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Media a cura di Redazione Cronaca
Sciopero dei giornalisti de la Repubblica contro la vendita della testata: sabato non sarà in edicola e venerdì stop al sito

Avevano dichiarato lo stato di agitazione permanente come i loro colleghi de La Stampa (che oggi hanno scioperato). E venerdì sono i giornalisti de la Repubblica a incrociare le braccia contro la conferma da parte dei vertici del gruppo Gedi dell’intenzione di vendere la testata così come La Stampa, Huffington Post e Sentinella del Canavese. Il sito di Repubblica non verrà aggiornato dalle 7 di venerdì fino alle 7 di sabato mentre l’edizione cartacea non sarà in edicola sabato. “Siamo pronti a una stagione di lotta dura a tutela del perimetro delle lavoratrici e dei lavoratori e dell’identità del nostro giornale a fronte della cessione ad un gruppo straniero, senza alcuna esperienza nel già difficile panorama editoriale italiano e il cui progetto industriale è al momento sconosciuto”, dichiara l’assemblea.

“Riteniamo intanto indispensabile – si legge ancora – che i vertici di Gedi mettano immediatamente sul tavolo delle trattative con l’acquirente garanzie sul mantenimento dei livelli occupazionali e sulla salvaguardia dell’identità politico-culturale“. “Ci impegniamo fin da oggi – scrivono le giornaliste e i giornalisti – a combattere con ogni strumento a nostra disposizione per la difesa di queste garanzie democratiche fondamentali per l’intero Paese”.

Il probabile acquirente è il gruppo greco Antenna1 della famiglia Kyriakou, che però è interessato solo a Repubblica e alle radio per cui si appresterebbe subito dopo a fare a uno “spezzatino†vendendo parte del pacchetto. Il prezzo della vendita sarebbe di poco superiore ai 140 milioni di euro. Sempre venerdì il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega all’informazione e all’editoria, Alberto Barachini, incontrerà i vertici di Gedi e i cdr de La Stampa e de la Repubblica. Il sottosegretario giovedì aveva annunciato di averli convocati in relazione alla vicenda della ventilata cessione del gruppo.

“L’esito è stato sconcertante, sconfortante e umiliante per la redazioneâ€, è stato il commento della rappresentanza sindacale dei giornalisti de La Stampa a quanto emerso da un incontro con i vertici del gruppo Gedi. “L’obiettivo sarebbe di chiudere in parallelo le due operazioni di vendita nel giro di due mesi. Rispetto alle nostre richieste non è stata data alcuna garanzia sul futuro della testata, sui livelli occupazionali, sulla solidità del potenziale compratore, sui destini delle attività messe in comune a livello di gruppo, dalle infrastrutture digitali alla produzione dei video, e quindi senza nessuna garanzia di poter continuare a svolgere il nostro lavoro così come abbiamo fatto fino a oggiâ€, hanno aggiunto. Giovedì anche l’assemblea dei giornalisti de La repubblica ha decretato lo stato di agitazione permanente con “la sospensione immediata della partecipazione a tutte le iniziative editoriali specialiâ€. E adesso la proclamazione dello sciopero.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 20:35:29 +0000
Trending News a cura di F. Q.
Lo sfogo di Raoul Bova ad Atreju: “Per l’audio sugli occhi spaccanti ho subito un’uccisione pubblica. Mi hanno trattato da appestatoâ€

“Quando mi è accaduto quello che mi è successo ho avuto moltissime persone che mi sono state vicine, ma altri no. Gente ha preso le distanze e ti trattano come un appestato, diventi qualcosa da evitare. Mi preoccupo per chi non ha una solidità o persone che gli stanno vicino, in questi casi le persone ci hanno anche rimesso la vita”. Lo ha detto l’attore Raoul Bova, rispondendo alle domande dei giornalisti a margine di un panel ad Atreju sul cyberbullismo. “Come evitare che riaccada quello che è successo a me? Ci vorrebbe più velocità di intervento da parte delle piattaforme innanzitutto, delle autorità e di tutte le persone che devono intervenire in casi del genere” ha aggiunto. “Quello che ha pagato sono stato io. Ho pagato con l’uccisione pubblica, con una persona che mi ha sbeffeggiato e ridicolizzato” ha detto sul palco della kermesse di Fratelli d’Italia parlando dell’audio privato diffuso la scorsa estate. “Tutti sapevano di questa parola Occhi spaccanti – ha aggiunto – andata più in voga della guerra, delle persone che vengono uccise, delle donne, dei femminicidi, di qualsiasi altra cosa. Questo è successo durante l’estate che mi ha ucciso”. L’attore ha raccontato di essersi sentito “molto solo, non c’è stata una reazione” quell’audio “andava bloccato in partenza perché era già stato denunciato. Nessuno ha alzato la mano per dire di fermarlo”

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 20:12:05 +0000
Politica a cura di Manolo Lanaro
Fico torna ad Atreju dopo 7 anni: “Agli inviti ho sempre rispostoâ€. Il saluto con Donzelli

Tra gli ospiti di Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, incorso a Roma, oggi è stata la volta di Roberto Fico, neo Presidente della Regione Campania. L’esponente del Movimento 5 Stelle venne ad Atreju già nel 2018 in veste di Presidente della Camera dei Deputati. Gli chiediamo in questi sette anni è cambiato più il Movimento, Fratelli d’Italia o il Paese? “Io agli inviti ho sempre risposto, parlare di una tematica come i fondi di coesione anche in un luogo che non risponde alle mie idee politiche, non c’è problemaâ€. Rivolgiamo la stessa domanda a Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia. “Parta rei, tutto cambia. Fratelli d’Italia è un po’ più grande del 2028 però dipende dagli italiani come sempreâ€.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 19:41:21 +0000
Politica a cura di Manolo Lanaro
Ad Atreju il confronto tra Nordio e Silvia Albano di Magistratura democratica. E Delmastro fa il pronostico: “Al referendum vittoria netta del Sìâ€

