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#news #ilfattoquotiano.it
Scontri tra ultras di Genoa e Inter a circa un’ora dall’inizio della partita. I tafferugli sono avvenuti fuori dal “Ferraris” di Genova, dove alle 18 è in programma la gara di serie A tra il club rossoblu e i nerazzurri. Gruppi di tifosi si sono scontrati all’ingresso del settore ospiti e nei pressi di piazza Romagnosi. A fuoco anche una vettura, colpita da uno dei tanti razzi lanciati. Sul posto vigili del fuoco, ambulanze e forze dell’ordine. Due i feriti.
Secondo le prime ricostruzioni, alcuni tifosi del Genoa hanno lanciato qualcosa verso i tifosi dell’Inter che erano già nel piazzale dedicato. I tifosi nerazzurri hanno poi forzato il cancello del settore a loro dedicato, uscendo per cercare il contatto con i tifosi di casa. Da lì sono partiti scontri tra le tifoserie e con la polizia, con lancio di oggetti e cassonetti incendiati.
L'articolo Scontri tra ultras di Genoa e Inter all’esterno dello stadio: alta tensione prima del match proviene da Il Fatto Quotidiano.
Case abbandonate, ex discoteche, ex fabbriche. Tutti luoghi suggestivi che negli ultimi anni stanno ricevendo sempre più attenzioni da parte di fotografi e appassionati: molti appartengono al mondo urbex, il termine inglese derivante da urban exploration (esplorazione urbana). Indica l’attività di visitare posti lasciati in stato di abbandono, siano questi case private o edifici pubblici come scuole, cinema o discoteche.
Chi pratica urbex lo fa soprattutto per interesse storico, curiosità , fotografia o per documentare spazi dimenticati dal tempo. L’obiettivo principale non è il vandalismo, ma l’osservazione e la testimonianza di luoghi lasciati all’abbandono, seguendo il principio non scritto di “non prendere nulla e non lasciare nullaâ€. L’esplorazione urbana abbraccia diversi ambiti. La fotografia, la storia, il turismo, l’economia, la geografia. In un certo senso, anche l’identità con il proprio territorio.
L’urbex sta negli ultimi anni spopolando anche tra i giovani per una combinazione di fattori culturali, sociali e personali. Da un lato c’è il desiderio di esplorazione e di avventura, la voglia di uscire dagli spazi controllati e ripetitivi della vita quotidiana. I luoghi abbandonati trasmettono un senso di mistero e di libertà , oltre a permettere di vivere esperienze percepite come autentiche e fuori dall’ordinario.
Un altro elemento importante è l’influenza dei social media: fotografie e video di edifici decadenti, con atmosfere suggestive, attirano molta attenzione e diventano un modo per esprimere creatività e costruire un’identità personale. Inoltre, l’urbex consente di sentirsi parte di una comunità con regole proprie e valori condivisi, come il rispetto dei luoghi e il rifiuto del vandalismo.
Ma un aspetto importantissimo dell’urbex è la valutazione del rischio, inevitabile in luoghi abbandonati. Rischi di ogni genere. I più immediati sono quelli fisici: edifici instabili, crolli improvvisi, scale pericolanti, pavimenti marci, vetri rotti e materiali arrugginiti possono causare ferite e cadute improvvise da tetti instabili. Esistono anche rischi per la salute, dovuti all’inalazione di polveri nocive, muffe, amianto o sostanze chimiche presenti negli edifici dismessi. Ecco perché è per praticare l’urbex non bisogna mai essere sprovveduti: servono scarpe antinfortunistiche, caschetti e mascherine.
L'articolo Cos’è l’urbex, la pratica di esplorare luoghi abbandonati che ha preso piede (pericolosamente) anche tra i giovani proviene da Il Fatto Quotidiano.
Sospeso tra luce, neve e nebbia, l’inverno a Castelluccio di Norcia si fa meraviglia pura. La mattina di domenica il Pian Grande, nel cuore dei Monti Sibillini, a 1.400 metri di quota ha regalato uno degli scenari più affascinanti degli ultimi anni: un paesaggio completamente innevato, attraversato da un sole limpido e da banchi di nebbia che, come un respiro, si formano e si dissolvono in pochi istanti. Sull’altopiano la neve caduta nei giorni scorsi disegna una distesa candida, interrotta solo dai profili delle montagne e dalle linee leggere delle recinzioni. La nebbia scivola bassa, si solleva, cambia direzione, ricrea il paesaggio a ogni sguardo, trasformandolo di continuo in un gioco di luci, colori e riflessi. Escursionisti, fotografi e semplici visitatori hanno raggiunto Castelluccio per assistere a uno spettacolo che non ha nulla da invidiare alla fioritura tra giugno e luglio e delle sue lenticchie.
L'articolo Spettacolo invernale tra neve e nebbia sui Monti Sibillini: il video da Castelluccio di Norcia proviene da Il Fatto Quotidiano.
Roberto Vecchioni, durante la sua ospitata odierna domenica 14 dicembre a “Domenica In”, è tornato a parlare del figlio Arrigo, morto due anni fa. Aveva 36 anni ed era il terzo dei quattro figli del cantante, il primo nato dall’unione con la seconda moglie, Daria Colombo. “Ho perso un figlio due anni fa, – ha raccontato a Mara Venier l’artista – ho dato inizio ad una fondazione che sta andando alla grande per difenderci dallo stigma delle malattie mentali anche perché in Italia non c’è attenzione e prevenzione sulle malattie mentali”.
“Abbiamo riscontrato tantissimi problemi, soprattutto i parenti che soffrono con chi è malato. – ha continuato – È una nube continua sulla tua vita. Puoi fare di tutto, però questo problema non sfugge mai, ti rimane addosso. Non si sa mai come salvarsi. Un ragazzo su sette soffre di malattie mentali. I ragazzi sono desolati e poco aiutati. Non basta la famiglia, non basta nemmeno l’amore. Quando escono dalla casa si sentono soffocati dal mondo. È una malattia vera”.
