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Milano

Mani pulite 30 anni dopo. Contro il revisionismo

Saggio di Gianni Barbacetto pubblicato in «Bibliomanie. Letterature, storiografie, semiotiche», 56, no. 10, dicembre 2023

Operazione politica?

Mani pulite fu una inchiesta – o meglio, una serie di inchieste – che partì nel febbraio 1992 da una piccola indagine su una tangente da 7 milioni di lire che poi, come nel gioco del domino, si allargò mazzetta dopo mazzetta e portò alla luce un pervasivo e gigantesco sistema della corruzione. Si scoprì che ogni esborso di denaro pubblico per appalti e servizi che usciva dalle casse dello Stato e delle amministrazioni pubbliche era “tassato†con una percentuale che veniva segretamente incassata e spartita dai partiti. I loro segretari amministrativi centrali e i cassieri locali gestivano in maniera riservata, ma organizzata, tutto il sistema.

L’inchiesta ebbe effetti politici: l’implosione di cinque partiti che avevano fatto la storia dell’Italia (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) e la nascita di un nuovo sistema dei partiti. Ma il cambiamento avvenne per via elettorale, non giudiziaria. E poté maturare – senza alcuna macchinazione o complotto – grazie a un insieme di concause.

Innanzitutto l’abilità investigativa dell’ex poliziotto Antonio Di Pietro, il magistrato che iniziò le indagini a Milano, e i cambiamenti del nuovo Codice di procedura penale del 1989 che aveva affidato ai pm la direzione delle inchieste e la guida della polizia giudiziaria.

Su scala più grande, fu determinante la diminuzione della disponibilità di denaro pubblico da destinare agli appalti e dunque l’assottigliarsi dei margini per le mazzette: questo rese il sistema più fragile e gli imprenditori più disponibili a denunciare i politici che continuavano a chiedere tangenti in cambio di vantaggi sempre meno lucrosi. Nei primi anni Novanta, in Italia il deficit supera il 10 per cento del Pil; il debito pubblico si assesta sopra il 100 per cento; la lira, sotto attacco sui mercati, barcolla; il tasso d’interesse sui titoli di Stato supera il 12 per cento. Sono i nodi arrivati al pettine della politica dei governi italiani degli anni Ottanta, fatta di spesa pubblica allegra, gonfiata oltretutto dal peso delle tangenti: è questo il sistema che fu chiamato Tangentopoli; è questo il quadro economico che rese possibile Mani pulite.

Il 7 febbraio 1992 il governo di Giulio Andreotti aderisce al Trattato di Maastricht: l’Italia accetta i primi vincoli europei che rendono più difficile la spesa pubblica e il debito, e dunque anche le relative tangenti. L’arresto a Milano dell’amministratore socialista Mario Chiesa, che segna l’avvio di Mani pulite, avviene esattamente dieci giorni dopo, il 17 febbraio.

Mentre i cambiamenti economici dettavano le loro regole, nella società italiana si era intanto diffusa una dilagante insoddisfazione nei confronti dei partiti, del loro strapotere, della loro occupazione e spartizione delle istituzioni che avrebbero dovuto servire, della corruzione e impunità di cui era sospettato il sistema politico (ben prima di Mani pulite, le barzellette e le vignette satiriche sui “socialisti ladri†erano diventate fenomeno di costume).

Era profondamente cambiato anche il quadro geopolitico: la caduta del muro di Berlino aveva posto fine alla Guerra Fredda e al mondo diviso in due blocchi. Dunque l’Italia, Paese di confine tra i due blocchi, in cui la classe politica di governo era inamovibile e improcessabile per motivi geopolitici, entra in una fase nuova in cui il sistema politico diventa più flessibile.

Ecco dunque verificarsi nei primi anni ’90 del Novecento la congiunzione astrale di fattori soggettivi, giudiziari, economici, sociali, culturali, politici e geopolitici che rendono possibile il decollo delle indagini sulla corruzione. Una parte della magistratura le aveva già tentate, gli scandali politici si erano susseguiti anche negli anni precedenti, ma senza risultati rilevanti. I pochi magistrati che si erano messi in moto, a partire dai cosiddetti “pretori d’assaltoâ€, avevano dovuto limitarsi a investigare singoli episodi senza poter cogliere il carattere sistemico della corruzione; o erano stati costretti a fermarsi dinanzi ai meccanismi di reazione di un sistema politico-giudiziario ancora potente, che poteva contare su una Procura di Roma pronta ad avocare le indagini sulla politica e sugli insabbiamenti in quello che venne chiamato “il porto delle nebbieâ€.

Per qualche anno invece, a partire dal 1992, saltano le barriere protettive, le inchieste si moltiplicano in tutto il Paese e riescono a decifrare quello che non era un insieme di casi isolati e slegati fra loro, ma un sistema organico, organizzato e pervasivo di regolazione dei rapporti tra imprese e politica e di sotterranea spartizione di risorse tra i partiti. Poi furono non i giudici nei processi, ma gli elettori nelle urne, a far saltare il sistema dei partiti della cosiddetta Prima Repubblica, ormai screditati. Sorsero o si affermarono nuove forze politiche (la Lega Nord, la Rete, poi Forza Italia) e la classe dirigente del Paese fu costretta a cambiare (almeno in parte, almeno in apparenza) il quadro politico. Colui che più ne beneficiò fu il più abile figlio dell’Ancien Regime della Prima Repubblica, Silvio Berlusconi, grazie alle sue capacità imprenditoriali, ma anche mimetiche e trasformistiche, agevolate dal suo strapotere mediatico e pubblicitario.

Il nuovo sistema politico, dopo un primo ringraziamento alla magistratura per la sua azione di rinnovamento (presente nei discorsi di Berlusconi all’insediamento del suo governo nel 1994) provvide ad alzare nuove barriere protettive contro una magistratura autonoma e indipendente dalla politica e forte delle regole costituzionali dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e dell’obbligatorietà dell’azione penale. Nasce qui quella che è stata chiamata la “guerra tra magistratura e politicaâ€: una narrazione che tenta di nascondere l’eterna (e perfino comprensibile) pulsione della politica a non essere soggetta al controllo di legalità.  

Toghe rosse

L’argomento più forte per cercare di dimostrare che Mani pulite sia stata un’operazione politica è quello che sostiene che le inchieste abbiano annientato i partiti di governo (soprattutto Psi e Dc) e “salvato i comunistiâ€.

A guardare i fatti, i “comunisti†non sono stati affatto salvati: il primo “politico puro†arrestato a Milano da Mani pulite, dopo il socialista Mario Chiesa che era un amministratore a capo di un ricovero per anziani, fu il pidiessino ex Pci Epifanio Li Calzi, assessore comunale all’Edilizia. Dopo di lui, finì in carcere o sotto indagine l’intera dirigenza del Pds milanese (il partito erede del Pci): i “cassieri†occulti Luigi Carnevale e Sergio Soave, il segretario provinciale Roberto Cappellini, l’ex vicesindaco Roberto Camagni, l’assessore Massimo Ferlini, il segretario provinciale Barbara Pollastrini, il parlamentare Gianni Cervetti (gli ultimi due furono poi assolti).

Le indagini giunsero fino a Roma, al tesoriere nazionale del partito, Marcello Stefanini, e al responsabile del patrimonio immobiliare, Marco Fredda. Furono arrestati e condannati il funzionario del partito Primo Greganti e il responsabile del settore energia Giovanni Battista Zorzoli. Il pool Mani pulite indagò anche sulle coop rosse, sugli uomini del Pds dentro Enel e quelli coinvolti nel grande business dell’Alta velocità. E tentò d’indagare anche su una misteriosa valigia piena di soldi che Raul Gardini, il numero uno di Enimont, aveva portato – secondo alcune testimonianze – nella storica sede del Pci di via delle Botteghe Oscure a Roma. I magistrati non riuscirono però a individuare il destinatario, anche per la morte dei principali protagonisti della vicenda.

