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#Gianni #Barbacetto
Giornalismo
In ricordo di Danielle Rouard
Danielle Rouard, “grande reporter†di Le Monde e per anni corrispondente del quotidiano francese in Italia, è morta a Parigi il 10 agosto 2025, all’età di 84 anni. Voglio ricordarla qui con un articolo di Philippe Ridet apparso su Le Monde. E, a seguire, con un mio personale ricordo di una cara collega e grande amica.
Danielle Rouard, giornalista appassionata
di Philippe Ridet /
Probabilmente perché era nata il 1° novembre, Danielle Rouard, ex grande reporter e corrispondente di Le Monde in Italia, detestava gli addii, i saluti e i crisantemi. Al telefono, aveva già riattaccato mentre tu continuavi a parlare nel vuoto. Scomparendo domenica 10 agosto, all’età di 84 anni, in piena estate in una Parigi deserta, non ha fatto altro che seguire la sua naturale inclinazione che la portava a congedarsi senza troppi convenevoli.
Nata a Romans-sur-Isère (Drôme) quando la seconda guerra mondiale aveva già festeggiato il suo primo anniversario, ultima di dieci figli, aveva la sete di conoscenza di una generazione cresciuta nell’inquietudine e nella paura del domani. Figlia di un rappresentante di tessuti, egli stesso erede dei venditori ambulanti dell’Oisans, e di una commerciante di lenzuola, era una studentessa tanto studiosa quanto dotata.
Già allora era guidata da un’ossessione: lasciare Romans, consapevole che una donna non può realizzarsi, almeno non lei, nella maternità ripetuta. Direzione Parigi. Scienziata, frequenta i corsi della scuola femminile del Politecnico e poi di Sciences-Po Paris. Vivendo inizialmente nella città universitaria di Antony (Hauts-de-Seine) con altri spiriti brillanti – «Si distribuivano già premi Nobel», scherza un testimone dell’epoca – impara a conoscere le famiglie selezionate, le bande.
Seguiranno altre esperienze simili, come la vita in una comunità in rue du Ruisseau, nel 18° arrondissement di Parigi, poi, durante le vacanze, a Quinson, un piccolo villaggio delle Alpi dell’Alta Provenza, dove ritrova amici simili a lei per inventare altri modi di relazionarsi con gli altri. Inutile dire che il Maggio ’68 la segnerà in modo indelebile.
Vicina alla Gauche prolétarienne. Un’altra hippie in un’epoca in cui non mancavano certo? Non proprio, perché Danielle Rouard è guidata meno dal peace and love degli anni ’70 che dal materialismo dialettico di Karl Marx. Vicina alla Gauche prolétarienne e ai membri del giornale La Cause du peuple, frequenta militanti maoisti puristi, “estabiliti†e alcuni di coloro che si riuniranno attorno a Serge July per fondare Libération nel 1973.
Tuttavia, anche se il giornalismo la attira, è l’economia che le permette di vivere. Terminati gli studi, dal 1961 al 1965 lavora come analista numerica all’Institut Blaise-Pascal del CNRS, poi entra a far parte, come ricercatrice in metodi di pianificazione, del Centre pour la recherche économique et ses applications (Cepremap), diretto per un certo periodo da Daniel Cohen. Parallelamente, inizia a scrivere articoli freelance per diversi giornali, tra cui alcuni per il giornale Parents, una curiosità per una donna che ha scelto di non essere genitore.
Ma è proprio grazie all’economia che entra a far parte del quotidiano Le Monde senza aver seguito studi di giornalismo. Il suo primo articolo appare nell’edizione del 13-14 aprile 1975 del quotidiano serale. Sotto il titolo “La vita sociale ed economicaâ€, è dedicato a uno sciopero in una fabbrica di copriletti. Gli operai vogliono salvare la fabbrica. Ispirati da quelli della Lip di Besançon, hanno costituito delle scorte che vendono direttamente.
Diventata reporter per il servizio di informazione generale nel 1983, segue il dossier corso che, come tutti coloro che vi si sono dedicati, la appassiona. Si interessa in particolare alle attività dei clienti della Brise de mer, alcuni dei quali non esitano a minacciarla per la sua curiosità . Dieci anni dopo, raggiunge lo status di grande reporter. In questa occasione, vive l’esperienza della guerra in Afghanistan e inizia a seguire l’attualità italiana.
Simbolo della sua generazione. La vera felicità professionale a volte può richiedere molto tempo. Di natura ribelle e inquieta, Danielle Rouard era destinata a diventare corrispondente a Roma e a realizzarsi lì. Senza presenze gerarchiche e con l’ansia che l’attualità non fosse all’altezza o che la redazione parigina finisse per dimenticarsi di lei. Questa esperienza dura tre anni, il tempo necessario per seguire da vicino i tumulti politici della Penisola, la mafia, gli sbarchi dei migranti e tutto il resto.
Economia, cronaca, società … I libri scritti o co-scritti da Danielle Rouard testimoniano la varietà dei suoi interessi: un’opera scientifica sull’energia solare redatta con il suo amico degli anni di Mao, il matematico Pierre Audibert (1941-2020), un altro sul musicista Manu Dibango (1933-2020), che era orgogliosa di aver visto tradotto in inglese e in italiano, e infine una guida di New York.
Avrebbe voluto pubblicare la sua autobiografia, di cui aveva scritto alcuni capitoli. Il suo obiettivo non era tanto quello di mettersi in mostra, quanto quello di offrire la sua vita come esempio per coloro, soprattutto donne, che avrebbero scelto di intraprendere questa professione. Consapevole di aver sacrificato molto per essa – la sua vita personale, una possibile vita familiare e gran parte della sua salute –, sapeva di aver dovuto affrontare molte difficoltà insieme alle giornaliste della sua età . In questo senso si può dire che fosse un simbolo sia della sua generazione che del suo sesso.
Andata in pensione nel 2003, continuò a vivere a Roma, in un piccolo appartamento al primo piano di un bel palazzo adiacente al chiostro di Saint-Louis-des-Français. La luce non entrava, o quasi. Coltivava piante rigogliose nel cortile. È lì che l’abbiamo incontrata per la prima volta un giorno della primavera del 2008 e che siamo diventati prima vicini di scala, poi amici.
Burbera e generosa, dispensava consigli e si arrabbiava se non li seguivamo, faceva regali per i compleanni e viziava i bambini in modo sconsiderato. Raramente eravamo d’accordo, che si trattasse di politica, del quotidiano Le Monde o dell’Italia. Ma non siamo mai rimasti arrabbiati per più di ventiquattro ore. Rimane tuttavia un mistero che più di diciassette anni di regolare frequentazione non mi hanno permesso di svelare: perché questa scienziata che apparentemente doveva capire tutto del funzionamento delle cose ha martoriato così tanti telefoni cellulari, computer e telecomandi della televisione?
L’eclettismo della sua carriera e degli argomenti trattati hanno reso Danielle Rouard una giornalista di spicco della nostra redazione. Le Monde porge le più sincere condoglianze alla sua famiglia e ai suoi cari, nonché a coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerla e apprezzarla nel corso della sua lunga carriera nel nostro giornale.

