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News da giannibarbacetto.it

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Mafia

Alessandra Dolci: queste “riforme†della giustizia sono cattivi segnali per la legalità

Alessandra Dolci, che coordina la Direzione distrettuale antimafia di Milano, segnala “un calo di attenzione della società civile†verso la lotta alla criminalità organizzata, ma mostra preoccupazione soprattutto per “i cattivi segnali mandati dalla politica†con riforme della giustizia che finiscono per influire anche sul contrasto alle mafie.

A che punto è l’antimafia, dopo le riforme della giustizia del governo Meloni e a 30 anni dalla fondazione di Libera, il movimento antimafia guidato da don Luigi Ciotti?

L’antimafia delle istituzioni, dei magistrati, della polizia giudiziaria, ha fatto significativi passi in avanti, qui al Nord, a partire dall’indagine Infinito-Crimine, nel 2010. Dopo anni di negazionismo, in cui perfino un prefetto di Milano diceva che al Nord la mafia non c’era, si è presa coscienza del problema e contrastato le mafie che all’epoca commettevano soprattutto reati di sangue, moltissimi omicidi, grandi traffici di stupefacenti e controllavano soprattutto le attività illecite.

E oggi?

Dal 2010 a oggi sembra passato un secolo. Oggi è prevalente la dimensione economica delle mafie. La criminalità mafiosa si è adeguata alla criminalità economica, usando gli stessi modelli comportamentali. In sostanza risponde a una domanda diffusa di evasione fiscale, di conquista di fette di mercato in violazione delle regole della concorrenza. È successo anche nell’ultima indagine, “Hydraâ€, in cui abbiamo individuato una associazione di stampo mafioso con la compresenza di soggetti che fanno riferimento alla ’Ndrangheta, alla Camorra, a Cosa nostra.

C’è a Milano o al Nord una sorta di super-gruppo delle mafie?

Non è una super-mafia, è un’associazione che noi abbiamo qualificato di stampo mafioso e che secondo il Tribunale del riesame esprime una “mafiosità immanenteâ€, con soggetti che fanno riferimento alle tre mafie tradizionali. Si occupano di affari, mettono in comune un reticolo di società che si occupano di evasione fiscale, quindi di fatture fittizie e commercializzazione di crediti d’imposta.

Non c’è più la mafia che spara?

Il fatto che le organizzazioni criminali si occupino di reati economici non significa che i mafiosi abbiano in assoluto rinunciato al ricorso alla violenza. Li ascoltiamo nelle intercettazioni dire che è meglio ridurla al minimo. Dicono che le pistole devono essere messe da parte, “e lo hanno capito anche i sicilianiâ€. Ma questo non significa che abbiano perso la vis mafiosa, semplicemente vi ricorrono solo se e quando è assolutamente necessario. C’è un processo di mimetizzazione: meno cerimonie di affiliazione o di conferimento delle “dotiâ€. Lo dicono loro stessi, intercettati: “È meglio che non facciamo le mangiate, altrimenti ci danno il 416 bisâ€. E quelli che sono stati scarcerati dopo aver espiato la pena sono diventati tutti imprenditori, mentre quando li avevamo arrestati, anni fa, si occupavano di droga. Settori preferiti, la logistica, la ristorazione e da ultimo è emerso il loro interesse per il mondo del calcio, il mondo ultrà. Certo, resta anche la droga: Milano è rimasta un crocevia dei traffici di droga, come e più di prima.

L’antimafia della società civile la sentite presente, 30 anni dopo la fondazione di Libera?

I movimenti antimafia ci sono e sono preziosi. Certo che la tensione nell’opinione pubblica è calata rispetto a 30 anni fa, al periodo delle stragi. È quindi importante proseguire l’opera di sensibilizzazione e soprattutto di conoscenza del fenomeno mafioso. Devo dire che anche gli organi di informazione non è che siano proprio così sensibili a questi temi.

Le riforme della giustizia avviate dal ministro Carlo Nordio vi aiutano o vi frenano?

La legislazione sulle indagini antimafia non è stata cambiata, eppure i cambiamenti introdotti non aiutano. La mafia di oggi si combatte contrastando i reati economici. Se le nuove regole indeboliscono le indagini, per esempio riducendo a 45 i giorni delle intercettazioni, è chiaro che questo non giova alle investigazioni anche sui reati di mafia. Perché non sempre è configurabile fin dall’inizio l’aggravante mafiosa, spesso le nostre indagini partono da spunti investigativi rappresentati semplicemente da un reato economico, un fatto di bancarotta, di evasione fiscale.

E l’eliminazione dell’abuso d’ufficio?

È raro che venga contestato nelle indagini antimafia. Ma quello che pesa è il segnale che con queste riforme viene mandato: che non sono poi così rilevanti né socialmente riprovevoli i reati contro la pubblica amministrazione o quelli fiscali. Così vengono di fatto agevolate le mafie che sono riuscite a colonizzare il nostro territorio proprio perché hanno trovato terreno fertile, hanno offerto una serie di servizi a un mondo imprenditoriale già insofferente al rispetto delle regole minime di correttezza fiscale e del libero mercato. Le ultime riforme della giustizia mandano un segnale anche simbolico che è pesantissimo.