Le indagini ricostruirono un sistema in cui i partiti di governo partecipavano direttamente alla spartizione delle tangenti, mentre il Pci-Pds era finanziato attraverso una quota degli appalti pubblici assegnati alle cooperative rosse che poi finanziavano, perlopiù legalmente, il partito. Tranne a Milano, dove la corrente “migliorista†del Pci-Pds era entrata a pieno titolo nel sistema delle mazzette con, appunto, i “cassieri†Carnevale e Soave; e in alcuni sistemi nazionali come quelli dell’energia e dell’Alta velocità.

Il record di avvisi di garanzia spettò al cassiere della Dc, Severino Citaristi, che riceveva i finanziamenti illegali per il maggior partito italiano. Il Psi apparve più colpito da Mani Pulite perché il suo segretario, Bettino Craxi, risiedeva e operava a Milano (sotto la competenza diretta di quella Procura, diversamente dai segretari degli altri partiti, con base a Roma) e perché gli imprenditori e i cassieri di area socialista si rivelarono i più disponibili a confessare, rendendo più facili le indagini. Inoltre, il Psi era strutturato diversamente dal Pci-Pds, aveva (si direbbe in gergo calcistico) la “panchina cortaâ€: rispetto a Pci e Dc era meno compartimentato, privo di filtri organizzativi tra i cassieri dei finanziamenti illeciti e il segretario nazionale. Craxi, secondo i racconti di testimoni ritenuti attendibili, si rivelò l’unico segretario di partito a cui i denari venivano in alcune occasioni consegnati direttamente, dentro grandi buste gialle portate nel suo ufficio milanese, in piazza Duomo 19.

Gli abusi di Mani pulite

I numeri di Mani pulite sono notevoli. La sola Procura di Milano aprì fascicoli su 4.520 persone, per 3.200 chiese il rinvio a giudizio (perlopiù per reati di corruzione, concussione, ricettazione, illecito finanziamento ai partiti), per 1.320 posizioni trasmise il fascicolo ad altre Procure. Per 609 persone arrivò una “condanna†già del giudice dell’udienza preliminare (con rito abbreviato o per patteggiamento), 390 posizioni si esaurirono davanti al gup per prescrizione o per estinzione del reato. Il Tribunale giudicò 1.075 persone. Ne condannò 645; altre 430 furono prosciolte, ma solo 161 con un’assoluzione nel merito, 269 per estinzione del reato, di cui 243 per prescrizione, istituto giuridico che in Italia salva molti imputati dalla condanna. 

I critici di Mani pulite hanno allineato negli anni molte accuse ai magistrati che hanno condotto l’inchiesta. Le più ricorrenti sono l’abuso della carcerazione preventiva, usata – dicono alcuni – per far confessare gli indagati e addirittura come una forma di tortura. L’analisi delle inchieste sembra smentire queste accuse. Si era creato nel Paese un clima di consenso entusiasta per le indagini anticorruzione. Sui muri della città comparvero scritte inneggianti ai pm del pool: «Grazie Di Pietro», «Davigo, Colombo, andate fino in fondo». Il tema «Mani pulite» ispirò fiaccolate, feste in discoteca, t-shirt, gadget. Le tradizionali luci natalizie in corso Buenos Aires, la via dello shopping milanese, nel 1993 furono aperte da una scritta inneggiante a Di Pietro. Un clima festoso, nient’affatto greve, con – secondo i sondaggi di quegli anni – la stragrande maggioranza dei cittadini, di destra e di sinistra, che sosteneva Mani pulite, nella convinzione che la legge fosse diventata davvero uguale per tutti e nella speranza che fosse l’inizio di un rinnovamento duraturo della politica.

Questo clima psicologico favoriva le confessioni, le testimonianze spontanee, le chiamate di correo. Le carcerazioni preventive furono lunghe soltanto per alcuni indagati. Di certo la decisione di mandarli in carcere veniva presa non dai sostituti procuratori del pool di Mani Pulite, ma dai giudici delle indagini preliminari (i gip), come previsto dalla legge e seguendo il codice di procedura penale. Quanto alle confessioni, molti degli indagati le rendevano senza essere arrestati o ancora prima che scattassero le manette ai loro polsi («Cominciavano a parlare già al citofono», ricorda ironico l’allora pm Piercamillo Davigo).

Se una percentuale di indagati finiva in carcere, ciò accadeva perché i gip lo decidevano non in modo discrezionale, ma secondo quanto stabilito dalla legge: per impedire che la persona indagata potesse fuggire, o reiterare il reato, o inquinare le prove, intimidendo testimoni o concordando versioni di comodo o distruggendo documenti. Chi confessava veniva rimesso in libertà perché erano cadute le esigenze cautelari: non poteva più né ripetere il reato, né inquinare le prove, avendo reciso il vincolo di omertà che lega corrotto e corruttore ed essendosi dunque reso inaffidabile agli occhi dei complici. Riassume Davigo: «Non li mettevamo dentro per farli parlare, ma li mettevamo fuori dopo che avevano parlato. Come prevede la legge».

Alcuni indagati si tolsero la vita. Quello dei suicidi è un argomento drammatico, perché mette di fronte a una scelta estrema e irrevocabile. Si tolsero la vita (da indagati, ma non in carcere) il segretario del Psi di Lodi Renato Amorese, il deputato socialista Sergio Moroni, l’imprenditore Raul Gardini. Morì in carcere, invece, il presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, di cui il pool Mani pulite aveva già deciso la scarcerazione, ma che fu trattenuto in cella da altri magistrati per una diversa indagine, quella sulla tangente Eni-Sai (in cui, post mortem, risultò certamente coinvolto), e non per estorcergli confessioni, ma perché stava cercando di inquinare le prove, mandando a dire ai coimputati di non raccontare quanto sapevano. Amorese, in una lettera ai familiari, spiegò la sua drammatica scelta con il fatto di non riuscire a reggere la vergogna di leggere il suo nome nelle cronache di Tangentopoli. Scrisse una lettera anche a Di Pietro: «La ringrazio per la sensibilità, pur nella rigorosità giusta delle sue funzioni».

Anche Moroni lasciò una lettera, in cui non se la prendeva con i magistrati, ma con i compagni del Psi che l’avevano emarginato e isolato. Uno di loro, Loris Zaffra, poi raccontò: «Con Moroni ne avevamo discusso la scorsa estate. Aveva molto sofferto per il cordone sanitario che gli era stato fatto attorno. Tangentopoli ha messo a nudo, oltre al giro delle tangenti, la slealtà dei rapporti politici. Sei stato arrestato? Peccato per te, entri nel cesto delle mele marce. Gli altri, che con te hanno diviso errori e responsabilità, si girano dall’altra parte. Inaccettabile».

Dopo la morte di Moroni, Bettino Craxi commentò: «Hanno creato un clima infame». Il coordinatore del pool Gerardo D’Ambrosio, addolorato ma duro, replicò: «Il clima infame l’hanno creato loro. Noi ci siamo limitati a scoprire e perseguire fatti previsti dalla legge come reati. Poi c’è ancora qualcuno che si vergogna e si suicida». E Davigo: «Le conseguenze dei delitti devono ricadere su chi li ha commessi, non su chi li ha scoperti».

Il complotto

È ricorrente anche il tentativo di spiegare l’indagine Mani pulite come un complotto internazionale ai danni del sistema politico ed economico italiano. Ordito dai “poteri fortiâ€, dalla Trilateral, dalla Cia, dagli americani che volevano mettere fine alla Prima Repubblica, dal potere economico che voleva impossessarsi delle aziende di Stato italiane.

Ad attenersi ai fatti, la verità storica appare molto più prosaica. Nel biennio 1992-93 l’Italia vive una grande trasformazione politica ed economica, nel contesto della profonda mutazione geopolitica internazionale (la fine della Guerra Fredda e del mondo diviso in due blocchi). È possibile che molti poteri, italiani e non, abbiano cercato di incunearsi in questa svolta storica per provare a pilotarla secondo i propri interessi: la massoneria tenta di sostituirsi ai partiti morenti; l’organizzazione mafiosa Cosa nostra va a caccia di nuovi referenti politici e tratta a suon di stragi nuovi equilibri con lo Stato; le centrali economiche internazionali provano a influire sulla metamorfosi del sistema italiano; alcuni imprenditori portano a casa a prezzi di saldo servizi, infrastrutture e pezzi pregiati dell’industria di Stato. Ma è difficile individuare in tutto ciò un complotto.

