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#Gianni #Barbacetto
Urbanistica
Convenzioni edilizie alla milanese: niente Giunta, basta un notaioEntrano in scena anche i notai, nelle inchieste sull’urbanistica a Milano. Il primo, Dario Restuccia, è indagato per le tre torri residenziali affacciate sul parco delle Cave, via Cancano, zona Baggio. Le Residenze Lac, costruite al posto della vecchia fabbrichetta delle Pompe Peroni, sono considerate abusive dai pm della Procura milanese perché edificate come “ristrutturazioneâ€, con la ormai mitica Scia (l’autocertificazione del costruttore), mentre sono “nuova costruzioneâ€; e perché il Comune ha rinunciato a ben 3,2 milioni di euro (oneri urbanistici e monetizzazioni degli standard) per servizi da fornire per legge agli almeno 200 nuovi abitanti che sarebbero arrivati in zona.
E il notaio? Entra in partita 30 gennaio 2019, nel momento della firma della “convenzione urbanisticaâ€. È il documento che dà il via libera all’operazione. Viene sottoscritto davanti a lui dai rappresentanti del Comune e della proprietà : da una parte Giovanni Oggioni, il dirigente comunale (poi arrestato in un’altra indagine), dall’altra Rossella Bollini, amministratore unico della società Lakes Park srl, proprietaria dell’impianto industriale dismesso Pompe Peroni.
Ma c’è un problema, fanno notare i pm Petruzzella-Filippini-Clerici, coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano: le “convenzioni urbanistiche†devono essere approvate (lo dice chiaramente la legge 380 del 2001) dal Consiglio comunale. Una disposizione regionale del 2005 permette che ad approvarle possa essere la Giunta. Ma a Milano vige il Rito Ambrosiano: le convenzioni non passano per l’approvazione né dal Consiglio né dalla Giunta comunale, ma vengono vergate come fossero un accordo privato, davanti a un notaio, con le firme di un dirigente comunale e dell’operatore immobiliare.
Quello delle Residenze Lac non è dunque un caso isolato: a Milano tutte le convenzioni urbanistiche, dal 2015, sono firmate davanti al notaio. Sono dunque potenzialmente illegittime centinaia di operazioni edilizie decise e realizzate dopo il 2015. Chi ha deciso la riduzione della convenzione ad atto privato? “Credo che risalga alla Giunta del sindaco Giuliano Pisapia la decisione di adottare una procedura in base alla quale si autorizzavano i dirigenti a stipulare direttamente le convenzioni, senza la necessità di un voto†degli organi istituzionali della pubblica amministrazione: così ha dichiarato ai magistrati il direttore generale del Comune, Christian Malangone. Sentito dall’agenzia La Presse, Pisapia ha risposto: “A me non risultaâ€. Proviamo a svelare l’arcano.
In verità , la prassi di firmare le convenzioni dal notaio è partita non da una delibera della Giunta Pisapia, ma da una determina dirigenziale emessa il 14 gennaio 2015 da Giuseppina Sordi, allora capo della Direzione centrale sviluppo territorio di Palazzo Marino. Nascosta in una complicata tabella allegata alla determina, alla quasi invisibile nota 4, si legge: “In relazione al contenuto di scelta (attuativa di indirizzi già definiti o di valutazione e conseguente decisione di carattere politico e non tecnico) si procederà all’approvazione degli elementi essenziali della convenzione mediante delibera di Giunta comunale o determina dirigenzialeâ€.
Traduzione: le convenzioni possono essere fatte “mediante delibera di Giunta comunale†(come imposto dalla legge) “o determina dirigenzialeâ€, a seconda se si tratta di attuare “indirizzi già definiti†o di valutare e in conseguenza decidere scelte “di carattere politico e non tecnicoâ€. Prendendo atto che tutte le operazioni edilizie milanesi si inseriscono in “indirizzi già definitiâ€, ecco che le convenzioni da quel momento vengono tutte realizzate con determina dirigenziale, senza passare dalla Giunta, e poi firmate davanti a un notaio.
Ecco dunque svelato l’arcano delle convenzioni alla milanese: nascono da un assurdo giuridico. Un semplice atto di una dirigente, con una piccola nota scritta in corpo 6 come le clausole capestro delle assicurazioni, decide quando espropriare dei suoi poteri un’istituzione comunale (la Giunta). L’allora sindaco Pisapia non se ne accorse. Se ne accorse benissimo la sua vicesindaca e assessora all’urbanistica: Ada Lucia De Cesaris.
Urbanistica
Bologna come Milano? Decolla l’inchiesta sui “mostri urbaniâ€Bologna come Milano? L’inchiesta sull’urbanistica decolla anche nella città emiliana. I carabinieri si sono presentati negli uffici del Comune e hanno acquisito i documenti relativi a 13 palazzi di recente edificazione.
Sono quelli ormai comunemente chiamati “mostri urbaniâ€, elencati in un esposto alla Procura di Bologna presentato già nel dicembre 2024 e firmato da 18 cittadini di diversi comitati, tra cui Andrea De Pasquale del comitato “Bologna vuole vivereâ€, ex consigliere provinciale del Pd e oggi animatore di una rete civica attiva sui temi ambientali e urbanistici. L’esposto ipotizza che i 13 edifici siano stati realizzati (come quelli già sotto indagine a Milano) in violazione delle norme urbanistiche. I carabinieri hanno anche eseguito sopralluoghi nei 13 palazzi su cui è partita un’indagine assegnata alla pm Anna Sessa.
Il Comune di Bologna ha risposto ai comitati che le operazioni immobiliari in corso sono tutte conformi alla legge urbanistica regionale. I comitati hanno replicato che almeno dieci dei 13 palazzi sono stati edificati senza il piano attuativo particolareggiato, dunque senza gli oneri che i costruttori sono tenuti a versare per realizzare i servizi ai cittadini.
La definizione “mostri urbani†è stata usata anche dal sindaco di Bologna, Matteo Lepore, durante la campagna elettorale per la sua elezione: per promettere che operazioni immobiliari di quel tipo, permesse dalle giunte precedenti (sindaco Virginio Merola), non sarebbero più state realizzate nel caso fosse stato eletto.
In città sono però segnalati altri interventi in corso, più recenti, che si aggiungono ai 13 contenuti nell’esposto. In via Toscana 136, al posto delle ex scuole Ferrari di due piani, è previsto un edificio di otto piani. In via Scandellara 7, su prati verdi sono cresciuti edifici residenziali fino a dodici piani. Otto piani anche per l’edificio residenziale di via Renato Fava, in luogo di un capannone solo piano terra.
Trasformazione radicale anche per l’ex Mercatone Uno di via Stalingrado: saranno demoliti due capannoni e una palazzina, sostituiti da un complesso residenziale con altezza fino a 24 metri. L’intervento è stato permesso al proprietario – una società immobiliare del gruppo Unipol – senza piano attuativo, con intervento edilizio diretto (permesso di costruire), con aumento delle volumetrie, cambio di destinazione d’uso da direzionale a residenziale e monetizzazione degli standard urbanistici di soli 550 mila euro.