Data articolo: Mon, 28 Apr 2025 11:32:24 +0000

Rito Ambrosiano

Anche la Corte costituzionale bacchetta il “Rito ambrosianoâ€

Una nuova sentenza della Corte costituzionale potrebbe riverberarsi sull’azione della Procura di Milano, impegnata in una ventina di inchieste sugli abusi edilizi permessi dal Comune guidato da Giuseppe Sala. Ieri è stata depositata la sentenza della Consulta numero 51, che dichiara incostituzionale una legge della Regione Lazio, la numero 7 del 2017 (presidente era Nicola Zingaretti), che all’articolo 4 comma 4 permetteva, “in via transitoria, l’esecuzione di interventi di trasformazione edilizia con mutamento della destinazione d’uso, in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico e in assenza di una valutazione da parte del Consiglio comunaleâ€.

Consentiva di costruire in deroga agli strumenti urbanistici e senza una valutazione del Consiglio comunale. Non si può fare – ha stabilito la Corte costituzionale – perché questa prassi “comporta il rischio di un aumento incontrollato del carico urbanistico e degli insediamenti abitativiâ€; e anche perché “la sottrazione di questi determinanti interventi di trasformazione edilizia alla valutazione consiliare comporta una ingiustificata e non proporzionata compressione della potestà pianificatoria comunaleâ€. È necessario dunque rispettare i Piani di governo del territorio, senza deroghe, e restituire al Consiglio comunale il potere di decidere sugli interventi di “rigenerazione urbanaâ€.

Riguarda casi certamente differenti da quelli milanesi, ma potrebbe incidere sulle indagini dei pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici con la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano: perché anche a Milano il Comune concede permessi di costruire “in scostamento†a quanto stabilito dalle norme, facendo decidere la Commissione paesaggio.

Del resto, anche a Milano si concede di costruire abitazioni residenziali dopo aver abbattuto magazzini o laboratori, con cambio di destinazione d’uso e senza una valutazione del Consiglio comunale. Oltretutto con aumento delle volumetrie e considerando “ristrutturazione edilizia†(con relativi sconti sugli oneri d’urbanizzazione) quelle che sono invece operazioni di sostituzione edilizia.

Questa pronuncia della Corte costituzionale arriva dopo le decisioni, sempre favorevoli ai pm, di tutti i giudici fin qui intervenuti sulle indagini milanesi: i giudici delle indagini preliminari, quelli del riesame, del Tar e anche della Cassazione, che proprio nei giorni scorsi ha dichiarato inammissibile il ricorso dei costruttori contro il sequestro delle Torri Lac al Parco delle Cave.

Data articolo: Mon, 28 Apr 2025 11:25:32 +0000

Torino

Mi-To, festival della corruzione. A Milano è indagato anche l’assessore di Torino

Sono salite a quattro le persone accusate di corruzione nella Mani pulite dei grattacieli abusivi a Milano. E tra loro c’è anche Paolo Mazzoleni, oggi assessore Pd all’urbanistica a Torino. La prima accusa di corruzione era stata contestata il 5 marzo a Giovanni Oggioni, a lungo direttore dello Sportello unico edilizia (Sue) e vicedirettore della Direzione urbanistica del Comune. Nei giorni scorsi la Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati, per corruzione, almeno altre tre persone. Oltre a Mazzoleni, sono Laura Montedoro e Giovanna Longhi, due componenti della Commissione paesaggio del Comune di Milano.

La storia di Oggioni è nota. È stato per anni il più potente dei dirigenti comunali, il grande vecchio dell’urbanistica milanese. Dopo essere stato direttore del Sue e vicedirettore degli uffici urbanistici, ha continuato a influire sugli affari edilizi dall’interno della Commissione paesaggio, ma anche come segretario del consiglio dell’Ordine degli architetti di Milano. Dopo essere andato in pensione da dirigente comunale, non è uscito di scena, ma ha mantenuto un incarico a Palazzo Marino: “gratuito e di supportoâ€, all’assessorato alla Casa.

I pm Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici, con la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, hanno chiesto il suo arresto per essere intervenuto, anche “compiendo falsi in atto pubblicoâ€, in almeno 16 progetti immobiliari. In cambio, Oggioni ha incassato 178 mila euro: una consulenza ottenuta da Assimpredil, l’associazione che riunisce i costruttori milanesi. Altri soldi, 124 mila euro, sono arrivati a sua figlia dalla società Abitare In, uno dei grandi sviluppatori immobiliari che operano in città.

Il giudice delle indagini preliminari (gip) Mattia Fiorentini ha accolto le richieste della Procura e ha ordinato i domiciliari, riconoscendo l’esistenza di “gravi indiziâ€. Oggioni ha anche tentato di inquinare l’inchiesta, dopo che gli erano stati sequestrati computer e telefono, cancellando un suo account “al fine di depistare le indagini e sopprimere le proveâ€. È accusato anche di falso e frode processuale ed era già indagato anche per lottizzazione abusiva.

Due dei nuovi indagati per corruzione sono componenti della Commissione paesaggio di Milano. Istituita nel 2012 come organo tecnico e consultivo, formata da progettisti scelti dal sindaco, la Commissione è stata investita di anomali poteri discrezionali, potendo decidere sui progetti presentati in Comune, in un guazzabuglio di conflitti d’interessi: chi ne faceva parte era o era stato autore di progetti da approvare, o poteva diventarlo in futuro.