Cara Danielle
di Gianni Barbacetto/
Cara Danielle, negli ultimi anni ci vedevamo poco: tu a Parigi, io a Milano. Ci sentivamo ogni tanto al telefono, tu accennavi brevemente ai tuoi acciacchi, con ritosia, io ti raccontavo che ero contento del mio lavoro, meno della situazione politica in Italia. Ci siamo salutati nell’inverno del 2023, nella tua casa di Montparnasse. Dietro la facciata ruvida, esondava un grande affetto e una dolce generosità . Ho ancora i regalini che portavi a me e alle mie bambine quando, negli anni, venivi a Milano.
Da corrispondente di Le Monde dall’Italia, sei perfino riuscita a darmi ospitalità a Roma, nel tuo piccolissimo appartamentino tra il Senato e San Luigi dei Francesi, nei primi giorni del mio trasferimento da Milano a Roma per lavorare in tv con Michele Santoro. Dopo la fine del tuo lavoro per Le Monde, sei restata per qualche anno a Roma, fiera del tuo incarico d’insegnamento all’università , ti piaceva parlare ai ragazzi del tuo lavoro, del giornalismo, del sistema dei media. Ogni volta ti spingevo a scrivere la storia di una vita e di un impegno giornalistico che sarebbe stato interessante leggere. Mi ero offerto anche di darti una mano. Non abbiamo fatto in tempo.
Del resto, nella tua vita avevi scritto tanti reportage e realizzato grandi inchieste, avevi fatto molte interviste, tra cui quella splendida ad Ahmad Massoud, “il Leone del Panjshirâ€, leader laico della resistenza afgana: ma tu non te la tiravi, era impossibile vederti posare da grande cronista che aveva visto e scritto tanto, eri del tutto immune dal narcisismo dei giornalisti che si sentono degli Hemingway redivivi. Â
Ci eravamo incontrati la prima volta quando tu, “grande reporter†di Le Monde, eri arrivata a Milano per raccontare l’arrivo al governo di Silvio Berlusconi, che in Francia già conoscevate come imprenditore della tv. Abbiamo fatto un’inchiesta insieme, andando anche in Lussemburgo, a interrogare, tra gli altri, il banchiere della Bil (Banque Internationale de Luxembourg) che curava gli affari di Berlusconi nella prima pay-tv in Europa, non senza prestanomi e la sua solita circumnavigazione attorno alle leggi. Al termine del nostro lavoro, tu pubblicasti il tuo reportage in due puntate sul Monde, (“Les fusibles du Cavaliereâ€, “Sur la piste d’un eurocartel de la télévisionâ€). Io scrissi un articolo sul mio giornale d’allora, L’Europeo.
Danielle e io andammo anche a suonare un campanello, a sorpresa, nella via linda di un quartiere giardino della capitale del Lussemburgo: in una elegante villetta bianca viveva uno dei latitanti di Mani pulite, Mauro Giallombardo, allora ricercato dalla giustizia italiana come gestore di una parte delle tangenti del leader socialista Bettino Craxi. Speravamo di poterlo intervistare, o di potergli strappare una qualunque reazione, o almeno di poterlo vedere per scrivere che il grande latitante stava comodamente a casa sua. Ci venne ad aprire una cameriera che indossava una divisa perfetta, grembiulino bianco e crestina, che ci disse, in francese, che “il signore era fuoriâ€.
Danielle mi chiese una grande scheda sulle accuse a Berlusconi di rapporti con Cosa nostra, che già nel 1994 cominciavano a circolare. La vidi pubblicata (“Polémique autour de la Mafiaâ€) con la mia firma sul Monde del 24 novembre 1994. Grande orgoglio, per me allora giovane cronista italiano con venerazione per il giornale parigino. Abbiamo continuato a sentirci, più raramente dopo il suo ritorno a Parigi. Io continuo a pensarla, di tanto in tanto, giornalista generosa e appassionata delle materie su cui scriveva, senza un grammo di quel cinismo che è la malattia contagiosa del giornalismo.


Sistema Milano
Milano, Giovanna e il Supercondominio assediatoUn servizio fotografico di Margherita del Piano.
Supercondominio Quartiere Modello accerchiato dalle architetture della nuova Milano.
Tra il 1940 e il 1942 l’Ingegner Tanzi Mira, un giovane professionista con studio in Via Brera progettò e costruì il “Supercondominio Quartiere Modelloâ€, che si estendeva per un intero isolato tra le vie Paoli, Bellani , largo de Benedetti e Via Sassetti, all’angolo con Via Melchiorre Gioia a Milano. Non si sa a cosa fosse dovuta questa denominazione, forse al fatto che il complesso era composto da 10 palazzine, alte massimo 7 piani, disposte intorno a un rigoglioso giardino comune che faceva del condominio un’oasi di tranquillità , un po’ isolato rispetto al contesto urbano.
Il Supercondominio, pur trovandosi in area sensibile tra la Stazione Centrale e la Stazione Garibaldi, è sfuggito miracolosamente ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ma la città cambia e, sull’isolato incombe, a nordest, l’edificazione del vicino palazzo della Regione Lombardia (2010). Alcuni condomini gli hanno dovuto far causa perché i raggi luminosi proiettati dalle vetrate concave del nuovo edificio scioglievano loro gli infissi, altri perchè la presenza dell’eliporto dava luogo a continui decolli ed atterraggi di elicotteri davanti alle loro finestre.
Nel frattempo, già dal 2004 il Piano Integrato di Intervento Garibaldi-Repubblica rimodellava quel pezzo di città che va dal vecchio quartiere direzionale degli anni 50-60 alla Stazione Garibaldi. Come i tasselli di un mosaico, di anno in anno nuovi edifici, cantieri, demolizioni, ristrutturazioni, ampliamenti e scavi riempiono la zona. Si costruiscono i grattacieli sulla nuova Piazza Gae Aulenti, le altissime residenze Solaria, il Bosco Verticale, le sedi di Coima e Ibm, la torre Unipol, la Diamond Tower. Al centro di tutto c’è il parco BAM (Biblioteca degli Alberi).
Giovanna abita al quarto piano di una palazzina affacciata sul giardino interno del Supercondominio. Dopo anni di cantieri, dalla finestra e dal balcone della sua cucina, affacciata a sud ovest, ha guadagnato una bella e luminosa vista sul Parco BAM e sui grattacieli, e, anche se ricorda con nostalgia il circo delle Varesine, si ritiene abbastanza soddisfatta.
Ma il Piano Integrato di Intervento non è finito, mancano ancora due piccoli lotti di 32.000 mq di proprietà del Comune di Milano, che nel 2018 (tramite asta pubblica con un solo partecipante: Coima) li vende. Ormai il suolo libero nel nuovo quartiere è pochissimo e vale una fortuna; la zona è una delle più collegate di Milano e gode della recente rivalorizzazione. Il prezzo di vendita è di 79 milioni di euro. (una curiosità : 8 anni dopo, nel 2025, la valutazione economica per la vendita dell’intero stadio di San Siro sarà di 70 milioni di euro). L’allora assessore all’urbanistica Pierfrancesco Maran, quasi a giustificare la vendita di un bene pubblico, dichiarerà che quei soldi serviranno a riqualificare le periferie, mentre i successivi oneri di urbanizzazione verranno investiti per la riapertura del Naviglio della Martesana.
