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Senza Jannik Sinner. Senza Lorenzo Musetti. Al loro posto Matteo Berrettini e Flavio Cobolli. Il quarto titolo mondiale nella storia dell’Italia (il terzo consecutivo) porta la firma dei due romani. Trascinati da un pubblico incandescente a Bologna, Berrettini e Cobolli hanno ridimensionato partita dopo partita un pronostico che vedeva gli azzurri nei panni degli outsider, sottolineando come quello italiano sia ancora il movimento di riferimento a livello mondiale.
L’Italia così stacca Germania, Repubblica Ceca e Russia nell’albo d’oro, ferme a quota tre titoli. È anche la prima a fare tris di fila dal post Challenge Round (1972). La prima dai tempi della cinquina degli Stati Uniti dal 1968 al 1972. Una storia bellissima, scritta da due tennisti amici fin da bambini.
Questo tris consecutivo sul tetto del mondo si porta dietro tantissimi significati. Forse non è la vittoria più bella, ma sicuramente quella più sorprendente. È la dimostrazione definitiva che il tennis italiano va molto oltre Sinner e Musetti. Si può vincere qualcosa di importante anche senza la presenza di un numero 2 e un numero 8 del mondo.
Certo, questa fase finale bolognese era priva di tanti altri campioni: da Carlos Alcaraz a Taylor Fritz, da Novak Djokovic a Felix Auger-Aliassime. Vero, era presente solo un top 10 in tabellone (Alexander Zverev nella Germania). Eppure, la Coppa Davis bisogna saperla vincere. E vincere non è mai qualcosa di scontato. Insomma, la Coppa Davis 2025 è stata un vero e proprio esame di maturità , superato meritatamente a pieno voti.
È il titolo del riscatto di Berrettini, autore di tre partite impeccabili contro Jurij Rodionov nei quarti, contro Raphael Collignon in semifinale e Pablo Carreno Busta nell’ultimo atto. Sei set vinti e zero persi. Tre vittorie e un successo iridato che donano un senso a una stagione dolorosa e piena di amarezze e di dubbi. Una boccata d’ossigeno e di ottimismo per rinnovare le ambizioni in vista del 2026. Berrettini è stato il faro di questa nazionale, vero leader caratteriale e non solo.
Una Coppa Davis che rappresenta anche una linea di demarcazione nella carriera di Cobolli. Per lui però non si parla di rivalsa, ma di consacrazione. Si, perché il romano arrivava dopo la migliore stagione della carriera, dove ha conquistato la top 20, i quarti di finale a Wimbledon e due titoli (il 250 di Bucarest e il prestigioso 500 di Amburgo). A Bologna Cobolli ha compiuto un ulteriore passo in avanti, in particolare dal punto di vista mentale.
Ha vinto la partita più bella di questa fase finale contro Zizou Bergs con un tie-break epico nel terzo set concluso 17-15 e dopo aver annullato ben sette match point, ma soprattutto ha portato il punto iridato che serviva, rimontando e ribaltando una partita cominciata malissimo.
Ha superato la tensione così come la fatica, trovando infine la strada per battere Jaume Munar con un’altra gara indimenticabile. L’Insalatiera quindi è la classica ciliegina sulla torta sul suo 2025, che può adesso aprire nuove porte per il futuro. Perché no, fare anche un pensiero alla top 10 nella prossima stagione.
L'articolo È la Coppa Davis del riscatto di Berrettini e della consacrazione di Cobolli: l’Italia del tennis è sul tetto del mondo anche senza Sinner e Musetti proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Popopopopopopo”. È cominciato così il discorso di Flavio Cobolli in mezzo al campo dopo la vittoria contro Jaume Munar che ha regalato la terza Coppa Davis consecutiva all’Italia, la quarta della storia. L’azzurro si è unito al pubblico che – ricordando la vittoria del Mondiale nel 2006 – ha intonato il coro sulle note di Seven Nations Army. Poi, chiedendo al pubblico di permettergli di parlare e riuscendoci a fatica visto il grande entusiasmo, Cobolli ha esordito: “Era il mio sogno, il sogno di tutti noi. Eravamo una squadra molto unita, abbiamo fatto come l’Italia del 2006: tutto il giorno a giocare alla Playstation”, ha dichiarato tra le risate del pubblico.
“Di questo successo fate parte anche voi, siete un pubblico fantastico. Si ripete da tre giorni il giorno più bello della mia vita. Non so che dire, sono campione del mondo. L’unica cosa che posso fare è…”, a quel punto Cobolli ha sospeso il suo discorso e ha intonato il coro “Siamo i campioni del mondo, siamo i campioni del mondo, siamo i campioni del mondoâ€. Così è partita la festa di un gruppo che è rimasto unito e che – nonostante le assenze – ha trionfato per la terza volta consecutiva in Coppa Davis.
Presente nel suo box anche il padre di Flavio Cobolli, Stefano, che ha dichiarato: “Sono felice e sorpreso. Dopo il primo set perso nettamente è riuscito piano piano a cambiare la partita. Non credevo avesse le pa*le per farcela. Ha tirato fuori qualità che non pensavo avesse, determinazione, concentrazione e tecnica. Quindi sono estremamente soddisfatto e feliceâ€, ha concluso Stefano Cobolli ai microfoni della Rai.
