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News da giannibarbacetto.it

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#Gianni #Barbacetto

Urbanistica

Grattacielopoli. C’è un altro giudice a Milano, sequestrate altre tre torri

È il terzo giudice che conferma le ipotesi d’accusa della Procura di Milano sulle irregolarità urbanistiche del “Rito Ambrosianoâ€: il gip Lidia Castellucci ha disposto il sequestro di un cantiere in via Cancano, affacciato sul Parco delle Cave. In quell’area un tempo c’era un edificio industriale di un piano, della Peroni Pompe. La società Lakes Park e poi la Nexity, dopo averlo completamente abbattuto, ci stavano costruendo le Residenze Lac, tre torri residenziali di nove, dieci e tredici piani, fino a un’altezza di 43 metri, destinate a 77 appartamenti che potrebbero ospitare oltre 200 persone.

L’inchiesta, nata da un esposto di alcuni cittadini milanesi, ha verificato che, come d’uso nel “Rito Ambrosianoâ€, le leggi urbanistiche sono state aggirate e contraddette. Le nuove costruzioni sono state infatti fatte passare come “ristrutturazione†e approvate dagli uffici del Comune in seguito a una autocertificazione, una semplice Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), mentre la legge impone l’approvazione di un piano attuativo, che calcoli l’impatto urbanistico, l’arrivo di nuovi abitanti e i relativi servizi da realizzare.

“La ristrutturazioneâ€, scrive il gip, “per definizione, non puoÌ€ mai prescindere dalla finalitaÌ€ di recupero del singolo immobile e non puoÌ€ prescindere dal conservarne tracciaâ€. L’assenza di piano attuativo “ha vanificato la potestaÌ€ pubblica di programmazione territoriale†e ha avuto l’effetto di “prestarsi all’elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzioneâ€.

La giudice delle indagini preliminari ha dunque riconosciuto l’ipotesi di lottizzazione abusiva e abuso edilizio segnalata dai pm (Marina Petruzzella, Mauro Clerici e Nicola Filippini, coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano) e ha disposto il sequestro del cantiere. Il secondo, dopo quello di via Lepontina, in zona Isola.

La giudice sottolinea che si tratta di un intervento dal forte impatto urbano, realizzato di fronte al Parco delle Cave, in un’area che il Piano del governo del territorio approvato dal Comune riconosce di “interesse ecologico e preordinata alla realizzazione di interventi naturalistici a tutela degli elementi rilevanti del paesaggio e dell’ambiente, noncheÌ alla riqualificazione di elementi fitologici e di spazi aperti permeabiliâ€. Invece è avvenuto “lo stravolgimento dei luoghi determinato dall’innalzamento, davanti al Parco delle Cave, di una muraglia verticale alta fino a 43 metriâ€.

Come negli altri cantieri sotto inchiesta, sono contestati i favori economici concessi dal Comune agli operatori: con “l’uso illegittimo della monetizzazione degli standard†e “il calcolo inappropriato del contributo di costruzioneâ€, hanno pagato la metà del dovuto, “risparmiando†619 mila euro, a cui si aggiungono indebiti vantaggi fiscali.

Non solo: in questo caso (come in quello del Bosconavigli già sotto inchiesta e di altre centinaia di casi a Milano) l’edificazione era stata autorizzata con una semplice “convenzione urbanistica†stipulata da un dirigente del Comune e firmata davanti a un notaio, aggirando cosiÌ€ la corretta procedura “volta a garantire la partecipazione di terzi interessatiâ€, che prevede invece l’approvazione del Consiglio o dalla Giunta comunale.

Indagati il costruttore, i progettisti, i dirigenti e funzionari del Comune che hanno permesso una procedura che la giudice considera fuori legge. Anche in questo caso è rilevante il ruolo della Commissione Paesaggio, composta da architetti scelti dal sindaco, che boccia per tre volte la richiesta di permesso di costruire, ma poi alla quarta seduta lo concede.

Entrano allora in scena i dirigenti del Comune Giovanni Oggioni, Andrea Viaroli, Riccardo Rinaldi e Alessandra Ottoni, che concedono i permessi. Con Simona Collarini che nel “verbale di riunione staff†del 29 marzo 2022 trovato dalla pm Marina Petruzzella ammette: “Dobbiamo cercare di non ripetere situazioni come via Cancano, dove la struttura commerciale ‘ha divorato’ gran parte della superficie fondiaria, obbligando a una soluzione progettuale delle residenze molto impattante (peraltro fronte Parco Cave)â€.

Commenta il gip: “Queste parole restituiscono appieno la rilevanza dell’intervento edilizio, tanto che, a dire della stessa direttrice, le modalitaÌ€ seguite per via Cancano non avrebbero dovuto ripetersi in futuro (parole peraltro pronunciate quando la pratica era ancora in corso)â€.

La giudice nel suo decreto, devastante per l’amministrazione milanese, confuta, leggi alla mano, molti degli argomenti con cui l’assessore e i costruttori hanno tentato di giustificare le consuetudini del “Rito Ambrosianoâ€.

Tra i progettisti sotto indagine, c’è anche (come nell’inchiesta sul cantiere di piazza Aspromonte) Paolo Mazzoleni, che in passato è stato presidente dell’Ordine degli architetti di Milano e membro della Commissione Paesaggio e ora è assessore all’Urbanistica (Pd) a Torino.

Data articolo: Sat, 20 Jul 2024 17:10:59 +0000

Urbanistica

La Cedu, Maria e il signor K. Ecco perché un Comune non può far causa a un cittadino

Una delibera di giunta del 6 giugno 2024, proposta dal sindaco di Milano e approvata da tutti gli assessori presenti, ha dato mandato all’avvocatura comunale di trascinare il giornalista Gianni Barbacetto davanti al Tribunale civile di Milano, chiedendogli 50 mila euro di danni per aver diffamato l’amministrazione milanese. Una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo argomenta che questo non è compatibile con la libertà d’espressione.

di Marco Franchi /

Sembra scritta per il sindaco Giuseppe Sala la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 16 maggio 2024 su un caso che ricorda quello che coinvolge il collega del Fatto Gianni Barbacetto, chiamato davanti all’Organismo di Mediazione (senza aver ancora ricevuto l’atto di citazione) da una delibera di giunta del Comune di Milano.

Oggetto della vertenza, alcuni suoi interventi sui social in cui si chiedeva se i comportamenti dei dipendenti comunali, indagati dalla Procura di Milano nelle inchieste su irregolarità urbanistiche, fossero estranei a qualche retroscena corruttivo (“Domanda: ma davvero a Milano il Comune lascia costruire grattacieli fuori dalle norme, senza che parta qualche mazzetta, come ai bei tempi di Tangentopoli?â€).

Ecco la storia di Maria Somogyi, perdente nei tribunali ungheresi e trionfante alla Corte di Strasburgo. Il 10 dicembre 2014 il signor K. (ogni riferimento a Kafka è puramente casuale) pubblica sulla sua pagina Facebook un post in cui invita i suoi concittadini di Tata a una manifestazione per protestare contro il Comune che ha venduto un edificio storico a un uomo d’affari locale, L., che ha poi affittato lo stesso edificio agli enti che glielo avevano venduto a un “prezzo follemente altoâ€.

K. lo descrive come un “furto ai cittadini di Tata†che potrebbe “riempire le tasche†di L. (tra oneri d’urbanizzazione e monetizzazioni degli standard, si potrebbe ipotizzare che il Comune di Milano abbia rinunciato, a favore dei costruttori, a entrate per 1,5 miliardi). K. conclude chiedendo: “La vendita della proprietà è legale? C’è stato un bando? L’acquirente ha pagato il prezzo giusto? C’era bisogno di vendere l’immobile della città?â€.