I lotti venduti sono in realtà due parcheggi pubblici situati ai due lati della Via Melchiorre Gioia, proprio sopra le fermate della metrò verde. Il più piccolo dei due, in Via Sassetti, è utilizzato anche dai residenti de l Supercondominio. Nel 2023 il parcheggio viene smobilitato e trasformato in area di cantiere. A nulla vale una raccolta firme di 200 residenti. Sopra i due lotti sorgeranno i “Portali†di Via Melchiorre Gioia, due edifici gemelli composti da 4 torri accoppiate a due a due, con altezze di 7, 14, 15 e 24 piani.
I Portali si presentano con un disegno estremamente semplice e con delle facciate a quadrotti neri e grigi che contengono dei pannelli solari. Il progetto è firmato dalle archistar milanesi Citterio-Viel, che in un’intervista del 2024 dichiarano che le torri si rifanno alla tradizione milanese degli edifici alti, e ambiscono ad essere un landmark fra landmarks. Sul sito del progetto dichiarano : “I Portali sono parte di un più vasto disegno urbano. Alla base del progetto vi sono principi tecnologici innovativi ma anche e soprattutto culturali e sociali, pensando a un’attenta organizzazione degli spazi pubblici e alla relazione con la città .”
Peccato però che il Portale Ovest, composto da due torri di 7 e di 14 piani, sorgerà attaccato al Supercondominio, proprio su quel lato del giardino aperto verso il Parco Bam. Giovanna è disperata, e come lei tutti i residenti che ne condividono l’affaccio. Il cantiere parte nel 2023 ed è molto impattante. Lavori fuori orario, fari accesi anche la notte, rumori insopportabili tutto il giorno, trivellazioni che fanno tremare muri e finestre, polveri e vapori di dubbia origine, il braccio della gru che oscilla minaccioso sopra i tetti, traffico continuo di mezzi pesanti e difficoltà a parcheggiare rendono la vita impossibile ai residenti. Alcuni di loro decidono di scappare, vendendo i loro appartamenti nel momento di massimo mercato.
Man mano che i piani si alzano, Giovanna perde luce, aria e la vista sul Parco Bam. Il suo balcone affaccia su una parete di lastre nere, la sua casa è immersa nell’ombra. Ma Giovanna non può andarsene. A lei non resta che la veduta sul meraviglioso cedro del Libano nel giardino condominiale. A patto di non alzare troppo lo sguardo.
Foto 1 – Vista verso la Via Filippo Sassetti. Al centro il Portale Ovest, composto da due torri per uffici di 7 e 14 piani incastrate fra di loro. Sulla destra la torre del Portale Est. Sulla sinistra le due palazzine gialle e rosse del Supercondominio Quartiere Modello.
Foto 2 – Vista più ravvicinata dell’attacco tra la palazzina rossa, dove vive Giovanna, e il retro delle torri del Portale Ovest. Il lato sud ovest del giardino, che una volta era aperto verso Porta Nuova è ora completamente chiuso dalla nuova costruzione. Sullo sfondo, il grattacielo Isibank detto “scheggia di vetroâ€.
Foto 3 – Vista dall’alto del Quartiere Modello che include la Via Paoli. Sulla sinistra il cantiere del Portale Ovest in fase iniziale (giugno 2024), al posto del parcheggio pubblico.
Foto 4 – Il Supercondominio Quartiere Modello accerchiato, sulla destra, dal Portale Est, sullo sfondo dal Palazzo della Regione e sulla sinistra dal cantiere del Portale Ovest. Le due torri di 7 e 14 piani andranno a chiudere completamente il lato sud-ovest.
Foto 5 – Una palazzina del Supercondominio sembra chiedere un po’ di “spazio liberoâ€.
Foto 6 – Dicembre 2023. Vista sul Parco Bam e su Porta Nuova dalla finestra della residente Giovanna. Il cantiere del Portale Ovest è appena iniziato. Sulla sinistra la gru.
Foto 7 – Giugno 2024. La vista dalla finestra di Giovanna si riduce, e con essa la luce e il ricambio d’aria. Se prima riusciva a vedere il Parco Bam, adesso vede solo la sommità dei grattacieli. Sulla destra il cedro del Libano nel giardino condominiale interno.
Foto 8 – Marzo 2025. La vista dalla finestra di Giovanna è ormai completamente occultata. La torre non è ancora completata.
Foto 9 – Marzo 2025. Il giardino del Supercondominio Quartiere Modello in versione invernale. Il giardino aveva un lato aperto a Sud Ovest, che adesso è stato chiuso dal Portale. Anche il microclima di questo piccolo ecosistema ne soffrirà .
Foto 10 – Dettaglio del giardino sovrastato dal Portale Ovest. I residenti lo utilizzano anche come luogo di ritrovo.
Foto 11 – Il lato del giardino affacciato sulla via Paoli, anch’essa facente parte del Quartiere Modello. Sulla destra il palazzo della Regione Lombardia.
Servizio fotografico di Margherita del Piano. Milano, 14 Maggio 2025
Sistema Milano
Nuove regole per la nuova Commissione paesaggio. Ecco che cosa ci dimostra questa svolta
NUOVA COMMISSIONE PAESAGGIO A MILANO
Il Comune di Milano è tornato entro i confini della legge per quanto riguarda la Commissione paesaggio, il nodo più scandaloso e criminogeno del Sistema Milano:
1. Ha tolto i superpoteri alla Commissione, che decideva sui progetti edilizi (in palese e strutturale conflitto d’interessi) al posto degli uffici comunali. Ora tornerà alla legge: avrà parere consultivo nella «valutazione della coerenza dei progetti con i vincoli degli strumenti paesistico-ambientali vigenti anche in relazione al corretto inserimento paesaggistico». Bene.
2. Ha stabilito che i componenti della Commissione non devono avere alcun incarico professionale sul territorio di Milano durante i tre anni di mandato e per i 18 mesi successivi. Bene (ma da tenere sotto controllo gli eventuali incarichi fuori Milano).
3. Il “ritorno alla legge†è un segnale positivo.
Che però dimostra due fatti:
a. che fino a oggi il Comune era “fuori-leggeâ€.
b. che non era per niente difficile restare nei confini della legge: chi non l’ha fatto in tutti questi anni (sindaci, assessori…) ne è politicamente responsabile.
Gli 11 componenti della nuova Commissione sono: l’ingegnere Gianmarco Zuccherini e gli architetti Aldo Bello, Gabriele Silvano Munari, Marco Rizzoli, Maurizio Monti, Paola Bonzi, Giuseppe Glorioso, Gaia Piccarolo, Virna Mastrangelo, Maura Martina Brugnoni, Vincenza Nardone.