Il racconto si è fatto poi intenso e commovente: “Mia moglie la sera, verso le 10, 10 e mezza, comincia a piangere fino a mezzanotte, da due anni a questa parte. Passa tutto nella vita, ma non passa quando va via un pezzo della tua carne. Io mi nascondo, a lei dico: ‘Quando ti viene voglia di piangere, fallo, ovunque tu sia in treno o in tram’. Io invece mi nascondo in bagno perché non posso piangere”.
Al fianco della coppia c’è stata sempre Ornella Vanoni. Alla moglie del cantautore diceva: “Parla, io il dolore lo posso superare, me lo prendo tutto io. Ci chiamava ogni sera per sapere come stavamo, aveva un cuore grandissimo. Quando si affezionava a qualcuno, dava tutta se stessa per far stare bene tutti”.
L'articolo “Mia moglie la sera comincia a piangere per nostro figlio fino a mezzanotte. Passa tutto nella vita, ma non passa quando va via un pezzo della tua carne”: Roberto Vecchioni commosso proviene da Il Fatto Quotidiano.
Lo scorso novembre Romina Power ha pubblicato il suo nuovo libro “Pensieri profondamente semplici. L’abbecedario della mia vita”. L’artista è andata a “Verissimo” nella puntata odierna di domenica 14 dicembre per presentarlo al pubblico di Canale 5.
C’è anche spazio per l’ironia e lo scherzo: “Oggi i rapporti con Al Bano sono buonissimi: non ci vediamo mai! Chi amo, amo per sempre Perché la separazione? Quando non si sta bene insieme e non si è felici…”.
Poi l’aneddoto: “Ero stata negli Stati Uniti, mi ha rivisto dopo qualche anno e mi ha detto: ‘Potresti farti qualche ritocchino’. Chissà se anche lui si è fatto un ritocchino, magari al cervello. Scherzo eh…”.
Durante il matrimonio con Al Bano, Romina Power ha costruito un rapporto speciale con la mamma dell’ex marito: “Avevo un rapporto straordinario con mia suocera Jolanda, una seconda mamma più che una suocera. Era una donna molto riservata, custodiva i propri sentimenti. Ma eravamo diventate come madre e figlia, non come suocera e nuora”.
“Mi avrebbe sempre voluto vedere al suo fianco perché non aveva figlie femmine. – ha concluso – Era una donna semplice, doveva sempre lavorare. Io la forzavo per portarla al mare e in quei momenti diventava una bambina dopo un’intera vita di lavoro. Io ho sposato la Puglia, ho scelto di continuare a vivere ancora lì…”.
L'articolo “Al Bano mi ha rivisto dopo qualche anno e mi ha detto: ‘Potresti farti qualche ritocchino’. Chissà se anche lui l’ha fatto, magari al cervello”: Romina Power scherza proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il professor Matteo Bassetti ha commentato i consigli del professor Silvio Garattini che ha consigliato di evitare carne rossa, burro e l’alcol. “È giusto dare il messaggio che una corretta alimentazione migliora la nostra vita, – ha detto il direttore Malattie infettive dell’ospedale policlinico San Martino di Genova all’Adnkronos Salute – ma si deve evitare di essere troppo rigidi. Perché poi il rischio è che non si rispetti nessuna regola.
E ancora: “Ci vogliono invece alcune ‘nome’ semplici, dicendo alle persone che vanno evitati alcuni cibi, che si deve fare movimento, come dice sempre Garattini, che si deve evitare l’abuso di alcuni cibi”.
“Ma in un momento così importante per l’Italia con la celebrazione della nostra cucina patrimonio dell’Unesco, – ha continuato Bassetti – e soprattutto a pochi giorni del Natale, dove l’Italia è punto di riferimento per la buona tavola, forse dovremmo essere meno rigidi. Vivere una vita troppo morigerata è anche triste: a Natale si può anche trasgredire magari per il cenone o il pranzo. Io me lo sono sempre concesso e credo che possano farlo anche gli italiani”.
Infine: “Molti pensano che la soluzione a un problema sia semplice come una negazione: vietare, punire, proibire. È un riflesso istintivo, umano, quasi primitivo. Ma se ci fermiamo a guardare i dati, la realtà ci racconta una storia diversa, fatta di paradossi, ribellioni e, soprattutto, inefficacia”.
L'articolo “Garattini dice no a carne rossa e burro? Vivere una vita troppo morigerata è anche triste: a Natale si può trasgredire per pranzo o cenone”: così Matteo Bassetti proviene da Il Fatto Quotidiano.
“L’Unesco si è lasciata raggirare riconoscendo alla cucina italiana uno status culturale speciale, quando la migliore del mondo è qui da noi“. Non usa mezzi termini il giornalista britannico del Times, Giles Coren. Insomma “la cucina italiana come patrimonio culturale immateriale dell’umanità era prevedibile, servile, ottuso e irritante”.
E ancora: “Da quando scrivo di ristoranti combatto contro la presunta supremazia del cibo italiano. Perché è un mito, un miraggio, una bugia alimentata da inglesi dell’alta borghesia, mangiatori di fiori di loto con palati da bambini viziati, che all’inizio degli anni Novanta trasferirono le loro residenze estive in Toscana, dopo che il successo volgare di Un anno in Provenza di Peter Mayle aveva reso il sud della Francia plebeo”. Un attacco frontale, che non si ferma qui.
“Jamie Oliver, Nigella Lawson, Antonio Carluccio e il River Café hanno perpetuato questa favola romantica. – ha continuato – I supermercati si sono riempiti di pomodori secchi, pesto in barattolo, gnocchi sottovuoto, salami, biscotti, panettoni. Tutti hanno comprato una macchina per la pasta, usata una volta, mai lavata e poi abbandonata nell’armadio sotto le scale, dove giace tuttora”.
Il giornalista ha specificato che lui il nostro Paese lo conosce bene e che il cibo lo ha trovato “pessimo. I ristoranti cari, il personale scortese. Gli italiani odiano gli inglesi e l’unica scelta sicura è la pizza, come in America o a Wolverhampton“.