Maria Somogyi condivide su Facebook il post di K. aggiungendo una domanda sull’importo pagato dal Comune di Tata per i nuovi locali dell’ufficio anagrafe. Il Comune di Tata avvia un’azione civile contro Somogyi, chiedendole circa 1.400 euro, assai distanti dai 50 mila che potrebbero esser chiesti dal Comune di Milano a Barbacetto, come risarcimento per la violazione della reputazione.

Maria perde la causa civile nei tre gradi di giudizio ma ricorre alla Corte di Strasburgo chiamando in causa l’Ungheria, che viene condannata a restituirle quanto sborsato, le spese di giudizio e a risarcirle il danno morale.

Con quale motivazione? La Corte cita le leggi d’Inghilterra e Galles in base alle quali “le autorità locali, le società di proprietà del governo e i partiti politici [non possono] citare in giudizio per diffamazione, perché c’è un interesse pubblico affinché un’organizzazione democraticamente eletta, o un organismo controllato da tale organizzazione, sia esposto a critiche pubbliche disinibiteâ€.

La Corte ritiene che “proteggere gli organi del ramo esecutivo del potere statale […] potrebbe seriamente ostacolare la libertà dei mediaâ€. Le istituzioni pubbliche hanno il diritto a tutelare la propria reputazione, ma “il fatto che gli organi esecutivi siano autorizzati a intentare procedimenti per diffamazione nei confronti dei membri dei media comporta un onere eccessivo e sproporzionato per i media e potrebbe avere un inevitabile effetto dissuasivo sui media nell’esercizio del loro ruolo di fornitori di informazioni e di controllo pubblicoâ€.

Secondo la Corte “i procedimenti civili per diffamazione promossi da una persona giuridica che esercita pubblici poteri non possono, in linea di principio, essere considerati conformi all’obiettivo legittimo della ‘tutela della reputazione’â€. Potrebbero tutt’al più ricorrere “singoli membri di un ente pubblicoâ€.

La Corte compara la forza di un organo dotato di pubblici poteri a quelli di un cittadino che esercita il diritto alla libertà di espressione. Muove critiche a un organo che ha gli strumenti per contestare le critiche senza avviare un’azione giudiziaria che lede un diritto fondamentale, la libertà di espressione, tutelata dall’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo che garantisce la “libertà di ricevere o comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte di autorità pubblicheâ€.

Così, “la Corte constata che il procedimento civile per diffamazione del Comune di Tata non perseguiva nessuno degli obiettivi legittimi elencati al paragrafo 2 dell’articolo 10†che limitano il diritto d’espressione. E condanna l’Ungheria a pagare a Maria i danni e le spese. I principi sanciti dalla Corte di Strasburgo, in base alla Convenzione dei diritti dell’uomo, vincolano i giudici nazionali, perché i singoli Stati potrebbero essere condannati se li ignorassero.

Il sindaco Sala è sicuro di voler procedere contro Barbacetto, sapendo che il Comune di Milano, come quello di Tata, potrebbe non aver titolo per agire?

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Data articolo: Sat, 20 Jul 2024 16:59:45 +0000

Urbanistica

Le tre fake news di Grattacielopoli a Milano

Se volete essere eleganti chiamatele fake news. Ma sono balle, balle sesquipedali. Ripetute tutti i giorni da sindaco, assessore, politici, costruttori, architetti a gettone e giornalisti obbedienti, sono entrate nel discorso pubblico quotidiano e qualcuno comincia a pensare che siano verità. Invece balle erano e balle restano. Sono le “post-verità†dell’urbanistica, diffuse da un circo politico-affaristico-mediatico che sta combattendo una battaglia che vale miliardi di euro.

Posta in gioco: mantenere Milano un lunapark dell’edilizia, un “paradiso fiscale†dell’immobiliare. Il circo non si rassegna alla prima sconfitta: il salva-Milano frutto dell’inciucio Sala-Salvini che doveva cancellare le inchieste della Procura milanese non è stato inserito nel condono salva-casa; e allora adesso cerca la rivincita. Eccole, dunque, le tre post-verità dell’urbanistica.

1. Le norme urbanistiche sono “confuse†e “contraddittorieâ€, un “guazzabuglio†che ha bisogno di una “interpretazione autenticaâ€. Falso. Le leggi fondamentali sono chiare e semplici, tanto che lo stesso Comune di Milano, pressato dalle inchieste, ci ha messo un pomeriggio per tornare alle regole. Non si può far passare come “ristrutturazione†la costruzione di un nuovo grattacielo. Non si può costruire nei cortili edifici più alti di quelli intorno. Non si può avviare un intervento urbanistico di grosse dimensioni che aumenti il numero di abitanti in una zona, senza un piano attuativo che calcoli i servizi necessari ai cittadini. Non si può regalare milioni di euro agli operatori, facendo pagare le monetizzazioni degli standard un quarto del loro valore. Lo dicono norme semplici, leggi fondamentali pensate per il bene della città e di tutti i cittadini.

Sopra queste norme, hanno fatto crescere una gramigna di circolari e delibere (il Rito Ambrosiano) che, queste sì, complicano e contraddicono le leggi, al fine di rendere più veloce e remunerativo costruire a Milano: a tutto vantaggio dei costruttori e dei fondi immobiliari, non dei cittadini. Ora bisogna togliere le erbacce infestanti e ridisegnare, come dice da tempo il verde Carlo Monguzzi, un Piano di governo del territorio finalizzato al bene comune e non ai profitti dei costruttori.

2. Le inchieste della Procura “hanno bloccato lo sviluppo di Milanoâ€. Falso. Hanno riportato al centro (l’azione penale è obbligatoria e la legge è uguale per tutti) gli interessi dei cittadini che si vedevano togliere aria e luce da un grattacielo costruito nel loro cortile, o vedevano arrivare in quartiere centinaia di nuovi abitanti, senza che fossero ricalcolati il verde e i servizi necessari.

Ma che cos’è, “lo sviluppo di Milanoâ€? A Monaco di Baviera gli operatori immobiliari restituiscono alla città circa il 30% del valore prodotto. A Milano solo l’8%. Forse è il momento di riadeguare i pesi e pensare ai servizi per i milanesi: mancano le case a prezzi ragionevoli e, per esempio, in questa calda estate le piscine comunali sono chiuse – pensate – “perché non ci sono i soldiâ€.

3. Il Comune quest’anno perderà 150 milioni per effetto del rallentamento delle costruzioni. Falso. Il Comune di Milano ha rinunciato in dieci anni a 1 miliardo e mezzo (per mancato adeguamento degli oneri d’urbanizzazione e sottovalutazione delle monetizzazioni degli standard). Ha “attirato†capitali azzerando le regole e abbassando i costi. Così ha prodotto una “città premiumâ€, un paradiso della rendita in cui il costo dell’abitare è aumentato del 40%, mentre gli stipendi solo del 4%. Con conseguente espulsione di migliaia di milanesi che non si possono più permettere una casa in città. Quando amministratori, politici, professionisti e giornalisti al seguito si libereranno e ci libereranno da queste fake news?