Data articolo: Sat, 22 Nov 2025 10:34:18 +0000Sistema Milano
Niente sequestro del cantiere: la colpa è tutta del Comune
Non è una buona notizia per il Comune di Milano. Ieri un giudice ha deciso di dissequestrare un cantiere, ma con una motivazione bruciante per l’amministrazione del sindaco Giuseppe Sala. Il progetto era sì fuori legge, ma la colpa è tutta degli uffici comunali, che hanno “fuorviato il privatoâ€, cioè il costruttore e il progettista, i quali hanno agito “in buona fedeâ€.
È l’ultimo paradosso del Sistema Milano. Ieri la giudice delle indagini preliminare (gip) Sonia Mancini non ha convalidato il sequestro del cantiere di via Papiniano 48, come avevano chiesto le pm Giovanna Cavalleri e Luisa Baima Bollone, che il 12 novembre avevano disposto il sequestro preventivo d’urgenza, in attesa della convalida di un giudice. Questa non è arrivata. Ma non perché il cantiere fosse regolare. Tutt’altro: stava procedendo alla costruzione di una torre di 8 piani, da far sorgere al posto di un magazzino-deposito di 2 piani completamente demolito.
La gip riconosce la “assoluta antigiuridicità dell’intervento†edilizio, che non prevede un piano attuativo (cioè la pianificazione dei servizi necessari ai nuovi abitanti che arriveranno in zona). L’operazione era stata autorizzata dagli uffici comunali con una semplice Scia alternativa al permesso di costruire ed era stata considerata una “ristrutturazione ediliziaâ€. Era invece “nuova costruzioneâ€, in un’area oltretutto sottoposta a vincolo (vincolo Naviglio Grande e vincolo regionale Nucleo rurale di interesse paesaggistico).
La gip ha però riconosciuto anche la “buona fede†dei due indagati che “hanno creduto ai criteri descritti dal Comuneâ€, il costruttore palermitano Salvatore Murè e il suo progettista Mauro Colombo (già a processo anche per un’altra operazione urbanistica, il palazzo nel cortile di via Fauchè, il cui sequestro è stato invece confermato in via definitiva dalla massima istanza della giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato. Muré è lo stesso che a maggio ha chiesto lo sfratto del centro sociale Cantiere, da abbattere per realizzare un’altra operazione immobiliare).
Sono stati i “comportamenti dello stesso Comune di Milano†a “fuorviare il privato†costruttore, sostiene la giudice nel suo dispositivo, in cui offre anche indicazioni per il futuro: “Da questo momento in poiâ€, la situazione “non potrà più dirsi sorretta dalla, fin qui riconosciuta, buona fede†ed è “auspicabile l’adozione di un piano attuativo in sanatoria per ricondurre alla piena legalità l’intervento edilizio†e “riportare a sistema l’interesse pubblico†della città di Milano.
Silvio Berlusconi
Berlusconi, ancora bugie. La vera storia delle tangenti pagate e di Silvio assolto
Tratto da: Gianni Barbacetto, Una storia italiana, Chiarelettere 2023
Scandalo a Napoli
Lo scandalo scoppia il 22 novembre 1994. Silvio Berlusconi ha trionfato alle elezioni ed è presidente del Consiglio da sei mesi. Quel giorno si trova a Napoli, dove partecipa a un vertice dell’Onu sulla criminalità organizzata. La mattina, nelle edicole arriva il «Corriere della Sera» che spara uno scoop in prima pagina, firmato dai giornalisti Goffredo Buccini e Gianluca Di Feo. Titolo: Milano, indagato Berlusconi. Occhiello: «L’iscrizione sul registro decisa dalla procura per l’ipotesi di due pagamenti alle fiamme gialle». L’articolo racconta di due tangenti che Berlusconi avrebbe pagato a uomini della guardia di finanza per ammorbidire verifiche fiscali alla Mondadori (130 milioni di lire) e a Mediolanum (100 milioni).
L’Italia è sotto shock. Anche l’uomo nuovo, il trionfatore delle elezioni, è entrato nel lungo elenco degli indagati per corruzione di Mani pulite, del pool di Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo. Berlusconi e il suo mondo, con i suoi giornali e le sue tv che, in sintonia con la maggioranza del paese, avevano sostenuto con entusiasmo per mesi Di Pietro e Mani pulite, cominciano ad attaccare e infangare i magistrati. Iniziano a scagliarsi contro il pool, accusato di aver messo in scena una macchinazione mediatico-giudiziaria, comunicando al «Corriere» la notizia di Berlusconi indagato e facendola uscire proprio nel giorno in cui il premier presiedeva un importante vertice inter- nazionale.
I magistrati del pool, in verità , avevano programmato che la notizia rimanesse segreta almeno fino al 26 novembre, il giorno in cui Berlusconi era stato convocato alla Procura di Milano per essere interrogato in veste di indagato. Avevano mandato l’invito a comparire e lo avevano fatto recapitare la sera del 21 novembre: non a Napoli, ma a Roma, dove credevano si trovasse il presidente del Consiglio. Lo ritirano i suoi collaboratori e Gianni Letta, il testimone di nozze diventato sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Questi telefona subito a Silvio, a Napoli. «Sono appena venuti a Palazzo Chigi due ufficiali dei carabinieri per conse- gnarti un provvedimento della Procura di Milano, ma non hanno voluto aggiungere di più: devono notificarlo personalmente a te. Li ho invitati a ripassare domani.»
I due ufficiali, Emanuele Garelli e Paolo La Forgia, da Roma chiamano a Milano il procuratore Francesco Saverio Borrelli per comunicargli di non aver trovato Berlusconi. Il magistrato, per cautelarsi da eventuali fughe di notizie, autorizza Garelli a contattare Berlusconi a Napoli e a leggergli al telefono l’invito a com- parire. Intanto Letta ha informato anche Previti. È già sera quando Garelli parla al cellulare con Berlusconi. Gli dice che ha un atto giudiziario per lui. Berlusconi gli chiede di aprire la busta e leggerglielo. «Si riferisce a tangenti alla guardia di finanza.» Il presidente del Consiglio però ha fretta: alle ventuno deve essere nel palco reale del teatro San Carlo, per assistere al concerto di gala di Luciano Pavarotti. Dice all’ufficiale di richiamare un paio d’ore più tardi.
Finito il concerto, Berlusconi telefona a Garelli, che può finalmente leggergli il testo dell’invito a comparire. Gli recita il primo e il secondo capo d’imputazione, sulla mazzetta Mediolanum e su quella Mondadori. C’è un terzo capo d’imputazione, sulla tangente che sarebbe stata pagata per ammorbidire la verifica fiscale a un’altra azienda del Biscione, Videotime, ma Berlusconi, irritato, lo interrompe: «Va bene, ho capito». E gli dà appuntamento per il giorno dopo alle quattordici, a Palazzo Chigi, per la notifica.
