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Strage di Brescia
Strage di Brescia, il testimone chiama in causa Pino Rauti
“Io non ho niente da perdere. Non ho paura di morire e non ho bisogno di nascondermi. Mi raccomando, lo scriva”. Così parla Gianpaolo Stimamiglio, uno dei due testimoni che hanno raccontato agli investigatori quello che sanno della strage di Brescia del 1974 e che sono pronti a ripeterlo in aula, nei due nuovi processi che stanno iniziando a carico di Marco Toffaloni e Roberto Zorzi, militanti neonazisti di Verona.
A collaborare con gli inquirenti, Stimamiglio, ex ordinovista veneto, cominciò una dozzina d’anni fa. Nei giorni scorsi ha accettato di essere intervistato da Pierpaolo Prati del Giornale di Brescia e ha ripetuto ciò che ha saputo alla fine degli anni Ottanta, quando ha incontrato Toffaloni nella taverna di un motel di Verona. Cena, chiacchiere, vino. E racconti della strage: “Mi disse ‘ghero anca mi’. Mi disse che quella mattina era a Brescia”. E “non era in piazza Loggia per vedere l’effetto che avrebbe fatto lo scoppio. Se c’era era perché, in quello scoppio, aveva avuto un ruolo”.
Mandato da chi? “Gli chiesi se era stato Besutti”, racconta Stimamiglio. Roberto Besutti era il capo di Ordine nuovo in Lombardia. “Toffaloni non mi rispose, ma sorrise lasciandomi capire che ci avevo preso”. Toffaloni, che all’epoca della strage aveva 17 anni, “era uno dei giovani discepoli di Besutti”, che invece era uno dei più alti in grado dentro Ordine nuovo: “Sopra di lui c’era solo Pino Rauti. E sopra Pino Rauti il gran burattiniere della destra eversiva europea, il referente nel Vecchio Continente dei servizi segreti americani: Guérin-Sérac”.
Così Stimamiglio ricostruisce anche la catena di comando della strage, tirando in ballo direttamente Rauti, il fondatore di Ordine nuovo, da cui però era uscito nel 1969, poco prima della strage di piazza Fontana, per rientrare nel Movimento sociale italiano: per “inserirsi dalla finestra nel sistema dal quale eravamo usciti dalla porta, per poter usufruire delle difese che il sistema offre attraverso il Parlamento… Necessità contingente dunque, assoluta e drammatica”.
Yves Guérin-Sérac, ex militare francese, era il capo della Aginter Presse, una agenzia giornalistica con sede a Lisbona utilizzata dalla Cia per le azioni coperte in Europa e considerata la centrale della “guerra non ortodossa” combattuta negli anni Sessanta e Settanta contro il comunismo. Stimamiglio oggi ha superato i 70 anni e ripete: “Non ho niente da perdere. Non ho paura di morire”.
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Data articolo: Mon, 25 Sep 2023 12:57:33 +0000
Giorgio Napolitano
Vita e miracoli di Napolitano. Controstoria di Re Giorgio (di Marco Travaglio)

di Marco Travaglio /
Ci vuole un gran talento a fare il parlamentare per 70 anni, il presidente della Repubblica per nove, il presidente della Camera per 5, il ministro dell’Interno per 2 senza mai azzeccarne una. Quindi Napolitano di talento ne aveva da vendere. Fascista fino alla Liberazione e poi comunista, nel 1956 esalta l’Armata Rossa che soffoca nel sangue la rivolta di Budapest, anzi libera l’Ungheria dal “caos” e dalla “controrivoluzione” e “salva la pace nel mondo”. Plaude al Pcus che esilia Solzenicyn. Partecipa all’espulsione dei dissidenti del manifesto, critici sull’invasione della Cecoslovacchia.
Poi diventa il “comunista preferito” di Kissinger, ma anche della Fininvest. Capo della destra Pci (i “miglioristi”, detti “piglioristi” per le loro arti prensili), fa la guerra a Berlinguer che osa porre la “questione morale” e chiamare Craxi col suo nome: “gangster”. Nel ‘92, quando i gangster finiscono sotto inchiesta, è presidente della Camera e legge in aula la lettera del socialista Moroni, suicidatosi perché coinvolto in Tangentopoli, fiancheggiando l’assalto degli impuniti a Mani Pulite.
Nel 2006, dopo un passaggio al Viminale sanza infamia e sanza lode, diventa presidente della Repubblica. E inizia a impicciarsi dappertutto in barba alla Costituzione. Come racconterà il ministro Padoa Schioppa, mette i bastoni fra le ruote al Prodi 2 in nome della prima missione della sua presidenza: le larghe intese con B. (il leader Pd Veltroni gli va dietro e si brucia subito). La seconda è l’attacco a tutti i magistrati che indagano sul potere: Woodcock, De Magistris, Robledo, Forleo e i pm di Palermo che hanno scoperto la trattativa Stato-mafia, trascinati alla Consulta perchè intercettando Mancino si sono imbattuti nella sua sacra Voce.
Moniti, pressioni e sanzioni tramite il Csm, ringraziamenti ai procuratori che sterilizzano le indagini scomode (come Bruti Liberati sul caso Expo) e interventi a gamba tesa contro chi non lo farebbe mai (come quello che blocca il Csm perché non nomini Lo Forte a Palermo). Al terzo governo B. la dà sempre vinta, firmando tutte le leggi vergogna (tranne il decreto Englaro). E quando il Caimano ne fa una giusta opponendosi all’attacco Nato in Libia, lo costringe a intrupparsi.
Lo salva pure dalla sfiducia dei finiani, rinviandola di due mesi e dandogli tempo di comprare i “responsabili”. Lo scaricherà solo quando lo farà l’establishment nazionale e internazionale. Intanto scava trincee contro i 5Stelle che minacciano l’Ancien Régime di cui è santo patrono e imbalsamatore. “Boom dei 5Stelle? Non vedo nessun boom”, esclama stizzito ai loro primi successi. Va bene ‘sta democrazia; ma, se il popolo non obbedisce, si abolisce il popolo.
