistito. A fronte di un consenso così ampio, il Paese continua però a non dotarsi di una legge nazionale.
I ricercatori hanno poi aperto una riflessione sui trattamenti di sostegno vitale, ovvero tutti quei macchinari e interventi farmacologici o assistenziali che sono indispensabili alla sopravvivenza della persona malata. Nel corso degli anni, questo concetto è stato alla base per giustificare il suicidio assistito a livello giuridico. Tuttavia, questa visione presenta dei limiti.
Come sottolinea infatti Emanuele Turillazzi: “La dipendenza dai trattamenti di sostegno vitale è un criterio troppo limitativo. La nostra idea è di superare questo vincolo e concentrarci su ciò che davvero conta: una patologia irreversibile, una sofferenza che il paziente ritiene intollerabile e una volontà libera, consapevole e direttamente espressa dalla persona. Sono questi, secondo noi, i requisiti fondamentali. Il resto – gli aspetti procedurali e le verifiche – spetta al sistema sanitario e ai comitati etici territoriali. Solo così è possibile ridurre le disuguaglianze territoriali e rimettere al centro diritti, autodeterminazione e dignità della persona“.
L'articolo Suicidio assistito, in Italia aumentano le richieste ma le norme sono ancora ferme: lo studio proviene da Il Fatto Quotidiano.
Anche Elly Schlein il 1º giugno 2017 votò sì quando il Parlamento Europeo approvò a larga maggioranza una risoluzione sulla “lotta contro l’antisemitismo” con la quale, al punto 2, si invitavano gli Stati membri ad adottare e ad applicare la definizione di antisemitismo proposta dall’Ihra (Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto). La delegazione dem votò a favore, con il gruppo S&D (contrari Cozzolino e Paolucci, astenuto Panzeri). Si tratta della stessa definizione che è alla base del ddl di Graziano Delrio, che la maggioranza del partito – ovvero la stessa segretaria e il capogruppo dem in Senato, Francesco Boccia – ha chiesto al senatore di ritirare. E a pubblicare le foto del verbale di quella seduta dell’Eurocamera è stato Stefano Ceccanti, costituzionalista, tra gli anti-Schlein più convinti. Tanto per chiarire quanto la questione stia diventando esplosiva nel partito. La definizione di Ihra parla di “una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette verso persone ebree o non ebree e/o alle loro proprietà , verso le istituzioni comunitarie ebraiche e i luoghi di cultoâ€. Estendendo il concetto, sono praticamente proibite tutte le critiche a Israele. La definizione è stata adottata anche dal governo Conte 2, ma non è mai diventata legge. Da notare, però, che né nel 2017, né nel 2020 era in corso il genocidio a Gaza per mano di Netanhyau.
Nel frattempo tocca al senatore Andrea Giorgis, torinese, già professore di diritto costituzionale all’università di Torino, essere il prossimo frontman della vicenda, anche se non è certo il tipo da battaglie politiche frontali. Ma adesso, si trova al centro – suo malgrado – dell’ultimo pastrocchio, in ordine di tempo, in casa Pd. Se riavvolgiamo il nastro, vengono alla luce le ambiguità – tutte politiche – di questa vicenda. A settembre, la Commissione Affari costituzionali del Senato esamina i disegni di legge di contrasto all’antisemitismo presentati dalla Lega e da Italia viva, con tanto di audizione di Simone Oggionni, membro del Laboratorio Yitzhak Rabin, di Emanuele Fiano, di Anna Foa. Poi è arrivato Delrio a chiedere le firme sul suo testo. In molti lo hanno sottoscritto, alcuni credendo che si trattasse di un’iniziativa del gruppo. E gli stessi poi hanno tolto la firma (Valeria Valente, Andrea Martella, persino Nicita che per Delrio aveva strutturato tutta la parte relativa alle questioni online). E allora lo stesso Boccia ha informato i parlamentari che ci sarebbe un ddl alternativo, a cui starebbe lavorando Giorgis. Un testo più ampio, sull’odio in generale. Contorni vaghissimi, come in realtà vaghissima è la situazione. Perché poi lo stesso Giorgis ha spiegato ai colleghi senatori che un testo ancora non c’è, che lui ci sta lavorando. E che alla fine lo presenterà , non prima di una riunione del gruppo dem a Palazzo Madama, in cui si condividano contenuti e perplessità . Senza fretta, però. Se ne parla dopo la Befana, perché prima non ci sono riunioni in Commissione Affari costituzionali sul tema. E poi, è meglio lasciar passare un po’ di tempo.
