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#news #ilfattoquotiano.it
Nonostante le lunghe contrattazioni per la formazione della nuova ‘maggioranza Ursula’ al Parlamento Ue, nel Partito Popolare Europeo la voglia di staccarsi dalla storica alleanza centrista con socialisti e liberali e dare inizio a una nuova stagione insieme alla destra non è svanita. Soprattutto in quella fazione del partito che fa capo a Manfred Weber e Antonio Tajani. Un’aspirazione che si è di nuovo palesata giovedì pomeriggio, quando il presidente del Ppe ha compiuto un blitz in conferenza dei presidenti per chiedere l’annullamento della missione della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo (LIBE), programmata già da due mesi, in Italia. Il timore, come scritto da Ilfattoquotidiano.it, era quello di disturbare l’esecutivo italiano su temi delicati come la giustizia, proprio nei giorni in cui la Corte di cassazione ha dato il via libera ai quattro quesiti sul referendum che si terrà con ogni probabilità a marzo, e libertà di stampa. Missione compiuta, quella di Weber, grazie all’appoggio dell’estrema destra. Ma non è la prima volta che il Ppe chiede o offre aiuto all’ala più conservatrice e nazionalista dell’Eurocamera, scatenando le proteste del resto della ‘maggioranza Ursula‘.
Il primo episodio di cedimento dell’annunciato “cordone sanitario” intorno alle destre risale al settembre 2024, quando i Popolari hanno votato, facendo approvare la risoluzione, insieme ai Conservatori (Ecr), Patrioti e Sovranisti per riconoscere Edmundo González Urrutia come legittimo presidente del Venezuela, non riconoscendo quindi la vittoria di Nicolas Maduro. Un episodio che sancì la nascita di quella che venne ribattezzata ‘maggioranza Venezuela‘, la stessa che portò sempre Ppe ed Ecr a unirsi per candidare l’opposizione venezuelana al Premio Sakharov per la libertà di pensiero. Riconoscimento che andò proprio agli oppositori del governo di Caracas.
Si passa poi alla fine del 2024, quando è il momento di votare sul bilancio 2025 dell’Unione europea. Nel corso del lungo processo decisionale, molti eurodeputati del Ppe, tra cui anche il capogruppo Weber, hanno sostenuto col proprio voto diversi emendamenti presentati dai Sovranisti per ridurre i finanziamenti all’Agenzia europea per i diritti fondamentali, per finanziare la costruzione di muri alle frontiere e per istituire campi di espulsione per i richiedenti asilo.
Sempre un anno fa, il Ppe, con l’appoggio dell’estrema destra, riuscì a far approvare dalla Plenaria, con 371 voti favorevoli, 240 contrari e 30 astenuti, il rinvio di un anno dell’applicazione del regolamento sulla deforestazione e un alleggerimento delle limitazioni. In quell’occasione, i Popolari dovettero ritirare 6 dei 15 emendamenti proposti per annacquare il regolamento, ma si videro comunque approvare tutti gli altri, tranne uno. Tra quelli che ricevettero il via libera dal Parlamento ce ne era ad esempio unoche introduceva la categoria di Paese “senza rischio”, a fianco a quelli a basso, medio e alto rischio. Si tratta di Stati dai quali poter importare prodotti senza nuovi obblighi. In particolare, nella categoria “nessun rischio†rientrerebbero Paesi “o parti di essi†in cui “lo sviluppo delle aree forestali è rimasto stabile o è aumentato rispetto al 1990†e dove è stato siglato l’Accordo di Parigi sul clima “e le convenzioni internazionali sui diritti umani e sulla prevenzione della deforestazioneâ€.
Passano otto mesi e si arriva al luglio scorso. Oggetto dello scontro era la nomina dell’eurodeputato di Fratelli d’Italia, Alessandro Ciriani, a relatore per il dossier legislativo sulla lista Ue dei cosiddetti Paesi terzi sicuri. Un tema di importanza primaria per l’Italia che fin dal novembre 2023, quando è stato siglato il protocollo d’intesa con Tirana, ha cercato di spingere il cosiddetto modello Albania per la gestione dei migranti fin dentro i palazzi dell’Ue. E in questo processo diventa fondamentale la definizione di “Paese terzo sicuro” all’interno del nuovo quadro normativo Ue. Un allargamento delle maglie, come auspicato dalla destra, che accelererebbe le procedure di espulsione per i richiedenti asilo. Ipotesi che non piace, però, ai partiti progressisti alleati del Ppe, secondo i quali il rischio è quello di violare le tutele individuali e abbassare gli standard di protezione internazionale. Nessun problema, invece, per i Popolari che a luglio hanno così deciso di schierarsi con le destre e nominare Ciriani relatore del dossier. Una mossa che, per le sinistre, ha rappresentato la prima rottura di quel “cordone sanitario” intorno all’estrema destra annunciato in primis proprio da Manfred Weber.
Passano quattro mesi ed ecco che il Ppe decide di giocarsi una nuova svolta improvvisa a destra. Nel corso della mini-plenaria del 13 novembre si vota il compromesso promosso dal Ppe sulla semplificazione delle direttive sugli obblighi di due diligence e reportistica ambientale per le aziende. Ad esempio, nel testo si legge che gli obblighi di due diligence (dovuto controllo preventivo) dovrebbero applicarsi a grandi società con più di 5mila dipendenti e un fatturato annuo superiore a 1,5 miliardi di euro. Paletti che esonerano così la maggior parte delle società . E anche quelle che rientrerebbero negli standard previsti non saranno comunque più tenute a preparare un piano di transizione per rendere il loro modello di business in linea con gli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi, ma potranno essere soggette a sanzioni pecuniarie per il mancato rispetto dei requisiti di sostenibilità ambientale e sociale lungo la loro intera catena di approvvigionamento. Anche in tema di direttiva sulla rendicontazione ambientale si alza la soglia del campo di applicazione, limitandola alle aziende con oltre 1.750 dipendenti e un fatturato netto annuo superiore a 450 milioni di euro che dovranno redigere relazioni sociali e ambientali. Solo le imprese che rientrano in questo ambito saranno inoltre tenute a fornire relazioni sulla sostenibilità in linea con la tassonomia, ovvero la classificazione degli investimenti sostenibili dell’Ue. Una deregulation, secondo l’ala progressista del Parlamento, che favorirebbe le aziende nell’aggiramento degli standard ambientali e sul rispetto dei diritti umani sul luogo di lavoro. Non un problema, invece, per i Popolari intenti a smantellare il Green Deal tanto caro, nello scorso mandato, a Ursula von der Leyen. Così, raccolte le posizioni degli alleati progressisti, hanno deciso di allearsi con la destra. Risultato: il Parlamento ha approvato con 382 voti a favore, 249 contrari e 13 astenuti.
