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Mister X 1 giocherà nel girone B del Mondiale 2026, composto da Canada, Svizzera e Qatar: chiunque sia, non gli è andata male. Mister X 1 uscirà dalla vincitrice dei playoff di qualificazione che opporranno Italia-Irlanda del Nord (semifinale 1 il 26 marzo a Bergamo) e Galles-Bosnia (semifinale 2), il 31 marzo la finalissima. Si può tranquillamente affermare che gli spareggi europei saranno più complicati della prima fase del mondiale, con tutto il rispetto nei confronti di Canada e Qatar. Ha fatto un certo effetto ritrovare gli azzurri nel ruolo di comparsa nel sorteggio andato in scena al Kennedy Centre di Washington per comporre i dodici gironi eliminatori del torneo in programma la prossima estate in Usa, Canada e Messico, il primo in assoluto a 48 squadre: questi siamo dopo due eliminazioni di fila e questo ci meritiamo. La regia, perfida, ha calcato la mano: quando è stata presentata la Norvegia, è stato riproposto un gol di Erling Haaland agli azzurri, nell’1-4 di Milano. Se l’Italia riuscirà ad evitare la vergogna della terza bocciatura consecutiva, debutterà a Toronto il 12 giugno, contro il Canada. A Toronto, hanno subito fatto festa nel Cafè Diplomatico, punto d’incontro della Little Italy della città . Sognavano una sfida contro gli azzurri e potrebbero essere accontentati, ma l’America, come cantava Lucio Dalla, è ancora lontana. È dall’altra faccia della luna e agli azzurri servono due partite per staccare il biglietto.
Il sorteggio, con uno show di due ore in mondovisione, è stato l’ennesimo spot del presidente statunitense Donald Trump, omaggiato dall’omologo della Fifa Gianni Infantino con la consegna del Premio per la Pace. Trump aspira al Nobel, ma deve accontentarsi, per ora, del riconoscimento della Fifa. Nell’esercito dei suoi adoratori c’è infatti, dai tempi del primo mandato di Donald alla Casa Bianca, Infantino. I due presidenti governano in modo autoritario la nazione più potente del mondo e l’istituzione sportiva più forte. Trump e Infantino si piacciono, si stimano, hanno le cosiddette affinità elettive. Con il democratico Joe Biden, le relazioni del grande capo della Fifa furono molto più blande. Trump è stato la figura dominante di questo sorteggio: ai rappresentanti degli altri due paesi organizzatori, la presidentessa messicana Claudia Sheinbaum e il premier canadese Mark Carney, è toccato il ruolo di “spallaâ€. Con Canada e Messico, il secondo mandato di Trump ha vissuto momenti critici, soprattutto subito dopo l’insediamento di King Donald. Trump ha benedetto il sorteggio lanciandosi in un autospot: “Il mondo ora è un posto più sicuro. Gli Stati Uniti non se la passavano bene un anno fa. Ora siamo il paese più caldo. Con Infantino abbiamo parlato di come salvare tanta gente dalle guerre. Conosco Gianni da tanto tempo. Ha stabilito un record sulla vendita dei biglietti, un bell’omaggio al gioco del calcio, che per noi resta il soccer. Sarà un evento mai visto, c’è un entusiasmo fantasticoâ€.
Con tante X sparse nei dodici gironi, non è facile avventurarsi in giudizi e previsioni. Nei gruppi già al completo, è andata sicuramente bene alla Germania di Julian Nagelsmann che affronterà Ecuador, Costa d’Avorio e Curaçao. Sorteggio morbido per la Spagna: Uruguay, Arabia Saudita e Capo Verde gli avversari. Anche i campioni in carica dell’Argentina non possono lamentarsi: Austria – al ritorno dopo 28 anni -, Algeria e Giordania. L’Inghilterra di Tuchel, punteggio pieno e zero gol subiti nelle eliminazioni, è capitata con Croazia, Ghana e Panama: un cammino meno agevole rispetto ad altre “bigâ€. La Francia ritrova il Senegal dopo il ko nella gara del 2002 e sfiderà la Norvegia, mina vagante del torneo. Il Brasile farà i conti con Marocco, Scozia e Haiti: con i giovani talenti che si ritrova in attacco, Carlo Ancelotti non dovrebbe avere problemi. Anche il Portogallo di Cristiano Ronaldo, avversari Colombia, Uzbekistan e una X, può sorridere alla vita. La gara inaugurale, l’11 giugno 2026, sarà Messico-Sudafrica: le due squadre si ritrovarono di fronte all’esordio del mondiale 2010, ma a parti invertite. C’era Nelson Mandela a fare gli onori di casa. Oggi c’è Donald Trump: sarà lui, il 19 luglio 2026, a consegnare la coppa al vincitore. È davvero un altro mondo e sarà un altro mondiale, con la polizia a caccia degli immigrati clandestini negli stadi.
L'articolo Mondiali, il sorteggio diventa l’omaggio di Infantino a Trump. L’Italia per ora è una X: i play-off sono più tosti del futuro girone proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Se l’Europa vuole essere grande deve essere capace di difendersi da sola“. La premier Giorgia Meloni difende la linea del riarmo europeo e italiano. “Quando appalti la sicurezza a qualcun altro devi sapere che c’è un prezzo da pagare – spiega la presidente del Consiglio in un’intervista al TgLa7 – Quello che è accaduto al vertice della Nato è questa cosa qui, a me non ha stupito. Sappiamo che è un processo inevitabile ed è un’occasione per noi. Chiaramente la difesa ha un costo economico e produce una libertà politica“, sostiene Meloni. Che ribadisce anche il fermo sostegno militare a Kiev: “La linea del governo è molto chiara dall’inizio, abbiamo sostenuto l’Ucraina per costruire la pace. La pace non si costruisce con le buone intenzioni ma con la deterrenza. La linea del governo deve rimanere la stessa per costruire un percorso verso la pace”, sottolinea la premier.
Sull’argomento però non c’è la stessa convinzione da parte della Lega, uno degli alleati del centrodestra. Ma Meloni replica: “I fili ce li hanno i burattini… Questo non è un dibattito tra filo-russi, filo-americani, filo-europei. Noi siamo tutti filo–italiani. Il tema vero è come si difende meglio l’interesse nazionale italiano? Gli italiani pensano che in fin dei conti l’Ucraina è lontana, quello che accade lì non ci riguarda. Io penso che purtroppo ci riguardi e che noi rischiamo di pagare un prezzo molto più alto facendo una scelta diversa, ma è un dibattito tra italiani che si interrogano su come sia meglio stimolare l’interesse nazionale“.