Era un dibattito molto atteso quello sulla separazione delle carriere dei magistrati che è andato in scena oggi ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, in corso a Roma. Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio si è confrontato con Silvia Albano, presidente di Magistratura Democratica. Sul palco per il sì al referendum anche Alberto Balboni, senatore Fdi e presidente della Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama, Antonio Di Pietro e Sabino Cassese. “Il referendum non è su come funzione la giustizia né su come funziona la magistratura, ma sull’impedire ai giudici di ostacolare la politica†ha detto Albano al Fattoquotidiano.it. E il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove ha voluto fare il suo pronostico sul referendum. “Vittoria netta del sìâ€.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 19:29:22 +0000
Lobby a cura di Redazione Economia
Generali abbandona il progetto di gestione del risparmio insieme ai francesi di Natixis

Come previsto, esce dai radar anche il casus belli che ha portato alla conquista di Mediobanca da parte del Monte dei Paschi di Siena. L’alleanza da 1.900 miliardi di euro fra Generali e Natixis nel risparmio gestito è stata definitivamente archiviata. Il gruppo di Trieste e i francesi di Bpce cui fa capo Natixis, hanno deciso di interrompere le trattative iniziate poco meno di un anno fa che avevano messo in allarme il governo. Dandogli argomenti per spalleggiare la scalata al primo socio del Leone, Mediobanca appunto.

Tutto era rimasto bloccato in attesa di capire l’esito dell’offerta che ha poi fatto finire piazzetta Cuccia sotto il controllo di Mps in un’operazione che è tutt’ora al vaglio della Procura di Milano. L’obiettivo nel prendere più tempo, dopo aver eliminato le penali da 50 milioni che pendevano su chi avesse fatto un passo indietro, era di trovare condizioni più digeribili ai soci di riferimento del Leone, Caltagirone e Delfin. Entrambi fin dall’inizio hanno infatti osteggiato l’alleanza, così come hanno fatto diversi esponenti del governo.

Evidentemente alla fine non si è trovata la quadra sul progetto che, nelle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto far nascere un campione europeo mettendo assieme le rispettive attività nell’asset management. A comunicarlo sono stati i diretti interessati, Generali e Bpce, che in una nota hanno spiegato di aver “condotto approfondite interlocuzioni e le consultazioni previste con gli stakeholder interessati” in linea con quanto prevedono i rispettivi processi e modelli di governance. “Sebbene negli ultimi mesi il lavoro svolto insieme abbia confermato il merito e il valore industriale di una partnership” entrambi “hanno stabilito congiuntamente di interrompere le consultazioni, in linea con i termini comunicati il 15 settembre scorso, concludendo che non sussistono le condizioni per raggiungere un accordo definitivo”.

Che il matrimonio nella gestione del risparmio non fosse da fare si era capito da tempo, con la fine del supporto all’alleanza coi francesi da parte Mediobanca non più guidata da Alberto Nagel. Nel comunicato congiunto con il quale hanno ufficializzato il fallimento, Bpce e Generali hanno comunque assicurato di voler mantenere il loro “impegno per lo sviluppo di un’industria finanziaria dinamica, guidata da campioni europei competitivi a livello globale che contribuiscano al successo economico della regione”. Ma la partita più importante per il Leone di Trieste ora è un’altra.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 19:20:34 +0000
Mondo a cura di Mario Portanova
“Dio è con noiâ€: così Trump, Putin e Netanyahu arruolano la religione per guerre e potere

“Gesù ha vissuto tre anni e mezzo in Egitto. Ma non era illegale“. Parola, anzi Verbo, di Paula White, consigliera spirituale di Donald Trump. Così si concilia il Vangelo col pugno duro del presidente contro gli immigrati. E così Dio va (o torna) al potere. Vince le elezioni, “benedice” guerre, terrorismo, regimi autoritari. MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, nel numero in vendita da venerdì 12 dicembre offre inchieste, interviste, approfondimenti sulla religione che, negli ultimi anni, è tornata prepotentemente in politica, e proprio in un’era che consideriamo materialista e tecnologica (qui potete trovare la libreria o l’edicola più comoda per voi; Millennium è in vendita anche sugli store online Amazon, Ibs, Feltrinelli, Mondadori, Liberia Universitaria, Hoepli).

Non c’è solo l’integralismo islamico di Hamas e dintorni. Come scrive Fabrizio d’Esposito, “Dio è con noi” è un motto che si cuce addosso agli Stati Uniti di Trump, alla Russia di Putin, a Israele di Netanyahu, ma anche all’India di Modi e persino, per certi versi, in Cina, dove il Partito comunista recupera pezzi di buddismo, confucianesimo, taoismo. Mentre in Europa e in Italia l’area sovranista si ammanta di un cattolicesimo ultraconservatore e anti-bergogliano.

Roberto Festa ci porta negli Stati Uniti, raccontando il patto fra Trump e le potenti Chiese evangeliche, gra sedicenti “apostoli”, megachurch milionarie, crociate anti-gender e sostanziosi finanziamenti a spese dei contribuenti. Mentre Nancy Porsia si è immersa fra i neomessianici del Beth Israel Worship Center, in New Jersey, per raccontarci la strana alleanza fra cristianesimo ed ebraismo, sempre in chiave ultraortodossa.

Del resto in Israele il Peres Centre for Peace and Innovation non esita a paragonare Hamas e le componenti più radicali del governo Netanyahu, opposti estremismi accomunati dal claim “morte agli infedeli”, scrive Roberto Casalini. E l’integralismo islamico? Passano le sigle del terrore, come al-Qaeda e Isis, ma l’idea resta: la nuova frontiera è l’Africa – basta guardare al Sudan – ma i soldi, le moschee e le scuole coraniche estremiste prosperano grazie a fondi copiosi che arrivano da Paesi “amici” dell’Occidente, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi, si legge nell’inchiesta di Laura Silvia Battaglia.