“Oggi è un giorno positivo per le imprese e la competitività europee – si leggeva in una nota del gruppo dei Popolari poco dopo il voto – Un anno fa, il Ppe aveva promesso agli elettori di ridurre la burocrazia, semplificare le normative esistenti ed eliminare gli oneri inutili per le aziende europee. Oggi abbiamo mantenuto la promessa. Abbiamo rimesso la competitività all’ordine del giorno e dimostrato che l’Europa può essere sia sostenibile che competitiva”. Ma questo secondo voltafaccia aveva di nuovo scatenato le proteste dei Socialisti: “Oggi, in una votazione sul pacchetto Omnibus sulla sostenibilità , il gruppo conservatore del Ppe e i gruppi di estrema destra del Parlamento hanno unito le forze per eliminare la responsabilità delle aziende per i danni che causano alle persone e al pianeta – si replicava in una nota del gruppo S&D – Il gruppo si impegna a semplificare le leggi per semplificare la vita di cittadini e imprese, ma non sosterrà un programma di deregolamentazione incontrollata, che distruggerebbe gli standard e le regole europee che abbiamo adottato democraticamente molto di recente. Ci rammarichiamo che il Ppe abbia deciso di uscire dalla maggioranza filoeuropea per unirsi all’estrema destra scettica sul clima ed euroscettica”. I Socialisti ancora non sapevano, o forse sì, che quella di giovedì scorso non sarebbe stata l’ultima svolta a destra dei loro alleati. Tanto che nel campo conservatore si è iniziato a parlare di una nuova ‘maggioranza Giorgia‘ che sta man mano sostituendo la ‘maggioranza Ursula’.
L'articolo Dalla ‘maggioranza Ursula’ alla ‘maggioranza Giorgia’: tutte le volte che Ppe ed estrema destra si sono alleate in Ue (facendo infuriare la sinistra) proviene da Il Fatto Quotidiano.
Il controverso caso delle plusvalenze per le compravendite di due giocatori del Napoli ha un primo punto fermo giudiziario. Il giudice per l’udienza preliminare di Roma ha rinviato a giudizio il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, per il reato di falso in bilancio in relazione alle annate 2019, 2020 e 2021. Oltre al presidente il giudice ha mandato a giudizio il suo braccio destro, Andrea Chiavelli e la società calcistica. Al centro del procedimento presunte plusvalenze fittizie nella compravendita dalla Roma del difensore Kostas Manolas nell’estate del 2019 e dell’acquisto dell’attaccante Victor Osimhen nel 2020 dalla squadra francese del Lille.
L’inchiesta sulla compravendita dell’attaccante nigeriano è stata spostata nell’agosto 2023 da Napoli alla Procura della Capitale, perché è a Roma che fu approvato il bilancio del Napoli calcio. Osimhen, capocannoniere e trascinatore del Napoli di Spalletti che ha vinto il terzo scudetto, arrivò dal Lille per una cifra complessiva di 71 milioni e 250mila euro. L’acquisto più costoso della storia del club di De Laurentiis. Il Napoli però pagò solamente 50 milioni al Lille, mentre 21 milioni furono valutati i cartellini girati ai francesi del portiere greco Orestis Karnezis e di tre giovani calciatori poi letteralmente spariti dai radar. I loro nomi sono Luigi Liguori, Claudio Manzi e Ciro Palmieri. Proprio sulla valutazione di questi calciatori mai più visti in Serie A si è concentrata gran parte dell’indagine.
Nell’ambito della giustizia sportiva, ad aprile 2022 il tribunale federale aveva prosciolto il Napoli e De Laurentiis. Il procedimento Figc era stato poi riaperto solamente per la Juventus in seguito agli elementi emersi dall’inchiesta Prisma dei pm di Torino. Il nuovo processo sportivo aveva portato ai 10 punti di penalizzazione per il club bianconero nella stagione di Serie A 2022/23. Il procuratore federale della Figc, Giuseppe Chinè, chiederà ora gli atti alla procura di Roma. Precedentemente, in sede sportiva, la procura federale chiese 11 mesi di inibizione per il patron dei partenopei, ma appunto il tribunale federale assolse lui e la società .
L'articolo A processo il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis per falso in bilancio: i casi Manolas e Osimhen proviene da Il Fatto Quotidiano.
Uccise tre donne, gettando la città di Roma nel panico per il sospetto di un serial killer. A quasi tre anni di distanza è stato all’ergastolo Giandavide De Pau, l’uomo accusato del triplice femminicidio di Li Yanrong, Yang Yun Xiu e Marta Lucia Castano Torres avvenuto il 17 novembre del 2022 nel quartiere Prati. È quanto deciso dalla Corte d’Assise di Roma per i delitti delle tre donne uccise a coltellate dall’imputato. Inflitto il fine pena mai con isolamento diurno per tre anni ma senza l’aggravante della crudeltà . I giudici della terza Corte d’Assise di Roma hanno riconosciuto invece le aggravanti dei futili motivi futili motivi e dalla premeditazione.
La procura di Roma aveva chiesto l’ergastolo e tre anni di isolamento diurno. L’imputato in passato era stato l’autista del boss Michele Senese. “Sicuramente impugneremo la sentenza. Non ci convince il profilo della imputabilità e quindi della capacità di intendere di volere così come non ci convincono le aggravanti e in particolar modo la premeditazione†commentano l’avvocato Alessandro De Federicis difensore di De Pau.
L'articolo Escluse le aggravanti per il triplice femminicida di Roma, ma Giandavide De Pau condannato all’ergastolo proviene da Il Fatto Quotidiano.
Un nome nuovo, quello dell’ex presidente del consiglio comunale, e tanti, tantissimi omissis. Sono pieni di omissis i verbali della collaborazione dell’ex sindaco di Sorrento Massimo Coppola, arrestato il 20 maggio per le tangenti intascate grazie al colossale sistema di corruzione messo in piedi intorno agli appalti pubblici, e già rinviato a giudizio – prima udienza il prossimo 20 febbraio – per il solo filone delle mazzette sulla refezione scolastica.
Sono 23 le pagine coperte da segreto nella trascrizione dei quattro interrogatori investigativi depositati al Riesame di altri indagati. Si tratta di più della metà degli atti relativi alle confessioni di Coppola al pm di Torre Annunziata Giuliano Schioppi: ha parlato con lui il 2, 4, 11 e 17 settembre, in una saletta del carcere di Poggioreale. Grazie a quei colloqui l’ex sindaco, consigliere comunale ed assessore dal 2010 al 2019 e poi primo cittadino dall’ottobre 2020, ha conquistato i domiciliari nel Lazio, dove tuttora si trova.