Quale sarebbe l’alternativa per il giornalista? “Se c’è una cucina nazionale che l’Unesco dovrebbe riconoscere per il suo valore culturale eterno e la sua importanza politica unica, è quella inglese. Inclusi, ma non solo: il toast bruciato appena prima che scatti l’allarme antincendio; le colazioni degli hotel economici, prodotte in un unico oscuro centro da troll ciechi con materiali di fortuna; gli spaghetti col ketchup; la torta di Haribo sciolta in macchina ad agosto; i noodles cinesi croccanti incollati alla tovaglia; lo snakebite and black, il Barolo britannico; le salsicce Heinz con fagioli, che contengono tutti i gruppi alimentari conosciuti; i panini al ketchup; il porridge (isolante da sottotetto ammorbidito con acqua) e, naturalmente, la Terry’s Chocolate Orange. Questa sì che è cultura. Altro che pomodori!”.
Parola di Giles Coren.
L'articolo “La cucina italiana patrimonio immateriale dell’umanità ? Irritante. Cibo pessimo, ristoranti cari, personale scortese”: l’attacco del critico del “Times” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ben 193 cm, ma grande corsa e buona tecnica di base. Marco Bartesaghi continua a stupire il Milan, i milanisti e strizza l’occhio anche a Gennaro Gattuso in ottica nazionale italiana, dove è già un punto fermo dell’under 21 di Baldini. 20 anni da compiere il 29 dicembre, nel Milan ci è praticamente cresciuto. Ha iniziato da giovanissimo nell’Atalanta, ma già all’età di 7 anni è arrivato nel settore giovanile dei rossoneri e da lì non è più andato via.
A suggellare il rapporto tra il Milan e il giovane esterno, la doppietta contro il Sassuolo, che coincide anche con i primi gol in Serie A, anche se non sono serviti per i tre punti. Allegri lo ha messo dentro dopo l’infortunio di Estupinan e lui ha risposto con grande voglia e determinazione, ma soprattutto qualità . Con il tempo si è fatto apprezzare anche da alcuni scettici tifosi rossoneri, diventando ormai un punto fermo.
Nato il 29 dicembre 2005 a Erba, è cresciuto nelle giovanili del Milan, club con cui ha firmato il suo primo contratto da professionista nel 2023, valido fino al 2026. La sua è una carriera importante già da giovanissimo, visto che ha debuttato a 17 anni in Serie A, il 23 settembre 2023 entrando nel secondo tempo di Milan–Verona. Due mesi dopo ha esordito anche in Champions League nel dicembre 2023 contro il Newcastle.
Nella stagione successiva è stato impiegato sia con la prima squadra che con la formazione under 23, il Milan Futuro, che oggi milita in Serie D ma fino allo scorso anno partecipava al campionato di Serie C. Proprio in Serie C ha messo in mostra tutto il suo talento: fisicamente forte, tecnico e con buone capacità difensive e offensive, tanto da attirare l’attenzione dell’allenatore della prima squadra e dei media già dalla passata stagione.
Davide Bartesaghi è un terzino sinistro moderno, capace di unire solidità difensiva e buona spinta offensiva. Dal punto di vista fisico è strutturato, forte nei contrasti e affidabile nei duelli uno contro uno. In fase difensiva ha grande concentrazione, senso della posizione e intelligenza tattica, qualità importanti che lo hanno reso prezioso per Allegri.
In fase offensiva Bartesaghi è ordinato e intelligente: accompagna l’azione sulla fascia, sa sovrapporsi e mettere cross precisi, senza peròscoprirsi eccessivamente. Tecnicamente è pulito nel controllo di palla e nel passaggio, mentre tatticamente dimostra maturità , adattandosi bene ai ritmi della prima squadra. In più, contro il Sassuolo ha mostrato anche buona propensione al gol.
L'articolo Chi è Davide Bartesaghi, il “gigante” del Milan che ha conquistato Allegri e strizza l’occhio alla nazionale proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Abbiamo scritto un ruolo per lui…”. Un copy breve e una foto per far impazzire milioni di persone. Vin Diesel ha pubblicato una foto con Cristiano Ronaldo su Instagram e ha subito scatenato la fantasia dei fan: il portoghese presto in Fast & Furious? Un’ipotesi che potrebbe realizzarsi molto presto, ma andiamo con ordine. L’attore americano, volto storico di Fast & Furious che ha da sempre interpretato il personaggio di Dominic Toretto, ha pubblicato sui social una foto insieme a Cristiano Ronaldo, con una didascalia suggestiva: “Tutti mi chiedono se un giorno potrà entrare nella saga di Fast & Furious… Devo dire che è un personaggio reale. Abbiamo scritto un ruolo per lui…”. Post che ha subito fatto impazzire i fan del portoghese e della saga, con più di due milioni di like raggiunti nel giro di poche ore
Non c’è ancora nessuna conferma ufficiale sulla possibile partecipazione di Cristiano Ronaldo nell’undicesimo e ultimo capitolo della saga, intitolato Fast X: Parte 2. Ma se la notizia fosse confermata, non sarebbe la prima volta per Cristiano Ronaldo nel mondo del cinema. Il campione in forza all’Al Nassr ha infatti già lavorato come produttore e doppiatore nella serie Striker Force 7 nel 2018.
Cristiano Ronaldo non sarebbe neanche il primo calciatore-attore. In questo breve elenco riportato da Sky Sport ci sono calciatori come Pelé e Bobby Moore, protagonisti nel 1981 in Fuga per la vittoria, ma anche Maradona (in Tifosi), Zidane (Asterix alle Olimpiadi), Best (Cup Fever e Il complesso del trapianto), Beckham (che ha recitato in alcuni film dopo il ritiro, come la trilogia di Goal!, Operazione U.N.C.L.E. e King Arthur: il potere della spada), Cantona (Il mio amico Eric) e anche Ibrahimovic (presente in Vita da Carlo 2).