Sul riconoscimento dello Stato della Palestina “rimango fedele alla linea indicata dal Parlamento: ha votato una risoluzione che prevede il riconoscimento dello Stato palestinese quando si materializzeranno due condizioni, il disarmo di Hamas e la certezza che non abbia un ruolo nella governance di Gaza. Gli sforzi italiani sono rivolti a implementare il piano di Trump, che è complesso ma è un’occasione che potrebbe non tornare”, spiega ancora Meloni. Poi nega che l’Italia sia stata timida con Israele su quanto successo in Cisgiordania: “Noi siamo stati molto chiari in varie sedi. All’Assemblea generale delle Nazioni Unite, io ho detto che Israele non ha il diritto di impedire la nascita di uno stato della Palestina o di favorire nuovi insediamenti per impedirlo. E’ la ragione per la quale abbiamo sottoscritto la dichiarazione di New York sui due Stati, per cui la posizione italiana è sempre stata molto chiara”.
Infine i temi di politica interna, in particolare sul possibile faccia a faccia con Schlein e Conte ad Atreju. “Ho dichiarato varie volte la mia disponibilità a confrontarmi con il leader dell’opposizione, quando mi diranno chi è…“, risponde Meloni a Enrico Mentana che le ha domandato se ci sarà prima o poi un confronto con Elly Schlein. “Incontri amichevoli se ne fanno tanti, ma – aggiunge Meloni – se si parla di confronto con il leader dell’opposizione, io non mi infilo nelle dinamiche delle opposizioni”. Poi una battuta anche sul referendum sulla giustizia: “Tranquilli, il governo rimane in carica fino a fine legislatura comunque vada il referendum. Consiglio di andare a votare guardando al merito delle norme, la giustizia può migliorare“.
L'articolo Meloni: “Se l’Europa vuole essere grande deve essere capace di difendersi da sola. Sosteniamo l’Ucraina per costruire la pace” proviene da Il Fatto Quotidiano.
La questione degli asset russi congelati rischia di fare a pezzi l’Unione europea. Volodymyr Zelensky chiede da tempo che vengano utilizzati per continuare a sostenere l’Ucraina contro l’aggressione della Russia, ma le posizioni all’interno della Ue sono variegate. L’Ungheria e la Slovacchia, molto sensibili alle posizioni di Mosca, si oppongono alla possibilità , in particolare per finanziare l’assistenza militare, e hanno minacciato di bloccare o sfidare legalmente i piani dell’Ue in merito. Sul fronte “europeista”, invece, il Paese più contrario è il Belgio, che ospita Euroclear e con esso la maggior parte dei beni di Mosca – 180 miliardi -, e teme di doverli restituire come previsto dai trattati internazionali nel momento in cui il conflitto dovesse finire e il Cremlino accettasse di pagare i danni di guerra. È questo il punto che ha generato l’impasse a Bruxelles e che la Germania ha cercato di sbloccare nella giornata di venerdì lanciando un appello agli altri 26 Stati membri: “Il Belgio non può essere lasciato da solo con le sue riserve, che sono giustificate e vengono prese molto sul serio dal cancelliere”, ha detto Sebastian Hille, portavoce del cancelliere tedesco Friedrich Merz.
Il 3 dicembre la Commissione Ue ha presentato due soluzioni: un prestito che si baserebbe sul bilancio dell’Ue e un prestito di riparazione che autorizzerebbe l’esecutivo a contrarre prestiti di liquidità per un massimo di 90 miliardi da istituzioni finanziarie comunitarie che detengono attività immobilizzate della Banca centrale russa. Con una differenza importante: per attingere dal debito Ue serve l’unanimità dei 27, per l’uso degli asset – sostiene la Commissione – basta la maggioranza qualificata. È su questo punto che in queste ore von der Leyen sta tentando di forzare la mano in vista del summit europeo del 18 dicembre. Una prima frenata l’aveva impressa la Banca centrale europea spiegando di non essere intenzionata a garantire alcun eventuale prestito da 140 miliardi per l’uso degli asset russi, proprio perché questo rappresenterebbe una violazione del diritto internazionale.
Il governo di Bart De Wever ha già fatto sapere di ritenere la proposta “insoddisfacente”, tanto da costringere il portavoce di Merz a chiedere una solidarietà europea per evitare che il peso economico sia tutto sulle spalle di Bruxelles. Alla domanda se la Germania abbia intenzione di assumersi parte dei costi economici che graverebbero sul Belgio, il portavoce ha risposto: “Il cancelliere ha detto in un intervento in un quotidiano che anche i membri europei potrebbero, in modo proporzionale rispetto alla loro forza economica, distribuirsi il peso dei rischi” di questa misura.
Per tentare di trovare una quadra, la presidente della Commissione incontra a Bruxelles Merz e De Wever. Sull’uso dei beni congelati von der Leyen ci ha messo la faccia, supportata da diversi leader europei. Il cancelliere, inizialmente prudente, alcune settimane fa ha deciso di sposare la causa e, forse, sarà chiamato a spiegare a De Wever i motivi per cui i tedeschi ritengano che usare gli asset russi non comporti eccessivi rischi finanziari o legali.
Nella delicatissima partita gioca un ruolo anche l’amministrazione degli Stati Uniti. Donald Trump ha spiegato da tempo agli (ex?) alleati che Washington intende impegnarsi sempre meno sia militarmente che economicamente nella difesa del Vecchio Continente, rendendo l’utilizzo dei beni russi congelati una risorsa ancor più fondamentale per contrastare l’avanzata delle forze armate di Mosca in Ucraina. Ma la stessa Casa Bianca, riferisce oggi Bloomberg, starebbe facendo pressione su diversi paesi dell’Unione per bloccare il piano di concedere un prestito a Kiev finanziato con proventi derivanti dagli asset russi congelati. I funzionari statunitensi sostengono che tali beni sono necessari per garantire un accordo di pace tra Kiev e Mosca e non dovrebbero essere utilizzati per prolungare il conflitto.
