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Non solo più grande, ma anche più “riccaâ€. Nel senso che, spiega Volkswagen, “il livello di equipaggiamento è stato aumentato in linea generaleâ€. Vale a dire che grazie alle dotazioni di serie già la versione d’accesso è “tutt’altro che un modello baseâ€. Di sicuro in Italia, dove l’entry level, la Trend, non viene nemmeno importata, il che contribuisce a spiegare il listino che parte da 33.900 euro. Con la seconda generazione della T-Roc, Volkswagen è ambiziosa quanto e forse più che con la prima, già venduta in due milioni di esemplari. “I nostri clienti amano la T-Roc e sono convinto che la nuova generazione abbia tutto ciò che serve per continuare a scrivere questa fantastica storia di successo: un design moderno, tecnologie innovative, massima qualità e pregio, comandi intuitivi e un comportamento su strada piacevole ed equilibratoâ€, sintetizza Thomas Schäfer, amministratore delegato di Volkswagen.
Il nuovo modello è stato sviluppato per andare incontro alle richieste dei clienti europei, che chiedono Suv compatti eppure spaziosi e allo stesso tempo in grado di poter essere guidati in città (11,1 metri di diametro di sterzata), ma anche di poter venire impiegati per spostamenti più lunghi.
La T-Roc è la prima Volkswagen i cui motori sono esclusivamente elettrificati: mild hybrid a 48 Volt al lancio e in futuro anche full hybrid. I primi due sistemi sono basati sul sovralimentato quattro cilindri benzina da 1.5 litri (eTSI) offerto sia con 116 sia con 150 Cv (l’unità guidata in Portogallo, tra Lisbona, Palmela, dove la T-Roc viene fabbricata e il cui stabilimento vale il 4,5% dell’intero export lusitano) e Cascais. L’anno prossimo arriveranno anche il duemila eTSI da 204 Cv e le due declinazioni full hybrid del millecinque, da 136 e 170 Cv. Per la versione più sportiva, la “R†da 333 Cv, ci sarà da pazientare ancora più di un anno: al momento il debutto è previsto per i primi mesi del 2027.
Stabile, anche se molto morbida, la T-Roc è comoda e si conferma fluida con la sua discreta (nel senso che non si fa sentire) trasmissione automatica. All’occorrenza è anche dinamica: impiega 8,9” per andare da 0 a 100 all’ora e raggiunge i 212 km/h di velocità massima. Rispetto alla prima generazione è cresciuta di 9 millimetri in altezza (1,57 metri), di 30 nel passo (2,63) e di 120 in lunghezza (4,37). Ciò nonostante l’aerodinamica è migliorata del 10% con un Cx di 0,29. Il bagagliaio ha 30 litri di capacità in più e parte da 475 (arriva a 1.350).
I consumi omologati nel ciclo Wltp oscillano tra i 5.5 e 6 l/100 km: al termine dei 150 chilometri al volante il computer ne ha rilevati 7, uno scostamento sicuramente dovuto anche al tipo di guida. I cerchi arrivano fino a 20”, mentre lo schermo “italiano†riservato all’infotainment ha una sola diagonale, quella da 12.9. Tra le novità dell’armamentario tecnologico si sono il Park Assist Pro con funzione Memory per posizionare il Suv in modo completamente automatico su distanze fino a 50 metri e il più evoluto Travel Assist.
L'articolo Volkswagen T-Roc, la prova de Il Fatto.it – Più spazio e tecnologia alla guida – FOTO proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un prezzo talmente conveniente da sembrare incredibile: l’iPad Air M3 da 13 pollici, che di norma costa 784 euro, è apparso per pochi minuti sul sito di MediaWorld a soli 15 euro per i possessori della carta fedeltà . Quello che sembrava un colpo di fortuna per i consumatori si è trasformato in una battaglia legale sul principio dell’errore e della buona fede. A distanza di due settimane dall’acquisto, i clienti coinvolti hanno ricevuto una mail dall’azienda: l’iPad era stato venduto a un prezzo “manifestamente errato”.
Tutto è successo l’8 novembre scorso quando, a causa di un “disguido tecnico straordinario e imprevisto sulla piattaforma e-commerce”, MediaWorld ha applicato uno sconto del 98% su diversi prodotti. Alcuni “fortunati” utenti che stavano navigando proprio in quel momento sul sito e si sono accorti del prezzo incredibile, neanche a dirlo, hanno acquistato immediatamente il dispositivo, pagandolo appunto 15 euro. La procedura è andata a buon fine: l’importo è stato addebitato e gli iPad sono stati regolarmente spediti o ritirati in negozio. Le condizioni di vendita allegate all’ordine non menzionavano alcuna clausola relativa a errori di prezzo. Peccato però che, una volta accortasi dell’accaduto, la catena abbia subito cercato di fare dietrofront e recuperare i prodotti o, quantomeno, una quota dei soldi mancanti. Sentita da Repubblica e Wired, MediaWorld ha confermato la gravità del problema. La vendita, ha spiegato l’azienda, è stata “un errore manifesto, tale da renderlo economicamente insostenibile e non rappresentativo della nostra offerta commerciale”. Per questo ha contattato gli acquirenti proponendo due vie d’uscita:
Tuttavia, molti consumatori hanno rifiutato l’offerta e hanno consultato un legale per capire se abbiano il diritto di trattenere il prodotto senza pagare la differenza. Secondo l’avvocato Massimiliano Dona, esperto in diritto dei consumatori, interpellato da Wired in merito alla questione, il punto centrale ruota intorno alla riconoscibilità dell’errore da parte del cliente. Per annullare un contratto, l’azienda deve dimostrare la “consapevolezza del consumatore di abusare dell’errore del venditore”. Dona sottolinea che non è sufficiente sostenere che uno sconto del 98% sia un errore evidente. In un contesto commerciale dominato da “offerte a tempo, flash sale, promozioni e concorsi”, il consumatore potrebbe ragionevolmente aver pensato a una strategia pubblicitaria. La vera discriminante, ribadisce l’esperto, è la professionalità dell’acquirente. Se a comprare è un utente che acquista per sé, l’errore è meno riconoscibile. Se, invece, è qualcuno che “acquista cinque tablet per poi rimetterli subito in vendita”, la consapevolezza dell’errore sarebbe più evidente, e l’azione legale di MediaWorld avrebbe basi più solide.