L'articolo Ddl antisemitismo, caos in casa Pd: la proposta fantasma del senatore Giorgis per far dimenticare il testo Delrio proviene da Il Fatto Quotidiano.
La nuova Mercedes GLB non stravolge, ma evolve. Non cerca l’effetto speciale a tutti i costi, piuttosto lavora per sottrazione e per coerenza, come fanno le auto nate per durare più di una stagione. Oggi però il passo in avanti è netto: la GLB entra nel mondo dell’elettrico puro e lo fa con due versioni ben distinte, 250+ EQ e 350 4MATIC EQ. La prima è capace di erogare 272 cavalli, la seconda, ne mette a disposizione 354 con la trazione integrale.
In entrambi i casi la batteria è da 85 kWh, con un’autonomia che nel ciclo WLTP spazia dai 521 a oltre 630 chilometri. La ricarica in corrente continua può assorbire fino a 320 kW, con un il passaggio dal 10 all’80% in circa 22 minuti. Numeri che spostano la GLB dal ruolo di semplice SUV urbano a quello di vera “macinachilometri” elettrica.
Le prestazioni non sono più un tabù, neanche per un’auto con ambizioni familiari. La 350 4MATIC spinge forte, con quella risposta piena e immediata tipica dell’elettrico, mentre la 250+ gioca la sua partita sull’efficienza e sulla fruibilità quotidiana. In entrambi i casi la sensazione è quella di un progetto pensato per semplificare la vita, non per complicarla: zero ansia da autonomia, tanta facilità d’uso e una naturale predisposizione ai viaggi veri, quelli lunghi, senza troppe soste rituali.
Dentro cambia tutto, o quasi: la plancia è dominata dal doppio display completamente digitale, con un MBUX evoluto, navigazione con realtà aumentata e servizi online connessi in 5G. Spuntano soluzioni finora inedite per il segmento: riconoscimento del volto, telecamera per selfie, illuminazione ambientale avanzata, display dedicato al passeggero e, sugli allestimenti superiori, head-up display e impianto audio Burmester 3D. L’abitacolo diventa così più un ambiente digitale che un semplice posto guida, ma senza quell’effetto astronave forzato che spesso accompagna le elettriche di nuova generazione. Il bagagliaio resta ampio e pratico, con in più il vano anteriore dedicato a cavi e ricarica, soluzione semplice ma fondamentale nell’uso quotidiano.
Anche per questa nuova GLB rimane la possibilità della terza fila di sedili, una rarità assoluta tra i SUV compatti elettrici. È una scelta che ne racconta bene l’anima, rivolta alle famiglie che non vogliono salire di taglia ma pretendono spazio vero.
Sul fronte sicurezza il pacchetto è completo: assistenza alla frenata, mantenimento di corsia, assistente agli incroci, cruise adattivo DISTRONIC, telecamere a 360 gradi, funzione di sterzata automatica e perfino il cofano “trasparente†per le manovre off-road leggere. Tecnologie che fino a pochi anni fa erano terreno esclusivo delle ammiraglie e che oggi scendono finalmente nel segmento medio-alto degli elettrici.
Capitolo prezzi, infine. La GLB 250+ EQ da circa 59.400 euro, 64.800 per la GLB 350 4MATIC EQ.
L'articolo Mercedes GLB, il rinnovamento. Elettrica pura con tanta autonomia e versatilità – FOTO proviene da Il Fatto Quotidiano.
