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#news #ilfattoquotiano.it
Potrebbe esserci stata una gara tra auto alla base dell’incidente di ieri sera su via Cristoforo Colombo a Roma, in cui è morta una ragazza di 20 anni. Dai primi accertamenti, sembra che una macchina su cui viaggiavano due ragazzi procedesse ad alta velocità – forse in una gara con un altro veicolo – e ha urtato l’auto su cui viaggiava la vittima sulla stessa carreggiata. Il veicolo è finito contro un albero sullo spartitraffico. La ragazza si trovava sul sedile del passeggero ed è morta in ospedale per le gravi ferite. Ricoverati in codice rosso gli altri tre giovani coinvolti nello scontro. Sulla dinamica sono in corso indagini della polizia locale.
L'articolo Incidente d’auto a Roma, muore una ragazza di 20 anni: ipotesi gara di velocità proviene da Il Fatto Quotidiano.
Trasmettere l’arte ai bambini è uno strumento che permette di farli crescere esprimendo loro stessi. L’arte ha la capacità di sviluppare la loro creatività , pertanto è molto importante non ostacolare il loro modo di esprimersi ed evitare di dettare regole o imporre modalità di espressione. Che sia un’arte figurativa, musicale, teatrale, qualsiasi forma artistica è fondamentale per ampliare il loro linguaggio, per sviluppare le loro abilità cognitive e per avere la propria visione del mondo, attraverso un dipinto, uno scritto o una scena interpretata. La cosa più importante è che sia frutto di loro stessi.
Una tecnica per parlare di arte e degli artisti ai bambini è avvicinarli attraverso un racconto che incuriosisce, come per esempio il libro edito da Settenove Amicizie bestiali. L’autrice Ana Gallo è riuscita ad associare gli artisti ai loro animali di compagnia o a loro tanto amati. In occasione del 25 ottobre giornata mondiale degli artisti non si può far altro che omaggiare artisti nazionali e internazionali che hanno determinato la nostra storia, insegnato molte cose e soprattutto lasciato un patrimonio culturale inestimabile.
Un libro questo che racconta il vissuto di molti artisti di diverse epoche e il loro amore verso gli animali domestici, per esempio si parla di Mozart che si lasciava incantare dal cinguettìo di uno storno che visse con lui per molto tempo; del cane Yofi amico inseparabile di Freud sempre presente durante le sue sedute. Un ampio spazio anche a Frida Kahlo che dipinse se stessa come il cerbiatto che vedeva ogni giorno nel suo Giardino, Andy Warhol con il suo Archie, Klimt con il gatto Katze o le modelle perfette del pittore britannico Lucian Freud: Pluto ed Elia. Venti storie che svelano, con curiosità e un pizzico di divertimento, come i grandi artisti abbiano amato e coinvolto nella loro vita privata gli amici animali, come Virginia Woolf che sin da piccola aveva capito che c’erano almeno due cose che la rendevano felice: scrivere e avere un cane, e proprio Pinka il suo cane la ispirò a scrivere una delle sue opere più famose. Persino lo scopritore della legge di gravità , Newton era dedito a Diamond, un cane dal pelo bianco, così come Einstein al suo Pappagallo.
L’amore per l’arte in senso lato del termine unito all’amore per gli animali è un bellissimo viaggio tra le pagine di questo libro, per omaggiare gli artisti che hanno dato e danno un senso al nostro vissuto. Proprio per questo Amicizie bestiali è un libro da regalare e leggere insieme ai bambini, a scuola, a casa e in qualsiasi luogo del mondo pronto ad ispirare la loro arte interiore.
Amicizie bestiali
di Ana Gallo
illustrazioni di Katherine Quinn
traduzione di Alessandro Catani
Editore Settenove
Età di lettura: da 6 anni
L'articolo 25 ottobre giornata mondiale degli artisti, Frida, Dalì, Picasso, Newton, Freud, Klimt e l’amore per i loro animali: un libro per avvicinare i bambini all’arte proviene da Il Fatto Quotidiano.
Andrea Sempio è stato convocato nell’Istituto di medicina legale in via Mangiagalli dalla antropologa forense Cristina Cattaneo, su ordine della Procura di Pavia, per fare delle misurazioni antropometriche. A renderlo noto Gianluigi Nuzzi a Dentro la Notizia, su Canale5. Sempio è arrivato poco prima delle 15 insieme ai suoi legali, Liborio Cataliotti, Angela Taccia e al consulente tecnico Armando Palmegiani. Sarebbero state effettuate misurazioni antropometriche di tutto il corpo: caviglie, piedi, arti superiori, statura e peso. Si tratta di elementi che dovranno essere messi in connessione con la rivalutazione che la professoressa Cattaneo sta facendo di tutte le lesioni sul corpo di Chiara Poggi e con la BPA del RIS di Cagliari così da stabilire le cause delle morte e la dinamica del delitto di Garlasco. Andrea sempio può essere collocato sulla scena del delitto? Queste misurazioni sono state ordinate dalla pm Giuliana Rizza e dall’aggiunto Stefano Civard.
Alla domanda se è tranquillo, Andrea Sempio – sempre alle telecamere di Canale5 – ha risposto: “Sì, sì, assolutamente, tutto bene”. E il consulente tecnico Armando Palmegiani ha commentato con queste parole: “La Dott.ssa Cattaneo ha fatto le sue misurazioni su Andrea Sempio. È stata un’attività lineare. Abbiamo fatto le nostre osservazioni nell’ambito dell’attività . Quello che succederà , le valutazioni sono un atto della Dottoressa. Andrea Sempio si è prestato a un’attività che era lunghissima, con massima collaborazione, in tutti i modi. Magari lo dirà anche la Dott.ssa Cattaneo, che l’ha verbalizzato. Non cambia nulla. Non sappiamo l’utilizzo finale. A mio avviso non ci sono elementi particolari di cui uno si dovrebbe preoccupare dal punto di vista difensivo”.
L'articolo Andrea Sempio convocato per una misurazione di tutto il suo corpo: caviglie, piedi, arti superiori, statura e peso. Ecco il motivo proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dentro la sua casa, nel quartiere Barona a Milano, sono stati trovati quadri di cartoni animati, disegni di Dragon ball, giochi. Ma c’erano anche merendine e dolciumi, che pare usasse per attirare bimbi piccoli. Si era guadagnato anche così la fiducia di due fratelli minorenni suoi vicini di casa, offrendo loro caramelle e regali, per poi costringerli a subire atti sessuali quali toccamenti e strusciamenti, mentre si trovavano all’interno della sua abitazione. Un uomo di 67 anni è stato arrestato dalla Polizia di Stato, a Milano, con l’ipotesi di violenza sessuale ai danni dei due ragazzini che hanno 12 e 13 anni. Nei suoi confronti è stata eseguita l’ordinanza di applicazione della misura cautelare in carcere, gravemente indiziato del reato di violenza sessuale.
L’attività di indagine, condotta dagli agenti della squadra mobile della questura di Milano, ha preso il via a seguito della denuncia presentata dalla madre di due giovani, insospettita da alcune loro frasi che riportavano affermazioni a sfondo sessuale, che secondo le accuse sarebbero scaturite dall’esperienza degli abusi. Le successive indagini ne hanno evidenziato le azioni. L’indagato in passato ha lavorato anche per una società sportiva dilettantistica. Dalle indagini è emerso che l’uomo, vicino di casa della famiglia, li avrebbe convinti a entrare con caramelle e altro per poi mettergli le mani addosso. Secondo le indagini della Mobile l’uomo “sfruttando la sua confidenza di vicino e guadagnandosi la fiducia dei ragazzini offrendo caramelle e regali, avrebbe costretto i due minori a subire atti sessuali, mentre si trovavano all’interno della sua abitazione”.