L'articolo MediaWorld vende iPad a 15 euro, poi si accorge dell’errore: “Nessun super sconto, riportateli indietro o pagate supplemento”. Clienti infuriati proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un motociclista è morto durante lo spettacolo acrobatico del circo itinerante Imperial Royal Circus che venerdì sera faceva tappa a Sant’Anastasia, in provincia di Napoli. Il video mostra i tre motociclisti professionisti che si sono scontrati all’interno della struttura dove con i mezzi si incrociavano. La vittima aveva 26 anni ed era di nazionalità cilena.
L'articolo Il video dello scontro al circo nel Napoletano: i motociclisti correvano all’interno di una “palla” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Bologna si risveglia dopo una notte di tensione, danni e polemiche politiche per gli scontri avvenuti ieri sera in centro durante la manifestazione contro la partita di Eurolega Virtus–Maccabi. Il giorno dopo le violenze, il sindaco Matteo Lepore – che aveva chiesto e insistito perché il match fosse spostato – punta il dito contro il Ministero dell’Interno e parla di “gestione dell’ordine pubblico sconsiderataâ€. In un punto stampa a Palazzo d’Accursio, il primo cittadino ha denunciato quella che definisce “una scelta imposta dal ministro Piantedosiâ€, in contrasto con l’orientamento del Comitato per l’ordine pubblico di Bologna: “Scene di guerriglia che si potevano evitare. Avevo chiesto di usare la testa e non i muscoli, e questo purtroppo è il risultatoâ€.
Secondo Lepore, la città sarebbe stata “usata†per una prova di forza politica: “Piantedosi mi sembra abbastanza in difficoltà . Quando un ministro ha bisogno di mostrare i muscoli significa che non riesce, con le sue politiche, a raggiungere i suoi risultati. Tutti i cittadini italiani sono scontenti della gestione del governo sulla sicurezzaâ€.
Lepore parla apertamente di “strumentalizzazione indegna†e di “scontro muscolare, testosteronico fra un gruppo di estremisti e il ministro degli Interniâ€, ribadendo che la partita “si doveva giocare, ma non in centro città â€. Il sindaco ricorda come il Paladozza sia considerato da sempre un luogo delicato dal punto di vista dell’ordine pubblico: “Le Questure hanno sempre chiesto di non ospitare tifoserie esterne, perché la gestione degli ultras è molto difficile. Invece il ministro ha portato migliaia di manifestanti proprio sotto il Paladozza. Questa è una grande responsabilità â€. x
La prima stima dei danni parla di circa 100mila euro solo per la parte pubblica, a cui si aggiungeranno nelle prossime ore i danni ai veicoli privati. Lepore esprime solidarietà ai cittadini che “hanno vissuto un vero e proprio coprifuocoâ€, alle forze dell’ordine “mandate in un contesto non facile†e agli agenti feriti, saliti a 14 secondo la Questura. Quindici le persone identificate, mentre sono ancora in corso verifiche su numerosi filmati. Per quanto riguarda i danni il primo cittadino a una domanda su un eventuale invio della fattura dei conti per i danni al ministro ha risposto: “Sì, perché il ministro credo debba sapere che ci sono molti danni ed è giusto che qualcuno paghi”.
La replica di Piantedosi: “Professionisti della violenza fermati grazie alla poliziaâ€
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha risposto con una nota nella quale elogia l’operato delle forze dell’ordine e condanna i manifestanti responsabili degli scontri: “Abbiamo assistito all’ennesima situazione in cui da una parte c’erano persone che cercavano un volgare pretesto per mettere in scena l’inaccettabile violenza; dall’altra, le forze di polizia, baluardo dei valori di autentica democraziaâ€. Il responsabile del Viminale esprime solidarietà ai quattordici agenti e assicura che “gli accertamenti in corso individueranno i responsabiliâ€, ricordando che quindici persone sono già state identificate. “Ancora una volta è stato impedito a una minoranza rumorosa di condizionare la libertà di tutti. Il nostro Governo non lo consentirà maiâ€. Il ministro rivolge infine “apprezzamento e pieno sostegno†al prefetto, al questore e a tutto il personale impegnato sul campo, ringraziandoli “per la fermezza e l’equilibrio dimostratiâ€. La polemica politica, però, è solo all’inizio. Bologna, nel frattempo, conta i danni e chiede che quanto accaduto “non debba più ripetersiâ€.
L'articolo “Gestione dell’ordine pubblico sconsiderata”, Lepore contro Piantedosi. A Bologna 100mila euro di danni e 14 agenti feriti proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Stiamo conducendo una revisione nell’ambito del più ampio pacchetto per il comparto automotive che rispetterà il principio di neutralità tecnologicaâ€. Parole pronunciate dal commissario UE ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas, che confermano la volontà della Commissione di aprire alle richieste del mondo automotive, prima fra tutte l’abbandono della politica del “solo elettrico”, che sta creando parecchi problemi sotto il profilo strategico e quello industriale. Sicché, entro dicembre, si dovrebbe assistere all’avvio della revisione del percorso di decarbonizzazione dell’automotive in tema di regolamentazioni sulle emissioni CO2 e tecnologie ammesse per raggiungere i target preposti.
La data da cerchiare sul calendario sarebbe quella del 10 dicembre, giorno in cui l’Associazione dei costruttori europei (Acea) spera che Bruxelles possa avviare quell’iter che porti all’abolizione del bando alla vendita delle nuove auto a benzina e diesel nel 2035, ammettendo la commercializzazione delle ibride ricaricabili, dei modelli con range extender (ovvero di modelli a trazione elettrica ma dotati di motore termico che fa da generatore di corrente per la ricarica delle batterie) e delle vetture a idrogeno.
I car makers chiedono pure incentivi strutturali per sostenere la domanda di mercato, specie per le vetture elettriche e dove il potere di acquisto risulti essere inferiore. Ma in ballo c’è pure la definizione di quelle che saranno le norme che circoscriveranno la categoria delle “E-Car“, automobili di piccole dimensioni, a basso impatto ambientale e di impostazione simile alle kei car giapponesi.