In via Rimesse 4, al posto del centro commerciale Tre stelle, un capannone di solo piano terra, è previsto uno studentato di otto piani, per 533 posti letto. Solo 28 di questi saranno dati in convenzione, per 12 anni, al costo calmierato di 400 euro al mese. Tutti gli altri posti letto saranno affittati a oltre 1.000 euro al mese: “Questo provocherà un cambiamento anche sociale di Bologna e un mutamento della sua popolazione universitariaâ€, commenta De Pasquale. “Attirerà una clientela straniera, araba, americana, o comunque molto abbiente. Sarà l’avvio di un’altra Bolognaâ€.
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GLI ALTRI “MOSTRI URBANIâ€
denunciati dopo l’esposto del dicembre 2024
(cantieri in corso nell’ottobre 2025)
EX SCUOLE FERRARI
Via Toscana 136.
Edificio di 8 piani al posto di scuola di 2 piani.
La scuola demolita:
L’edificio di progetto:
PALAZZI SCANDELLARA
Via Scandellara 7 (angolo via Fernanda Pivano).
Serie di palazzi residenziali alti fino a 12 piani al posto di un lembo di campagna urbana.
Come era prima:
Com’è adesso (settembre 2025):
EX CENTRO COMMERCIALE TRE STELLE
Via Rimesse 4 (tra via Rimesse e via Cavalieri).
Al posto di un capannone di solo piano terra, è previsto un edificio a L di 8 piani, adibito a studentato, per totali 533 posti letto. È previsto che 28 posti letto siano dati in convenzione per 12 anni al costo calmierato di 400 euro mensili per 11 mesi. È prevista anche la realizzazione di un parcheggio pubblico da 58 posti auto e di un’area verde di 5 mila mq.
Com’era prima (maggio 2024):
Com’è adesso (settembre 2025):
L’edificio di progetto:
EDIFICIO VIA FAVA
Via Renato Fava.
Edificio residenziale di 8 piani al posto di un capannone solo piano terra.
Com’era prima:
L’edificio di progetto:
EX MERCATONE UNO VIA STALINGRADO
(in fase di cantierizzazione)
Area delimitata da via Cesare Gnudi (a sud), via Aldo Moro (a nord), via Stalingrado (a ovest).
L’intervento di riqualificazione prevede la demolizione di tre fabbricati (due capannoni e una palazzina) e il recupero delle volumetrie esistenti incrementate del 20%, per la realizzazione di un complesso residenziale. L’altezza prevista è di 24 metri, la superficie utile di 3.800 mq. Il volume massimo di 19 mila metri cubi. Le dotazioni urbanistiche richieste sono un percorso pedonale su via Stalingrado e un attraversamento pedonale su via Gnudi. È stata concordata la monetizzazione totale delle dotazioni, pari a 550 mila euro. L’intervento è attuato con intervento edilizio diretto (Permesso di costruire) previa convenzione. Proprietario e attuatore: MIDI srl, società immobiliare del gruppo UNIPOL. La convenzione urbanistica attuativa originaria è del 2018 ma viene modificata nel 2022, aumentando la superficie utile da 3.300 a 3.800 mq e cambiando la destinazione d’uso (da direzionale a residenziale).
Il progetto:
Urbanistica
Supersconti, una confessione, un notaio: che cosa ci insegnano le tre torri sul lagoÈ di 3,2 milioni di euro il danno erariale causato alle casse pubbliche per una sola delle tante operazioni urbanistiche sotto indagine a Milano: 3,2 milioni sottratti al bilancio del Comune di Milano, che sarebbero dovuti diventare servizi per i cittadini. Lo sostengono i consulenti tecnici della Procura, i professori Alberto Roccella e Chiara Mazzoleni, dopo aver analizzato le carte delle Residenze Lac di via Cancano, tre torri di 9, 10 e 13 piani, con altezze fra i 27 e i 43 metri, affacciate sul laghetto del Parco delle Cave.
Abuso edilizio, secondo i pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, coordinati dalla procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, perché fatte passare per “ristrutturazione†dei capannoni della ex fabbrica Pompe Peroni, dunque autorizzate con la ormai mitica Scia (l’autocertificazione del costruttore), mentre sono “nuova costruzione†con obbligo di piano attuativo, cioè di un piano che calcoli i servizi necessari per l’arrivo in zona di almeno 200 nuovi abitanti, effetto del cambio di destinazione d’uso: la fabbrichetta è stata sostituita da tre grattacieli residenziali.
Gli operatori (Lakes Park e poi Nexity) hanno pagato 618 mila euro in meno per oneri d’urbanizzazione (non aggiornati dal Comune per sedici anni) e contributo di costruzione; e 2,6 milioni in meno per la monetizzazione delle aree.
Sono i supersconti del Modello Milano: pochi soldi e poche regole, per attirare i capitali immobiliari. Con grandi vantaggi per gli operatori, ma pesanti danni per la città : se la pubblica amministrazione ha rinunciato a 3,2 milioni per una sola operazione, non è fantascientifico ipotizzare che siano circa 2 miliardi i mancati incassi del Comune per le centinaia di operazioni urbanistiche degli ultimi dieci anni, realizzate con le consuetudini fuorilegge del Rito Ambrosiano.
La voce più pesante è quella delle “monetizzazioni degli standardâ€. I costruttori devono per legge fornire al Comune le aree necessarie per realizzare i servizi pubblici necessari ai nuovi abitanti che arrivano in una zona. Se non ci sono aree disponibili, in casi eccezionali, possono “monetizzarleâ€, cioè pagarle. Ma a un prezzo “non inferiore a quello dell’acquisizione di altre aree†da parte del costruttore.
Gli operatori delle Residenze Lac hanno pagato solo 1,4 milioni di euro, cioè 193,45 euro al metro quadrato. Un prezzo ridicolo per Milano. I consulenti tecnici dei pm hanno preso a riferimento una sentenza del Tar Lombardia confermata dal Consiglio di Stato, in cui aree del piccolo Comune di Gorgonzola avevano nel 2008 un valore di 537,5 euro al metro quadro: “Non è minimamente credibile che nel 2019â€, 11 anni dopo, “nel Comune di Milano il valore di mercato di un’area potesse essere 193,45 euro/mqâ€.
Così l’avviso di conclusione indagini sulle Residenze Lac rilancia le indagini sull’urbanistica milanese, ipotizzando una prossima richiesta di processo per 36 persone, fra cui tutti i membri delle Commissioni paesaggio tra il 2018 e il 2024, gli imprenditori coinvolti, il progettista Paolo Mazzoleni (oggi assessore Pd all’Urbanistica a Torino) e alcuni dirigenti comunali, tra cui Giovanni Oggioni (arrestato per corruzione in un’altra indagine parallela) e Simona Collarini (che “confessa†in un “verbale di riunione staff†del 29 marzo 2022: “Dobbiamo cercare di non ripetere situazioni come via Cancano, dove la struttura commerciale ‘ha divorato’ gran parte della superficie fondiaria, obbligando a una soluzione progettuale delle residenze molto impattante (peraltro fronte Parco Cave)â€.