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Data articolo: Sat, 20 Jul 2024 16:38:01 +0000

Urbanistica

Grattacielopoli, salta (per ora) il condono colpo di spugna salva-Milano

Salta (almeno per ora) il condono salva-Milano, ossia la sanatoria chiesta dal sindaco Giuseppe Sala e sponsorizzata dal ministro Matteo Salvini per i grattacieli ritenuti fuorilegge e messi sotto inchiesta dalla Procura milanese. Gridano vittoria i Cinquestelle, che lunedì avevano organizzato una conferenza stampa a Montecitorio con la presenza, oltre che della senatrice M5s Elena Sironi, della giurista Maria Agostina Cabiddu e della studiosa di scienze urbane Lucia Tozzi, due degli oltre cinquanta firmatari dell’appello degli urbanisti e costituzionalisti contro il colpo di spugna che avrebbe potuto stravolgere il quadro delle norme urbanistiche nazionali.

Soddisfatti anche i verdi Angelo Bonelli (a Roma) e Carlo Monguzzi (a Milano) che si erano fieramente opposti all’approvazione degli emendamenti salva-Milano alla commissione Ambiente della Camera. Ritirati quelli della maggioranza e respinti quelli dell’opposizione, oggi il decreto salva-casa di Salvini passa in aula a Montecitorio, ma senza le norme salva-grattacieli, che potranno però ricomparire nei prossimi giorni – annuncia il sottosegretario Alessandro Morelli – dentro il decreto Infrastrutture, “dopo aver valutato le nuove proposte giunte dal Comune di Milanoâ€.

Sono però passate altre norme, come quella che permette i micro-appartamenti, concedendo l’abitabilità ai monolocali di 20 metri quadrati per una persona e di 28 per due persone (ora i limiti erano di 28 e 38 mq), abbassando anche l’altezza minima a 2,4 metri (da 2,7). “Salvini sdogana la casetta dei sette naniâ€, commenta la Pd Chiara Braga. Più facile sarà anche il recupero dei sottotetti. E l’allargamento della possibilità dei cambi di destinazione d’uso e il superamento della doppia conformità “trasforma il decreto in un condono sfacciatoâ€, dichiara il vicecapogruppo M5s alla Camera Agostino Santillo.

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Data articolo: Thu, 18 Jul 2024 16:23:57 +0000

Urbanistica

Salva-Milano? Sì, salviamola da Grattacielo selvaggio. Un appello

Non ci sono norme urbanistiche “confuse†o “contraddittorieâ€, da “interpretare†– come vanno ripetendo il sindaco Giuseppe Sala e i costruttori milanesi. Ci sono leggi fondamentali, chiare e semplici, da rispettare per garantire i diritti di tutti i cittadini.

A dirlo con forza, questa volta, è un gruppo nutrito ed autorevolissimo di urbanisti, giuristi, costituzionalisti, che l’hanno scritto in una “lettera-appello al legislatore†inviata ieri ai trenta componenti della commissione Ambiente della Camera che sta discutendo gli emendamenti al decreto “salva-casa†di Matteo Salvini, con il proposito annunciato di trasformarlo in un condono “salva-Milanoâ€, ossia in un colpo di spugna che cancelli le numerose inchieste di Grattacielopoli aperte sull’urbanistica dalla Procura di Milano.

Tra i firmatari, il vicepresidente emerito della Corte costituzionale Paolo Maddalena, i costituzionalisti Massimo Villone, Francesco Pallante, Carlo Iannello, gli urbanisti Paolo Berdini, Vezio De Lucia, Giorgio Goggi, Alessandro Dal Piaz, Sergio Brenna, Giancarlo Consonni, i giuristi Maria Agostina Cabiddu, Corrado Giuliano, Danila Iacovelli. E poi Tomaso Montanari, architetti, geografi, ambientalisti, studiosi di scienze urbane come Lucia Tozzi, una lista così lunga che occuperebbe tutta questa rubrica (il testo integrale e tutte le firme, sul fattoquotidiano.it e qui).

Che cosa chiedono ai parlamentari? Di non andare oltre il “comprensibile obiettivo†di tutelare “gli incolpevoli acquirenti degli immobiliâ€, senza però “alcuna sanatoria per operatori, professionisti, funzionari e dirigenti che avessero violato le leggi vigenti, le cui eventuali responsabilità vanno lasciate all’accertamento della magistraturaâ€.

Nel percorso di approvazione parlamentare del decreto “si rischia infatti di cancellare decenni di cultura urbanistica che è alla base del necessario equilibrio fra protezione delle cose e sfruttamento delle stesse, fra la garanzia del diritto privato di proprietà e l’esercizio delle potestà pubbliche chiamate a conformarlo per assicurarne la funzione sociale, a vantaggio di tuttiâ€.

In primo luogo, non dovranno essere manomesse e scassate le norme sugli standard urbanistici: chi costruisce può farlo, ma deve “contribuire allo sviluppo della città pubblica, che oggi si vorrebbe invece cancellare a esclusivo vantaggio della rendita urbanaâ€. Oggi, “sulla base della cancellazione di ogni regola urbanistica e di ogni limite alle pretese della rendita, si possono realizzare ex novo o sopraelevare edifici prospicenti ad alloggi legittimamente realizzati da decine di anni (la mostruosa edificazione nei cortili è emblematica del degrado cui si è arrivati), con un danno evidente ai diritti acquisitiâ€.

I firmatari chiedono “perciò con forza che il Parlamento ribadisca l’assoluta inderogabilità†della legge sugli standard urbanistici, “che costituisce un minimo, non un massimo, di dotazioni di servizi e di verde necessari alla vita nelle cittàâ€. Il secondo fondamentale principio “che il Parlamento non può permettersi di smantellareâ€, dicono i firmatari, “riguarda l’obbligo – anche in questo caso previsto da decenni – di dover ricorrere a strumenti attuativi chiari e al permesso di costruire quando si mutano i carichi urbanisticiâ€.

Basta con le autocertificazioni facili (le Scia). Le pubbliche amministrazioni hanno “il potere-dovere†di “tutelare i diritti di tutti e non solo quelli degli operatori immobiliari, degli investitori e degli speculatoriâ€.

In tal senso, conclude l’appello, “anche nel caso fosse approvato, l’emendamento salva-Milano non dovrà comunque riguardare il futuroâ€: l’edilizia milanese e nazionale “dovrà svolgersi nel rigoroso rispetto delle leggi poste a tutela di tutti, fermo altrimenti l’intento dei sottoscritti firmatari di avvalersi di ogni strumento utile per opporsi alla preannunciata deriva, anche nella convinzione che evidenti profili di illegittimità non passerebbero indenni da una pronuncia della Corte costituzionaleâ€.

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Data articolo: Fri, 12 Jul 2024 11:26:22 +0000

Urbanistica

Salva-Milano? Lettera-appello al legislatore

Il Parlamento sta discutendo gli emendamenti al cosiddetto decreto “salva-casaâ€, con il pretesto di tutelare gli acquirenti in buona fede degli immobili che, stando alle prime risultanze di alcune inchieste giudiziarie a Milano, potrebbero essere stati realizzati con permessi rilasciati o ottenuti in violazione delle disposizioni di legge statale e regionale. Se così fosse, il cosiddetto emendamento “salva-Milanoâ€Â non dovrebbe andare oltre questo comprensibile obiettivo e quindi dovrebbe riguardare soltanto gli incolpevoli acquirenti degli immobili, senza alcuna sanatoria per operatori, professionisti, funzionari e dirigenti che avessero violato le leggi vigenti, le cui eventuali responsabilità vanno lasciate all’accertamento della magistratura.