Si discuterà anche di carburanti sintetici, promossi dalla Germania, e di biocarburanti, fortemente richiesti dall’Italia e dalla filiera dell’automobile: sono trenta le associazioni dell’automotive, tra cui le italiane Anfia e Unem, che hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta per reclamare alle istituzioni comunitarie di inserire questi carburanti nella normativa sulle emissioni di CO2. In questo senso, per le associazioni, i carburanti rinnovabili potranno “svolgere un ruolo indispensabile nel raggiungimento degli obiettivi climatici”.
Le associazioni chiedono, in primis, che i veicoli alimentati esclusivamente con carburanti rinnovabili siano riconosciuti “come veicoli a zero emissioni”, come quelli elettrici; e che sia introdotta una “definizione giuridica unitaria dei carburanti rinnovabili”, in linea con le disposizioni della Direttiva sulle Energie Rinnovabili (RED). Infine, le suddette associazioni firmatarie invitano la Commissione Europea “a integrare rapidamente e formalmente i carburanti rinnovabili nella normativa per la riduzione delle emissioni di CO2 degli autoveicoli leggeri in vista della prossima revisione. Solo allora l’Europa potrà raggiungere i suoi obiettivi climatici con efficienza, sostenibilità economica e responsabilità sociale”.
L'articolo Auto, UE verso una svolta. Possibile revisione del percorso di decarbonizzazione proviene da Il Fatto Quotidiano.
6-3, 6-7, 7-6 in tre ore e sette minuti di gioco. Un tie-break epico, finito 17-15 (sesto più lungo della storia della competizione) dopo un set durato un’ora e 38. Il match tra Flavio Cobolli e Zizou Bergs rimarrà sicuramente nella storia dell’Italia in Coppa Davis. Una vittoria che consente agli azzurri di giocare la terza finale consecutiva dopo le vittorie degli ultimi due anni. A fine partita due sentimenti contrastanti: la gioia incontenibile di Cobolli in versione Hulk e la tristezza e il crollo emotivo di Zizou Bergs.
Ecco perché Cobolli – dopo aver abbracciato il suo team e festeggiato nei primi attimi post vittoria con Volandri e Berrettini – è andato nella panchina avversaria, dove appunto era seduto Zizou Bergs, per consolarlo. Il belga infatti ha avuto un crollo emotivo ed è scoppiato a piangere al termine di una partita in cui ha avuto sette match point e non è riuscito a sfruttarli. Nelle immagini in diretta su Supertennis si è infatti visto Cobolli sedersi accanto a lui – che nel frattempo era seduto a testa bassa e le mani a coprire le lacrime – e dirgli qualcosa per consolarlo.
Sul tema è tornato proprio Cobolli nel post gara, in conferenza stampa: “Sono andato da Zizou – ha spiegato il tennista italiano – solamente perché mi sono immedesimato in lui e ho provato a dargli una parola di conforto, anche se credo sia stato inutile. Penso non abbia neanche sentito cosa gli ho detto. Però al contrario sarebbe piaciuto anche a me, se avessi perso e avuto una reazione del genere. E credo che lo avrebbe fatto. È stato un gesto naturale, lottiamo per lo stesso obiettivo e secondo me era carino andare a supportarlo”.
La désillusion de Zizou Bergs après avoir manqué 7 balles de match avant de s’incliner contre Flavio Cobolli en Coupe Davis. ????????????
L’Italien est venu réconforter le Belge sur le banc après la rencontre. ????????????pic.twitter.com/emZ72yqsEt
— Univers Tennis ???? (@UniversTennis) November 21, 2025
L'articolo Bergs in lacrime dopo la sconfitta in Coppa Davis, Cobolli va a consolarlo: “Mi sono immedesimato in lui” | Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
Piano in due punti – la mia vignetta per la prima pagina de Il Fatto Quotidiano oggi in edicola

L'articolo Pace in due punti proviene da Il Fatto Quotidiano.
Prima la richiesta di arresto bocciata dal giudice delle preliminari di Milano Tommaso Perna, quindi le conferma di far parte con ruolo apicale del nuovo sistema mafioso lombardo, anche detto Consorzio, da parte del Tribunale della Libertà e della Cassazione. Da qui il mandato di cattura, tre giorni di latitanza, quindi l’arresto in ospedale dove tentava di simulare una malattia che non c’è. E ora per Paolo Errante Parrino, 79 anni alias “zio Paoloâ€, considerato “rappresentante del mandamento mafioso di Castelvetrano sul territorio Lombardoâ€, nonché cerniera per gli interessi dell’ex latitante Matteo Messina Denaro, si sono aperte le porte del carcere duro. Per lui, infatti, è stato disposto il 41bis. In una vecchia intervista a chi gli chiedeva se la mafia esiste o meno, rispondeva così: “Cos’è una marca di formaggio?â€.
Oggi Parrino risulta imputato nel maxi-processo milanese Hydra che ha scoperchiato contatti e affari di un sistema mafioso composto da soggetti di vertici di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra romana. E a differenza di 77 imputati, per i quali la Procura ha chiesto 570 anni di condanne, non ha scelto il rito abbreviato e dunque si trova ancora nel limbo dell’udienza preliminare. Il 25 gennaio scorso, il boss, che per decenni ha eletto come suo centro di potere il comune di Abbiategrasso a sud di Milano, è stato arrestato fuori dall’ospedale di Magenta e portato nel carcere di Ancona, sezione alta sicurezza. Una misura restrittiva già pesante che però, stando alle ultime indagini della Procura trasmesse al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), non è servita a tagliare i rapporti diretti con esponenti di Cosa nostra.
Secondo le note del Dap e i riscontri dei magistrati, infatti, Parrino “comandava†ancora nel carcere di Ancona, grazie ai suoi uomini. Per questo l’11 novembre e cioè il giorno stesso dell’inizio della requisitoria finale dei pm Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, è stato trasferito nel carcere di massima sicurezza di Spoleto e qui messo in regime di 41 bis. Dirà lo stesso pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Cerreti: “Parrino lo abbiamo catturato dopo tre giorni di latitanza, mentre andava in un ospedale a far finta di essere malato. Lo stesso Parrino, che sulla base delle risultanze di questo procedimento, due giorni fa in data 11 novembre è stato sottoposto a regime detentivo di cui l’Art. 41 bis, perché evidentemente anche l’Autorità amministrativa ha ritenuto fondate le risultanze emerse da questo procedimentoâ€.