Per la prima volta, viene indagato anche un notaio: Dario Restuccia, davanti al quale è stata firmata la “convenzione urbanistica†per le tre torri. È uno dei miracoli del Rito Ambrosiano: la legge dice che le “convenzioni†devono essere approvate dal Consiglio comunale o almeno dalla giunta; a Milano, invece, dal 2013 si firmano davanti a un notaio, come fossero un atto privato. È il Sistema Milano, bellezza.
Olimpiadi 2026
Olimpiadi 2026. «L’importante non è vincere, ma partecipare». Agli affariMilano ha voluto il bis dell’Expo 2015: le Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026. C’è una foto – iconica, si direbbe sotto la Madonnina – scattata il 24 giugno 2019: ritrae il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, con i pugni chiusi alzati al cielo e la bocca aperta in un incontenibile urlo di gioia. È il momento in cui Milano, in alleanza con Cortina, viene proclamata vincitrice della gara per ospitare i giochi olimpici invernali del 2026. Accanto a Sala, i presidenti (leghisti) della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e del Veneto, Luca Zaia.
Davvero strano il caso delle Olimpiadi della neve vinte dalla città dove non nevica da anni e dove non si pratica alcuno sport invernale. Non c’è neppure una pista di pattinaggio, a Milano. Quelle che c’erano sono chiuse da tempo. La gara, in verità , era andata quasi deserta, con un solo concorrente sconfitto, Stoccolma. Ma Sala lo considera un trionfo. E anche un felice ritorno al grado zero della sua carriera politica, quando fu chiamato da Letizia Moratti a gestire un Expo che rischiava di naufragare e poi, alla fin della fiera, fu premiato con la poltrona di sindaco. Quattro anni dopo, è lui che indossa i panni della Moratti e la fascia da sindaco e sogna di essere ancora quel Sala che fu chiamato a “salvare l’esposizioneâ€. Nella speranza che le Olimpiadi distraggano l’attenzione pubblica dalla crisi del Modello Milano e dalle inchieste giudiziarie sull’urbanistica.
Sala, Fontana e Zaia, tutti galvanizzati dal brivido bipartisan del grande evento. Centrosinistra e centrodestra insieme per la grande avventura. Una nuova occasione, ricorrente nella politica italiana, per concentrare soldi pubblici, avviare lavori e grandi opere, mettere un’altra volta in moto la macchina della comunicazione e del marketing urbano. Soldi e narrazione, affari e propaganda.
Prevedibili, ma mai previsti, gli effetti collaterali di ogni grande evento: gli aumenti dei costi, i ritardi, le deroghe, i litigi per la gestione, gli errori, gli sprechi, le infiltrazioni mafiose. In Lombardia, che pure è la regione più avanzata d’Italia, solo il 44 per cento degli edifici scolastici ha una palestra. Eppure un sacco di soldi pubblici viene impegnato per una manifestazione che dura diciassette giorni (più dieci di Paralimpiadi), per costruire impianti sportivi provvisori da smontare dopo qualche settimana, come la pista di pattinaggio dentro la Fiera di Rho che sarà smantellata a Giochi finiti; o per realizzare strutture che saranno sottoutilizzate, come la pista di bob a Cortina, per uno sport che non si può certo definire di massa (gli iscritti al settore bob della Federazione italiana sport invernali sono una quarantina).
Sala, Fontana e Zaia vincono la non proprio affollata gara per i Giochi invernali con un dossier di candidatura che prometteva Olimpiadi «interamente finanziate da capitali privati» e che sarebbero state realizzate con «una formula sostenibile e innovativa che permetterà all’Italia di essere un esempio per le prossime edizioni dei Giochi». Il sottosegretario con delega allo Sport, il leghista Giancarlo Giorgetti, aveva annunciato: «Il governo non ci metterà un euro». Il presidente Fontana aveva promesso: «Le nostre saranno le prime Olimpiadi risparmiose». Come è andata a finire lo leggerete in questo libro. Le previsioni di spesa si sono gonfiate. Il sogno di compensare i costi con le entrate dagli sponsor, gli incassi dei biglietti e del merchandising si è infranto.
Come nella peggiore tradizione italiana, accanto agli impianti sportivi da costruire è cresciuta la lista di opere pubbliche, strade, svincoli, tramvie, piste ciclabili, ponti, gallerie, che sono classificate come opere per le Olimpiadi, anche se non saranno di certo pronte nel 2026. Alcune si sono perse per strada, altre sono state finanziate con soldi pubblici: altro che «Olimpiadi risparmiose», altro che «Giochi a costo zero».
Fu Alessandro Morelli, braccio destro di Matteo Salvini e sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a escludere interventi finanziari del governo, perché sarebbero stati un «aiuto di Stato» non permesso dall’Unione europea. Ma, si sa, quando si tratta di soldi e politica, il modo si trova. Quando la multinazionale Eventim, che stava costruendo il PalaItalia per l’hokey su ghiaccio, è arrivata a batter cassa, Sala ha dichiarato al Giornale: «I privati hanno bisogno che ci mettiamo qualcosa. Siamo arrivati al punto che io e il governatore Attilio Fontana siamo disponibili a pensarci noi, ma basta che diano una modalità per cui non rischiamo con la Corte dei conti se affidiamo fondi per un bene privato. Serve una legge che ci permetta di tutelare noi e i nostri dirigenti».
Sala vuole una norma speciale, una sorta di sanatoria anticipata. «Troveremo il modo», ha ribadito. «Stiamo cercando una formula perché dei fondi possano arrivare». Per dare un aiutino, per esempio, agli imprenditori privati (come Manfredi Catella di Coima, o come Covivio, società francese controllata attraverso Delfin dal gruppo Luxottica-Del Vecchio) che insieme a Prada sviluppano l’area del Villaggio olimpico. Sono società con ricchi bilanci e ottimi ricavi. Ma in Italia vige il libero mercato alle vongole: quando ci sono da fare profitti, viva l’iniziativa privata; quando arrivano le difficoltà , si bussa ai denari pubblici.
In questo libro-inchiesta leggerete cose che noi umani non siamo abituati a vedere. L’Arena del PalaItalia, nel quartiere di Santa Giulia a Milano, è stata realizzata per ospitare le gare di hockey su ghiaccio, che sono le competizioni più importanti tra quelle che si disputeranno a Milano. Ma la commissione impianti sportivi del Coni «rileva che il progetto non appare rispondente» alle norme di legge «relativamente al rispetto delle condizioni di visibilità degli spettatori, in particolare per quanto riguarda l’attività di hockey su ghiaccio, dichiarata come temporanea e limitata ad alcuni eventi sportivi». Dunque: il palazzetto fatto per l’hockey su ghiaccio non è adatto all’hockey su ghiaccio. Agghiacciante, no?