L'articolo Cristiano Ronaldo in Fast & Furious? L’indizio social di Vin Diesel: “Abbiamo scritto un ruolo per lui…” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Sono un medico: cosa posso fare con l’intelligenza artificiale?”, “Quali sono i punti di forza dell’AI per lo psicologo?”, “Come posso utilizzare l’AI da commercialista?”, “Cosa fa l’AI per l’avvocato?”, “Quali sono i vantaggi dell’AI per i notai?”. C’è un nuovo libro – con possibilità di lettura interattiva – in cui sono gli stessi professionisti a spiegare come l’AI può già essere utile (e quanto lo sarà in futuro) nei rispettivi ambiti. Si chiama “Supervisor, i professionisti dell’AI”, opera di Filippo Poletti, top voice di LinkedIn, dove dal 2017 cura una rubrica quotidiana dedicata al lavoro. Nel libro ci sono gli interventi di 70 esperti, tra cui i presidenti nazionali di 9 ordini professionali e di istituzioni pubbliche a partire dall’AgID. Qui di seguito, l’intervista di Poletti a Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), estratta dal libro (376 pagine, 28.50 euro) edito da Guerini e Associati.
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Presidente Anelli, come vede evolversi il mestiere del medico? In particolare, quali opportunità potranno emergere dall’adozione dell’intelligenza artificiale?
“La professione medica è oggi al crocevia di cambiamenti epocali, che coinvolgono non solo la sfera scientifica e tecnologica, ma anche quella etica, sociale e normativa. In questo scenario, l’intelligenza artificiale rappresenta l’innovazione dirompente per eccellenza in ambito medico. La disponibilità di una mole di dati praticamente illimitata, insieme alla capacità di elaborarli con grande rapidità , apre scenari un tempo impensabili, soprattutto in ambito predittivo: diagnostica precoce, terapie personalizzate, monitoraggio in tempo reale, sviluppo di farmaci, ma anche ottimizzazione dei processi amministrativi e formazione clinica avanzata sono solo alcuni dei campi di applicazione.
L’impatto dell’intelligenza artificiale nella professione medica è profondo e multiforme, trasformando molti aspetti della fornitura di cure mediche, della ricerca e dell’amministrazione. Tra le aree sulle quali l’AI ha maggior impatto, l’imaging, la diagnosi precoce, i piani di trattamento e terapie personalizzate; e, ancora, la progettazione di nuovi farmaci, tramite modelli predittivi; il monitoraggio dei pazienti in tempo reale; i compiti amministrativi e burocratici, quali la gestione degli appuntamenti o l’aggiornamento delle cartelle cliniche; la formazione, tramite modelli di simulazione avanzati; il coinvolgimento dei pazienti e l’aderenza alle terapie; la sorveglianza delle malattie e la previsione di epidemie e pandemie. In particolare, in ambito sanitario l’intelligenza artificiale sta automatizzando molti compiti amministrativi, come la pianificazione degli appuntamenti, la gestione delle cartelle cliniche dei pazienti e l’elaborazione delle richieste di assicurazione. Ciò riduce l’onere amministrativo per i professionisti della sanità , consentendo loro di concentrarsi maggiormente sull’assistenza ai pazienti”.
Nell’ottica della trasformazione consapevole della vostra professione, quali sono le sfide critiche che occorre presidiare nell’integrazione dell’AI?
“L’AI nella professione medica non solo sta migliorando l’efficienza e l’accuratezza dei servizi sanitari, ma sta anche aprendo la strada a soluzioni sanitarie più innovative, personalizzate e accessibili in tutto il mondo. L’AI, tuttavia, non è priva di criticità e come tutti gli strumenti può prestarsi a un utilizzo improprio. La diffusione massiva e sistemica di applicazioni di AI impone la necessità di una regolamentazione chiara e condivisa in linea con l’Europa, oltre a sollevare tutta una serie di questioni etiche, legali e formative. Tra queste, il rischio di una disumanizzazione del rapporto di cura, la responsabilità legale in caso di errore indotto dall’algoritmo, l’interpretazione corretta delle informazioni, l’accentuazione delle disuguaglianze nell’accesso alle cure, la privacy dei dati, la sicurezza informatica.
Tra i rischi paventati, ci sono anche quelli legati a un approccio eccessivamente centrato sull’efficienza, che potrebbe ridurre l’interazione umana e ridimensionare l’interazione medico-paziente. L’AI potrebbe, inoltre, non essere in grado di considerare adeguatamente la complessità del contesto clinico del singolo paziente, influenzato anche da fattori socioeconomici e da convinzioni o preferenze personali. Ancora, gli algoritmi potrebbero rispecchiare i pregiudizi umani nelle scelte decisionali o diventare il “magazzino†dell’opinione medica collettiva. Ad esempio, l’analisi di patologie in cui venga sistematicamente sospesa la cura perché ritenute a esito infausto potrebbe portare alla conclusione che siano comunque incurabili: una profezia che si autoconferma. Infine, ma non certo ultimo per importanza, gli algoritmi potrebbero perseguire obiettivi non etici. Il conflitto etico potrebbe crearsi per le differenze di intenti e obiettivi tra chi finanzia e realizza un algoritmo e chi lo utilizza.
Per mitigare questi rischi è essenziale trovare un equilibrio tra l’efficienza offerta dall’AI e la necessità di considerare l’individualità e il contesto clinico di ciascun paziente. Gli operatori sanitari dovrebbero essere coinvolti attivamente nella gestione e nella supervisione dei sistemi di AI, garantendo che la tecnologia sia utilizzata come strumento complementare e non come sostituto delle competenze umane. Normative e linee guida chiare sono fondamentali per garantire un utilizzo etico e sicuro dell’AI in ambito medico”.
Quali sono le competenze che i medici dovranno sviluppare nei prossimi anni?
“È stato detto, e non potrei essere più d’accordo, che in futuro la competizione non sarà tra medico e macchina ma tra medici che sapranno usare le nuove tecnologie e medici che non saranno in grado di farlo. E per utilizzare bene l’intelligenza artificiale in medicina non bastano le competenze tecnologiche: occorre la capacità di governarla, integrando tali competenze con quelle mediche e anche con le skill non prettamente tecniche, date da intuito, esperienza clinica, capacità di ascolto del paziente e di interpretazione dei dati.