Insomma, un ulteriore conferma della pericolosità del boss che “ha i rapporti di parentela attraverso la moglie con l’ex latitante Matteo Messina Denaro e Messina Antonioâ€. E che nell’inchiesta Hydra, secondo i pm, mostra tutto il suo potere intervenendo in una lite tra Gioacchino Amico, rappresentante degli interessi anche della camorra romana e di Cosa nostra, e la famiglia Pace, legata al mandamento di Trapani. In un’intercettazione, riportata in requisitoria dal pm Cerreti, si legge: “Errante Parrino stamattina mi ha detto: ‘Dice, intervenite, andatelo a prendere, me lo porti qua, ci dici che si viene a prendere il caffè, me lo porti qua a Cicciobelloâ€, soprannome di Amico.
Per decenni, lo zio Paolo ha tessuto i suoi affari in piena libertà , arrivato sulle sponde del Naviglio che lambisce il comune di Abbiategrasso dopo una prima condanna per i rapporti con Cosa nostra. E qui nella tranquillità dell’hinterland, anche grazie alla connivenze della politica locale e di certa parte della società civile, ha vissuto indisturbato divenendo così il punto di riferimento dell’ala mafiosa di Matteo Messina Denaro.
Ancora nel 2009, con Parrino specchiato cittadino, il Nucleo investigativo dei carabinieri di via Moscova in una nota sulla presenza della criminalità organizzata nel Milanese scriveva: “Ad Abbiategrasso è residente Paolo Errante Parrino facente parte in passato di una cosca mafiosa, reato per il quale ha già scontato vari anni di carcere. Parino è sposato con Antonina Bosco, la quale ha in gestione il bar sala giochi Las Vegas frequentato assiduamente da pregiudicati, tanto che nel 2005 veniva notificato l’ordine di sospensione per 30 giorniâ€. In quell’anno, 2009, il boss si occupava di aiutare la moglie nella gestione del bar. In realtà quel bar, emerge dagli atti di Hydra, altro non era che il suo ufficio in cui incontrare, ad esempio, i politici locali. Mentre in un capannone non lontano dal Las Vegas, i carabinieri del Nucleo investigativo nell’ambito dell’indagine Hydra hanno filmato summit di mafia tra Parrino e i vertici del Consorzio mafioso. Da allora molto è passato e oggi lo zio Paolo sta al 41 bis.
L'articolo “In carcere continuava a comandare”, il boss di Cosa nostra in Lombardia Errante Parrino al 41 bis proviene da Il Fatto Quotidiano.
Io non mi spezzo in due. C’è da rimanere a bocca aperta di fronte alla forza fisica e alla dignità umana di questo attore vichingo su cui si abbatte ogni tipo di cancro. Lui è Dolph Lundgren, l’Ivan Drago di Rocky IV. La malattia devastante è il flash visivo che apre, rimpolpa, ritorna, infesta di continuo Dolph: unbreakable, biopic totale dentro le cicatrici e le viscere dell’oggi 68enne attore svedese visto tra i primi titoli del Torino Film Festival 2025.
Tra found footage familiare, interviste ai grandi, grossi e muscolosi miti del cinema d’azione anni ottanta (Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Jean-Claude Van Damme) e a veri e propri video ospedalieri, il regista canadese Andrew Holmes traccia un sincero ritratto di questo cristone biondo che attraversa l’action movie della serie A hollywoodiana, botte, calci e pugni, come un treno in corsa per poi arenarsi tra film minori prodotti direttamente per il mercato video, scelte di vita che si riveleranno sbagliate e la mannaia dei tumori che gli invadono il corpo.
Era un teppistello il piccolo Hans – Dolph lo diventerà sul set di Rocky – che nasce e cresce in un sobborgo di Stoccolma e che per il carattere esuberante viene picchiato continuamente dal padre e infine spedito dalla nonna in mezzo alla neve desolata dell’estremo nord. Hans si farà grande con il karate. Già , proprio con la classica montagna di tavolette spezzata con il colpo secco del bordo della mano. A dir la verità , vedendo i filmati spesso in bianco e nero, Hans, dall’alto dei suoi quasi due metri, mette k.o. decine di karateki.
E intanto si laurea in ingegneria chimica ottenendo una borsa di studio per studiare al MIT negli Stati Uniti che mai utilizzerà perché, mentre fa da guardia del corpo a Sydney per alcune apparizioni di Grace Jones nelle discoteche australiane, la celebre cantante si innamorerà , ricambiata, di lui. Un amore così intenso che quando lei reciterà in 007 – Bersaglio mobile (1985) farà ottenere al fidanzato una piccola parte in scena (un tizio che punta la pistola a Christopher Walken) che sarà poi il trampolino di lancio per essere arruolato nel cast di Rocky IV direttamente da Stallone.
Saranno contenti i ragazzi del sito web I 400 calci perché Lundgren e Stallone sul set di Rocky IV non solo costruiranno la danza del ring studiando nei minimi dettagli colpo su colpo, ma alla fine se le daranno di santa ragione con tanto di prove fotografiche di Sly, come quel gancio sul fianco al fegato di Dolph mostrato alla videocamera di Holmes. “I must break youâ€, insomma, permette a Lundgren di finire sulla cresta dell’onda come He-Man in Masters of the Universe e di interpretare un altro russo cattivello in Red Scorpion.
È negli anni novanta che all’improvviso l’ascesa dell’attore svedese subisce un drastico ridimensionamento. Cominciano i film di seconda mano distribuiti direttamente in home video (all’epoca era un’onta e significava soprattutto meno cachet), poi Lundgren si sposa e va a vivere a Marbella in Spagna, lontanissimo da Hollywood. È l’inizio di un calvario professionale, familiare, psicofisico (Dolph torna al vecchio vizio dell’alcol e della droga) e addirittura di salute. Ogni volta che fa una TAC gli trovano un nuovo cancro. Si opera in continuazione, fa cicli di radio e chemio, poi a un certo punto sembra pure che l’abbia scampata. Tanto che l’inizio della saga dei Mercenari (2010-2012-2014), insieme ai vecchi compagni d’azione e d’arme, gli ridà nuova linfa vitale.