Dio non è morto, come qualcuno credeva. È tornato, anzi risorto, nella sua versione più bellicosa, totalitaria, ma anche pop. “Ehi raga, fate un applauso a Dio”, si sente dire al Ministero Sabaoth fondato a Milano dalla pastora brasiliana Rosalen Boerner Faccio, racconta Federica Tourn in un viaggio stupefacente nelle chiese evangeliche italiane, illustrato dal fotografo Federico Tisa. In Italia gli evangelici sono circa mezzo milione, e non sono solo immigrati. L’apostolo (anche qui) Lirio Porrello da Palermo conta diecimila fedeli in una settantina di chiese.

Intanto qui da noi è possibile convertirsi all’Islam via Whatsapp, e chattare per districarsi nel labirinto di precetti che toccano ogni aspetto della vita quotidiana: Antonio Armano l’ha provato per voi.

“Usare il nome di Dio per giustificare il sangue versato è la bestemmia più grande“, si indigna don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che in una lunga intervista a Ettore Boffano riflette sull’uso (e abuso) politico della religione e sulla Chiesa del dopo Bergoglio. A scanso di equivoci, l’ottantenne don Ciotti c ricorda che Dio è sempre “dalla parte delle vittime”.

Fuori dall’impegnativo tema di copertina, il premio Nobel per l’Economia Daron Acemoglu, intervistato da Chiara Brusini, ci mette in guardia dal “patto fra élite e le big tech dell’Intelligenza artificiale“, che “corrode la democrazia“. Sta accadendo negli Stati Uniti, ma lo scenario peggiore è quello della Russia, dove “non sono gli oligarchi a comandare Putin, è Putin che controlla gli oligarchiâ€.

Il fotogiornalista Gabriele Rossi, invece, ha passato qualche settimana con i giovanissimi membri della gang “Barrio18” a San Pedro Sula, la città più violenta del violentissimo Honduras, raccogliendo le loro storie, fra omicidi, torture, spaccio e disastro sociale.

Come sempre, spazio alle immagini d’autore, con un portfolio dedicato a un grande della fotografia italiana, Ferdinando Scianna, intervistato da Gabriele Miccichè.

Infine, fra le rubriche, Valentina Petrini torna a parlare di “tossicità finanziaria“, il rischio povertà per chi scopre di avere un tumore ma si scontra con le liste d’attesa della sanità italiana, trovandosi costretto a pagare per non morire. Valentina Petrini vuole continuare a raccogliere storie: potete raccontarle la vostra scrivendo a millennium@ilfattoquotidiano.it.

Per abbonarvi a Millennium e leggere gli articoli sul sito, cliccate qui.

Tra le firme e gli intervistati di questo numero:

Daron Acemoglu, Laura Silvia Battaglia, don Luigi Ciotti, Fabrizio d’Esposito, Roberto Festa, Peter Gomez, Antonio Padellaro, Nancy Porsia, Carlo Petrini, Valentina Petrini, Claudia Rossi, Federica Tourn, Marco Travaglio, Alberto Vannucci, Horacio Verbitsky

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 19:06:48 +0000
Sport News a cura di Lorenzo Vendemiale
Boxe dentro al poligono di tiro: l’esperimento a Milano scatena il braccio di ferro con i militari, che minacciano lo sgombero

Tiro a segno e pugilato, boxe dentro a un poligono: un binomio insolito fra due discipline che non hanno nulla in comune (o quasi, come vedremo), e che però è diventato un caso istituzionale, in grado di scomodare addirittura il genio militare.

A ottobre, infatti, nella sede Nazionale del Tiro a segno di Milano, era stata inaugurata una nuova sede della Federazione Pugilistica. L’origine dell’iniziativa è da ricercarsi nell’unico punto reale di contatto fra le due discipline, che ha un nome e un cognome: Walter De Giusti, segretario generale della Federazione Pugilato, ma anche commissario dell’Unione Italiana Tiro a segno (UITS). Proprio grazie a questo doppio ruolo (che nell’ambiente sportivo aveva già sollevato perplessità), ha pensato di prendere i classici due piccioni con una fava. Visto che nell’impianto, a seguito della chiusura di una palestra e un bar che non avevano titolo per stare lì, si erano liberati degli spazi, ha pensato di metterli a disposizione di altri atleti di un’altra Federazione (quella di cui è segretario).

Più facile a farsi che a dirsi: la trovata innovativa del presidente-commissario non aveva fatto i conti con i militari, per cui le norme vengono prima di tutto. I campi di tiro sono compresi tra gli immobili demaniali e sono dati in uso, a titolo gratuito, alle varie sezioni: ciò implica che quest’ultime non possono subappaltarle, e ne hanno obbligo di custodia, che mal si sposa con l’apertura agli esterni (quali appunti i tesserati della boxe). I poligoni sono luoghi sensibili, dove vengono conservate armi e già ci sono stati problemi di sorveglianza in passato.

Ne è nata una vera e propria guerra a colpi di carte bollate, con una prima diffida a fine di novembre, i sigilli ai locali e da ultimo addirittura una lettera che richiede lo sgombero immediato: “In seguito al sopralluogo effettuato in data 4 dicembre 2025 è stato accertato che, nonostante la diffida, i locali posti nel seminterrato risultano ancora occupati da un ring, da attrezzature per la boxe, da un tapis roulant e altri attrezzi per il cardiofitness e l’allenamento total bodyâ€, si legge nel documento firmato dal 3° Reparto Infrastrutture Ufficio Demanio. “Con la presente si intima lo sgombero entro il termine di sette giorniâ€. Non solo: in caso di inottemperanza è minacciato lo sgombero forzoso, e in ogni caso viene chiesto un indennizzo (che sarà quantificato dall’Agenzia del Demanio) per l’occupazione in queste settimane.