Nella questione ora potrebbe intervenire anche il Regno Unito. Secondo il Times di Londra il governo di Keir Starmer vorrebbe sbloccare 8 miliardi di sterline (9 miliardi di euro) di asset russi congelati nel Paese. Stando al quotidiano, la somma coprirebbe oltre due terzi del fabbisogno finanziario dell’Ucraina nei prossimi due anni, sia per continuare la guerra che per finanziare la ricostruzione qualora si raggiungesse un accordo di pace. Come però sottolinea una fonte governativa, il meccanismo esatto per sbloccare i beni russi congelati nel Regno e consegnarli all’Ucraina non è stato ancora individuato. Anche nella recente ministeriale Nato a Bruxelles la titolare degli Esteri britannica Yvette Cooper ha spinto per un cambiamento di approccio, affermando che i Paesi alleati devono operare insieme su questo dossier per arrivare a un “piano coordinato“.
L’appuntamento chiave resta quello del summit europeo del 18 dicembre. È a quel tavolo che la Commissione cercherà il consenso politico necessario per avviare poi l’iter ai diversi regolamenti pensati per i prestiti a Kiev. Entro il secondo trimestre del 2026 Von der Leyen vorrebbe vedere le prime erogazioni. Ma prima dovrà superare un ostacolo ben più grande: la totale divisione dell’Ue sul tema degli asset russi congelati.
L'articolo Von der Leyen e Germania provano a tenere unita un’Ue spaccata sugli asset russi. L’appello di Berlino: “Condividiamo i rischi economici” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Vinicio Marchioni, ospite a “La Confessione” di Peter Gomez su Rai 3 in onda sabato 6 dicembre alle 20.20, ha le idee chiare sul disegno di legge sul consenso informato passato alla Camera il 3 dicembre scorso. “Questa è Eugenia Roccella che esprime il suo parere sull’insegnamento dell’educazione sessuo-affettiva nelle scuole. Mercoledì è passato il disegno di legge che lascia alle famiglie la decisione se far frequentare ai figli questi corsi. Lei è d’accordo che decidano le famiglie?”, ha chiesto il conduttore dopo avergli mostrato un video in cui la ministra della Famiglia dichiara l’assenza di correlazione tra l’educazione sessuale nelle scuole e l’abbassamento del numero di femminicidi. “Io penso che dovrebbe decidere lo Stato su alcune cose. – ha premesso l’attore al cinema con “Ammazzare stanca” di Daniele Vicari – Penso che siamo indietro rispetto a dove sta andando il mondo e a dove stanno andando i nostri figli, perché i nostri figli sono anni luce avanti rispetto a queste cose qui. – ha proseguito uno dei protagonisti della serie cult “romanzo Criminale”, papà di due ragazzi di 12 e 14 anni – E non solo hanno un’assoluta necessità di essere indirizzati, ma soprattutto sono anni luce avanti rispetto alla sessualità , alla fluidità di genere, all’incontro con le diversità , all’incontro con altre razze e altre lingue”, ha concluso Marchioni.
L'articolo Marchioni a La Confessione di Gomez (Rai 3): “L’educazione sessuale nelle scuole? Da padre dico: decida lo Stato, i nostri figli sono avanti” proviene da Il Fatto Quotidiano.
La Danimarca ridurrà gli aiuti finanziari e militari all’Ucraina nel 2026. Come riferisce la testata online del servizio pubblico danese DR, “il prossimo anno la Danimarca donerà 9,4 miliardi di corone” rispetto ai 16,5 miliardi del 2025 e ai quasi 19 miliardi del 2024. Il ridimensionamento riguarda infatti un Paese che dal 2022, anno dell’invasione russa, è stato tra i Paesi europei che hanno contribuito maggiormente alla difesa ucraina. La decisione sarebbe legata all’esaurimento del fondo speciale per l’Ucraina, istituito nel 2023, che ha già erogato circa 70 miliardi di corone in aiuti militari. Il primo ministro Mette Frederiksen (nella foto con Volodymyr Zelensky) aveva più volte sottolineato “quanto sia importante inviare fondi all’esercito ucraino†e in ottobre aveva esortato i partner europei ad “aumentare il nostro sostegno finanziario e militare all’Ucraina. (…) L’Ucraina è oggi la garanzia della sicurezza dell’Europa. Il nostro sostegno all’Ucraina è un investimento diretto nella nostra sicurezza. E quindi dobbiamo fornire finanziamenti a lungo termine alle forze armate ucraine”.
Alcuni esponenti politici ritengono che non sia il momento di ridurre gli aiuti. Stinus Lindgreen, portavoce del partito social liberale Radikale Venstre per la difesa, ha dichiarato che “il problema è che da molto tempo non stanziamo nuovi fondi. Se riteniamo che sia così importante sostenere l’Ucraina, allora è ora di sederci al Folketing (il parlamento danese, ndr), e assicurarci di avere i fondi necessari”. Lindgreen ha aggiunto che gli importi degli ultimi due anni erano invece adeguati e sarebbe opportuno tornare a quel livello, utilizzando parte dei miliardi già destinati alla difesa: “Si tratterebbe di prelevare denaro che abbiamo già concordato di destinare alla difesa… già stanziato”. Ha inoltre sottolineato che “la situazione in Ucraina resta critica. Non è questo il momento di ridimensionare le nostre ambizioni. Né in Danimarca né a livello internazionale”.
Volendo fare una comparazione, altri Paesi nordici aumentano o mantengono i loro contributi: la Norvegia ha stanziato 54,3 miliardi di corone per il 2026, la Svezia poco più di 27 miliardi. Secondo il Kiel Institut, la Danimarca rimane il Paese che ha fornito il maggior sostegno all’Ucraina rispetto al Pil. Simon Kollerup, portavoce dei Socialdemocratici per la difesa, ha dichiarato che “è naturale che il nostro sostegno si stia stabilizzando… Credo anche che sia giusto dire che si tratta di un sostegno che va ben oltre ciò che la nostra dimensione effettiva richiederebbe. Quindi penso che sia abbastanza naturale che il profilo del sostegno sia in calo”.