L’AI da sola, come già detto, potrebbe non essere in grado di considerare adeguatamente il contesto clinico complesso di ciascun paziente, come le variabili socio-economiche, le preferenze personali e altri fattori che possono influenzare le decisioni di cura. E un focus esclusivo sull’efficienza immediata potrebbe trascurare la necessità di valutare l’efficacia a lungo termine delle decisioni di cura, con potenziali ripercussioni sulla salute a lungo termine del paziente.
Non vogliamo che i sistemi digitali si trasformino in surrogati del medico, come accaduto in Gran Bretagna con chatbot che hanno sostituito il primo contatto tra il medico e il paziente. Al contrario, gli algoritmi devono essere strumenti fondamentali, volti a potenziare la precisione diagnostica e l’efficacia terapeutica, senza erodere la relazione umana.
Il medico, dunque, pur mantenendo il suo ruolo centrale, dovrà essere in grado di integrare i suggerimenti dell’AI nelle decisioni, rispettando e valorizzando il punto di vista del paziente. La formazione dei professionisti sanitari, di pari passo, dovrà evolversi includendo competenze digitali, in modo da preparare i medici a lavorare in sinergia con le nuove tecnologie, ma anche competenze in ambito comunicativo, per spiegare l’utilizzo dell’AI ai pazienti e rafforzare l’interazione umana. I medici di domani dovranno imparare a dedicare tempo al paziente, ad ascoltarlo, a rivalutare la singolarità dell’individuo utilizzando la complessità degli strumenti a disposizione, tra cui l’AI, per giungere a una diagnosi e per definire una terapia.
Prendersi cura della persona significa rispettare l’altro come individuo che a noi si affida, preservare la sua dignità , rendere esigibili – grazie alle nostre competenze – i suoi diritti.
È un cambiamento che presuppone una profonda modifica anche dei percorsi formativi, in grado di preparare un medico che possa utilizzare lo strumento della comunicazione come l’atto più importante per la cura del paziente, e le nuove tecnologie come ausilio prezioso per migliorare i percorsi di diagnosi e di cura, senza mai sovrastare o, peggio ancora, sostituire il clinico”.
Da ultimo, in termini di governance della professione, quali iniziative la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri sta progettando e portando avanti per supportare gli iscritti in questa fase storica caratterizzata da grandi innovazioni tecnologiche?
“L’utilizzo delle nuove tecnologie, tra le quali l’intelligenza artificiale ha un ruolo da protagonista, è una delle quattro direttrici sulle quali si sta sviluppando la revisione del Codice di Deontologia medica, la cui edizione vigente risale al 2014. Le altre sono i “nuovi†diritti, come l’autodeterminazione, il pluralismo culturale, la libertà della ricerca e della scienza; la comunicazione, intesa come rapporto medico paziente, con le altre professioni, e con l’esterno; e la responsabilità , autonomia e rischio clinico, che riguarda, tra le altre cose, il conflitto di interesse e il rapporto tra il Codice e la legge. Si tratta di tematiche che riguardano non solo i medici, ma l’intera società civile. Per questo abbiamo voluto ampliare il confronto, affiancando alla Consulta deontologica un board di esperti – medici, giuristi, giornalisti, filosofi della medicina, ingegneri clinici – per condividere le linee su cui intervenire. Tra i componenti, in quanto esperti di questa tematica, Carlo Casonato, professore ordinario di Diritto costituzionale comparato all’università di Trento e Lorenzo Leogrande, past president dell’Associazione Italiana Ingegneri Clinici e docente all’Università Cattolica di Roma, che all’intelligenza artificiale ha dedicato, tra l’altro, uno dei nostri podcast “Salute e sanità â€, che raccontano le innovazioni in medicina.
In questo percorso, grande è stato l’apporto del Gruppo di lavoro dedicato alle nuove tecnologie informatiche. Mentre il Comitato Centrale, il 4 marzo 2025, ha approvato all’unanimità un documento sull’AI che sancisce un principio chiaro: l’AI deve essere usata esclusivamente a supporto del medico, garantendo trasparenza, spiegabilità e qualità dei dati; il medico rimane responsabile delle scelte cliniche, mentre il paziente deve essere informato attivamente sull’uso di algoritmi, potenzialità e rischi. Dal punto di vista formativo, all’AI sono stati dedicati convegni e corsi di formazione, ultimo, nel mese di maggio del 2025, quello realizzato a Roma in occasione dell’Assemblea dei Medici Ospedalieri Europei (AEMH) e dedicato all’impatto sulla professione medica di intelligenza artificiale, realtà aumentata e metaverso.
Quelli delle innovazioni tecnologiche e della tutela dei dati sensibili sono, del resto, temi cari alla FNOMCeO, che ha intitolato loro diversi articoli del vigente Codice di Deontologia medica e che ulteriormente li svilupperà , alla luce delle innovazioni tecnologiche, scientifiche e legislative, e del contesto di digitalizzazione e di circolazione dei dati anche a livello internazionale, nel nuovo testo in corso di revisione.
Rinnovare il Codice di Deontologia Medica rappresenta sempre una sfida per la professione, giacché comporta una profonda riflessione sulla natura dell’essere medico e sul ruolo che i medici, attraverso quest’antica arte professionale, svolgono nella nostra società nell’assicurare la salute, nel curare le malattie e nel lenire le sofferenze.
Questo è tanto più vero oggi: nei suoi primi undici anni di vita, il Codice vigente ha attraversato vere e proprie rivoluzioni scientifiche, tecnologiche, sociali, bioetiche, passando attraverso una pandemia, l’uso sempre più diffuso dell’intelligenza artificiale, la crisi del Servizio sanitario nazionale, che vede vacillare – sotto i colpi dei tagli economici e delle ragioni di bilancio – i principi fondanti di universalismo e uguaglianza. Ecco allora la necessità di una revisione profonda, che non veda la professione ripiegarsi su sé stessa, ma che parta da un confronto con la società civile e arrivi a un cambio di passo, un cambio di paradigma, intendendo per questo la necessità di rivedere la definizione del ruolo del medico, ossia il passaggio da un professionista oggi preparato per curare la malattia a un medico capace e formato per curare la persona.