L'articolo Attirava due fratelli minori in casa e abusava di loro: arrestato 67enne a Milano. Era un loro vicino di casa proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un turista giapponese è morto ieri sera a Roma dopo una caduta di 7 metri dal muro perimetrale del Pantheon. L’uomo, un settantenne, è precipitato nel fossato. Per raggiungerlo i pompieri hanno forzato il cancello d’ingresso all’esterno del Pantheon. Il comando vigili del fuoco di Roma ha inviato una squadra in via della Palombella intorno alle 21.50. Non sono serviti i soccorsi dei sanitari del 118 e il decesso è stato constatato sul posto. Presenti anche le forze dell’ordine e la polizia di Roma Capitale. Da chiarire le cause dell’accaduto.
L'articolo Roma, turista giapponese muore dopo essere caduto dal muro del Pantheon proviene da Il Fatto Quotidiano.
“La salute è un diritto, respirare è un dirittoâ€. È questo lo slogan che il 21 ottobre migliaia di persone hanno scandito riempiendo le strade della città costiera di Gabès, nel sud-est della Tunisia, per chiedere la chiusura di un impianto statale del Groupe Chimique Tunisien (Gct), dedicato alla lavorazione dei fosfati e ritenuto dai residenti responsabile dell’aumento degli avvelenamenti da gas e dei gravi problemi di salute che affliggono la popolazione locale. La manifestazione, che ha visto la partecipazione di oltre quarantamila persone, è stata la più grande mai organizzata a Gabès ed è stata promossa insieme al principale sindacato del Paese, l’Ugtt, che per lo stesso giorno ha indetto uno sciopero generale. “A Gabès è tutto chiusoâ€, ha dichiarato Saoussen Nouisser, rappresentante locale del sindacato, spiegando che “siamo tutti arrabbiati per la catastrofica situazione ambientale nella nostra città emarginataâ€.
Lo sciopero generale e la manifestazione di massa arrivano dopo settimane di proteste locali, spesso represse con violenza dalla polizia e dall’esercito, che in diverse occasioni hanno fatto uso di gas lacrimogeni per disperdere la folla. In alcune notti si sono verificati scontri tra residenti e forze di sicurezza, e decine di persone sono state arrestate lo scorso fine settimana. Al quotidiano panarabo The New Arab, Khayreddine Debaya, coordinatore del gruppo locale Stop Pollution, ha dichiarato che “oltre 100 persone sono state arrestate†solo sabato scorso. Già nel giugno scorso, tre manifestanti che avevano partecipato a una protesta a Gabès erano stati arrestati e condannati a pene detentive da due a quattro mesi per “disturbo dell’ordine pubblicoâ€. Un rapporto di Amnesty International, pubblicato nello stesso periodo, denunciava la repressione degli attivisti ambientalisti nel Paese nordafricano, spesso arrestati, indagati o processati per aver manifestato pacificamente.
Secondo le autorità e alcune Ong locali, nelle ultime settimane oltre 200 persone sono state ricoverate in ospedale per difficoltà respiratorie e avvelenamento da gas. Alcuni video circolati online, che mostravano bambini con problemi respiratori, hanno spinto migliaia di cittadini a scendere nuovamente in piazza. Il 12 ottobre 25 Ong locali, tra cui la Lega tunisina per i diritti umani, hanno chiesto “lo smantellamento degli impianti inquinanti e l’adozione di un modello di sviluppo regionale alternativo alla morte lenta e all’inquinamentoâ€. In risposta alle proteste, il presidente tunisino Kais Saied ha criticato la mancanza di manutenzione dell’impianto, vecchio di 53 anni, e ha inviato una squadra dei ministeri dell’Industria e dell’Ambiente.
Già nel 2017 il governo tunisino aveva promesso una chiusura graduale della fabbrica, ma all’inizio di quest’anno le autorità hanno invece annunciato l’intenzione di incrementare la produzione dello stabilimento. Il presidente Kais Saied, che da tempo punta a rilanciare il settore dei fosfati — definito da lui stesso un “pilastro dell’economia nazionale†— intende sfruttare l’aumento dei prezzi mondiali dei fertilizzanti per quintuplicare la produzione dell’impianto entro il 2030, passando da meno di 3 milioni di tonnellate annue a 14 milioni. In quest’ottica, lo scorso marzo il governo tunisino ha riclassificato i rifiuti solidi derivanti dalla lavorazione dei fosfati — i cosiddetti fosfogessi — che in passato erano stati considerati materiali pericolosi, definendoli ora sostanze riutilizzabili in determinate condizioni. Tali scarti, però, contengono elementi radioattivi che compromettono gravemente la qualità del suolo e delle falde acquifere: secondo gli attivisti, la causa principale dei problemi di salute riscontrati dalla popolazione di Gabès.
L'articolo Tunisia, rivolta e arresti a Gabès contro la “fabbrica dei veleni”. Ma il presidente Saied vuole quintuplicare la produzione proviene da Il Fatto Quotidiano.
Stop all’invio di agenti federali a San Francisco. Lo annuncia Donald Trump, che dice di aver parlato con il sindaco della città , Daniel Lurie, e con “alcuni amiciâ€, che lo avrebbero convinto a sospendere i progettati raid anti-migranti. Nella decisione conta però, probabilmente, anche lo scenario da guerra civile che si stava delineando in città , con la possibilità che gli agenti della polizia locale si scontrassero con i federali. La situazione resta comunque tesa in molte parti degli Stati Uniti. “Non interferite con le attività delle forze federaliâ€, avverte il vice attorney general Todd Blanche. “Siamo pienamente preparati, se arrivateâ€, risponde la sindaca di Oakland Barbara Lee. Allo stato delle cose, è proprio a una sorta di guerra civile strisciante che la realtà americana sempre più assomiglia.
“Ho parlato con il sindaco Lurie e mi ha chiesto, molto gentilmente, di dargli una possibilità per vedere se può cambiare la situazioneâ€, ha scritto Trump su Truth Social, annunciando di aver bloccato l’invio degli agenti della U. S. Customs and Border Protection. “Gli ho detto: È un processo più semplice se lo facciamo noi, più veloce, più efficace e più sicuro, ma vediamo come te la caviâ€. Il presidente spiega di aver ricevuto una serie di telefonate da parte di “persone fantastiche†– tra queste due Ceo del settore tecnologico, Jensen Huang di Nvidia e Marc Benioff di Salesforce – che lo avrebbero chiamato per dirgli che “il futuro di San Francisco è grandiosoâ€. Alla fine, Trump ha sospeso i suoi piani. “Vogliono provarci. Pertanto, non colpiremo di San Francisco sabato. Stay tuned!†conclude su Truth Social, lasciando comunque intendere che, se le cose non andranno come desidera, le truppe federali sono destinate a tornare.
La telefonata con Trump è stata confermata dal sindaco Lurie, che dice di aver spiegato al presidente che “la nostra città è in ripresaâ€, che “siamo ai minimi degli ultimi settant’anni per quanto riguarda i crimini violenti†e che “anche gli accampamenti di tende, allestiti dai senzatetto, sono al minimo storicoâ€. Lurie non si fa comunque illusioni. Sa che dalla Casa Bianca può arrivare, da un momento all’altro, il contrordine. “Siamo pronti a qualsiasi scenario†dice, aggiungendo: “Abbiamo un piano definito, che può essere attivato in qualsiasi momento. Spero sinceramente di non dover mai mettere in atto quel pianoâ€. Il sindaco non precisa le misure che intende prendere, ma l’allusione è molto chiara e non lascia presagire nulla di buono. Se a San Francisco dovessero partire i raid del governo, lui sarebbe pronto ad assumere decisioni radicali.