L'articolo “Abbiamo fatto come l’Italia del 2006, non so che dire”: Cobolli si emoziona dopo la vittoria della Coppa Davis, poi lancia un coro iconico proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’Europa ha portato sul tavolo la sua idea per una pace in Ucraina. La delegazione composta da Regno Unito, Francia e Germania ha presentato a Ginevra il suo piano che prende spunto da quello americano e mira a far valere anche la posizione del Vecchio Continente che sarà in prima linea in futuro per garantire la sicurezza di Kiev. Il documento redatto in 27 punti è stato diffuso da Reuters come segue:
Rispetto alla versione americana è stato cancellato il punto 3 che affermava: “Ci sarà l’aspettativa che la Russia non invada i suoi vicini e che la NATO non si espanda ulteriormenteâ€.
L'articolo Pace in Ucraina, ecco la controproposta europea in 27 punti al piano presentato dagli Stati Uniti proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Emanuela è morta quel giorno, quella stessa sera, è stata strozzata con una cravattaâ€. A fare questa confessione a Pietro Orlandi, che l’ha riportata su Canale 5 a “Verissimoâ€, é stato lo stesso uomo che qualche anno fa gli avrebbe detto che il corpo di sua sorella potrebbe trovarsi all’interno della grande galleria che c’è al di sotto della Casa del Jazz e in cui in questi giorni si cerca il corpo del giudice Paolo Adinolfi, scomparso il 2 luglio del 1994.
A Pietro quest’uomo, incontrato dalle parti di Como, disse che “Enrico de Pedis gli aveva detto di aver ucciso Emanuela Orlandi con una cravatta perché gli avevano chiesto un favore. Poi i due sarebbero entrati, come nel racconto dell’uomo, in un cunicolo. Questa persona mi descrisse quei luoghi e sono proprio come oggi ne parlano. Mi disse che i resti di Emanuela stanno lì, o almeno così gli disse de Pedis. Gli rivelò anche che lì dentro c’erano un paio di valigette e dei documenti che tirano in ballo tanta gente. Ma per de Pedis “questo muro non lo butteranno mai giù, quella è la mia garanzia di vitaâ€, gli disse.
Quel muro che forse ha tombato indicibili segreti invece sta cadendo. Proprio in questi giorni sono in corso gli scavi alla Casa del Jazz di Roma, a ridosso della Cristoforo Colombo. Scavi eseguiti da una richiesta di verifica partita dall’ex giudice Guglielmo Muntoni che ha reperito fondi privati per poter procedere. E proprio per paura di un crollo improvviso e devastante i lavori di scavo procedono da più giorni, nel tentativo di capire come entrare in questa grande galleria, tombata esattamente dopo la scomparsa del giudice da Nicoletti e di cui è stato individuato l’accesso. Questa galleria è stata descritta davanti alle telecamere, nei giorni scorsi, da uno dei sacerdoti appartenenti alla congregazione religiosa che ha venduto la villa, che ha indicato anche il punto da cui iniziare a scavare. La Casa del Jazz, lo ricordiamo, è nato dalla confisca del bene alla criminalità organizzata, nella fattispecie al cassiere della banda della Magliana Enrico Nicoletti. La villa fu venduta a Nicoletti dal Vicariato di Roma e la compravendita della villa fu regolata dal cardinale Ugo Poletti (un personaggio chiave dell’intera vicenda della cittadina vaticana, ndr)â€. Villa Osio fu ceduta a Nicoletti nel 1984 quindi “Quando Emanuela scomparve, era ancora di proprietà del vicariato di Romaâ€, ha fatto notare in più occasioni Pietro Orlandi.
Proprio in concomitanza degli scavi vengono fuori all’improvviso “tre piste su Emanuela, in un solo giornoâ€, fa notare a Verissimo Pietro Orlandi.
La prima, tirata fuori dalla commissione di inchiesta che indaga sul mistero della cittadina vaticana, riguarda un appunto sul diario di Emanuela in cui c’è scritto “cineforumâ€, con riferimento a una rassegna sulla via Cassia. Ancora le parole di Pietro: “Per l’epoca era una cosa normale, ci si s’andava tutti, c’era mezza Roma. Non capisco dove si vuole arrivare. Di certo questa pista porterebbe lontano dal Vaticano. E poi c’è la pista familiare tirata fuori da Giletti che ci ha fatto un servizio solo per infangare la famigliaâ€, ha dichiarato il fratello di Emanuela. Questa pista che tira in ballo lo zio di Emanuela Mario Meneguzzi era stata già diffusa durante il tg de La 7, due anni fa. Parte da alcune lettere del Vaticano al padre spirituale della sorella di Emanuela, Natalina, in cui fu al sacerdote fu chiesta conferma di una confessione fatta dalla più grande delle sorelle Orlandi, Natalina, su zio Mario. La donna nel ‘78 disse di aver ricevuto avances verbali da Meneguzzi. L’uomo all’epoca fu indagato e la sua posizione venne archiviata con un nulla di fatto. “Enrico Mentana si è scusato con me, ha capito di essere stato usatoâ€, ha detto Pietro.