Altro grande classico delle grandi opere e dei grandi eventi: le illegalità , i sospetti di corruzione, le ombre di mafia. Proprio come Expo 2015. La Procura di Milano ha provato a contestare i reati di corruzione e turbativa d’asta all’ex amministratore delegato della Fondazione Milano-Cortina, Vincenzo Novari, e ad altri. Erano perfino intervenuti – come è emerso dall’inchiesta – per pilotare il televoto – per pilotare il televoto e far vincere uno dei due loghi di Milano-Cortina 2026 presentati al pubblico perché scegliesse quello da adottare. Neanche il televoto lasciano libero e trasparente. Quando era stato scelto come amministratore delegato della Fondazione per le Olimpiadi, Novari aveva incassato il plauso del sindaco Sala, manager di grande fiuto: «Ha esperienza, io personalmente lo conosco da vent’anni, eravamo competitori nel mondo delle telecomunicazioni a inizio 2000 e credo che potrà fare molto bene».
Novari ha poi negato ai pm milanesi Francesco Cajani e Alessandro Gobbis di aver preteso tangenti per pilotare appalti. Ha ammesso di aver ricevuto molte segnalazioni per piazzare dentro la Fondazione amici e parenti di personaggi della politica e del potere. In effetti, vi hanno lavorato molti amici e figli di, da Lorenzo Cochis La Russa, figlio del presidente del Senato, a Livia Draghi, nipote dell’ex presidente del Consiglio.
Quando poi la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano ha, insieme ai suoi pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, scoperchiato il Sistema Milano, è stato svelato il metodo secondo cui gli operatori immobiliari (in questo caso Manfredi Catella di Coima) premevano sul sindaco (Giuseppe Sala) e l’assessore (Giancarlo Tancredi) per far passare i loro progetti e realizzarli alle migliori condizioni. Nel Sistema Milano, operano i progettisti double face: da pubblici ufficiali, membri della Commissione paesaggio, danno l’ok del Comune ai progetti; poi, da professionisti privati, ricevono il generoso ringraziamento degli operatori a cui avevano fatto passare i progetti. Non certo in denaro dentro le inestetiche valigette della corruzione old style, ma in prestigiosi incarichi professionali e consulenze. A Milano, ormai, anche la tangente è cool.
Il Villaggio olimpico costruito sull’ex scalo ferroviario Romana resterà come esempio di architettura neo-sovietica a Milano: sei casermoni addossati l’uno all’altro che neanche nella Bucarest di Ceaușescu. Le Olimpiadi, per Coima, sono il pretesto per portare a casa una nuova operazione immobiliare, questa volta centrata sul nuovo business milanese, le residenze per studenti. Finiti i Giochi, i sei casermoni diventeranno lo studentato più grande d’Italia. Bello caro: malgrado gli aiutini in arrivo a Catella dalle casse pubbliche, l’affitto per gli studenti sarà di un migliaio di euro al mese.
Proteste sono arrivate anche per le casette del villaggio olimpico di Cortina. Il responsabile per l’Italia del Mbi (Modular Building Institute, l’associazione internazionale dei costruttori e rivenditori del settore), Furio Barzon, ha criticato modalità e tempi della gara per l’assegnazione delle unità prefabbricate destinate a ospitare gli atleti, sostenendo in una denuncia pubblica che il bando era costruito su misura per l’unica azienda che ha partecipato e dunque vinto.
Anche la mafia – poteva mancare? – ha proiettato la sua ombra sui lavori per le Olimpiadi. Nel giugno 2022, è stato arrestato Pietro Paolo Portolesi, considerato affiliato di un gruppo di ’ndrangheta attivo tra il Piemonte e la Lombardia. Piccolo imprenditore attivo nel movimento terra, stava lavorando nel trasporto delle macerie dei lavori per il villaggio olimpico di Porta Romana, quello costruito da Coima. Doveva portare in una sua discarica il materiale proveniente dalla demolizione e bonifica delle vecchie strutture delle Ferrovie dello Stato, ma è finito agli arresti domiciliari con l’accusa, ancora da provare, di trasferimento fraudolento di beni e appropriazione indebita: formalmente risultava solo un autista, dipendente di un’azienda che invece controllava e che aveva intestato ad alcuni prestanome, tra cui sua figlia, ottenendo così l’iscrizione alla white list delle imprese. Così aveva ottenuto anche un subappalto per le demolizioni nell’area dell’Ortomercato di Milano.
Nel commentare l’inchiesta, la procuratrice milanese antimafia Alessandra Dolci ha sostenuto che «si tratta di qualcosa di più di una infiltrazione mafiosa nei lavori per i Giochi olimpici del 2026. È un caso di intestazione fittizia di beni e società da parte di un personaggio già condannato per associazione mafiosa. Ferma restando la presunzione di innocenza, siamo di fronte a un soggetto che continuava a lavorare nonostante le interdittive, utilizzando dei prestanome. E bypassando il sistema della white list».
Il sistema dei controlli, per le Olimpiadi 2026, si è dimostrato ancora più debole di quello che era stato costruito per Expo 2015: «Le verifiche sono state accentrate al ministero dell’Interno. Non ho contezza», sostiene Dolci, «dell’efficacia dei controlli, che non sono più a livello locale».
Il governo Meloni ha peggiorato la situazione elevando per legge una sorta di scudo per proteggere la Fondazione. È formalmente privata, ma è completamente controllata e garantita dal pubblico, dunque i suoi rappresentanti dovrebbero essere considerati pubblici ufficiali, soggetti alle leggi sulle società pubbliche che puniscono la corruzione e il traffico di influenze. Ma ecco che il governo Meloni ha decretato che la Fondazione è una società a tutti gli effetti privata, così da evitare o depotenziare ulteriori inchieste giudiziarie (anche a rischio di una bocciatura da parte della Corte costituzionale).
Se Portolesi è personaggio di ’ndrangheta, attorno ai lavori olimpici hanno ronzato anche uomini di Cosa nostra: quelli della società Infrastrutture M&B, che secondo la Direzione distrettuale antimafia di Milano è espressione delle famiglie mafiose di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Due uomini, arrestati nell’estate del 2024, puntavano (senza però riuscire ad aggiudicarsi la gara) ai lavori per un parcheggio interrato a Livigno, un’opera da 28 milioni di euro bandita da Infrastrutture Milano-Cortina 2026 spa: «Un bel lavoro», dicevano gli arrestati, «c’è un mare di movimento terra».
Don Luigi Ciotti, il fondatore di Libera, tornato nel settembre 2025 nel paese dov’è nato, Pieve di Cadore, per festeggiare gli 80 anni, ha lanciato un allarme: «Sono preoccupato per la speculazione in atto sulle Dolomiti». Ha parlato di «effetto Olimpiadi», di «acquisto massiccio di immobili da parte di investitori internazionali, da utilizzare durante il periodo olimpico». E si è detto «indignato per la sottrazione di fondi per l’antimafia passati alle Olimpiadi».