Oltre la facciata ufficiale della “città in ripresa†e delle “persone fantasticheâ€, la ragione che ha spinto l’amministrazione a bloccare i raid contro gli illegali è stata in parte proprio questa. A San Francisco si stava creando una situazione esplosiva. Lurie aveva messo in stato d’allerta il Department of Emergency Management e tutte le agenzie cittadine che si occupano di ordine pubblico. Davanti alla base navale di Alameda County, punto di concentramento degli agenti federali, si era concentrata una folla di centinaia di persone, che bloccava l’entrata e l’uscita dei veicoli della U.S. Customs and Border Protection, e contro cui erano già state usate granate stordenti. Le comunità della Bay Area nel giro di poche ore avevano preso misure per ostacolare l’azione degli agenti federali. Il consiglio di Santa Clara County, martedì, aveva per esempio votato all’unanimità per impedire agli agenti federali di usare strutture cittadine – edifici, parcheggi, uffici – per pianificare e realizzare le loro operazioni.
La vera “opzione nucleare†l’avevano però sganciata i due deputati democratici di San Francisco, l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi e Kevin Mullin. In una dichiarazione congiunta, mercoledì, i due avevano scritto, che mentre “il Presidente può godere dell’immunità assoluta per gentile concessione della sua Corte Suprema, coloro che operano sotto i suoi ordini non ne godonoâ€, sottolineando quindi che “le nostre autorità statali e locali possono arrestare agenti federali se violano la legge della California; se vengono condannatiâ€. Quello che Pelosi e Mullin suggerivano è che gli agenti della polizia di San Francisco avrebbero potuto arrestare gli agenti federali, nel caso questi si fossero resi responsabili di abusi durante i raid contro gli illegali. L’idea era peraltro stata esposta poco prima dalla procuratrice distrettuale di San Francisco, Brooke Jenkins, che aveva detto di essere rimasta scioccata dalle immagini di agenti federali che picchiano le persone a Los Angeles e Chicago. Nel caso le violenze si fossero ripetute anche a San Francisco, aveva detto Jenkins, “tratterò gli agenti come chiunque altro infranga la legge. Colpire le persone con i manganelli? Picchiarle? Non sotto la mia supervisioneâ€. Jenkins si era quindi rivolta al Dipartimento di Polizia di San Francisco, che si era detto favorevole ad arrestare gli agenti federali per “chiaro ed eccessivo uso della forzaâ€.
Ciò che stava per esplodere a San Francisco era dunque una vera e propria guerra. Non tra agenti dell’immigrazione e illegali. Non tra agenti federali e attivisti di sinistra. Piuttosto, tra agenti del governo degli Stati Uniti e polizia cittadina. È stata la possibilità di un evento così clamoroso a spingere diversi CEO dell’hi-tech della Bay Area a chiamare Trump, chiedendogli di rinunciare ai suoi piani. È stata la minaccia di uno scontro così minaccioso per gli equilibri politici, sociali, istituzionali a suggerire a molti, nell’amministrazione, di intervenire su Trump, suggerendo moderazione. Alla fine, il presidente ha acconsentito, lasciando però aperta la porta per un futuro intervento delle forze federali. Quello “stay tuned†del suo messaggio social, restate sintonizzati, allude proprio a questo. A San Francisco lo sanno, e si preparano.
La situazione resta peraltro tesissima in altre parti degli Stati Uniti. A New York ci sono stati scontri, proteste e decine di arresti, quando gli agenti dell’ICE sono calati su Chinatown per arrestare chi vende merci contraffatte. A Oakland, California, gli agenti federali stazionano nella base della Coast Guard Island, pronti a far partire i raid contro i migranti. “Voglio essere chiara: la nostra città è pienamente preparata. Oakland è e continuerà a essere una città accogliente per i nostri immigrati e i nostri rifugiati, e le nostre leggi e i nostri valori lo riflettonoâ€, ha annunciato la sindaca Barbara Lee, che per decenni ha rappresentato l’ala più progressista del partito democratico alla Camera.
A Chicago si susseguono da giorni altri scontri e proteste. Qui l’amministrazione, da settembre, ha scatenato l’“Operation Midway Blitzâ€. Qui Gregory Bovino, che guida i Border Patrols Usa – la polizia di confine – è stato accusato di aver lanciato almeno un lacrimogeno contro i manifestanti, in potenziale violazione dell’ordinanza di un giudice federale che impedisce agli agenti federali di usare tattiche aggressive. E a Portland, Oregon, dove Trump continua a dire che è in corso “un’insurrezioneâ€, le autorità fanno di tutto per bloccare l’arrivo della Guardia Nazionale. Da Washington arrivano intanto dichiarazioni per nulla rassicuranti. Il vice attorney general, Todd Blanche, avverte deputati e amministratori di Illinois e California di non intralciare le operazioni contro gli immigrati. Su X, ha postato un messaggio chiaro: “Legge federale. Autorità federale. Conseguenze federaliâ€. Lo scontro insomma continua e rischia di precipitare l’America in un conflitto civile dagli esiti imprevedibili.
L'articolo A San Francisco scenario da guerra civile: Trump convinto a non inviare i federali. La paura di scontri con la polizia locale proviene da Il Fatto Quotidiano.
Lo stallo – la mia vignetta per la prima pagina de Il Fatto Quotidiano oggi in edicola
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L'articolo Lo stallo proviene da Il Fatto Quotidiano.
La maglia rosa della ristorazione scolastica va a Parma, Grosseto si aggiudica quella nera. A dirlo è il decimo report presentato oggi alla Camera dei Deputati da “Foodinsiderâ€, l’osservatorio civico sulle mense tra i banchi che da dieci anni analizza i menù proposti ai bambini valutando la frequenza degli alimenti, la loro qualità e l’impatto sull’ambiente. Dalla lista delle città , più o meno virtuose, emergono alcuni dati significativi.
Il primo, il più negativo: solo in due mense su tre vengono misurati gli sprechi. Tuttavia, il giudizio complessivo è positivo anche se anche in questo caso l’Italia va a due velocità con differenze marcate tra Nord e Sud.
A dar soddisfazione è il fatto che il biologico cresce in modo strutturale (quasi la metà dei menù propone oltre ventidue prodotti bio a settimana, mentre quelli con meno di nove scendono al 5%); i legumi compaiono una o più volte a settimana nel 94% dei menù analizzati; aumenta la varietà dei cereali, cresce l’uso degli integrali e si riduce la carne rossa, seppur con differenze territoriali.
Si registra, inoltre, il primo segnale di inversione rispetto all’uso di prodotti processati: un cambio di rotta che avvicina le mense a diete più sane e sostenibili. Addio a bastoncini, tonno e formaggi spalmabili: cinque anni fa i cosiddetti cibi processati facevano capolino nel 79% dei menù ora siamo scesi al 73%.
Diminuisce l’uso di carne rossa e aumenta quello del pesce dal 31% di due anni fa al 44% dell’anno in corso. C’è ancora da lavorare, invece, sul concetto del chilometro zero: il 40% dei Comuni offre pochi o nessun prodotto del territorio ma aumenta il numero di amministrazioni che inseriscono stabilmente più di dieci prodotti locali a settimana.
“Per superare l’ostacolo del rifiuto di cibi necessari come i legumi, doppiamente virtuosi per dieta e ambiente e che non si consumano più nelle famiglie, dobbiamo sempre considerare i bambini da ‘onnivori diffidenti’, uno processo naturale evolutivo che ci rende nei primi anni di vita, “sospettosi†su ciò che non conosciamo, su sapori e consistenze nuove, ed ecco che assaggi guidati, ricette buone e familiari, storie degli ingredienti e tempo per imparare nuovi sapori trasformano la diffidenza in curiosità e piacereâ€, spiega Francesca Rocchi, vicepresidente Foodinsider.
Se andiamo a osservare con la lente d’ingrandimento ciò che mangiano i nostri bambini scopriamo che si consumano proprio più legumi: si è passati dall’81% di presenza nel menù registrato nel 2020 al 94% di quest’anno. Nel Nord Italia si sono sperimentati ragù di soia, tofu mentre al Centro e al Sud fave, lupini e cicerchie per recuperare gusti tradizionali.