Kollerup ha precisato che non è ancora stata presa una decisione definitiva sul futuro del fondo: “Credo che daremo più soldi rispetto al profilo attuale. Ma ho qualche dubbio che saremo necessariamente in prima linea come abbiamo fatto in passato”. La maggior parte dei miliardi è stata spesa nei primi tre anni di guerra, “ma presto sarà il momento anche per altri Paesi di contribuire”. Perché, precisa, “siamo un piccolo paese con un’economia sana e un elevato potere decisionale… Ma credo anche che ci sia spazio per altri paesi di farsi avantiâ€. L’intenzione è dunque quella di un progressivo ridimensionamento del contributo, pur lasciando aperta la possibilità di ulteriori stanziamenti in base all’evoluzione della situazione ucraina.
L'articolo Ucraina, la Danimarca taglia il fondo per gli aiuti. I socialdemocratici: “Presto sarà il turno di altri Paesi” proviene da Il Fatto Quotidiano.
In un panorama editoriale ancora attraversato da incertezze — tra la ripresa non omogenea del mercato del libro, la pressione dell’online e le trasformazioni dei modelli di business delle testate culturali — qualche segnale di controtendenza arriva dal settore specializzato. È il caso della torinese Allemandi, storica casa editrice attiva dal 1983, che nel primo anno sotto la nuova compagine societaria annuncia risultati economici ben superiori alle attese.
Il Consiglio di Amministrazione, riunito il 4 dicembre, ha approvato previsioni di chiusura per il 2025 che indicano ricavi oltre i 5,5 milioni di euro, con un incremento di più di due milioni rispetto al budget precedente all’acquisizione. La crescita riguarda sia l’area libri (+105%) sia Il Giornale dell’Arte, che migliora del 36%. Secondo i parametri del settore, la performance consente ad Allemandi di collocarsi tra gli editori di media dimensione.
Accanto all’aumento dei ricavi, la società stima utili per circa 400mila euro, più del doppio rispetto alle previsioni originarie. A incidere, spiegano il presidente Michele Coppola e l’amministratore delegato Luigi Cerutti, sono l’allargamento del pubblico di lettori e inserzionisti, un controllo dei costi ritenuto più rigoroso e una riorganizzazione editoriale avviata dopo l’ingresso dei nuovi responsabili del settore libri e del Giornale dell’Arte, Pietro Della Lucia e Luca Zuccala.
Oltre ai numeri, l’editrice ha puntato su una serie di iniziative considerate strategiche. Tra queste, l’acquisizione della gestione del bookshop della mostra “Tesori dei Faraoni†alle Scuderie del Quirinale, inaugurata alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e il volume fotografico di Ray Giubilo dedicato alle ATP Finals di Torino, che ha registrato buoni riscontri commerciali.
Il percorso di rilancio si inserisce in un quadro proprietario completamente rinnovato: nel 2024 i rami industriali della società erano stati acquisiti da Intesa Sanpaolo, Fondazione 1563 della Compagnia di San Paolo e Fondazione CRC, con l’obiettivo dichiarato di restituire ad Allemandi un ruolo di primo piano nell’editoria culturale. Una missione che, nelle intenzioni dei soci, guarda anche oltre la dimensione nazionale.
Sul fronte dell’informazione culturale, rimane centrale Il Giornale dell’Arte, che da oltre quarant’anni rappresenta un osservatorio privilegiato sul sistema artistico italiano e internazionale. Nel 2025 la piattaforma digitale ha ampliato l’offerta con un’area riservata gratuita che mette a disposizione articoli premium e l’intero archivio della testata, digitalizzato e ricercabile.
Il bilancio positivo non cancella le sfide di un settore che continua a confrontarsi con la transizione digitale, la frammentazione dei pubblici e la necessità di modelli sostenibili. Ma indica almeno che, in alcuni segmenti dell’editoria culturale, investimenti strutturati e una chiara identità editoriale possono ancora generare risultati concreti. Per Allemandi, il prossimo passo sarà il nuovo piano industriale, atteso nel corso del 2026: l’obiettivo dichiarato è consolidare la crescita e posizionarsi come player europeo dell’arte e della cultura.
L'articolo Editoria, la storica casa editrice Allemandi chiude il 2025 in forte crescita, in controtendenza con il settore proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Se passa il principio che Trump decide dall’altra parte del mondo e qui le aziende chiudono e se ne vanno, rischia di essere seguito a ruota da altre impreseâ€. Davanti ai cancelli della Freudenberg di Rho la rabbia è ancora tanta dopo la decisione dell’azienda (che produce filtri industriali) di chiudere lo stabilimento lasciando a casa 42 persone. Una scelta che secondo la ricostruzione dei sindacati sarebbe stata motivata proprio dai “dazi di Trumpâ€. E così nelle assemblee di ieri e oggi, i lavoratori hanno optato per altre otto ore di sciopero previsto per il 15 dicembre per “contestare la decisione del gruppo di chiudere e delocalizzare la produzione negli Stati Uniti e in Slovacchiaâ€. E proprio in quella giornata i lavoratori si recheranno in Germania, a Weinheim, per protestare davanti alla sede centrale del Gruppo Freudenberg e chiedere la disponibilità a un tavolo con un soggetto che sarebbe interessato al subentro. Intanto davanti ai cancelli dello stabilimento di Rho, oggi una delegazione del Movimento 5 Stelle guidata dalla deputata Chiara Appendino e dall’eurodeputato Gaetano Pedullà oltre ai consiglieri regionali di Pd e Avs ha incontrato i lavoratori criticando gli effetti della politica dei dazi di Trump: “Per il governo erano un’opportunità – attacca Appendino – ma sono un’opportunità i 42 licenziamenti?â€.
L'articolo L’azienda di Rho lascia 42 lavoratori a casa. “Colpa dei dazi di Trump. Il rischio è che lo facciano anche altre imprese” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Violenze sessuali, percosse e maltrattamenti avvenivano tra le docce e le stanze 12 e 15 della casa di riposo “San Giuseppe†a Capri. Vittime, quattro persone anziane – un uomo e tre donne tra gli 82 e i 91 anni – affette da demenza senile, Parkinson e altre patologie tipiche dell’età avanzata. Persone particolarmente deboli e fragili, in evidente stato di inferiorità fisica e psichica. Erano finite nelle grinfie di un operatore sanitario di 47 anni, in servizio in questa struttura dal 2019. Con queste accuse l’uomo è stato arrestato stamane su ordine del Gip di Napoli, Anna Tirone. La procura di Napoli, sezione fasce deboli – procuratore Nicola Gratteri, aggiunto Raffaello Falcone, pm Monica Campese – aveva chiesto il carcere. Il giudice ha ritenuto adeguati i domiciliari col braccialetto elettronico.