L’indomani esce il «Corriere» con lo scoop. Il mondo berlusconiano grida allo scandalo, trasuda indignazione per il fatto che il presidente del Consiglio sia venuto a sapere di essere indagato da un giornale. L’accusa sarà ripetuta per anni, fino a oggi. In realtà , come abbiamo visto, Berlusconi fu informato la sera prima. E i magistrati del pool si convincono che a confermare la notizia al «Corriere» sia stato proprio l’entourage del presidente, visto che il giornale riporta soltanto i primi due capi d’imputazione, senza nemmeno un cenno al terzo (la mazzetta di 100 milioni per Videotime), che Garelli non era riuscito a leggere a Berlusconi. Ma ancora oggi un pezzo d’Italia è convinto che siano stati i magistrati a spifferare dell’avviso di garanzia (in realtà un invito a comparire) per mettere Silvio in difficoltà durante l’incontro internazionale.
La storia processuale delle tangenti emerse quella mattina di novembre sarà lunga, punteggiata da polemiche politiche, violenti attacchi alla magistratura, manovre dilatorie per allungare i processi, leggi ad personam per cancellare i reati. Subito alle contestazioni si aggiunge una quarta mazzetta, pagata per Tele+. Alla fine, dopo anni di battaglie processuali, per le tangenti alla guardia di finanza Berlusconi è condannato in primo grado, senza attenuanti generiche, a due anni e nove mesi di reclusione, con una sentenza che ritiene provate tutte e quattro le mazzette contestate. In appello, la Corte gli concede le attenuanti generiche: così scatta la prescrizione – la prima di una lunga serie – per tre tangenti. Per la quarta (Tele+), gli è concessa l’assoluzione, pur con formula dubitativa, secondo il comma 2 dell’articolo 530 del codice di procedura penale.
La Cassazione, nell’ottobre del 2001, chiude la partita. Conferma le condanne per i coimputati di Berlusconi (i suoi collaboratori Massimo Maria Berruti e Salvatore Sciascia, che hanno materialmente pagato le mazzette; e i finanzieri Francesco Nanocchio e Giuseppe Capone, che le hanno intascate): dunque le tangenti ci sono state. Ma attenzione: i giudici ritengono di non avere la prova certa che Berlusconi ne fosse al corrente; dunque è assolto per non aver commesso il fatto, seppur con un richiamo all’insufficienza di prove («Tenuto conto di quanto già osservato sulla insufficienza probatoria, nei confronti di Berlusconi, del materiale indiziario utilizzato dalla Corte d’appello a proposito delle vicende Mondadori, Videotime e Mediolanum…»). Dunque le mazzette ci sono, sono state pagate, con i soldi di Berlusconi, ma (secondo la Corte) a sua insaputa.
C’è un fatto che pesa sul piatto della bilancia e lo fa inclinare verso l’assoluzione: la falsa testimonianza nell’aula processuale di un personaggio chiave nella storia di Berlusconi, l’avvocato David Mills. È il professionista che aveva costituito a Londra le società offshore della Fininvest, la Fininvest ombra, il Biscione segreto. In aula a Milano non racconta la verità e per il suo silenzio viene ricompensato (come stabilirà definitivamente la Cassazione nel 2010) con 600.000 dollari pagati nel 1999-2000, per aver tenuto con il suo comportamento Berlusconi, come aveva ammesso lo stesso Mills, «fuori da un mare di guai».
Data articolo: Sat, 22 Nov 2025 08:37:29 +0000Urbanistica
Cattive notizie per Sala: i diritti della signora Dordevic di Belgrado
Le cattive notizie, per Giuseppe Sala, arrivano non solo da Roma, ma perfino da Strasburgo e Belgrado. Dalla capitale italiana sono arrivate due pronunce definitive dalla massima istanza della giustizia penale (la Cassazione, sulle Residenze Lac al Parco delle Cave) e amministrativa (il Consiglio di Stato, sul palazzo nel cortile di via Fauché) che danno torto all’amministrazione comunale in materia urbanistica: il Rito Ambrosiano della Scia e di Grattacielo selvaggio è fuorilegge, altro che norme contraddittorie “da interpretareâ€.
Ma adesso ci si mette pure la Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, con una sentenza del 7 ottobre 2025 subito segnalata dalla Cassazione italiana. La sentenza riguarda la signora Dordevic di Belgrado, che si riteneva danneggiata da un palazzo di sei piani costruito così vicino al suo appartamento “da privarla di luce e ventilazioneâ€. Ha fatto causa in Serbia al costruttore e al Comune di Belgrado, chiedendo la modifica del progetto e il riconoscimento di un indennizzo.
Dopo alterne pronunce, la sua richiesta è stata respinta. Si è rivolta allora alla Cedu, che invece ora le dà ragione. La corte di Strasburgo contesta ai tribunali serbi di aver “ignorato l’impatto del danno sulla vita della danneggiataâ€, ma anche il “deprezzamento del suo immobile nella misura del 20%†e le “irregolarità nella procedura di rilascio del permesso di costruireâ€.
I giudici europei affermano che è stato violato l’articolo 8 della Convenzione europea che “afferma il diritto di ogni individuo al rispetto della sua vita privata e familiare, della sua casaâ€: perché “il principio del rispetto della casa non è limitato alla sua consistenza fisica, ma anche al contesto in cui essa è collocataâ€, dunque non dev’essere “impedito il godimento delle amenità connesse all’abitazioneâ€. Violato anche l’articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione, che riconosce “il diritto al pacifico godimento della proprietà â€.
I giudici della Cassazione italiana, a questo punto, commentano: va rispettato “il principio della necessaria ponderazione tra opposte esigenzeâ€, quelle del costruttore e quelle degli abitanti della zona, “sia nel momento del rilascio di un permesso di costruzione di un nuovo immobile sia nel corso della costruzione, all’esito delle eventuali osservazioni e doglianze provenienti dai privati danneggiati dall’intervento edilizioâ€.
E aggiungono: “Per quanto concerne il nostro Paese, la legge italiana assicura il rispetto delle norme in tema di distanze legali indipendentemente dal fatto che gli edifici siano stati, o meno, realizzati in conformità alle prescrizioni dell’Autorità o sulla base di regolari titoli autorizzativi, accordando al soggetto danneggiato una duplice tutela, ripristinatoria e risarcitoria, e prevedendo sia l’alternatività tra detti rimedi, a scelta dell’interessato, sia la possibilità di cumularliâ€.
L’inquilino danneggiato, dunque, può chiedere a sua scelta il risarcimento, oppure “la rimozione dell’edificio eretto in violazione della normativa sulle distanze legaliâ€. Può anche pretenderli entrambi, “in tal caso con limitazione del risarcimento al solo danno sofferto medio tempore, sino alla rimozione†dell’edificio che lo danneggia. Concludono i supremi giudici: “Quando la costruzione è stata eretta in violazione delle regole di edilizia contenute in leggi speciali e nei regolamenti comunali ed arrechi pregiudizio a terzi, è assicurata, comunque, l’esperibilità del rimedio risarcitorioâ€.