Si tratta di un cambio di prospettiva radicale, capace di intercettare i bisogni della nostra società , legati anche a una maggiore esigibilità da parte dei cittadini dei propri diritti, ma anche di adeguare la professione medica ai cambiamenti in atto derivanti dalla rivoluzione digitale e dalla necessità di preservare la natura e l’ambiente che ci circonda.
Il punto d’arrivo dovrà essere un Codice che indichi chiaramente ai medici di domani che devono imparare a dedicare tempo al paziente, ad ascoltarlo, a rivalutare la singolarità dell’individuo, utilizzando la complessità degli strumenti a disposizione per giungere a una presa in carico della persona nella sua interezza, perché il medico debba non solo curare le malattie attraverso la diagnosi e la terapia ma essere sempre più il medico della persona”.
L'articolo “Supervisor, i professionisti dell’AI”: un libro per inquadrare potenzialità e sfide dalla medicina all’avvocatura proviene da Il Fatto Quotidiano.
“A breve sentiremo un’altra dose di propaganda da parte della presidente Meloni”, ma “nonostante la propaganda i dati stessi del governo dicono che la pressione fiscale è al 42,7%, mai stata così alta. A Meloni si è rotta la calcolatrice? Da quanto tempo non le capita di andare a fare la spesa? Esca da palazzo Chigi e vada in qualsiasi alimentari”, vedrà “davanti agli scaffali famiglie costrette a scegliere tra cose” non superflue ma “necessarie. Il frigo degli italiani è sempre più vuoto“. Lo ha detto la segretaria del Pd Elly Schlein all’assemblea del Pd.
L'articolo Schlein attacca Meloni: “Lei festeggia ma intanto il frigo degli italiani è vuoto” – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
Una delle granitiche certezze dei social è che di tutto resta traccia. Anche quando si cerca di cancellare un post, una storia o un commento. Forse a Christian De Sica questa cosa deve essere sfuggita, ma è probabile che ora abbia capito che ci vuole un po’ più di prudenza per evitare “scivoloni†non proprio “delicatissimi†(tanto per citare uno dei suoi tormentoni).
Ma cos’è accaduto? Ieri sera, sabato 13 dicembre, all’inizio della semifinale di Ballando con le Stelle, ha postato su Instagram una foto di Milly Carlucci ripresa di profilo durante lo show di Rai1 e un commento al vetriolo: “Ma l’orecchio?!?â€. Il post è rimasto on line appena pochi minuti, giusto il tempo che è bastato al giornalista Massimo Galanto per intercettarlo, fare uno screenshot e poi postarlo su X.
LO SCIVOLONE DI CHRISTIAN DE SICA CONTRO LA CARLUCCI
Chissà se il post di Christian De Sica era voluto o si è trattato di un errore da “boomer†e, invece di mandarlo in direct a qualche amico, è finito per sbaglio nel suo feed. Forse non lo sapremo mai, mentre è chiaro che l’attore appena si è accorto del clamoroso errore ha rimosso tutto sperando con il commento sarcastico potesse passare inosservato. Così come, almeno per ora, non sappiamo la reazione di Milly Carlucci, che per altro in passato ha pure ospitato nel suo programma De Sica in veste di “ballerino per una notteâ€.
GLI ATTACCHI ALL’ATTORE, IL PUBBLICO DIFENDE LA CONDUTTRICE
Di certo c’è che a distanza di oltre dodici ore De Sica non si è scusato e ha scelto la via del silenzio mentre sui social il suo post ha generato commenti e risposte risentite da parte di decine di utenti, tutti schierati con Milly Carlucci. C’è chi parla di body shaming, chi sottolinea come sia “inelegante giudicare l’aspetto di una conduttrice sempre carina con tutti. Lui guardasse alla sua caduta di stile: è più grave di una ruga o di un lobo cadenteâ€, altri ancora bollano il commento come “una battuta da cinepanettoneâ€. Arriveranno le scuse?

L'articolo “Ma l’orecchio?”: Christian De Sica commenta il profilo di Milly Carlucci, poi cancella il post. Ma ormai è troppo tardi, la foto diventa virale sul Web proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Ieri notte i coloni sono tornati al villaggio di Ein al-Duyuk, erano sempre una decina, armati e bardati, come la notte in cui hanno attaccato noi. Solo che stavolta c’erano solo palestinesi, non c’erano internazionali e quindi è stato molto più brutale. Hanno distrutto le telecamere e gli schermi che avevamo installato, sono entrati in altre tre case del villaggio, non solo in quella in cui siamo stati attaccati noi. Ci sono stati 10 feriti di cui due gravi, ancora in ospedale, una è una donna. Il villaggio è terrorizzato, i padri non sanno come proteggere i figli, i bambini sono scioccatiâ€, racconta Ruta, 32 anni, una volontaria campana appena tornata in Italia dalla Cisgiordania, sabato 13 dicembre, con un volo dalla Giordania. Ci sono foto e video di un palestinese non giovanissimo che perde sangue, poi caricato su un’ambulanza 4×4 della Mezzaluna rossa nel cuore della notte. Immagini di case bruciate sono passate anche su Rai News 24.
Ein al-Duyuk è una piccola comunità beduina a 2 chilometri a Nord ovest di Gerico, 10-12 famiglie, un centinaio di persone, con lo stesso nome di un villaggio più grande alle porte della città . È nella cosiddetta zona A sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese, i coloni non ci dovrebbero nemmeno entrare ma invece cercano di strappare la terra metro per metro ai palestinesi. I volontari internazionali vanno lì per fare interposizione, nella speranza che i loro passaporti contino ancora qualcosa, in questo caso nell’ambito della campagna Faz3 a guida palestinese con cui collabora anche Assopace Palestina: l’obiettivo è proteggere la raccolta delle olive. La comunità di Ein al-Duyuk, su un’altura considerata strategica, è quasi circondata da colonie e avamposti israeliani. L’unica strada che arriva da Gerico passa vicino agli insediamenti israeliani, in parte è in Area C (controllo israeliano) e in parte contesa. I coloni avevano messo un cancello, poi l’hanno dovuto aprire. Sono in corso i lavori per fare un’altra strada, ma chissà che gli occupanti non si prendano tutto prima.