Nel 2011 B. si arrende allo spread e agli scandali e lui, per scongiurare le elezioni, architetta il governo tecnico di Monti, che fa pagare la crisi ai più deboli. Crede di aver salvato l’establishment, invece nel 2013 il M5S balza da zero al 25,5%, alla pari col Pd di Bersani, che prima di Monti aveva la vittoria in tasca. Napolitano dà il meglio di sé: dopo aver giurato per mesi che mai si farà rieleggere, briga per il bis per sbarrare la strada a Rodotà, candidato di Grillo, Vendola e base dem (occupy Pd di Schlein) e a Prodi (impallinato dai franchi tiratori che, per sua maggior gloria, uccidono pure Bersani): due presidenti che rispetterebbero gli elettori benedicendo un governo di cambiamento M5S-Pd-Sel.
Incontra B. per garantirsene l’appoggio, si fa rieleggere da Pd, FI e Centro e crea in laboratorio il governo Letta con i partiti che han perso le elezioni per tener fuori chi le ha vinte. Un altro golpe bianco, ma pure miope: all’opposizione ci sono M5S, Lega e FdI: i partiti che vinceranno le elezioni dal 2018 al 2022. Mentre i giudici di Palermo distruggono le sue intercettazioni, lui commissaria le Camere con un discorso della corona mai visto prima in una Repubblica parlamentare: la sua presidenza bis sarà a tempo (ma la Costituzione parla di 7 anni) e “a condizione” (che i partiti che l’han rieletto formino il governo e riformino la Costituzione che ha giurato di difendere per ben due volte).
Però il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi: dopo tre mesi B. viene condannato in Cassazione e deve lasciare il Parlamento per la Severino. Lui gli dà pubblicamente le istruzioni per ottenere una grazia incostituzionale, che gli promette in segreto se lascerà il Senato prima di venirne cacciato: tutto purché FI tenga in piedi Letta. Ma FI se ne va col suo leader pregiudicato: altri intrighi per far nascere il Ncd coi cinque ministri forzisti imbullonati alla poltrona.
Letta comunque va a casa nel febbraio 2014, cacciato da Renzi che ha vinto le primarie Pd all’insegna della “rottamazione”. Napolitano cambia cavallo e provvede subito a formattare il Rignanese per la restaurazione. Dalla lista dei ministri, piena di impresentabili, depenna l’unico buono: Gratteri (non sia mai che faccia funzionare la Giustizia). E impone a Renzi la sua vera fissazione: la riforma costituzionale per verticalizzare vieppiù il potere, come chiedono i poteri finanziari italiani e internazionali. Renzi esegue e ci rimane stecchito, entrando di diritto nel Comitato Vittime di Napolitano insieme a Prodi, Veltroni, Letta, Bersani, Fini e Monti. Re Giorgio si dimette nel 2015, giusto in tempo per perdersi i boom dei 5Stelle alle Comunali del 2016 a Roma e Torino e alle Politiche del 2018. Con tutto quello che ha fatto per loro.
Data articolo: Sun, 24 Sep 2023 23:01:26 +0000
Giorgia Meloni
È un Dio “brand” quello che Giorgia Meloni vuole difendere
Qual è il Dio di Giorgia Meloni? A Budapest, davanti al primo ministro d’Ungheria Viktor Orban, ha detto che è necessaria una dura lotta per difendere “la famiglia, le nazioni, l’identità, Dio e tutto ciò che ha costruito la nostra civiltà”. Una dichiarazione che mostra un salto di qualità. Nei secoli passati c’erano i “Defensor Fidei”, i difensori della fede. Il papa concesse quel titolo a sovrani come il re di Polonia che aveva sconfitto i Turchi in battaglia e a Enrico VIII per aver difeso il sacramento del matrimonio e la supremazia del pontefice (non a lungo: Enrico poi ruppe piuttosto clamorosamente i suoi matrimoni e fondò la Chiesa d’Inghilterra).
Meloni fa un salto e ora dice: dobbiamo “difendere Dio”. Direttamente. Un upgrade, apparentemente, ma che – attenzione – tradisce un’inconscia mancanza di fede: si difende chi non sa farlo da sé. Per chi ha fede, Dio onnipotente non ha certo bisogno di difesa. Lo aveva detto, in passato, Papa Francesco: “Dio non ha bisogno di essere difeso da nessuno”. Aggiungendo: “Non vuole che il Suo nome venga usato per terrorizzare la gente. Chiedo a tutti di cessare di strumentalizzare le religioni per incitare all’odio, alla violenza, all’estremismo e al fanatismo cieco”.
“Gott mit uns”, Dio è con noi, incidevano i sovrani di Prussia sulle fibbie dei loro soldati. E il motto durò fino al nazismo. Ognuno vuole esibire un suo Dio pronto a benedire armi e massacri, a dispetto del Vangelo. Così per secoli si sono contrapposti eserciti e nazioni, con Dio invocato come sponsor da una parte e dall’altra. Una storia cominciata con Costantino, che schiera le sue truppe sotto il segno della croce: “In hoc signo vinces”. Il segno sotto il quale l’Europa cristiana ha combattuto le crociate.
Oggi, finito da tempo il tempo dell’attacco, della Cristianità-potere, si ricompatta un fronte che gioca in difesa, per tentare di liberarsi dall’angoscia dell’assedio. È l’impaurito ritorno della Reazione, la rivincita impossibile sulla Rivoluzione francese, su Nietzsche, su Freud. È la difesa disperata dei “valori” sotto attacco: “la famiglia, le nazioni, l’identità”, elenca Giorgia Meloni. E all’elenco ora aggiunge addirittura: “Dio”.
Ma che Dio è, quello che Meloni vuole difendere? Non è il Dio cristiano del Vangelo, non il “Padre nostro”, non il Dio fatto uomo che dice “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”, non il Cristo delle Beatitudini, non lo Spirito che è amore. La Croce che ha in mente non è quella di Paolo, “scandalo e follia”, ma quella della visione di Costantino.
Il Dio di Giorgia, però, non è più neppure l’antico “Dio degli eserciti”, che ormai si schierano non sotto il vessillo della Croce, ma sotto quello della Tecnica. È un Dio impersonale, ideologico, un Dio brand: marchio di prodotti (scaduti) come la Famiglia tradizionale, l’Identità nazionale, la Tradizione occidentale, la Civiltà europea (prima della Rivoluzione francese).