Insomma: mentre giornali e tv sono così sensibili ai diritti (sacrosanti) delle cosiddette “famiglie sospese†che hanno comprato case poi sequestrate dalla magistratura per irregolarità urbanistiche (ma a Milano i cantieri sotto sequestro sono solo tre, ripeto: 3), la Cedu e la Cassazione ci ricordano anche i diritti (altrettanto sacrosanti) dei cittadini danneggiati dalla deregulation urbanistica dell’amministrazione milanese e dalla furia edificatoria di Grattacielo selvaggio.
Strage di Bologna
Caro Nordio, ecco perché la tua riforma dei giudici (la stessa di Gelli) è eversiva
Era il piano di Licio Gelli? E che male c’è? Separare le carriere dei magistrati era ed è “un’opinione giusta, non si vede perché non si dovrebbe seguire perché l’ha detto luiâ€. Così parlò Carlo Nordio, ministro della Giustizia. “Anche l’orologio sbagliato segna due volte al giorno l’ora giustaâ€. In verità , la segna l’orologio fermo: quello sbagliato è sbagliato 24 ore su 24. Ma Nordio continua imperterrito: “Io non conosco il piano della P2â€. Grave, per un ministro della Repubblica la cui storia è stata segnata dalla P2, dagli anni Sessanta fino a oggi. Gli proponiamo un rapido ripasso delle imprese di Gelli, dal golpe Borghese alla strage di Bologna.
Vita movimentata, quella di Licio, fin dall’adolescenza. A 13 anni è espulso da tutte le scuole del regno per aver preso a calci un professore antifascista. A 18 si arruola volontario per combattere in Spagna a fianco dei franchisti. A 26 è arrestato per reati comuni (fra i quali furto e sequestro di persona) commessi con la camicia nera. Fascista, è gran maestro del doppio gioco. È in stretto collegamento con il comando tedesco, ma a partire dal 1942, annusata l’aria, apre contatti con i servizi segreti inglesi e poi, dal 1944, con il Cic (Counter Intelligence Corps) della quinta armata americana.
Dopo la liberazione, rischia la fucilazione, ma viene salvato dai dirigenti del locale Cnl. Poi emigra in Argentina, dove attiva nuovi rapporti. Tornato in patria, scala le gerarchie massoniche. Diventa un volonteroso funzionario del doppio Stato e della “guerra non ortodossa†al comunismo. A capo della loggia segreta P2, seleziona gli ufficiali anticomunisti dell’esercito pronti al colpo di Stato. È lui che nella notte dell’8 dicembre 1970 è pronto a entrare con una squadra armata al Quirinale, per fare prigioniero il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Il golpe viene sospeso all’ultimo momento dagli Usa. Ma resta protetto: “La figura di Licio Gelli è stata volutamente espunta dagli accertamentiâ€, scrive il giudice Guido Salvini. “Del resto si trattava, secondo le parole del generale Maletti, di una ‘persona sacra per il Servizio’â€.
Dopo il 1974, la strategia della guerra segreta contro il comunismo cambia: basta con i progetti apertamente golpisti, sostituiti da un più flessibile programma di occupazione di tutti i centri di potere: esercito, intelligence, partiti, imprese, banche, giornali. La P2 organizza questo club del doppio Stato, riservato circolo dell’oltranzismo atlantico, ma anche, all’italiana, variopinta cricca dove si promuovono carriere, affari, corruzioni. Negli anni, inchiesta dopo inchiesta, scopriamo Gelli grande riciclatore dei soldi di Cosa nostra, protagonista della bancarotta del Banco Ambrosiano, regista e finanziatore della strage di Bologna.
Gli ultimi anni li passa tranquillo a villa Wanda, rilasciando interviste in cui dice cose del tipo: “Tutti gli italiani dovrebbero rimpiangere il fascismo, perché sotto Mussolini c’era serenità , lavoro e sicurezzaâ€. Cita sornione anche Silvio Berlusconi, un suo affiliato dei tempi d’oro diventato presidente del Consiglio: “Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo, la giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Dovrei chiedere i diritti d’autoreâ€.
Tutto o quasi: “Manca solo la divisione delle carriere giudiziarie, io ho sempre sostenuto che pm e giudici si debbano odiareâ€. Ora ci siamo, anche grazie a Nordio. Era tutto già scritto nel Piano di rinascita democratica, elaborato tra l’autunno 1975 e l’inverno 1976: segna il passaggio dell’Italia dalla fase golpista (quella delle stragi e dei tentati golpe tra il 1969 e il 1974) a quella di occupazione dei gangli del potere (dopo il tramonto dell’amministrazione Nixon e il cambio della strategia internazionale dell’oltranzismo atlantico).
Il Piano di rinascita, di cui Gelli è non l’autore, ma il volonteroso propagandista, indica sei obiettivi da realizzare: nei partiti, nella stampa, nei sindacati, nel governo, nel Parlamento. Il quinto punto riguarda “la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggiâ€. Come? Realizzando una serie di riforme. Eccole. Introdurre “la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati†e “la normativa per l’accesso in carriera (esami psico-attitudinali preliminari)â€.
Seguono sei riforme concrete. La prima riguarda la separazione delle carriere, con il pm diviso dai giudici: eccola, la “riforma†che oggi si vuole portare a compimento. Al quarto punto si toglie autonomia al Csm: “Riforma del Consiglio superiore della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamentoâ€. Il quinto punto insiste sulla separazione delle carriere: “Riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistratiâ€. Così possiamo prepararci ai prossimi passi della “riforma†che affonda le radici nel passato più nero della Repubblica.
Slapp
Diffamazione e querele temerarie. L’avvocato Malavenda: “Rivediamo la leggeâ€
L’attacco all’informazione si manifesta anche – come nel caso di Report e di Sigfrido Ranucci – con querele temerarie: “concetto vagoâ€, secondo il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. È davvero così? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Caterina Malavenda, specialista nella difesa di giornalisti accusati di diffamazione, autrice del libro E io ti querelo (Marsilio). “Premetto: chiunque ha diritto di fare causa civile o penale se è stato diffamato. Aggiungo: occorrerebbe tutelare altrettanto chi la subisce se è infondata o addirittura temeraria. E questo non succedeâ€.
Il ministro Nordio ha detto che “lite temeraria†è un concetto vago.
Temerarietà è il termine atecnico che rimanda alla colpa grave o alla malafede di chi avvia una causa senza alcun appiglio giuridico: se ne parla nei codici di procedura civile e penale, basta leggerli. E la querela temeraria, per rimanere al penale, è quella di chi per esempio contesta la verità di un fatto, chiedendo la punizione di chi l’ha divulgato, pur sapendo che è vero e che, dunque, nessuno sarà condannato; o di chi si lamenta di un’insinuazione che solo lui ha colto.
Non c’è soltanto la lite temeraria. C’è anche la querela infondata.
Sì, anche la querela semplicemente infondata crea problemi, intanto perché devi difenderti, impegnando tempo e denaro, e anche se va a finire bene non recuperi né l’uno né l’altro. Chi ti ha trascinato in tribunale invece non corre alcun rischio, paga solo il suo avvocato.
Il giornalista alla fine è sempre sconfitto.