Durante la puntata di Verissimo, é stato diffuso anche un audio inedito. Si tratta della voce dell’uomo che nel 2022 ha contattato Pietro Orlandi sul dark web, facendo delle rivelazioni e consegnando dei documenti sulla vicenda di sua sorella Emanuela. Quest’uomo disse di chiamarsi Vittorio Baioni e di essere stato il carceriere della ragazza a Londra, in un istituto di Padri Scalabriniani a Chapman Road. Questo indirizzo coincide con quello citato nei cinque fogli contenenti la nota spese per il mantenimento della Orlandi, da parte del Vaticano, a Londra. I cinque fogli, lo ricordiamo, sono stati pubblicati dal giornalista Emiliano Fittipaldi che li trovò in una cassetta di sicurezza degli Affari Economici del Vaticano. L’uomo che si spacciò con Pietro Orlandi per Vittorio Baioni dopo avergli rilevato particolari agghiaccianti sul destino di Emanuela, collegati all’Inghilterra, è poi scomparso e ha chiuso ogni contatto. Tuttavia diede a Orlandi una falsa identità perché non era Vittorio Baioni. Il vero Baioni, ex militante dei Nar (nuclei armati rivoluzionari) in quegli anni era in carcere per cui, come ha detto anche alla Commissione di inchiesta durante la sua audizione, è completamente estraneo ai fatti. Ecco intanto il contenuto dell’audio inedito trasmesso a Verissimo: “Allora Pietro, uso un modificatore di voce perché prima di uscire allo scoperto devo capire come tutelare la mia famiglia, loro sono la priorità . Non me ne frega niente di me. Inoltre ci tengo a dirti una cosa, ormai è chiara: qualunque cosa ti dia, qualsiasi documento ti dia, ti verrà detto che è falsa, ti diranno che ci sono dei problemi. Che ci sono degli errori, non potremo fare nulla su questo. Ti diranno sono un “quaquaraquà †(nel gergo, un millantatore, ndr). Quindi io ti chiedo, tu cosa vuoi? Cosa posso fare per te? Sto pensando se espormi o meno per paura ma è l’ultima cosa che vorrei fareâ€. “Il vero Vittorio Baioni è stato ascoltato in commissione e ha smentito di avermi inviato quei messaggi ma allora perché usare quel nome? Era un messaggio per qualcuno?â€, si domanda Pietro.
La questione della pista Londra, intanto è stata cassata dalla commissione di inchiesta. “Io non ho la certezza che sia veritieria ma ci sono molte cose vere in questa pista. Sembra che ci sia la volontà di screditare tutto e non approfondire. La pista di Londra va avanti dal 2017. Anche se fosse falsa, qualcuno ha creato questa situazione e bisogna capire chi lo ha fatto e perché. Un Monsignore, Angelo Balda (anche lui più volte emerso in questa vicenda) ha detto che le cose che ha visto su Emanuela erano legate a un giro di tanti miliardi di lire che partivano dal Vaticano e andavano in Polonia al movimento Solidarnosc. Erano soldi che provenivano dal narcotraffico del Sud America e dalla mafia Siciliana. Roberto Calvi del Banco Ambrosiano aveva delle sedi in Sud America. Tutti questi miliardi sarebbero spariti perché finiti in Polonia. La questione coinvolge istituti bancari non solo italiani ma internazionali, e inglesiâ€, ha concluso Pietro Orlandi a “Verissimoâ€.
L'articolo “Emanuela Orlandi è morta quella stessa sera, è stata strozzata con una cravattaâ€: la rivelazione e l’audio inedito a Verissimo proviene da Il Fatto Quotidiano.
È rimasto schiacciato dal muletto mentre operava all’interno di un’azienda che lavora materiale plastico. È morto così un operaio di 47 anni a Sant’Apollinare, in provincia di Rovigo. Si tratta dell’ennesimo incidente mortale sul lavoro.
Sul posto, in via Martiri Belfiore, è intervenuta intorno alle 16.30 la squadra dei Vigili del fuoco di Rovigo con l’ausilio dell’Autogru. Nonostante i soccorsi degli operatori del 118 , però, per il 47enne non c’è stato nulla da fare. Gli ispettori dello Spisal e i Carabinieri stanno svolgendo gli accertamenti per chiare le cause dell’incidente.
L'articolo Incidente sul lavoro nel Rodigino: operaio 47enne muore schiacciato dal muletto proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Perché c’è a chi piace cruda e a chi cotta la moglie”. E’ il commento a un post su Instagram del Corriere su un articolo che parlava dell’impegno nelle scuole contro la violenza di genere di Valentina Pitzalis (foto), bruciata e sfigurata dall’ex marito che tentò di ucciderla dandole fuoco col cherosene. A firmare oggi un commento del genere e addirittura a difenderlo è Vincenzo D’Anna, il 74enne ex senatore casertano con una storia politica che va dalla Democrazia Cristiana a Forza Italia e oggi presidente della Federazione degli Ordini regionali dei biologi (Fnob).
A rilanciare il fatto è stata Selvaggia Lucarelli, che da tempo segue la complessa vicenda della Pitzalis e ne sostiene l’ammirevole impegno. Nonostante la generale indignazione e i tanti utenti che sui social lo hanno invitato a riflettere sulle sue parole, l’ex senatore non ha ritrattato. Anzi, D’Anna ha difeso il suo intervento, sostenendo si trattasse di una risposta sarcastica a una domanda posta dalla vittima e accusando i critici di essere “moralisti semianalfabeti” che non comprendono il contesto né l’ironia.