Un ultimo dato sul quale riflettere è quello delle cucine: il 57% dei comuni si avvale di servizi appaltati all’esterno, il 22% ha una situazione mista e solo il 21% una gestione comunale. Eppure – a detta di Foodinsider – sono proprio quest’ultime ad avere maggiore cura nell’elaborazione delle ricette avendo meno piatti da preparare.
Tra le migliori dieci città nove sono del Centro Nord e una del Sud, a Lecce. “Dopo dieci anni di indagine possiamo dirlo con certezza: le leve per garantire qualità e sostenibilità delle mense sono alla portata di tuttiâ€, spiega la presidente di Foodinsider, Claudia Paltrinieri.
L'articolo Meno cibi processati, più bio ma ancora molti sprechi: il report sulle mense scolastiche. E resta il divario Nord e Sud proviene da Il Fatto Quotidiano.
Luca Zaia, arrivato all’epilogo del terzo mandato, ha dichiarato esplicitamente qual è l’obiettivo che lo ha indotto a presentarsi alle prossime elezioni regionali come capolista della Lega in tutte le sette circoscrizioni del Veneto. Vuole trasformare il voto in un referendum su ciò che la sua figura amministrativa ha rappresentato per la Regione. Saranno per lui le quinte votazioni dopo che nel 2005 fu eletto per la prima volta e divenne vicepresidente della giunta capeggiata dal forzista Giancarlo Galan, per dimettersi nel 2008 quando divenne ministro dell’Agricoltura. Nel 2010 fu eletto presidente per la prima volta, ripetendosi nel 2015 e nel 2020. L’appuntamento del 23 e 24 novembre segnerà la sua uscita di scena dall’esecutivo, visto che è ineleggibile a quella carica, dovendosi consolare di un posto da consigliere regionale.
Difficile pensare che egli possa restare nell’assemblea di Palazzo Ferro Fini a Venezia, anche se dovesse esservi portato, come egli si augura, a furor di popolo leghista. Per Zaia potrebbero spalancarsi le porte della Camera dei Deputati nel caso, alquanto probabile, che venga eletto governatore il giovane Alberto Stefani, candidato del centrodestra, che lascerebbe libero uno scranno a Montecitorio, da coprire con votazioni suppletive.
Intanto Zaia ha lanciato un segnale. “Ogni elezione ha una storia a sé e che spero il Veneto dia un bel segnale. Per quanto mi riguarda, sarà una sorta di referendum su quello che sono stati i miei 15 anni di governo: per questo motivo ho anche deciso di candidarmi in tutti i collegiâ€. La dichiarazione non lascia dubbi. L’elaborazione del lutto per la mancata possibilità di candidarsi per la quarta volta è un processo lungo e laborioso, soprattutto quando si è goduto di un potere assoluto, seppure in democrazia, vista la schiacciante maggioranza su cui ha potuto fare affidamento in particolare negli ultimi cinque anni. La sua giunta assomigliava a un monocolore leghista, con un solo assessore di Fratelli d’Italia, grazie al 77% di consensi ottenuti nel 2020, le elezioni del dopo-Covid.
Eppure Zaia cerca una nuova investitura, forse da far valere su altri tavoli politici, per non disperdere il patrimonio personale raccolto in questi anni. Il rischio è però che, oltre a garantire una ripresa elettorale della Lega, egli la cannibalizzi, ai danni della rappresentanza maschile. La legge elettorale prevede, infatti, la doppia preferenza, con diversità di genere. Zaia capolista avrà il potere di attrarre inesorabilmente le scelte del candidato maschio. Si profila un suo successo personale ovunque, appiattendo i risultati degli altri leghisti, mentre le preferenze alle donne non ne risentiranno. Con il grande interrogativo di quale significato avrà quel bacino elettorale nel momento in cui egli si dimettesse per inseguire altri scenari politici, lasciando il partito orfano di una guida di provata esperienza. A domanda, Zaia non risponde. Ha preferito dire ai giornali locali qualche amenità (“Dopo il voto vado in Spagna a comperare un cavalloâ€) piuttosto che spiegare quali sono i suoi progetti.
Intanto sta facendo campagna elettorale a tappeto, tra feste, sagre e tagli di nastri. “I voti bisogna andarli a prendere casa per casa. Il militante è sempre pronto dall’alba al tramonto. – ha detto – Noi abbiamo realizzato l’infrastruttura più grande d’Italia, la Pedemontana Veneta, e poi vi ricordo le Olimpiadi invernali che inaugurerà Alberto Stefani. Il vero obiettivo che mi ero fissato è quello di rendere orgogliosi i veneti di andare in giro per il mondo e dire da dove vengonoâ€. Alle spalle si lascia il referendum per l’autonomia del Veneto, che risale all’ottobre 2017 e che non ha portato ancora a una riforma compiuta dello Stato come Zaia si augurava.
Sulla decisione di fare il capolista ha pesato anche il rifiuto da parte degli alleati di centrodestra di autorizzare una lista contenente il nome di Zaia. Per questo tenta l’ultimo colpo di coda, con un’ultima aggiunta che sembra andare in controtendenza rispetto alle polemiche che accompagnano le Olimpiadi Milano Cortina. “Sono convinto che si possa fare, ci vogliono anni, ma potremmo farcela: è quella di pensare alle Olimpiadi estive. Sorridete e sorridevano tanti anche per le Olimpiadi invernali. Ma pensare a un dossier innovativo per le Olimpiadi estive valorizzando territori che non sono mai stati valorizzati potrebbe essere una grande partita. Ovviamente il dossier deve aprirsi con Veneziaâ€.
L'articolo Zaia: “Le regionali in Veneto saranno un referendum sui miei 15 anni di governo”. E se vince Stefani è già pronta la poltrona da deputato proviene da Il Fatto Quotidiano.
Lo Stato spende 15 miliardi all’anno per i danni dovuti al cambiamento climatico e non li fa pagare a chi è responsabile e sborsa circa 800 milioni di euro all’anno all’Unione europea per l’imballaggio di plastica non riciclato. Ma nella manovra il governo Meloni continua a rinviare la Plastic Tax che avrebbe potuto coprire parte di questi costi. L’esecutivo intende fare cassa sul diesel, ma ridurrà le tasse sulla benzina. Sul fronte delle misure ambientali ed energetiche, dietro la strada della ‘prudenza’ che si legge nella bozza di manovra, ci sono scelte mancate e occasioni perse. Che trovano spiegazione anche nelle parole pronunciate davanti al Senato dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni che, in vista del Consiglio europeo, chiede alla Commissione europea “di correggere un ampio numero di scelte azzardate compiute in passato con il Green Deal, che ora stanno mostrando tutti i loro limitiâ€. Il risultato di questo approccio è evidente nella bozza della legge di bilancio. “Questa manovra non è in grado di intervenire sulla questione centrale della strategia energetica e della decarbonizzazione che è l’elettrificazione e, in particolare, l’elevatissimo prezzo dell’energia elettrica, di cui una componete importante è proprio quella fiscaleâ€, spiega a ilfattoquotidiano.it Matteo Leonardi, cofondatore e direttore esecutivo, del think tank Ecco, mettendo il dito nella piaga, ossia sugli oneri nelle tariffe elettriche (Leggi l’approfondimento). E aggiunge: “Se l’efficienza energetica viene praticamente equiparata alla ristrutturazione ordinaria, l’ecobonus non può essere definito un incentivoâ€. Nella bozza di manovra, poi, c’è il passaggio dal sistema dei crediti d’imposta di Transizione 5.0 destinato alle imprese che investivano nella transizione digitale ed ecologica (salvo ostacolarle a suon di burocrazia) a Industria 4.0. L’esecutivo risolve il problema eliminando i vincoli ambientali prima necessari per ottenere gli incentivi.