È stata un’indagine molto rapida, quella condotta dai carabinieri della stazione di Capri e del nucleo investigativo della Compagnia di Sorrento. In poche settimane, tra metà ottobre e fine novembre, i militari agli ordini del capitano Mario Gioia hanno raccolto prove sufficienti per incastrare l’indagato. Grazie agli audio e ai video delle cimici e delle telecamere nascoste nella struttura, è stato possibile documentare le condotte sessualmente predatorie dell’operatore socio sanitario, sul quale già gravavano alcuni sospetti. La struttura infatti ospita 16 persone anziane ed alcune erano “riluttanti†a farsi assistere da lui, l’unico operatore maschio in servizio.
Lo ha riferito una sua collega sentita dagli investigatori. Si tratta dell’operatrice che ha lanciato l’allarme, riferendo alla direttrice, con una telefonata del 16 ottobre scorso, di aver assistito ad un episodio di violenza sessuale ai danni di un anziano.
L’uomo è accusato anche di aver preso a schiaffi un’anziana restìa a prendere medicinali e di aver insultato e deriso le sue vittime. “Ti fa male la testa? E tu tieni la merda dentro quella sta girandoâ€. Questa è una delle frasi pubblicabili, rivolta a un anziano. Impubblicabili quelle che diceva alle anziane ospiti della casa di riposo mentre provvedeva alla loro igiene.
L'articolo Violenze sessuali e maltrattamenti in una casa di riposo a Capri: arrestato un operatore sanitario proviene da Il Fatto Quotidiano.
Piero Fassino, deputato dem, è stato recentemente in visita alla Knesset, il parlamento israeliano. Fassino si è collegato in video durante una conferenza stampa a Montecitorio per un saluto insieme ai parlamentari Paolo Formentini della Lega e Andrea Orsini di Forza Italia con i quali ha partecipato a una missione di ricognizione del Gruppo di coordinamento del Protocollo di Cooperazione tra Knesset e Camera dei Deputati.
“Nel momento in cui siamo qui, tutti i nostri colloqui stanno vertendo sulla questione che da due anni vive Israele. Quello che emerge chiaramente è che Israele è una società aperta, una società libera, una società democratica, una società che anche su questi due anni e sulle prospettive ha una dialettica democratica”, precisa Fassino nel suo intervento. “Tutto questo ci porta a dire che è del tutto inaccettabile quello che accade in Europa e in Italia, cioè trasformare le legittime critiche a un governo, a Netanyahu, in una criminalizzazione di Israele, della società israeliana, e chiedere conto a ogni ebreo italiano o che vive nel mondo di quello che accade in Israele”, prosegue.
Considerazioni che, continua, “portano a una deriva antiebraica e antisemita. La propagazione di parole di odio che in nessun modo aiutano nel superamento della crisi drammatica o favoriscono un processo di pace”.
“Questo è il senso anche della nostra visita, riaffermare la necessità di una relazione forte tra Italia e Israele. Una relazione che vada al di là dell’orizzonte di un governo per ora in carica”, conclude.
L'articolo Cos’ha detto Fassino alla Knesset: “Israele società aperta, libera e democratica. Inaccettabile trasformare critiche a Netanyahu in criminalizzazione” proviene da Il Fatto Quotidiano.
Gli italiani tra i 18 e i 60 anni confermano un’intensa vita sessuale, con frequenze stabili e un ventaglio di pratiche molto più ampio rispetto al passato. Le donne risultano più intraprendenti, più consapevoli e meno condizionate dagli stereotipi, mentre resiste una quota che continua a credere a falsi miti su fertilità e contraccezione. Ecco i dati del Rapporto 2025 sulla situazione sociale del Paese dell’istituto di ricerca socio-economica italiano, il Censis (i dati su povertà , economia, lavoro e sanità ).
Quanto sesso facciamo? – Confidando che tutti siano stati sinceri, secondo l’indagine il 62,5% degli italiani tra 18 e 60 anni lo fa spesso. Tra questi, il 5,3% ogni giorno, il 29,9% due o tre volte alla settimana e il 27,3% una volta alla settimana. Il 21,9% ha rapporti più saltuari, tra una volta al mese e una volta ogni quattro mesi, mentre il 7,1% è occasionale (una volta ogni cinque o sei mesi). Gli astinenti sono l’8,5%. Tra i giovani under 35 l’attività è più intensa: i performanti quotidiani salgono al 7,9% e gli attivi al 34,4%, con solo il 6,4% che non ha rapporti.
Cosa ci piace? – Le pratiche più diffuse comprendono preliminari (78,8%), sesso orale (74,2%) e masturbazione reciproca (58,2%). Seguono: linguaggio esplicito (36,4%), sesso anale (32,6%), ricezione di immagini pornografiche (31,3%), sexting (30,2%), uso di sex toys (26,4%), visione di porno in coppia (26,0%), utilizzo di oggetti o cibi nei giochi erotici (22,1%) e invio di immagini esplicite (21,4%). Tra le pratiche più particolari emergono le fantasie dichiarate su altri partner (17,6%), giochi di ruolo (16,3%), riprese video o foto durante l’atto (14,3%), pratiche non convenzionali come bdsm, feticismo o sadomasochismo (14,0%) e orge (7,7%). Ancora una volta, i giovani risultano più propensi in quasi tutte le categorie.
“La nuova sessualità femminile” – Quest’anno uno dei focus di approfondimento riguarda la “nuova sessualità femminile”, segmento della rilevazione che registra la trasformazione più significativa dei comportamenti sessuali. Il 92,5% delle italiane tra 18 e 60 anni ha avuto rapporti nel corso della vita e il 60,9% oggi ne ha almeno uno a settimana. Per il 61,6% il sesso ha come funzione principale il piacere, mentre la finalità procreativa è marginale (1,9%). Per il 56,4% amore e sessualità sono separabili. Quasi otto donne su dieci (78,8%) sostengono che oggi siano loro a fare il primo passo e il 65,1% degli uomini conferma questa percezione. Inoltre, il 63,7% delle donne e il 59,7% degli uomini considera superata la rappresentazione dell’uomo-cacciatore e della donna-preda, segnala il Censis.