È il caso di Mazzoleni, che prima recita il ruolo di membro della Commissione e poi indossa i panni di progettista per conto dei costruttori della Bluestone. Proprio in questa veste convince le due professioniste Laura Montedoro e Giovanna Longhi, pubblici ufficiali in quanto componenti della Commissione paesaggio, a dire sì al palazzone di sette piani progettato da Mazzoleni nel cortile di piazza Aspromonte, indagine numero uno della Mani pulite urbanistica di Milano.

Le due si esprimono a favore, sostenendo (magrittianamente) che quel cortile non è un cortile, con pareri (secondo il pm) “affetti da falso ideologico†e “omettendo di dichiarare di trovarsi in conflitto di interessiâ€: infatti contemporaneamente prestavano “consulenze†a Mazzoleni. Inesistenti, però, secondo la Procura.

Esistevano invece le “utilità†che Mazzoleni passava loro: 12 mila euro a Longo, “mentre l’utilità per la Montedoro consisteva nell’arricchimento del proprio curriculum professionaleâ€. Sarà un giudice ora a decidere se accogliere o no le ipotesi d’accusa del pm. Resta comunque certo un fatto: nelle indagini che coinvolgono la pubblica amministrazione milanese la corruzione è diventata non soltanto una sacrosanta domanda giornalistica, ma una ipotesi più volte avanzata dalla Procura e almeno in un caso già accettata dal gip.

Data articolo: Mon, 28 Apr 2025 11:18:48 +0000

Monfalcone

Monfalcone, la prima lista elettorale tutta di “stranieri†(e quel video con il camorrista)

Si avvicina la stagione dei bagni, anche nel litorale adriatico di Monfalcone. Chissà se tornerà anche l’ordinanza del sindaco che vieta di fare il bagno in mare alle donne vestite di tutto punto e con il velo islamico? Quando fu emanata dalla sindaca Anna Maria Cisint, quell’ordinanza fece scalpore. Come quelle che impedivano la preghiera in due moschee improvvisate, ritenute abusive.

Oggi Cisint, anche sull’onda della sua contrapposizione durissima agli “stranieri†che vivono a Monfalcone, è stata eletta europarlamentare della Lega. Ma è restata più attiva a Monfalcone che a Strasburgo. Ora è in pista per la campagna elettorale del suo Comune, che come tanti altri andrà alle urne il 13 e 14 aprile per eleggere il sindaco e il consiglio comunale. Sostiene a spada tratta Luca Fasan (a sinistra nella foto), candidato del centrodestra, che indica come suo successore.

Gli si contrappone Diego Moretti, alla testa di una coalizione di centrosinistra. La novità assoluta è però il terzo candidato sindaco: Bou Konate (a destra nella foto), ingegnere, imprenditore, nato in Senegal e laureato a Trieste, che per la prima volta in Italia guida una lista interamente composta da persone arrivate da altri Paesi del mondo, soprattutto Bangladesh e Senegal.

Monfalcone è la capitale italiana della cantieristica, sede del più vasto cantiere navale di Fincantieri, dove si costruiscono le grandi navi da crociera che solcano i mari di tutto il mondo. Da anni, l’attività cantieristica ha richiamato proprio a Monfalcone migliaia di immigrati, che costituiscono l’assoluta maggioranza dei lavoratori di Fincantieri. Sono loro che hanno salvato la cittadina del Nord-est da un declino che pareva inesorabile, sono loro che hanno dato a Fincantieri la leadership mondiale della cantieristica.

Così Monfalcone è diventata la città italiana con la più grande percentuale di cittadini “stranieriâ€, il 30 per cento. Su circa 30 mila abitanti, un terzo sono immigrati: più di 9 mila persone, di cui 7 mila di fede musulmana, per lo più provenienti dal Bangladesh. Una comunità numerosa, tranquilla e ordinata, che lavora sodo e non ha mai dato grandi problemi di “sicurezzaâ€: niente criminalità, niente scippi, niente accattonaggio per le strade, niente spaccio visibile di droghe.

Ma ha comunque scatenato le paure di una parte della popolazione locale, di cui la ex sindaca Cisint si è fatta interprete: “È in atto una sostituzione etnica. Gli islamici ci vogliono sostituire, vogliono sostituire le nostre tradizioni e la nostra religione cristiana con l’Islamâ€, ha dichiarato. “Vogliono cancellare la nostra identità e i nostri valori occidentali, imponendo regole che sono in netto contrasto con i nostri ordinamenti: vogliono la Sharia. In questi anni mi hanno detto che esageravo, ma gli islamici hanno un obiettivo chiaro: prendere il potereâ€.

La conferma arriva ora – secondo Cisint – dalle elezioni di domenica prossima. Bou Konate, che già fu assessore ai Lavori pubblici in una passata giunta di centrosinistra, ha deciso questa volta di presentarsi alle elezioni alla guida di “Italia pluraleâ€, una lista composta tutta di “stranieriâ€, che in realtà sono cittadini italiani e monfalconesi a tutti gli effetti.

Fu lui, da presidente del Centro culturale islamico Darus Salaam, a organizzare il 23 dicembre 2023 la grande, colorata, pacifica manifestazione contro le ordinanze Cisint che volevano imporre alle donne il costume da bagno, chiudere i luoghi di culto islamici, contingentare il numero di ragazzi d’origine straniera nelle classi, deportando fuori città “le eccedenzeâ€. A quella manifestazione, una sola bandiera fu ammessa: il tricolore.