Slitta l’entrata in vigore della plastic tax e della sugar tax – “Proroghiamo la loro sterilizzazione a tutto il 2026â€, ha annunciato la premier Giorgia Meloni riferendosi alle due tasse più e più volte rinviate sul consumo di manufatti in plastica con singolo impiego (Macsi) e sulle bevande zuccherate. La prima, fissata a 0,45 euro per chilogrammo di materia plastica, è stata introdotta in Italia nel 2020 senza mai entrare in vigore. Si stima che i continui rinvii, ormai dati per scontati, siano costati in termini di mancati introiti circa 1,2 miliardi di euro solo tra il 2020 e il 2023 (Leggi l’approfondimento). Nel frattempo, ammonta a circa 800 milioni di euro all’anno il contributo che l’Italia paga all’Unione europea per l’imballaggio di plastica non riciclato. Costi che oggi pesano sulle casse pubbliche e che potevano, invece, essere in parte coperti dalla Plastic Tax italiana. Della sugar tax si parla meno, ma è presente in più di cento Paesi del mondo che rappresentano oltre la metà della della popolazione mondiale. In Europa, viene applicata in Norvegia, Finlandia, Francia, Spagna, Polonia e Ungheria. In Italia, la nuova data di partenza per entrambe le tasse è fissata al 1° gennaio 2027. Soddisfatta l’industria. “Questo ulteriore tempo guadagnato – ha commentato il presidente di Assobibe, Giangiacomo Pieriniaggiunto – permettere un dialogo che auspichiamo ci porti, in 12 mesi, alla definitiva cancellazione di imposte che ormai ogni governo ha posticipatoâ€. Sulla stessa linea, il presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino, secondo cui si tratta di “due tasse ingiusteâ€.
Stangata sul diesel e alleggerimento sulla benzina – Per il settore automotive, si confermano il rifinanziamento degli incentivi per i veicoli elettrici e ibridi plug-in (con circa 500 milioni di euro) e per colonnine domestiche e la realizzazione di infrastrutture di ricarica pubbliche (200 milioni di euro nel biennio 2026-2027), finanziati dal Fondo per la transizione industriale. Ma, nelle parole pronunciate davanti al Senato, Meloni ha citato proprio il settore automobilistico, insieme a quello dell’industria pesante, parlando di “neutralità tecnologicaâ€, consentendo i biocarburanti oltre il 2035. Nella bozza di manovra, il governo accelera sull’allineamento nella tassazione gasolio e benzina. Un anno fa, prevedeva di arrivarci gradualmente nel 2030. Da gennaio 2026, invece, benzina e gasolio avranno la stessa tassazione: si riduce l’accisa sulla benzina di 4,05 centesimi di euro per litro e si aumenta – sempre di 4,05 centesimi di euro per litro – quella applicata al gasolio. L’obiettivo sulla carta è quello di eliminare l’agevolazione storica al gasolio (più inquinante) e attuare così il “superamento del sussidio ambientalmente dannoso†invocato da anni. “Al posto di riequilibrare tutto al rialzo si è deciso di uniformare le accise sui carburanti (portando entrambe a 0,672 euro a litro, ndr). Va bene fino a un certo puntoâ€, spiega Carlo Tritto, responsabile Sustainable fuels di Transport & Environment. “La tassazione sale sul carburante più emissivo da un punto di vita di inquinamento locale e che oggi rappresenta la grande fetta dei consumi energetici dei trasporti, ma scende sulla benzina che sarà il carburante più diffuso non nell’immediato, ma nei prossimi anniâ€. Una misura che mal si coniuga “all’abbandono dei carburanti fossili, soprattutto in vista del meccanismo di prezzamento del carbonio dell’European Emissions Trading System 2†che entrerà in vigore nei prossimi anni. Non sono mancate le reazioni, come quella di Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Prevedere la stessa accisa per diesel e benzina significa voler far cassa – ha commentato – se non sarà allineata a un livello inferiore rispetto a 672,90 euro per mille litri ora previsti. A dirlo non siamo noi ma il ministero dell’Ambiente che, nel varare il precedente riordino, lo ha scritto nero su bianco nel decretoâ€.
Bonus edilizi ed efficienza energetica. Leonardi (Ecco): “Ma quali incentivi?†– La manovra dice addio all’era dei Superbonus, ma conferma la proroga per le detrazioni sugli interventi di recupero e di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio, che rischiavano già dal 2026 un taglio consistente. La detrazione al 50% per la prima abitazione (al 36% per gli interventi realizzati su altre categorie di immobili) resta per le spese sostenute fino al 2026. Confermato anche l’Ecobonus fino al 31 dicembre 2027, con detrazioni dal 50% al 65% in base a tipo di intervento e di edificio. La misura riguarda sì gli interventi finalizzati al risparmio energetico e alla riduzione delle emissioni, come la sostituzione di infissi e serramenti, l’installazione di pompe di calore e l’installazione di pannelli fotovoltaici. Ma è davvero un incentivo? “L’efficienza energetica viene praticamente equiparata alla ristrutturazione ordinaria che, tra l’altro, in termini di certificazioni è anche più sempliceâ€, commenta Matteo Leonardi di Ecco.
Immutata la componente fiscale sull’elettricità – Nel frattempo, l’energia elettrica resta gravata da tasse e oneri. “Ad oggi l’elettricità paga delle componenti fiscali e di oneri di sistema due o tre volte più del gas. In Finanziaria – spiega Leonardi – servirebbe un lavoro di equilibrio che ad oggi non è stato fatto, non permettendo ai consumatori di accedere ai vantaggi delle tecnologie elettriche, che consumano un quarto di energiaâ€. Quello che c’è nel testo, invece, è la soppressione dell’addizionale regionale all’accisa sul gas naturale, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2028. Una misura che dovrebbe alleggerire i costi energetici per le imprese industriali e artigianali che usano intensivamente il gas. “Una misura che da un lato – aggiunge Leonardi – aumenta il divario tra elettrico e gas e dall’altro, pur riducendo il gettito, non è minimamente significativaâ€.
Gli incentivi all’innovazione e alla transizione, ma senza vincoli ambientali – La manovra prevede il maxi-ammortamento di Industria 4.0, destinato alle aziende che investono in beni strumentali 4.0 e in tecnologie per l’autoproduzione di energia rinnovabile. Scompaiono, però, i vincoli ambientali. Per gli investimenti in beni materiali e immateriali (sono inclusi gli impianti fotovoltaici e i sistemi di accumulo), l’agevolazione è del 180% per le spese fino a 2,5 milioni di euro, del 100% per investimenti fino a 10 milioni e del 50% fino a 20 milioni. Le percentuali arrivano rispettivamente al 220%, 140% e 90% nel caso di investimenti finalizzati alla realizzazione di obiettivi di transizione ecologica, compresa la riduzione dei consumi energetici della struttura produttiva a cui è destinato l’investimento. Che non deve essere inferiore al 3% o, in alternativa, va certificata una riduzione dei consumi energetici dei processi produttivi non inferiore al 5%.
I fondi (insufficiente) per l’ambiente – Se il Fondo sociale per il clima viene poi finanziato con risorse europee per sostenere le famiglie vulnerabili e contrastare la povertà energetica, il Fondo per la riduzione dell’esposizione a situazioni di rischio nel territorio nazionale, con una dotazione di 250 milioni di euro per il 2026, dovrebbe finanziare soggetti privati che realizzano interventi per ridurre l’esposizione a eventi imprevedibili. “I danni climatici in Italia nel biennio 2022-2023 ammontavano ad almeno 15 miliardi all’anno – dice Leonardi – e queste sono le necessità con cui il Paese deve confrontarsiâ€.