La storia di Pitzalis risale a quattordici anni fa, quando l’ex marito, Manuel Piredda, la cosparse di cherosene e le diede fuoco. Piredda morì accidentalmente nel rogo. Pur essendosi salvata in maniera quasi miracolosa, Pitzalis ha riportato ustioni gravissime e permanenti. Le lesioni l’hanno lasciata invalida, con il volto sfigurato, l’amputazione della mano sinistra e la funzionalità compromessa della destra. Come non bastasse, ha affrontato anni di “vittimizzazione secondaria” e gli attacchi dei familiari dell’ex marito che l’hanno accusata di essere l’omicida del figlio. Accuse per le quali è stata riconosciuta totalmente estraneità ai fatti.
Oggi, mentre l’Italia dibatte sulla necessità dell’educazione sesso-affettiva ai giovani, Pitzalis dedica il suo impegno alla prevenzione della violenza di genere, testimoniando la sua esperienza come avvenuto recentemente agli Arcimboldi di Milano di fronte a più di duemila studenti. Tornerà sul palco martedì 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Al Teatro Carcano di Milano, dove sarà affiancata proprio dalla giornalista Selvaggia Lucarelli per condividere la sua storia.
L'articolo “C’è a chi piace cotta la moglie”. L’ex senatore Vincenzo D’Anna su Valentina Pitzalis, bruciata dall’ex marito proviene da Il Fatto Quotidiano.
Amici e colleghi alla camera ardente di Ornella Vanoni per rendere omaggio alla memoria della cantante. Roberto Alessi, direttore di Novella 2000, ha ricordato l’amore per la verità e la libertà di Vanoni, ma anche le emozioni trasmesse dalla sua musica. Tra i presenti la senatrice Liliana Segre, che si è recata al feretro in silenzio. Il cantautore Memo Remigi ha ricordato i bei momenti passati insieme a Vanoni. Cristiano Malgioglio ha raccontato il loro lavoro insieme, il regista Gabriele Salvatores ha parlato delle sue storie d’amore “difficili, ma importanti”, il musicista Paolo Jannacci ha condiviso un pensiero sulla musica immortale dell’artista, ricordata anche dall’avvocata Annamaria Bernardini De Pace. Al termine della celebrazione, il feretro ha lasciato il Piccolo Teatro Grassi, accompagnato da un caloroso applauso della folla, riunita per ricordare con emozione Vanoni.
L'articolo Ornella Vanoni, amici e colleghi alla camera ardente. Paolo Jannacci: “La sua musica immortale”. Applausi all’uscita del feretro – Video proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ci sono temi che il teatro affronta di rado, spesso per pudore, talvolta per timore di urtare sensibilità consolidate. Ma ci sono storie che chiedono di essere raccontate proprio perché disturbano, spiazzano, costringono a guardare dove solitamente distogliamo gli occhi. Abili in amore appartiene a questa categoria: una commedia intelligente, spiazzante e necessaria che infrange uno dei tabù più radicati della nostra società — la sessualità delle persone con disabilità — restituendogli finalmente complessità , verità e dignità narrativa.
Scritto da Vita Rosati e Gabriele Granito e diretto da Vanessa Gasbarri e Luca Ferrini, lo spettacolo mette al centro Dora, interpretata da Alessandra Mortelliti: una quarantenne brillante, laureata, impegnata nel mondo accademico e pienamente inserita nella vita sociale. Eppure, dietro l’ironia feroce e l’acume politico, Dora nasconde un vuoto: una solitudine che non ha mai trovato il coraggio di confessare. La malattia degenerativa che avanza, più che limitarla, sembra chiuderla in una percezione distorta del proprio corpo, come fosse un ostacolo alla possibilità stessa di essere desiderata.
Accanto a lei, la badante Sophia (Antonia Di Francesco), figura materna e sarcastica, e la sorella Marilena, con cui Dora vive un rapporto irrisolto fatto di vecchie gelosie. Ma è entrando in una app di incontri — una scelta impulsiva, quasi clandestina — che la protagonista intravede uno spiraglio. Lì incontra Lupo78: un uomo con cui nasce una relazione intensa ma virtuale, troppo pericolosa da portare nella realtà . La paura di svelarsi la paralizza.
È allora che entra in scena Jonathan (Alberto Melone), amico fidato e presenza discreta. Il loro incontro fisico, delicato e sorprendentemente poetico, diventa la leva emotiva che permette a Dora di spostare il baricentro del proprio sguardo: di riconoscersi donna, desiderante, viva. Jonathan la accompagna, con una tenerezza disarmante, fino alla soglia dell’appuntamento con Lupo78, come un rito di passaggio, un gesto affettivo di rara generosità .
Abili in amore non è uno spettacolo “sulla disabilità â€, e nemmeno un racconto edificante. È una storia di libertà — quella di scegliere, di rischiare, di mostrarsi vulnerabili. Il linguaggio alterna sarcasmo e poesia, senza vittimismo né moralismo. La musica originale di Vincenzo Deluci, a tratti soffusa, a tratti pulsante, accompagna questa navigazione emotiva tra desiderio, vergogna, rabbia e riscoperta. Ciò che resta, alla fine, è la forza di una donna che si riappropria del diritto più elementare e più negato: quello di desiderare ed essere desiderata. Un atto politico, prima ancora che sentimentale.