Ma ora la campagna elettorale alle ultime battute non risparmia i colpi bassi. La destra denuncia che, su invito del centrosinistra, Konate il 28 ottobre 2024 ha portato in audizione davanti al Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia il bengalese Miah Kabir, in passato condannato per caporalato. Konate risponde che Kabir si è sempre proclamato innocente, faceva da mediatore tra i suoi connazionali e una banda di italiani che gestivano davvero il caporalato nei cantieri.

A sinistra sfoderano invece un video in cui l’inossidabile Cisint appare sorridente per promuovere la pesca a Monfalcone, in compagnia di Domenico Frascogna, in passato tombarolo negli scavi di Pompei, poi killer dei Casalesi di Francesco “Cicciariello†Schiavone (cugino del più noto Francesco Schiavone “Sandokanâ€), infine collaboratore di giustizia. Fuochi d’artificio, negli ultimi giorni di campagna elettorale a Monfalcone, la città delle grandi navi con più immigrati d’Italia. (Il Fatto quotidiano, 10 aprile 2025)

Il video postato su Facebook dalla ex sindaca Anna Maria Cisint. Alla sua sinistra, Domenico Frascogna

I risultati del voto

Confermati i pronostici. A Monfalcone il centrodestra ha stravinto le elezioni comunali. È la cittadina italiana con la più grande percentuale di immigrati (il 30 per cento dei 30 mila abitanti) ed è stata la prima in cui in cui si è presentata una lista composta tutta di “stranieriâ€, con candidato sindaco Bou Konate, un ingegnere nato in Senegal, laureato a Trieste e da anni animatore culturale della comunità dei monfalconesi arrivati in città da altri Paesi del mondo, soprattutto Bangladesh. Konate ha raccolto solo il 3 per cento dei voti.

Ha vinto invece, con oltre il 70 per cento, Luca Fasan della Lega, che dunque sarà il nuovo sindaco.Era spinto e sostenuto da Anna Maria Cisint, leghista, che è stata sindaco di Monfalcone per sette anni, fino alle ultime elezioni europee, quando è stata eletta al Parlamento di Strasburgo. Ha raccolto poco più del 26 per cento il candidato del centrosinistra, Diego Moretti, già capogruppo del Pd nel Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia.

Si è fermata al 3 per cento la lista “Italia pluraleâ€, promossa dall’ingegner Konate e composta tutta di “stranieriâ€, che in realtà sono cittadini italiani e monfalconesi a tutti gli effetti. Konate non è riuscito a convincere ad andare alle urne quel terzo di cittadini di Monfalcone che sono di origine straniera, soprattutto provenienti dal Bangladesh, in gran parte arrivati in Italia per andare a lavorare a Fincantieri e nei cantieri navali dove si costruiscono le grandi navi da crociera.

Ha stravinto la propaganda della ex sindaca Cisint, da sempre molto dura con i suoi concittadini arrivati da lontano. “Ci vogliono sostituire, vogliono prendere il potere, vogliono instaurare la legge islamica al posto delle nostre tradizioniâ€: così ha ripetuto anche durante la campagna elettorale. In passato, aveva proibito i bagni in mare delle donne di fede islamica che non si tolgono i vestiti in spiaggia, aveva chiuso due moschee non ufficiali dichiarandole abusive, aveva perfino proibito ai ragazzi di giocare in città a cricket, sport nazionale del Bangladesh.

Alla vigilia del voto, Cisint aveva annunciato una querela contro il Fatto quotidiano accusandolo di aver scritto falsità contro di lei: in realtà il Fatto aveva ripubblicato un fotogramma di un video postato nella pagina Facebook della ex sindaca, in cui era in compagnia di un ex killer dei Casalesi ed ex collaboratore di giustizia.  (Il Fatto quotidiano, 16 aprile 2025)

Data articolo: Mon, 28 Apr 2025 10:58:07 +0000

Giustizia

Giorgia come Silvio: la svolta contro giudici e giornalisti

C’è una Giorgia1 e una Giorgia2. La prima è la Giorgia Meloni “di lotta†che aumenta il consenso per sé e il suo partito (dall’1,9 per cento del 2013 al 28,8 per cento del 2024) stando “fuori dal Palazzoâ€, paladina contro l’establishment, unica sempre all’opposizione, anche del governissimo Draghi. La seconda è la Giorgia Meloni “di governoâ€, che si è rapidamente “fatta establishmentâ€. Nella politica economica. Nella fedeltà atlantica. Ma soprattutto nella politica della giustizia, dove arriva a realizzare il programma che Silvio Berlusconi aveva tentato di realizzare senza riuscirci. 

Viene da una tradizione assai diversa da quella di Berlusconi: la destra “legge e ordineâ€, quella che sostenne Mani pulite e che nel 1994 chiese a Piercamillo Davigo di diventare ministro della Giustizia. Quella che ha nel suo Pantheon un magistrato antimafia come Paolo Borsellino. Ma una volta arrivata al governo, ha scelto Carlo Nordio come ministro della Giustizia, che ha avviato una riforma (o controriforma) della giustizia invisa anche alla parte più conservatrice della magistratura.