Gli Stati Uniti, molto attenti a ciò che accade in casa nostra fin dal dopoguerra, hanno certamente tenuto sotto osservazione l’evoluzione italiana, ma con maggiore distacco rispetto a prima, quando il nostro Paese era terra di confine tra i due blocchi, scattavano “strategie della tensione†e la Dc era blindata al governo e improcessabile. Dopo l’implosione dell’impero sovietico, gli Usa allentano la presa, lasciano che l’Italia segua il suo destino. Anche per questo le indagini di Mani pulite possono decollare.

Fango e servizi

L’operazione di denigrazione delle indagini di Mani pulite è tutt’uno con la messa sotto accusa del suo principale protagonista, il magistrato Antonio Di Pietro. È stato attaccato con potenti campagne mediatiche e con decine di inchieste giudiziarie. È stato indagato in lungo e in largo, per anni, senza che sia stato trovato un solo elemento di rilievo penale a suo carico. La Procura di Brescia, imbeccata dalle denunce degli inquisiti a Milano, ha aperto un’infinità di procedimenti sul suo conto, a cui il diretto interessato si è disciplinatamente sottoposto, dopo essersi dimesso prima dalla magistratura e poi da ministro dei Lavori pubblici. Da tutti i procedimenti è uscito prosciolto con formula piena.

Quello che resta è il fango che è stato messo in circolo in una campagna politica e mediatica durata anni e che alla fine è riuscita a raggiungere l’obiettivo di appannare l’immagine dell’uomo che nel 1992-93 era considerato «l’eroe di Mani Pulite», beatificato da gran parte della stampa nazionale e internazionale e della tv con toni enfatici e agiografici oltre ogni limite: quasi fosse un santo, veniva chiamato «la Madonna» e perfino il suo linguaggio popolano, pieno di anacoluti e avaro di congiuntivi, era lodato come «dipietrese». Poi, quando il vento cambiò, Di Pietro divenne un villico illetterato, arruffone e spregiudicato.

Può essere che qualche suo comportamento (alcune frequentazioni, un prestito ottenuto da un amico imprenditore) possa essere considerato inopportuno o poco rigoroso. Ma questo non inficia minimamente il suo lavoro di magistrato né riduce di un millesimo la colpevolezza degli inquisiti che ha scoperto e che poi i giudici hanno condannato. Nessun reato è stato trovato a suo carico in anni di lavorio mediatico-spionistico spiegabile soltanto con la voglia di vendetta di chi aveva perso il potere a causa delle indagini da lui iniziate.

C’è, più in generale, una voglia di vendetta contro Mani pulite, che si manifesta nei tentativi di riscriverne la storia, di rimpiangere e rivalutare la Prima Repubblica e il sistema di Tangentopoli, di additare i magistrati come eterni nemici della politica. Senza aver fatto davvero i conti con Mani pulite in modo sereno e oggettivo, gran parte della politica ha operato nei 30 anni successivi per tentare di ridurre, a suon di riforme (o “controriformeâ€) della giustizia, il controllo di legalità della magistratura sulla politica. Più che allo «scontro tra magistratura e politica», da tre decenni assistiamo al tentativo della politica di liberarsi dal pericolo che le indagini giudiziarie (ormai condotte da una parte sempre più limitata della magistratura, e con sempre minori strumenti) possano scoprire le robuste quote di illegalità presenti nelle classi dirigenti italiane.

Data articolo: Mon, 13 Jan 2025 15:44:34 +0000

San Siro

Il 2025 a Milano. Sarà l’anno dello stadio (e dei nodi al pettine)

È iniziato il 2025, anno VI (sesto) del tira-e-molla di Giuseppe Sala sullo stadio di San Siro. Sarà l’anno buono, dice il sindaco: quello in cui Milan e Inter compreranno il Meazza a prezzo di saldo, si prepareranno ad abbatterlo e a costruire il loro nuovo stadio sul terreno comunale oggi occupato da un parco.

Tutto cominciò il 10 luglio 2019, quando le due squadre presentarono in Comune il “Progetto Stadio di Milanoâ€. La vicenda subì un’accelerazione nell’autunno 2021: come primo atto dopo la rielezione, Sala annunciò di aver accettato la proposta dei due club di abbattere il Meazza e di costruire un nuovo impianto, con un paio di grattacieli annessi, ossia l’operazione immobiliare (torre a uffici e mega-centro commerciale) con cui si ripagano lo stadio nuovo.

Cominciò una trattativa da mercato dei tappeti, in cui i club chiedevano mille (volumetrie da mani sulla città) per ottenere cento. Una partita a poker giocata sul bluff: se il sindaco non ci dà quello che vogliamo, andiamo a farci lo stadio altrove (e con quali soldi, che le squadre non hanno?). Poi la Soprintendenza dice quello che tutti sapevano fin dall’inizio, è cioè che compiuti i 70 anni il Meazza non può essere abbattuto.

Allora Sala cambia rotta in tre nanosecondi e diventa il più appassionato sostenitore (con Webuild) della ristrutturazione del Meazza, che per anni aveva detto impossibile. A settembre 2024, la svolta: la Soprintendenza cambia – non si sa come e perché – parere e dice che il Meazza si può buttar giù. Cambia subito bandiera anche Sala, che dimentica la ristrutturazione e torna a tifare per l’abbattimento. Dopo la vendita del Meazza e dei terreni attorno a un prezzo (197 milioni di euro) indicato sì dall’Agenzia delle entrate, ma ridicolo per la Scala del calcio e un’area di pregio su cui realizzare un’operazione immobiliare miliardaria.

Con in più la beffa: il prezzo sarà ulteriormente scontato per le bonifiche che saranno fatte formalmente a carico del Comune. Il glorioso Meazza, che poteva essere riqualificato e modernizzato (lo provano i tre progetti Aceti-Magistretti, Fenyves, Roj), sarà abbattuto. Il Comune non avrà più le entrate annuali che il Meazza generava. Sala svenderà un bene-icona della città. Dopo aver venduto il Palazzo dello Sport (diventato Palazzo delle Scintille) e aver tentato di demolire anche il Vigorelli, perché non aveva 200 mila euro all’anno per la manutenzione.

Come non ha i soldi per mettere a posto la Palazzina Liberty, la piscina Scarioni, il Lido, la pista di pattinaggio Agorà. Eppure trova 20 milioni per comprare La Maura, già in gran parte vincolata a parco, con la promessa di lasciarla a parco: dopo aver permesso la distruzione del vicino Parco dei Capitani su cui sorgerà il nuovo stadio.

Sala proclama: “L’interesse pubblico deve fare i conti con la sostenibilità economica di chi è proprietario delle due squadre milanesiâ€. Una dichiarazione davvero furba per andare a trattare con le due squadre milanesi. Una resa totale e preventiva ai fondi americani che controllano (per ora) Milan e Inter. E che potranno vendere subito dopo aver firmato l’operazione immobiliare miliardaria. Sala, ovvero il Comune, ovvero i milanesi (anche chi tifa Toro o Salernitana o odia il calcio), stanno regalando il nuovo stadio alle due squadre. “Io non voglio guadagnarci nienteâ€, dice Sala: come se il Meazza fosse suo. Non è un danno erariale, questo?

Anno cruciale, sì, il 2025. Per ciò che accadrà a San Siro, con i comitati cittadini che promettono battaglia; per ciò che succederà a Palazzo di giustizia sulle inchieste urbanistiche e in Senato sulla salva-Milano (pardon, salva-abusi); per come andranno il trasporto pubblico e i conti Atm, zavorrati dall’inutile acquisto delle quote di M4; per le proteste che crescono sui prezzi delle case e sulla mancanza di abitazioni a prezzi decenti. Buon anno a tutti.