Con altri due nostri connazionali e una ragazza canadese, nella notte tra il 29 e il 30 novembre, Ruta è stata vittima dell’attacco che per qualche giorno ha avuto l’attenzione dei media italiani. Un pestaggio intimidatorio piuttosto efficace. “Sono arrivati alle 4 di notte, hanno sfondato la porta, ci hanno colpiti con schiaffi, calci e pugni e ci hanno rubato tutto: soldi, passaporti e telefoniâ€, hanno raccontato. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani è stato costretto a dire qualche parola di circostanza su questi “giovani cooperanti che accompagnano le attività dei palestinesi, portano i bambini a scuola, aiutano gli agricoltori e i pastori, costituiscono una sorta di protezione civile per la popolazione localeâ€. Nessuna protesta ufficiale, naturalmente, come per gli attacchi alla Flotilla in acque internazionali.
C’era anche un giovane pugliese, si fa chiamare Tau, 28 anni, laureato in astrofisica, lavora in una ditta di bioedilizia: “Avevo vari ematomi, al naso e alle costole, ferite alle parti genitali da cui non sono completamente guarito. Ho fatto anche una seconda notte di ospedale a Ramallahâ€, racconta. Anche lui è rientrato ieri in Italia. “Ci hanno chiesto più di dove fossimo, quando dicevo ‘Italia’ facevano come un’espressione di disgusto, forse perché consapevoli della solidarietà italiana verso i palestinesi. Ripetevano ‘dont’t come back, don’t come back’, ‘non tornate’â€, dice ancora Tau, anche lui “molto turbato†per il “nuovo attacco al villaggioâ€. Preferiscono che non siano pubblicate le loro generalità per esteso per non esporsi ulteriormente qui in Italia, rischiano già il divieto di entrare nei Territori per chissà quanti anni. Ruta ci è andata per la prima volta, Tau ci era già stato ad aprile.
Hanno sporto denuncia alla polizia palestinese e perfino alle autorità israeliane, che comunque hanno già chiuso il caso. “No evidenceâ€, nessuna prova, dicono. Dall’ospedale di Gerico i palestinesi li hanno portati a Ramallah, lì hanno incontrato il console aggiunto Damiano La Verde. “Voleva anche farci parlare con Tajani, ma non di politica, ci ha detto. Ma allora di cosa dobbiamo parlare? Abbiamo rifiutato. Il console diceva che eravano in pericolo e si preoccupava soprattutto di farci ripartire al più prestoâ€, racconta Ruta. È esattamente la preoccupazione del governo israeliano, che non vuole ficcanaso stranieri mentre incoraggia la violenta avanzata dei coloni. I tre italiani non avevano più i loro passaporti, il consolato li ha muniti di un documento provvisorio per il rimpatrio: “Volevano farlo per cinque giorni, poi sono arrivati a quindici ma solo perché io dovevo fare dei controlli in ospedaleâ€, dice Tau. All’aeroporto di Amman sono andati in autobus, nemmeno una macchina del consolato. Ora preparano denunce anche in Italia: hanno subito reati di lesioni e rapina all’estero per motivi chiaramente politici. Il portavoce del ministro Tajani come è suo costume non ci ha risposto.
“Eravamo appena arrivati – racconta Ruta – Già la sera prima avevo avuto il primo incontro con i coloni. Erano cinque, tre sono entrati in una casa in costruzione e hanno cominciato a sfondare, gli altri due erano fuori e noi li riprendevamo con il telefonino. Ci puntavano in faccia torcioni accecanti. Poi la notte seguente sono venuti da noiâ€. Dice ancora Tau: “Ci sono stati attacchi anche al villaggio principale di Ein al-Duyuk, mentre più a nord nel villaggio di Ras al-Ein al-Auja, nella valle meridionale del Giordano, ci sono sette attivisti fissi di Ucp, Unarmed Civilian Protection, che fanno presenza solidale come noiâ€.
E ancora: “I coloni lavorano in tandem con i militari e la polizia: attaccano il villaggio e i militari lo circondano con le macchine per evitare la fuga delle persone. Poi una volta che i coloni hanno fatto le loro barbarie, entrano e arrestano tutti. L’ho visto ad aprile a Jinba, vicino a Masafer Yatta (Cisgiordania meridionale, ndr) e a Bardala, nella Jordan Valley, a Nord. Diversi feriti, serre distrutte, distrutti i tubi della rete idrica. Un tempo funzionava come deterrente la presenza di persone con passaporti internazionali, se filmavi i coloni riuscivi a farli allontanare. Da un anno non è più così, i militari arrestano gli attivisti, li deportano e li bannano da due a dieci anni. Il nostro – sottolinea Tau – non è stato l’unico attacco, ma spesso avvengono in Area C e non vengono denunciati perché lì gli attivisti non potrebbero nemmeno starciâ€.
La campagna Faz3 – ricorda – “si occupa della raccolta delle olive perché c’è una legge israeliana per cui la terra se non ci vai per tre anni passa allo Stato di Israele. Serviva proprio a consentire ai palestinesi di tornare in quelle terre dove non potevano più entrare per gli attacchi dei coloni. Ma questo è l’anno in cui ci sono stati più attacchi negli uliveti, più sradicamenti di alberi, circa 6.200 alberi distrutti tra quelli piantati adesso e quelli secolari o millenari. Siamo andati anche in posti più pericolosi, ma sono arrivati sparando granate assordanti e siamo stati costretti ad andare via. Magari non serve più come deterrente, la nostra presenza. Ma almeno i palestinesi possono dormire una notte di più se c’è uno di noi a fare la guardiaâ€.