In un momento in cui nello sport si parla tanto di accorpamenti e efficientamento, e le Federazioni perdono tesserati e hanno bisogno di nuova linfa, la sinergia poteva essere anche una buona idea, ma certo non può nascere solo dal fatto che alla guida delle due discipline ci sia la stessa persona. In ogni caso la questione è destinata a non finire qui, perché il commissario-presidente De Giusti rimane convinto della bontà della sua iniziativa. Non vuole rinunciare per colpa della burocrazia (come un semplice ritardo nel protocollo d’intesa fra le due Federazioni, o le altre obiezioni sollevate) perciò è pronto a rilanciare, proponendo eventualmente anche il tesseramento dei pugili (in modo che non siano più “esterniâ€) o eventualmente a traslocare in un altro spazio (a quel punto il Demanio avrebbe il problema del rischio di abbandono dell’impianto).

Il caso va contestualizzato nelle tensioni che attraversano l’UITS, già raccontate dal Fatto. L’ente è stato commissariato a inizio 2025 dopo la telenovela sulle elezioni dell’ex presidente Vespasiano. Il commissario De Giusti aveva deciso di congelare le urne, ma il Tar di recente ha stabilito che si deve andare subito al voto. Sentenza che è stata ottemperata in un modo che non ha convinto tutti: il commissario ha sì convocato l’assemblea, ma soltanto per maggio 2026, per completare prima le attività amministrative in sospeso. Sullo sfondo, rimane la possibile riforma dell’ente, su cui il governo ha intenzione di intervenire profondamente, separando la parte pubblica (le armi) da quella sportiva, sul modello di quanto appena fatto con l’Automobil Club. Ma chissà se si farà a tempo prima delle elezioni, e se ciò potrà avere ripercussioni sul voto. Il Tiro a segno ha già tante incognite. Forse troppe per pensare pure al pugilato.

X: @lVendemiale

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 18:48:11 +0000
Mondo a cura di Redazione Esteri
Austria, il parlamento approva il divieto per le ragazze sotto i 14 anni di indossare l’hijab a scuola

In Austria, d’ora in avanti, le ragazze con meno di 14 anni non potranno più indossare l’hijab a scuola. La decisione è stata approvata dal Parlamento di Vienna a larga maggioranza. Secondo il governo guidato dal conservatore Christian Stocker del Partito popolare austriaco, il divieto mira a proteggere le ragazze dall’oppressione. Il partito dei Verdi, all’opposizione, ha votato contro il bando del velo islamico, affermando che si tratta di una misura incostituzionale.

La decisione è stata già contestata da attivisti e gruppi per i diritti umani, che parlano di discriminazione e denunciano il rischio di creare divisioni all’interno della società austriaca. Alle ultime elezioni politiche, il partito di estrema destra Fpo aveva sfiorato il 30%.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 18:22:36 +0000
Mondo a cura di Redazione Esteri
Bulgaria, il governo si dimette dopo le proteste contro la corruzione e le politiche economiche

Dopo meno di un anno di mandato, il primo ministro bulgaro Rosen Zhelyazkov ha rassegnato le dimissioni del suo governo. L’annuncio è arrivato durante un discorso televisivo, mentre il Parlamento stava per votare la mozione di sfiducia. La svolta arriva dopo settimane di proteste contro le politiche economiche e l’inefficace contrasto alla corruzione del governo Zhelyazkov. Per il Paese il momento è molto delicato, visto che il 1° gennaio entrerà nella zona euro.

“La nostra coalizione si è riunita, abbiamo discusso della situazione attuale, delle sfide che ci troviamo ad affrontare e delle decisioni che dobbiamo prendere responsabilmente”, ha dichiarato pubblicamente il primo ministro dimissionario. A fare pressione sono state anche le proteste di mercoledì, quando nelle capitale Sofia e in altre città più di 100mila persone sono scese in strada per manifestare contro il governo.

Un clima d’opinione che si inserisce nel complesso quadro delle istituzioni bulgare: secondo l’ong Transparency International, la Bulgaria è agli ultimi posti nella classifica dell’indice europeo di percezione della corruzione. A inizio anno, la Bulgaria era uscita dallo stallo politico con il governo di Rossen Zheliazkov, rappresentante del partito conservatore Gerb: già da allora, i commentatori politici ritenevano che la fragile coalizione non sarebbe durata a lungo.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 17:47:24 +0000
Mondo a cura di Redazione Esteri
Media: “Gli Usa hanno invitato Italia e Germania ad aderire al Consiglio di Pace per Gazaâ€

Il piano di Donald Trump per la Striscia di Gaza sta per essere definito. E l’Amministrazione statunitense ha invitato l’Italia e la Germania ad aderire al Consiglio di Pace. La notizia è stata riportata da Axios che cita due fonti a conoscenza diretta della questione. È inoltre previsto che a guidare il Gaza Board of Peace sia lo stesso presidente Trump e che i suoi principali consiglieri diventeranno membri del comitato esecutivo internazionale. Secondo la stessa testata statunitense, gli alleati sarebbero stati informati anche sulla Forza internazionale di stabilizzazione (Isf), che dovrebbe essere composta da rappresentanti di diversi Paesi per il mantenimento della pace sotto il mandato delle Nazioni Unite. Indonesia, Azerbaigian, Turchia ed Egitto hanno già detto di voler inviare soldati. Non è ancora chiaro se questi Paesi ne faranno parte e se qualche Stato occidentale accetterà di inviare truppe. La seconda fase dell’accordo per Gaza – recentemente approvato dall’Onu – prevede, infatti, un ulteriore ritiro dei militari israeliani, il dispiegamento delle Isf a Gaza e l’entrata in vigore di una nuova struttura di governo, che include il Consiglio di Pace. Come già trapelato nei giorni scorsi, del Board non farà parte Tony Blair, dopo la ferma opposizione dei Paesi arabi. Rimangono però ancora dubbi sulle tempistiche sull’inizio della fase due.