Un bel gemellaggio, quello tra Milano e Cortina: a Milano (soprattutto) gli affari, a Cortina (soprattutto) gli scempi. Il Fatto quotidiano li ha documentati pubblicando fotografie e video. Nel settembre 2024 anche il Corriere della Sera ha pubblicato alcune immagini che mostrano gli abbattimenti di centinaia di larici secolari, commentate da un vibrante Gian Antonio Stella che scrive: «Macché droni! Non servono droni, funamboli o reporter acrobatici appesi ai tralicci per fotografare la distruzione dei boschi sopra Cortina. A dispetto dei top secret, dei divieti, delle denunce di misteriosi robot teleguidati, basta salire sulla cabinovia Freccia nel cielo che ascende verso la spettacolare Tofana per “ammirare le Dolomiti patrimonio Unesco†(così dice il depliant!) ed ecco che, di sotto, si spalanca l’oscena devastazione di quello che fino a pochi mesi fa era il Parco Avventura, dove i ragazzini seguivano un percorso di larice in larice all’Indiana Jones. Sventrato».
Ma le proteste sono restate inascoltate. Gli scempi ambientali sono proseguiti. Gli affari hanno trionfato. Le gare olimpiche sono solo lo sfondo su cui si muovono le imprese e la politica, la propaganda e gli affari. Del resto, come dice la frase che Pierre de Coubertin riprese dal vescovo anglicano Ethelbert Talbot, «L’importante non è vincere, ma partecipare».
Questa è la prefazione al libro di Giuseppe Pietrobelli, Una montagna di soldi, Paper First editore, ottobre 2025
Sergio Spadaro
Financial Times: «Allarme delle Ong sui pm anticorruzione di Milano»Tangenti e corruzione
Le ONG lanciano l’allarme sul caso contro i procuratori anticorruzione italiani
L’ex capo dell’unità anticorruzione di Milano ha presentato ricorso contro la condanna per occultamento di prove nel caso contro Eni/Shell
Un articolo del Financial Times
di Silvia Sciorilli Borrelli, da Milano
Gli attivisti anticorruzione hanno lanciato l’allarme sul procedimento giudiziario contro due importanti procuratori italiani anticorruzione che hanno condotto un’indagine sulla società statale italiana Eni e sul gruppo energetico anglo-olandese Shell. Fabio De Pasquale, ex sostituto procuratore generale di Milano e capo dell’unità anticorruzione, e il suo collega Sergio Spadaro hanno condotto un processo storico su un accordo petrolifero nigeriano che si è concluso nel 2021 con l’assoluzione della società statale italiana Eni e della Shell.
I due uomini sono in attesa di una decisione della corte d’appello questa settimana, dopo essere stati condannati nel 2024 a otto mesi di reclusione per aver presumibilmente nascosto prove favorevoli alla grande compagnia energetica italiana durante il processo. È molto insolito che i pubblici ministeri italiani siano processati per la conduzione delle loro indagini. Gli attivisti sostengono che De Pasquale e Spadaro stiano pagando il prezzo per aver tentato di perseguire la più grande azienda italiana, di cui lo Stato è il maggiore azionista.
“Pur rispettando pienamente l’indipendenza della magistratura, in questo caso va detto che, anche se i fatti accertati dal tribunale riflettono la verità , un errore del genere da parte dei pubblici ministeri non è stato finora perseguibile come reato penale in nessun paese, Italia compresaâ€, ha affermato Drago Kos, ex presidente del gruppo di lavoro dell’OCSE sulla corruzione nelle transazioni commerciali internazionali.
Simon Taylor, cofondatore della ONG Global Witness, coinvolta nel caso contro i gruppi petroliferi, sostiene che il procedimento contro i pubblici ministeri “puzza di interferenza politicaâ€. “È impossibile non vedere il targeting dei pubblici ministeri come un tentativo deliberato di porre fine alle indagini sulle società italiane per corruzione internazionaleâ€, ha affermato Taylor, che ora dirige il gruppo di attivisti Hawkmoth con sede ad Amsterdam.
Dopo la condanna iniziale dei pubblici ministeri, il ministro della Giustizia italiano Carlo Nordio, egli stesso ex procuratore, ha affermato che i casi giudiziari “come quelli contro De Pasquale non offrono una buona immagine della magistratura italiana†e hanno contribuito alla “perdita di credibilità †del settore.
De Pasquale e Spadaro sono saliti alla ribalta nel 2012 dopo aver vinto un caso di frode fiscale di alto profilo contro l’ex premier Silvio Berlusconi, costretto a lasciare il parlamento a seguito della condanna. De Pasquale è stato anche il procuratore capo nella parte italiana dell’indagine Qatargate, che ha esaminato presunti casi di corruzione nel Parlamento europeo.
Il processo internazionale di alto profilo contro Eni e Shell, conclusosi quattro anni fa con la loro assoluzione, era incentrato su un giacimento petrolifero non sviluppato al largo della costa della Nigeria, denominato OPL 245. I pubblici ministeri hanno sostenuto che, nel 2011, quando è stata ottenuta la licenza, sono state pagate tangenti per 1,1 miliardi di dollari su un accordo da 1,3 miliardi di dollari a funzionari pubblici nigeriani.
Eni e Shell hanno sempre negato qualsiasi illecito. I pubblici ministeri si sono basati su migliaia di documenti interni di Shell ed Eni sequestrati durante la complessa indagine transfrontaliera. Vincenzo Armanna, ex dirigente di Eni licenziato dall’azienda prima dell’inizio del processo, aveva inizialmente testimoniato che lui e i suoi colleghi “erano consapevoli che una buona parte [del prezzo pagato per la licenza petrolifera] sarebbe andata a beneficio dei promotori politici dell’operazioneâ€, secondo le informazioni di dominio pubblico relative al caso. Armanna ha anche affermato che decine di milioni di dollari in tangenti erano stati pagati ai dirigenti di Eni.
Tali affermazioni sono state smentite da altri testimoni del processo. Armanna ha poi ritrattato la sua testimonianza sostenendo che il procuratore De Pasquale lo aveva pressato affinché confermasse che Eni sapeva che parte del prezzo pagato per la licenza OPL 245 sarebbe andato a beneficio dei funzionari nigeriani. De Pasquale e il suo collega Spadaro sono stati accusati di aver nascosto cinque documenti, tra cui una registrazione video e messaggi WhatsApp, che minavano le affermazioni iniziali di Armanna riguardo alla conoscenza dei pagamenti da parte della società , secondo i verbali delle udienze contro i pubblici ministeri nella città di Brescia.
Il pubblico ministero di Brescia che ha condotto il caso, ha rifiutato di commentare. Anche De Pasquale e Spadaro hanno rifiutato di commentare. “Una sentenza del tribunale [contro i pubblici ministeri] implicherebbe che qualsiasi errore commesso dai pubblici ministeri in Italia potrebbe essere qualificato come reato penale piuttosto che come semplice violazione delle norme procedurali che potrebbe portare all’inammissibilità delle prove o a una potenziale responsabilità disciplinare per i pubblici ministeriâ€, ha affermato Kos.
De Pasquale e Spadaro negano qualsiasi illecito, sostenendo che sarebbe stato illegale da parte loro divulgare prove che, all’epoca, erano oggetto dell’indagine. In tribunale, la loro difesa ha anche sostenuto che la decisione di non includere i documenti nel fascicolo del caso rientrava nella loro discrezionalità di pubblici ministeri ed era stata approvata dai loro superiori.