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Lisa Vittozzi come l’araba fenice. Per due volte. La prima, quando ebbe problemi nella gestione del poligono per una stagione intera, e la successiva vinse la Coppa del Mondo generale nel 2024. La seconda, ora, dopo ben 20 mesi lontana dalle gare per motivi fisici, chiusa col ritorno sul gradino più alto del podio: la campionessa sappadina ha impiegato soltanto cinque gare individuali per fare sua la vittoria nell’inseguimento a Hochfilzen, in Austria. Davvero notevole. Per la corsa alla Coppa c’è anche lei? Chissà . Certamente partirà per vincere una medaglia in ogni format alle Olimpiadi di Milano-Cortina.
Vittozzi parte col pettorale 14, staccata di un minuto esatto dalla leader provvisoria, Lou Jeanmonnot (nell’inseguimento ci si porta “in dote” il distacco dalla vincitrice della sprint). L’atleta azzurra appare subito in forma nella parte sciata, ma è al poligono che fa la differenza, con una velocità al tiro irreale (chiude una serie a terra sotto i 19 secondi) e, ovviamente, con la precisione: zero errori in quattro poligoni. Vittozzi esce dall’ultimo poligono, quello in piedi, con un vantaggio di 3.6 secondi dalla numero uno della generale, la svedese Anna Magnusson. Ma non c’è storia: l’italiana la stacca e torna a vincere, commossa sulla linea del traguardo, dopo l’ultimo trionfo di Canmore, il 16 marzo del 2024, che la incoronò in quella stagione come la migliore biatleta del mondo. Chiude il podio la giovane norvegese Maren Kirkeeide. L’altra azzurra con possibilità di podio, Dorothea Wierer, chiude con un ottimo nono tempo con due errori al poligono. Bene Rebecca Passler, che entra in zona punti e recupera parecchie posizioni, 27esima (con un bersaglio mancato); e Samuela Comola 40esima (due errori).
Commossa Vittozzi a fine gare: “Ho fatto una gara perfetta, significa tantissimo per me. L’anno scorso è stato molto duro, sapevo che questo momento sarebbe arrivato. L’ultimo giro è stato incredibile, è un sogno tornare a vincere”. Per il biathlon italiano, al secondo appuntamento stagionale, è un avvio esaltante, con le vittorie nelle gare individuali di Tommaso Giacomel (sprint) e Wierer (individuale a Ostersund).
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Torna la seconda stagione di “Ho preso un granchio” su La5, il 15 dicembre, alle ore 14.30 con 8 nuovi episodi, in onda da lunedì a venerdì. La serie è stata riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale come importante terapia di supporto per i giovani pazienti oncologici e come significativo passo per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla condizione degli adolescenti e giovani adulti affetti da cancro. Così i ragazzi del Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano tornano a raccontarsi.
La serie è ideata, scritta, diretta e interpretata dai ragazzi del progetto con la supervisione di un team di professionisti guidati dall’autore Cristiano Nardò e dal regista Tobia Passigato e il sostegno della Fondazione Bianca Garavaglia ETS. I giovani pazienti oncologici dimostrano che si può parlare di malattia in un modo diverso: ironico, brillante, sincero, pieno di coraggio e di vita.
Sono numerose le guest star che hanno deciso di sostenere il progetto. Max Angioni, Alessandro Betti, Alice Mangione, Juliana Moreira, Gianmarco Pozzoli, Gerry Scotti e Giovanni Storti affiancano i ragazzi nelle loro storie, contribuendo a dar voce a un racconto dove il sorriso diventa strumento di cura e condivisione.
Tra protagonisti della prima stagione e nuovi volti, i 24 ragazzi (tra i 15 e i 24 anni) si sono calati nei panni di scrittori, sceneggiatori e infine attori. Anche quest’anno, le riprese sono state effettuate all’interno dell’ambulatorio di Pediatria Oncologica dell’Istituto, con un’eccezione: la puntata “La C-Cardâ€, in cui il protagonista Phil approda nello studio televisivo Mediaset di “Caduta libera†e diventa un concorrente di Gerry Scotti.
I ragazzi del Progetto Giovani, guidati dal prof. Andrea Ferrari, trovano il modo di raccontare con autoironia la loro vita in ospedale, i loro genitori ansiosi, il lessico incomprensibile dei medici, la sessualità , l’amicizia. “Non vogliono ridere del cancro ma ridere dentro il cancro. – si legge nella nota stampa – La loro ironia disinfetta il modo con cui parlare della malattia, uccide i batteri della retorica e della pietà . Permette loro di dire ho il cancro senza dover aggiungere necessariamente un “ma sto combattendoâ€.
“Ho preso un granchio 2†andrà in onda anche su Cine34 che, il 27 e 28 dicembre alle ore 11.00, proporrà una mini-maratona con i primi quattro episodi in onda sabato e i successivi quattro la domenica.
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Due persone sono morte vicino all’aeroporto di Fano durante un volo con il paracadute. I due – un uomo e una donna – si sarebbero lanciati insieme a un’altra coppia, anche loro esperti paracadutisti, e – stando a una prima ricostruzione – i loro paracaduti si sarebbero intrecciati non permettendo di atterrare in sicurezza: sarebbero precipitati da circa 50 metri di altezza.
La coppia si sarebbe attorcigliata in volo precipitando poi a terra, si apprende da stesse fonti che hanno visto la scena e sentito il forte rumore della caduta a terra. L’uomo – Ermes Zampa – era un istruttore, originario proprio della città marchigiana dove è avvenuta la tragedia, mentre la donna – Violetta Laiketsion – era di Rimini. Zampa aveva 70 anni, Laiketsion 63.
L’incidente è avvenuto attorno alle 11.30 in un’area privata, proprio sopra l’aeroporto di Fano, ed è quindi accaduto davanti agli occhi di diverse persone presenti sul posto tra cui personale aeroportuale e persone in attesa del volo. Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118, che hanno potuto solo constatare il decesso, e i carabinieri che sono stati delegati a ricostruire la vicenda.
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