Un generale Usa a capo della Forza Internazionale

Secondo quanto trapela, il tycoon starebbe anche pianificando la nomina di un generale americano a capo della Forza Internazionale. Una nomina che sarebbe finalizzata ad accrescere ulteriormente la responsabilità degli Stati Uniti nella messa in sicurezza e nella ricostruzione della Striscia, mentre a Gaza si continua ancora a morire anche per le inondazione e il freddo. Gli Stati Uniti hanno già istituito un quartier generale civile-militare in Israele per monitorare il complesso cessate il fuoco e coordinare gli aiuti umanitari. Gli Usa guiderebbero così la forze di sicurezza dell’enclave senza però inviare truppe americane sul terreno. La notizia sarebbe stata già comunicata dall’ambasciatore americano alle Nazioni Unite Mike Waltz al primo ministro Benjamin Netanyahu e ad altri funzionari. “Waltz ha persino affermato di conoscere personalmente il generale e ha sottolineato che è una persona molto seria”, ha detto un funzionario israeliano. Gli Stati Uniti hanno anche proposto che l’ex inviato delle Nazioni Unite per il Medio Oriente Nickolay Mladenov ricopra il ruolo di rappresentante del Board of Peace sul campo a Gaza, collaborando con un futuro governo tecnocratico palestinese, secondo fonti informate.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 17:43:19 +0000
Cronaca a cura di Redazione Cronaca
Ruba una barca piena di pacchi e si schianta contro il ponte di Rialto: incidente da film a Venezia

Attimi di paura a Venezia. Una barca si è schiantata contro il ponte di Rialto rompendo parzialmente la balaustra in marmo ai piedi del ponte. Secondo quanto si è appreso, la causa pare sia stato il tentato furto, da parte di una donna, del mototopo con carico di consegne di una ditta di spedizioni. La barca, appesantita dal carico, ha colpito con la poppa tre colonnine e spezzato il piano d’appoggio. La giovane donna nel frattempo è riuscita a scendere dall’imbarcazione e a darsi alla fuga, ma è stata bloccata dagli agenti della Polizia Locale, accorsi sul posto dal richiamo dei testimoni.

La barca era ormeggiata dalla parte opposta del Canale Grande, sotto la Riva del Palazzo dei Camerlenghi a Rialto, sede della Corte dei Conti ed era momentaneamente incustodita, perché i due operatori della compagnia di spedizioni erano impegnati a fare consegne: la donna ha così approfittato del momento per salire a bordo e attraversare il canale a velocità sostenuta, andando poi a sbattere dalla parte opposta.

Al momento sono ancora ignote le motivazioni del gesto.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 17:26:45 +0000
Blog a cura di PierGiorgio Gawronski
Caro amico Caracciolo, il tuo ultimo saggio è un manuale di rassegnazione spacciato per strategia

Devo confessare che la lettura dell’ultimo saggio del Signor Caracciolo, che mi è capitato tra le mani, dal titolo L’ora di una strategia italiana, mi ha lasciato addosso quella sensazione curiosa che si prova quando si vede un amico intelligente scivolare su una buccia di banana che lui stesso ha posizionato con cura meticolosa. Il nostro autore, con l’aria grave di chi annuncia che è finita la marmellata in dispensa, ci comunica che l’America ha deciso di “concentrarsi su sé stessa”. E qui, se mi passate l’espressione, il buon Lucio ingolla l’amo, la lenza e pure il galleggiante.

L’articolo inizia con una sorta di reverenza quasi commovente verso la sincerità del nuovo documento strategico americano. Caracciolo ci dice, senza battere ciglio, che Washington vuole scaricare la “zavorra imperiale” e rinunciare a “cambiare i regimi altrui”. Ora, dico io: credere a un politico è già un azzardo, ma credere a un documento strategico americano come al Vangelo è roba da far impallidire un ingenuo di professione. La verità, che pare sfuggire tra le righe di questa prosa apocalittica, è assai meno nobile e molto più mercantile. Non si tratta di un ritiro monastico degli Stati Uniti, ma di una spartizione di zone d’influenza degna di un vecchio risiko giocato tra bari.

Il nostro autore dipinge un quadro in cui l’America, stanca di fare la mamma, torna al “common sense”. Ma quale common sense? Se si guarda a come muovono contro l’Iran o il Venezuela, l’idea che abbiano smesso di ingegnarsi per rovesciare governi è, per dirla tutta, una fandonia. Eppure, Caracciolo costruisce l’intero ragionamento su questa premessa fallace, postulando che siccome Trump lo ha scritto, allora deve essere vero. È un po’ come se io credessi a mia cugina Adelaide quando dice che verrà a trovarmi solo per “un salutino veloce”: sappiamo tutti che finirà col riarredarmi l’appartamento contro la mia volontà.

E poi c’è la questione economica, trattata con una nostalgia per il carbone e la fuliggine che lascia interdetti. Caracciolo tuona contro il “morbo liberal” e la “follia della globalizzazione” che avrebbero deindustrializzato il paese. Come se il ritorno alle miniere o all’incollare suole di scarpe da ginnastica fosse la panacea per l’anima americana; ignorando con disinvoltura che la terziarizzazione è ciò che crea valore oggi. L’idea che Trump, penalizzando i lavoratori per rincorrere un passato manifatturiero povero, stia facendo gli interessi del popolo è un abbaglio colossale. Ma il testo lo presenta come un atto di purificazione, un ritorno alla realtà contro le élite woke.

Ma il passaggio dove cade il monocolo è quello sulla Nato e l’Europa. Caracciolo ci dice che l’Alleanza non sarà più la stessa e che l’intenzione è “ridurre le forze“. Lo presenta come un fatto ineluttabile, quasi una legge fisica. Non gli sovviene il dubbio che questo smantellamento non sia un ritiro, ma una strategia attiva per destabilizzare noi poveri europei di fronte alla Russia? L’obiettivo non è la pace o la “mitigazione del rischio”, ma togliere potere negoziale all’Unione Europea – che “non conta” –, indebolirne la coesione interna costringendoci a spendere in armamenti, invece che in welfare e competitività.