Contraccezione e falsi miti – Il 42,7% delle donne chiede al partner l’uso del profilattico, il 26,2% usa la pillola, il 21,7% pratica il coito interrotto e il 5,6% si affida ai giorni fertili. “Anche se tra le donne prevale una sessualità consapevole, una minoranza dà ancora credito a falsi miti”, scrive il Censis. Per il 16,6% (il 23,7% degli uomini) è impossibile rimanere incinte se si hanno le mestruazioni, l’8,9% (il 9,1% degli uomini) crede che nelle notti di luna piena le donne siano più fertili, il 5,1% (il 6,4% degli uomini) pensa che la pillola anticoncezionale protegga dalle infezioni sessualmente trasmissibili, il 3,8% (il 5,3% degli uomini) ritiene che al primo rapporto sessuale non si possa rimanere incinte”.
L'articolo Sesso tricolore: quanto e come lo facciamo secondo il Censis. Che premia le donne: più consapevoli e intraprendenti proviene da Il Fatto Quotidiano.
“Una nostra ora di lavoro fatica a raggiungere il costo di un tavolino che dentro è fatto di cartone. Vorremmo avere una dignità salariale che ci permetta di vivereâ€. A parlare è uno dei lavoratori dell’Ikea di Carugate che oggi ha aderito allo sciopero nazionale indetto da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs. Il motivo? “Il contratto integrativo non viene rinnovato dal 2019 nel quale le nostre professionalità vengono schiacciate – racconta un’altra lavoratrice arrivata da Ancona – ci sono grosse disparità tra vecchi e nuovi assunti che devono aspettare 24 mesi per avere le maggiorazioni, e in questo momento molti negozi non hanno potuto avere il premio che era una boccata di ossigeno per molti di noiâ€.
E così le lavoratrici e i lavoratori si sono dati appuntamento di fronte allo stabilimento di Carugate improvvisando un corteo tra gli scaffali. “Ikea occupa oltre 7500 dipendenti in tutta Italia con un uso molto forte di figure part time molto spinto spesso e volentieri indipendente†racconta Roberto Brambilla, Filcams Cgil nazionale. Quanto prendono? “Con un part time da 30 ore prendo 1100 euro al mese†racconta una lavoratrice. Per questo il contratto integrativo così come il sistema premiale rappresenta “una boccata di ossigeno†per i dipendenti. “Nel corso dell’ultimo incontro, l’Azienda ha respinto ogni proposta delle organizzazioni sindacali, rifiutando perfino di definire gli elementi economici già condivisi – come maggiorazioni domenicali e trattamento della malattia – rimandando tutto a un confronto senza contenuti reali†scrivono in una nota le organizzazioni sindacali confederali.
E la multinazionale del mobile risponde così: “Ikea ha costantemente ricercato un confronto con le sigle sindacali e conferma la propria disponibilità a sottoscrivere il contratto in qualsiasi momento, anche con una durata ridotta rispetto alla normale vigenza, sulla base della proposta aziendale, la quale si presenta evidentemente migliorativa. Ikea Italia intende inoltre ribadire che la propria strategia di business rimane saldamente allineata all’obiettivo di rendere il brand accessibile alla maggioranza delle persone, anche in un contesto storico in cui tutti i consumi sono significativamente influenzatiâ€.
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Disavventura per una giornalista della Nuova Zelanda. Jessica Tyson stava girando un servizio sul fast fashion ad Auckland quando un uccello le è volato in faccia. Spinto dai venti il volatile le è finito dritto sul viso mentre stava facendo uno stand up di fronte a un negozio.
“Santo cielo”, dice nella clip pubblicata sul suo account poco dopo essere stata colpita. Dopo l’incidente la troupe si è subito precipitata a controllare le sue condizioni. “Stai bene?”, le chiede un uomo nel video. “Stai sanguinando”, continua.
L’incidente, avvenuto il due dicembre scorso, ha causato alla cronista un taglio sul lato dell’occhio. “Devono avermi colpito con il becco o con gli artigli, perché mi è rimasta una cicatrice sopra l’occhio sinistro, sotto il sopracciglio. Per fortuna ha mancato di poco il bulbo oculare”, ha scritto Tyson su Facebook. “Dopo, l’uccello sembrava stare bene e si è riunito ai suoi amici lì vicino. Sono corsa in un ufficio aziendale vicino, nel centro di Auckland, per darmi una ripulita prima di continuare le riprese”.
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Considerare crimine di guerra il “secondo colpo†nella vicenda che vede coinvolti il Ministro della Guerra Usa, l’ex anchorman di Fox Tv Pete Hegseth insieme all’ammiraglio Frank Bradley, leggendario ex navy seals avvistato in Italia durante gli scoppiettanti anni ’90, non è una buona notizia. Contro l’arbitrio del potere i democratici hanno il dovere di fare di più, altrimenti la partita è persa.
Di fronte a dei presunti criminali la regola generale nelle società che si ritengano liberali e garanti dei diritti fondamentali degli individui prevede di indagarli, arrestarli, processarli, condannarli. Il tutto ad alcune condizioni fissate nelle carte costituzionali e nei trattati internazionali ai quali facciamo riferimento, tipo: che le prove a carico siano raccolte in modo corretto, che all’accusato sia garantito il diritto a difendersi adeguatamente, che il giudice sia imparziale… fino ad escludere che tra le punizioni possa esserci quella capitale (non vale per tutti) e che la detenzione mai sia disumana e degradante, anzi apra alla possibilità di un riscatto sociale (idem come sopra).
Di certo non è previsto che la reazione di uno Stato liberale, democratico, fondato sul rispetto dei diritti umani, possa essere quella di ammazzarli preventivamente, senza processo. Questo tipo di reazione rimanderebbe infatti ad un esercizio del potere talmente arbitrario da espellere quello Stato dal paradigma stesso di Stato di diritto e pertanto dovrebbe essere considerata una reazione culturalmente e politicamente inaccettabile. Uno Stato che adoperasse in questo modo il proprio potere letale nei confronti di presunti criminali andrebbe catalogato alla stregua di un clan mafioso.