Assistito dagli avvocati Bruno Larosa e Gianni Pane, Coppola ha risposto alle domande, ha ammesso gli addebiti relativi a diversi appalti – Parco Ibsen, poltroncine del Tasso, Eliporto Le Tore, pubblica illuminazione ed altro – fornendo alcuni dettagli, ed ha allargato il perimetro delle indagini. Gli omissis, appunto. Messi per secretare i fatti e le circostanze nuove su cui ora Procura e Guardia di Finanza stanno cercando i riscontri.
Un interrogatorio in particolare è stato quasi interamente secretato. È quello che si è svolto l’11 settembre. È durato sette ore. E dalle maglie degli omissis è sfuggito un nome nuovo, quello dell’ex presidente del consiglio comunale Luigi Di Prisco. Coppola lo associa ad appalti truccati. “Uno degli affidamenti inquinati è quello relativo a iniziative culturali per i Bastioni di Parsano dal 2010-2025, gestiti sempre dallo stesso soggetto, pur se con denominazioni diverse, ma sempre riconducibili a Di Prisco, alla moglie e alla segretariaâ€, afferma l’ex primo cittadino. Si tratterebbe di cifre importanti. “Parliamo di 50.000 euro all’anno di finanziamento per 15 anni. Camuffavano l’affidamento come finanziamento a carattere culturale anche se, in realtà , prevedevano veri e propri servizi, come il servizio di guardianiaâ€. Seguono nove pagine coperte da omissis.
Di Prisco non risulta indagato. Il suo nome non compare nemmeno tra i 47 denunciati nell’informativa finale della Guardia di Finanza di Massa Lubrense, poi scremati dalla Procura oplontina che ne avrebbe indagati ‘solo’ 27. Nelle mille pagine del rapporto, i Bastioni di Parsano sono citati diverse volte perché si ipotizza una corruzione sui lavori di rifacimento della passeggiata, è uno dei 35 appalti e affidamenti manipolati dal ‘Sistema Sorrento’. Non c’è una riga sulle iniziative culturali a cui fa riferimento Coppola. Da fonti aperte, è notorio che almeno una delle associazioni culturali che organizzò eventi sui Bastioni, la Peninsula Felix, era in effetti coordinata da Di Prisco.
Al Fattoquotidiano.it che lo ha contattato per una replica o un commento, Di Prisco dice: “Chi ha visto gli atti delle indagini mi ha riferito che emergeva il mio ruolo di presidio della legalità e che proprio per questo, nonostante facessi parte della maggioranza, ero considerato un “oppositore†da ostracizzare. Inoltre, come ben noto a Coppola, sin dalla mia elezione nel 2015 ho cessato qualsiasi attività incompatibile col mio ruolo politico. Le sue affermazioni sono un disperato tentativo di screditarmi in vista delle prossime elezioni comunali (nel 2026, ndr), dai riscontri del caso potrà esserne verificata l’assoluta falsità ”.
L'articolo Sistema Sorrento, nelle confessioni del sindaco 23 pagine di omissis e un’accusa al presidente del consiglio proviene da Il Fatto Quotidiano.
Ci sono canzoni che andrebbero lasciate in pace. Quello che le donne non dicono è una di queste: una fotografia precisa del 1987, con le sue ambiguità , la sua normalità , le sue frasi sospese. Negli ultimi anni Fiorella Mannoia ne ha modificato il finale nei concerti, ma alle ATP Finals quel “sì†trasformato in “noâ€, poi in “forseâ€, è diventato un gesto pubblico enorme che non è passato inosservato. Il problema non è il verso cambiato. A stridere è l’idea che il passato vada ritoccato per risultare moralmente presentabile al presente. L’hanno già detto e ridetto in tanti ma nei consueti nove punti di questo blog, anch’io voglio dire la mia.
Cominciamo!
1. Il gesto
Alle ATP Finals la Mannoia ha riproposto il finale che già modifica da anni, ma stavolta lo ha fatto davanti a un’arena globale. Quel “sì†diventato “noâ€, poi “forseâ€, non è più un’interpretazione: è un segnale. Il passaggio da scelta artistica a dichiarazione identitaria è netto. Non stai più cantando quella canzone: la stai correggendo per allinearti al clima del momento. Ai miei occhi è appartenenza esibita.
2. Il dettaglio che esplode
Sì, quel finale lo canta così da anni. E potrebbe anche starci, se non restasse comunque uno sbaglio. Cambiare il senso di un brano non è un vezzo da palco: è un intervento sul testo. Alle ATP Finals lo stesso gesto smette di essere dettaglio e diventa caso. Perché interviene Enrico Ruggeri, l’autore, a dire che quella modifica è una forzatura. E quando parla l’autore, la “libertà interpretativa†mostra il suo volto: quello della distorsione.
3. La chirurgia estetica sul passato
Quello che sta accadendo non è un aggiornamento: per me è chirurgia estetica sul passato. Si prende una canzone del 1987 e la si ritocca come fosse un volto da ringiovanire, togliendo le rughe dell’ambiguità , per farla aderire al presente. Una bella fiala di botox culturale (e politico), punturata sulle bocche dei soliti noti. E stavolta l’intervento è toccato a Fiorella.
4. La tentazione di correggere tutto
In un gesto così piccolo vedo la volontà di correggere presunti gap culturali: come se bastasse una parola riscritta per indirizzare la percezione collettiva. È l’idea che la cultura vada guidata, addomesticata, resa spendibile anche politicamente. Ma funziona al contrario: più ritocchi il passato, più riveli la paura del presente. È il presente che ha bisogno di rassicurazioni. Non il 1987.
5. Il ruolo dell’autore
E poi c’è Ruggeri, l’uomo che quel testo l’ha scritto. Dice apertamente che quel cambio è una forzatura, che sposta il senso, che non rispetta l’idea originale. Una canzone non nasce per educare, ma per raccontare; e quel testo raccontava proprio ciò che doveva, con le sue ingenuità e le sue attese. La sua presunta “banalità †è un abbaglio: era costruita così, apposta. E paradossalmente, tutta questa storia serve solo a ricordarlo.
6. Immuni da ogni critica
Molti artisti, un tempo incendiari, oggi si muovono come pompieri. Spengono, moderano, rettificano. Parlano dai loro pulpiti social distribuendo verità prefabbricate su pace, guerra, memoria, diritti. E la produzione artistica? Imbarazzante: canzoni oscene, sagomate sugli stessi contenuti social che dovrebbero giustificarle. E sono sempre loro, gli artisti, a convincersi di stare dalla parte giusta, perfettamente allineati, immuni da ogni critica. Ieri incendiavano. Oggi controllano che il fuoco resti spento.