Data articolo: Mon, 13 Jan 2025 15:09:56 +0000

Urbanistica

A che punto è la salva-Milano. I contrari nel Pd, i dubbiosi in FdI

La buona notizia è che la salva-Milano è scesa dall’Alta Velocità. Non è stata votata a scatola chiusa anche in Senato entro il 2024, come pretendevano il sindaco di Milano e la lobby dei costruttori. La cattiva notizia è che, pur imbarcata su un Intercity o su un treno per pendolari, chi l’ha promossa vuole a tutti i costi farla arrivare a destinazione.

Era partita come sanatoria valida per il passato, per tentare di cancellare con un bel colpo di spugna le inchieste aperte dalla Procura di Milano su edifici costruiti contra legem in città, grattacieli tirati su con un’autocertificazione, palazzine edificate dentro i cortili, nuove costruzioni fatte passare per “ristrutturazioniâ€, torri innalzate senza piano attuativo che calcoli e faccia pagare ai costruttori i servizi dovuti per legge ai cittadini.

Poi la salva-Milano era stata trasformata (per imposizione di Giuseppe Sala) in “legge d’interpretazione autenticaâ€, valida per sanare il passato ma anche per scassare il futuro urbanistico in tutta Italia e per sempre. Passata alla Camera come un Frecciarossa, è stata poi rallentata dalle proteste dei cittadini e dagli interventi degli esperti, tra cui i 140 professori, urbanisti, giuristi, che nel loro appello rivolto ai senatori hanno spiegato che la salva-Milano non avrebbe salvato Milano, ma avrebbe condannato l’Italia, sfasciato le regole per costruire e impoverito i Comuni italiani.

A questo punto sono cresciuti i dubbi, tra i parlamentari e dentro i partiti. In Fratelli d’Italia ci sono esponenti che hanno capito i danni che sarebbero procurati alle città e alle casse municipali; e altri che non vogliono fare un regalo al sindaco, perché, come ha detto il presidente del Senato Ignazio La Russa, la proposta di legge numero 1309 non è “salva-Milanoâ€, ma “salva-Salaâ€.

Roberto Morassut, Pd: “Approvare con delle procedure così semplificate delle trasformazioni urbane così importanti non è accettabile. Oltre certi limiti la semplificazione delle procedure diventa dittatura urbanaâ€

È nel Partito democratico che il dibattito è ora più vivace. Gli argomenti dei 140 professori (e i timori di danneggiare il corretto sviluppo delle città e di varare una norma che potrebbe essere incostituzionale) hanno convinto molti dem. La legge “non è una priorità†per Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato. Per il deputato Roberto Morassut “approvare con delle procedure così semplificate delle trasformazioni urbane così importanti non è accettabile. Oltre certi limiti la semplificazione delle procedure diventa dittatura urbanaâ€.

Malgrado Sala sia arrivato fino a minacciare le dimissioni da sindaco, il viaggio della legge è molto rallentato. Probabile a questo punto che al Senato siano introdotte delle modifiche al testo licenziato dalla Camera, con la necessità di un nuovo passaggio a Montecitorio. Ma come scenderà dal treno la salva-Milano? Come sarà trasformata?

C’è il partito trasversale dell’“interpretazione autenticaâ€, messa a punto tra Giuseppe Sala e Matteo Salvini, che continua a puntare sull’approvazione così com’è, mettendo insieme i voti di una parte della destra, di una parte del Pd, dei centristi di Italia viva e di Azione. Qualcuno, anche dentro il Pd, sostiene di voler ancorare l’approvazione a una legge di riordino dell’intera materia urbanistica: è una falsa promessa, perché tutti sanno che una volta portato a casa il “risultato†sarà impossibile tornare indietro.

C’è poi il partito della “riduzione del dannoâ€, che punta a introdurre correttivi per evitare almeno gli aspetti più devastanti della legge. Per il dem Pierfrancesco Majorino “deve essere una misura di emergenzaâ€. Necessaria “di fronte al fatto che si è creato caos interpretativo nella normeâ€: ma così non è, le leggi sono chiare, solo il “rito ambrosiano†le ha aggirate a colpi di delibere e circolari. “L’amministrazione comunale ha agito in buona fedeâ€: non è un grande argomento davanti a un giudice. “C’è la necessità di tutelare le famiglie che hanno investitoâ€: gli incolpevoli acquirenti sono stati già tutelati anche dai giudici intervenuti finora. E allora, è davvero possibile “ridurre il dannoâ€? E come? Tornando alla sanatoria per il passato?

Data articolo: Wed, 08 Jan 2025 18:55:43 +0000

Strage di Bologna

Bellini esecutore, Gelli finanziatore. Le motivazioni dell’ultima sentenza sulla strage di Bologna

di Gianni Barbacetto e Sarah Buono /

Ecco un altro tassello di verità sulla strage di Bologna: le motivazioni della sentenza d’appello che ha condannato all’ergastolo il neofascista Paolo Bellini aggiunge elementi sugli esecutori neri, sui finanziatori (Licio Gelli), sugli uomini dello Stato che hanno coperto e depistato. Bellini, militante di Avanguardia nazionale e informatore dei carabinieri, fa parte “senza ombra di dubbio alcuno†del commando terroristico che eseguì la strage del 2 agosto 1980.

La sua presenza in stazione “era finalizzata o a trasportare, consegnare e collocare quantomeno parte dell’esplosivo†o almeno a fornire un “supporto logistico a coloro che l’esplosivo lo hanno portato e collocatoâ€. “Nella piena consapevolezza†che nella sala d’aspetto sarebbe stato fatto esplodere l’ordigno che uccise 85 persone e ne ferì altre 200.

Bellini è dunque tra gli esecutori materiali della strage, in concorso con gli altri terroristi già condannati all’ergastolo in via definitiva, Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, e con Gilberto Cavallini condannato in appello. Mandanti, organizzatori e finanziatori il capo della loggia P2 Licio Gelli, il suo sodale Umberto Ortolani, l’ex capo del servizio segreto civile Federico Umberto D’Amato, il giornalista del Borghese e parlamentare del Msi Mario Tedeschi, tutti indagati quando erano già deceduti.

Confermate in appello anche le condanne a Piergiorgio Segatel (6 anni per depistaggio), ex capitano dei carabinieri, e a Domenico Catracchia (4 anni per false informazioni al pm ai fini di sviare le indagini), ex amministratore di condomini, per conto dei servizi segreti, in via Gradoli, a Roma, dove trovarono ospitalità alcuni dei neofascisti coinvolti nella strage di Bologna, ma anche alcuni brigatisti rossi protagonisti del caso Moro.

Strage politica, quella del 2 agosto, realizzata all’ombra della P2 per destabilizzare lo Stato democratico. Questo non toglie che “alcuni degli esecutori materiali (come Sergio Picciafuoco e Paolo Bellini) potrebbero aver agito anche perseguendo soltanto un rilevante compenso economico nonché continuare ad avere coperture e protezione ad opera di apparati deviati dello Stato, coperture e protezioni pacificamente acclarate in favore di Paolo Bellini, sia prima che dopo la Strage di Bolognaâ€.

“È provato†che Picciafuoco, mai condannato per la strage e morto nel 2022, era in stazione, quel giorno. Come Bellini, filmato in Super 8 da un inconsapevole turista tedesco, Harald Polzer, “pochi minuti dopo l’esplosione†avvenuta alle 10.25. “È provato†che Marco Ceruti, factotum di Licio Gelli “consapevole finanziatore della strage di Bolognaâ€, era invece a Roma il 30 e il 31 luglio 1980, quando consegnò “al Fioravanti e alla Mambro (o a un loro emissario) il compenso in denaro pattuito per commettere la strageâ€.