Bisogna subito rettificare un’illusione ottica: la Giorgia Meloni che si presenta come “underdog†e nel 2022 arriva alla guida del governo è la stessa che faceva parte dei governo Berlusconi già nel 2008, la stessa che ha sostenuto le sue riforme contro la Giustizia e le sue leggi ad personam. Ed è la stessa che ha guidato negli anni un partito che si è andato riempendo di indagati, imputati, condannati, furboni della politica e personaggi in conflitto d’interessi.

Ma oggi la contraddizione tra iniziali proclami politici e attuali realizzazioni legislative è palese e stridente. Non è più la sfasatura tra “predicare bene e razzolare maleâ€: è cambiato anche il “predicareâ€. Le reazioni contro i magistrati “colpevoli†di scelte sgradite risuonano simili a quelle berlusconiane. La difesa di “legge e ordine†e dell’indipendenza della magistratura dalle intromissioni del potere politico lascia il posto a una pianificata riduzione degli strumenti a disposizione della magistratura inquirente e della sua autonomia; a una intromissione dell’esecutivo nelle scelte della magistratura giudicante; a una maggiore severità nei confronti dei reati “di strada†simmetrica a una maggiore tolleranza per i reati dei politici e dei colletti bianchi, con esito finale di approdare a una giustizia a due velocità (un tempo si sarebbe detto: di classe).

Ci sono anche iniziative governative che hanno per effetto l’intervento su inchieste in corso. La competenza sui trattenimenti dei migranti viene spostata dai tribunali specializzati alle Corti d’appello, nella speranza di ribaltare i giudizi che hanno svuotato la struttura detentiva in Albania. La norma “d’interpretazione autentica†sull’urbanistica (in realtà voluta da una parte del Pd su spinta del sindaco di Milano Giuseppe Sala, ma presentata alla Camera con la prima firma di un importante esponente di Fratelli d’Italia) punta ad azzerare le inchieste in corso a Milano su grattacieli e palazzi costruiti fuori dal perimetro delle leggi vigenti, senza piano attuativo che calcoli i servizi per i cittadini.

È la politica che interviene sulla giurisdizione. La realizzazione di quanto tentato – per lo più invano – da Berlusconi. In un clima ancor più pericoloso, perché le leggi pensate ad Arcore erano facilmente smascherabili come costruite ad personam o ad aziendam per bloccare i procedimenti giudiziari di Berlusconi o favorire i suoi affari. Oggi le controriforme sulla giustizia si presentano invece come universali, anche se il loro effetto sarà quello di ridurre il controllo di legalità sul potere politico che la Costituzione affida al potere giudiziario. 

Universali, ma comunque “aiutate†e “spinte†da casi giudiziari concreti che hanno coinvolto esponenti di Fratelli d’Italia. Tanti piccoli procedimenti che hanno riguardato politici e amministratori del partito in tutto il Paese. E alcune grosse inchieste che hanno lambito personaggi di vertice. L’inchiesta che ha coinvolto la ministra Daniela Santanché per i pasticci finanziari e la cattiva gestione delle sue aziende finite sull’orlo della bancarotta; l’indagine sul sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro per aver rivelato notizie segrete sul caso Cospito al compagno di partito Giovanni Donzelli; perfino le accuse di stupro al figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa. Giorgia Meloni, i fratelli e le sorelle d’Italia, e ancor più i loro alleati di governo, hanno fatto quadrato attorno ai loro compagni di partito, spesso con reazioni perfettamente berlusconiane: hanno denunciato un “attacco della magistratura nei confronti della politicaâ€, sostenendo che sia necessario rispondere con una “riforma della giustiziaâ€. In realtà, una controriforma che realizzi un ridimensionamento del controllo di legalità sulla politica.

Torna, a volte con parole nuove, a volte con le stesse di Berlusconi, la denuncia di un “attacco†dei magistrati contro la politica di governo, di una “ripresa della guerra tra politica e magistraturaâ€: in verità si è trattato di ripetuti attacchi della politica (l’aggressore) alla magistratura (l’aggredito) quando questa, seguendo i codici e la Costituzione, avvia indagini su politici e amministratori. Non è guerra, è bullismo della politica.

Tra gli alleati di centrodestra i toni più duri sono quelli di Matteo Salvini e della Lega. Meloni ha mostrato qualche riserva nel difendere ad ogni costo Santanché e ha addirittura bacchettato La Russa per alcune sue iniziali dichiarazioni sul figlio. Ma, alla fine, la presidente del Consiglio lascia fare Nordio e invoca le “riforme†che, da una parte, rendano più difficoltoso indagare e, dall’altra, più difficile informare sulle indagini che riguardano indagati eccellenti.

Il primo passo significativo è stato l’abolizione dell’articolo 323 del codice penale che disciplina l’abuso d’ufficio. Un reato già circoscritto da precedenti riscritture, una “riforma†che contraddice le raccomandazioni dell’Unione europea. E che ha dovuto essere a sua volta “riformata†da una norma che punisca almeno la “indebita destinazione di denaro o di cose mobiliâ€, ossia il “peculato per distrazione†(cioè il reato commesso dai pubblici ufficiali che regalano risorse pubbliche agli amici).