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Il calcio dei petrodollari, il calcio dei fondi americani. Quante volte abbiamo letto questa definizione sul mondo pallonaro contemporaneo? Manca però un elemento, esattamente pari a tutti quelli sopra menzionati: il calcio della Exor, ovvero della famiglia Agnelli. I cui interventi nella Juventus risultano essere tali e quali a quelli dei più noti e famigerati club europei sottoposti a una cura anabolizzante di denaro: Paris Saint Germain e Chelsea. Gli sceicchi, insomma, li abbiamo anche a casa nostra. Entro la stagione 2026/27 la Juventus sarà probabilmente campione d’Europa: non sul campo, come sognato dall’ex presidente Andrea Agnelli, arrivato a devastare strutturalmente il bilancio del club nella vana ricerca del suo Sacro Graal, la Champions League; ma nei libri contabili, con i bianconeri destinati a tagliare per primi il traguardo del miliardo di euro introiettato nelle casse del club dalla proprietà in meno di dieci anni.
Piccolo passo indietro. Della fallimentare operazione Ronaldo si è già detto tutto nel corso degli anni, ma ancora peggio è stato l’aumento degli stipendi per pagare la classe media dei giocatori, arrivando a zavorrare il bilancio in maniera strutturale. Vale a dire, conti insostenibili senza iniezioni esterne di denaro. Dalla stagione 2017/18 a oggi, la Juventus ha perso quasi un miliardo di euro (996 milioni per l’esattezza). Il tracollo è iniziato con la perdita del dominio sulla Serie A: -227 milioni nel 20/21, -239 la stagione successiva, quindi -124, -199 e -58. L’ultima cifra è la migliore degli ultimi sei anni, ma avrebbe potuto essere quasi un pareggio se, con un pizzico di realismo, negli ultimi giorni dell’estate 2024 la Juventus non avesse buttato oltre 50 milioni nella (disastrosa) operazione Koopmeiners, che ha fatto lievitare a 201 milioni le spese in nuovi acquisti. Nell’attuale stagione sono partiti altri 137 milioni, una cinquantina in più di quelli incassati da cessioni rivelatesi meno fruttuose del previsto. Infatti, la stessa dirigenza ha parlato di “risultati sportivi e commerciali inferiori rispetto a quelli previsti dal piano strategicoâ€. Traduzione: arriveranno altre perdite, e dalla sede nel quartiere di Zuidas, Amsterdam, dovranno partire nuovi bonifici per aggiustare le cose. Il pareggio di bilancio annunciato per la stagione 2026/27 dovrà quindi aspettare.
Nel 2024/25 Exor è intervenuta in due occasioni, versando un totale di circa 30 milioni di euro. I primi 15 sono arrivati a marzo, quando è stato deciso di licenziare Thiago Motta dopo l’uscita dalla Champions League per mano del Psv Eindhoven e dalla Coppa Italia contro l’Empoli. Gli altri sono arrivati il 30 giugno, giorno di scadenza dell’esercizio di bilancio, per tamponare le mancate operazioni in uscita di Timothy Weah e Samuel Mbangula al Nottingham Forest. In totale, dal 2017/18, la Exor ha investito 919 milioni di euro per tenere a galla la Juventus. Una cifra relativa alle sole iniezioni di denaro da parte delle proprietà , che non tiene conto di altre modalità di finanziamento (ad esempio, i debiti bancari dei bianconeri sono aumentati da 51 a 84 milioni di euro, ed è stata annunciata una nuova emissione obbligazionaria che dovrebbe generare 150 milioni). Guardando al resto della Serie A, campionato pressoché deregolamentato a livello di spese, in questa particolare classifica troviamo, alle spalle della Juventus, la Roma con 657 milioni e il Milan con 600, mentre l’Inter è lontana, a quota 44, e il Napoli addirittura a zero. Aurelio De Laurentiis non ha quindi messo un solo euro di tasca propria nel club.
Passando al raffronto con l’Europa bisogna invece tornare indietro di un esercizio contabile, visto che molti club non hanno ancora reso disponibile quello del 2024-25. Tolti i 30 milioni sopra menzionati, la Juventus si trova al terzo posto con 889 milioni pompati, contro i 925 del Chelsea e i 937 del Psg. Club i quali, da un alto, sono rispettivamente gli attuali campioni del mondo e d’Europa in carica; dall’altro, sono due esempi di gestioni contabili nefaste per i trucchi e gli artifizi utilizzati al fine di aggirare il (già morbido) sistema regolamentare del fair play finanziario. Basti ricordare gli hotel che la proprietà del Chelsea ha venduto a sé stessa, oppure le sponsorizzazioni “creative†del club franco-qatariota. Rimane il fatto che la Juventus, definibile oramai un top club-wannabe, vista la sproporzione tra aspettative e risultati sportivi, inietti molto più denaro nelle proprie casse di una reale potenza come il Manchester City che, che dopo la sbornia iniziale di investimenti da parte della proprietà emiratina, nel periodo considerato ha visto entrare nelle proprie casse “solo†93 milioni provenienti dalla proprietà . Meno dei cugini del Manchester United (182, cifra in crescita dopo l’arrivo di Jim Ratcliffe), ma anche di Liverpool (105), Newcastle (303), Arsenal (383) e dell’imbarazzante Everton (739).
In questa graduatoria, a zero rimangano squadre quali Barcellona, Real Madrid e Bayern Monaco, le quali, per struttura societaria, non posseggono azionisti sui quali contare nell’eventualità in cui le cose vadano male – e nel caso dei blaugrana abbiamo visto a più riprese quali trucchi contabili sono costretti a inventarsi per poter spendere i soldi che non hanno. Intanto, a novembre, in casa Juventus sono pronti altri 80 milioni di euro da versare sul conto corrente, arrivando così a superare il miliardo citato all’inizio. Il tutto con la novità dell’apertura da parte della Uefa di un procedimento contro il club per la violazione del fair play finanziario, che potrebbe concretizzarsi in una sanzione amministrativa. Ma tanto il portafoglio della Exor rimane bello gonfio.
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“Un giorno il popolo si renderà conto che lo stanno avvelenando e imbrogliando, comincerà a porsi domande e smetterà di conformarsi e di sottomettersi all’arroganza dell’industria alimentare, dell’agricoltura chimica, della plastica, dei farmaci perfino della scienzaâ€. L’avvertimento è netto, quasi un manifesto. Franco Berrino, epidemiologo di fama internazionale e già Direttore del Dipartimento di Medicina preventiva dell’Istituto Tumori di Milano, nel suo ultimo libro Il nostro veleno quotidiano (Rizzoli) denuncia senza mezzi termini i rischi di un sistema che, più che proteggere la salute, spesso la compromette. Abbiamo chiesto di parlarci dei principali temi di questo – come indicato nel sottotitolo – “Manuale di resistenza alimentareâ€.
Dottor Berrino, partiamo dai cibi ultra-processati.
“Sono tutti quegli alimenti che contengono ingredienti che non troviamo nelle nostre cucine: coloranti, addensanti, conservanti, esaltatori di sapidità . Non solo: spesso sono prodotti a cui è stato tolto qualcosa di naturale (come le fibre, per ottenere la farina 00) e aggiunto qualcos’altro. Bevande zuccherate e “zeroâ€, snack, salumi industriali, piatti pronti, merendine: più se ne consuma, più cresce la mortalità , soprattutto cardiovascolare. Negli Stati Uniti oltre il 50% delle calorie arriva da questi cibi, in Italia siamo intorno al 20-25%, ma molto più nei bambini, grandi consumatori di merendine e bibite gassateâ€.