La “nostra civiltà” è connotata, secondo Giorgia, non dai diritti degli uomini e delle donne, dalla tensione alla libertà, all’uguaglianza, alla fraternità, ma da Famiglia, Nazione, Identità. E Dio, il suo Dio. Una versione aggiornata del motto “Dio, Patria e Famiglia”. Ma non è l’annuncio di una politica fascista: è il solito, inoffensivo richiamo identitario per carezzare le nostalgie nel mondo del sogno, mentre nel mondo della realtà prosegue imperterrita una politica liberista, occidentale, amerikana.
Quella stessa che – per la neodestra – ha ucciso Dio, Patria e Famiglia. Giorgia lo sa, ma questo è dato, nel tempo della grande confusione: appellarsi, non senza ipocrisia, ai Grandi Valori della Reazione, mentre si pratica una Piccola Politica della Continuità.
Data articolo: Fri, 22 Sep 2023 17:19:43 +0000
Piero Amara
La loggia Ungheria non c’è. È la lobby del “sistema Amara”
La “loggia Ungheria”, come raccontata dall’avvocato Piero Amara, non esiste. Esistono però “serie di iniziative individuali” e “condotte di mera pressione o di influenza poste in essere di volta in volta da singoli soggetti per conseguire finalità esclusivamente personali (e non comuni dell’associazione)”. Insomma non c’è la loggia massonica segreta e strutturata che Amara aveva descritto come una sorta di continuazione della P2. C’è un’azione lobbistica e di relazioni per indirizzare nomine, costruire carriere, favorire affari.
È quanto si legge nel decreto di archiviazione della gip di Perugia Angela Avila che chiude il procedimento iniziato a carico di Amara e dei suoi collaboratori Giuseppe Calafiore e Alessandro Ferraro e poi allargato via via ad altri sei indagati: Vincenzo Armanna, Luigi Bisignani, Denis Verdini, Luigi Caruso, Alessandro Casali e Antonino Serrao.
Amara aveva descritto ai magistrati della Procura di Milano, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, una loggia occulta e strutturata per condizionare le nomine nella magistratura e nelle istituzioni dello Stato. Aveva fatto i nomi di una novantina di affiliati e promesso di portare la lista degli iscritti: politici, magistrati, funzionari dello Stato, imprenditori, avvocati, banchieri, generali dei carabinieri e della Guardia di finanza, monsignori vaticani.
L’inchiesta passa da Milano a Perugia. Poi, “dopo le prime dichiarazioni di riscontro positivo sulla esistenza in astratto di una associazione denominata Ungheria”, scrive il gip, “è accaduto un fatto che inevitabilmente ha inciso sul proseguo delle indagini”: la fuga di notizie sulle dichiarazioni di Amara. L’indagine è svelata dopo che alcuni verbali segreti finiscono a un paio di giornali (tra cui il Fatto) e al consigliere del Csm Nino Di Matteo che ne parla al plenum.
La Procura milanese si divide sull’asserita inerzia dei suoi vertici denunciata dal pm Paolo Storari, che aveva chiesto aiuto (e consegnato i verbali segreti) all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Insorgono molti dei presunti appartenenti alla loggia (almeno una ventina) che denunciano Amara per calunnia. Ora i magistrati perugini tirano le somme.
Ricostruiscono una rete complessa e multipla di relazioni, collaborazioni, attenzioni, gratitudini, ricatti, obbedienze, dipendenze. Ma la legge Anselmi che mise fuori legge la P2 prevede l’esistenza di una “stabile struttura organizzativa della associazione segreta”, con “un programma criminoso comune”. Invece la “loggia Ungheria” raccontata da Amara è, per la giudice, frutto di “singoli rapporti di particolare amicizia o colleganza tra alcune persone”.
E le sue iniziative, “siano esse riscontrabili o no”, più che a un gruppo organizzato sono attribuibili all’“intervento di singole persone, alcune anche estranee all’associazione”. È quindi impossibile contestare la legge Anselmi. E “la mancanza di struttura organizzativa esclude anche che si possa qualificare il diverso reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione”.
È lo stesso Amara – racconta la gip – a fare marcia indietro. Ai pm di Perugia “ha via via sminuito il ruolo dell’associazione Ungheria”, fino a dichiarare che “non era un’associazione segreta; non era un’associazione a delinquere finalizzata a commettere reati; non perseguiva finalità illecite, ma principi ideali dello Stato liberale”. Amara ribadisce che è nata dal centro studi Opco di Siracusa “diretto e gestito per molto tempo da Gianni Tinebra”, magistrato che fu anche procuratore generale a Catania. Conferma che i promotori furono, “Tinebra, Michele Vietti, Enrico Caratozzolo e Giancarlo Elia Valori”, che “ne era anche il capo”.
Aggiunge che esisteva anche “un ulteriore centro di potere, parallelo all’associazione Ungheria”, attivato da Cosimo Ferri e Luca Palamara, interno al Csm “nella consiliatura 2014-2018, che di fatto aveva gestito tutte le nomine dei vertici della magistratura ordinaria”. E rivela di aver costituito, “unitamente ad altri associati delusi”, un ulteriore gruppo, “quale strumento di esercizio di potere e scambio di favori”, “sotto lo schermo della Aprom (una preesistente associazione preseguente finalità ideali e del tutto lecite)”.
Smontato dallo stesso Amara il carattere massonico e strutturato del “gruppo Ungheria”, restano gli innumerevoli episodi di pressione, intervento, richiesta di favori. Un’azione di lobbismo che ha per protagonisti politici come il berlusconiano Denis Verdini e il renziano Luca Lotti e che lambisce le lotte di potere interne a Eni per la riconferma al vertice di Claudio Descalzi.
Ma più che “loggia Ungheria”, secondo la gip, era “il sistema Amara”, una rete di relazioni con magistrati, politici, esponenti delle forze dell’ordine, come i generali dei carabinieri Tullio Del Sette e della Guardia di finanza Giorgio Toschi; e il prefetto Matteo Piantedosi, ora ministro dell’Interno del governo Meloni, che l’ex manager Eni Vincenzo Armanna sostiene di aver incontrato a una cena a casa di Amara.