7. L’illusione della parte giusta
C’è un vizio sottile, ma devastante: la certezza di essere dalla parte giusta. Un’illusione comoda, che trasforma ogni gesto in un atto morale, ogni modifica in un “servizioâ€. Così molti artisti non cantano più: spiegano. Non interpretano: correggono. Tutto per mantenere la posizione, per restare allineati al sentimento dominante. È questa la vera povertà del presente. E so che vorreste sapere i nomi di questi artisti. Ma non ve li dirò: dovreste già saperli.
8. La canzone e il suo tempo
Quello che le donne non dicono è figlia del 1987, di un’Italia sbilenca e contraddittoria. Un’epoca che non aveva paura di mostrarsi per quella che era, senza filtri morali applicati dopo. Quel testo funziona perché porta con sé ingenuità , stonature, normalità . Racconta un tempo, non lo giustifica. Toccarlo oggi a mio avviso significa una sola cosa: moralizzarlo. Il passato va compreso, non rifatto.
9. Il presente che si racconta da solo
Alla fine non c’entra più nemmeno Fiorella, né quel “no†infilato in un verso del 1987. Qui parla il presente: un presente che non sa fare i conti con sé stesso e allora tenta di piegare ciò che è stato, per farlo combaciare con quello che siamo diventati. Quel “no†non cambia la canzone: cambia noi, la nostra mania di sentirci “giustiâ€. Il passato resta dov’è, solido. È il presente a traballare. E la cosa più ridicola è questa: non è il 1987 ad avere bisogno di un ritocco.
Siamo noi.
Come sempre, chiudo con una connessione musicale: una playlist dedicata, disponibile gratuitamente sul mio canale Spotify (link qui sotto). Se vuoi dire la tua, fallo nei commenti — o, meglio ancora, sulla mia pagina Facebook pubblica, dove questo blog vive davvero. Lì il dibattito continua, si contorce, deraglia…e a volte sorprende.
E sì: se ne leggono di tutti i colori.
Ti aspetto.
9 canzoni 9… senza ritocchi
L'articolo Su ‘Quello che le donne non dicono’ do ragione a Ruggeri: quel ‘no’ finale è come una fiala di botox proviene da Il Fatto Quotidiano.
Mentre aumentano i focolai al Nord con aziende sequestrate e abbattimenti eseguiti, contro lo spettro dell’influenza aviaria (negli Usa si è registrato un contagio umano), dalla ricerca italiana arriva un sistema sentinella per riconoscere i virus più a rischio di spillover. Si chiama FluWarning ed è stato messo a punto da un team del Politecnico di Milano e dell’università degli Studi del capoluogo lombardo. Si tratta di un sistema digitale – spiegano da PoliMi e Statale – che analizza il codice genetico dei virus influenzali cercando cambiamenti sottili, ma significativi, che potrebbero indicare il passaggio da una specie animale all’altra: per esempio dagli uccelli al bestiame o all’uomo.
FluWarning è al centro di uno studio pubblicato di recente su Science Advances, sviluppato nel contesto del Prin Pnrr 2022 – progetto Sensible, coordinato da Anna Bernasconi. Del gruppo di ricerca fanno parte tre scienziati del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria (Deib) del Politecnico di Milano, ossia Bernasconi, il docente Stefano Ceri e il ricercatore Tommaso Alfonsi, e per UniMi Matteo Chiara, docente del Dipartimento di Bioscienze. Per lo studio sono stati utilizzati i dati della piattaforma Gisaid su cui vengono condivise sequenze virali e relativi metadati prodotti dai laboratori di tutto il mondo. In particolare – si legge in una nota – FluWarning è stato messo a punto usando i dati della pandemia di influenza ‘suina’ H1N1 del 2009, esempio ampiamente documentato di virus passato dagli animali agli esseri umani, ed è stato poi applicato anche all’influenza aviaria H5N1, un ceppo altamente patogeno diffuso tra gli uccelli e che nell’ultimo anno negli Stati Uniti ha cominciato a diffondersi anche nel bestiame.
Il sistema utilizza un metodo statistico per riconoscere nel genoma virale eventuali spie del rischio spillover, e a seconda delle impostazioni può essere usato per riconoscere sequenze anomale singole o in gruppi. FluWarning le stana ed emette un alert, quindi per ciascuna allerta i virologi analizzano le sequenze corrispondenti e confermano o smentiscono la presenza di un salto di specie. “Grazie alla sua semplice installazione e alla creazione di analisi che possono essere effettuate su specifiche località e periodi temporali – afferma Bernasconi – il software FluWarning ha il potenziale per essere utilizzato da molti laboratori o istituzioni di sorveglianza genomica a livello regionale, permettendo scoperte significative sia su piccola che su grande scala. Il sistema, infatti, è perfettamente operativo: può dare riscontro giorno per giorno di questi cambiamenti”.
Nel biennio 2024-2025 – ricordano PoliMi e Statale – due genotipi di H5N1 sono stati collegati a focolai indipendenti negli Usa, dove numerosi capi di bovini da latte sono risultati contagiati dall’influenza aviaria. Ebbene, “FluWarning – riferisce Chiara – ha individuato cluster di attività virale in diversi Stati americani e in particolare in California, dove è stato dichiarato lo stato di emergenza il 18 dicembre 2024 per il rischio di contaminazione da aviaria nel bestiame. Sorprendentemente, alcune allerte FluWarning sono apparse prima della pubblicazione dei rapporti ufficiali. Il sistema ha inoltre rilevato mutazioni specifiche nel gene dell’emoagglutinina (Ha), una proteina chiave che influisce sul modo in cui il virus infetta le cellule ospiti”. Lo strumento è riuscito a monitorare l’evoluzione del virus e a identificare marcatori caratteristici dei ceppi californiani. “FluWarning – conclude Ceri – rappresenta un importante passo avanti verso una rilevazione più efficace dei cambiamenti virali che potrebbero rappresentare rischi per animali o esseri umani. Rendendo questa tecnologia ampiamente accessibile, auspichiamo di contribuire a rafforzare la sorveglianza a livello globale su un tema sanitario di impatto collettivo”.
L'articolo FluWarning, il sistema sentinella per riconoscere i virus a rischio spillover proviene da Il Fatto Quotidiano.
Lewis Hamilton risponde a tono al presidente della Ferrari John Elkann, che circa due settimane fa aveva chiesto ai piloti di “parlare meno e concentrarsi di più sulla guida”. “Se ha ragione? Non proprio, perché mi sveglio pensandoci. Vado a dormire pensandoci, e ci penso mentre dormo. Se non altro, devo concentrarmi sul riuscire a staccare di più”, ha spiegato il pilota britannico alla Bbc.
