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Gli Stati Uniti hanno deciso di sanzionare cinque personalità europee impegnate a favore di una regolamentazione più severa sul settore tecnologico. Tra loro c’è anche l’ex commissario europeo per il mercato interno e i servizi, Thierry Breton. A lui è stato vietato l’ingresso nel Paese. Il Dipartimento di Stato ha giustificato le misure affermando che le azioni di queste persone equivalgono a “censura” e sono dannose per gli interessi americani.
Breton, indicato in Commissione dal presidente francese Emmanuel Macron, si era dimesso il 16 settembre del 2024 annunciando la decisione con una lettera pubblicata su X dopo alcuni contrasti con la presidente Ursula von der Leyen. Da commissario europeo aveva identificato 6 compagnie “gatekeepers†(da Amazon fino a Apple e Meta, 5 statunitensi e una cinese) sottolineando che dovevano attenersi alle nuove regole del mercato digitale Ue: nessuna di esse potrà dirsi “troppo grande per rispettarleâ€, aveva detto Breton.
In una nota del segretario di Stato Marco Rubio si legge che “il dipartimento di Stato sta intraprendendo azioni decisive contro cinque individui che hanno guidato sforzi organizzati per costringere le piattaforme americane a censurare, demonetizzare e sopprimere i punti di vista americani a loro contrari. Questi attivisti radicali e le Ong strumentalizzate hanno promosso la repressione della censura da parte di stati stranieri, prendendo di mira in ogni caso oratori e aziende americane”. Pertanto, prosegue Rubio, “ho stabilito che il loro ingresso, la loro presenza o le loro attività negli Stati Uniti hanno potenzialmente gravi conseguenze negative per la politica estera degli Stati Uniti”. La nota di Rubio si conclude sottolineando che, “il presidente Trump ha chiarito che la sua politica estera ‘America First’ respinge le violazioni della sovranità americana. L’ingerenza extraterritoriale dei censori stranieri che prendono di mira la libertà di parola americana non fa eccezione. Il dipartimento di Stato è pronto ad ampliare l’elenco odierno se altri attori stranieri non cambieranno rotta”.
L'articolo Gli Usa negano il visto all’ex commissario Ue Breton e altri 4 europei: “Danneggiano i nostri interessi” proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’invio di militari della Guardia Nazionale è possibile solo in circostanze “eccezionali” e, allo stato attuale, il governo non ha indicato una base giuridica che consenta all’esercito di far rispettare le leggi nello Stato dell’Illinois. Con questa motivazione i giudici della Corte Suprema americana hanno inflitto una dura battuta d’arresto al presidente Donald Trump, stabilendo che – almeno per il momento – non potrà procedere con il dispiegamento della Guardia Nazionale nell’area di Chicago.
La decisione ha visto i sei giudici conservatori della Corte Suprema divisi, con tre a favore e tre contrari al dispiegamento delle truppe. I tre giudici liberali si sono, invece, schierati con i contrari. Il provvedimento, sebbene preliminare e provvisorio, rischia di avere un effetto a cascata, mettendo in discussione la strategia di Trump di impiegare truppe federali in diverse altre città , tra cui Los Angeles, Portland, Washington, San Francisco e Baltimora, nonostante l’opposizione delle autorità locali e statali. E probabilmente rafforzerà nei tribunali le argomentazioni di chi è contrario. Il caso di Chicago rappresenta il primo intervento della Corte Suprema sui tentativi dell’amministrazione Trump di schierare la Guardia Nazionale nelle aree urbane. In precedenza, giudici federali avevano già bloccato iniziative analoghe a Chicago e Portland, mentre altri contenziosi restano aperti.
La mossa controversa di Trump di schierare la Guardia Nazionale a Chicago si basava sulla valutazione della sua amministrazione secondo cui la città e l’area intorno stavano precipitando nel caos e nell’illegalità . Ma le autorità locali, come il governatore democratico dell’Illinois J.B Pritzker, hanno accusato il presidente americano di avere un secondo fine: punire i suoi oppositori politici. Nei documenti presentati in tribunale, lo Stato e Chicago hanno sostenuto che l’invocazione della legge federale da parte di Trump non fosse giustificata e che le sue azioni violassero anche il X Emendamento della Costituzione, che pone limiti al potere federale. Punto di vista condiviso dalla Corte Suprema e oggi il piano del presidente Usa ottiene una prima e rilevante bocciatura.
L'articolo La Corte Suprema blocca Trump: no al dispiegamento dei soldati della Guardia Nazionale a Chicago proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un aereo con a bordo una delegazione libica, tra cui il capo di Stato maggiore libico Mohammed al-Haddad, si è schiantato in Turchia. Il premier libico del governo di Tripoli Abdul Hamid Mohammed Dbeibah ha dichiarato che il capo dell’esercito è morto: “Non c’è nessun superstite”. Il premier ha dichiarato sui social che il “tragico incidente” è avvenuto mentre la delegazione libica stava “rientrando da una visita ufficiale ad Ankara” e ha definito l’accaduto una “grande perdita” per la Libia. Al-Haddad era il massimo comandante militare della Libia occidentale e ha svolto un ruolo cruciale negli sforzi in corso, mediati dalle Nazioni Unite, per unificare l’esercito libico, diviso al pari delle istituzioni del Paese.
La notizia dell’aereo precipitato era stata resa nota dal ministro dell’Interno turco Ali Yerlikaya in un post su X, riferendo che sono stati individuati i rottami del jet a circa due chilometri a sud del villaggio di Kesikkavak, nel distretto di Haymana, nella provincia di Ankara. “L’opinione pubblica sarà informata sugli sviluppi”, ha aggiunto.