E qui arriviamo al punto dolente, allo scenario su cui Caracciolo sorvola colpevolmente. Immaginate una vignetta pessimista ma plausibile, tra un anno di questi tempi. Trump, in un impeto di creatività costituzionale, rifiuta il risultato delle elezioni di Midterm. L’Ucraina difende gli ultimi territori occidentali in una partita ormai persa. La Cina attacca Taiwan. E il nostro Donald? Per distrarre l’opinione pubblica interna, coglie la palla al balzo: occupa la Groenlandia, poi chiede all’Ue di cedere i Paesi Baltici alla Russia. Ecco lo scenario a cui dovremmo prepararci molto in fretta, invece di discettare filosoficamente su un’America che si “ritira”.

È deplorevole, lasciatemelo dire, il modo in cui si liquidano le istituzioni internazionali. Caracciolo parla del nostro aggrapparci al “diritto internazionale” e alle Nazioni Unite come se fosse un vizio da “eterni adolescenti”. Definisce tutto ciò un “Olimpo immaginario”. Ecco, qui il cinismo tocca vette artistiche. Invece di vedere queste istituzioni come l’unico argine alla legge della giungla, ci invita a “uscire dalla minorità” e ad allinearci, cappello in mano, alle esigenze di Washington.

In sostanza, l’articolo dà per scontato che questa parentesi politica americana sia un destino scolpito nella pietra a cui dobbiamo prostrarci, non che dobbiamo fronteggiare. Caracciolo dipinge la spaccatura tra Francia e Germania a tinte così fosche da far sembrare l’Europa un condominio in fiamme, preparando così il terreno per quella che è, né più né meno, una aspirazione sovranista mascherata da realismo.

Concludendo, mio caro vecchio amico, questo testo è un perfetto manuale di rassegnazione spacciato per strategia. Ci invita a smantellare l’Europa per far piacere a un capocordata che, secondo le mie fonti – e il mio modesto common sense – non vede l’ora di venderci al miglior offerente. Se questa è la “maturità geopolitica”, preferisco rimanere un adolescente, grazie tante.

[Si ringrazia Demetrio D’Ambrosi]

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 17:06:52 +0000
Sport News a cura di Redazione Sport
Deromedis-Zorzi: storica doppietta italiana in Coppa del Mondo di ski cross, battuti i francesi in casa loro

Doppietta storica per l’Italia nel primo dei due ski cross della tappa di apertura della Coppa del Mondo. Sulle nevi di Val Thorens (Francia), Simone Deromedis ha trionfato nella gara maschile, seguito dall’altro italiano Edoardo Zorzi. È una prima volta nella storia dello ski cross: un trionfo che dà segnali importanti in vista delle olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026, in programma tra meno di due mesi.

I due azzurri, autori rispettivamente del quarto (1:06.30) e del 17° (1:06.87) miglior tempo nelle qualificazioni, si sono guadagnati in scioltezza il pass per la fase ad eliminazione diretta. Qui, dopo aver superato gli ottavi ed i quarti di finale, si sono ritrovati nella stessa semifinale, in cui sono riusciti ad arrivare davanti sia allo svizzero Alex Fiva sia all’austriaco Johannes Aujesky.

Stesso risultato anche nella big final riservata ai migliori quattro atleti in cui il campione mondiale di Bakuriani 2023, dopo un combattuto testa a testa disputato sin dal settore iniziale, ha tagliato la linea di arrivo per primo di fronte all’esperto connazionale originario di Songavazzo, regalatosi il migliore risultato della carriera in una gara di Coppa del Mondo.

Per Edoardo Zorzi invece, si tratta del diciassettesimo podio sul massimo circuito internazionale nonché della sesta vittoria (la seconda ottenuta nella località francese dopo quella di un anno fa). A completare la top-3 ci ha pensato il francese Youri Duplessis-Kergomard (terzo) mentre quarto si è piazzato l’altro transalpino Melvin Tchiknavorian.

“Sono partito bene, ho sempre sciato al meglio e sono contento di quello che sono riuscito a fare, anche perché per me questa gara è speciale”, queste le prime parole di Deromedis dopo il successo attraverso i canali della federazione. Una gara speciale per un motivo ben preciso: “Un paio di mesi fa è morto mio nonno e ci tenevo moltissimo a dedicargli una vittoria”, ha concluso il freestyler italiano.

Credit photo: coni.it

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 17:01:33 +0000
Politica a cura di Franz Baraggino
Il giudice libera la nave di Mediterranea, il governo ne ferma un’altra. Chi sta vincendo la guerra alle ong?

Chi sta vincendo la guerra che il governo Meloni, e in particolare il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha dichiarato al soccorso civile in mare? Risultati, conseguenze? Domandarselo è d’obbligo visti i 36 fermi amministrativi imposti alle navi umanitarie da inizio 2023, quando il decreto Piantedosi aprì la strada ai blocchi motivati da un salvataggio di troppo, dalla disobbedienza alla guardia costiera libica o dallo sbarcato delle persone soccorse in un porto diverso da quello assegnato. Come nel caso della ong Mediterranea Saving Humans, la cui nave è rimasta bloccata dal 6 novembre a Porto Empedocle per non aver diretto verso Livorno. Al contrario, Nave Mediterranea aveva sbarcato 92 persone di cui 31 minori non accompagnati. Da qui i previsti 60 giorni di detenzione amministrativa e la sanzione di 10 mila euro per comandante e armatore, “nonostante il Medico di bordo e lo stesso CIRM Telemedicina, incaricato dalle Autorità marittime, abbiano certificato che tutte le persone soccorse non erano in grado di affrontare altri tre giorni di navigazione” e il Tribunale dei Minorenni di Palermo avesse chiesto ai ministeri dell’Interno e dei Trasporti “di far sbarcare i minori a Porto Empedocle”, aveva denunciato la ong. Come già in altri casi, il fermo è stato sospeso, stavolta dal Tribunale di Agrigento. “Decreto Piantedosi illegittimo”, commenta la ong. “C’è una strategia illegale del governo che mira a confiscare la nostra nave di soccorso. Ma ancora una volta viene sconfitta davanti a un giudice”. Sconfitta?