Un attacco quello di John Elkann a Leclerc e Hamilton, che certo si sono più volte lamentati per le prestazioni della Rossa, ma hanno provato a fare il massimo. Per l’inglese è stato un primo anno complesso e deludente. Mentre il monegasco ha quasi sempre sfruttato le poche chance a disposizione per ottenere risultati. “Io e John ci sentiamo quasi ogni settimana. Abbiamo un ottimo rapporto. Non ho avuto reazioni, non mi interessano queste cose”, ha dichiarato poi Hamilton.
Il britannico, che fin qui non è riuscito a salire sul podio nelle sue 21 gare con la Ferrari, ha descritto la sua prima stagione dopo la gara di Interlagos come un “incubo”. A parte la vittoria nella sprint nella seconda gara in Cina, il passaggio di Hamilton dalla Mercedes alla Ferrari non è stato all’altezza delle aspettative. È a 66 punti di distanza da Leclerc, con la Ferrari che è scivolata al quarto posto nel campionato costruttori. L’ultimo titolo costruttori risale ormai a 17 anni fa.
“È stato un anno davvero pesante e il più impegnativo che abbia mai avuto. Stiamo tutti scalando una montagna, poi arrivi al fine settimana e torni indietro di 10 passi, devi risalire e riprovare. Sono entrato in questa squadra sapendo benissimo che ci vuole tempo per cambiare direzione. Certo, non è quello che nessuno di noi avrebbe voluto, visti i problemi e i risultati che abbiamo avuto, ma continuiamo a spingere. Il nostro obiettivo è arrivare in testa”.
L'articolo “Ci penso anche mentre dormo. Anzi, dovrei staccare di più”: Hamilton risponde a John Elkann dopo le accuse proviene da Il Fatto Quotidiano.
L’ex snowboarder olimpico Ryan James Wedding è stato inserito a marzo dall’Fbi nella lista dei dieci latitanti più ricercati al mondo. Wedding è stato accusato di aver ordinato l’omicidio di un testimone, secondo quanto ha dichiarato il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) che avrebbe dovuto testimoniare contro di lui in un caso di droga negli Stati Uniti. Il testimone è stato ucciso a gennaio con cinque colpi di pistola alla testa in Colombia.
Anche l’avvocato di Wedding, Deepak Balwant Paradkar – canadese come lui – è stato arrestato con l’accusa di aver consigliato all’ex atleta olimpico di uccidere la vittima per evitare l’estradizione negli Stati Uniti. Se condannati, l’ex snowboarder 44enne e gli altri imputati in relazione all’omicidio rischiano adesso l’ergastolo. Wedding è inoltre accusato di una congiura per lo spaccio di sostanze stupefacenti e omicidio in relazione a un’attività criminale in corso. Alcuni funzionari statunitensi hanno paragonato Wedding al narcotrafficante messicano JoaquÃn “El Chapo” Guzmán e al colombiano Pablo Escobar.
“Ryan Wedding controlla una delle organizzazioni di narcotraffico più prolifiche e violente al mondo”, ha dichiarato il Procuratore Generale degli Stati Uniti Pam Bondi, aggiungendo che l’ex atleta “è il più grande spacciatore di cocaina in Canada“. Mercoledì l’Fbi ha dichiarato che la ricompensa per informazioni che portino all’arresto e alla condanna di Wedding sarà aumentata fino a 15 milioni di dollari. L’ex snowboarder ha gareggiato nello slalom gigante parallelo maschile alle Olimpiadi invernali del 2002 a Salt Lake City, classificandosi ventiquattresimo. Funzionari statunitensi hanno affermato che si ritiene che Wedding si trovi in Messico.
L'articolo “Come El Chapo e Pablo Escobar, comanda un’organizzazione violentissima”: l’ex snowboarder olimpico tra i latitanti più ricercati al mondo proviene da Il Fatto Quotidiano.
di Francesco Vietti*
Punto n. 29: Le parti in conflitto si impegnano a fare dei territori contesi nel Donbass una “zona culturale nonviolenta†per sperimentare pratiche quotidiane di giustizia riparativa, riconciliazione e convivenza tra i residenti.
Al momento del piano in 28 punti che Stati Uniti e Russia starebbero discutendo in segreto per porre fine alla guerra in Ucraina sappiamo poco o nulla. Forse un piano neppure esiste. In ogni caso, sappiamo per certo che non include un punto 29 come quello che avete appena letto qui sopra. E nessun altro piano di pace immaginato in questi anni prevede nulla di simile. Perché? Rispondere è facile: perché convivenza e riconciliazione sono l’incubo di ogni nazionalismo che sogni di purificare con le armi e la violenza territori e comunità che sono invece il frutto di secoli di incontri, mescolanze e scambi culturali.
Le zone di frontiera sono così. Per questo inquietano e infastidiscono tanto i centri dove si concentra il potere politico e si propaga l’idea della purezza e dell’omogeneità linguistica e culturale. Le capitali temono costantemente che la gente che vive sulla frontiera finisca per essere solidale con cui abita al di là del confine e si mostri sleale nei confronti della nazione, fino a tradirla.
L’ampia regione a nord del Mar Nero, che va dal Donbass sino alla Moldavia è sempre stata una regione multilingue e multiculturale. Un tempo, la Bessarabia faceva da frontiera tra l’Impero ottomano, quello austro-ungarico e quello russo. Romeni, ucraini, russi, gagauzi, rom, ebrei, tatari vivono da secoli insieme in queste terre, gli uni accanto agli altri. Le persone parlano due, tre lingue nella loro vita quotidiana e ciascuno ha famiglie e parentele miste.
Questa è la realtà che gli etnonazionalisti trovano insopportabile, l’immonda mescolanza che la guerra vuole cancellare una volta per tutte. Per questo si radono al suolo città e villaggi, per questo si fa terra bruciata di campi e foreste, per questo si fanno saltare le dighe per sommergere le terre sotto le acque, come in un moderno Diluvio. Per questo non si esiterebbe neppure a innescare un incidente nucleare. Fare piazza pulita, eliminare ogni memoria della passata convivenza, ricominciare da zero, con una nuova purezza. Che sia Russia. Che sia Ucraina. E null’altro, dicono a Mosca e a Kiev. Ma la verità è che quelle che sono state in passato sia Russia che Ucraina, oggi non sono più né Russia, né Ucraina. Non sono più nulla. La gente che vi abitava è morta o se n’è andata. Non tornerà . Forse sarà sostituita, da qualcuno che verrà dai centri, dalle capitali, a rendere omogeneo, a giurare lealtà .