Poco prima le autorità turche avevano riferito di avere perso il contatto radar con l’aereo poco dopo il decollo dalla capitale. A bordo del jet privato, un Falcon, c’erano cinque persone tra cui il generale Muhammad al-Haddad. Il ministro dell’Interno ha spiegato che il contatto con il jet, con numero di coda 9H-DFJ, è stato perso alle 20.52 ora locale (18.52 italiane). L’aereo era decollato dall’aeroporto di Ankara Esenboga ed era diretto a Tripoli. “Una richiesta di atterraggio d’emergenza è stata ricevuta nei pressi di Haymana. Tuttavia, il contatto con l’aereo non è stato successivamente ripristinato”, ha aggiunto il ministro turco.
Le immagini delle telecamere di sicurezza trasmesse dalle televisioni locali hanno mostrato il cielo notturno sopra Haymana improvvisamente illuminarsi da quella che sembra essere un’esplosione. Ad Ankara Muhammad al-Haddad aveva incontrato il ministro della Difesa turco Yasar Guler e altri funzionari. In seguito alle segnalazioni, ha riferito l’emittente Ntv, l’aeroporto di Ankara è stato chiuso e diversi voli sono stati dirottati verso altre destinazioni.
L'articolo Turchia, precipitato vicino ad Ankara un jet con a bordo il capo di Stato maggiore libico: “Sono tutti morti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
È morto a soli 27 anni il biatleta norvegese Sivert Guttorm Bakken: lutto nel mondo del biathlon, dove era molto conosciuto avendo ottenuto diversi podi in Coppa del Mondo. Bakken è deceduto a causa di un malore mentre si trovava in vacanza con alcuni compagni di squadra a Passo Lavazè in Trentino-Alto Adige.
Bakken è stato trovato senza vita all’interno dell’albergo dove alloggiava. “I nostri pensieri ora vanno principalmente alla famiglia di Sivert e a tutti coloro che gli sono vicini. Stiamo collaborando con le autorità italiane sul posto”, ha affermato Emilie Nordskar, segretaria generale ad interim della federazione norvegese di biathlon. Bakken nel maggio del 2022 era stato costretto a fermarsi per problemi cardiaci (una pericardite) ma era rientrato a competere nella stagione 2024/2025, per poi saltare le gare di Coppa del Mondo a Hochfilzen, in Austria, a causa di un malore. La Federazione norvegese fa sapere che “atleti e familiari saranno seguiti da un team di supporto psicologico e che martedì sera si terrà una cerimonia commemorativa aperta al pubblico”.
Nel 2022 aveva conquistato una vittoria in Coppa del Mondo nella partenza in linea, ma non aveva mai preso parte a rassegne olimpiche o mondiali per via dell’altissimo livello della compagine norvegese. Bakken era in gara proprio domenica scorsa ad Annecy dove si era piazzato ventesimo nella mass start. Aveva gareggiato anche il 19 dicembre piazzandosi quinto nella sprint.
“I nostri pensieri ora vanno principalmente alla famiglia di Sivert e a tutti coloro che gli sono vicini. Stiamo collaborando con le autorità italiane sul posto†ha affermato Emilie Nordskar, segretaria generale ad interim della federazione norvegese di biathlon.
La Federazione norvegese aggiunge: “Quello che sappiamo è che Sivert è stato trovato morto oggi nella sua camera d’albergo nella cittadina alpina di Lavazé, in Italia. Siamo ovviamente in contatto con la polizia italiana sul posto. Le indagini sono in pieno svolgimento e stiamo lavorando a stretto contatto con loro. Non sappiamo quale sia la causa del decesso. Spetterà alla polizia scoprirlo. Ora sosterremo la famiglia di Sivert e i suoi cari, gli atleti e il resto della famiglia del biathlonâ€.
L'articolo Morto il biatleta Sivert Guttorm Bakken, è stato trovato senza vita in albergo in Trentino: aveva 27 anni proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un ex calciatore libico arrivato in Italia su un barcone e condannato a trent’anni di reclusione perché considerato lo scafista. Tra le cinque grazie concesse nella giornata di lunedì 22 dicembre dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella c’è anche questa storia. Il protagonista in questione – che ha ricevuto la grazia insieme a Zeneli Bardhyl, Franco Cioni, Alessandro Ciappei e Gabriele Spezzuti – è Abdelkarim Alaa F. Hamad, condannato alla pena complessiva di trenta anni di reclusione per delitti di concorso in omicidio plurimo e violazione delle norme sull’immigrazione, per fatti avvenuti nel 2015.
L’ex calciatore avrà uno sconto di pena di 11 anni e 4 mesi e in questo modo potrà accedere alle misure alternative, come la semilibertà per scontare il terzo della pena che gli resta. “Nel concedere la grazia parziale, che ha estinto una parte della pena detentiva ancora da espiare“, spiegano dal Quirinale, “il Capo dello Stato ha tenuto conto del parere favorevole del Ministro della Giustizia, della giovane età del condannato al momento del fatto, della circostanza che nel lungo periodo di detenzione di oltre dieci anni sinora espiata dall’agosto del 2015, lo stesso ha dato ampia prova di un proficuo percorso di recupero avviato in carcere”.
Nato in Libia trent’anni fa, nel 2017 la giustizia italiana lo ritenne, insieme a quattro compagni, lo scafista di un barcone che, nella notte di Ferragosto di dieci anni fa, venne soccorso dalla Marina italiana al largo di Lampedusa e nella cui stiva sono stati trovati i corpi di 49 persone, morte asfissiate durante la traversata.