Nel percorso di approvazione del decreto, volto ad annullare le contestazioni sollevate dalle inchieste giudiziarie sull’urbanistica aperte a Milano, si rischia infatti di cancellare decenni di cultura urbanistica che è alla base del necessario equilibrio fra protezione delle cose e sfruttamento delle stesse, fra fruizione e conservazione, fra la garanzia del diritto privato di proprietà e l’esercizio delle potestà pubbliche chiamate a conformarlo per assicurarne la funzione sociale, a vantaggio di tutti.

Ci riferiamo in primo luogo alla questione degli standard urbanistici fissati dal dm 1444/68. È questo un risultato di grande equilibrio perché fissa i diritti della collettività nel rispetto dei diritti degli operatori immobiliari. Del resto, è noto che molti Prg permettono da tempo di “monetizzare†gli standard, ma sempre tenendo conto delle necessarie dotazioni di servizi e delle distanze fissate dal codice civile e dal dm 1444. Nessuno mai ha infatti lamentato di non aver potuto esercitare il diritto a edificare fissato dai piani urbanistici, a causa dell’obbligo di dover contribuire allo sviluppo della città pubblica, che oggi si vorrebbe invece cancellare a esclusivo vantaggio della rendita urbana, che si risolve nella sottrazione di una quota di reddito nazionale alle categorie, qualunque esse siano, che lo hanno prodotto.

Il problema dunque viene agitato solo oggi, quando sulla base della cancellazione di ogni regola urbanistica e di ogni limite alle pretese della rendita si possono realizzare ex novo o sopraelevare edifici prospicenti ad alloggi legittimamente realizzati da decine di anni (la mostruosa edificazione nei cortili è emblematica del degrado cui si è arrivati), con un danno evidente ai diritti acquisiti e il crescere esponenziale, non solo a Milano, di contenziosi senza fine che non aiutano la civile convivenza.

Chiediamo perciò con forza che il Parlamento ribadisca l’assoluta inderogabilità del dm 1444/68, che costituisce un minimo, non un massimo, di dotazioni di servizi e di verde necessari alla vita nelle città.

Il secondo fondamentale principio che il Parlamento non può permettersi di smantellare riguarda l’obbligo – anche in questo caso previsto da decenni – di dover ricorrere a strumenti attuativi chiari e al permesso di costruire quando si mutano i carichi urbanistici, sicché le amministrazioni pubbliche non possono dismettere il diritto-dovere di verificare la sussistenza delle prerogative di accessibilità e dei servizi, oltre che il rischio di violazione dei diritti dei frontisti e confinanti.

Anche in questo caso, siamo di fronte a un potere-dovere delle pubbliche amministrazioni, chiamate a tutelare i diritti di tutti e non solo quelli degli operatori immobiliari, degli investitori e degli speculatori.

Si rischia altrimenti non soltanto di cancellare le regole urbanistiche, ma anche di mettere in discussione il ruolo delle amministrazioni locali sancito dalla Costituzione.

In tal senso, anche nel caso fosse approvato, l’emendamento “salva-Milano†non dovrà comunque riguardare il futuro: dopo la conversione in legge del decreto, l’edilizia milanese (e, più in generale, quella italiana) dovrà svolgersi nel rigoroso rispetto delle leggi poste a tutela di tutti, fermo altrimenti l’intento dei sottoscritti firmatari di avvalersi di ogni strumento utile per opporsi alla preannunciata deriva, anche nella convinzione che evidenti profili di illegittimità non passerebbero indenni da una pronuncia della Corte costituzionale. 

Firmatari:

Carmine Abate, architetto, consigliere nazionale Italia Nostra
Ilaria Agostini, urbanista
Aurelio Angelini, Unesco
Arianna Azzellino, docente universitaria
Piera Baldi, architetto
Emilio Battisti, architetto
Luna Beggi, geografa
Paolo Berdini, urbanista
Anna Maria Bianchi, presidente Carte in regola
Paola Bonora, geografa
Sergio Brenna, urbanista
Maria Agostina Cabiddu, giurista
Sergio Caserta, cooperatore
Piero Cavalcoli, urbanista
Giancarlo Consonni, urbanista
Alessandro Dal Piaz, urbanista
Luigi De Falco, architetto, vicepresidente di Italia nostra
Vezio De Lucia, urbanista
Veronica Dini, avvocato
Lidia Fersuoch, consigliera nazionale di Italia Nostra
Marina Foschi architetto, consigliere nazionale Italia Nostra
Laura Fregolent, urbanista
Luca Beltrami Gadola, direttore Arcipelago Milano
Maria Cristina Gibelli, urbanista
Corrado Giuliano, giurista
Giorgio Goggi, urbanista
Danila Iacovelli, giurista
Carlo Iannello, costituzionalista
Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale
Camilla Maldini Casadei, architetto
Massimo Maresca, presidente di Italia Nostra Campania
Gabriele Mariani, ingegnere architetto
Rossella Montagnani Marelli, Anpi
Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena
Silvia Morselli, architetto
Adriana Elena My, presidente di Italia Nostra Piemonte
Francesco Pallante, costituzionalista
Stefano Piazzi, architetto
Mario Piccinini, architetto
Gioacchino Piras, geografo urbanista
Ezio Righi, urbanista
Piergiorgio Rocchi, urbanista
Maria Teresa Roli, architetto, consigliere nazionale di Italia Nostra
Michele Sacerdoti, amministratore locale
Maurizio Sani, urbanista
Enzo Scandurra, urbanista
Giuseppe Scandurra, antropologo
Cristina Tonelli, storica del design
Graziella Tonon, urbanista
Lucia Tozzi, studiosa di scienze urbane
Cristina Treu, urbanista
Alessandra Trigilia, architetto
Massimo Villone, costituzionalista
Alberto Ziparo, urbanista

Data articolo: Fri, 12 Jul 2024 11:02:21 +0000

Nicola Gratteri

Gratteri: “La riforma Nordio, un regalo ai colletti bianchiâ€

Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri ha più volte polemizzato con il ministro Carlo Nordio sulle sue ricette per riformare la giustizia e in particolar modo sui costi delle intercettazioni e sulla loro limitazione. Ora la “riforma Nordio†è stata approvata.

Che giudizio complessivo ne dà? Non c’è più l’abuso d’ufficio ed è stato svuotato il traffico d’influenze. Ci sarà l’interrogatorio preventivo almeno cinque giorni prima dell’arresto. E il nuovo bavaglio: divieto di pubblicazione dell’avviso di garanzia, dei dialoghi non riportati dal giudice nel suo provvedimento, dei dati di persone ascoltate ma non indagate. Sono tutti regali ai colletti bianchi?

Da Tangentopoli in poi si è fatto di tutto per rendere più difficoltosa l’attività di indagine sui reati contro la pubblica amministrazione. Queste ulteriori modifiche non fanno altro che pregiudicare la nostra possibilità di fare indagini. L’idea che i sindaci avessero paura di firmare gli atti amministrativi per timore di essere indagati è ridicola. I sindaci prima di firmare potevano consultarsi con il segretario comunale, il viceprefetto, lo stesso prefetto, tutti esperti di diritto amministrativo. E invece si è deciso per l’abrogazione. Di questo passo sarà sempre più difficile indagare su colletti bianchi e pubblica amministrazione. Se non è un regalo ai colletti bianchi, poco ci manca.

Sul tema delle intercettazioni, è stato lo stesso ministero della Giustizia a fornire i dati che le danno ragione. Le spese per gli ascolti sono in costante diminuzione e sono scese negli ultimi anni da 300 a 239 milioni.