Nel 2023 una nuova ricaduta. Questa volta davvero devastante. Lo si vede traballante, smagrito, svuotato sui set di Aquaman e di Expend4bles. Gli danno pochi mesi di vita, ma una dottoressa della UCLA gli cambia la cura – per la cronaca: più leggera – e il cancro comincia a regredire drasticamente.
Hans “Dolph†Lundgren è ancora lì. Duro come una roccia. Si piega, ma non si “spezzaâ€. Ancora con i muscoli scolpiti. Biondo come allora, con lo sguardo gelido e malandrino che non ha mai perso. Indistruttibile. Protagonista di un racconto filmato davvero rispettoso di malattia e dolore tanto che non ci sono nemmeno i titoli di coda ma le coordinate per aiutare le associazioni di malati di cancro.
L'articolo Dolph: unbreakable, Lundgren come l’ultimo guerriero. In un un docufilm ascesa, crollo e rinascita di Ivan Drago proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’ex presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, è stato arrestato dalla polizia federale brasiliana nella sua casa di Brasilia. Le forze dell’ordine hanno reso noto che l’ex capo di Stato, condannato a settembre a 27 anni e tre mesi per il tentativo di golpe dopo la sconfitta elettorale del 2022, è stato raggiunto dal provvedimento della Corte Suprema per aver violato gli arresti domiciliari. Quella di oggi, spiega il quotidiano locale O’Globo, è quindi una detenzione cautelare scattata per il pericolo di fuga e non una decisione definitiva, dato che il caso del leader dell’estrema destra sarà riesaminato in appello. La polizia ha inoltre reso noto che l’arresto è stato eseguito senza manette e senza “esposizione mediatica“.
“Lo hanno imprigionato, ma non so perché”, ha dichiarato all’Afp Celso Vilardi, uno degli avvocati di Bolsonaro che ieri hanno presentato al Tribunale Supremo Federale una richiesta per far scontare la pena agli arresti domiciliari, affermando che la detenzione porrebbe “un rischio concreto e immediato per l’integrità fisica e alla vita stessa” del 70enne ex presidente le cui condizioni di salute sono “estremamente delicate” a causa di diverse malattie e complicazioni.
Tra le reazioni internazionali si registra anche quella della Lega che sui suoi canali social parla di “arresto politico da parte di una sinistra che ha paura di perdere il potere. Solidarietà all’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro”.
L'articolo Arrestato l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro: “Ha violato i domiciliari”. A settembre la condanna a 27 anni per il tentato golpe proviene da Il Fatto Quotidiano.
All’alba di venerdì una donna è stata assalita mentre camminava sul marciapiede per raggiungere il lavoro. È tutto avvenuto nel quartiere Cajello di Gallarate (Varese). L’uomo – un 35enne gambiano ora sottoposto a fermo di indiziato di delitto – l’ha sorpresa alle spalle, colpendola con violenza, trascinandola dietro le siepi di un’aiuola in un parcheggio pubblico e aggredendola sessualmente. Poi la fuga, a piedi, portando con sé anche il cellulare della vittima. A ricomporre quella manciata di minuti di terrore sono stati i carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile di Gallarate, che nel giro di poche ore hanno ricostruito il percorso del fuggitivo. Determinanti, oltre alla testimonianza di un passante, le immagini delle telecamere pubbliche e private passate al setaccio una per una dagli investigatori.
Il tracciato delle riprese ha portato i militari fin sotto l’abitazione dell’indagato. Quando hanno bussato, l’uomo ha finto di non essere in casa. I carabinieri sono entrati comunque: lo hanno trovato nascosto dentro un letto a cassettone, ancora vestito con gli stessi abiti ripresi dai video analizzati durante le indagini. In caserma, messo davanti agli elementi raccolti, ha confessato davanti al pm di turno, Roberto Bonfanti. Il telefono sottratto alla donna è stato recuperato in un’area privata lungo la via di fuga, poco distante dalla casa del 35enne. La vittima, affidata ai sanitari dell’ospedale Sant’Antonio Abate di Gallarate, ha riportato lesioni giudicate guaribili in 20 giorni. L’indagato, accusato di violenza sessuale aggravata e lesioni personali aggravate, è stato trasferito nel carcere di Busto Arsizio, dove attende l’interrogatorio di garanzia.
“A nome della Città volevo esprimere innanzitutto i complimenti ai Carabinieri della Compagnia di Gallarate per aver preso questo criminale – ha detto il sindaco di Gallarate Andrea Cassani –
“Ieri ancora non si sapeva chi era il colpevole, ma già tutti lo avevano capito: lo stupro ai danni di una nostra concittadina è stato perpetrano da un gambiano che evidentemente non è venuto a Gallarate per pagarci le pensioni o perché fuggiva da qualche guerra ma per farsi mantenere da noi e per stuprare una donna che potrebbe essere nostra madre, nostra moglie. Non è razzismo ma statistica: più del 50% dei reati violenti sono commessi dagli stranieri che sono in Italia meno del 10% della popolazione”, continua il primo cittadino gallaratese che ricorda dove è stato ospitato il Remigration Summit: “Il tutto è avvenuto a pochi passi dal Teatro Condominio dove pochi mesi fa giovani da tutta Europa, preoccupati per le conseguenze dell’immigrazione incontrollata e per l’elevata propensione a delinquere di questi, parlavano di remigrazione”. Il primo cittadino ha poi concluso ribadendo la vicinanza alla vittima e sottolineando: “È ora che tutti i cittadini aprano gli occhi sulle conseguenze dell’immigrazione e che anche la politica metta un freno a questa invasione e rispedisca al loro Paese questi criminali”.
L'articolo Aggredita alle spalle mentre va al lavoro e stuprata dietro una siepe, arrestato 35enne a Gallarate (Varese) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Roberta Petrelluzzi è la prima ospite a La Confessione di Peter Gomez in onda stasera alle 20.20 su Rai 3. “Lei su Angelo Izzo ha detto una cosa che secondo me non ha mai detto su nessun altro condannato: ‘Senza tracce di ravvedimento, è il diavolo in persona‘. Perché?”, ha chiesto il conduttore. “È vero, è vero, perché era… è il male – ha risposto Roberta Petrelluzzi, da 40 anni al timone di “Un giorno in Pretura†su Rai 3, – Tu scopri che il male esiste. Io sono venuta da un’educazione cattolica, che quindi non ha mai pensato che il male fosse assoluto, era sempre relativo e spesso era relativo alle condizioni e ti spingevano al male, non eri tu, erano le condizioni esterne che ti facevano fare il male. – ha proseguito – Invece con Izzo no, lui godeva a fare il male, lui ha fatto dei delitti così gratuiti, così feroci che solo l’esistenza del male li può giustificare. Non c’è una giustificazione che possa esserci, non c’è”, ha concluso la Petrelluzzi.