Ridotta la punibilità anche del traffico d’influenze illecite: per essere perseguibile, si dovrà dimostrare che il mediatore ha sfruttato “intenzionalmente†le relazioni con il pubblico ufficiale, che dovranno essere “esistenti†e non più solo “asseriteâ€. Inoltre, l’eventuale utilità data o promessa, per configurare reato dovrà essere “economicaâ€: non basteranno più i favori diversi da quelli che hanno valore monetizzabile.

Per il resto, la riforma Nordio rende più complicate le procedure che i magistrati devono seguire per chiedere misure cautelari in carcere. A deciderle non sarà più un solo gip (giudice per le indagini preliminari), ma ben tre: questi saranno poi tutti incompatibili nelle fasi successive del procedimento, così gli uffici giudiziari più piccoli correranno il rischio di rimanere bloccati. Prima di arrestare un indagato, sarà necessario procedere al suo interrogatorio, avvisandolo dell’arresto “almeno cinque giorni prima†(tranne nei casi di pericolo di fuga o inquinamento delle prove, o quando c’è il rischio di reiterazione dei reati, ma solo i più gravi, mafia, terrorismo, violenze sessuali, stalking, o quelli commessi con l’uso delle armi).

A essere più “garantitiâ€, dunque, saranno di fatto i colletti bianchi. I cittadini, comunque, saranno meno informati: vietata la pubblicazione testuale delle ordinanze di custodia cautelare e delle intercettazioni in esse citate; vietato indicare “i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizioneâ€, cioè non si potranno citare persone non indagate, anche se potrebbero essere utili per comprendere il contesto dei fatti; vietata la pubblicazione dell’avviso di garanzia, che dovrà contenere una “descrizione sommaria del fattoâ€.

Non sarà più possibile per il pubblico ministero appellare le sentenze di proscioglimento per quanto riguarda i reati per cui è prevista la citazione diretta a giudizio (cioè quelli che saltano l’udienza preliminare e sono punibili con un massimo di quattro anni). È un ritorno, pur in misura ridotta, della legge Pecorella voluta da Berlusconi, che toglieva all’accusa la possibilità di ricorrere in appello dopo una sentenza d’assoluzione in primo grado e che fu dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale.

La norma-bandiera di questa tornata di riforme della giustizia è la separazione delle carriere. Separati per sempre i magistrati d’accusa da quelli giudicanti, con due diversi Csm a garantirne (si spera) l’indipendenza e l’autogoverno. Norma inutile: sono ormai pochissimi i passaggi di carriera tra pm e giudici. Norma dannosa: una comune cultura della giurisdizione assicura più garanzie all’indagato da parte di un pm che abbia nella sua formazione la propensione a cercare anche le prove favorevoli all’indagato, mentre una casta separata di accusatori potrebbe diventare più determinata a ottenere a ogni costo il risultato (la condanna) e meno attenta alle garanzie degli indagati. Norma alla fine letale: il suo esito potrebbe essere la sottoposizione del pm al potere esecutivo, con perdita dell’autonomia e dell’indipendenza garantite dalla Costituzione italiana a tutti i magistrati, inquirenti e giudicanti.

Quello che Berlusconi non è riuscito a fare in un ventennio di presenza sulla scena politica, è ora in via di realizzazione da parte del governo di Giorgia Meloni. È una semplice constatazione fattuale: ciò che a Berlusconi fu impedito, anche perché era evidente l’interesse personale di un politico che confezionava leggi ad personam per risolvere propri problemi giudiziari, oggi è permesso a una compagine di governo che punta a realizzare per la giurisdizione una trasformazione di sistema, anche intervenendo su delicati equilibri costituzionali.

Un intervento riassumibile in cinque linee d’attacco: riduzione degli strumenti d’indagine a disposizione dei magistrati, zavorrati da procedure più macchinose; riduzione tendenziale della loro autonomia e indipendenza; abbassamento del controllo di legalità nei confronti di politici e colletti bianchi; riduzione della possibilità dell’informazione a esercitare un efficace controllo su indagini e processi che coinvolgano politici e amministratori; tendenza a costruire una giustizia a due velocità, morbida e ultragarantista per politici e colletti bianchi, dura e inflessibile per chi è accusato di reati “di stradaâ€, con aumento delle pene e introduzione di nuove fattispecie.

Poiché il controllo di legalità esercitato dal potere giudiziario e quello di trasparenza garantito dall’informazione sono due componenti costitutive e irrinunciabili della democrazia, è possibile affermare che è in corso qualcosa di più che una semplice “riforma†della giurisdizione: è in atto un attacco ai livelli della nostra democrazia.

Data articolo: Mon, 28 Apr 2025 10:46:33 +0000

Salva-Milano

Case a Milano: il “barile†che Sala sta raschiando è vuoto. Ecco perché

Dopo aver perso tutte le ultime battaglie, l’armata di Giuseppe Sala si riorganizza per il contrattacco. Ha subito sonore sconfitte: sulla Salva-Milano; sulle inchieste urbanistiche per i grattacieli abusivi; sulla corruzione a Palazzo Marino negata e poi invece contestata dai magistrati; sulla bislacca “trattativa†con la Procura per le inchieste in corso; sulla serrata degli uffici comunali; sullo stadio di San Siro; sulla sua immagine “vincente†ora invece appannata; sulle pretese di “federare†non si sa chi.