Raffaele Sollecito, assolto in via definitiva nel 2015 per l’assassinio di Meredith Kercher avvenuto il 2 novembre di 18 anni fa, è tornato con un video sui social in cui, di nuovo, paragona il suo caso a quello di Alberto Stasi, a oggi unico condannato per il caso Garlasco, cioè la morte di Chiara Poggi.
“Essere innocente in un processo mediatico ti mette davanti a una scelta. Negli ultimi trent’anni in Italia il mio è stato l’unico caso mediatico conosciuto da tutti a essersi risolto con una soluzione piena, l’unica volta in cui la realtà ha vinto su una narrazione“. Spiegando di essersi ormai rifatto una vita, come “architetto del cloud”, e sottolineando di aver lasciato “che i risultati tecnici parlassero” per lui, Sollecito sottolinea di non aver “mai smesso di documentarmi”. “Per questo guardo con attenzione i casi come quello di Alberto Stasi, un altro innocente in carcere. Rivedo lo stesso errore metodologico: il DNA usato come prova regina, invece di essere contestualizzato con rigore”, prosegue ancora. “Un singolo errore scientifico, quando entra in un’aula di giustizia, può distruggere e cancellare una vita. Ma io racconto tutto questo per cercare qualcosa. Lo faccio perché ho imparato quanto sia fragile l’equilibrio tra verità e narrazione”, insiste, dicendo di aver ormai imparato a riconoscere “quando un sistema fallisce” e “quando lo vedo in un’aula di tribunale non posso rimanere in silenzio”.
L'articolo Raffaele Sollecito torna sul caso Garlasco: “Con Stasi stesso errore metodologico, il Dna usato come prova regina” proviene da Il Fatto Quotidiano.
A Reyhanli, nel sud della Turchia, un bambino di 10 anni di origini siriane è stato ritrovato vivo dopo essere stato picchiato e sepolto dallo zio. Come riportato da Metro, i genitori avevano denunciato la scomparsa del bimbo lo scorso 6 dicembre, dopo che la madre e il padre non avevano visto rincasare il piccolo da scuola. I soccorritori hanno iniziato subito le ricerche, scandagliando la zona circostante.
Le forze di polizia hanno esaminato oltre 200 riprese delle telecamere di sorveglianza della zona, appurando che il bambino era uscito da scuola insieme allo zio. Quest’ultimo ha rapito, picchiato e coperto il bambino con dei massi, lasciando poi la zona. L’uomo è stato arrestato e si è dichiarato innocente. Lo zio ha anche dato la sua versione dei fatti. Il signore avrebbe portato il nipote a raccogliere dei pistacchi. Il piccolo sarebbe caduto dall’albero battendo la testa e rimanendo inerme a terra. A quel punto, dato lo spavento, lo zio sarebbe fuggito.
I volontari e le forze dell’ordine turche hanno iniziato un’operazione di ricerca su larga scala per trovare il bambino . Dopo giorni di perlustrazioni, un soccorritore ha sentito un mugolio vicino a un cumulo di pietre e sabbia. L’uomo ha iniziato a scavare a mani nude fino a scorgere la sagoma del piccolo e sentirne la voce flebile.
Appena liberato dai sassi, il bimbo ha confessato il crimine dello zio. “Ho sollevato sette grandi pietre una alla volta. Un grande masso era sulla testa del ragazzo ma lui era cosciente”, queste le parole del soccorritore. Il bambino, intrappolato sotto terra per tre giorni, ha riportato molteplici lesioni.
Il piccolo è stato trasportato d’urgenza in ospedale e operato alla testa. Il padre non ha nascosto la sua felicità ai media locali e si è augurato che lo zio possa subire una pena adeguata per il crimine commesso al figlio.
L'articolo “Mio zio mi ha picchiato e sepolto”: la confessione choc del bambino di 10 anni ritrovato dopo 3 giorni di ricerche proviene da Il Fatto Quotidiano.