L'articolo Roberta Petrelluzzi a La Confessione di Gomez (Rai 3): “Angelo Izzo? Delitti così gratuiti e feroci che il male assoluto può giustificarne l’esistenza” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Una perquisizione record contro praticamente l’intera popolazione del carcere La Dogaia di Prato, sempre più fuori controllo, è in corso dalla tarda notte. Il procuratore di Prato ha emesso un decreto di perquisizione e sequestro contro 564 detenuti (solo ventinove dei quali sono indagati). Gli interessati sono reclusi in tutti i reparti: Alta Sicurezza, Media Sicurezza, senza escludere i Semiliberi e le aree comuni. Questa misura straordinaria, spiega il procuratore Luca Tescaroli in un comunicato diffuso nella mattinata, è “resa necessaria dal peculiare fenomeno criminale pulviscolare che, pur concentrandosi prevalentemente nelle sezioni ottava, quinta, sesta e decima, irradia i propri effetti ad ampio raggio nella struttura carcerariaâ€. La situazione descritta dal procuratore è quella di un’isola di illegalità dove sotto il cartello dello Stato dominano di fatto i detenuti più pericolosi e violenti: consegne di droga con i droni che entrano nella Dogaia tranquillamente, minacce ai detenuti con permesso di uscita per costringerli a fare da corrieri, talvolta ingerendo ovuli pieni di droga, pressioni per sfruttare ogni contatto con l’esterno, compresi i colloqui con i familiari, e poi telefonini e internet a go go per coordinare con la tecnologia le attività illegali dalla cella. I detenuti gestiscono i loro social dalla cella così da mostrare all’esterno chi comanda. Dentro e fuori, anche dopo la condanna. Dalla cella al web.
E non è quindi sorprendente che al termine dei controlli le forze dell’ordine abbiano rinvenuto sei dosi di hashish, una di cocaina, sessantadue pasticche di sostanze “verosimilmente stupefacenti”, 14 lame artigianali, un cutter, un cacciavite, cinque punteruoli artigianali, uno smartphone privo di sim, uno smartwatch e denaro contante.
Il problema della Dogaia era già stato oggetto di altre operazioni limitate nel passato. Vista la difficoltà di restaurare la legge il procuratore Tescaroli ha scelto di ricorrere a una perquisizione totale. Come si è potuti arrivare a questo punto? Nel comunicato il procuratore enumera i fattori scatenanti: “La possibilità di movimento concessa ai detenuti, soprattutto coloro che svolgono attività lavorative in seno alla struttura, sono ammessi ai permessi premio e sono semiliberi, nonché le possibili connivenze di alcuni appartenenti alla polizia penitenziariaâ€.
Per il procuratore in questo buco nero “l’uso della violenza e della minaccia da parte di detenuti nei confronti di altri†punta “all’approvvigionamento di sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish, eroina e anfetamine/metanfetamine all’esterno del carcere, per il tramite di detenuti permessanti o semiliberi, destinatari anche di intimidazione e violenza, ovvero mediante consegna durante i colloqui di quanto occultato nelle parti intime dei familiari che si sono recati a colloquio, o invio di plichi destinati ai detenuti, celati all’interno di indumenti o cibi, o lanci di involucri, ovvero l’impiego di droni che trasportano plichi contenenti stupefacenti, nonché alla vendita e distribuzione dello stesso e nell’introduzione e impiego di telefoni cellulari e di social network, come i profili Tik Tok, che più detenuti continuano a gestireâ€.
Il procuratore ritiene di avere individuato un’altra problematica: l’uso delle strutture che dovrebbero aiutare il reinserimento nella società in senso opposto alla loro finalità . Scrive Tescaroli: “La struttura di accoglienza Jacques Fesh (ubicata a Prato, in via Pistoiese) è risultata essere un luogo strategico per convogliare la droga, alla quale sono risultati avere accesso incontrollato detenuti in permesso autorizzati a uscire dal carcereâ€. La questione da risolvere urgentemente è quella dei droni. La tecnologia che ha cambiato la guerra nel mondo muta anche i traffici nelle celle di casa nostra: “Alcuni detenuti gestiscono l’approvvigionamento con l’impiego di droni in grado di trasportare plichi, al cui interno viene occultato stupefacente, cellulari, coltelli e tirapugniâ€. Ovviamente il servizio della consegna in carcere si paga caro: “I rischi che si affrontano per l’introduzione dello stupefacente comportano un aumento esponenziale del prezzo per l’acquisto della droga, che spesso risulta versato dai molti consumatori in carte ricaricabili, come le Postepay, riconducibili ai detenuti o a soggetti a loro vicini. A titolo esemplificativo, secondo le indicazioni provenienti da un detenuto che ha intrapreso un percorso collaborativo, per l’acquisto di 0,7 grammi di cocaina ha pagato 500 euroâ€.
A nulla sono serviti i primi interventi mirati: “Il fenomeno non è stato neutralizzato il 28 giugno 2025 con le attività di perquisizioni svolte su scala ridotta in seno al carcere La Dogaiaâ€. E già perché con quelle perquisizioni “non sono stati individuati gli apparecchi nella disponibilità di detenuti correlati a diciassette IMEI che sono risultati attivi (12 IMEI nell’alta Sicurezza e 5 nel reparto Media Sicurezza) e quelli utilizzati per l’impiego di ventuno utenze risultate nella disponibilità di detenuti (diciotto rientranti nel circuito alta Sicurezza e tre nel reparto media Sicurezza), nonché il congegno elettronico che ha consentito e consente a più detenuti di gestire dal carcere il proprio profilo Tik Tokâ€. Meglio è andata invece sul fronte droga: “Sono invece stati sequestrati, dal luglio 2024, trenta quantitativi di droga ( 1.145 gr. di hashish, 163,09 di cocaina, 4,61 di eroina e 0,66 di anfetamine/metanfetamine), occultati in camera di pernottamento, da familiari sulla loro persona, allorché si recano ai colloqui, e all’interno di pacchi spediti; quarantanove telefoni cellulari e alcuni routers sono stati rinvenuti e sequestratiâ€.