Date e orari:
Dal giovedì al sabato ore 21
Domenica ore 18
Prezzi (prevendita inclusa):
Platea: €26
Galleria: €20
L'articolo Quando il desiderio diventa un atto politico: arriva a teatro “Abili in amoreâ€, lo spettacolo che porta sul palco la sessualità negata proviene da Il Fatto Quotidiano.
Quell’immagine non è stata un “gran bel vedere†per Carlo III. Lo scatto che deve aver parecchio infastidito il re è quello relativo al fratello Andrea sorpreso a passeggiare a cavallo nel grande parco di Windsor, in compagnia di una dama bionda. La foto pubblicata dal Daily Mail a metà novembre, dopo che l’ormai ex principe era stato destituito di ogni titolo nobiliare e onorificenza, ha generato un forte disappunto a corte e il sovrano, che sperava di essersi sbarazzato della scomoda immagine del fratello, ha fallito il suo obiettivo. D’altro canto, Andrea Mountbatten-Windsor ha sempre negato ogni addebito riferito all’ipotetico coinvolgimento nel grande traffico di minori organizzato da Jeffrey Epstein, come ha sempre negato di avere avuto rapporti con Virginia Giuffrè, che non ha mai smesso di accusarlo nonostante l’accordo extragiudiziale raggiunto grazie ai soldi versati da Elisabetta II, quando ancora in vita.
Indifferente all’indignazione montata nei suoi confronti e, verso la corona stessa, Andrea, in extremis, ha accettato di essere sfrattato dal Royal Lodge dove è stato dimostrato vive da oltre vent’anni senza pagare l’affitto, ma non si è piegato alla richiesta di sparire definitivamente dalla circolazione.
All’ex Duca di York saranno pure stati tolti i titoli nobiliari, ma lui non rinuncia a vivere tutti i privilegi della sua casata, compreso quello di continuare ad occupare quella tenuta da 20 stanze, perché il trasferimento nel futuro esilio pare non sia stato ancora organizzato, e al piacere di concedersi della passeggiate a cavallo nella splendida tenuta dei Windsor.
La giornalista del Daily Mail, Rebecca English, avrebbe scritto che per riuscire a sgattaiolare fuori dal Royal Lodge, Andrea si sarebbe infilato sui sedili posteriori di un’auto che lo avrebbe condotto direttamente alle scuderie del castello di Windsor. Da lì, sarebbe salito in sella al suo destriero per godersi una passeggiata nel solo autunnale: 45 minuti che si ripeterebbero almeno tre volte alla settimana in barba alla richiesta del re di sparire dai radar e noncurante delle richieste del congresso americano di potere accedere ad una sua deposizione per avere più informazioni possibili su Epstein, proprio mentre i file relativi al suo caso sono stati desecretati con l’approvazione del presidente Donald Trump. In fondo, lui resta il fratello del sovrano, rimane in carica nella linea di successione al trono e sarà lo zio del futuro re, William. Ecco, pare che sia proprio quel ramo della famiglia a soffrire maggiormente l’arroganza e la testardaggine di Andrea. Secondo fonti vicine alla Royal Family, i principi del Galles sarebbero i più “contrariati†da questa situazione ancora troppo indefinita e scivolosa. La famiglia di William e Kate si è appena trasferita nella casa che sarà la loro dimora “per sempreâ€, anche quando saliranno sul trono. Il Forest Lodge è stato ristrutturato e adattato alle esigenze dei futuri sovrani e dei loro tre bambini secondo le regole più ferree per garantire ai piccoli i giusti spazi per lo sport ed il gioco e l’educazione necessaria nelle migliori scuole, non distanti da lì. Tutto perfetto se non fosse che questa tenuta si trova a breve distanza dal Royal Lodge ancora occupato da Andrea e il parco di Windsor è a disposizione di tutti. La sola idea di incontrare lo zio Andy durante le loro uscite fa rabbrividire Kate e William che “non lo vogliono nelle loro vite, punto, figuriamoci come vicino di casaâ€, avrebbe riferito una fonte ai tabloid inglesi.
“Il suo trasloco a Sandringham non arriverà mai abbastanza presto†avrebbe aggiunto spiegando che, purtroppo, Carlo III avrebbe ancora una forma di tenerezza nei confronti del fratello di cui si è sempre occupato dal momento in cui la defunta madre è mancata. Il cocco di Elisabetta II si è sempre visto perdonare tutto, prima dalla sovrana oggi dal re. Pare che parte della famiglia reale e gli amici siano preoccupati per la salute mentale di Andrea e Sarah Ferguson, anche lei coinvolta nello scandalo frutto della sua amicizia con Epstein che “usava come un bancomatâ€, come ricordava Andrew Lownie autore del libro Entitled dedicato agli ex duchi di York definiti “mefistofelici, narcisisti e spendaccioniâ€. Che sia Sandringham o la più probabile Abu Dhabi, ciò che è certo è che Andrea deve sparire perchè la corona non può permettersi altre foto imbarazzanti del “fratello mandrillo†del re.
L'articolo “Kate Middleton rabbrividisce all’idea di averlo vicino. Lei e William si sono infuriati quando hanno scoperto che il principe Andrea è ancora a Windsor”: il retroscena proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Una conclusione frustrante per oggi. Abbiamo dovuto gestire la situazione verso la fine della gara e ora sappiamo che è stato a causa di alcuni problemi alla nostra vettura, che purtroppo ci hanno portato alla squalifica”. Così Lando Norris dopo la squalifica delle due vetture McLaren al termine della gara a Las Vegas. Il pilota britannico aveva conquistato 18 punti, mettendo un’ipoteca sul mondiale, ma alla fine si ritrova con zero punti ottenuti e una classifica piloti apertissima.