In Libia l’uomo studiava ingegneria e – come i compagni condannati insieme a lui – era calciatore professionista. Quando nel 2014 nel paese scoppiò la guerra civile tra le forze del governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli e quello di Tobruk sostenuto dalle milizie del generale Haftar, i quattro cercarono di raggiungere l’Europa per continuare a studiare e giocare a pallone.
All’insaputa della famiglia pagò mille euro agli scafisti di Zuwara, a ovest di Tripoli, racconterà successivamente agli inquirenti. Su quel barcone partito il 14 agosto del 2015, avvenne una strage di migranti: 49 persone morte asfissiate nella stiva piena all’inverosimile. Le vittime furono scoperte quando l’imbarcazione in difficoltà , segnalata a 135 miglia a sud di Lampedusa, venne soccorsa.
A bordo della nave norvegese Siem Pilot arrivarono in Sicilia 313 migranti e i 49 cadaveri. All’inizio il giovane libico venne sentito come testimone, poi lui e i suoi due amici si ritrovarono a essere indagati con l’accusa di favoreggiamento di ingresso illegale e omicidio plurimo. Due anni dopo la Corte di Assise di Catania lo condannò a 30 anni di carcere, sentenza confermata in appello nel 2020 e poi in via definitiva dalla Cassazione, nonostante la difesa abbia sempre evidenziato lo scarso numero dei testimoni che l’hanno accusato e le condizioni di choc in cui hanno reso testimonianza.
Successivamente all’Ucciardone di Palermo l’ex calciatore ha imparato l’italiano, si è diplomato una seconda volta e ha scoperto la passione per l’arte e la scrittura grazie ai laboratori proposti ai detenuti. Durante un laboratorio – nel febbraio del 2023 – ha conosciuto la professoressa Alessandra Sciurba, coordinatrice della Clinica legale diritti e migrazioni dell’Università di Palermo. Da quell’incontro è nato uno scambio di lettere, alcune delle quali sono state pubblicate da Sellerio in un libro dal titolo Perché ero ragazzo.
L'articolo Mattarella grazia l’ex calciatore libico condannato a 30 anni con l’accusa di essere scafista: la storia di Abdelkarim proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un 46enne di origini peruviane è stato arrestato per maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti di due ospiti ultraottantenni di una Rsa di Parabiago, in provincia di Milano. Sono stati i carabinieri del nucleo operativo radiomobile della compagnia di Legnano a eseguire l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari emessa dal Gip del Tribunale di Busto Arsizio (Varese), su richiesta del pubblico ministero Nadia Calcaterra. Le indagini sono partite lo scorso ottobre dalla denuncia dei famigliari di una delle due vittime, che avevano notato strani lividi sul suo corpo. Grazie alle intercettazioni ambientali e ai filmati registrati dalle telecamere nascoste, dai quali si è risaliti alla seconda vittima, i militari legnanesi hanno ricostruito uno scenario di abusi quasi quotidiani. Entrambe le vittime erano incapaci di difendersi e di denunciare gli abusi perché soffrono di patologie neurodegenerative. Chiuse le indagini sono scattate le manette.
Nelle prossime ore saranno sentiti, oltre ai colleghi del 46enne e ai vertici della rsa, anche i famigliari degli altri ospiti per accertare se vi possano essere altre situazioni sospette su cui indagare.
L'articolo Abusi su ospiti ultraottantenni di una rsa, arrestato un operatore nel Milanese: incastrato dalle telecamere nascoste proviene da Il Fatto Quotidiano.
La Lazio potrà tornare a fare regolarmente mercato nella prossima sessione invernale. Secondo quanto si apprende, il club biancoceleste ha rispettato i parametri richiesti dalla commissione indipendente che monitora i conti delle squadre professionistiche e potrà quindi operare senza alcuna limitazione. Napoli e Pisa invece potranno fare mercato, ma solo se ogni acquisto sarà compensato da una cessione.
Il club biancoceleste dalla scorsa estate infatti aveva il blocco del mercato, in quanto a giudicare i conti delle società di calcio è una Commissione governativa che si basa sugli stessi parametri dell’Uefa. Per operare sul mercato i club devono rispettare tre indici: quello di liquidità (rapporto tra attività e passività correnti) quello di indebitamento (rapporto tra debiti e ricavi) e quello del costo del lavoro allargato (rapporto tra costo del lavoro e ricavi). La Lazio li aveva sforati tutti e tre e così si era ritrovata col mercato completamente bloccato.
Sia il Napoli che il Pisa potranno operare nella sessione invernale 2026 solo con acquisti e cessioni a “saldo zero“, ovvero ogni nuovo acquisto dovrà essere compensato da una cessione per non incrementare il costo del lavoro, a causa delle normative sui bilanci vigenti. Questa regola impone che i club non possano spendere denaro fresco per i trasferimenti, ma devono bilanciare entrate e uscite.
Ciò significa che se il Napoli o il Pisa vorranno acquistare un giocatore, dovranno prima cedere un altro giocatore per un valore economico simile, mantenendo il budget invariato. Non è possibile fare acquisti “a fondo perduto” (cioè spendere soldi per un nuovo giocatore senza vendere nulla). Ciò è avvenuto perché è stato appurato che il costo del lavoro allargato ha superato la soglia dell’80% (indicatore costo lavoro allargato/ricavi inferiore a 0,8) e ha disposto la limitazione sul mercato di gennaio.