Bellini è stato riconosciuto nel video dall’ex moglie, Maurizia Bonini, che ha anche smontato il falso alibi che aveva per anni confermato. È lui la persona dai capelli ricci ritratta nel Super 8 sul marciapiede del primo binario della stazione. I giudici d’appello ricordano che Bellini “era un infiltrato nella mafia per conto di apparati istituzionali†e che nel 1991-92 “si recò in Sicilia per incontrare Antonino Gioè, corresponsabile della strage di Capaciâ€. (Il Fatto quotidiano, 8 gennaio 2025)

Un altro colpo al pantheon nero di Giorgia Meloni

I processi per le stragi italiane – e quella di Bologna più di tutte – finiscono ogni volta per riaprire l’album di famiglia della destra italiana, quella che oggi è arrivata al governo. Con il fascismo storico, Giorgia Meloni ha regolato i conti ripetendo di non aver “mai provato simpatia o vicinanza nei confronti dei regimi antidemocraticiâ€, “fascismo compreso†(salvo qualche busto di Mussolini nel salotto del presidente del Senato).

È con il neofascismo che è invece più complicato fare i conti: con la storia italiana del dopoguerra, fatta di bombe e strategie della tensione, gruppi armati e rapporti con i servizi segreti. Del resto, Fratelli d’Italia indica tra i suoi “padri†Giorgio Almirante e Pino Rauti.

Quest’ultimo, fondatore di Ordine nuovo, è uno dei protagonisti della destra neofascista italiana: a Ordine nuovo (ma dopo l’uscita di Rauti) sono addebitate le stragi di piazza Fontana a Milano e di piazza della Loggia a Brescia. Ed è Almirante in persona che fa arrivare 34.650 dollari, attraverso l’avvocato missino Eno Pascoli, a Carlo Cicuttini, uno dei responsabili della strage di Peteano (tre carabinieri uccisi) per finanziare e proteggere la sua latitanza in Spagna.

I fili tra presente e passato restano tenaci. Flaminia Pace, che dopo l’inchiesta di Fanpage sui riti fascisti e antisemiti che sopravvivono dentro Fratelli d’Italia si è dimessa dal consiglio di Gioventù nazionale, è figlia di Corrado Pace, in rapporti con Francesca Mambro e Valerio Fioravanti (condannati definitivi per la strage di Bologna), ma soprattutto, da figlia, ha continuato a vantarsi dei legami del padre con i due terroristi dei Nar.

Il direttore del settimanale Il Borghese, Mario Tedeschi, è il senatore missino della destra “moderata e in doppio pettoâ€, ma la sentenza Bellini di primo grado lo indica come colui che ha l’incarico di gestire la “comunicazione†dopo la strage di Bologna, in coppia con Federico Umberto d’Amato, la superspia dell’Ufficio Affari Riservati.

Storie vecchie? Ma che giungono fino a noi, se è vero che nel gennaio del 2019 i camerati organizzano una bicchierata fascista in sostegno di Gilberto Cavallini, condannato per la strage di Bologna in primo e secondo grado. L’organizzatore della simpatica bicchierata è Fabrizio Piscitelli detto Diabolik, capo ultrà della Lazio e trafficante di droga, che nell’agosto 2019 sarà ucciso in un agguato a Roma. In un messaggio vocale dice: “Aperitivo tra camerati più tardi, daje. Tutti presentiâ€.

Gli risponde Paolo Signorelli, portavoce del ministro dell’Agricoltura di Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida: “Io vado via oggi e domani, ci vediamo domani a pranzo tra camerati e lazialiâ€. “Certo però manda un po’ di camerati perché è una raccolta fondi. È importanteâ€, ribatte Diabolik. “Gilberto?â€, chiede Signorelli, alludendo a Cavallini. “Bravo, bravo, daje, passa parolaâ€, raccomanda Diabolik. “Ok è un fratello di famigliaâ€.

Uno dei messaggi tra Diabolik e Signorelli toglie ogni dubbio: “Onore a nonno, Tuti, Concutelli, Giusva, Ciavardiniâ€. “Nonno†è il suo omonimo Paolo Signorelli, tra i fondatori di Ordine nuovo, condannato a 11 anni per banda armata e associazione sovversiva. Mario Tuti, Pierluigi Concutelli, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini sono tutti terroristi neri.

L’album di famiglia dei figli, fratelli e nipoti d’Italia non lo è soltanto in senso ideologico. Il Paolo Signorelli che lavorava con Lollobrigida è nipote del Paolo Signorelli ideologo del neofascismo. La senatrice di Fratelli d’Italia Isabella Rauti è figlia di Pino Rauti. È questa la “comunità politica†da cui Giorgia Meloni rivendica orgogliosamente di provenire. (Il Fatto quotidiano, 9 luglio 2024)

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Data articolo: Wed, 08 Jan 2025 18:19:32 +0000

Milano

Perché non voterò Giuseppe Sala sindaco alle elezioni del 15 giugno 2016

(Articolo pubblicato sul Fatto quotidiano nel giugno 2016)

Spiego ai miei venti lettori (gli altri sono impegnati a insultare e a darmi del fascista) perché io non posso votare Giuseppe Sala alle elezioni comunali del 15 giugno 2016. Quella che la mia amica Rita chiama “ossessione†è semplicemente coerenza. I motivi che rendono Sala inadeguato a gestire il bene comune e il denaro dei cittadini li ho allineati quando era soltanto l’amministratore di una società pubblica (Expo spa). Dovrei cambiare idea solo perché ora ha indossato una casacca di partito ed è il candidato sindaco di una parte politica? Scusatemi, ma non posso.

Da amministratore di Expo ha tenuto comportamenti inaccettabili, che se ripetesse da sindaco sarebbero gravissimi.

1. Non ha comunicato con trasparenza i dati dei visitatori nei primi mesi dell’esposizione universale (quando erano sotto le previsioni), usando scuse buffe come quelle del caldo che avrebbe messo fuori uso i computer che controllavano gli ingressi. Non ha comunicato per mesi neppure le cifre del bilancio, sostituite con dati incompleti e ancor oggi difficilmente interpretabili. Sarebbe intollerabile una simile mancanza di trasparenza da parte del sindaco di Milano, che ha a che fare con un bilancio non da 800 milioni, come Expo, ma da 5 miliardi.

2. I suoi più stretti collaboratori sono stati coinvolti in brutte vicende giudiziarie, alcuni sono stati indagati, altri addirittura arrestati e condannati. Lui non si è accorto di niente. Come farà a garantire che la cosa non si ripeta a Palazzo Marino? È evidentemente inadatto a guidare la ben più complessa macchina del Comune di Milano.

3. Ha gestito gli appalti di Expo con grande spregiudicatezza. Per poter affidare grandi incarichi senza gara, li ha frazionati in piccoli incarichi concessi alla stessa azienda. Ha assegnato senza gara anche l’appalto per scegliere i 120 ristoratori che si sono avvicendati nella zona ristorante di Expo, sostenendo che solo la persona a cui lo ha affidato (Oscar Farinetti, amico di Matteo Renzi) è in grado, per la sua “unicitàâ€, di sceglierle bene. Ha aggirato l’ostacolo di avere, come amministratore delegato, un autonomo potere di spesa fino a una certa cifra (10 milioni di euro), frazionando gli incarichi e affidandone sette alla stessa azienda (la Mantovani), che nell’arco di due mesi ha ottenuto lavori per 34 milioni, più del triplo della cifra che l’amministratore delegato avrebbe potuto spendere. La scarsa trasparenza sulla obbligatoria pubblicizzazione di dati, bandi e contratti Expo è stata puntualmente rilevata dall’Anac di Raffaele Cantone, in un’incredibile e interminabile elenco di rilievi mossi alla gestione Sala. Il documento Anac del 19 dicembre 2014, è leggibile qui. Può fare il sindaco chi ha così spregiudicatamente gestito il denaro pubblico?

4. Le capacità manageriali di Sala sono state messe seriamente in dubbio da un documento interno di Expo spa, l’Audit sulla piastra, che allinea 15 osservazioni pesantemente critiche sulla gestione dell’appalto. Solo due esempi. Le irregolarità iniziano fin dalla programmazione dei lavori, avviati senza i “documenti organizzativi†previsti dal codice degli appalti. Così, scrivono gli auditor, “si è dovuto procedere con affidamenti diretti alla Mantovani per recuperare il tempo perduto, sopportando maggiori costiâ€. Alla fine, gli errori di programmazione costano cari: ci sono “atti aggiuntivi per un importo di circa 40 milioni di euroâ€. Gli alberi. Sala ha comprato (sempre dalla Mantovani) 6 mila piante, al costo di 4,3 milioni: 716 euro a pianta. Il triplo del loro costo, perché l’impresa ha comprato gli alberi in un vivaio per 1,6 milioni: 266 euro a pianta. Per saperne di più, leggi qui. Può diventare primo cittadino chi ha ha gestito così il denaro pubblico?