Eppure, potrebbe essere diversamente. Perché oltre all’imperativo dell’identità assoluta e della totale differenza si può immaginare una terza via: quella del diritto ad essere simili. Non perfettamente uguali, e neppure così diversi. Per convivere occorre innanzitutto sviluppare una politica della somiglianza: accettare che il mondo in cui viviamo non ci rispecchi perfettamente, affinché anche gli altri possano sentirsi un po’ a casa.
E allora, che quelle zone del Donbass che non sono state ancora rase al suolo, che quelle ultime città in cui non si attende altro che l’assedio finale, che quei campi e quei villaggi in cui si scavano trincee per resistere all’ultimo assalto, diventino invece “zona speciale di convivenzaâ€.
La pace è molto di più della firma di un accordo tra Stati. Va preparata e costruita dal basso, va perseguita con costanza e pazienza, a lungo, per evitare che una tregua non sia altro che la premessa di nuovi conflitti. Per spezzare il ciclo della guerra occorre curare i traumi di chi ha subito violenza e sopraffazione, occorre chiedere e dare perdono, occorre riorientare il proprio pensiero al futuro, trovando nel bene delle future generazioni la ragione del proprio operare. Perché nessuno può davvero sognare che l’unico futuro per i propri figli sia vivere in un “porcospino d’acciaioâ€.
Ai pacifisti, agli attivisti nonviolenti trattati invariabilmente come ingenui utopisti, viene sempre chiesto con un certo sarcasmo di trovare soluzioni impossibili dopo che il danno è stato fatto, ossia dopo che il bellicismo dilagante ha innescato guerre e fatto divampare conflitti che nessuno sa più come fermare. Chissà cosa accadrebbe se per una volta le montagne di denaro che si spendono per le politiche di riarmo si investissero per finanziare pratiche di pace, riconciliazione e convivenza prima che sia troppo tardi?
*antropologo
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È uscito di strada e con l’auto è finito in un canale. Quando sembrava che l’incidente si potesse trasformare in tragedia, ecco l’intervento insperato di due – è il caso di dirlo – eroi. L’imprenditore padovano Giuseppe Salvalajo è stato salvato dalle acque del canale Battaglia, dove stava annegando, intrappolato nella sua vettura. Per cause ancora da chiarire l’anziano impresario, fondatore dell’omonima azienda che opera nel settore dei recuperi architettonici di pregio, ha perso il controllo della macchina ed è rimasto sotto choc all’interno dell’abitacolo. Come si vede nel video, due uomini si sono tuffati e lo hanno messo in salvo. “Mi sono buttato subito in acqua e in un attimo con l’aiuto di un altro passante siamo riusciti a tirare fuori il signor Giuseppe, che conosco da tempo”, ha spiegato spiega Elton Zefi, 32 anni compiuti proprio oggi.
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La parola chiave è “capitolazione“. L’ha utilizzata il ministro degli Esteri Jean-Noël Barrot arrivando questa mattina al consiglio affari esteri Ue a Bruxelles. E’ la definizione che usa anche l’Institute for the Study of War nella sua analisi quotidiana della guerra in Ucraina. L’argomento al quale entrambi si riferiscono è il piano in 28 punti proposto da Washington per raggiungere il cessate il fuoco. Un testo ufficiale ancora non c’è, ma alcuni dei suoi contenuti sono stati riportati da diversi media: in cambio di una garanzia di sicurezza da parte degli Stati Uniti tra le altre cose Kiev dovrebbe cedere a Mosca tutto il Donbass e la Crimea e dimezzare il proprio esercito.
L’Isw, think tank basato a Washington, ha pubblicato un report in cui sostiene che accettare le condizioni rese note nelle scorse ore dai quotidiani occidentali per Kiev “equivarrebbe alla piena capitolazione e porrebbe le condizioni per una nuova aggressione russa” perché “priverebbe l’Ucraina di posizioni difensive critiche (…) apparentemente in cambio di nulla“. In particolare “cedere il resto dell’oblast di Donetsk (…) favorirebbe in modo sproporzionato la Russia” perché il territorio “contiene aree vitali per l’Ucraina, tra cui la Fortress Belt“, la principale linea difensiva fortificata nel Donbass, creata dopo l’invasione delle truppe irregolari del 2014 e composta dalle città di Sloviansk, Kramatorsk e Kostiantynivka, “centri vitali di difesa, industriali e logistici per le forze ucraine”. Il ritiro creerebbe anche le condizioni per l’avanzata delle truppe di Mosca nell’oblast di Kharkiv e offrirebbe loro “l’opportunità di riposarsi e ricostituirsi per future offensive contro le città di Kherson o Zaporizhzhia“.
La firma da parte di Kiev sarebbe una sconfitta anche sotto il profilo politico perché il piano, sottolinea il think tank, “contiene le stesse richieste avanzate da Mosca a Istanbul nel 2022, quando le circostanze sul campo di battaglia sembravano favorirla maggiormente”. Accettarle ora dopo che le forze ucraine hanno dimostrato di essere in grado di contenere significativamente l’avanzata del nemico sarebbe un regalo a Mosca e la dimostrazione che questi quattro anni di guerra sono stati dispendiosi in termini di risorse economiche e vite umane quanto inutili, è il messaggio del centro studi che ha rapporti con il Dipartimento della Difesa (il quale utilizza i suoi rapporti anche in sedi ufficiali), legami di consulenza con decision-maker militari e rappresenta quindi anche le istanze di quel mondo. Un mondo che con questo report sembra mettere sul chi va là l’amministrazione Trump, intenzionata a ridurre il proprio impegno sul fronte orientale dell’Europa, circa il rischio di concedere troppi vantaggi a Mosca.
L’idea è condivisa da alcuni tra i più importanti paesi europei. “La pace non può essere una capitolazione“, ha detto il capo della diplomazia francese Barrot prima partecipare questa mattina alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea, commentando le indiscrezioni sul piano. Il cui modus operandi pare avere una logica simile a quello imposto da Stati Uniti a Gaza: come l’accordo firmato da Washington con Israele e Qatar in rappresentanza di Hamas ha escluso la partecipazione dei palestinesi e di una loro rappresentanza politica, così l’intesa di cui si discute in queste ore per l’Ucraina pare avere come protagonisti gli Usa e la Russia e tagliare fuori l’Europa e Kiev, alla quale l’amministrazione Trump ha già imposto in cambio di ulteriore sostegno militare un accordo di stampo colonialista sulle cosiddette “terre rare” che consegna agli americani chiavi in mano lo sfruttamento del ricchissimo sottosuolo del paese.
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I jet da combattimento F-35 venduti ai sauditi. Ma non subito. L’annuncio fatto dal presidente Trump in occasione della visita del principe ereditario bin Salman avrà i suoi effetti commerciali; ma dal punto di vista tecnico e militare, ci vorranno le modifiche necessarie ai caccia prima di consegnarli a Ryad.