Data articolo: Wed, 20 Sep 2023 16:18:40 +0000
Nicola Gratteri
Gratteri procuratore a Napoli: “Sono onorato. Non sono uno sceriffo, faccio indagini”

Nicola Gratteri è appena stato nominato procuratore della Repubblica a Napoli: “Sono onorato. Si tratta di una realtà complessa. Il mio impegno è quello di dare il massimo per proseguire il percorso fatto dai miei predecessori e di valorizzare al meglio tutte le professionalità e le risorse presenti”.
Il Csm si è diviso sulla sua nomina. Come lo spiega?
Non mi aspettavo certo l’unanimità, non sono stupito. Ho ascoltato il dibattito del plenum del Csm e ho apprezzato molto quegli interventi che hanno valorizzato dati oggettivi, senza farsi condizionare da ricostruzioni parziali dell’istruttoria.
Alcuni suoi colleghi, dopo la diffusione di stralci della sua audizione, hanno fortemente criticato alcune sue affermazioni.
È vero, ho detto quanto c’era scritto, ma erano dichiarazioni che facevano parte di un discorso molto più ampio. Non era un giudizio sui sostituti della Procura di Napoli, che non conosco e quindi mai avrei potuto giudicare.
Napoli è la capitale della camorra. Lei ha grande esperienza di ’ndrangheta. Sarà difficile affrontare una realtà diversa?
Il metodo di lavoro e gli strumenti investigativi sono gli stessi. Ovviamente ciascuna organizzazione ha le sue peculiarità. Normalmente, quando si cambia Ufficio, occorre colmare un fisiologico deficit di conoscenza sul territorio in cui si arriva. Metterò a disposizione la mia esperienza maturata in altri contesti, confrontandomi con quella dei colleghi.
Per la criminalità giovanile a Napoli servono strumenti specifici?
È un discorso che ho sempre fatto anche per la realtà calabrese. Non basta la repressione. La criminalità giovanile si previene, o comunque si contiene, con la presenza dello Stato in tutti i settori della società. I ragazzi devono avere modelli di riferimento alternativi, che solo l’impegno della scuola può fornire. Bisogna educare sin dall’inizio al senso civico. E anche le famiglie, soprattutto quelle in difficoltà, devono avere il sostegno delle istituzioni. Per questo cerco di dedicare tempo agli incontri nelle scuole, spiegando ai ragazzi che delinquere non conviene.
Le hanno già fatto una critica preventiva: ha esperienza soltanto nel contrasto alle mafie e poca visione d’insieme.
Chi mi critica non sa che la Procura di Catanzaro ha condotto inchieste su vari fronti: l’abusivismo edilizio, anche attraverso lo strumento delle demolizioni, i delitti contro la pubblica amministrazione con significativi risultati, le violenze di genere e i reati finanziari. Anzi, proprio così si è potuto constatare come la ’ndrangheta si stia dedicando alla finanza e meno al traffico di droga, un reato che fa correre maggiori rischi.
L’hanno accusata di essere un magistrato-sceriffo.
Non ho mai capito cosa vuol dire. Ho sempre lavorato con il codice in mano, se non ci sono le condizioni per arrestare o processare, sono il primo a fermarmi. Ciò che non tollero è non indagare o fare distinguo, per ragioni metagiuridiche. Tutti sono uguali di fronte alla legge. Se ci sono le prove si procede, altrimenti no.
La Procura di Napoli in passato ha condotto grandi inchieste sulla corruzione politica e sulle illegalità delle imprese. Poi è sembrata rallentare…
Non sono abituato a dare giudizi senza constatare di persona. Sicuramente la riforma sulla cosiddetta presunzione di innocenza, sulla quale è noto il mio giudizio negativo, ha reso meno facile il lavoro degli organi di informazione.
L’hanno anche accusata di aver fatto indagini-show per attirare visibilità.
Rispondo con le sentenze. Le cosiddette operazioni show, approdate a giudizio, stanno ottenendo conferme in primo grado, appello e Cassazione. Chi mi accusa di fare indagini che finiscono nel nulla, cita sempre le stesse due o tre. Come se avessi fatto solo queste.
È stato dipinto come un magistrato vicino al centrodestra di Giorgia Meloni e, contemporaneamente, come troppo critico nei confronti del governo Meloni.
Non sono legato ad alcuno schieramento politico. Come tutti ho le mie idee ma le tengo per me, è importante anche apparire indipendente, oltre che esserlo. Non faccio il tifo per questo o quel governo. Se vengono proposte buone riforme, il governo ha il mio plauso, altrimenti, le mie critiche.
Le piace la cosiddetta “svolta securitaria” del governo? Come giudica il decreto Caivano?
Se non si fanno riforme serie per velocizzare i processi e per dare certezza della pena, le cosiddette “svolte securitarie” rimangono sulla carta.
Parliamo delle riforme annunciate. Giusto abolire l’abuso d’ufficio?
No, lo ribadisco. Andremmo contro le indicazioni dell’Europa. E poi resterebbero irragionevolmente impunite condotte riprovevoli e non riconducibili al reato di corruzione. Se un tecnico comunale rilascia un permesso di costruire illegittimo al fratello, ovviamente senza farsi pagare, perché dovrebbe essere impunito? Perché un pubblico ufficiale che fa vincere un concorso a un conoscente dovrebbe essere esente da colpe? Gli esempi sono infiniti.
Ridurre le intercettazioni?
E perché? La criminalità si sta evolvendo e noi andiamo indietro. Gli altri Stati stanno investendo per “bucare” le piattaforme telematiche con cui le mafie comunicano, e noi dovremmo tornare all’investigatore con la lente d’ingrandimento?
Impedirne la pubblicazione?
Sono d’accordo sul fatto che le misure cautelari e le informative di reato debbano contenere solo i dati rilevanti e che si faccia attenzione a non coinvolgere terze persone. Ciò posto, se si adottano queste doverose accortezze, le intercettazioni, come tutti gli atti non più coperti da segreto, devono poter essere pubblicate, per consentire una informazione precisa e soprattutto esatta.
Che riforma della giustizia si aspettava dal governo?