5. Malgrado gli allarmi ripetutamente lanciati nelle sue relazioni semestrali dal Comitato antimafia presieduto da Nando dalla Chiesa e dal presidente della Commissione comunale antimafia guidata da David Gentili, Sala si guarda bene dal far scattare controlli severi e a sorpresa nei cantieri, con gran gioia delle cosche e ulteriore lavoro per la Procura, che apre un’indagine segreta ancora in corso. Può guidare l’amministrazione chi ha così sottovalutato e ignorato il lavoro del Comitato e della Commissione antimafia?

6. Affida un incarico a un noto architetto. Per non fare una gara, usa il solito trucco: divide il lavoro in tre parti. In totale, l’incarico è di 110 mila euro. Ma non basta: a lavoro finito, l’architetto incassa ben 800 mila euro: pagati, con soldi Expo, non da Expo, ma da una società di diritto privato che ha un accordo con Expo (Fiera Milano spa). Nello stesso periodo, il medesimo architetto viene chiamato da Sala a lavorare per la sua villa al mare. Può fare il sindaco chi ha così operato in un incredibile guazzabuglio tra lavori privati e lavori pubblici?

7. In data 19 febbraio 2015, Sala firma una dichiarazione, obbligatoria ai sensi della legge sulla trasparenza. Inizia così: “Consapevole delle responsabilità e delle sanzioni penali stabilite dalla legge per le false attestazioni e dichiarazioni mendaciâ€. E si conclude così: “Sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al veroâ€. Nel documento, indica come “terreno†la sua villa a Zoagli e non dichiara: una casa a Pontresina, in Svizzera, un affare immobiliare in Romania e la quota di una società in Italia. Può fare il sindaco chi ha mentito ai cittadini?

Ecco. Questi comportamenti mi impediscono di votare Sala. Sono reati? No. Ma come ha scritto Nando dalla Chiesa, “la cultura istituzionale non è il codice penaleâ€. Sono comportamenti pieni di oscurità, opacità, ambiguità, imbarazzi, facilonerie, approssimazioni, inadeguatezze, conflitti d’interesse, ferite allo spirito pubblico, offese alla cultura istituzionale. La mia, dunque, non è un’“ossessioneâ€, ma una coerente conseguenza di quanto documentato in maniera puntigliosa e precisa. Ritengo che Giuliano Pisapia non avrebbe mai attuato uno solo di questi comportamenti e non lo avrebbe tollerato nell’ultimo dei suoi assessori e collaboratori. Perché devo far finta di non vederli in un candidato sindaco?

Non mi sento l’“ultimo dei giapponesiâ€, cari amici, semplicemente perché io non sto combattendo alcuna guerra. Scrivo le cose che vedo, per coerenza e perché questo è il mio mestiere, ma non pretendo che altri mi seguano. Ognuno deciderà con la sua coscienza. Mi rendo comunque conto che la candidatura di Sala ha già prodotto un risultato: ha abbassato a tal punto la soglia di rigore morale richiesto a un amministratore pubblico, da far accettare a tante persone per bene, come la mia amica Rita, comportamenti come quelli qui elencati, mai accettati finora e che mai sarebbero accettati in politici della squadra avversaria.

La soluzione che è stata proposta dal suo schieramento: “controllarloâ€, mettergli attorno qualcuno che garantisca per lui. Siccome non ha una storia politica di sinistra, gli mettiamo accanto Pierfrancesco Majorino, che è tanto di sinistra; siccome con gli appalti fa pasticci e con la trasparenza ha poca dimestichezza, gli affianchiamo Gherardo Colombo, come custode della legalità. E poi ancora Emma Bonino e chi sa chi altri. Mi sembra una logica cosmetica e correttiva che invece di risolvere il problema, lo conferma: se ha bisogno di protesi, forse non è il candidato giusto, no?

Ultimo, definitivo argomento che resta ai suoi sostenitori: gli altri sono peggio. Sarà anche vero, ma a me non basta per farmi “turare il nasoâ€. Alle elezioni non chiedo “il meglioâ€, non pretendo l’ideale. Mi basta il decente, il corretto. Questa volta, a mio avviso, non c’è. Peccato.

Data articolo: Tue, 31 Dec 2024 15:53:00 +0000

Urbanistica

Fact checking. Sala sulla salva-Milano (sul Foglio)

Per rimediare ai toni minacciosi e cupi delle sue precedenti esternazioni, Giuseppe Sala manda una letterina al Foglio (21 dicembre 2024) sulla Salva-Milano. Toni pacati, questa volta, grazie ai consulenti che l’hanno assistito.

  1. “Milano non ha bisogno di essere salvata, ma ha bisogno di poter agire in un ambito normativo chiaro (oggi non lo è per nulla)â€.
    Invece sono chiarissime le norme fondamentali dell’urbanistica, secondo cui un edificio d’altezza superiore ai 25 metri o di densità superiore ai 3 metri cubi per metro quadro deve essere autorizzato non con una Scia, ma con un piano attuativo che calcoli i servizi necessari per i nuovi cittadini che arrivano in zona. E non può essere considerata “ristrutturazione†una nuova costruzione senza alcuna continuità con l’edificio precedente (una torre, per esempio, edificata al posto di una piccola autorimessa). Lo hanno confermato la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato. Le delibere di giunta o le circolari comunali su cui è costruita la prassi del “rito ambrosiano†non sono fonti del diritto. La circolare ministeriale 14.4.1969 fu ritirata dallo stesso ministero perché illegittima.
  2. Le “ristrutturazioni†a Milano sono realizzate “senza volumi diversi da quelli preesistenti, cambia la forma dell’edificio ma la superficie abitabile rimane la stessaâ€.
    Falso: è stata cambiata la destinazione d’uso (da industriale o artigianale a residenziale) e i volumi sono stati ampliati eccome.
  3. “Il Comune di Milano ha attuato una politica urbanistica diretta a limitare il consumo di suolo non edificato e a promuovere il recupero degli edifici degradati esistentiâ€.
    Obiettivo fallito: è stato cementificato ogni spazio, si è costruito nei cortili, piccoli laboratori sono stati trasformati in edifici residenziali. Senza consumo di suolo? Falso: Milano ha consumato 93,54 ettari nel 2019-2020 e 19 nel 2023 (dati Ispra).
  4. “Il giudice amministrativo non ha mai (e sottolineo, mai) censurato la prassi interpretativa e applicativa seguita dal Comune di Milanoâ€.
    Falso: il Tar l’ha censurata nell’agosto 2024 richiamando “il consolidato indirizzo della giustizia amministrativa†(Tar Lombardia 18.5.2020; Consiglio di Stato 22.6.2021).
  5. “Se non lo autorizzassimo, lo sviluppatore comprerebbe un’altra area†e andrebbe a costruire altrove.
    Strana idea di città, in cui gli operatori possono fare quello che vogliono dove vogliono, senza rispetto per i diritti dei cittadini.
  6. Le “monetizzazioni degli standardâ€.
    La legge impone che gli operatori cedano al Comune le aree necessarie per realizzare i servizi. Solo in subordine possono “monetizzarleâ€, cioè dare soldi al Comune. Ma a Milano questo avviene sempre, e per di più a prezzi di saldo, un quarto del valore reale delle aree (con conseguente danno erariale).
  7. Le inchieste della Procura hanno provocato una “drastica diminuzione degli introiti per il Comuneâ€, 140 milioni nel 2024.
    Ma è invece il “rito ambrosiano†ad aver fatto perdere soldi: tra oneri d’urbanizzazione (i più bassi d’Europa e non aggiornati per anni) e monetizzazioni a prezzi di saldo, Milano ha perso almeno 1,5 miliardi.
  8. “L’opposizione di terzi si è tradotta in esposti alla Procura di Milano che ha avviato indaginiâ€.
    Curioso che un sindaco qualifichi “opposizione di terzi†gli esposti dei suoi cittadini che sono corsi in Procura perché si vedevano tirar su un grattacielo davanti alle loro finestre o nel cortile di casa.