Non voglio fare polemica, ma è necessario ribadire un concetto che chi fa indagini non può che condividere: le intercettazioni sono uno strumento di ricerca della prova irrinunciabile. I loro costi, tutt’altro che eccessivi, vengono da sempre ammortizzati dalle centinaia di milioni che ogni anno entrano nelle casse dello stato in seguito alle indagini delle forze dell’ordine coordinate dalle varie procure. Bisognerebbe prenderne atto una volta per tutte.

Meno spese per le intercettazioni significa anche che le intercettazioni sono diminuite di numero? E questo significa che è diminuita più in generale l’azione di contrasto ai reati?

La diminuzione delle spese si deve principalmente al nuovo listino rinegoziato dalla Procura di Catanzaro nel 2022, successivamente adottato da altre Procure e infine ratificato dal ministero della Giustizia. Con il nuovo accordo, i prezzi delle intercettazioni sono stati abbassati del 30%. Certe notizie andrebbe contestualizzate.

La centralizzazione dei server in cui conservale le intercettazioni è stata utile? O è un pericolo per la sicurezza delle informazioni?

La fuga delle notizie è sempre riconducibile a un fattore umano, non certo alla capacità di qualcuno di entrare nel server e acquisire informazioni sensibili. Piuttosto che affrontare il problema, si è deciso di rendere più farraginoso il meccanismo sulla protezione degli atti d’indagine. Chi sarà responsabile della password e dove verrà custodita? E se succede qualcosa all’unico che ne è responsabile, come si farà ad accedere alle informazioni custodite nel server?

Il limite dei 45 giorni per le intercettazioni vorrà dire meno efficacia nelle indagini?

Le indagini a orologeria non mi convincono. Chi ha introdotto questa misura non ha tenuto conto della capacità strategica delle organizzazioni criminali. E se un gruppo di rapinatori che sono oggetto di indagine decidono di agire al quarantaseiesimo giorno che faremo? Ce la prenderemo con il limite dei 45 giorni che non ci ha consentito l’acquisizione delle prove?

Data articolo: Fri, 12 Jul 2024 10:53:23 +0000

Segreto di Stato

Gramsci addio, all’Unità c’è Mancini (in Autogrill)

All’Unità fondata da Antonio Gramsci non basta essere finita nelle mani del gruppo Romeo, core business pulizie, appalti e manutenzioni. No. Un tempo le firme erano quelle di Ludovico Geymonat, Ada Gobetti, Cesare Pavese, Italo Calvino, Massimo Mila, Fortebraccio. Ora, aria nuova.

In prima pagina, firma Marco Mancini, titolare della rubrica “L’autogrillâ€, con simbolo l’ombra della famosa immagine dell’incontro segreto tra lo stesso Mancini e Matteo Renzi all’autogrill di Fiano Romano. La rubrica debutta con un intervento sugli Usa che “hanno trattato in silenzio con Hamasâ€, via servizi segreti del Qatar, senza dirlo al Mossad. Interessante.

Per questo ci permettiamo di suggerire l’argomento della prossima rubrica: la collaborazione tra Sismi e Cia nel rapimento di Abu Omar. Per quell’impresa, l’agente Mancini fu condannato a 9 anni per sequestro di persona in primo grado, ma poi salvato dal segreto di Stato. Se ora ci raccontasse com’è andata, sarebbe una rubrica scoop.

Leggi anche:
– Torna Marco Mancini l’agente salvato dal segreto di Stato

Data articolo: Thu, 11 Jul 2024 16:01:07 +0000

Strage di Bologna

Bellini, l’uomo che unisce le stragi: Bologna, condanna confermata in appello

di Gianni Barbacetto e Sarah Buono /

Condanna confermata. L’ultimo processo d’appello per la strage di Bologna si è chiuso confermando l’ergastolo per Paolo Bellini e le condanne per i suoi due coimputati, Piergiorgio Segatel e Domenico Catracchia. Il primo giorno del processo di primo grado, entrando in aula da imputato della strage, Bellini disse: “Mi sento come Sacco e Vanzettiâ€. Ieri, ultimo giorno del processo di secondo grado, si è definito “un collaboratore di giustiziaâ€.

Ha ripetuto di essere stato mandato in Sicilia, nell’agosto 1992, dopo i funerali di Paolo Borsellino, come infiltrato dentro Cosa nostra “per capire se altri giudici erano in pericoloâ€. L’incarico, dice, arrivava dalla politica e dai carabinieri del maresciallo Roberto Tempesta e del generale Mario Mori.

“Io non ho mai avuto a che fare con i servizi segretiâ€, puntualizza. Ma ripete un accenno agli incarichi ricevuti dal “gruppo degli amici di Flaminio Piccoliâ€: ultracattolici democristiani che “al Santuario di Pietralba, tra Trento e Bolzano, mi fecero fare un giuramento, conservo ancora il santino, che era una cartina di tornasole se qualcuno mi contattava: o si presentavano con lo stesso santino o c’era un codice telefonico dal quale io risalivo ad un numero di telefono loroâ€.

Questo è Paolo Bellini: militante neofascista di Avanguardia nazionale, ladro, assassino del ragazzo di Lotta continua Alceste Campanile, latitante in Brasile, infiltrato in Cosa nostra, killer della ’ndrangheta. E sedicente “collaboratore di giustizia†che ancora ieri si vantava: “Sono chiamato anche oggi come collaboratore. Ma mi devo fermare, per non violare il segreto istruttorioâ€. In realtà, è indagato dalle Procure di Firenze e di Caltanissetta per le stragi del 1993.

Il quindicesimo processo sull’attentato del 2 agosto 1980 mette un nuovo punto e consolida la lettura della strage come progetto dell’intera galassia della destra neofascista di quegli anni che – a dispetto delle divisioni interne, dei feroci contrasti esibiti e delle sigle concorrenti – agì all’unisono. A dare l’input – e a metterci i soldi – fu il capo della loggia massonica P2 Licio Gelli, il burattinaio dei bombaroli.

A fare il grande botto fu il supergruppo dell’eversione, gli eredi dei vecchi gruppi di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale insieme a quelli che pretendevano di rappresentare lo “spontaneismo armatoâ€. Ora accanto ai tre neofascisti già condannati in via definitiva – Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini – e al quarto – Gilberto Cavallini, in attesa della Cassazione – c’è anche Paolo Bellini, l’uomo che unisce le stragi, che attraversa le strategie dell’eversione, da Bologna al 1993.

Lui nega. Parla di un “marchio impresso a fuoco su di lui†dai media e dalle Procure, di non aver avuto rapporti con i gruppi neofascisti e di non aver mai conosciuto nemmeno Cavallini.

Quel 2 agosto, Bellini era alla stazione secondo (anche) la Corte d’assise di Bologna. Il suo volto, i suoi baffi, i suoi capelli ricci (“facevo invidia a Lucio Battisti, in quegli anniâ€), la catenina al collo, sono stati riconosciuti nei fotogrammi di un filmato realizzato da un turista svizzero che credeva di andare in vacanza e si è invece ritrovato al centro della storia d’Italia.

La conferma è stata data da Maurizia Bonini, la sua ex moglie, che per decenni aveva testimoniato (falsamente) che il 2 agosto era con il marito e la famiglia al Passo del Tonale. È a lei che Bellini dedica più di un’ora delle sue dichiarazioni spontanee prima della fine del processo: “Rinnovo alla Corte la richiesta di chiamarla e risentirla perché sono sicuro che messa di fronte all’evidenza delle mie dichiarazioni dirà la verità. Vi chiedo il reset, di resettare il cervello, da quanto avete letto su stampa e libri, visto in tv, e studiato. Che Dio vi benedicaâ€. Parla per quasi tre ore, Bellini. Un fiume in piena, un fiume poco limpido e molto agitato.