Fuori una, dentro l’altra – Meloni e Piantedosi non demordono. “La nave di soccorso Humanity 1 è stata sequestrata dalle autorità italiane per essersi rifiutata di comunicare con il centro di coordinamento dei soccorsi libici”, ha appena comunicato Justice Fleet, la coalizione di 13 ong annunciata il 5 novembre 2025 per coordinare i soccorsi e opporsi alla collaborazione con il centro di coordinamento dei soccorsi di Tripoli che il decreto Piantedosi impone. A un mese dall’iniziativa, ecco la risposta del governo, un altro sequestro. Nonostante “tre volte, nelle ultime settimane, le milizie della cosiddetta guardia costiera libica hanno sparato contro le navi di soccorso”, ricorda la coalizione. In base al decreto, le navi sono costrette a comunicare le loro posizioni operative alle milizie. “Non ci faremo costringere a rivelare le nostre posizioni operative a milizie armate finanziate dall’UE che sparano contro persone in cerca di protezione e contro i nostri team di soccorso”, è quanto ribatte Justice Fleet in un comunicato. Mentre scriviamo, la ong Sea-Watch fa sapere che la nave Sea-Watch 5 “ha salvato 34 persone, tra cui 10 minori. Altri e altre avrebbero bisogno di assistenza e soccorso ma il Governo italiano ha deciso di impedirci di salvare vite assegnandoci il porto di La Spezia, lontano dalla zona di soccorso. Chiediamo un porto più vicino”.

Chi sta vincendo la guerra alle ong? – Dichiarazioni a parte, dal varo del decreto Piantedosi i fermi sono a quota 36 – il conto è del direttore del DataLab dell’Ispi, Matteo Villa –, e corrispondono a oltre 800 giorni, per una media di 24 giorni a nave. Giorni in cui il soccorso civile non è dove vorrebbe essere. Questiona finite anche davanti alla Corte costituzionale, che pur rinviando le decisioni ai giudici di merito, ha stabilito che “nessuna sanzione, in definitiva, si può irrogare quando l’osservanza del precetto si ponga in contrasto con i principi sovraordinati”, coerentemente con quanto già detto quattro volte dalla Cassazione, e cioè che nessuno può essere sanzionato per non aver collaborato al rientro dei migranti in Libia, Paese che tra l’altro non può offrire alcun “luogo di sbarco sicuro”, elemento essenziale per completare un’operazione di soccorso. La Consulta ha infatti ribadito che “non è vincolante un ordine che conduca a violare il primario ordine di salvataggio della vita umana e che sia idoneo a metterla a repentaglio e non ne può essere sanzionata l’inosservanza”. Chissenefrega, dice l’ennesimo fermo. E poco importa se verrà sospeso o annullato, come nei 12 casi in cui un giudice è intervenuto prima della fine del provvedimento. E non perché siano stati raggiungi grandi risultati: le ong hanno infatti soccorso solo l’11% dei migranti sbarcati nel 2025, un dato che arrivava appena al 15% nell’anno precedente al decreto Piantedosi. Ciò che importa è la comunicazione politica, che il messaggio della guerra alle ong sia passato. Ed è passato.

Chi sta perdendo la guerra alle ong? – C’è poi la pratica, altrettanto efficace, di assegnare porti lontani. Nel caso di Mediterranea, quello di Livorno significava quattro giorni di navigazione in più. Rafforzata dal decreto Piantedosi, la pratica ha infatti limitato ulteriormente la capacità di intervento delle ong. SOS Humanity ha calcolato 760 giorni di navigazione in più per raggiungere i porti assegnati dal governo. A conti fatti, le vittorie in tribunale non equivalgono certo ad aver vinto la guerra. Che invece fa proseliti, almeno a sentire Piantedosi. Dopo il Consiglio Ue dell’8 dicembre, il ministro ha fatto sapere che con la Germania “abbiamo condiviso un nuovo approccio verso le ONG, che abbiamo convenuto costituire spesso un fattore di pull factor per i flussi migratori irregolari”. Il “fattore di attrazione” è stato sempre smentito dalle analisi dei flussi ma, ancora una volta, a chi importa? Non alle 1.184 persone morte o disperse nel Mediterraneo centrale da inizio 2025. Nel 2024 la nave Geo Barents di Medici senza Frontiere aveva già dimezzato i salvataggi rispetto al 2023. Mentre ad aumentare sono state le persone intercettate e riportate indietro, soprattutto dai libici. Il diverso approccio nei soccorsi, quando non si tratta addirittura di disimpegno, l’assegnazione di porti lontani, i fermi e le limitazioni alla possibilità di salvataggi multipli ha oggettivamente limitato l’attività delle organizzazioni umanitarie, che considerano i dispersi o la maggior parte di questi, casi di mancati soccorsi. Basandosi su quelli effettuati in mare nel 2024, Sos Mediterranée ha calcolato di aver salvato una media di 30 persone al giorno. Non è statistica, solo un ordine di grandezza su cui ragionare a fronte dei 760 giorni di navigazione in più e degli oltre 800 di fermo imposti dal governo Meloni. Difficile dire quante siano le vittime dirette di queste scelte. Ma molto più difficile sarebbe negare che ce ne siano.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 16:52:06 +0000
Ambiente a cura di Rossano Ercolini
Rapporto Ispra 2025 sui rifiuti urbani: ora sta alla politica e alle imprese fare la propria parte

Rifiuti Urbani 2025 da Ispra: i cassonetti deficienti sono la “zavorra” del riciclo nonostante la raccolta differenziata (RD) aumenti al 67,7%. La RD aumenta quindi di più di un punto percentuale, ma il riciclo si ferma quindici punti indietro perché le RD sono “sporche”, soprattutto se fatte con i cassonetti stradali, compresi quelli a tessera e/o a calotta.