Il giornalista che vince la causa civile almeno recupera le spese legali, che vengono pagate da chi perde, mentre è assai difficile che ottenga anche l’indennità posta a carico di chi abusa del processo, mettendo in moto una macchina che non sarebbe mai dovuta partire o, peggio, promuovendo una lite temeraria, come stabilisce l’articolo 96 del codice di procedura civile.
È il giudice che deve ravvisare una lite temeraria?
Sì, ma chissà perché ha tante remore a ricorrere a questo strumento, anche quando sarebbe sacrosanto. Il problema a volte non è nella legge, ma in chi deve applicarla.
Anche quando gli vengono liquidate spese e indennità , il giornalista fa fatica a recuperarle, se il debitore si dimostra nullatenente.
Basterebbe prevedere una cauzione per chi avvia una causa civile, a copertura almeno delle spese legali e dei danni che dovessero essere liquidati se il giudice gli dà torto. È una delle misure sollecitate dalla direttiva europea sulle Slapp.
Le Slapp (Strategic Lawsuits Against Public Participation) sono le cause usate per intimidire giornalisti, attivisti e Ong. La direttiva europea, se accolta, risolverebbe il problema?
Se ne parla come se fosse la panacea di tutti i mali, senza ricordare che non tocca le cause penali e riguarda solo le azioni civili “con implicazioni transfrontaliereâ€, cioè che vengono intentate in un Paese europeo diverso da quello in cui risiede chi è citato in giudizio.
Nel processo penale non c’è alcuna tutela contro le querele temerarie?
Una norma analoga all’articolo 96 che vale per il processo civile c’è anche nel processo penale, è l’articolo 427, che consente al giudice di condannare il querelante che abbia agito con colpa grave, a risarcire l’imputato, ma solo se viene assolto perché il fatto non sussiste o non lo ha commesso. Peccato che il giornalista venga di solito assolto perché il fatto non costituisce reato…
Rimedi?
Basterebbe poco per equilibrare le cose, intanto stabilendo che solo chi attribuisce volutamente un fatto falso può essere querelato per diffamazione, eliminando ipotesi alternative che lasciano troppo spazio alla discrezionalità del giudice. Oggi, può stabilire la rilevanza penale di un epiteto, un’opinione dura, un accostamento sgradevole, semplicemente affermando che, a suo parere – il solo che conti – superano il limite della continenza verbale e, dunque, devono essere sanzionati. Si potrebbe poi stabilire che tutti gli imputati assolti debbano essere risarciti, se si accerta la colpa grave di chi li ha querelati. Sono proposte già fatte e mai recepite. Sono anni che dico e che sento sempre le stesse cose su quel che si potrebbe fare, per migliorare la vita dei giornalisti, per evitare che diventino bersagli di rappresaglie giudiziarie, ma gli interventi sono di natura squisitamente politica e non mi paiono proprio all’ordine del giorno.
Data articolo: Sat, 15 Nov 2025 18:55:55 +0000Salva-Milano
Il Comune vara i “rimediâ€. In attesa della Salva-Milano2
“Misure rimedialiâ€. È questo l’oggetto dell’ultima delibera di giunta con cui il Comune di Milano cerca di tornare nel solco della legge. Proprio così: “Misure rimedialiâ€. La locuzione suona un po’ neolingua burocratico-amministrativa, ma dice la necessità di “rimediareâ€, di adeguarsi alle leggi urbanistiche, dopo le indagini della magistratura.
In particolare alle norme – per niente confuse – che distinguono “nuova costruzione†da “ristrutturazioneâ€. Ci dev’essere continuità tra ciò che si abbatte e ciò che si ricostruisce. Il nuovo edificio deve avere la stessa volumetria di quello abbattuto. Demolizione e ricostruzione devono avvenire nello stesso arco temporale. Senza l’accorpamento di volumi che erano prima suddivisi.
Questi sono, in sintesi, i criteri indicati nella sentenza del Consiglio di Stato emessa il 4 novembre, come ultima parola della giustizia amministrativa su uno dei casi sotto inchiesta a Milano, la palazzina tirata su in un cortile di via Fauchè. Nove giorni dopo, il 13 novembre, la giunta di Milano prende atto e si adegua, votando la delibera sulle “misure rimedialiâ€. Il Consiglio di Stato chiama, la giunta di Milano risponde.
In verità , anche la Cassazione si era espressa nella stessa direzione. Già il 24 luglio, era intervenuta su un altro dei casi milanesi, quello delle Torri Lac di via Cancano, tre grattacieli affacciati su un laghetto al bordo del parco delle Cave, costruiti con una Scia (Segnalazione certificata d’inizio attività ) come fossero “ristrutturazione†della vecchia fabbrica delle pompe Peroni. Sono invece “nuova costruzioneâ€, con il conseguente obbligo di pagare gli oneri: così stabilisce definitivamente la Cassazione, dando ragione a pm e gip.
Già a luglio, dunque, il Comune avrebbe potuto far decollare le sue “misure rimedialiâ€. Invece ha aspettato la pronuncia del Consiglio di Stato, forse sperando che potesse essere difforme da quella della Cassazione, per poter giocare sulla (inesistente) “differenza interpretativa†tra giustizia penale e giustizia amministrativa. Aspettativa delusa: si confermano a vicenda.
A questo punto partono le “misure rimedialiâ€, con una vistosa assenza in giunta: quella del sindaco Giuseppe Sala, la cui firma non compare nella delibera. Forse era impegnato a inseguire dialoghi impossibili. “Serve un dialogo con la Procuraâ€, ripete da tempo, “quello che serve è parlarsi, perché altrimenti Milano resta in uno stalloâ€. Ma la Procura parla con i suoi atti, seguendo i codici, e non può certo mettersi ad aprire impossibili trattative con i suoi indagati.
L’aspetto curioso della vicenda è che, mentre da una parte si vara la delibera che ammette l’errore di aver considerato “ristrutturazione†le nuove costruzioni, perdendo oneri per milioni di euro, dall’altra si dice “mi adeguo ma non mi piegoâ€: è la vicesindaca Anna Scavuzzo a dichiarare che il Comune di Milano “mette in campo una serie di misure correttive per gli interventi di urbanistica che sono oggetto delle inchieste o che rischiano di esserloâ€, per “riorientare l’attività degli uffici comunaliâ€; ma senza ammettere colpe e solo in attesa di altro: “Aspettiamo un’azione complessiva che permetta di adeguare le norme in materia urbanistica alle istanze che da diverse città oggi emergono, non più solo da Milanoâ€.
Una nuova Salva-Milano, formato magnum, per tutta l’Italia. La contraddice il capogruppo di Fratelli d’Italia in Comune, Riccardo Truppo: “Questi colpevoli ritardi sono inaccettabili, come il tentativo continuo di buttare la palla in corner chiedendo norme nazionali che invece non servonoâ€.