“Stiamo indagando sulle cause di questo comportamento della vettura, compreso l’effetto dei danni accidentali subiti da entrambe le vetture, che abbiamo riscontrato dopo la gara e che hanno portato a un aumento del movimento del fondo”. Ha replicato Andrea Stella, team principal della McLaren. “Come ha osservato la FIA, la violazione non era intenzionale, non c’è stato alcun tentativo deliberato di aggirare il regolamento e sussistevano anche circostanze attenuantiâ€.
Le vetture sono state squalificate a causa dell’eccessivo consumo del plank del fondo delle loro vetture. Il plank, o pattino, è una tavola di legno posizionata sul fondo piatto delle monoposto, il cui ruolo principale è far mantenere al veicolo una distanza minima da terra per questioni legate alla sicurezza. Questa tavola ha uno spessore di 10 millimetri e secondo il regolamento non può usurarsi di oltre un millimetro (quindi non può essere inferiore a 9 mm). Cosa che invece è accaduta.
Stella ha poi riservato un pensiero anche i per piloti Lando Norris e Oscar Piastri, partner e sostenitori: “Ci scusiamo con Lando e Oscar per la perdita di punti odierna, in un momento critico della loro campagna di campionato dopo due ottime prestazioni da parte loro durante tutto il weekend. Come squadra, ci scusiamo anche con i nostri partner e i nostri tifosi, il cui sostegno è molto importante per noi. Sebbene questo risultato sia estremamente deludente, rimaniamo pienamente concentrati sulle ultime due gare della stagioneâ€.
Sul tema è appunto intervenuto anche Lando Norris, che con i 18 punti ottenuti grazie al secondo posto aveva avvicinato notevolmente il titolo: “È frustrante perdere così tanti punti. Come squadra, cerchiamo sempre di ottenere il massimo delle prestazioni e oggi chiaramente non siamo riusciti a trovare il giusto equilibrio. Ormai non posso fare nulla per cambiare la situazione, quindi mi concentrerò completamente sul Qatar, dove punteremo a dare il meglio in ogni sessione.â€
L'articolo “È frustrante perdere così tanti punti”: la rabbia di Norris dopo la squalifica. E il team ammette: “Scusateci” proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Le donne non provochino l’uomo e stiano più tranquille e discreteâ€. Il ciclone Jacqueline Bisset travolge il Torino Film Festival 2025. Non ne aveva mai parlato pubblicamente, ma una delle icone sexy della Hollywood anni sessanta/settanta, che fece girare la testa a tanti spettatori anche solo mostrandosi con una t-shirt bagnata in Abissi nel 1977, con le colleghe odierne del #MeToo non ci va troppo d’accordo. “Ho sempre avuto un atteggiamento molto ambivalente nei confronti del #MeToo perchè ritengo che le donne abbiano responsabilità nel non essere sempre provocanti a tutti i costiâ€.
La bordata di Jacqueline, sotto la Mole letteralmente al galoppo, agile e splendida come una ragazzina (“parlare della bellezza? è indecente parlare di un dono divinoâ€), nemmeno una ruga sul viso mai ritoccato (“la chirurgia plastica è una debolezzaâ€), è di quelle da segnare sul calendario. “Non citatemi in modo volgare, travisando le mie parole, ma ritengo che sia fondamentale accettare una condizione di natura: per un uomo avere un’erezione è qualcosa che capita di frequente, ma questo non significa che una donna deve provocare in continuazione questo atto naturale che avviene nell’uomo, non deve essere la causa che la suscitaâ€.
Un sorso impercettibile di acqua naturale e prosegue: “Se un cane fa la pipì sul tappeto di casa, non ci si sbarazza del cane, ma si insegna al cane di farla fuori casa. Non voglio paragonare gli uomini ai cani, ma ci sono effettivamente dei punti di contatto. L’istinto dell’uomo nello spargere seme è per garantire la continuità dell’umanità . Su questo non discuto, ma discuto del fatto che le donne devono essere più tranquille e discrete. Perché gli uomini purtroppo spesso si comportano come quei cani che ho descritto. Certo, mi piace molto che gli uomini provino entusiasmo nei confronti del sesso e odio che le donne subiscano abusi e violenze; credo però che ciascuno debba assumersi la sua parte di responsabilità â€.
Bisset piena di flirt e fidanzati più o meno celebri, non si è mai sposata e non ha mai avuto figli. Più di 80 film in carriera, iniziano con Cul de sac di Polanski e passando nientemeno che dalle grinfie dell’orco Depardieu nel 2014 in Welcome to New Yoek, proprio su un violentatore come Domenique Strauss-Kahn. “Sono sopravvissuta a Hollywood, ho vissuto situazioni complesse e difficili, ma non ho mai subito violenze. Il comportamento che una donna ha nella vita detta l’andamento della sua intera esistenza. Rimango orripilata dalle violenze e dagli abusi, ma oggi c’è una sorta di voglia di esibizionismo ad oltranza sommata al narcisismo e amplificata dai social dove molte donne si espongono e provocano istinti privati che possono diventare incontrollatiâ€.