In altre parole, l’Arabia Saudita rispetto al potenziale della macchina da guerra dovrebbe rimanere inferiore agli Stati Uniti e, soprattutto a Israele secondo quello che si chiama “vantaggio militare qualitativoâ€. La precisazione è arrivata dai funzionari americani in base ai timori dello Stato ebraico; Tel Aviv vuole sì normalizzare i rapporti con i vicini arabi attraverso gli accordi di Abramo, ma non vuole ritrovarsi in inferiorità tecnologica e militare, visto che quella numerica apparirebbe scontata dinanzi a una coalizione ostile.
Dal punto di vista legale, una legge assicura agli Stati Uniti di mantenere i jet più sofisticati rispetto a quelli venduti ai vari acquirenti, ma Israele ha permessi speciali per aggiornare gli armamenti e i radar dei caccia, senza dover chiedere permesso a Washington. Nonostante ciò, quando il presidente Trump ha annunciato la vendita degli F-35 a Ryad, da Israele si sono levati mugugni legati al timore di perdere la superiorità aerea nella regione. Ma gli americani hanno dato rassicurazioni: come riporta Reuters, Douglas Birkey, direttore esecutivo del Mitchell Institute for Aerospace Studies ha escluso che gli aerei in vendita ai sauditi potranno avere il missile tattico Aim-60 JATM, arma aria-aria dedicata ai jet di quinta generazione con una gittata di 190 chilometri.
Ci sono poi i sistemi-radar, per cui gli F-35 dedicati a Ryad monterebbero dei software meno aggiornati. Infine, c’è lo scoglio del Congresso, che deve approvare questa transazione con il Paese arabo. Appare improbabile che le due Camere possano raggiungere una maggioranza di due terzi per superare il decreto presidenziale, ma tutto può accadere. Dunque, Ryad avrà i suoi F-35, ma ci vorrà tempo: al principe bin Salman sono stati promessi due squadroni – dai 12 ai 24 jet – ma Israele ne ha già due operativi ed è pronta ad ottenerne un terzo. Inoltre, l’aviazione israeliana utilizza gli F-35 da otto anni, ed ha un vantaggio in termine di esperienza.
Tuttavia, Tel Aviv è preoccupata e non lo nasconde. La portavoce del governo israeliano, Shosh Bedrosian ha ribadito: “Stati Uniti ed Israele hanno un’intesa di lunga data, secondo cui Israele mantiene il vantaggio qualitativo in termini di difesaâ€. C’è poi un altro aspetto da non trascurare, ed è l’ombra della Cina. Durante il primo mandato, Trump aveva intenzione di vendere gli F-35 agli Emirati, e quest’ultimi divennero il primo Stato arabo a normalizzare in 26 anni i rapporti con Israele. Ma la vendita con il presidente Joe Biden si arenò a causa dei rapporti sempre più stretti dal punto di vista militare tra Emirati e Cina, perchè Washington temeva che i segreti del suo caccia potessero essere esplorati dal Dragone. Dal canto suo, Abu Dhabi rifiutò le restrizioni operative che voleva imporre la Casa Bianca. Anni dopo, Trump ci riprova, stavolta con l’Arabia Saudita: gli affari sono affari. A Gerusalemme, non sono pochi i malumori verso il premier Netanyahu. La Cnn ha citato l’ex generale Gadi Eisenkot, molto stimato nel suo Paese sia dal punto di vista politico – ha fatto parte dell’opposizione al governo di King Bibi – che sul piano militare. Eisenkot ha criticato l’accordo prendendosela con il primo ministro: “Netanyahu ha perso la capacità di difendere gli interessi nazionali di Israeleâ€.
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Immaginate partecipare al regalo di qualcuno che non vi ha invitato alla sua festa. Non è proprio il massimo, ma spesso si fa senza tirarsi indietro. Questa storia però è ancora più controversa. Una ragazza si è sfogata con un post su Reddit dove ha spiegato di essere stata coinvolta nell’organizzazione di un “bridal shower”, pur non risultando — almeno finora — tra gli invitati al matrimonio della stessa amica. L’utente ha raccontato nel forum “Wedding†che la sposa “è fuori dal paese†e che sta preparando una festa di matrimonio per Capodanno destinata a familiari e amici. La donna ha precisato di aver partecipato mesi prima a una serata tra amiche e di aver portato un regalo.
Successivamente, la damigella d’onore avrebbe chiesto all’utente di aiutare con la pianificazione dell’addio al nubilato e ospitarlo nella sua abitazione, sostenendo che lei ha “abbastanza spazio”. La donna ha spiegato che le è balzato in mente che l’evento di Capodanno si avvicina e lei non ha ancora ricevuto un invito. “Questa situazione è tosta – ha scritto, chiedendosi – Dovrei dirle qualcosa?†Ha aggiunto che ora intende dire “no†all’organizzazione del bridal shower, dato che non sembra essere stata invitata alla celebrazione principale.
Nei commenti, molti utenti hanno definito la situazione “stranaâ€, ma hanno suggerito di chiarire prima di prendere decisioni definitive. Un commentatore ha scritto: “Normalmente è scortese chiedere se ti hanno invitato da qualche parte, ma in questo caso sarebbe giustificato indagare”. Secondo lo stesso utente, a questo punto “l’invito potrebbe essere stato destinato alla email sbagliata, oppure è finito in spam, oppure semplicemente non sei stata invitata”.
Un altro ha consigliato di verificare direttamente: “Dovresti fare un doppio check con la sposa sul tuo invito – e ha aggiunto – ospitare una festa è un grosso impegno e tu devi decidere per tempo se vuoi portare avanti la cosa oppure no. E se non sei stata invitata, ti consiglierei di non ospitarla”.
Altri hanno suggerito di rifiutare immediatamente: “A volte basta un semplice No, e nient’altro”. Un utente ha commentato: “Strano che siano così a proprio agio da chiederti un favore simile, il tuo istinto fa bene a trovare tutto questo sospetto”. Un altro ha concluso: “Tu potresti anche avere lo spazio, ma a quanto pare loro non hanno trovato abbastanza spazio per te nella lista degli inviti“.
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Il giornalismo e lo sport italiani dicono addio a Domenico Morace. Nato a Reggio Calabria il primo febbraio 1943, aveva 82 anni. È morto in una casa di cura a Cinquefrondi, dove era stato ricoverato da due giorni dopo una lunga degenza nel reparto rianimazione del Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria. È uno dei più noti giornalisti sportivi italiani, è stato direttore del Corriere dello Sport – Stadio.