Intanto emerge una incauta scelta del Comune. Quando, in seguito alle inchieste, sono stati riorganizzati gli uffici dell’urbanistica, Sala ha assunto come dirigente Massimiliano Lippi, oggi al vertice della Direzione attuazione diretta Piano di governo del territorio e Sportello unico edilizia. Ma ora emerge (lo segnala l’agenzia LaPresse) che Lippi nel 2023 è stato condannato in via definitiva dalla Corte dei conti a risarcire al Comune di Arcore, dove era dirigente, un danno erariale di 400 mila euro, insieme all’allora sindaco di Forza Italia, Marco Rocchini: per una complessa vicenda urbanistica partita dalla trasformazione di un’area da agricola a produttiva. L’uomo giusto per le “misure rimediali†del Modello Milano.
Data articolo: Sat, 15 Nov 2025 17:19:50 +0000Sistema Milano
Ma davvero la Cassazione ha sepolto le indagini sull’urbanistica a Milano?
Gioiscono i due “sindaci†di Milano: Giuseppe Sala, quello eletto, e Manfredi Catella, quello acclamato, via chat, dall’(ex) assessore Giancarlo Tancredi. Dopo la doppia decisione di ieri su Milano della Cassazione, Sala ha dichiarato: “La Suprema corte smentisce la Procura. Ma purtroppo vedo che la Procura continua ad andare avanti senza tener conto che il sistema giudicante non accoglie in parte significativa la sua lineaâ€. Catella aggiunge, per rassicurare i suoi preoccupati stakeholder: “Undici giudici hanno radicato fino al livello massimo della magistratura la nostra estraneità a quanto contestatociâ€. Poi esagera: “Equivale a un riconoscimento virtuoso dell’integrità , del rigore, della professionalità e della capacità di reazione della nostra organizzazione e di tutte le persone di Coimaâ€.
È proprio così? La Cassazione ha davvero sepolto l’indagine della Procura sul Sistema Milano? Dovremo aspettare le motivazioni delle due decisioni. Ma già ora alcune cose sono chiare. Innanzitutto che l’indagine Grattacieli puliti è composta da due livelli.
Il primo riguarda i reati urbanistici: torri residenziali fatte passare per “ristrutturazione†di piccoli laboratori; edifici tirati su nei cortili; grattacieli permessi con un’autocertificazione (la mitica Scia) mentre la legge impone chiaro chiaro, per le costruzioni oltre i 25 metri, un piano attuativo, cioè l’arrivo di nuovi servizi per i cittadini; e il pagamento di oneri adeguati (Sala ha fatto perdere alla città , negli ultimi anni, ben 2 miliardi di euro regalati a costruttori e fondi immobiliari). Questo livello è stato finora sempre confermato da Tar, Consiglio di Stato, gip, gup e, in sede cautelare, giudici del riesame e Cassazione. Le indagini aperte sono decine, aumenteranno nelle prossime settimane e in quattro casi sono già approdate al dibattimento in aula.
Il secondo livello – quello su cui ieri si è pronunciata la Cassazione – è più complesso. Secondo la Procura, a Milano si è consolidato un metodo di corruzione sistemica. Il vecchio patto corruttivo tra l’imprenditore e il pubblico ufficiale, con le sue poco eleganti tangenti, è stato sostituito dalla “cattura del regolatoreâ€: la Commissione paesaggio, a cui sono stati conferiti i superpoteri di decidere al posto degli uffici comunali, è a libro-paga degli operatori immobiliari, che remunerano i loro interlocutori bifronti (progettisti ma anche pubblici ufficiali) con incarichi professionali e consulenze. La tangente cool della corruzione 2.0.
Il Rito Ambrosiano ha realizzato la privatizzazione dell’organo decisore (la Commissione paesaggio) e organizzato un sistema di corruzione strutturale, ontologica. Chiunque abbia un po’ d’intelligenza e di buon senso vede questo sistema e capisce quanto male faccia allo sviluppo della città , consegnato ai privati. È la metropoli-Farwest, dove vige il diritto del più forte (chi ha più soldi da investire) e viene dimenticato il diritto dei cittadini (a non vedere un grattacielo costruito davanti alle loro finestre, a non perdere servizi urbani per 2 miliardi di euro). Una politica sana sarebbe corsa subito a correggere queste storture, prima dell’arrivo dei giudici. Non lo ha fatto, anzi ha consolidato il nuovo sistema.
E ora? È adeguato il codice penale (massacrato dalle contro-riforme) a cogliere la corruzione 2.0? In sede cautelare, la Cassazione ha trattato il ricorso della Procura sugli arresti di Catella, Alessandro Scandurra e Andrea Bezziccheri: lo ha dichiarato “inammissibileâ€; non ne ha disposto il rigetto nel merito. Perché la Procura non ha motivato l’attualità delle esigenze cautelari (si sono tutti dimessi); o perché ha portato nuovi elementi di fatto, mentre la Cassazione deve limitarsi a questioni di legittimità ? Ha poi annullato le interdittive che avevano sostituito gli arresti per Giancarlo Tancredi, Giuseppe Marinoni e Federico Pella: perché già tutti dimissionari, o perché non è sufficientemente dimostrato il patto corruttivo? A rispondere saranno le motivazioni. (Il Fatto quotidiano, 14 novembre 2025)
La cronaca. Le due decisioni della Cassazione
La Cassazione ha rigettato come “inammissibile†il ricorso della Procura di Milano contro l’annullamento, deciso dal Tribunale del riesame, degli arresti (avvenuti l’estate scorsa) dello sviluppatore immobiliare Manfredi Catella, dell’architetto e membro della Commissione paesaggio del Comune Alessandro Scandurra (entrambi ai domiciliari) e del costruttore Andrea Bezziccheri (in carcere). Ha invece accolto i ricorsi dell’ex assessore all’urbanistica Giancarlo Tancredi, dell’ex presidente della Commissione paesaggio Giuseppe Marinoni e dell’imprenditore Federico Pella, per i quali non ha ravvisato la necessità di misure cautelari (si sono tutti dimessi dalle cariche) e ha dunque revocato le misure interdittive che il Riesame aveva loro comminato al posto degli arresti.
Saranno le motivazioni, nelle prossime settimane, a spiegare le decisioni della suprema corte. Intanto gioiscono Catella e il sindaco di Milano. Giuseppe Sala è tornato a chiedere “un dialogo vero con la Procura, altrimenti la città resta in stallo. La Procura continua ad andare avanti senza tener conto del fatto che il sistema giudicante non accoglie in parte significativa la sua lineaâ€. Una nota di Coma, la società di Catella, sostiene che “dal 16 luglio, data di notifica delle accuse, al 12 novembre, data di udienza della Corte suprema – in 120 giorni – undici giudici, oltre alla stessa Procura generale, hanno radicato progressivamente la nostra estraneità a quanto contestatoci. Questa dinamica equivale a un riconoscimento virtuoso dell’integrità , del rigore, della professionalità e della capacità di reazione della nostra organizzazione e di tutte le persone di Coimaâ€.
Intanto la Procura prosegue le indagini, sia sul “secondo livello†del Sistema Milano, quello sui conflitti d’interesse e sulle contestate corruzioni, sia, e ancor di più, sul “primo livelloâ€, quello sulle irregolarità urbanistiche, sempre confermate anche dalla Cassazione e ormai approdate a quattro dibattimenti. (Il Fatto quotidiano, 14 novembre 2025)