Oltre alla conferma della condanna all’ergastolo per Paolo Bellini, la Corte di assise di appello di Bologna ha ribadito la colpevolezza anche degli altri due imputati. L’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio e condannato nuovamente a 6 anni; e Domenico Catracchia, ex amministratore di condomini in via Gradoli, a Roma, accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini, condannato a 4 anni.

E con loro Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti morti e non più imputabili, ma ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori dell’attentato. “Sappiamo chi sono stati i mandanti, sappiamo chi è statoâ€, ha commentato Anna Pizzirani, vicepresidente dell’associazione delle vittime della strage. “Questo è un tassello molto importante per confermare la verità che è emersa durante questi due gradi di giudizio. Non è finita, sappiamo benissimo che ci sarà il ricorso alla Cassazione, ma questo è un tassello importante per noi familiari delle vittime. Perché è la parola alle 85 vittime che non possono parlare, cercheremo di non fermarci quiâ€.

Un altro colpo al pantheon nero di Giorgia Meloni

I processi per le stragi italiane – e quella di Bologna più di tutte – finiscono ogni volta per riaprire l’album di famiglia della destra italiana, quella che oggi è arrivata al governo. Con il fascismo storico, Giorgia Meloni ha regolato i conti ripetendo di non aver “mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocraticiâ€, “fascismo compreso†(salvo qualche busto di Mussolini nel salotto del presidente del Senato).

È con il neofascismo che è invece più complicato fare i conti: con la storia italiana del dopoguerra, fatta di bombe e strategie della tensione, gruppi armati e rapporti con i servizi segreti. Del resto, Fratelli d’Italia indica tra i suoi “padri†Giorgio Almirante e Pino Rauti.

Quest’ultimo, fondatore di Ordine nuovo, è uno dei protagonisti della destra neofascista italiana: a Ordine nuovo (ma dopo l’uscita di Rauti) sono addebitate le stragi di piazza Fontana a Milano e di piazza della Loggia a Brescia. Ed è Almirante in persona che fa arrivare 34.650 dollari, attraverso l’avvocato missino Eno Pascoli, a Carlo Cicuttini, uno dei responsabili della strage di Peteano (tre carabinieri uccisi) per finanziare e proteggere la sua latitanza in Spagna.

I fili tra presente e passato restano tenaci. Flaminia Pace, che dopo l’inchiesta di Fanpage sui riti fascisti e antisemiti che sopravvivono dentro Fratelli d’Italia si è dimessa dal consiglio di Gioventù nazionale, è figlia di Corrado Pace, in rapporti con Francesca Mambro e Valerio Fioravanti (condannati definitivi per la strage di Bologna), ma soprattutto, da figlia, ha continuato a vantarsi dei legami del padre con i due terroristi dei Nar.

Il direttore del settimanale Il Borghese, Mario Tedeschi, è il senatore missino della destra “moderata e in doppio pettoâ€, ma la sentenza Bellini di primo grado lo indica come colui che ha l’incarico di gestire la “comunicazione†dopo la strage di Bologna, in coppia con Federico Umberto d’Amato, la superspia dell’Ufficio Affari Riservati.

Storie vecchie? Ma che giungono fino a noi, se è vero che nel gennaio del 2019 i camerati organizzano una bicchierata fascista in sostegno di Gilberto Cavallini, condannato per la strage di Bologna in primo e secondo grado. L’organizzatore della simpatica bicchierata è Fabrizio Piscitelli detto Diabolik, capo ultrà della Lazio e trafficante di droga, che nell’agosto 2019 sarà ucciso in un agguato a Roma. In un messaggio vocale dice: “Aperitivo tra camerati più tardi, daje. Tutti presentiâ€.

Gli risponde Paolo Signorelli, portavoce del ministro dell’Agricoltura di Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida: “Io vado via oggi e domani, ci vediamo domani a pranzo tra camerati e lazialiâ€. “Certo però manda un po’ di camerati perché è una raccolta fondi. È importanteâ€, ribatte Diabolik. “Gilberto?â€, chiede Signorelli, alludendo a Cavallini. “Bravo, bravo, daje, passa parolaâ€, raccomanda Diabolik. “Ok è un fratello di famigliaâ€.

Uno dei messaggi tra Diabolik e Signorelli toglie ogni dubbio: “Onore a nonno, Tuti, Concutelli, Giusva, Ciavardiniâ€. “Nonno†è il suo omonimo Paolo Signorelli, tra i fondatori di Ordine nuovo, condannato a 11 anni per banda armata e associazione sovversiva. Mario Tuti, Pierluigi Concutelli, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini sono tutti terroristi neri.

L’album di famiglia dei figli, fratelli e nipoti d’Italia non lo è soltanto in senso ideologico. Il Paolo Signorelli che lavorava con Lollobrigida è nipote del Paolo Signorelli ideologo del neofascismo. La senatrice di Fratelli d’Italia Isabella Rauti è figlia di Pino Rauti. È questa la “comunità politica†da cui Giorgia Meloni rivendica orgogliosamente di provenire.

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Data articolo: Tue, 09 Jul 2024 14:44:59 +0000

Silvio Berlusconi

A proposito di Silvio Berlusconi, aeroporti, aerei (e mafiosi)

di Giuseppe Pipitone /

Dal Falcone-Borsellino al Silvio Berlusconi. Sembra il titolo di un saggio sulle varie indagini antimafia che hanno coinvolto l’uomo di Arcore, ma sarà presto un itinerario di volo, stampato sui biglietti aerei delle centinaia di persone che ogni giorno partono dall’aeroporto di Palermo per raggiungere quello di Malpensa a Milano.

L’idea d’intitolare uno degli scali del capoluogo lombardo a Berlusconi era già cominciata a circolare dopo la morte dell’ex presidente del consiglio, durante quelle frenetiche settimane di beatificazione quasi bipartisan. E dire che solo qualche tempo fa dedicare uno degli aeroporti più importanti d’Italia a un politico pregiudicato, più volte sotto inchiesta e sotto processo, morto mentre era ancora indagato per concorso nelle stragi del 1993, sarebbe sembrata una provocazione ai limiti della fantascienza.

Adesso, però, l’idea originariamente lanciata da Gabriele Albertini diventa realtà, come ha annunciato il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini: a Berlusconi sarà intitolato l’aeroporto internazionale di Malpensa, uno dei più importanti d’Italia.

Nessuna legge sull’aeroporto dedicato al fuorilegge. L’annuncio del leader della Lega è arrivato quasi con una battuta: “Proprio oggi il cda dell’Enac ha approvato la richiesta di intitolare a Silvio Berlusconi l’aeroporto di Malpensa. E siccome l’ultima parola è del ministro dei Trasporti, penso proprio che il ministro dei Trasporti darà l’okâ€. Ad agevolare l’incredibile omaggio è stata una legge, anzi, la mancanza di una legge.

L’anno scorso, nei giorni successivi ai funerali, l’attuale primo cittadino del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, era riuscito a liquidare il pressing dei berlusconiani ricordando che, secondo le norme, occorre aspettare dieci anni di tempo prima d’intitolare una strada a un defunto. E una deroga non era stata chiesta neanche per Umberto Veronesi, uno “che aveva salvato migliaia di persone“.