L’organizzazione di Taylor, Hawkmoth, insieme alla ONG anticorruzione britannica Corner House e al gruppo per i diritti umani HEDA Resource Centre, ha anche esortato l’unità anticorruzione dell’OCSE a riesaminare il caso. “È sconcertante che ora il gruppo di lavoro [dell’OCSE] sulla corruzione sembri non avere alcun interesse a esaminare queste questioniâ€, ha affermato Taylor. Kos ha dichiarato che durante il suo mandato come presidente, il gruppo di lavoro si è impegnato seriamente con gli Stati in merito a presunte violazioni della convenzione anticorruzione dell’OCSE “che erano considerevolmente meno gravi e supportate da informazioni molto meno approfonditeâ€, ha affermato Kos.
Articolo tradotto con Deepl.com
Stadio
Ristrutturare o ricostruire? Cifre false del Comune per vendere San SiroPrima, concessione a Milan e Inter per 99 anni. Poi, ristrutturazione. Infine, vendita per lasciarlo abbattere. Lo stadio Meazza è da sei anni oggetto di un ping-pong di proposte e di un mercato dei tappeti per stabilire prezzo e condizioni. Ma con un punto fermo: a condurre il gioco è sempre stato l’operatore privato (i rappresentanti dei fondi americani che per ora posseggono Milan e Inter), mentre l’amministratore pubblico (il sindaco e i dirigenti del Comune di Milano) è stato subordinato e obbediente.
Lo dimostrano le chat tra i rappresentanti di Milan e Inter e i vertici di Palazzo Marino: il direttore generale Christian Malangone, l’assessore all’urbanistica Giancarlo Tancredi, la dirigente Simona Collarini (tutti e tre già indagati dalla Procura per altre vicende).
Ma a leggere i documenti di questa storia infinita si scopre che i costi dell’operazione – ristrutturazione o costruzione di un nuovo stadio – sono stati cambiati, nascosti, modificati, come in un gioco delle tre carte. Si poteva ristrutturare, il glorioso Meazza. Invece le squadre volevano e continuano a volerlo abbattere, per costruirne uno nuovo e soprattutto per costruirci attorno grattacieli, uffici, hotel, centro commerciale: una operazione immobiliare da 1,3 miliardi di euro. Questa, e non lo stadio, è il fulcro dell’affare.
Giugno 2022. Un comitato di cittadini chiede un referendum per consultare i milanesi, chiedendo loro se vogliono un nuovo stadio o preferiscono la ristrutturazione del Meazza. Ma ecco che il Comune produce un documento in cui afferma che “i costi di ristrutturazione ammontano approssimativamente a 510 milioni di euro, rispetto ai 650 per il nuovo stadioâ€. Firmato: Simona Collarini, direttore settore Rigenerazione urbana. La differenza tra 510 (per ristrutturare) e 650 (per costruire da zero) è così ridotta da far concludere che ristrutturare non conviene: “La verifica complessiva di fattibilità tecnico-economica di quanto proposto non consegue esito positivoâ€. Dunque inutile fare il referendum, dicono a Palazzo Marino. Ma è proprio così?
Marzo 2025. Milan e Inter presentano in Comune il DocFap, il Documento di Fattibilità delle Alternative Progettuali. Nelle sue pagine, le cifre sono altre: per la ristrutturazione completa del Meazza si prevede un costo di 371 milioni, mentre per la costruzione ex novo dell’impianto il costo previsto è di 810 milioni. Ristrutturare costa meno della metà che costruire un nuovo impianto.
A questo punto, il consigliere comunale Enrico Fedrighini, ambientalista eletto nella lista Sala ma oggi confluito nel gruppo misto, in data 5 settembre 2025 pone per iscritto a Collarini una serie di domande. Da quale fonte è arrivata quella valutazione dei costi comunicata nel 2022 dalla direzione Rigenerazione urbana che l’aveva usata per motivare il no al referendum? Quale verifica è stata svolta per arrivare a una stima di quasi equivalenza dei costi di ristrutturazione e nuova edificazione, ora smentita dagli stessi proponenti dell’operazione, cioè Milan e Inter? Chi ha effettuato la verifica?
La risposta di Collarini tarda ad arrivare. Arriva solo il 7 ottobre 2025, ormai dopo la fatidica notte tra il 29 e il 30 settembre in cui il Consiglio comunale approva (con l’aiuto di Forza Italia) la vendita di San Siro e il via all’operazione immobiliare da 1,3 miliardi di euro sui terreni attorno allo stadio. “Le stime di ristrutturazione indicate dalle Squadre non sono state oggetto di verifica da parte degli uffici, ma riportate esclusivamente come ipotetico scenario comparativoâ€. (Vedi il documento ufficiale in fondo a questa pagina)
Tradotto: l’amministrazione comunale nel 2022 ha usato, in un atto ufficiale, la stima fornita da chi si candidava a comprare. Il venditore di un bene pubblico (lo stadio) accettava le cifre del compratore senza compiere alcuna verifica. Senza neppure prendere in considerazione gli atti depositati da soggetti terzi, come i progettisti Aceti e Magistretti, che avevano presentato in Comune un progetto di ristrutturazione del Meazza. Un maledetto imbroglio. Con cui l’amministrazione comunale ha fatto cadere l’ipotesi di ristrutturazione per fare quello che volevano i fondi Redbird (Milan) e Oaktree (Inter): comprare – a prezzo di saldo – per abbattere il Meazza e procedere con la speculazione edilizia a San Siro.
La comunicazione della dirigente del Comune sui costi ristrutturazione/ricostruzione:
Stadio
Olimpiadi Milano-Cortina, gran festa a San Siro. Già venduto?La Fondazione Milano-Cortina 2026, il Comune di Milano e le Regioni Lombardia e Veneto pagheranno Milan e Inter, per utilizzare lo stadio Meazza per la cerimonia d’apertura dei Giochi olimpici? La domanda, paradossale, ha un suo senso, perché a quella data – il 6 febbraio 2026 – il Meazza non sarà più un bene pubblico del Comune di Milano, promotore delle Olimpiadi insieme alla Regione Lombardia e alla Regione Veneto. Sarà già stato venduto a Milan e Inter, o meglio a una società -veicolo controllata dai fondi americani Redbird e Oaktree che possiedono – per ora – le due squadre di calcio. Dunque chiunque altro usi lo stadio dovrebbe pagare l’affitto ai nuovi proprietari.
La domanda sembra provocatoria, ma mette bene in luce una caratteristica del contratto di cessione – che in verità ancora nessuno ha visto, anche se le allegre consigliere e i distratti consiglieri del Pd e di Forza Italia hanno fatto passare comunque, senza paura alcuna, la vendita (anzi svendita) dello stadio e dei terreni attorno in Consiglio comunale, nella bizzarra notte tra il 29 e il 30 settembre. Approvazione in tutta fretta, senza aver permesso ai consiglieri di discutere e votare gli emendamenti già presentati e, ancor prima, senza aver lasciato alle commissioni comunali il tempo di valutare l’operazione.