Bisset spiega che la causa di questo atteggiamento sia la mancanza di un’educazione materna adeguata: “Oggi vedo tante giovani disperate, senza talento, con un narcisismo patologico. Nelle loro fantasie sono delle star, ma una fantasia domestica esibita a 360 gradi e sinceramente fa paura. Non ho profili social, ma anch’io nel mio passato sono stata narcisista. Reputo però che non sia un elemento fondamentale per un attore. Essere attrici significa studiare i comportamenti degli esseri umani diversi da sé provando ad interpretarli. Non si stratta di partire con un trip dell’ego continuoâ€. Bisset è a Torino per presentare L’uomo dei sette capestri, film che interpretò assieme a Paul Newman nel 1972.
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Una fotografia fuori posto, un errore che si trasforma in caso politico e mediatico. È bastato un post commemorativo sui social del ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, per scatenare dure reazioni e costringere la società di comunicazione a porgere pubblicamente le proprie scuse.
La ricorrenza era solenne: il 23 novembre 1980, il terremoto dell’Irpinia devastò Campania e Basilicata, causando quasi 3.000 morti. Nel suo messaggio, Musumeci ha ricordato quei tragici momenti sottolineando come proprio da quella emergenza nacque l’attuale sistema di Protezione civile, definito “simbolo di solidarietà e organizzazioneâ€. Il ministro ha poi collegato la ricorrenza alle recenti scosse avvertite nell’area di Avellino, rimarcando l’importanza della prevenzione strutturale e rivendicando l’impegno del governo Meloni dopo “anni di inerziaâ€. Tutto nella norma, se non fosse per la foto scelta ad accompagnare il messaggio: non l’Irpinia del 1980, ma Amatrice dopo il terremoto del 2016. Un errore che non è passato inosservato.
A denunciarlo è stato, tra gli altri, il senatore del Partito Democratico Filippo Sensi, che sui social ha scritto parole durissime: “No, ministro, Amatrice non è l’Irpinia. Ricordare significa rispettare i morti, i luoghi, le storie, le famiglie. Rappresentare gli italiani comporta attenzione, cura, faticaâ€. Un richiamo che ha rapidamente alimentato il dibattito pubblico, trasformando quella svista in una gaffe istituzionale. Di fronte al dilagare delle polemiche, la società di comunicazione del ministro, SocialCom Italia, è intervenuta con una nota ufficiale assumendosi “pienamente la responsabilità dell’accadutoâ€. Nell’ammissione pubblicata sui social, l’agenzia ha parlato di “errore materiale†e ha rivolto “le più sincere e profonde scuse agli abitanti dell’Irpinia, alla comunità di Amatrice, al ministro Musumeci e a tutte le persone che si sono sentite offeseâ€.
A rafforzare il mea culpa è stato il presidente di SocialCom Italia, Luca Ferlaino, che ha aggiunto una motivazione personale al rammarico: “Da napoletano ho vissuto personalmente il dramma del terremoto negli anni ’80 e conosco bene quanta morte e quanto dolore abbia portato alla comunità campana. Questa circostanza mi mortifica ancora di più: sono profondamente addolorato per l’erroreâ€.
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“Non ci dormo la notte al pensiero che possano ammalarsi anche loro. Non riuscirei a perdonarmelo, mi sentirei in colpa per il resto della mia vita”. È la confessione di Iva Zanicchi, che ha rivelato al settimanale DiPiù la sua battaglia contro la maculopatia, una patologia degenerativa che le sta minacciando la vista. L’artista, 85 anni, convive con la consapevolezza di una malattia che è presente da tempo nella sua famiglia e che non ammette regressioni.
La maculopatia è infatti una patologia che colpisce la macula, la parte centrale della retina responsabile della visione nitida e dettagliata. Zanicchi ha spiegato che la forma che l’ha colpita è ereditaria e che lei la combatte da quarant’anni. La prognosi, purtroppo, è irreversibile: “Il mio peggioramento è graduale, lento ma costante. E non c’è la possibilità di migliorare: bisogna solo adeguarsi e cercare di andare avanti”, ha ammesso. Di recente, la situazione è peggiorata: “Da qualche settimana una macchia nuova e molto scura mi ha colpito l’occhio destro, proprio al centro”. La visione centrale è compromessa, anche se lateralmente riesce ancora a vedere. A ciò si aggiungono i problemi tipici dell’età , come l’astigmatismo e la miopia.
Il dolore più grande per l'”aquila di Ligonchio” non è tanto la sua condizione, quanto la paura di aver trasmesso la maculopatia a sua figlia e ai suoi nipoti, Luca e Virginia. Una paura fondata sulla storia della sua famiglia: “Le mie sorelle Maria Rosa e Wiria e le mie cugine hanno scoperto di esserne affette dall’età dello sviluppo”, ha raccontato. Lei e sua madre, Elsa (scomparsa nel 2010), hanno invece manifestato i primi sintomi con l’arrivo della menopausa. “Li ho già portati a fare le prime visite, li tengo sotto controllo medico e per ora sta andando tutto bene: non c’è nessun sintomo del problema e spero che non ci sia mai”.