Essendo la prima infrazione per entrambe da quando è entrato in vigore questa nuova regola, è stata disposta la “semplice” limitazione, invece che il blocco totale. Quest’ultimo sarà applicato nel caso in cui un club si trovasse al di sopra del criterio per due sessioni consecutive e l’infrazione fosse maggiore rispetto a quella fatta registrare nel primo caso.
L'articolo La Lazio potrà fare mercato nella prossima sessione: rispettati i parametri. Napoli e Pisa solo a “saldo zero” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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L'articolo MillenniuM, abbonati e nel 2026 spendi la metà . E in digitale spendi un terzo proviene da Il Fatto Quotidiano.
A pochi giorni dalla diffusione della notizia dell’indagine a suo carico per maltrattamenti e lesioni, il sindaco di Cervia, Mattia Missiroli, lascia l’incarico: “Con profondo dolore e ribadendo ancora una volta la mia totale estraneità a qualsiasi episodio di maltrattamenti o violenza, rassegnerò le mie dimissioni“, annuncia in una lunga nota diffusa dal Comune. “In questo momento non sarebbe possibile – aggiunge – affrontare una situazione così complessa con la necessaria lucidità , né garantire la serenità che l’istituzione comunale merita. Ritengo quindi responsabile destinare ogni energia alla tutela della mia onorabilità e, soprattutto, ai miei figli, che hanno bisogno di un padre pienamente presente in una fase così delicata della loro vita”.
Missiroli, vecchia conoscenza della televisione italiana data la sua partecipazione nel reality calcistico cult “Campioni, il sogno†che seguiva le gesta proprio del Cervia, è un architetto libero professionista di 44 anni ed è diventato sindaco nel 2024 con una coalizione che comprendeva Pd, Avs e 5 stelle. La Procura di Ravenna ha chiesto per lui la custodia cautelare in carcere, respinta dal giudice per le indagini preliminari che ha rigettato la richiesta considerando i fatti episodici e facendo notare come l’uomo abbia subito lasciato casa dopo la visita al pronto soccorso della moglie. Il pm intende comunque procedere con il ricorso al Tribunale del Riesame di Bologna.
Così, dopo un anno e mezzo dall’elezione, arrivano le sue dimissioni da sindaco di Cervia. Missiroli afferma che negli ultimi giorni lui e la sua famiglia sono stati “travolti da un’esposizione mediatica durissima, che non ha colpito solo me come amministratore pubblico, ma anche i miei affetti più cari e, soprattutto, i miei figli. In questa vicenda non ci sono soltanto ruoli istituzionali: ci sono persone, relazioni e bambini che stanno pagando un prezzo altissimo. Colpisce, in particolare, la rapidità con cui si è arrivati a giudizi pubblici e definitivi, in tempi che non coincidono con quelli della giustizia e dell’accertamento dei fatti”. “Desidero ribadirlo – prosegue – con assoluta chiarezza: condanno ogni forma di violenza, in particolare quella contro le donne, così come condanno ogni forma di violenza in generale. È giusto e doveroso che su ogni situazione si faccia piena luce, senza ambiguità ”.
Missiroli aggiunge di aver “confidato di poter chiarire immediatamente ogni dubbio non appena avessi avuto accesso agli atti, cosa che in questa fase delle indagini non mi è ancora tecnicamente possibile. Ad oggi non ho ricevuto comunicazioni formali, non sono stato convocato e non ho potuto visionare alcun atto. Nonostante ciò, ho letto sui mezzi di informazione ricostruzioni, accuse e giudizi già formulati. Ho appreso dalla stampa contenuti che mi vengono attribuiti, ho visto soffrire le persone a me più care e ho letto valutazioni sommarie sulla mia persona, sulla mia vita e sul mio ruolo. Valutazioni probabilmente figlie della frenesia dei tempi mediatici, ma lontane da una visione garantista e, per questo, profondamente ingiuste”. “Ho dato tutto per questa città , spesso mettendo il resto in secondo piano, nella convinzione – prosegue – che l’interesse generale dovesse venire prima di tutto. L’ho fatto con autenticità , coerenza, determinazione e nel rispetto dei valori in cui credo. Proprio per questo, oggi sento il dovere di compiere un passo indietro”, conclude Missiroli.
L'articolo Mattia Missiroli si è dimesso da sindaco di Cervia: l’annuncio dopo l’indagine per maltrattamenti alla moglie proviene da Il Fatto Quotidiano.
La holding Exor della famiglia Agnelli inizia a vendere quel che resta del gruppo editoriale Gedi dopo la cessione della maggior parte delle testate locali. In attesa di conferme sul destino di Repubblica, Stampa, HuffPost e delle radio, il gruppo ha fatto sapere di aver sottoscritto un accordo preliminare per la cessione della Sentinella del Canavese – storica testata fondata nel 1893 – alla Ledi s.r.l., la società pugliese del gruppo della ristorazione Ladisa che negli anni scorsi aveva ottenuto in gestione temporanea La Gazzetta del Mezzogiorno, salvo poi interrompere le pubblicazioni e perdere il bando per l’aggiudicazione della testata.
Il perfezionamento della cessione è previsto entro gennaio con efficacia dal primo febbraio 2026.
Ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione e all’editoria Alberto Barachini ha incontrato in teleconferenza Theodore Kyriakou, presidente di Antenna Group, interessato all’acquisto delle altre testate. Il senatore di FI ha fatto sapere di aver chiesto garanzie su tutela dei livelli occupazionali e indipendenza editoriale.
L’imprenditore greco avrebbe manifestato “volontà di valorizzare le risorse del gruppo Gedi con l’obiettivo di un consistente investimento finanziario volto allo sviluppo e alla crescita degli asset con una visione solida per il futuro”. E prevede di affidare la gestione di eventuali asset a un management italiano, nel rispetto delle competenze presenti sul mercato nazionale.