Perché tutta questa fretta? Perché vendere il Meazza prima dell’inizio delle Olimpiadi invernali, pur sapendo che lo stadio dovrà ospitare la cerimonia d’apertura? Semplice: perché il 10 novembre 2025 il secondo anello del Meazza compirà 70 anni e quindi lo stadio diventerà tutelato dalla Soprintendenza e non si potrà più abbattere, se resterà proprietà pubblica. Potrà essere abbattuto solo se a quella data sarà privato: per questo i fondi Redbird e Oaktree lo vogliono acquistare prima del 10 novembre, per poterlo abbattere e realizzare l’operazione speculativa da 1,3 miliardi di euro sui terreni attorno: costruire grattacieli, uffici, hotel, centro commerciale. Il nuovo stadio sarà solo l’innesco della bomba immobiliare.
Finora conoscevamo gli assegni post-datati, quelli che qualcuno firmava con una data avanti nel tempo, per non dover pagare subito soldi che non aveva. Ora dobbiamo imparare a conoscere i contratti ante-datati, quelli per vendere subito un bene, in fretta e furia, in modo da aggirare il vincolo della Soprintendenza. Eppure il Meazza dovrà essere usato per molti anni ancora, almeno fino al 2031, e comunque fino a quando non sarà pronto il nuovo stadio. Ha senso che una pubblica amministrazione faccia in tutta fretta una vendita ante-datata per permettere a due fondi speculativi esteri di distruggere un bene-simbolo di Milano che sarà usato dalla stessa pubblica amministrazione almeno fino al 6 febbraio 2026? È regolare questo contratto con il trucco?
Ci sono poi altri tre argomenti da considerare. Primo: la data del 10 novembre è contestata dal Comitato Sì Meazza e dai cittadini che, con documenti e foto alla mano, hanno individuato nell’11 settembre 2025 il vero compleanno dello splendido settantenne, dunque già avvenuto, con conseguente impossibilità di abbatterlo. Secondo: oltre al vincolo culturale che scatta con i 70 anni, per il Meazza – sostengono alcuni esperti – dovrebbe scattare un altro, più stringente vincolo, quello storico-relazionale, che ne impedirà comunque l’abbattimento anche dopo che sarà venduto ai privati.
Terzo: ok, il prezzo non è giusto. La stima dell’Agenzia delle entrate, già bassa (197 milioni), è ulteriormente falcidiata dagli sconti che il sindaco Giuseppe Sala ha concesso ai fondi: 22 milioni di “compartecipazione†del Comune, 80 di oneri ridotti per il sottopasso Patroclo. Restano 95 milioni: 73 saranno pagati alla firma del contratto, gli altri 22 in comode rate in una decina d’anni. Alla fine, il Comune incasserà in un decennio la stessa cifra che otteneva affittando lo stadio a Milan e Inter. Una dismissione a vantaggio zero per la città .
Salva-Milano
Torna la Salva-Milano. Nascosta nella legge sulla Rigenerazione urbanaTorna la Salva-Milano. La legge-sanatoria per condonare gli abusi edilizi scoperti a Milano e azzerare le indagini della Procura, dopo essere stata approvata alla Camera (con i voti di destra e Pd e l’opposizione di Movimento 5 stelle e Avs), è finita ibernata in Senato. Si era scoperto che ad averla scritta erano stati proprio alcuni degli indagati a Milano. Aveva pesato anche l’appello di 140 professori delle università di tutta Italia che mettevano in guardia sulle conseguenze che quella sanatoria avrebbe provocato per l’ambiente e per le casse dei Comuni. Ma la voglia di condono è restata sotto la cenere.
La Salva-Milano ora torna, nascosta nel disegno di legge sulla Rigenerazione urbana in discussione alla Commissione Ambiente del Senato. E anche il governo sta partorendo un progetto di Salva-Milano 2, nella legge-delega sul nuovo Testo unico dell’edilizia.
“Me ne sono accorta preparando alcuni emendamenti al disegno di legge sulla Rigenerazione Urbana, di cui è stato depositato in Senato un nuovo testo, relatore Roberto Rosso, di Forza Italia, che pretende di tener conto anche delle precedenti proposte di diversi partitiâ€, spiega Elena Sironi, la senatrice del Movimento 5 stelle che nei primi mesi del 2025 più si è impegnata per bloccare a Palazzo Madama il condono voluto dal sindaco di Milano Giuseppe Sala.
“Ho scoperto, in verità senza particolare stupore, che tra i vari articoli di questo disegno di legge rispunta la Salva-Milano. Mi chiedo a che gioco stia giocando Forza Italia, nel correre ripetutamente in soccorso del sindaco di Milano e della sua giunta a trazione Pd, nonché dei vari funzionari e dirigenti indagati. Perché ci tengono tanto a togliergli le castagne dal fuoco?â€. Sironi fa riferimento alla delibera del Consiglio comunale “sull’operazione di speculazione edilizia dello stadio di San Siro, che è passata proprio grazie all’uscita dall’aula dei consiglieri di Forza Italiaâ€.
Ebbene, ecco che la Salva-Milano, “ibernata al Senato grazie al M5s, ora rientra dalla finestra nascosta nel disegno di legge sulla Rigenerazione urbana proposto da Forza Italiaâ€. Gli articoli che reintroducono di fatto la sanatoria sono quelli che dispongono che ogni intervento di demolizione e successiva ricostruzione, anche con cambio di destinazione d’uso (piccoli laboratori trasformati in grattacieli residenziali), sia possibile con una semplice autocertificazione del costruttore (la ormai famosa Scia).
Così sarebbero salvati dalla bacchetta magica della nuova legge molti degli interventi sotto processo a Milano per abusi edilizi, come la Torre Milano di via Stresa o le Residenze Lac al Parco delle Cave. E non sarebbe più necessario, invece della Scia, chiedere un piano attuativo, che garantisce nuovi servizi agli abitanti che arrivano in una zona.
L’altra via per reintrodurre la Salva-Milano è percorsa direttamente dal governo. Con partenza dal ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini. Sta preparando una bozza di disegno di legge che prevede una delega al Consiglio dei ministri per riordinare e semplificare, entro 18 mesi dall’approvazione, l’intero quadro normativo edilizio. Creando un nuovo Testo Unico organico sull’edilizia: semplificando, deregolando, condonando.
Sarà più facile costruire e ancora più facile condonare, regolarizzando le opere realizzate prima dell’entrata in vigore della legge urbanistica del 1967. Ma sanando anche gli abusi edilizi più recenti, quelli scoperti a Milano dalla Procura. Saranno consentiti e considerati “ristrutturazione†gli interventi di demolizione e ricostruzione anche con variazioni significative: della sagoma, dell’ingombro, della volumetria, permettendo anche il cambio di destinazione d’uso. Così piccoli capannoni potranno essere trasformati in grattacieli residenziali: esattamente quello che è sotto processo a Milano. In aree cittadine già infrastrutturate, sarà possibile costruire senza l’obbligo di piani attuativi.