Mi aspettavo cambiamenti radicali della riforma Cartabia, visto che gli esponenti di FdI più volte avevano precisato, in campagna elettorale, di non aver votato e sostenuto questa riforma che sta creando solo problemi e una malagiustizia a tutti i livelli. Già i primi dati dimostrano che non solo i processi non si sono velocizzati, ma molti tribunali sono in sofferenza e non certo per colpa dei magistrati, ma perché mancano le risorse necessarie. E questo accade in tutti i settori. Come si può pensare di avere processi telematici se i sistemi ogni due giorni si bloccano?
Ritiene utile la divisione delle carriere?
Assolutamente no e l’ho sempre sostenuto. Il cambio di funzione arricchisce professionalmente il magistrato e non fa perdere al pubblico ministero la cultura della giurisdizione. Si criticano spesso i pubblici ministeri di non acquisire le prove in favore della difesa. Si pensa che con questa riforma le cose miglioreranno? La verità è che la separazione delle carriere è l’anticamera della sottoposizione del pm all’esecutivo.
Data articolo: Wed, 20 Sep 2023 14:41:32 +0000
Simone Uggetti
Le motivazioni dell’assoluzione di Uggetti: il reato c’è, ma i fatti sono “tenui”
A dire l’ultima parola sull’infinito “caso Uggetti” sono arrivate ora le motivazioni della seconda sentenza d’appello che riguarda l’ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti (Pd), e la gara per la gestione di due piscine comunali di Lodi da lui proclamata nel 2016. Gara truccata, per i pm che ne avevano chiesto allora l’arresto, e per i giudici del Tribunale di Lodi che nel 2018 lo avevano condannato in primo grado a 10 mesi per turbativa d’asta.
Poi però la Corte d’appello di Milano nel 2021 lo aveva assolto. Ma la Cassazione aveva cancellato l’assoluzione e ordinato un nuovo appello che nel giugno 2023 ha confermato che la gara era truccata, pur assolvendo “per la particolare tenuità dei fatti” (come stabilisce l’articolo 131 bis del codice penale, introdotto nel 2015 per salvare chi ruba una mela perché ha fame o chi compie altre condotte illegittime ma particolarmente leggere).
Ora le motivazioni della Corte d’appello in dieci pagine ricostruiscono tutto il caso e spiegano come la turbativa d’asta ci sia stata, poiché la gara è stata confezionata da Uggetti su misura per chi la doveva vincere, la società Sporting Lodi: “È infatti pacificamente emerso che il sindaco Uggetti e l’avvocato Marini – principale soggetto interessato a quel procedimento, in quanto consigliere della società Astem partecipata del Comune, detentrice della maggioranza delle quote della Sporting Lodi che si sarebbe poi aggiudicata la gara – abbiano interloquito illegittimamente tra loro per tutta la durata della procedura, fin dal momento della sua ideazione, gestendo di fatto l’intero sviluppo della stessa”.
A questa gestione della gara si era opposta la funzionaria del Comune di Lodi Caterina Uggè, che proprio per questo era stata sostituita dal sindaco con il dirigente comunale Giuseppe Demuro, il quale aveva invece “aderito al progetto del sindaco Uggetti pur dopo essere stato informato dalla funzionaria Uggè della illegittimità della condotta del sindaco e fornendo comunque un contributo determinante alla consumazione del reato, poiché senza la sua firma il bando difficilmente sarebbe stato pubblicato”.
Le giudici riqualificano il reato, da “Turbata libertà degli incanti” (articolo 353 del codice penale) a “Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente” (articolo 353 bis), “che ha quale oggetto specifico proprio l’utilizzo di mezzi fraudolenti consistititi nell’indebita influenza sul procedimento amministrativo per la determinazione del contenuto del pubblico bando”. Comunque “deve ritenersi pienamente accertata la materialità del fatto contestato e l’attribuibilità dello stesso agli odierni appellanti”.
Scatta tuttavia l’assoluzione, poiché “l’offesa, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, è ritenuta di particolare tenuità”. Si chiude così una vicenda che aveva sollevato grandi polemiche politiche, quando Uggetti era stato assolto nel primo appello e aveva rivendicato l’assoluta correttezza del suo operato e preteso le scuse da chi lo aveva criticato. Nuove polemiche si erano aggiunte quando era arrivata l’assoluzione nel secondo appello, che ora però viene chiaramente spiegata nelle motivazioni: il bando era truccato, i comportamenti del sindaco e dei suoi coimputati erano illeciti, il reato di turbativa d’asta è stato commesso, ma “gli imputati sono ritenuti non punibili dal reato loro ascritto, per particolare tenuità del fatto”.
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Data articolo: Sun, 17 Sep 2023 13:57:37 +0000
Marco Cappato
Per il seggio di Silvio, arrivano Galliani “l’erede” e Cappato “l’usurpatore”
Il seggio in Senato di Silvio Berlusconi sarà conteso il 22 e 23 ottobre nel collegio di Monza con uno scontro che vedrà, da una parte, Adriano Galliani, che sembra scelto dal centrodestra in omaggio dinastico alla famiglia Berlusconi, per un passaggio del seggio per eredità aziendale e calcistica; dall’altra, Marco Cappato, la cui candidatura ha fatto scoppiare una rivolta dentro il Pd.
Dopo qualche tentennamento, Elly Schlein ha accettato l’autocandidatura dell’esponente radicale, facendola diventare di fatto di tutto il centrosinistra. Gioia di Matteo Renzi e Carlo Calenda, gelo dei Cinquestelle, sconcerto dentro il Partito democratico che voleva un candidato del Pd locale. I sindaci dem, con in testa il primo cittadino di Monza Paolo Pilotto, avevano sottoscritto una lettera per chiedere “una candidatura di centrosinistra, espressione della Brianza, e non una candidatura di testimonianza”.
Pilotto non ha dimenticato che nel 2022 Cappato aveva fatto campagna elettorale per il suo avversario Dario Allevi (di Fratelli d’Italia), dopo che questi era arrivato favorito al ballottaggio. In cambio del sostegno, Cappato aveva avuto da Allevi la promessa di un assessorato. Poi l’esponente di Fratelli d’Italia era stato a sorpresa sconfitto: l’assessorato per Cappato era svaporato, ma non la memoria di Pilotto.