L'articolo Gedi firma accordo preliminare per vendere la Sentinella del Canavese alla pugliese Ledi proviene da Il Fatto Quotidiano.
Dopo la cucina italiana patrimonio dell’Unesco, a Palazzo Chigi dall’anno prossimo anche il caffè sarà rigorosamente Made in Italy. Se nel 2024 la presidenza del Consiglio aveva ordinato 67.400 capsule della svizzera Nespresso per i dipendenti provocando la protesta di Francesca Lavazza (“almeno il governo beva italiano!”), ora la premier Giorgia Meloni ha deciso che il caffè sarà nostrano: il 27 ottobre scorso Palazzo Chigi ha ordinato uno stock tra le 70 e le 96 mila capsule con bicchierini in carta rigorosamente compostabile, paletta in legno e bustina da zucchero. Costo: 135 mila euro per un contratto di due anni con opzione sul terzo a Ivs Italia spa, il gruppo di macchinette del caffè che lo scorso anno è entrato proprio nella galassia Lavazza.
Rispetto allo scorso anno, aumenta il numero di caffè acquistati e anche la spesa finale. Se nel 2024 la presidenza del Consiglio aveva ordinato 67.500 capsule di Nespresso al costo di 29.120 euro più Iva, ora l’ordine è aumentato: premesso che, come si legge nella delibera del Dipartimento Servizi Strumentali, le capsule sono “in via di esaurimento”, Palazzo Chigi stima un fabbisogno annuale di 70 mila capsule annue. Cioè, contando 250 giorni lavorativi, 280 capsule al giorno. Da qui l’affidamento diretto di uno stock tra 70 mila e 96.982 capsule che porterebbe il consumo addirittura a 388 caffè al giorno. Necessari, probabilmente, per una delle manovre più difficili da quando Meloni si è insediata al governo, i vertici notturni con gli alleati e per gli ultimi dodici mesi prima delle elezioni politiche del 2027.
Il tutto a un costo di 0,46 centesimi a caffè compreso di bicchierino, paletta e bustina di zucchero per un totale di 32.480 euro più Iva in caso di acquisto di 70 mila capsule e 45 mila più Iva per 96 mila capsule. A Palazzo Chigi questo affidamento diretto costerà 135 mila euro per un contratto di due anni con opzione sul terzo.
Gli ordini di Palazzo Chigi con il governo Meloni sono superiori in valore assoluto a quelli degli esecutivi precedenti: nel 2020 fece scalpore un articolo del Tempo (con tanto di servizi di Striscia La Notizia) per l’acquisto di 27 mila capsule per affrontare i mesi della pandemia al costo di 10 mila euro, che aveva superato quello di Gentiloni (3.500 euro per 8 mila cialde).
L'articolo A Palazzo Chigi dopo le polemiche il caffè torna italiano: Meloni ordina 96 mila capsule per il 2026 (388 al giorno) proviene da Il Fatto Quotidiano.
È scontro nel mondo della scuola sulle parole del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara a seguito delle conclusioni del comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, firmatario di una dichiarazione in cui afferma che “l’Italia viola il diritto degli insegnanti di sostegnoâ€.
A poche ore dalla diffusione della notizia, il professore leghista, ha inviato un comunicato dove mette in luce solo una parte della nota arrivata da Bruxelles tralasciando le contestazioni: “Tengo a sottolineare”, scrive il ministro, “che lo stesso Consiglio conferma che la situazione in Italia è migliorata sotto diversi profili, anche quello legislativo, rispetto a quando l’Anief ha presentato il ricorso nel 2021. Il Consiglio d’Europa ha riconosciuto un impegno significativo da parte di questo governo nel soddisfare la richiesta di sostegno per un numero crescente di alunni con disabilità . Pur nel quadro di complessità del sistema, caratterizzato dalla impossibilità di prevedere annualmente il contingente corrispondente all’effettivo numero di studenti con disabilità , viene in particolare riconosciuto a questo governo di aver istituito una procedura di assunzione straordinaria per ridurre la precarietà tra gli insegnanti di sostegno e di avere concretamente incrementato l’offerta formativa per la specializzazione sul sostegnoâ€. Il membro del governo Meloni insiste su ciò che ha fatto in questi anni: “Il comitato dà inoltre atto al governo delle recenti misure sulla conferma del docente supplente di sostegno e sui nuovi percorsi di specializzazione dell’Indire: misure che ho fortemente voluto per dare risposte concrete ai giovani e alle loro famiglieâ€.
Una lettura contestata dall’Anief che ha sollevato in Europa la questione ma anche dalla Flc Cgil e dall’opposizione mentre a difesa del ministro si schierano le associazioni di genitori con figli con disabilità . Il presidente dell’Anief pur riconoscendo che il ministro ha aperto i corsi Indire per specializzare il personale ed è intervenuto per garantire la continuità didattica con le supplenze ribadisce un fatto: “Questi interventi non risolvono il problema centrale evidenziato dal Comitato europeo dei diritti sociali. Entrambe le misure non superano il rilievo fondamentale che è quello di stabilizzare tutti i posti in organico, cioè di assumere sui posti in derogaâ€.
Dello stesso parere Gianna Fracassi, numero uno della Flc Cgil: “Molto bene la decisione del Consiglio europeo anche se purtroppo non ha nessun effetto pratico, è solo un segnale politico. Noi abbiamo scritto due volte alla Commissione europea segnalando il numero esorbitante di contratti a tempo determinato nel settore scuola. Va fatta anche una operazione di chiarezza: i contratti a tempo determinato nell’ultimo anno sono stati 300mila ma il ministro dell’Istruzione non solo non ha fatto nulla per risolvere la questione ma ha fatto invece tagli e attuato condoni per chi ha acquistato il titolo di sostegno all’esteroâ€.