La malattia ha avuto un impatto anche sulla vita pratica. Il rischio maggiore è legato alle cadute: “La possibilità di mettere i piedi in un posto sbagliato è dietro a ogni angolo. E cadere, alla mia età , può essere davvero pericoloso”, ha spiegato l’artista. Da qui il suo recente incidente nello studio di Belve: “Sono inciampata e sono caduta, ho picchiato la spalla e il sedere ma non mi sono fatta nulla per fortuna”.
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“Un gene del patriarcato non esiste e laddove esiste è una mutazione” così la farmacologa e senatrice a vita Elena Cattaneo, dal palco dell’Eredità delle donne, intervistata dalla direttrice artistica del festival Serena Dandini, ha risposto a quanto dichiarato dal ministro Carlo Nordio nel corso del suo intervento al High Level International Conference Against Femicide alla Camera dei deputati. Nordio aveva affermato che “anche se oggi l’uomo accetta e deve accettare questa assoluta parità formale e sostanziale con la donna, nel suo subconscio il suo codice genetico trova sempre una certa resistenza”.
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Un problema di sicurezza che accomuna l’ufficio e lo stadio, i giovanissimi e gli over 80: l’uso di password incredibilmente deboli e prevedibili. A confermarlo è la ricerca annuale “Top 200 Most Common Passwords” di NordPass, che svela un quadro allarmante sulle abitudini digitali degli italiani. In Italia, la password più utilizzata nel 2025 è “admin“, un termine tecnico che spesso è la chiave di accesso preimpostata per router, videocamere connesse e pannelli di gestione. L’abitudine di lasciare inalterata questa chiave di fabbrica, avvertono gli esperti, equivale a spalancare le porte ai criminali informatici.
Ma non è solo la pigrizia a guidare le scelte. La classifica è un ritratto fedele degli stereotipi italiani, includendo:
La mancanza di consapevolezza sui rischi è un dato trasversale, che non fa distinzione di età : “Tendiamo a dare per scontato che le generazioni più giovani, nativi digitali, abbiano una comprensione più elevata della sicurezza informatica e dei suoi rischi”, spiegano i ricercatori di NordPass. “Tuttavia, le abitudini di un diciottenne in materia di password sono molto simili a quelle di un ottantenne”. Insomma, passano gli anni ma sia tra gli utenti senior che tra i giovani della Gen Z le sequenze numeriche elementari come “123456” e “1234567890” continuano a dominare incontrastate. A nulla sono valsi i continui avvertimenti degli esperti: per essere considerata “forte”, una password dovrebbe contenere almeno otto caratteri, con una combinazione di maiuscole, minuscole, numeri e simboli speciali. La semplicità delle chiavi d’accesso rimane il principale tallone d’Achille della sicurezza online.
Come arginare il problema? Gli esperti sottolineano che per proteggersi dalla compromissione di un singolo account (che può estendersi “a macchia d’olio” a tutti gli altri), la soluzione è duplice:
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“Mi ha fregato anche questa volta. Avevamo fatto una scommessa: io dicevo che sarei morto prima di lei, lei diceva il contrario”. È con questa nota di ironia amara che Vittorio Feltri ha esordito in collegamento con Mara Venier a “Domenica In“, dedicando un commosso tributo a Ornella Vanoni, l’amica e interprete scomparsa venerdì all’età di 91 anni. Il giornalista ha ripercorso la loro amicizia fatta di confidenze e serate insieme, rivelando le battute fulminanti che hanno segnato il loro legame.
Tra i ricordi più divertenti, Feltri ha menzionato l’antipatia della Vanoni per uno dei suoi brani più celebri, “L’appuntamento“: ha raccontato un aneddoto avvenuto in un noto ristorante milanese, “Il Baretto”. “L’avevo invitata a cena… avevo raccomandato al proprietario di mettere un suo disco in riproduzione quando sarebbe entrata. Lei entra, parte la musica e io le ho chiesto se le avesse fatto piacere il gesto. Mi ha detto: ‘Mi state rompendo i coglioni da trent’anni con questa canzone che io odio'”.
Il giornalista ha svelato anche i dettagli delle serate trascorse insieme: “Andavo a cena di lei, non eravamo dei grandi mangiatori, lei alla fine mi offriva le canne, a me bastano le sigarette”, ha confessato. L’aneddoto più bizzarro risale a una di queste serate: “Quando lavoravo al Corriere e lei abitava lì vicino la sera cenavamo insieme e, alla fine, lei mi offriva sempre una canna. Io non ero abituato a fumare. Poi è successa una cosa strana: dopo una canna, lei ha vomitato”. Feltri, di fronte alla scena, le domandò ironicamente: “Chi tra i due allora è più cretino?”. E la risposta dell’artista fu la sintesi perfetta della sua ironia: “Siamo cretini entrambi”.
Il legame tra i due era così forte che Feltri ha confermato una sua vecchia dichiarazione: quella di aver voluto essere Ornella Vanoni. “Sì, l’ho detto: se fossi nato donna sarei voluto essere lei. Perché l’ho detto? Perché io l’amavo“, ha confessato Feltri, visibilmente commosso. Infine, ha ricordato di averla incontrata neanche un mese fa, ma che già d’inverno “si muoveva meno perché aveva paura di ammalarsi“. E ha aggiunto: “Era una cantante straordinaria e lei non se ne rendeva davvero conto. Quando glielo dicevo, mi rispondeva: ‘Smetti di rompermi le palle‘”.
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