Ora anche quello che chiama “il suo azionista di riferimentoâ€, cioè il Pd (povera politica, ridotta a rapporti aziendali!) ha dato segni di impazienza e non sembra più disposto a seguirlo fino al baratro. Ma adesso i suoi consiglieri, il suo staff, il suo salotto lanciano la controffensiva di primavera, chiamando a raccolta la stampa amica, prima fra tutte Repubblica-Milano, che gli ha organizzato un apposito forum in redazione senza quasi domande e un evento al teatro Parenti che ha dato l’avvio alla campagna di primavera.

Fino a un paio d’anni fa Milano era “the place to beâ€, la città più “attrattiva†d’Europa, il migliore dei mondi possibili. Ora è impossibile invece proseguire con la narrazione gloriosa, i nodi sono venuti al pettine, impossibile ignorare i problemi. L’“attrattività†si è dimostrata il richiamo di capitali immobiliari che hanno fatto di Milano la città prima nella classifica europea per operazioni urbanistico-edilizie (seconda Monaco di Baviera, terza Amsterdam): grazie alle regole fuorilegge del “rito ambrosiano†e agli oneri di costruzione più bassi d’Europa.

Grandi guadagni per i fondi e per gli operatori, pochi ritorni per i cittadini (l’8 per cento a Milano, contro il 30 per cento a Monaco). La “londrizzazione†della città ha generato prezzi londinesi, ma con stipendi italiani. Via Montenapoleone è diventata la via con gli affitti più cari del mondo (più della Quinta Strada a New York, di Bond Street a Londra, dell’Avenue des Champs Elysées a Parigi). Ma sono cresciuti i costi del vivere e dell’abitare per tutti. Milano è la città con gli affitti più alti d’Europa (2.090 euro al mese, +5,6 per cento sull’anno precedente).

Quattrocento mila persone sono state espulse dalla città in pochi anni. Ormai sono costretti ad ammetterlo: a Milano esiste “un’emergenza abitativaâ€. Ma il sindaco rassicura: “La stiamo affrontando, di più non possiamo fare, stiamo raschiando il fondo del barileâ€. Di quale barile si tratta? Permettendo di costruire secondo norme fuorilegge, il Comune di Milano ha mancato di chiedere agli operatori immobiliari almeno 2 miliardi di euro (i conti più precisi li farà la Corte dei conti, se glieli lasceranno fare).

Dunque alle casse del Comune (cioè ai cittadini) sono stati sottratti 2 miliardi: il barile sarebbe bello pieno. Invece è vuoto, malgrado un’agghiacciante ammissione: “Abbiamo venduto tutto il vendibile del nostro patrimonio immobiliare per far quadrare i bilanci di questi ultimi anniâ€. Sala ha venduto l’argenteria di Milano come fosse cosa sua.

Non sa fare politica, ma una cosa l’ha imparata: dare la colpa agli altri. “C’è bisogno di un intervento pubblico, ma questo deve arrivare dallo Statoâ€. Intanto migliaia di case popolari restano sfitte, fatiscenti, per esse non c’è alcuna “rigenerazione urbanaâ€, non possono essere assegnate alle 13 mila famiglie che ne avrebbero diritto. Il suo predecessore, Giuliano Pisapia, una cosa buona l’aveva fatta: aveva sottratto all’Aler della Regione Lombardia la gestione delle case popolari di proprietà comunale.

Sala non ha saputo compiere il secondo passo necessario: ristrutturarle e assegnarle. Era occupato in tutt’altri affari, attirare i fondi internazionali in città, lanciare le Olimpiadi “senza un euro pubblico†che ora chiedono milioni al Comune, alla Regione e al governo, preparare il suo ruolo di “federatore†di chissacché, regalare San Siro ai fondi americani…

Data articolo: Sun, 20 Apr 2025 18:11:02 +0000

Giorgia Meloni

25 aprile. Lo spettro della Storia riscritta

di Carlo Verdelli, Corriere della sera /

L’impressione è che ci prepariamo a celebrare, nell’occasione specialissima degli ottant’anni, una Resistenza dimezzata e una Liberazione con troppi distinguo. Quanto ai partigiani, che adesso vengono da più parti rinominati «patrioti», finiranno defilati, i pochi ancora in vita, come reduci di una guerra dove la loro parte sfuma sempre più sullo sfondo, quasi fosse un accidente o un fastidio. Tanto bastavano gli Alleati. Forse sì, per spingere fuori dall’Italia chi la occupava militarmente. Certamente no, per fare dell’Italia una nazione indipendente e con una Costituzione costruita su misura per proteggere la neonata democrazia da ritorni di fiamma.

Si avvicina al vero, sia pure nei suoi toni inutilmente bruschi, Il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini: «Il 25 aprile è la festa di tutti, non solo dei comunisti». A parte che i comunisti non esistono più in natura, la festa è effettivamente di tanti: chi ha creduto nel comunismo, ma anche i cattolici, i socialisti, gli azionisti, i liberali, i repubblicani, i militari che rifiutarono di combattere con i tedeschi, gli ebrei, le donne e gli uomini che rischiarono e persero la vita partecipando a una Resistenza che ci regalato una patria non più schiava della tirannide fascista e dell’occupazione nazista. Solo gli irriducibili seguaci delle due ultime categorie, e i loro freschi e nostalgici sostenitori, non hanno niente da festeggiare.