Per Elisabetta Piccolotti, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra e componente della settima Commissione cultura, scienza e istruzione alla Camera dei deputati: “Valditara prosegue insiste nel negare diritti fondamentali stabiliti da sentenze europee, come quelle che equiparano i salari dei precari con quelli degli insegnanti di ruolo o quelle che stabiliscono il dovere di erogare la carta docenti ai precari. Ormai il ministro è arrivato al punto di far spendere quasi un miliardo in contenziosi al suo ministeroâ€.
Più moderato, invece, Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e componente del Consiglio nazionale del Terzo Settore: “E’ vero, negli ultimi anni sono aumentati i docenti di sostegno, è migliorata la formazione ma dobbiamo fare chiarezza: se vogliamo costruire una scuola che risponda ai bisogni dei disabili serve arrivare ad una cattedra sul sostegno che non sia il trampolino per il posto comune. Ora abbiamo una moria di maestri e professori di sostegno perché dopo qualche anno passano alle cattedre comuniâ€.
La musica non cambia sentendo Roberto Speziale, il presidente dell’Anffas, l’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità : “Quello che afferma Valditara è oggettivo. Restano, tuttavia, dei problemi da affrontare a partire dalla mancanza di docenti specializzati. Non solo. Va affrontata la questione della formazione degli insegnanti curricolari, degli assistenti alla comunicazione che sono garantiti a fatica dagli enti locali. Abbiamo un ottimo assetto normativo ma il sistema continua a registrare inefficienzeâ€.
L'articolo Il Consiglio d’Europa riprende l’Italia sugli insegnanti di sostegno, ma Valditara: “Ha riconosciuto l’impegno del governo” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Donald Trump festeggia: “L’età dell’oro dell’economia procede a pieno ritmo”. E “non avete ancora visto niente!”, assicura. Ma dietro i numeri sulla crescita del pil Usa, che nel terzo trimestre ha segnato un +4,3%, c’è una storia meno trionfale di quella che il presidente prova a vendere sostenendo che il “successo” è dovuto al buon governo e ai dazi.
Nei dati preliminari del Bureau of Economic Analysis, bene accolti dai listini Usa, non c’è però traccia di un effetto strutturale delle tariffe. La crescita è stata sostenuta da consumi ancora solidi, da un aumento della spesa pubblica – in particolare per la difesa – e soprattutto dal contributo del commercio estero, con le importazioni in calo che hanno gonfiato il Pil per un effetto puramente contabile. Un meccanismo già visto nei trimestri precedenti e che gli analisti considerano transitorio, ricorda il Financial Times.
Il punto più critico, però, riguarda gli investimenti privati. Che negli Stati Uniti sono in lieve declino. Una debolezza complessiva che secondo diversi analisti maschera la forte espansione della spesa legata all’intelligenza artificiale. Tutto il resto – macchinari, edilizia non residenziale, investimenti produttivi tradizionali – è in frenata. “Al di fuori dei settori collegati all’AI le intenzioni di spesa in conto capitale restano depresse”, ha scritto l’analista Oliver Allen di Pantheon Macroeconomics in una nota ai clienti citata da Fortune.
Anche Deutsche Bank vede una crescita sbilanciata: senza gli investimenti tecnologici, scrivono in una nota i suoi analisti Adrian Cox e Stefan Abrudan, l’economia Usa nel 2025 sarebbe stata “vicina alla recessione“, con consumi e spesa privata non tech sostanzialmente piatti nel periodo post-Covid.
Secondo Bank of America, i cinque grandi hyperscaler – Alphabet, Meta, Microsoft, Amazon e Oracle – hanno investito nel corso dell’anno circa 399 miliardi di dollari in infrastrutture AI, data center e software, con una spesa destinata a superare i 600 miliardi nei prossimi anni. Una cifra che da sola spiega una parte rilevante della crescita americana.
La corsa all’AI viene però finanziata a debito. Goldman Sachs segnala che nel 2025 l’emissione netta di obbligazioni da parte di società legate all’AI ha superato i 200 miliardi di dollari, più del doppio rispetto all’anno precedente, arrivando a rappresentare circa il 30% di tutta la nuova offerta di credito in dollari.
Il risultato è un’economia che cresce in modo sempre più asimmetrico, con un solo motore – l’intelligenza artificiale – che trascina Pil, mercati e investimenti, mentre il resto del sistema resta debole. Come dimostra il fatto che, al di là del trimestre record, la fiducia dei consumatori resta su livelli storicamente bassi e diversi indicatori anticipatori segnalano un rallentamento nel quarto trimestre.
L'articolo Il pil Usa a +4,3% nel terzo trimestre. Trump: “Età dell’oro grazie ai dazi”. Ma dietro ci sono gli investimenti in AI proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Signora Armanda, sono Sergio Mattarella. Non perdete la speranza: l’Italia è al fianco di Alberto. E al vostro”. Con queste parole il presidente della Repubblica – nei giorni scorsi – ha esordito durante una telefonata a casa Trentini, rivolgendosi alla mamma di Alberto, il cooperante italiano recluso da più di un anno nel maxi-carcere venezuelano de El Rodeo I, per esprimerle solidarietà e vicinanza di tutta l’Italia. A riportare i dettagli della telefonata è Repubblica.