Sul banco degli imputati anche carne e salumi…
“Le carni rosse fresche, se consumate in eccesso, aumentano il rischio di tumore al colon e allo stomaco, anche per l’elevata presenza di ferro che favorisce processi ossidativi. Nei salumi il problema principale sono la presenza di nitriti e nitrati, usati come conservanti: rendono il prodotto più sicuro dal punto di vista microbiologico, ma aumentano il rischio di cancro. Esistono prosciutti crudi senza nitriti, come il Parma e il San Daniele, che sono più assimilabili alla carne fresca. In ogni caso, carne e salumi andrebbero sempre accompagnati da molte verdure, ricche di sostanze antiossidanti che riducono il dannoâ€.
Nel libro lei mette in guardia dagli additivi, in particolare dagli emulsionanti. Perché?
“Gli emulsionanti, spesso indicati in etichetta come “mono e digliceridi degli acidi grassiâ€, servono a rendere soffici i prodotti da forno o cremosi i gelati. Ma gli studi – come il NutriNet francese – mostrano che chi ne consuma di più ha un aumento del rischio di tumori al seno e alla prostata. Inoltre possono danneggiare la barriera intestinale, favorendo l’infiammazione cronica, terreno fertile per molte malattieâ€.
Anche i sostituti vegetali “salutari†possono essere ingannevoli?
Sì. Molti affettati vegani e prodotti “plant-based†sono ultra-processati: per esempio, per ottenere le proteine isolate della soia o del pisello si interviene con procedimenti industriali che trasformano profondamente l’alimento. Non sono certo equivalenti a legumi o cereali integraliâ€.
Passiamo alle plastiche, un tema molto discusso.
“Due sostanze in particolare sono problematiche: il bisfenolo A, presente nelle plastiche dure di molti articoli e nei rivestimenti interni delle lattine, e gli ftalati, usati per ammorbidire le plastiche. Il bisfenolo A è un potente interferente endocrino con azione simile agli estrogeni: per anni è finito nel latte dei neonati attraverso i biberon scaldati a bagnomaria, condizionando diverse generazioni di bambini. È stato vietato nei prodotti per bambini nel 2011, ma continua a essere usato in molti imballaggi, anche se l’UE ne ha recentemente limitato l’uso. Il problema è che spesso viene sostituito con il bisfenolo F o S, chimicamente simili e potenzialmente ugualmente pericolosi. Gli ftalati invece, che rendono morbide le plastiche (giocattoli, pellicole alimentari), sono anti-androgeni e associati a riduzione della fertilità maschileâ€.
Queste microplastiche vanno poi a finire anche nell’acqua.
“È ormai accertato che siano presenti sia nelle acque in bottiglia, sia in quelle di rubinetto, per rilascio dalle tubature e dalle bottiglie stesse. La soluzione è usare filtri: a carbone attivo, che trattengono parte delle microplastiche, o a osmosi inversa, che arrivano a bloccarne la maggior parte. L’acqua filtrata risulta così più sicura e l’eventuale minore presenza di sali minerali la compensiamo comunque dal consumo di verdure e alimenti integraliâ€.
I bambini sono ancora più esposti?
“Molto di più. I bambini gattonano, mettono tutto in bocca, respirano polveri domestiche che contengono residui di microplastiche e pesticidi. Alcuni giochi in plastica, soprattutto quelli morbidi, rilasciano ftalati. Uno studio ha perfino misurato le microplastiche nelle feci dei bambini: dieci volte superiori a quelle degli adulti. È un dato impressionante, che ci dice quanto i più piccoli assorbano veleni senza saperlo, anche solo giocando su tappeti sintetici o erba artificiale. L’alternativa? Facciamoli giocare con giocattoli di legno e in ambienti più naturaliâ€.
C’è poi la questione dei pesticidi.
“Le leggi fissano limiti di residui per ciascun prodotto, ma non considerano l’effetto accumulo né il cosiddetto cocktail effect: se su un grappolo d’uva vengono usati dieci pesticidi diversi, ciascuno nei limiti, nessuno sa quale sia l’effetto combinato. Alcune di queste sostanze hanno azione ormonale documentata. Ma ci si può difendere: scegliendo alimenti biologici e cucinando cibi semplici, cereali integrali, legumi e verdure di stagione. In questa maniera rendiamo il biologico non molto costoso, soprattutto se si evitano i prodotti trasformati che anche questo settore offreâ€.
Un altro capitolo è dedicato agli zuccheri e ai dolcificanti.
“Consumiamo troppi zuccheri, soprattutto in forma liquida. Un bicchiere di bibita zuccherata al giorno aumenta il rischio di morte del 10%. E non pensiamo che i dolcificanti artificiali siano una soluzione. Anzi: i grandi studi mostrano che aumentano la mortalità e il rischio di diabete. Il motivo? Sono talmente dolci da ingannare l’intestino, che reagisce come se arrivasse zucchero vero: apre i canali per assorbirlo e, a lungo andare, altera il metabolismo, favorendo l’insulino-resistenza. Meglio usare frutta intera o in qualche caso un po’ di miele di qualità , senza inseguire l’illusione del ‘dolce senza conseguenze’â€.
Infine, la prevenzione. Cosa significa davvero?
“Prevenzione non vuol dire sottoporsi a check-up infiniti, ma ridurre l’esposizione quotidiana ai veleni e adottare stili di vita sani. La politica dovrebbe sostenere l’agricoltura biologica e misure come la sugar tax. Ma anche senza attendere le leggi, possiamo scegliere ogni giorno: cucinare semplice, leggere le etichette, limitare le plastiche e difendere i bambini, che sono i più esposti a queste sostanzeâ€.
L'articolo “Un giorno il popolo si renderà conto che lo stiamo avvelenando e imbrogliando”: Franco Berrino svela i veleni nascosti nella nostra alimentazione quotidiana proviene da Il Fatto Quotidiano.
Nelle piccole imprese italiane la parola “delega†fa ancora paura. Il controllo totale non è più un segno di forza ma un limite. Eppure, è proprio da lì che passa la crescita
C’è una frase che ho sentito mille volte, detta con un misto di orgoglio e stanchezza: “Alla fine, qui se non decido io, non si muove niente”. È una frase che fotografa perfettamente l’anima di tante piccole e medie imprese italiane. Realtà dove il titolare è il motore, il cervello e spesso anche il pronto soccorso di ogni decisione. Dal fornitore da scegliere al cliente da accontentare, dal preventivo urgente alla sostituzione di un dipendente: tutto passa da lui. Eppure, in quel modello apparentemente virtuoso, si nasconde la radice di molti rallentamenti e, a volte, di veri blocchi di crescita.
Delegare non è solo “lasciare fare agli altriâ€: è un atto di fiducia, una scelta strategica che distingue un’impresa che sopravvive da una che cresce. Ma per molti imprenditori la parola “delega†fa paura, perché significa rinunciare a un pezzo di controllo. E per chi ha costruito tutto con le proprie mani, non è affatto semplice.
Il punto è che decidere tutto da soli non è più possibile. Il mercato cambia ogni giorno, i clienti pretendono risposte immediate, le persone vogliono sentirsi parte di un progetto. Continuare a essere l’unico depositario di ogni decisione rischia di trasformare l’imprenditore in un collo di bottiglia, anche se è mosso dalle migliori intenzioni.
Allora, la domanda non è se delegare, ma cosa delegare.
La prima regola è semplice: le decisioni operative, quelle legate al quotidiano, appartengono a chi è più vicino all’azione. Chi lavora a contatto con il cliente o con la produzione vede cose che dall’ufficio direzionale spesso non si colgono. Un commerciale che conosce l’umore del cliente, un tecnico che sa esattamente dove si inceppa una macchina, un responsabile amministrativo che anticipa un rischio di liquidità : sono tutti occhi e orecchie preziosi per l’impresa. Se li coinvolgiamo nelle decisioni, non stiamo perdendo potere: stiamo moltiplicando l’intelligenza collettiva dell’azienda.