Data articolo: Fri, 27 Dec 2024 11:32:50 +0000

Milano

Sala come Craxi. Sulla salva-Milano, chiamate in correo e minacce

Giuseppe Sala come Bettino Craxi. Il triste declino del sindaco-padrone traspare ormai dalle parole e dai gesti del primo cittadino di Milano. Abituato agli applausi, assuefatto agli elogi in quantità diabetica della fase gloriosa, non sa affrontare ora il momento di crisi. Reagisce come un Mammucari qualsiasi. Non sopporta che dalla sua stessa cerchia comincino ad arrivargli educati distinguo, sommesse critiche. Sono bastati un garbato articolo su Repubblica del professor Alessandro Balducci e qualche cauta riflessione critica di Cristina Tajani, entrambi ex assessori a Milano, per mandare Sala in iperventilazione.

Così sabato scorso ha preso il microfono in mano, fuori programma, a un convegno, per fare, come Craxi, una chiamata di correo: eravate con me in questi anni, quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto insieme. “La cosa che mi fa incazzare, e sottolineo incazzare, è che il centrosinistra governa la città da 14 anni, chi oggi fa dei distinguo era con me, era in giunta, era in consiglio, e io non ho visto nessuno in questi anni alzare la mano e dire: c’è qualcosa che non va. Sono diventati tutti fenomeni adesso? Questa non è lealtàâ€.

Mancava solo che dicesse, orecchiando Craxi e trasformando il dramma in farsa: alzi la mano chi tra voi può dirsi estraneo al sistema. Il sistema del “rito ambrosianoâ€, questa volta, che permette di costruire molto a Milano, con regole lasche e oneri da saldo. Da chi gli è stato attorno in questi anni pretende una “lealtà†che assomiglia tanto all’omertà, o alla solidarietà dei complici. Vuole obbedienza. Ordina di andare avanti senza alcuna correzione di un sistema che si è dimostrato sì “attrattivo†per la città, ma anche generatore di distorsioni, di disuguaglianze, di esclusioni.

Nel Pd ora c’è chi vorrebbe tornare alla “onesta†sanatoria proposta in un primo momento dalla destra, che sana il passato ma non pregiudica il futuro, non scassa la normativa urbanistica in tutta Italia e per sempre. Lui no: pretende che il partito vada avanti secondo lo schema che ha lui stesso imposto, la “legge d’interpretazione autentica†che riscrive le norme e rischia di essere bocciata dalla Corte costituzionale.

Minaccia: “Voglio vedere cosa succede adesso in Senato, voglio vedere il Pd che posizione tiene, è inaccettabile che qualcosa cambi. Se succederà, vedremo le conseguenzeâ€. C’è qualcosa di tragico in questa fumantina incapacità di riconoscere gli errori, le esagerazioni, le forzature, in questa rigidità che non vuole dibattito, non sopporta mediazioni, non accetta correzioni.

Un sindaco attento al bene comune dovrebbe ascoltare tutti i cittadini, anche quelli danneggiati dalle torri costruite nei loro cortili e dai grattacieli tirati su al posto di un’autorimessa; quelli a cui sono stati tolti verde e servizi per favorire i costruttori; quelli costretti ad andarsene da Milano a causa dei costi dell’abitare, in una città “premium†consegnata alla rendita e ai fondi immobiliari. Invece preferisce raccontarsi come un “buon padre di famiglia†con “dirigenti e funzionari inquisiti che voglio proteggereâ€.

Così il Comune è parte lesa nei procedimenti aperti dalla Procura, ma non si costituisce parte civile, di fatto ammettendo di essere complice e mandante di coloro che sono accusati di abusi edilizi. Proprio come Craxi: rivendica i suoi comportamenti, ma pretende che non siano reati: è lui la legge, ciò che è stato fatto a Milano è buono e giusto. Se oggi contraddice la legge, si cambi la legge. Per Milano e l’Italia intera, per il passato e il futuro.

Lo applaude il Foglio, che irride l’appello contro la salva-Milano dei 140 professori e riduce la crisi al solito complotto dei giudici, e il Giornale, che chiama “spie†le cittadine che vanno in Procura a denunciare quelli che ritengono abusi edilizi commessi a loro danno e a danno della città. Intanto Sala, pensando al dopo, si propone come il “federatore†del centrosinistra: strano federatore, che invece di unire e mediare, spacca e divide e minaccia.

Leggi anche:
Vita e miracoli di Beppe Sala, l’highlander

Data articolo: Fri, 27 Dec 2024 11:07:28 +0000

Terrorismo

Addio a Ferdinando Pomarici, magistrato rigoroso ed elegante

Se n’è andato in silenzio, Ferdinando Pomarici, magistrato. Elegante, ammirato dalle signore, amante dello sport, calcio, tennis, sci. Motociclista, appassionato di auto sportive. Rigoroso, riservato, lontano dai riflettori. Ma sempre cordiale. Si è spento a 82 anni, dopo una carriera che avrebbe meritato incarichi e onori che sono invece andati ad altri, meno silenziosi e più abili nelle relazioni.

Si occupò dei rapimenti messi a segno dall’Anonima sequestri e praticò il “blocco dei beni†alle famiglie dei rapiti, per impedire i pagamenti del riscatto. Quella fermezza provocò polemiche, ma contribuì a far cessare i sequestri di persona. Con la medesima fermezza affrontò le indagini su terrorismo e Br, riuscendo, con tanti altri colleghi, a debellare il fenomeno.

Sostenne l’accusa contro Adriano Sofri e Lotta continua nel processo per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, e non si curò delle critiche che si era attirato. Lo stesso rigore con cui aveva trattato banditi e terroristi lo impiegò per dipanare la matassa ingarbugliata della strana scomparsa da Milano di un imam egiziano, chiamato Abu Omar.

Insieme ad Armando Spataro (che ripeteva spesso: Pomarici “è il mio fratello maggioreâ€) scoprì e mandò a processo una squadra di agenti della Cia che aveva compiuto a Milano una “extraordinary renditionâ€, l’unica al mondo che vide condannati i responsabili. Non quelli italiani del servizio segreto militare, che furono salvati dal segreto di Stato.

Vinceva molte partite di tennis, perse (con Edmondo Bruti Liberati) la partita per diventare procuratore di Milano. In un’intervista al Fatto, ricordando le inchieste su Abu Omar e sulle Br, disse: “Se non si riconosce agli indagati i diritti civili, la lotta al terrorismo è un fallimentoâ€.

Data articolo: Fri, 27 Dec 2024 10:55:40 +0000

Stragi

Mafiosi e agenti segreti: la “strage di Nataleâ€, 40 anni dopo

Esattamente 40 anni fa fu realizzata la più misteriosa delle (tante) stragi italiane, passata alla storia come “la strage di Nataleâ€. Era il 23 dicembre 1984: il treno rapido 904 Napoli-Milano, alle 19.08 fu squarciato da un’esplosione dentro la galleria sotto l’Appennino, tra Firenze e Bologna, prima di San Benedetto Val di Sambro. Ci furono 16 morti e 267 feriti.

Terrore puro: una strage inspiegabile, senza rivendicazioni, l’antivigilia di Natale. L’Italia aveva fino ad allora conosciuto le stragi nere, realizzate dal 1969 (piazza Fontana) al 1980 (Bologna) da gruppi neofascisti con la copertura e i depistaggi degli apparati dello Stato. La bomba del 1984 ebbe invece tra gli organizzatori ed esecutori uomini delle mafie, i boss di Cosa nostra Pippo Calò e Guido Cercola, e della Camorra, Giuseppe Misso. In verità Misso era un uomo-cerniera tra camorristi e neofascisti, con un suo gruppo erede di Ordine nuovo. È Misso a ricevere l’esplosivo da un nero, Massimo Abbatangelo, subito dopo candidato dal Movimento sociale italiano ed eletto alla Camera: è lo stesso Msi della fiamma tricolore che Giorgia Meloni rivendica come la “comunità politica†da cui proviene.