La signora Armanda Colusso, insieme all’avvocata Alessandra Ballerini, ormai da diverso tempo chiede supporto e aiuto agli italiani, con la disperazione di una mamma che non intravede una soluzione immediata. Trentini era stato arrestato il 15 novembre 2024 mentre viaggiava da Caracas a Guasdualito, nello Stato di Apure. Un fermo a un posto di blocco, senza altre spiegazioni, a cui hanno fatto seguito settimane di isolamento: nessun contatto con la famiglia, nessuna possibilità per l’Italia di vederlo o di avere informazioni precise e frequenti.
Dopo mesi di aperture e passi indietro, adesso potrebbe esserci un piccolo spiraglio per la famiglia Trentini. In questi giorni si è infatti aperto un nuovo canale di trattativa per il rilascio e il ritorno a casa del giovane. Non stiamo parlando di svolte diplomatiche nei rapporti Roma-Caracas, ma di un canale di trattativa aperto dall’ambasciatore Onu Alberto López, venezuelano radicato a Vienna, con il sostegno del Palazzo di Vetro, l’Organizzazione internazionale per lo sviluppo delle relazioni diplomatiche, l’Organizzazione internazionale per i diritti umani e dalla Santa Sede.
Lopez è arrivato a Caracas e la sua roadmap prevede anche un incontro con il presidente venezuelano Nicolás Maduro. Per l’occasione López consegnerà a Maduro una lettera a firma della madre di Alberto. “Sono qui per restituire un sereno Natale alla famiglia Trentini e riportare Alberto a casa. Il mio operato non prevede formule magiche: punto alla pace, a rispetto e alla diplomazia, capace di costruire ponti tra mondi distantiâ€, aveva dichiarato ni giorni scorsi a Ilfattoquotidiano.it, alla domanda su come intende superare i malintesi e le diffidenze che hanno finora condizionato la trattativa sul rilascio del cooperante. “Questi 13 mesi di prigionia per Alberto sono stati una crudeltà quotidiana, per lui e anche per noi”, aveva dichiarato la signora Armanda in un’intervista a Repubblica. “Non oso immaginare i pensieri e le riflessioni di mio figlio quando inizia un nuovo giorno: ‘In che Paese sono nato, se permettono che io resti in cella senza colpa alcuna?’, si chiederà ”.
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“No, le istituzioni italiane sono state assolutamente silenti, non hanno fatto nulla, il che è gravissimoâ€. Così Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, risponde al giornalista del Fatto Quotidiano, Andrea Scanzi, che le chiede se le più alte cariche dello Stato italiano, come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro della Difesa Guido Crosetto, l’abbiano difesa a fronte delle sanzioni statunitensi che l’hanno colpita per il lavoro svolto nell’ambito del suo mandato Onu.
Albanese denuncia l’inerzia totale dello Stato italiano e dell’Unione europea. Non chiede una condivisione politica delle sue posizioni, ma una tutela istituzionale dovuta a qualsiasi cittadina italiana che svolge una funzione internazionale: “Possono condividere o meno ciò che io faccio o ciò che io dico, però mi devono tutelare in quanto cittadina italiana. Ho diritto alla protezione funzionale, non voglio neanche dire diplomatica, ma mi devono proteggere e non lo fannoâ€.
Accanto alla passività delle istituzioni, Francesca Albanese racconta il peso incredibile di una campagna di delegittimazione mediatica che la colpisce da mesi. A Scanzi che le cita la firma del Corriere della Sera Fabrizio Roncone, autore di due articoli sprezzanti e praticamente uguali sulla giurista, e il conduttore di La7 David Parenzo, particolarmente prolifico su X contro la relatrice Onu, Albanese risponde di non leggere più molti articoli e post che la riguardano, perché farlo “è un farsi male in modo non necessarioâ€. Ma le accuse che circolano non sono marginali: “Mi sono sentita dire che sono la bodyguard di Hamas. Sono accuse pesantiâ€.
Poi lancia una sfida diretta: “Trovatemi uno straccio di prova sul fatto che io sia pagata da qualcuno per fare il mio lavoro, trovate uno straccio di prova di contatti tra me e Hamas e io mi dimetto domaniâ€.
Il problema è il meccanismo della menzogna ripetuta: “Sono le mille balle blu, come dicevano Travaglio e Gomez: se le ripeti sette volte alla Berlusconi maniera, poi diventano delle verità â€. Un sistema che Albanese individua in un attore preciso: UN Watch. “È il megafono del Ministero degli Affari Strategici israeliano – spiega la giurista – UN Watch opera a Ginevra come organizzazione non governativa accreditata presso l’Onu, ma senza trasparenza sui finanziamenti. Perché non si fa un’inchiesta su questa organizzazione? Non fa altro che impacchettare vere e proprie balle, che vengono poi rilanciate come fonti autorevoli solo perché contengono la sigla “UN†nel nome”.
E aggiunge: “Ho sentito in Italia gente autorevole dire: sì, ma l’ha detto UN Watch. Ma non è un’organizzazione che monitora, è un’organizzazione che dileggia di professione, un insieme di minion al servizio dello Stato genocidaâ€.
Da qui un giudizio durissimo su una parte del giornalismo italiano: “Giornalisti che utilizzano UN Watch come fonte a me sembrano dei dilettanti dell’informazione. Perché mi dovrei cimentare con questa gente? Sì, la delusione c’è, ma parla della loro miseria, non definisce chi sia io come professionista – continua – La cosa che mi ha fatto ridere è che della gente che si definisce giornalista e che scrive per il Corriere della Sera, mi dedichi sette colonne, tre e mezzo delle quali parlano della mia acconciatura, della mia montatura di occhiali, di quanto muova le mani, del colore dei miei vestiti, del fatto che mi vesta in un determinato modo. Ma che pezzenti siete?“.