Cappato è così: uomo di battaglie e di potere, di grandi campagne ideali e concrete manovre politiche. Già nel 2016 aveva sostenuto prima l’ineleggibilità (causa precedente ruolo in Expo) di Giuseppe Sala che si presentava candidato sindaco di Milano, salvo poi sostenerlo al ballottaggio dopo aver avuto da Sala la promessa (questa volta mantenuta) di un assessorato per il radicale Lorenzo Lipparini.
E ora? Come andrà il 23 ottobre a Monza? Il sindaco dem Pilotto non sembra disposto a darsi da fare per Cappato, anzi, il primo giorno di scuola è andato a distribuire gli astucci donati dal Monza Calcio ai giovani studenti, a fianco del presidente della squadra che guarda caso è il candidato di Forza Italia Adriano Galliani. Una scelta che Cappato ha sottolineato con un tweet gelido: “Ed eccoli qui: il presidente del Monza Calcio e candidato alle suppletive di ottobre, Adriano Galliani, e il sindaco di Monza, Paolo Pilotto, che insieme distribuiscono astucci a scuola”.
Gli elettori conoscono Marco Cappato per le sue grandi battaglie per i diritti civili. Nel 2010 aveva denunciato Roberto Formigoni per le firme false presentate alle elezioni regionali. Nel 2015, dopo che il Consiglio di Stato gli aveva dato ragione, aveva chiesto (invano) a Formigoni di restituire i soldi incassati durante il suo mandato. Da sempre partecipa alle campagne antiproibizioniste. Si distingue per il suo impegno nell’Associazione Luca Coscioni, per il sostegno a Piergiorgio Welby, per le battaglie sull’eutanasia, per l’aiuto a Dj Fabo che accompagna in Svizzera per potergli permettere il suicidio assistito.
Il 22 e 23 ottobre alle elezioni suppletive di Monza sarà, malgrado i mal di pancia del Pd, il candidato che si opporrà a Galliani, il quale sfrutterà anche il suo ruolo di presidente della squadra di calcio comprata da Berlusconi e riportata in serie A. La candidatura di Galliani prefigura una sorta di passaggio ereditario del seggio di Silvio all’amico Adriano.
Galliani è infatti uno stretto collaboratore di Berlusconi fin dalla fine degli anni Settanta, è colui che con la sua Elettronica Industriale ha portato il segnale di Canale 5 in tutta Italia. Poi diventa l’amministratore delegato di Mediaset, oltre che del Milan. È coinvolto, insieme a Silvio, in una lunga serie di vicende giudiziarie da cui, come Silvio, esce indenne: dai falsi in bilancio per l’acquisto di Medusa Film e per la gestione del Milan, all’evasione fiscale e alle false fatturazioni nella compravendita di calciatori. Ora è pronto a tornare in Senato, Cappato permettendo.
La replica
Per una volta, l’amico Gianni Barbacetto è stato malissimo informato. È del tutto falso quanto scritto ieri: “(Il sindaco Pd di Monza) Pilotto non ha dimenticato che nel 2022 Cappato aveva fatto campagna elettorale per il suo avversario Dario Allevi (di Fratelli d’Italia), dopo che questi era arrivato favorito al ballottaggio. In cambio del sostegno, Cappato aveva avuto da Allevi la promessa di un assessorato. Poi l’esponente di Fratelli d’Italia era stato a sorpresa sconfitto: l’assessorato per Cappato era svaporato, ma non la memoria di Pilotto”. Non ho mai sostenuto Allevi. Non ho mai ricercato né ottenuto promesse di assessorati. Non ho mai conosciuto Allevi. Non ho mai parlato con Allevi in vita mia. Avevo, questo sì, sostenuto al primo turno un candidato civico indipendente, da sempre impegnato nelle nostre battaglie referendarie e ambientaliste. Al secondo turno, quel candidato ha deciso di sostenere Allevi senza alcun tipo di mio intervento, né di supporto. (Marco Cappato)
Forse è solo colpa della proprietà transitiva, se il sindaco e gli elettori di Monza si sono convinti che anche Cappato abbia sostenuto il candidato sindaco sostenuto dal candidato consigliere sostenuto da Cappato. (GB)
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Data articolo: Sat, 16 Sep 2023 08:10:09 +0000
Strage di Ustica
Strage di Ustica, gli archivi ci sono (ma chiusi: niente sopralluoghi)
La ricerca dei documenti sulla strage di Ustica è una caccia al tesoro che si perde in un labirinto senza fine. Non nella Francia di Emmanuel Macron, a cui si appella Giuliano Amato, ma nell’Italia in cui sono letteralmente scomparsi gli archivi del ministero dei Trasporti. Lo ha messo nero su bianco la Commissione che vigila sulla desecretazione dei documenti sulle stragi prevista dalla Direttiva Renzi, poi ampliata da Mario Draghi a P2 e Gladio. Ma ora sappiamo che gli archivi ci sono: in tre depositi di Ciampino, Pomezia e Cesano. Ma non si possono visitare, come dice una corrispondenza ministeriale (con uno zampino Nato) che il Fatto ha potuto leggere.
“Non è accettabile che, in un periodo di tempo prolungato, che va dalla fine degli anni 60 agli anni 80, possa mancare del tutto la documentazione relativa al gabinetto del ministro dei Trasporti pro tempore nonché le serie archivistiche relative all’attività del ministero, per il settore Trasporti, riferite al periodo delle stragi che hanno segnato tragicamente il nostro Paese”. Così diceva la prima relazione annuale del “Comitato consultivo sulle attività di versamento all’Archivio centrale dello Stato”, datata 12 ottobre 2022. Ma la ricerca dei documenti c’è stata e gli archivi sono stati trovati.
Nella Commissione sulle desecretazioni si è formato un sottogruppo che si è occupato specificatamente degli archivi del ministro dei Trasporti, pesantemente coinvolto nelle vicende delle stragi italiane: trasporto aereo per Ustica (1984), treni e ferrovie per le stragi di Gioia Tauro (1970), Italicus (1974), Bologna (1880), Rapido 904 (1984), oltre alle tentate stragi di Nico Azzi sul treno Torino-Genova (1973) e sulla linea Pescara-Ancona a Silvi Marina (1974). Impensabile che non sia stato prodotto materiale informativo, se non altro per quanto riguarda i danni e le implicazioni civili degli attentati.