Insomma: la manovra a tenaglia Senato-governo resusciterà la Salva-Milano. Per sanare non solo gli abusi milanesi: il “Rito ambrosiano†diventerà legge nazionale, scolpita per sempre nella nuova disciplina sulla Rigenerazione urbana e nel Testo Unico che Salvini vuole portare al Consiglio dei ministri.
Data articolo: Tue, 07 Oct 2025 14:43:47 +0000Stadio
Dopo la notte di San Siro. Che cosa resta della sinistra a MilanoChe cosa resta della sinistra a Milano, dopo la notte della vergogna? Alle 3.44 del 30 settembre il Consiglio comunale ha votato (con il soccorso determinante di Forza Italia e di Letizia Moratti) la delibera che dà il via libera alla gigantesca speculazione immobiliare da 1,3 miliardi che abbatterà il Meazza e costruirà grattacieli, uffici, hotel, il centro commerciale urbano più grande d’Italia. E – sì, dimenticavo – anche un nuovo stadio: il pretesto per realizzare una gigantesca operazione finanziaria a esclusivo vantaggio dei due fondi anonimi Usa che controllano (per ora) Milan e Inter.
Questo voto del Consiglio, sommato con quello a favore della Salva-Milano del 10 febbraio 2025, chiude per sempre il sindaco Sala, il Pd ambrosiano e i suoi alleati renziani e calendiani nel bozzolo dorato del Sistema Milano, ovvero dell’amministrazione pubblica messa al servizio degli operatori privati. Nessun segno di autocritica, nessun tentativo di correggere il percorso che ha consegnato la città ai fondi immobiliari e finanziari.
Ora vedremo se i verdi, i (pochi) dissidenti interni al Pd e i (tanti) elettori del Pd scontenti, i comitati cittadini, le sinistre che non vogliono inciuci con Forza Italia, i Cinquestelle, gli ambientalisti – insomma: la Milano che non ne può più di Sala – sapranno unirsi per costruire una proposta che dia voce ai milanesi che vogliono un’altra Milano e che sono rimasti senza rappresentanza dentro Palazzo Marino. Con la notte della vergogna si chiude un ciclo.
Per raccontarla ci vorrebbe un entomologo che sapesse descrivere i piccoli segni, i comportamenti, le espressioni di chi ha prodotto questo triste crepuscolo in cui la politica si consegna agli interessi privati. O forse ci vorrebbe uno psicoanalista per decifrare i décalage, gli atti mancati, gli impicci linguistici con cui tanti consiglieri hanno tentato di giustificare, a se stessi prima che agli altri, un voto innaturale.
Facevano pena, a tratti, schiacciati dallo smarrimento, dall’arroganza, dalla fatica, dal sonno. Eccoli ripetere le eterne bugie (“Altrimenti le squadre vanno a costruire altroveâ€). Sfoderare con esibita baldanza i falsi argomenti (“Siamo per il futuro, contro la nostalgiaâ€). Ripetere con scarsa competenza gli equivoci già smentiti (“Il Meazza non ha gli standard per le gare internazionaliâ€).
“Andare altrove†è stato un bluff per pokeristi gonzi: le squadre non hanno i soldi per farselo loro, uno stadio nuovo, se la città non regala i diritti edificatori con cui si ripagano l’operazione. Il Meazza non va salvato in nome della “nostalgia del passatoâ€, ma del futuro che può avere con una ristrutturazione come quella che ha fatto rivivere il Camp Nou di Barcellona o il Bernabeu di Madrid.
L’impianto è “ammalorato†solo perché i club negli ultimi cinque anni hanno smesso di fare i lavori di “manutenzione e innovazione†(per 24,7 milioni) a cui sarebbero obbligati per contatto. Eppure è ormai chiaro a tutti che in discussione non è uno stadio, ma un’operazione immobiliare.
Dopo aver convinto se stessi che non si può fare diversamente, che questo amaro calice va comunque bevuto, le consigliere e i consiglieri sono passati alle piccole compensazioni, alle consolazioni da fine pasto, al dessert degli emendamenti che non obbligano nessuno e che comunque sarebbero stati abbattuti dal “canguroâ€. Chi chiedeva “una spruzzatina di socialeâ€, “soldi per case e piscineâ€, qualche briciola per il quartiere, più attenzione ai portatori di handicap, più impegno per lo sport femminile, citati nella notte (giuro) anche i diritti degli omosessuali e dei trans.
Poi il voto: fine delle chiacchiere. E via ai brindisi in Usa, Delaware, Cayman, Olanda, Lussemburgo, Isole del Canale, California, Canada, dove stanno le catene di comando dei fondi che hanno fatto il colpo. Chissà che cosa penseranno, le consigliere e i consiglieri della notte della vergogna, quando si rivedranno su youtube, tra qualche tempo, quando saranno spazzati via dalla loro irrilevanza.
Ordine degli architetti
Architetti metropolitani, a Milano cambia l’ariaCambia l’aria a Milano, almeno tra gli architetti. Alle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine, ha ottenuto un risultato clamoroso la lista di rinnovamento, Architetti metropolitani, che ha raccolto 8.581 voti, mentre la lista di continuità , Oamiè, ne ha ottenuti 8.488. Il candidato più votato (704 preferenze) è stato Jacopo Muzio, capolista degli Architetti metropolitani. Il meccanismo elettorale assegna comunque 8 dei 15 posti nel Consiglio dell’Ordine alla lista Oamiè e 7 ad Architetti metropolitani. Alto l’astensionismo: i votanti sono stati 2.352 su circa 13 mila iscritti.
Le elezioni si sono tenute nel clima segnato dalle inchieste sull’urbanistica milanese che hanno messo sotto indagine anche molti architetti, quelli che hanno firmato progetti ritenuti abusi edilizi e quelli accusati di corruzione per aver incassato dai costruttori compensi per consulenze e progettazioni, mentre erano anche componenti della Commissione paesaggio del Comune, dunque pubblici ufficiali, che approvavano i progetti degli stessi costruttori.
L’Ordine degli architetti a Milano è stato parte del sistema di connessioni e collusioni messe a nudo dalle indagini della magistratura e ha funzionato come camera di compensazione degli affari. Il presidente uscente dell’Ordine, Federico Aldini, si era espresso a favore della Salva-Milano che mirava a condonare gli abusi e azzerare le indagini: lo aveva definito “provvedimento attesissimo e non più rinviabileâ€.
Ora l’aria è cambiata. Architetti metropolitani è la lista in cui fu eletto, nel 2021, Emilio Battisti, recentemente scomparso, che da solo fece opposizione dentro il Consiglio e segnalò all’Ordine e alla Procura, anche scrivendone sul Fatto, le irregolarità e le incompatibilità nella gara per la progettazione della Beic, la Biblioteca europea di Milano. “Non vogliamo rompicoglioni come lui in Commissione paesaggioâ€, diceva Giovanni Oggioni, l’arrestato per corruzione numero uno dell’inchiesta milanese.
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