E sottolinea: “Perché dovrei perdere tempo con gente così quando c’è un genocidio nel mondo? Continuiamo a vederlo, non si è fermato. Usiamo la parola ‘cessate il fuoco’ per metterci a posto con la coscienza. Ma la storia ci giudicherà . È sempre successo e succederà anche questa volta”.
Alla delegittimazione Albanese contrappone il riconoscimento internazionale, come l’accoglienza ricevuta in Sudafrica, la stima della famiglia Mandela, il rispetto di chi “conta davveroâ€.
E conclude con un riferimento sarcastico al massacro mediatico subito per le parole rivolte al sindaco di Reggio Emilia: “In Sudafrica avevo il timore di andare per il fatto di essere europea bianca. E invece sono stata accolta come un idolo. Ma ti pare che io possa andare appresso a… com’è che si chiama? Roncone? Non dico ‘li perdoniamo’ perché sennò mi mettono alla gogna pure per quello. Non perdono più nessuno“.
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“Il fatto di avere un ministro che manda le ispezioni punitive nei confronti di docenti e studenti è vergognoso. Ministro Valditara, vieni da me, parla con meâ€. È con questo affondo diretto che Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, risponde alle iniziative del ministero dell’Istruzione dopo i suoi incontri con studenti e studentesse in alcune scuole toscane.
Intervistata da Andrea Scanzi, Albanese respinge l’idea di aver trasformato quegli appuntamenti in comizi politici e denuncia un clima di delegittimazione che colpisce non solo lei, ma chiunque metta in discussione l’operato dello Stato italiano sul conflitto israelo-palestinese. “Mi accusano di corruzione di giovani, cioè non so se si sia mai sentita una cosa del genereâ€, afferma, rivendicando il diritto di parlare di diritto, etica e Costituzione.
La giurista racconta come l’attacco mediatico le abbia provocato ferite personali profonde, soprattutto quando arriva da figure che stimava. “Per me è stato doloroso vedermi criticare da persone di cui avevo stima, come Romano Prodi o Corrado Augiasâ€, dice. Una delusione che, però, si trasforma in consapevolezza: “Alla fine ho capito che nessuno dei due abbia letto niente di ciò che ho scrittoâ€. È qui che, spiega, scatta l’emancipazione: “Non avete diritto di esprimervi sulla mia persona, sul mio lavoro. Della serie: vivo anche con la vostra criticaâ€.
Secondo la relatrice Onu, il caso italiano rivela un problema più ampio. “In Italia c’è un problema di sionismo diffusoâ€, afferma, chiarendo che non si tratta di un fenomeno legato alle comunità ebraiche, ma di un’ideologia che porta “all’oscurantismo rispetto alla condotta dello Stato di Israeleâ€, nonostante i crimini che commette.
Albanese nega di aver mai definito fascista il governo Meloni, ma aggiunge che, anche se l’avesse fatto, “non è un crimineâ€. Ricorda come esponenti della maggioranza “si vantano di essere fascisti†e “criticano più il 25 aprile che le ragioni storiche che l’hanno prodottoâ€, parlando di una vera e propria “commedia dell’assurdoâ€.
Quanto alle accuse di istigazione alla protesta, chiarisce di non aver mai invitato gli studenti a occupare le scuole, ma di aver riconosciuto il ruolo dei giovani come primi oppositori del genocidio a Gaza, anche attraverso le occupazioni universitarie. “Siete voi, cittadini e cittadine, i guardiani ultimi della legalità â€, ribadisce, richiamando l’etica del diritto e il primato della Costituzione come cardini della formazione giuridica in Italia.
Albanese rivendica anche la portata dei suoi incontri: oltre diecimila studenti raggiunti in pochi giorni, grazie a collegamenti online che coinvolgono decine e poi centinaia di scuole. “Ma non è colpa mia. Lo facessero pure loroâ€, osserva, respingendo l’idea che questo possa configurare una colpa o un abuso.
Il nodo focale resta però la responsabilità politica. “Io ho detto assolutamente che questo governo è corresponsabile dei crimini che Israele sta commettendoâ€, afferma senza esitazioni. Una corresponsabilità che, sottolinea, spetta all’autorità giudiziaria valutare nel “quid e nel quantumâ€, ma che lei fonda su elementi concreti. “Ho portato le prove empiriche di questo nell’ultimo rapporto che ho pubblicato per le Nazioni Uniteâ€, aggiunge, accusando i ministri italiani di non averlo nemmeno letto.
Nel mirino c’è il ruolo dello Stato italiano, che a suo dire “primeggia tra i governi occidentali nell’aver garantito supporto politico, diplomatico, economico, finanziario e militare†a Israele, per ragioni prevalentemente ideologiche. Un sostegno che accompagna, nella sua analisi, la trasformazione di Israele “da uno Stato di apartheid che mantiene un’occupazione illegale su Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est in uno Stato genocidaâ€.
Da qui la richiesta finale di un confronto pubblico basato sui fatti, non sulle ispezioni e sul “killeraggio mediaticoâ€. “Se hanno qualcosa da dire si confrontassero, rispondessero con i fatti – conclude la giurista – Dimostrare coi fatti che Francesca Albanese si sbaglia: questo è il vostro ruolo in quanto istituzioniâ€.
L'articolo Francesca Albanese intervistata da Scanzi: “Le ispezioni di Valditara nelle scuole? Venga da me, ministro, parli con me” proviene da Il Fatto Quotidiano.