La sua carriera nel giornalismo comincia con alcune collaborazioni al quotidiano Il Mattino di Napoli, poi come corrispondente locale del Corriere dello Sport da Reggio Calabria per poi passare alla sede centrale a Roma. Giornalista professionista iscritto all’Ordine della Calabria dal primo gennaio 1966, la sua carriera nel quotidiano sportivo della Capitale lo portò fino alla direzione, tra l’11 ottobre 1986 e il 28 febbraio 1991. Successivamente, tra il 1994 e il 1996, Morace è stato anche direttore del settimanale Guerin Sportivo e poi nel 1998 del Domani della Calabria. Su proposta dell’allora segretario del Sindacato giornalisti della Calabria, Carlo Parisi, era stato nominato per acclamazione presidente onorario dell’Ussi Calabria.
“Profondo cordoglio” viene espresso dal sindacato dei giornalisti Figec che, è scritto in una nota, “si stringe attorno alla famiglia tutta con un commosso abbraccio ai figli Daniele e Luciano, colleghi giornalisti, alla figlia Laura che, fino all’ultimo l’ha assistito assieme alla mamma Patrizia, al fratello Aldo Maria”. Il segretario generale del sindacato Carlo Parisi ricorda Mimmo Morace come “una stella di primaria grandezza nel firmamento del giornalismo sportivo, ma soprattutto un gran signore d’altri tempi che disarmava tutti con il suo garbo, la sua gentilezza, il suo rispetto nei confronti di tutti”.
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Mancano ormai poche settimane all’incidente probatorio che il prossimo 18 dicembre chiarirà i punti chiave dell’indagine della Procura di Pavia a carico di Andrea Sempio, attualmente indagato per l’omicidio di Chiara Poggi. Ma accanto agli accertamenti scientifici che, oltre alla famigerata impronta 33 sul muro che conduce alla taverna della villetta di via Pascoli, riguardano le tracce di dna trovate sul margine ungueale della vittima e le risultanze della bpa dei Ris di Cagliari, è utile ricordare che le investigazioni tradizionali vanno di pari passo a quelle genetiche e dattiloscopiche nell’ambito di un quadro accusatorio che, a conclusione delle indagini, condurranno o meno ad un rinvio a giudizio dell’indagato.
A questo proposito risulta particolarmente interessante l’intervista che ieri sera Andrea Sempio ha concesso a Bruno Vespa e i punti cruciali del giallo che dallo scorso mese di marzo sta tenendo l’opinione pubblica con il fiato sospeso. Il giovane al centro della nuova indagine sull’assassinio della povera Chiara si è dimostrato abbastanza tranquillo, probabilmente forte del fatto che la sostituzione dell’avvocato Massimo Lovati, suo ex difensore, con il nuovo collegio formato dai suoi attuali legali e dai consulenti, stia attuando una strategia più lineare e ortodossa rispetto alle esternazioni a cui ci aveva abituati Lovati con le sue dichiarazioni, cariche di suggestioni e allegorie, e le parole rilasciate a Fabrizio Corona che tanto scalpore avevano destato.
Durante l’intervista Sempio ha lamentato una situazione difficile e problematica dovuta al fatto che la sua abitazione sia sempre circondata da orde di giornalisti pronti ad assalirlo ogniqualvolta lui esca o torni a casa e ha altresì confessato di vivere una vera e propria paranoia causata dall’eccessiva cautela che è costretto ad adottare quando cammina nel centro di Pavia e si sente tutti gli sguardi addosso o quando parla con i propri genitori e, temendo di essere intercettato, ritiene che ogni frase o parola possa eventualmente essere fraintesa dagli inquirenti. Se dal punto di vista umano uno sfogo di questo tipo è assolutamente comprensibile, occorre sottolineare che qualsiasi cittadino sia finito al centro di un’indagine per omicidio, innocente o colpevole che sia, si è trovato a dover fare i conti con le conseguenze che tali indagini comportano anche dal punto di vista dell’impatto che il diritto e dovere di cronaca ha sull’opinione pubblica.
A questo proposito non si possono dimenticare i nomignoli che, all’indomani della scoperta del corpo di Chiara, venivano affibbiati ad Alberto Stasi definito anche da certa stampa “il biondino dagli occhi di ghiaccio†a voler indicare la sua freddezza e la sua probabile colpevolezza quando ancora non era stata emessa alcuna sentenza. Ma al di là del destino che ogni indagato è costretto a vivere anche prima di un effettivo rinvio a giudizio, alcune domande poste da Bruno Vespa ad Andrea Sempio lasciano aperta la strada a dubbi che rimangono ancora senza risposta, come lo scontrino del parcheggio di Vigevano conservato per un anno come se fosse una reliquia e in particolare le tre telefonate che l’indagato ha fatto verso l’utenza fissa di casa Poggi tra il 7 e l’8 agosto del 2007, ovvero qualche giorno prima dell’omicidio.
Sempio ha dichiarato di aver fatto la prima telefonata a casa Poggi per errore perché sul proprio cellulare aveva memorizzato sia il numero dell’utenza mobile di Marco Poggi, suo amico e fratello della vittima, sia l’utenza fissa. Aggiunge poi di aver fatto la seconda telefonata per chiedere se Marco fosse in casa e di aver ricevuto risposta negativa da Chiara, che gli disse che Marco era in Trentino. Ma allora perché fare una terza telefonata a casa Poggi? Davvero per chiedere alla ragazza quando suo fratello sarebbe rientrato dalle vacanze? Davvero Sempio ignorava che il suo migliore amico con il quale si era visto solo la sera prima fosse partito per il Trentino insieme ai genitori?
Sempio sostiene di aver chiamato casa Poggi la seconda volta perché, nonostante avesse cercato più volte di contattarlo, il cellulare di Marco Poggi non prendeva la linea. Ma perché queste chiamate non risultano dai tabulati nonostante all’epoca esistesse il servizio del gestore telefonico che avvertiva il ricevente di essere stato cercato quando il dispositivo era spento o non c’era campo? Tutti interrogativi ai quali tutt’oggi non c’è una risposta convincente, tutti elementi di cui senz’altro la Procura di Pavia deve aver tenuto conto quando ben sei magistrati hanno deciso di intraprendere la nuova indagine su chi siano stati gli autori o l’autore di quel terribile delitto che 18 anni fa è costato la vita ad una ragazza di 26 anni.
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Momento nostalgia per Victoria Beckham. L’ex Spice Girl ha pubblicato sui suoi canali un video che la ritrae nell’intimità di casa mentre canta “Viva Forever” accompagnata alla chitarra dal figlio ventenne Cruz.
L’ex Posh Spice è in tuta e struccata, totalmente assorta nella canzone, successo del 1998 estratto dal disco Spiceworld. Come prevedibile il video ha scatenato gli utenti, soprattutto fan nostalgici del gruppo. Addirittura c’è chi chiede una versione in studio della performance.
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