Chi sono gli indagati? Ventinove detenuti di nazionalità dominicana, tunisina, marocchina, egiziana, italiana, polacca e albanese, a vario titolo, per estorsione, violenza privata, acquisto e vendita di stupefacenti, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti e detenzione e porto di armi. Un dominicano e un tunisino, operativi nell’ottava sezione della Media Sicurezza, sono risultati avvalersi di due detenuti in permesso, destinatari di aggressione fisica, per costringerli, con violenza e minaccia, a prestarsi per portare clandestinamente all’interno dell’istituto penitenziario lo stupefacente al rientro dalla fruizione dei permessi loro concessi. Scrive il procuratore: “L’aggressione dell’ 8 aprile 2025 risulta essere stata eseguita colpendo il detenuto vittima con calci e pugni al volto e in varie parti del corpo che gli provocavano lesioni personali, consistite in un trauma cranio-facciale all’interno della camera di detenzione ove era ristretto, rappresentandogli che l’aggressione costituiva solo l’inizio, ove non si fosse prestato a portare lo stupefacente all’interno dell’istituto pratese, rientrando dal permesso. L’aggressione del 16 maggio 2025 è consistita nel colpire la vittima con un punteruolo rudimentale all’avambraccio sinistro e nella zona inguinale sinistra, all’interno della camera di sicurezza ove era ristretto, sempre per costringerlo a portare lo stupefacente, rientrando dal permessoâ€. Non solo: “Tre detenuti si approvvigionavano di cellulari e armi (coltelli e tirapugni) impiegando un drone con una lenza lunga venti metri impiegata per trasportare i plichi contenenti detto materiale sino alla finestra della loro cella, priva di rete anti lancio, da dove prendevano il materiale, previe intese con un soggetto in libertà deputato a manovrare il drone, contattato con un’utenza cellulareâ€. La novità è la collaborazione da parte dei detenuti stufi di subire angherie. “Sei detenuti, destinatari di atti di violenza e di minacce di morte anche con l’impiego di armi, hanno assunto atteggiamento di collaborazione con quest’ufficio denunciando le intimidazioni, le violenze e i soprusi patiti, nonché indicando i canali di introduzione e i soggetti che gestiscono l’attività correlata all’approvvigionamento e alla vendita di stupefacenteâ€. Il procuratore Tescaroli lancia un appello: “I detenuti vittima sono invitati a denunciare quanto accade all’interno della struttura carceraria pratese, tenendo conto che sussiste la possibilità di ricorrere ad appropriate misure di tutela nei loro confronti, come si è già provveduto a fare per coloro (i sei citati) che hanno fornito un concreto apporto alle investigazioniâ€. E c’è anche una richiesta al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Scrive Tescaroli: “Le investigazioni espletate rivelano la necessità di munire la struttura carceraria pratese di telecamere e di reti anti lancio per tutte le finestre delle camere di detenzione occupate dai detenuti per neutralizzare l’impiego di droni con riprese continuative e ostacolare l’apprensione di plichi portati dai droni dalle celle, nonché di munire l’istituto di sistemi antidrone e di personale adeguato a garantire un compiuto servizio di vigilanza armata per prevenire il sorvolo degli stessi. Emerge, poi, l’esigenza di schermare la struttura in modo da impedire l’utilizzo della rete internet e di quella telefonica dall’interno della struttura carceraria. Inoltre, è emersa l ‘esigenza di sottoporre a contro ili sanitari, con esami radiologici (lastre), i detenuti permessanti al rientro in carcere per neutralizzare l’impiego di detto canale per introdurre lo stupefacenteâ€. I decreti di perquisizione e sequestro sono stati eseguiti da un contingente di circa 800 esponenti delle quattro forze dell’ordine, Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza e Polizia Penitenziaria.
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“La Bbc ha ucciso Diana?â€: questo il quesito che si pone un titolo fortemente provocatorio scelto dal Telegraph per presentare il libro dell’ex giornalista della rete ammiraglia britannica, Andy Webb. Riscrivere e ridefinire la storia sarebbe il più grande addebito riconosciuto alla Bbc accusata degli effetti generati dall’intervista rilasciata dalla principessa del Galles nel novembre del 1995 al programma Panorama e realizzata dal giornalista Martin Bashir. Secondo il libro Dianarama: The Betrayal of Princess Diana, le conseguenze prodotte da tutta la rete di inganni messi a segno per convincerla a confessare il suo dolore pubblicamente e davanti alle telecamere, avrebbe inesorabilmente condotto alla sua morte prematura avvenuta in un incidente stradale a Parigi, poco meno di due anni dopo.
23 milioni di persone videro una principessa piegata dalla solitudine e dalla sofferenza per un matrimonio fallito ancora prima di nascere e una famiglia reale incapace di mostrare alcuna empatia. Anche l’intervista realizzata nel 2019 all’ex principe Andrea, dal programma Bbc Newsnight, ha avuto conseguenze nefaste per la reputazione della corona, ma nulla di paragonabile agli effetti catastrofici generati da Bashir. “La vita di Diana era stata deviata su un percorso terribilmente pericoloso che risultò nella sua morte†teorizza Webb nel suo libro. Tradotto, se la principessa non fosse stata ingannata al punto da essere spinta a credere a bugie dolorose e trame vili nei suoi confronti, il suo destino sarebbe stato diverso e la sua fine, probabilmente, non sarebbe stata scritta da quella corsa forsennata sotto al tunnel dell’Alma.
Martin Bashir aveva usato stratagemmi scorretti ed illeciti per convincere Diana a parlare a cuore aperto. Aveva prodotto documenti falsi per avere un effetto persuasivo anche nei confronti del fratello affinché la spingesse a concedersi alle telecamere. Lady D era stata convinta di essere spiata dai servizi segreti, che il suo primogenito William fosse stato dotato di un orologio per registrare le sue conversazioni, violazioni profonde della sua sfera privata erano state insinuate per renderla vulnerabile. Tra le teorie esposte nel libro figurano anche quelle secondo le quali Elisabetta II fosse in procinto di abdicare e che una volta divenuto re, Carlo si sarebbe risposato, ma non con Camilla, come lei si aspettava, bensì con la baby sitter. Tiggy Legge-Bourke è un nome che ai più risulterà sconosciuto, ma per Diana era diventato un nuovo insopportabile incubo. Prima di ottenere il consenso a parlare con la Bbc, erano arrivati a farle credere che la donna che si occupava dei suoi bambini avesse una relazione con il futuro sovrano e che fosse addirittura rimasta incinta salvo poi avere abortito.