Il 7 marzo 2022 il sottogruppo si riunisce e, dopo aver appreso che esiste materiale conservato in un hangar dell’aeroporto militare di Ciampino e in altre sedi, chiede al ministero dei Trasporti di potervi accedere. L’11 marzo 2022 parte un sollecito ufficiale, firmato dal sovrintendente dell’Archivio centrale dello Stato, Andrea De Pasquale, che è il punto di approdo dei documenti che devono essere desecretati e acquisiti. Scrive De Pasquale: “Si comunica che siamo ancora in attesa di concordare con i referenti di codesto ministero una data per effettuare il sopralluogo nel deposito di Ciampino o in altre sedi, al fine di individuare, prioritariamente, la documentazione dell’ufficio di gabinetto dei ministri che si sono succeduti nel corso delle diverse legislature”.
Il 14 marzo 2022 arriva la risposta del ministero dei Trasporti. È firmata dal capo dell’Organo centrale di sicurezza, il direttore generale Costantino Fiorillo, il quale prende atto che una visita al deposito di Ciampino è già stata concordata verbalmente per il 21 marzo con il direttore generale degli affari generali del ministero, Massimo Provinciali, che aveva partecipato alla riunione 7 marzo. Conferma Fiorillo: “È lui l’interlocutore per la pianificazione del sopralluogo e delle attività presso tale archivio”. E aggiunge: “Lo scrivente conferma che, ovviamente, qualora venissero reperiti documenti ‘classificati’, l’Organo Centrale di Sicurezza provvederà agli atti di competenza, che consistono unicamente nel provvedere alla materiale declassifica degli stessi ed al contestuale loro riversamento”.
Sembra cosa fatta, i documenti “classificati” potranno essere desecretati e riversati all’Archivio di Stato. Ma quattro giorni dopo tutto si blocca. Il 18 marzo 2022, il direttore generale Provinciali fa marcia indietro: “Facendo seguito alla riunione del 1° Sottogruppo del Comitato consultivo, tenutasi il 7 marzo scorso, nel corso della quale era stato programmato il sopralluogo in oggetto, si comunica che lo scrivente, accompagnato dalla Dirigente competente e da funzionari del settore, ha effettuato un pre-sopralluogo che ha portato alla conferma di quanto già anticipato dai funzionari, ovvero che nei locali di Ciampino non è presente documentazione di alcun tipo afferente gli avvenimenti di interesse del Comitato. Si ritiene pertanto superfluo, salvo contrario avviso, un sopralluogo da parte di componenti del Sottogruppo. Anche i responsabili degli archivi di Pomezia e di Cesano hanno escluso la presenza in dette strutture di documentazione di interesse”.
Fine della storia. Con un dettaglio da rilevare: il capo dell’Organo centrale di sicurezza del ministero dei Trasporti, Costantino Fiorillo, scrive da una carta da lettere su cui è stampigliata la dicitura: “Segreteria principale Nato-Ue”. È l’ufficio del ministero preposto alla custodia del segreto di Stato, anche di provenienza Nato.
Data articolo: Mon, 11 Sep 2023 12:19:13 +0000
Strage di Ustica
Lo strano caso del Dottor Sottile che vola alto nei cieli (di Ustica)
Giuliano Amato è il Cuculo della politica italiana. È sempre stato al caldo nel nido di Tangentopoli, dei depistaggi per le stragi (Ustica), delle complicità per la extraordinary rendition (Abu Omar). Ma sempre con l’aria di quello che non voleva, non sapeva, non poteva. Fino a presentarsi oggi come il (tardivo) paladino di tutte le libertà
Giuliano Amato, tardivo paladino della verità. La sua intervista sulla strage di Ustica, sparata in prima da Repubblica come fosse uno scoop, conteneva notizie conosciute e ipotesi ripetute più volte in passato dallo stesso Amato (in dichiarazioni, interventi alla Camera, deposizioni davanti ai magistrati di Roma e alla Commissione stragi, oltre che in un intervento nel 1995 durante la presentazione di un libro insieme ad Andrea Purgatori). Missile francese lanciato contro un Mig libico nella speranza di far fuori Gheddafi, che per sbaglio fa esplodere invece il Dc9 Itavia e provoca la morte di 81 passeggeri.
Perché Amato lo ha ripetuto? Perché proprio ora? Non essendoci novità né agganci d’attualità, qualcuno ha cominciato a sviluppare spiegazioni dietrologiche: Amato vuole diventare presidente della Repubblica; lancia un attacco a Emmanuel Macron per compiacere Giorgia Meloni, che con la Francia ha sempre un conto aperto; si propone a Meloni come garante e mediatore del passaggio dalla Repubblica costituzionale antifascista al nuovo Stato presidenziale (Rino Formica dixit).
Ma Amato ha smentito seccamente ogni dietrologia, garantendo che la sua richiesta a Macron di fare chiarezza su che cosa sia successo nei cieli di Ustica la notte del 27 giugno 1980 è nata soltanto dal desiderio di verità “di una persona di 85 anni che sente che il tempo che gli resta è breve. Tutto qua, non c’è altro”. Ne prendiamo atto. E ammettiamo che comunque non si può negare che l’uscita di Amato abbia avuto un effetto positivo: ha riproposto con forza la domanda di verità e giustizia dei famigliari delle vittime e ha ributtato nel dibattito pubblico, facendola diventare centrale, l’ipotesi di un’azione di guerra compiuta da forze Nato nello spazio aereo di un Paese a sovranità limitata.
Quello che manca è una riflessione sul ruolo dell’Italia: sono stati i generali dell’Aeronautica militare a fabbricare false piste (prima il “cedimento strutturale”, poi, fino a oggi, “la bomba a bordo”), a intimidire i testimoni (con qualche suicidio e morti sospette), a far sparire prove e tracciati radar. Non era più semplice chiedere la verità in casa nostra, oggi e magari fin dal 1986, quando Amato era sottosegretario alla presidenza del Consiglio, invece che chiederla ora all’Eliseo?