Quella legge, però, vale per le vie, le piazze e i viali: non per gli aeroporti. Ecco perché l’ex sindaco Albertini aveva proposto d’intitolare a Berlusconi lo scalo di Linate. Un altro pregiudicato come Roberto Formigoni, però, non era d’accordo. “Se si scegliesse un aeroporto sarebbe più adeguato Malpensa, perché mentre Linate esiste da cent’anni, il moderno Malpensa lo abbiamo fatto io e Berlusconi, lui da presidente del Consiglio, io da presidente di Regioneâ€, aveva detto l’ex governatore della Lombardia, che nel novembre scorso ha finito di scontare ai servizi sociali la sua condanna a 5 anni e 10 mesi per corruzione. Un auspicio che ora diventa realtà: lo scalo di Malpensa si chiamerà Silvio Berlusconi.

Alle origini di Milano 2. Per la verità, se proprio si devono superare i limiti del buon gusto, sarebbe stato più corretto accogliere la proposta di Albertini e quindi intitolare a Berlusconi lo scalo di Linate. Se non altro per una questione storica. Costruito tra il 1933 e il 1937 – dunque praticamente coetaneo dell’ex presidente del consiglio, che era del ’36 – l’aeroporto di Milano registra il boom del traffico aereo negli anni ’60: passa dai 35 decolli al giorno nel 1961 ai 75 del ’69.

È a quel punto che la Civilavia, cioè l’aviazione civile, decide di regolamentare i corridoi di decollo, in modo da evitare che i jet sorvolino i centri abitati di Segrate, San Felice, Vimodrone, Cologno e Brughiero, dove già all’epoca abitavano circa 100 mila persone. Le nuove rotte stabilivano che i velivoli dovevano passare sopra una zona verde e disabitata. Si trattava di un’area che all’epoca era stata appena ceduta dal conte Leonardo Bonzi alla Edilnord Centri Residenziali sas di Lidia Borsani, cioè la cugina di Berlusconi.

Sono gli anni in cui il futuro uomo di Arcore (che ad Arcore non era ancora andato a vivere) progettava di realizzare il simbolo della sua carriera di costruttore: la città-satellite di Milano 2. Solo che la zona prescelta aveva tutta una serie di problemi, a cominciare dai jet che decollavano dal vicinissimo aeroporto di Linate.

Il rumore era insopportabile: non certo un incentivo per i milanesi benestanti che, nei piani del futuro cavaliere, avrebbero dovuto comprare casa nel suo nuovo quartiere modello. Eppure, come ha ricostruito Giovanni Ruggeri nel libro Tutti gli affari del Presidente (Kaos Edizioni), Berlusconi del rumore degli aerei non sembrava preoccuparsi: nel 1970 l’edificazione della nuova cittadella sperimentale procede spedita, nonostante i boati continui.

Nel quartiere del silenzio il frastuono era continuo. “Il silenzio non ha prezzo, ecco il paradiso del silenzio“, c’era scritto sugli enormi cartelloni pubblicitari di Milano 2. Uno slogan che ancora nel 1971 sembra una barzelletta: l’intera aerea, infatti, è sorvolata continuamente dai velivoli, il frastuono è incessante. “Il silenzio non c’è. L’aeroporto di Linate è lì a un passo, ogni novanta secondi decolla un aereo, intollerabili le onde sonore, superiori a 100 decibelâ€, scriverà Camilla Cederna su L’Espresso, in quella che è la prima intervista rilasciata dal futuro presidente del consiglio.

Viene pubblicata nel 1977 quando il problema è già stato risolto. In che modo? Fondamentale è il fatto che, nel frattempo, la parabola berlusconiana incrocia quella di un altro personaggio destinato a diventare famoso: don Luigi Verzè. Secondo Cederna le cose andarono così: “L’Edilnord si muove a Roma, manovrando i ministeri, per ottenere il cambio delle rotte degli aerei. In quattro anni la Civilavia aveva già ordinato sei cambiamenti delle rotte degli apparecchi di Linate. Approfittando della vicinanza di un ospedale, il San Raffaele, diretto da un prete trafficone e sospeso a divinis, don Luigi Maria Verzé, manda ai vari ministeri una piantina in cui la sua Milano 2 risulta zona ospedaliera e la cartina falsa verrà distribuita ai piloti (con su la croce, simbolo internazionale della zona di rispetto), così la Civilavia cambia rotte, ancora una voltaâ€.

Come racconta Marco Travaglio in B. come Basta (Paper First), a sostegno degli interessi del giovane imprenditore e del rampante sacerdote “trafficone†spuntano alcuni fantomatici comitati anti rumore, creati per l’occasione, che inviano una petizione al ministero dei Trasporti: chiedono di deviare le rotte per non disturbare gli abitanti di Milano 2 e i pazienti dell’ospedale. Che però all’epoca ancora non esistono: il nuovo quartiere di Berlusconi conta ancora solo 200 abitanti, mentre il San Raffaele è in costruzione.

Eppure nel 1972 Civilavia decide di spostare le rotte aeree, dirottandole verso Segrate e i comuni vicini, già densamente popolati. Ai piloti dell’Alitalia vengono effettivamente fornite strane carte di volo: l’intera area di Milano 2 diventa una grande chiazza nera con la H di Hospital, come se il San Raffaele occupasse tutta la cittadina residenziale di Berlusconi.

La condanna del dirigente dell’Aviazione. Ottenuto il silenzio promesso nel suo paradiso, l’uomo di Arcore passa all’incasso: i prezzi delle case e dei terreni di Milano 2 raddoppiano, da 200 a 400 mila lire al metro quadro. Nel 1974, però, il pretore di Monza Nicola Magrone condannerà il direttore generale di Civilavia Paolo Moci per il disturbo della quiete pubblica nei comuni limitrofi.

“Non può ignorarsi la perplessità suscitata in autorevoli organismi pubblici – si legge nella sentenza – dall’iniziativa di Milano 2… Le successive variazioni apportate alle rotte di uscita da Linate, soprattutto per il dimostrato costante collegamento con le vicende edilizie attorno all’aeroporto, giustificano da sole (un rimprovero all’imputato ndr) tanto più doveroso quando si pensi alle conseguenze disastrose di una scelta apparentemente imparziale tra ‘opposti diritti’, sostanzialmente espressione vistosa di un inammissibile cedimento del pubblico amministratore a pressioni settoriali, non controllate, non vagliate, non assoggettate a doverosa verifica, nemmeno sotto il profilo della verità dei fatti (vedasi Ospedale San Raffaele)â€.

Per il pretore “la comparsa di nuovi centri residenziali†uno dei quali “sorprendentemente preceduto da un ospedale dai connotati molto ambigui (il San Raffaele ndr) non costituisce motivo sufficiente ad invalidare la scelta originaria (delle rotte aeree ndr) ed a far aprire la serie di ripensamenti sempre più univoci in danno della fascia nordâ€.

La vicenda delle rotte dirottate dai cieli di Milano 2 conquista l’attenzione della stampa già all’epoca. È il 1976 quando Giorgio Bocca si pone una serie di domande, destinate a rimanere irrisolte per lungo tempo: “Un certo Berlusconi costruisce Milano 2, cioè mette su un cantiere che costa 500 milioni al giorno. Chi glieli ha dati? Non si sa. Chi gli dà i permessi e dirotta gli aerei dal suo quartiere?â€.