In questo quadro dove si cerca di imporre i cassonetti “deficienti” (finanziati addirittura con il Pnrr) aumentano anche i rifiuti (arrivati a 29.900.000 tonnellate e cioè 2,3% in più rispetto al 2023, ben oltre lo striminzito aumento del Pil allo 0,7%). Vuol dire che non ci sono organiche politiche di prevenzione dei rifiuti, di riparazione e riuso. A partire dagli imballaggi in plastica che senza plastic tax crescono in uno scenario in cui molti impianti di riciclo delle plastiche stanno chiudendo per effetto della sleale concorrenza della plastica vergine; che in Italia, a differenza di Spagna e Francia, non viene contrastata e rispetto alla quale, anzi, i cittadini italiani sono chiamati a pagare salate multe europee per la mancata applicazione del principio di Responsabilità Estesa del Produttore (Epr).

Paradigma di questo sistema distorto è proprio l’Emilia Romagna che ha la più alta RD con il 78,9%, ma anche la più alta produzione di rifiuti in assoluto (oltre 650 kg a testa) “denunciando” che laddove vengono fatte RD con i cassonetti deficienti (e costosissimi), si possono anche raggiungere elevate percentuali; ma esse, risultando sporche con oltre il 40% di impurità, rappresentano un riciclo di almeno 30 punti percentuali in meno. Il porta a porta è invece (come perseguito in Veneto e in Sardegna) la via maestra per ottenere alte rese di RD e di riciclo, in quanto le materie raccolte sono pulite e utili ad applicare l’economia circolare.

L’unica nota positiva è che il sud, da sempre vessato da pregiudizi in ultima analisi razzisti, non solo produce ben al di sotto della media nazionale dei rifiuti (507 kg a testa) attestandosi ben sotto (454 kg pro capite) ma raggiunge, inclusa la Sicilia, il 60% accorciando il divario con il nord, il maggiore responsabile dell’aumento dei rifiuti.

Gli inceneritori decrescono ancora sia nel numero (da 36 del 2023 a 35 nel 2024) che nel flusso trattato (circa il 18%) da cui derivano ben 1.415.000 tonnellate tra scorie speciali e ceneri tossiche. A questo flusso si aggiungono anche se con peso minore 12 “coinceneritori” (cementifici e centrali termo elettriche). In proposito dobbiamo respingere senza mezzi termini l’imbarazzante peana lanciato dal dirigente di Ispra Aprile a favore dell’inceneritore di Roma imposto con procedure dittatoriali e dei due inceneritori altrettanto imposti dall’alto in Sicilia (ma che non è detto che riescano a realizzare!).

Le discariche, ormai, ospitano solo circa il 15% dei rifiuti urbani. Adesso ci attendiamo “criteri di efficienza” (Arera, se ci sei batti un colpo!) che disincentivino i cassonetti deficienti e favoriscano raccolte porta a porta sempre più “selettive” anche attraverso l’applicazione delle direttive Ue che impongono di rimborsare di almeno l’80% le spese sostenute per la RD degli imballaggi.

Il problema principale sono gli imballaggi plastici, che entro il 2030 l’Ue vuole che siano diminuiti di almeno il 5% e che invece da noi continuano ad aumentare. Occorre applicare il Deposit System per lattine e bottiglie in Pet (c’è già a Malta e a Cipro oltre che in tre quarti di Ue… cosa aspettiamo ad applicarlo?). Se non facciamo così – magari confrontandoci bene con il dramma del tessile che aumenta esponenzialmente – e se non applichiamo il “diritto a riparare” (in Italia si continuano ad incentivare Black Friday e “rottamazioni”!), nel 2026 (l’anno prossimo) non riusciremo a raggiungere quel 55% di riciclo effettivo che l’Ue ci chiede. E se così fosse (ma noi lavoriamo perché ciò non avvenga) ci sarebbe oltre il danno la beffa, visto che i cittadini che pure fanno ottime RD si troverebbero a pagare salate multe europee a causa della mancanza del raggiungimento dell’obiettivo minimo di riciclo.

Meno discorsi sulla “Italia che ricicla bene” (che in parte è vero, ma grazie ai cittadini che differenziano e non certo alle imprese e ai governi che fanno di tutto per non applicare davvero gli oneri derivanti dalla Responsabilità estesa dei produttori)! Ora sta alla politica e alle imprese fare la propria parte riducendo a monte i rifiuti.

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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 16:49:13 +0000
I nostri video a cura di F. Q.
Peter Gomez presenta il nuovo numero di Millennium: “Vi spieghiamo perché la religione è tornata al centro della politicaâ€
Durante la fiera Più Libri Più Liberi il direttore Peter Gomez ha presentato in anteprima il nuovo numero di Millennium ‘Dio è con noi‘. In questo numero abbiamo deciso di mettere insieme una galleria di storie, immagini, personaggi e giochi geopolitici in cui la religione svolge un ruolo fondamentale, e spesso fondamentalista. E quello islamico non è, o non è più, l’unico fondamentalismo che si propone di plasmare il mondo. Leggerete di estremisti cristiani (anche in Italia), ebraici, induisti (e della nuova frontiera del radicalismo islamico, l’Africa). Ma Dio, se esiste, che cosa pensa di tutto questo? Ovviamente non possiamo saperlo, ma proviamo a ragionarne con don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera.
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Data articolo:Thu, 11 Dec 2025 16:44:21 +0000

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