Così l’operazione si avvia ad avere zero risultati fattuali, ma ottimi risultati mediatici per Amato (che comunque, appena entrato nella sala della stampa estera per la sua conferenza, ha guardato i loghi dei microfoni sul tavolo e, un po’ deluso, ha chiesto: “Ma dov’è la stampa estera?”).
Chi sa continua a tacere. E la politica farfuglia. I militari? Amato li giustifica ancor oggi: “Se hanno deciso di custodire un segreto, non lo hanno certo fatto per biechi interessi personali”. I politici? Non sapevano nulla, poverini, “sono stati tenuti all’oscuro dai militari”. È comodo, per chi ha avuto responsabilità di governo, cercare di “riappacificarsi con la storia” dicendo quarant’anni dopo: “Chi sa parli”. “Se il pilota dell’aereo che sparò il missile è ancora vivo, o altri che volarono lì intorno, potrebbero farlo, senza portarsi nella tomba il peso del silenzio”: ma così il peso della verità è gettato tutto sugli ultimi anelli della catena di comando. Dopo aver giustificato, in qualche modo, i vertici militari e politici.
Chissà se c’è chi ricorda che, prima dell’odierno Amato di lotta e d’intervista, c’era l’Amato di governo che diceva: “Non esiste un caso Pollari” (sul ruolo del servizio segreto diretto allora da Nicolò Pollari nei dossieraggi di Stato di Pio Pompa e nel sequestro Cia di Abu Omar, su cui anche Amato votò per il conflitto d’attribuzione davanti alla Corte costituzionale, per coprire con il segreto di Stato gli agenti del Sismi e il suo direttore e chiudere in archivio la verità).
Comodo, per chi ha avuto responsabilità di governo, cercare di “riappacificarsi con la storia” dicendo quarant’anni dopo “Chi sa parli”: al pilota che sparò. Così il peso della verità è gettato tutto sugli ultimi anelli della catena di comando, dopo aver giustificato i vertici militari e assolto i politici
Data articolo: Fri, 08 Sep 2023 15:01:12 +0000
Strage di Ustica
Strage di Ustica, la lunga scia di morti sospette
Abbiamo anche noi, nel nostro piccolo, i nostri Prigožin. O meglio: incolpevoli ufficiali e sottufficiali dell’Aeronautica militare italiana che dopo la strage di Ustica muoiono in circostanze misteriose e si uniscono alle 81 vittime che erano a bordo del Dc-9 Itavia. L’inchiesta del giudice Rosario Priore ne segnala 12: si premura di dire che “la maggior parte dei decessi che molti hanno definito sospetti, di sospetto non hanno alcunché”. Ma poi ribadisce che “nei casi che restano si dovrà approfondire, giacché appare sufficientemente certo che coloro che sono morti erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati”.
Il maresciallo Mario Alberto Dettori viene trovato impiccato il 31 marzo 1987 a Grosseto. È la polizia scientifica a scrivere nel suo rapporto che si tratta di un suicidio “innaturale”. Nei mesi precedenti aveva confidato ai famigliari: “Sono molto scosso… Qui è successo un casino… Qui vanno tutti in galera! Siamo stati a un passo dalla guerra”. Aveva rovistato tutta la casa alla ricerca di microspie: una “mania di persecuzione” che lo aveva colpito dopo la strage di Ustica che lo aveva coinvolto perché Dettori prestava servizio presso il centro radar di Poggio Ballone. Al capitano Mario Ciancarella aveva detto al telefono: “Siamo stati noi a tirarlo giù, capitano, siamo stati noi… Ho paura, capitano, non posso dirle altro al telefono. Qui ci fanno la pelle”.
Viene trovato impiccato, il 21 dicembre 1995, anche il maresciallo Franco Parisi, come Dettori controllore di sala operativa di centro radar. Era di turno la mattina del 18 luglio 1980, data del ritrovamento di un Mig libico precipitato sulla Sila. Viene convocato in tribunale come testimone. Pochi giorni dopo muore. Scrive Proire: “Venuti a conoscenza di fatti diversi dalle ricostruzioni ufficiali… ne restano soffocati. E quindi, anche se non si raggiunge la prova di atti omicidiari, resta che gli atti di costoro, se suicidî, furono determinati da stati psichici di profonde prostrazioni connesse con gli eventi”.
Muore anche il colonnello Pierangelo Tedoldi, poco prima di assumere il comando dell’aeroporto di Grosseto, in un incidente stradale il 3 agosto 1980. Il capitano Maurizio Gari, capo controllore del Centro radar di Poggio Ballone, muore invece per infarto il 9 maggio 1981. In un incidente stradale perde la vita il maresciallo Ugo Zammarelli, che era stato in servizio presso il Sios di Cagliari, il servizio informazioni dell’Aeronautica.
I colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli muoiono nell’incidente aereo di Ramstein, il 28 agosto 1988. Erano piloti delle Fiamme tricolori, ma la sera del 27 giugno 1980 erano in volo su uno degli F-104 che lanciarono l’allarme di emergenza generale (mai poi spiegato dall’Aeronautica militare).
Muoiono anche il tenente colonnello Sandro Marcucci, testimone dell’inchiesta (per incidente aereo il 2 febbraio 1992); il maresciallo Antonio Pagliara, controllore radar a Otranto (incidente stradale il 2 febbraio 1992); il generale Roberto Boemio (ucciso a Bruxelles il 12 gennaio 1993); il maggiore medico Gian Paolo Totaro, in contatto con molti militari collegati agli eventi di Ustica, tra i quali Nutarelli e Naldini (viene trovato impiccato alla porta del bagno il 2 novembre 1994).
Il maresciallo Antonio Muzio, in servizio alla torre di controllo dell’aeroporto di Lamezia Terme nel 1980, viene ucciso il 1º febbraio 1991. Muore, per incidente stradale il 23 gennaio 1983, anche Giovanni Battista Finetti, sindaco di Grosseto che si era molto interessato ai fatti successi nella notte di Ustica.
Data articolo: Sun, 03 Sep 2023 12:57:25 +0000
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