Ma ecco che a sovvertire queste premesse ci ha pensato il Ministro della Guerra degli Usa, il quale ha deciso che la “guerra†contro i presunti narcotrafficanti che dalle coste sudamericane partono con natanti di ogni tipo puntando a quelle statunitensi e quindi al ricco mercato nordamericano dovessero essere semplicemente bombardati, cioè sterminati senza neppure tentare il fastidio di arrestarli. L’ammiraglio Bradley ha eseguito il compito diligentemente e le stragi sono iniziate nel settembre di quest’anno, senza destare particolari reazioni. L’abitudine all’orrore peraltro è uno degli obiettivi perseguiti scientificamente dagli architetti della guerra in ogni dove.
Oggi qualcosa pare muoversi e l’amministrazione Usa potrebbe essere chiamata a dare qualche risposta al Congresso, ma su cosa nello specifico? Sulla illegittimità del “secondo colpoâ€, perché sparare altri due missili contro una imbarcazione già precedentemente colpita, sulla quale però non erano tutti morti ma alcuni erano “soltanto†feriti o agonizzanti – e l’imbarcazione stessa era ormai naufragata – integrerebbe un “crimine di guerraâ€. Capite perché non è una buona notizia. Prevedo che il corto circuito morale e giuridico raggiungerà il suo apice quanto l’amministrazione Usa proverà a giustificarsi negando che possa essere stato commesso un qualunque “crimine di guerra†dal momento che contro i narcos la “guerra†dichiarata è da intendersi in senso metaforico!
Il baratro nel quale i nostri pallidi Stati di diritto stanno precipitando è tutto qui, nello sdoganamento spudorato dell’arbitrio (letale) del potere, che annienta la minaccia presunta senza nemmeno scomodarsi a nasconderla con qualche sofisticata strategia depistante: pensate quanti grattacapi a suo tempo per eliminare Aldo Moro, per tenere il Paese sui binari “giusti†a colpi di bombe sui treni, nelle banche, nelle piazze, per trovare scivolose convergenze di interessi con mafiosi di ogni tipo pronti a rimuovere ostacoli al potere altolocato (e impunito!). Non è cambiata la natura dell’arbitrio, sta cambiando la sua auto narrazione e le difese culturali sono sempre più logorate dalla colonizzazione dell’immaginario perseguita da chi con la violenza si ingrassa.
Lo “spettro†di questo utilizzo arbitrario del potere è ampio e comprende la sproporzione con la quale il Viminale ha colpito tanto l’imam di Torino Shahin, quanto gli operai in sciopero a Genova ieri o la progressiva invasione delle scuole da parte del lessico militare: sfumature di nero, alleate nell’operazione già richiamata di abituare progressivamente all’orrore, che ha ovviamente nella guerra-guerreggiata il modo più potente e allo stesso tempo il fine ultimo.
La resistenza alla colonizzazione dell’immaginario oggi passa anche dai giovani attivisti che in maniera nonviolenta a Torino stanno contestando la quinta strepitosa “festa†internazionale delle armi-spara-tutto, la fiera che celebra fatturati in crescita iperbolica per chiunque si occupi del modo più inevitabile di uccidere. Grazie! Anche così restiamo umani.
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“Non ne voglio parlare, non mi interessa ora. Mi fa male questa domanda, per l’emozione”. Così Cesc Fabregas in conferenza stampa pre Inter-Como, alla domanda sul no all’Inter in estate dopo l’addio di Simone Inzaghi. “Io sono al Como, mi mangio tutto e tutti per il Como. Andremo a San Siro per cercare di vincere la partita, per fare una grande prestazione e continuare a crescere”, ha proseguito l’allenatore spagnolo in vista del match che si giocherà sabato 6 dicembre alle ore 18 a San Siro.
“L’Inter ha una grandissima squadra e un grandissimo allenatore, con dirigenti bravi – ha aggiunto Fabregas -. Vado tantissimo a San Siro a vedere l’Inter in Champions, perché loro sono un squadra forte. Non siamo noi la squadra che può mettere paura all’Inter. Hanno giocato tantissime partite, due finali di Champions League, quindi noi giocheremo la nostra partita, giocheremo le nostre carte e proveremo a vincere”, ha concluso il tecnico che in estate per un momento è sembrato essere vicinissimo all’Inter.
Fabregas era infatti la prima scelta del presidente Marotta e della società nerazzurra dopo l’addio di Simone Inzaghi dopo la finale di Champions League contro il Psg persa per 5-0. L’Inter aveva individuato nell’allenatore del Como il sostituto ideale, ma dopo giorni di dialoghi, Fabregas – di comune accordo con il patron Mirwan Suwarso – ha deciso di rimanere nella città comasca. A quel punto l’Inter ha virato su Cristian Chivu – preferito a Vieira – chiudendo la trattativa in pochissimo tempo.
Adesso Fabregas arriverà a San Siro, sì, ma da avversario in quello che è a tutti gli effetti uno scontro diretto. L’Inter si trova infatti al momento a quota 27 punti, al secondo posto in classifica dietro a Milan e Napoli, mentre il Como insegue al quinto, a quota 24. Una vittoria della formazione comasca significherebbe aggancio in classifica. Un’eventuale sconfitta invece porterebbe il Como a -6 dai nerazzurri.
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Undici milioni di visualizzazioni e migliaia di commenti. Una turista americana ha raccontato una brutta esperienza vissuta mentre era a Napoli, presumibilmente per una tappa di una crociera. La donna, Grace O’Malley, ha registrato un video per descrivere la sua disavventura. “Non so cosa abbia fatto, ma tre persone mi hanno registrato. Come in quell’episodio di Black Mirror”, esordisce.