La P2, la Dc e i racconti di Cartotto. Per rispondere agli interrogativi posti da Bocca bisognerà aspettare più di quarant’anni. Nel 2014, quando Berlusconi è stato già espulso dal Parlamento dopo la condanna definitiva per frode fiscale, l’Espresso intervista Ezio Cartotto, ex esponente della Dc in Lombardia, il politologo ingaggiato in gran segreto da Marcello Dell’Utri per lavorare alla cosiddetta operazione Botticelli, cioè la creazione di Forza Italia.

“Fui io a suggerire un modo per spostare le rotteâ€, sosteneva in quei giorni Cartotto, che è morto nel 2021 di Covid. “A Roma – proseguiva il politologo – potevamo contare sull’appoggio di un deputato molto potente, Egidio Carenini, mentre in Lombardia avevamo quella che Marcora chiamava ‘la banda‘. Tra i membri di questa banda c’era proprio Gianstefano Frigerioâ€.

Deputato della Dc, sottosegretario all’Industria, Carenini era un personaggio molto influente nella Milano dell’epoca: anni dopo il suo nome figurerà tra gli iscritti alla P2 di Licio Gelli, gli stessi elenchi di cui faceva parte Berlusconi. Negli anni ’70, invece, Frigerio era presidente dell’ospedale Uboldo di Cernusco sul Naviglio, molto vicino a Segrate: poi sarà anche deputato di Forza Italia, dopo essere stato coinvolto in Tangentopoli e successivamente anche nelle inchieste sulle mazzette per gli appalti dell’Expo.

“L’idea era semplice – ricordava sempre Cartotto all’Espresso – Dovevamo chiedergli di scrivere una bella lettera da inviare a Carenini. Qualcosa del tipo: Salve, il mio ospedale conta circa trecento degenti. Le rotte degli aerei disturbano i malati. Per favore, intervenite per spostarle. Se le rotte fossero state spostate da Cernusco, il progetto della Edilnord sarebbe stato salvoâ€. Dopo un vertice romano, scriveva ancora il settimanale, â€a cui partecipano i rappresentanti di quattro ospedali, tra cui l’Uboldo di Frigerio e il San Raffaele di don Verze, nell’agosto 1973 il cielo di Milano 2 viene ripulito dal rombo degli aviogettiâ€.

Secondo Cartotto â€per fargli chiedere il dirottamento delle linee aeree da Milano 2, sicuramente Berlusconi ha ‘mazzettato‘. Su questo non ci pioveâ€. Nel 2008, dopo aver vinto per la terza volta le elezioni, l’allora premier ricorderà i suoi esordi nell’edilizia con queste parole: “Io smisi di costruire a Milano, perché a Milano non si poteva costruire niente se non ti presentavi con l’assegno in boccaâ€.

I Buscetta e Berlusconi: il pilota in comune. L’infinita saga berlusconiana incrocia vicende relative all’aeroporto di Linate anche qualche anno dopo la vicenda delle rotte. È il 1980 e Marcello Dell’Utri, storico braccio destro dell’uomo di Arcore, incontra a Parigi Stefano Bontate e Girolamo Teresi, mafiosi della famiglia di Santa Maria di Gesù: sono gli uomini al vertice di Cosa nostra, prima di finire assassinati dai corleonesi di Totò Riina.

Di quell’incontro si parla nella sentenza definitiva che ha condannato Dell’Utri a sette anni di carcere per concorso esterno: l’ex senatore di Forza Italia chiede ai due mafiosi “20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5“. Nello stesso periodo Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi che era legatissimo a Bontate, esce dal carcere in regime di semilibertà e decide di darsi alla latitanza. A raccontare quel periodo della sua vita sarà lui stesso, anni dopo, quando diventerà il pentito più importante della storia di Cosa nostra.

Don Masino va prima a Roma, ospite di Pippo Calò, poi a Palermo, accolto dagli amici Bontate e Teresi: con i due ha spesso condiviso lunghi periodi a Milano. Negli anni ’60, infatti, il boss dei due mondi soggiornava sotto la Madonnina: non si è mai capito, però, di cosa si occupasse. Anche perché Buscetta non racconterà mai i dettagli del suo periodo milanese, quando deciderà di saltare il fosso e collaborare con Giovanni Falcone.

Racconta, però, che tre giorni prima del Natale 1980, quando era latitante in Sicilia, si fa raggiungere dalla sua nuova famiglia brasiliana: la sua seconda moglie, Maria Cristina De Almeida, il suocero, un nipote, un figlio e due figlie.

Sono in totale sei le persone che si erano imbarcate a Parigi su un volo privato via Milano. Come hanno ricostruito Peter Gomez e Leo Sisti ne L’intoccabile (Kaos), alla cloche di quell’aereo c’era il pilota Tullio Tavolato, che almeno fino al 1989 sarà alla guida del “Falcon’’ della flotta Fininvest utilizzato da Berlusconi per tutti i suoi spostamenti a lungo raggio. Come mai Berlusconi e i parenti di Buscetta hanno condiviso lo stesso pilota?

I dubbi sull’aereo. Quel volo da Parigi a Palermo via Milano viene effettuato dalla Unijet International Srl per conto dell’Ata, una società di aerotaxi che appartiene a due imprenditori, Silvio Bonetti e Carmelo Gaeta: anni dopo finiranno entrambi a processo per associazione mafiosa.

“Si è già evidenziato come il Gaeta abbia, tra l’altro, dato un contributo personale alle vicende attraverso cui si svolgeva la guerra di Mafia, utilizzando la sua qualità di presidente dell’Ata per mettere a disposizione mezzi aerei, in particolare l’aereo I-Snaf personale di Silvio Bonetti, per consentire gli spostamenti di Tommaso Buscetta, all’epoca latitante, da e per Palermo… o per consentire la fuga del Salvo (i potenti esattori mafiosi ndr)… Non c’è dubbio che il Bonetti, in questo frangente, non potesse opporsi alle esigenze del Gaeta… pur essendo naturalmente preoccupatoâ€, scrive il giudice istruttore Felice Isnardi nell’ordinanza-sentenza con cui li manda a giudizio.

Bonetti, però, contesta quella ricostruzione, sostenendo che l’aereo usato per i viaggi dei boss mafiosi e dei loro parenti non è solo suo, ma è in comproprietà con Renato Della Valle, un imprenditore molto noto a Milano, che è stato amico e socio di Berlusconi. Un’affermazione non riscontrata: “Pur prendendo atto di questa notizia, che si trasmette al Pm per quanto di sua eventuale competenza – scrive il giudice Isnardi – si osserva che comunque le dichiarazioni di Tullio Tavolato sono precise nell’indicare il Gaeta quale mandante di quei voli utilizzati dal Buscetta, dai suoi familiari o dal Salvo, e il Bonetti quale persona che lo autorizzavaâ€.

Di sicuro c’è solo che quei viaggi coi mafiosi a bordo, con la cloche in mano al futuro pilota di Berlusconi, arrivavano a Punta Raisi, il vecchio nome dello scalo di Palermo: nessuno all’epoca avrebbe mai ipotizzato che un giorno sarebbe stato intitolato a Falcone e Borsellino.

Una scelta bocciata da Gianfranco Micciché, storico viceré di Forza Italia in Sicilia: “Io – disse – l’aeroporto di Palermo lo intitolerei ad Archimede o ad altre figure della scienza, positive. Così è una scelta di marketing sbagliataâ€. Si suppone che oggi per Micciché intitolare l’aeroporto di Malpensa a Berlusconi sia invece una scelta di marketing giusta.

Data articolo: Sun, 07 Jul 2024 14:21:49 +0000

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