Da qui il cambio di significato da attribuire alla famosa frase “eravamo in tre nel nostro matrimonio†che tutti hanno sempre ricondotto alla eterna relazione d’amore tra Carlo e Camilla, poi sfociata in un matrimonio che ha portato la grande rivale di Diana sul trono. Con un cambio di significato inatteso, la terza “incomoda†era diventata Tiggy. Da qui le ossessioni che la spinsero ad insinuare che Carlo non sarebbe stato adatto a fare il re e che portarono Elisabetta II a dare il via libera immediato al processo di divorzio tra i due, che erano solo separati. La storia riscritta dalle trame di persone disposte a tutto pur di ottenere i loro obiettivi e la Bbc che non poteva non sapere. Di più, l’ormai ex direttore generale, Tim Davie, era al corrente di tutto secondo il Telegraph, mai generoso nei confronti della tv pubblica britannica. Nel 2020, al suo arrivo, era stato informato dello scandalo “Bashir†pronto ad esplodere, ma non poteva immaginare che poi sarebbe arrivato anche quello di Donald Trump che lo ha portato alle dimissioni qualche settimana fa. Il presidente americano si dice pronto a fare una causa milionaria alla Bbc accusata di aver trasmesso un discorso “infamante e reso radicale†dai tagli operati in fase di montaggio.
L’emittente si è scusata, ma nel frattempo un fiume di scandali, accuse ed inaccuratezze ha continuato a scorrere sotto le sue fondamenta generando una crisi di credibilità senza precedenti. L’ultimo atto, tra i tanti in serbo dai suoi detrattori, potrebbe essere scritto proprio dal futuro re che, stando alle ricostruzioni del libro, sarebbe a sua volta pronto a lanciare la sua offensiva per reagire alla “ferita lasciata aperta†da quella famigerata intervista del 1995. William avrebbe “messo delle persone†in azione per fare chiarezza sull’accaduto. Mala tempora currunt.
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L’ospite in piedi, come di consueto, lui seduto, a mo’ di professore in cattedra. È lo schema che si è ripetuto alla Casa Bianca, con Donald Trump, che ha ospitato il neo sindaco di New York, Zohran Mamdani. Il presidente ha definito Mamdani una figura che “sorprenderà alcuni conservatori”, lasciando intendere un possibile rapporto collaborativo. Durante la conferenza stampa congiunta, un giornalista ha chiesto a Mamdani se confermasse di aver definito Trump un “fascista” in passato. Il sindaco eletto ha tentato una risposta prudente: “Ho parlato di…”. Ma Trump lo ha interrotto con tono ironico: “Va bene. Può semplicemente dire di sì. È più facile che spiegarlo. Non mi dispiace”. Mamdani, sorridendo, ha replicato: “Va bene”.
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I piccioni non possono vantare il titolo di animali più amati dagli esseri umani, eppure c’è qualcuno che ha a cura la loro sorte. In Italia abbiamo la “donna dei piccioni†che a Roma semina il panico tra i condomini offrendo agli uccelli cibo dal balcone giorno e notte con conseguenze raccapriccianti per il quartiere, mentre a Parigi c’è una signora che cura le loro zampette spesso afflitte dallo “stringfootâ€, quella sindrome che causa serie lesioni agli arti causata da fili e capelli umani che si aggrovigliano intorno alle zampe interrompendo l’afflusso di sangue. Le conseguenze più serie per i piccioni sono la perdita di dita o addirittura dell’intera zampa. Per questo motivo ogni giorno Catherine Hervais si reca in una piazza vicino al Centre Pompidou, nel centro di Parigi, per aiutare gli uccelli feriti. Li attira con del mangime e poi, con molta cura, rimuove con forbici e pinzette i fili dalle loro zampe. “Quello che voglio evitare è averne troppi con le zampe atrofizzate nel mio quartiereâ€, spiega la donna, come riporta “Reutersâ€.
Una ricerca del 2019 ha posto l’accento su questo problema nella capitale francese. Le cause sarebbero da ricercare nella densa popolazione umana, negli spazi verdi sempre più limitati e, al contrario, nei numerosi saloni per parrucchieri. Frederic Jiguet, ricercatore presso il Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi e tra gli autori dello studio, fa sapere: “Le persone spesso pensano che i piccioni siano uccelli sporchi che vivono nei loro stessi escrementi e che abbiano qualche tipo di malattia, batteri o qualche tipo di lebbra che corrode le loro zampe, rendendoli uccelli disgustosi. Ma in realtà no. Questi uccelli sono vittime del nostro inquinamento dei marciapiedi e delle nostre pratiche di gestione dei rifiuti, soprattutto per quanto riguarda i capelliâ€. Lo “stringfoot†oltre a infliggere sofferenza ai piccioni, ne riduce la mobilità , rendendo per loro più difficoltoso l’andare in giro a procacciarsi il cibo e, per gli esemplari maschi, salire sulle femmine per riprodursi. Per affrontare la questione, Jiguet suggerisce una migliore gestione dei rifiuti, inclusi bidoni pensati appositamente per i capelli, e più spazi verdi affinché gli uccelli possano in qualche modo salvarsi dall’inquinamento urbano.
Tornando a Catherine Hervais, sebbene dubiti dell’impegno delle autorità nel risolvere il problema, afferma che continuerà ad alleviare la difficile situazione dei piccioni nella sua zona: “Quando vedo i piccioni sempre ricoperti di fili, e che è un ciclo senza fine, beh, mi colpisce, ovviamente, ma non possiamo cambiare il mondo, perciò faccio quel che è in mio potere e aiuto quando possoâ€.
L'articolo “Salvo i piccioni dai capelli umani. Se si aggrovigliano intorno alle zampe non possono più muoversi né accoppiarsi, fino a perdere le ditaâ€: la storia di Catherine Hervais proviene da Il Fatto Quotidiano.