Un’altra regola d’oro è osservare cosa si ripete. Ogni volta che una decisione è ricorrente — un ordine da approvare, un piccolo sconto da concedere, una spesa da autorizzare — siamo davanti a un potenziale terreno di delega. Invece di restare prigionieri del “lo devo vedere ioâ€, si può definire una soglia, una regola, un limite chiaro (ad esempio delegare decisioni fino a X euro). È così che si costruiscono processi solidi: togliendo la casualità e sostituendola con criteri condivisi.
Ma delegare non è soltanto distribuire compiti. È dare a qualcuno il diritto — e il dovere — di decidere. È un patto: io ti affido una parte del mio potere, tu te ne assumi la responsabilità . È così che si forma la vera classe dirigente nelle piccole imprese. Non con corsi di formazione teorici, ma con atti concreti di fiducia quotidiana.
Naturalmente ci sono decisioni che restano in capo all’imprenditore: quelle strategiche, che cambiano il futuro dell’azienda; le scelte finanziarie delicate; le mosse che toccano la reputazione o la struttura patrimoniale. Ma tutto il resto — l’enorme mare di decisioni operative e tattiche — può e deve essere progressivamente condiviso. Delegare non significa sparire: significa scegliere dove serve davvero esserci.
Il passaggio più difficile è culturale. Molti imprenditori pensano che “se lo fanno gli altri, lo faranno peggioâ€. E in parte è vero, all’inizio. Ma delegare è un investimento, non un risparmio immediato. All’inizio si perde un po’ di tempo per spiegare, formare, correggere. Poi però il tempo torna moltiplicato. Fate una prova per sei mesi legittimando il processo. E poi, per capire l’impatto del trade off, verificate quanti e quali costi ha prodotto tale scelta: quanti reclami, quanti insoluti, quanti guasti. L’impresa diventa più autonoma, le persone più motivate, e il capo finalmente può occuparsi di ciò che nessuno può fare al suo posto: guardare avanti.
La delega non è debolezza. È la più alta forma di leadership. È la capacità di costruire una squadra che funziona anche senza il capo, e che proprio per questo rende il capo davvero indispensabile, ma in un altro modo: come guida, non come tappo. Un piccolo imprenditore dovrebbe chiedersi, ogni tanto: “Se domani mi fermassi per una settimana, cosa succederebbe qui dentro?â€. Se la risposta è “si blocca tuttoâ€, allora la delega non è un lusso. È una questione di sopravvivenza.
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Si dorme un’ora in più. Nella notte tra sabato 25 e domenica 26 ottobre, le lancette degli orologi torneranno indietro di un’ora, ristabilendo l’ora solare fino a marzo 2026. Ma dietro questo gesto abitudinario si nasconde un paradosso europeo: mentre l’Italia ha appena concluso sette mesi di ora legale risparmiando oltre 90 milioni di euro, la proposta di abolire questo cambio semestrale è bloccata da sette anni a Bruxelles, ostaggio dell’indecisione degli Stati membri.
Nonostante questi dati, il futuro del cambio d’ora rimane incerto. Nel 2018, in risposta alle richieste del Parlamento europeo e di diversi Stati, la Commissione europea aveva presentato una proposta di direttiva per abolire il cambio semestrale, lasciando a ogni Paese la scelta se adottare permanentemente l’ora solare o quella legale. Da allora, però, il dossier è bloccato. La proposta “non è stata discussa in Consiglio dal 2019”, ha ammesso una portavoce dell’esecutivo comunitario. Gli Stati membri non riescono a trovare un’intesa, divisi tra chi preferisce un fuso e chi l’altro. Complici la pandemia e le crisi successive, la proposta è rimasta ferma, anche se non ritirata. “Ieri abbiamo presentato il programma di lavoro della Commissione e la proposta sul cambio dell’ora è ancora lì”, ha confermato la portavoce durante un briefing con la stampa.
La Commissione ha ribadito la sua posizione: la decisione non può essere imposta dall’alto, ma deve essere coordinata. “Crediamo fondamentalmente che si tratti di un aspetto che gli Stati membri devono concordare e coordinare tra loro”, ha aggiunto. “Ma ora la palla è nel campo degli Stati membri, e spetta davvero a loro trovare una posizione comune su questa proposta”. In attesa che i governi trovino un accordo, la vecchia direttiva resta in vigore. E, come ha concluso con una nota di ironia la portavoce, l’unica certezza è la “buona notizia” immediata: “Preparatevi: potrete dormire un’ora in più il prossimo fine settimana”.
L'articolo Cambio dell’ora ottobre 2025, torna l’ora solare: come e quando spostare le lancette. L’abolizione? Ecco perché il dossier è bloccato da 7 anni proviene da Il Fatto Quotidiano.
Pink Floyd. Pigs might fly: la vera storia, di Mark Blake (traduzione di Marco Rossari; Il Castello), è, probabilmente, l’opera definitiva sulla storia dei Pink Floyd. Con l’accuratezza di uno storico e la prosa coinvolgente di un giornalista musicale di lungo corso (Blake ha collaborato con testate come Mojo e Q), l’autore scava nelle fondamenta di una delle band più enigmatiche e rivoluzionarie della storia del rock, offrendo una narrazione tanto meticolosa quanto appassionante.
Strutturato in modo non lineare, con un intreccio temporale che oscilla tra analessi e prolessi, il libro mantiene, comunque, un filo logico. Blake sceglie di iniziare dalla fine, o per meglio dire, da una delle resurrezioni più inattese: l’esibizione dei Pink Floyd al Live 8 di Londra nel 2005. Questo incipit offre subito una chiave di lettura: la band è un’entità complessa, costantemente in bilico tra il passato glorioso e le fratture insanabili tra i suoi membri, in particolare tra Roger Waters e David Gilmour.
Da qui, il reportage si dispiega all’indietro, tracciando le origini dei singoli protagonisti —dall’infanzia di Roger Waters, segnata dalla perdita del padre, all’enigmatico talento e poi al declino di Syd Barrett. Blake ricompone il mosaico con una dovizia di dettagli che superano l’aneddotica superficiale, concentrandosi sull’humus letterario, artistico e sociale della Londra degli anni 60 da cui i Floyd sono emersi.
Nel libro emergono le testimonianze dirette e le interviste dei protagonisti, degli addetti ai lavori e degli amici e conoscenti della band inglese, un esaustivo retroscena che disseziona le dinamiche interne ai Pink Floyd. Dagli esperimenti psichedelici di The Piper at the Gates of Dawn alla consacrazione mondiale di The Dark Side of the Moon e la maestosità tematica di The Wall, Blake non si limita a celebrare le fasi compositive del gruppo, ma dà risalto alle liti furiose, alle tensioni creative e ai fallimenti umani e professionali che, paradossalmente, sono stati il combustibile per l’arte dei Pink Floyd.
L’autore affronta la parabola di Syd Barrett con sensibilità e meticolosità , svelando dettagli sui suoi anni successivi, in cui il musicista si era ritirato completamente; Waters e Gilmour vengono dipinti come i due poli opposti di una tensione creativa destinata a esplodere; Nick Mason e Richard Wright non vengono relegati a semplici comprimari, ma gli viene restituita la loro importanza fondamentale nel definire il sound e l’identità visiva e sonora del gruppo. Lo stile narrativo è quello di un giornalismo d’inchiesta musicale: non c’è idolatria, ma una costante ricerca della verità contestuale.
Pink Floyd. Pigs might fly: la vera storia, è un’opera che, pur essendo ricchissima di informazioni, riesce a non essere mai pesante. È un resoconto definitivo non per la sua completezza enciclopedica, ma per la sua capacità di far luce sulle prospettive diverse e spesso conflittuali che hanno generato capolavori intramontabili. Per chiunque voglia capire come il volo più improbabile del rock sia stato possibile, questo libro è, semplicemente, indispensabile.
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