I processi che sono stati celebrati hanno condannato in via definitiva Calò e Cercola (ergastolo) come organizzatori e Franco D’Agostino (a 24 anni) per aver piazzato l’esplosivo sul treno. Assolti dall’accusa di strage il fascio-camorrista Misso, condannato (a 3 anni) solo per detenzione di esplosivo, e il missino Abbatangelo (a 6 anni) per averlo fornito. Non fu semplice raggiungere quelle condanne: perché cancellate in Cassazione dal giudice Corrado Carnevale, all’epoca soprannominato “l’ammazzasentenzeâ€. Si dovette celebrare un secondo appello.

La “strage di Natale†è l’anello di congiunzione tra le stragi nere (1969-1980) e le stragi mafiose (1993-1994). Segna l’entrata in campo delle mafie come protagoniste del terrorismo politico. L’eterna strategia della tensione, sempre pronta a riemergere dalle viscere occulte del potere italiano, ha come attori visibili prima i neofascisti, poi i mafiosi.

Ma c’è una continuità che dev’essere ancora approfondita, e che è l’oggetto della nuova inchiesta sulla “strage di Natale†aperta nel febbraio scorso dalla Procura di Firenze. Che ruolo hanno gli apparati dello Stato nella nuova strategia della tensione, piena di “citazioni†della vecchia? La galleria in cui fu fatta esplodere la bomba “mafiosa†di Natale è la stessa della strage “nera†dell’Italicus (1974).

Per ora sappiamo soltanto che nel 1984 a confezionare il sofisticato telecomando “con ritardo†che ha innescato l’esplosivo sul rapido 904 è un tedesco che abitava a Roma, Friedrich Schaudinn. Era agli arresti domiciliari quando, nel 1988, ricevette la visita di quello che poi in un’intervista descrive come un “funzionario italianoâ€: “Si informò sulle faccende mie giudiziarie†e dieci giorni dopo tornò con un “passaporto nuovo†che lo fece tornare in Germania e scomparire per sempre. Giuliano Turone, nel suo nuovo libro Crimini inconfessabili (Fuori Scena) ipotizza che Schaudinn possa essere “il tedesco†che entrò nella stazione di Bologna la mattina del 2 agosto 1980 poco prima dell’esplosione.

Perché fu fatta, la “strage di Nataleâ€? La prima spiegazione fu che quel botto serviva a Cosa nostra come diversivo per frenare le indagini antimafia in Sicilia. Più convincente l’ipotesi di Stefania Limiti (vedi il suo blog sul fattoquotidiano.it): a giugno 1984 era avvenuto il “sorpassoâ€, il Pci (anche sull’onda dell’emozione per l’improvvisa morte di Enrico Berlinguer) alle elezioni europee aveva raggiunto il 33% dei voti, un punto in più della Dc. “Tanto bastòâ€, scrive Limiti, “a riattivare gli spietati custodi degli equilibri atlanticiâ€. Commentò allora Rino Formica, ministro delle Finanze socialista: “Ci hanno avvertito, ci hanno mandato a dire che l’Italia deve stare al suo posto sulla scena internazionaleâ€.

Data articolo: Fri, 27 Dec 2024 10:41:39 +0000

Urbanistica

Il Sala furioso. Sulla salva-Milano “non fate i fenomeniâ€. E minaccia il Pd

Teso come una corda di violino, il sindaco di Milano Giuseppe Sala se la prende con chi, dentro il suo ambiente politico, ora manifesta dubbi e ripensamenti sulla legge Salva-Milano. E avverte il Pd: l’avete approvata alla Camera, dovete approvarla al più presto così com’è anche al Senato. Oppure subirete “delle conseguenzeâ€.

Il sindaco è intervenuto ieri a un evento promosso da Azione, dal titolo “Milano Domani. Politiche e progetti per la città del futuroâ€. È salito sul palco a sorpresa, prima del suo intervento programmato, per replicare a chi dal palco aveva avanzato qualche educata critica alla gestione dell’urbanistica in città. Ha preso il microfono e si è lanciato in un lungo sfogo, quasi una chiamata in correo: dov’eravate, “voi fenomeniâ€, quando gestivamo insieme la città?

Il tema, diventato rovente negli ultimi giorni, è quello della legge Salva-Milano che, presentata in Parlamento dalla destra come condono per il passato (per i grattacieli considerati abusi edilizi dalla Procura di Milano), su richiesta di Sala e con il sostegno del Pd è stata trasformata in “legge di interpretazione autentica†che rende nazionali e valide anche per il futuro le regole urbanistiche seguite a Milano, sulle quali i pm hanno aperto una ventina di inchieste in cui sono indagati costruttori, progettisti e funzionari del Comune.

Nei giorni scorsi, urbanisti, giuristi, docenti universitari (molti di area centrosinistra e dem) hanno duramente criticato la proposta di legge, ritenendola una sciagura per il futuro urbanistico e territoriale del Paese, sottolineando i rischi di incostituzionalità e adombrando i possibili danni per le casse dei Comuni italiani che avranno meno entrate, considerando (come si fa a Milano) “ristrutturazioni†le nuove costruzioni di grattacieli realizzati al posto di piccoli edifici abbattuti. I professori e gli esperti hanno a gran voce chiesto ai senatori di non approvarla; e alla leader del Pd, Elly Schlein, di ritirare l’appoggio del partito.

In questo clima si è scatenata la reazione di Sala: dov’erano quelli che adesso “fanno i fenomeniâ€, criticano o hanno dubbi? Furioso, il sindaco: “La cosa che mi fa incazzare, e sottolineo incazzare, è che il centrosinistra governa la città da 14 anni, chi oggi fa dei distinguo era con me, era in giunta, era in consiglio, e io non ho visto nessuno in questi anni alzare la mano e dire: c’è qualcosa che non va. Sono diventati tutti fenomeni adesso che si fanno sentire? Questa non è lealtàâ€.

Poi lancia un avvertimento al Pd che suona quasi come una minaccia: “Il Salva-Milano la Camera l’ha approvato e voglio vedere cosa succede adesso in Senato, voglio vedere il Pd che posizione tiene, perché, dopo che è passato alla Camera, è inaccettabile che qualcosa cambi. Se questo non succederà vedremo le conseguenze, è un fatto di rigore e di onestàâ€. Eventuali cambiamenti rallenterebbero l’iter della legge che, se non approvata in Senato così com’è, dovrebbe ripassare dalla Camera. Mentre le inchieste della Procura vanno avanti, scoperchiando altri casi di urbanistica di “rito ambrosianoâ€, ossia nuove costruzioni fatte passare per “ristrutturazioni†e palazzi permessi dal Comune senza un piano attuativo che calcoli (e faccia pagare ai costruttori) i servizi necessari ai nuovi abitanti che arrivano in una zona di città.

A destra, si è levata a questo proposito la voce di Matteo Salvini, leader della Lega e ministro delle Infrastrutture: “Mi sono messo a disposizione dei sindaci, anche del sindaco Sala, per scrivere una norma che vada a sanare il passato e garantisca queste famiglieâ€, quelle che hanno comprato appartamenti in palazzi sequestrati dal giudice perché ritenuti fuori legge. “Se poi il Pd cambia idea ogni settimana me lo dicaâ€, continua Salvini, “perché non è una legge fatta per me, è una legge fatta per migliaia di famiglie in Italia, con la Procura di Milano che ha sequestrato diversi palazziâ€. Al sindaco Sala – ha concluso – “ho dato la massima disponibilità e questa norma l’abbiamo scritta insieme. Se hanno cambiato idea, me lo dicanoâ€.

Data articolo: Sun, 15 Dec 2024 15:29:55 +0000

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