La donna racconta che era appena scesa dalla nave. “Sono salita su uno scooter – dice – sono passata accanto a un’auto e mi hanno urlato qualcosa. Poi sono andata su una strada coi ciottoli, non riuscivo nemmeno a vedere, tremava tutto. E due ragazzi con la Vespa si fermano davanti a me. Pensavo che mi avrebbero urlato contro perché magari non era permesso andare in scooter. Ma mentre li raggiungevo il tipo seduto dietro ha cominciato a registrare un video. Per dieci minuti”. Grace dice quindi di essere scesa e aver cominciato a camminare con lo scooter ma di aver visto un’altra signora ridere. “Poi ho parcheggiato la Vespa – dice ancora – e ho iniziato a camminare in una strada molto turistica. Tutti mi guardavano, sembro pazza, ma tutti mi guardavano, e una signora, girato l’angolo, mi ha visto e ha detto tipo ‘ahah'”. Grace spiega che la situazione l’ha messa a disagio, tanto da farla arrivare quasi alle lacrime
Ma la disavventura non finisce qui. La turista, infatti, arriva al ristorante dove aveva prenotato un “pranzo fancy”. “Mi siedo sull’orlo delle lacrime e il tavolo dietro di me diceva ‘american, american’, quindi penso ‘stanno parlando di me?’. Anche il tavolo davanti a me si girava in continuazione. Si stavano spezzando il collo a guardarmi”. O’Malley spiega allora di essere andata in bagno a piangere. “Quando sono tornata in sala la coppia davanti a me ha girato di nuovo il suo collo italiano. Così mi sono girata anche io pensando che forse c’era qualcosa dietro di me da vedere, ma non c’era niente”. Uscita dal ristorante, “un locale Michelin“, Grace decide di tornare alla nave col taxi e, anche qui, la situazione non va meglio. “Mi ha derubato”, racconta ancora. Parlando della situazione a Napoli come di una “situazione folle”.
Nella didascalia del video, tra l’ironico e il rassegnato, Grace si chiede se il problema possa essere stato il suo vestito giallo. E in tanti nei commenti sembrano seguire questa strana teoria. “Ho indossato del giallo a Napoli nel 2021 e mi guardavano come fossi pazza, così ho comprato un altro vestito”, scrive un utente. “Io ho indossato un cappotto giallo a Parigi ed è stato uno dei peggiori giorni della mia vita”, scrive un altro. Ma c’è chi ipotizza altre motivazioni, come il bodyshaming oppure il fatto che stesse girando a ottobre con un vestito estivo.
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La precarietà abitativa in Italia ha raggiunto livelli insostenibili. I dati sono conosciuti: sfratti povertà , affitti esosi, città votate alla turistificazione sono elementi che rendono necessario non dilatare oltre i tempi un intervento strutturale per rendere effettivo il diritto all’abitare.
Una necessità che è oggi sostenuta da un Protocollo di intesa che Federcasa, associazione degli enti di edilizia residenziale pubblica, ha firmato con i sindacati inquilini: Unione Inquilini, Sunia, Sicet e Uniat.
Il documento parte da una premessa: la necessità del rilancio di politiche abitative pubbliche. In questo modo Federcasa e Sindacati inquilini attraverso la condivisione di un percorso comune per la difesa e l’ampliamento del patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica, sostanziano la necessità di un rilancio delle politiche inerenti il comparto abitativo.
Si tratta di un Protocollo che il Parlamento, le Regioni e i Comuni farebbero bene a leggere e tenere nella dovuta considerazione, perché parte dal quotidiano contatto che sindacati inquilini e gli enti gestori di edilizia residenziale pubblica hanno con la precarietà abitativa. Esistono oggi vecchi e nuovi bisogni e se l’Anci afferma che la questione abitativa è una priorità allora priorità deve sostanziarsi in atti, programmi e finanziamenti adeguati.
Gli enti gestori di edilizia residenziale pubblica in Italia gestiscono 800mila case popolari a cui se ne devono aggiungere circa 200mila dei comuni. Eppure questo circa milione di alloggi è assolutamente insufficiente per affrontare una questione che coinvolge almeno oltre un milione di famiglie povere in affitto o le decine di migliaia di famiglie che ogni anno subiscono una sentenza di sfratto. Tenuto conto che il Governo intende affrontare solo in termini di ordine pubblico, per esempio, la questione sfratti, come se già non bastassero gli oltre 20.000 sfratti eseguiti con la forza pubblica ogni anno.
Il Protocollo di intesa tra enti gestori Erp e i maggiori sindacati inquilini rappresenta un punto di riferimento programmatico per affrontare efficacemente la vasta precarietà abitativa segnata in particolare da un caro affitti insostenibile e una larga insufficienza di case popolari e alloggi sociali.
Federcasa e sindacati inquilini concordano sul fatto che l’edilizia sociale pubblica ha bisogno di congrue risorse stanziate con continuità per garantire una efficace programmazione da parte di Regioni e Comuni. Risorse da concentrate sull’Erp, non su progetti alternativi di finto social housing che fino ad oggi si è rilevato fallimentare o di puro sostegno alla speculazione. Da qui la proposta del riconoscimento dell’edilizia residenziale pubblica come Servizi di Interesse Generale (Sig).
Sulla base di queste considerazioni Federcasa e sindacati inquilini avanzano una serie di proposte; tra queste, oltre alla certezza di risorse per aumentare la dotazione di case popolari i comuni, l’aumentare dell’offerta di alloggi in locazione a canone sostenibile prevedendo un ruolo nella rigenerazione urbana degli ex Iacp. Il Protocollo propone altresì il rifinanziamento adeguato del Fondo di sostegno affitti e del fondo per la morosità e la soppressione dell’Imu inconcepibile per alloggi a canone sociale, tenuto conto che l’edilizia residenziale pubblica è una infrastruttura sociale strategica.
Infine, non di minore importanza, la necessità di garantire le manutenzioni straordinarie e i programmi di efficientamento energetico e di abbattimento delle barriere architettoniche. In tale ambito e considerate le centinaia di migliaia di famiglie in attesa nelle graduatorie sarebbe già un segnale concreto finanziare il recupero delle 70.000 case popolari oggi inutilizzate proprio per mancanza di manutenzioni. Infine, da Federcasa, Unione Inquilini, Sunia, Sicet e Uniat la richiesta dell’indizione di una Conferenza programmatica con l’obiettivo di definire con chiarezza gli obiettivi di una nuova ed efficace politica abitativa.
A fronte di tutto ciò per ora dal testo della legge di bilancio per il 2026 non si rilevano le tematiche e le proposte del documento di Federcasa, Unione Inquilini, Sunia, Sicet e Uniat, ma ora il confronto è aperto: governo e parlamento tengano conto delle richieste di coloro che quotidianamente affrontano la precarietà abitativa nei territori.
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