Quindi, una festa «non di tutti» ma riservata a chi continua a pensare che essere italiani significa essere antifascisti perché il fascismo è stato una dittatura e gli italiani sono cittadini di una democrazia. Ãˆ stato più o meno così per 79 anni (primo esecutivo delle Repubblica, De Gasperi II) e 67 governi. Ma adesso, col governo numero 68, questa la linea di demarcazione in apparenza netta sembra per la prima volta rimessa in discussione.

Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, dice che il nuovo corso della destra di governo sta nel rivalutare le nostre radici. Basta intendersi a quali si riferisca. Sì, perché di radici la nostra patria ne ha almeno due. Una affonda i propri embrioni in un tempo neanche così remoto dove i valori erano «credere, obbedire, combattere». L’altra, nella loro antitesi. La Liberazione è il seme della seconda, da cui poi germoglia la Repubblica che abitiamo e che si fonda proprio sul contrario di quanto l’aveva preceduta, con in più contromisure per evitare riedizioni autoritarie più o meno mascherate.

La differenza tra questo 25 aprile e gli altri che l’hanno preceduto sta nel fatto che proprio la destra di governo, rafforzata da due anni e mezzo al comando del Paese, ha reso più esplicita la voglia di revisione su questioni riguardanti una memoria storica che si dava per sommi capi condivisa. Basti pensare al recente e inatteso attacco della presidente Meloni al Manifesto di Ventotene, scritto da pensatori mandati al confino da Mussolini, o al tentativo meno recente ma più clamoroso di riscrittura operato dal presidente del Senato La Russa sull’attentato partigiano di via Rasella, cui seguì il massacro delle Fosse Ardeatine, cioè una delle pagine più sacre del nostro passato prossimo. O forse, per una parte di italiani, passato remoto. Anzi, trapassato.

Il ministro Giuli non sta a specificare le radici a cui si richiama, e va detto che i suoi ragionamenti non sono sempre di immediata decifrazione. Ma la direzione di marcia, o di retromarcia, è comunque piuttosto chiara, come dimostra la sua difesa della richiesta di Fratelli d’Italia di intitolare una rotonda di Firenze a Giovanni Gentile, ideologo di spicco e spessore del fascismo.

Alle proteste della sindaca Sara Funaro, che la riteneva una provocazione per una città medaglia d’oro della Resistenza («e proprio in questi giorni…»), Giuli ha replicato che contestare la targa a Gentile è «un atto neoprimitivo che nega la cultura per sottometterla all’ideologia». E sembra di scorgere, in questo riferimento all’ideologia, un malcelato tentativo di bollare come superata ogni pretesa di rifarsi ai principi fondativi della nostra nazione e come tali inviolabili e immodificabili. Non è più così, sarà sempre meno così.

A parte il Presidente Sergio Mattarella, che ha scelto Genova per onorare la Liberazione, l’unica città dove i nazisti si arresero ai partigiani, garantendo la sua presenza a uno spettacolo teatrale nato da storie partigiane, non sono alle viste nell’agenda nazionale grandi celebrazioni né particolari attenzioni da parte delle sei reti televisive più vicine alla maggioranza (tre Rai più tre Mediaset). Eppure il 25 aprile non è una «data rossa». Dovrebbe essere una data di cordoglio per le vittime e di orgoglio per la riconquista di una Patria. 

Pietro Calamandrei, uno dei fondatori del Partito d’Azione, non proprio un rivoluzionario, che anzi nel 1931 giurò fedeltà al regime per non perdere la cattedra di professore, in un discorso rimasto celebre agli studenti di Milano del gennaio 1955, disse questo: «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani». Hanno ancora valore quelle parole?

Forti del consenso popolare, anche se non così esteso come si vorrebbe far passare, si può trasformare una democrazia figlia della Resistenza in un modello di Stato con altre radici e altre prospettive. Si può, proprio perché siamo in una democrazia, cambiare il futuro di una nazione. Quello che inquieta è pretendere di alterarne la Storia, modificando la genetica delle origini, il lascito dei resistenti.

Data articolo: Sun, 20 Apr 2025 17:59:01 +0000

Salva-Milano

A Milano la giustizia riparativa diventa giustizia pasticciativa

Qualcuno a Palazzo Marino deve aver visto troppi film americani e troppe serie Netflix, quelle in cui i prosecutor si accordano con gli imputati. In Italia non si può fare. Per i pm sarebbe un reato. A Milano, invece, il sindaco Giuseppe Sala promuove incontri in Procura per “trovare una soluzione†(visto che la Salva-Milano/1 è saltata). Ha mandato ieri, 3 aprile 2025, il capo dell’Avvocatura comunale, Antonello Mandarano, a incontrare il procuratore Marcello Viola e l’aggiunta Tiziana Siciliano, alla guida del pool che indaga sui reati urbanistici in città.

Intanto Sala ha già quasi trovato un accordo con i costruttori (tra cui Nexity, Bluestone e Greenstone): questi faranno una fidejussione bancaria, a garanzia degli eventuali maggiori oneri comunali che dovessero essere accertati come dovuti alla conclusione dei procedimenti giudiziari. A condanne irrorate, le banche garantirebbero i pagamenti. È una garanzia per il Comune, affinché possa incassare in futuro ciò che colpevolmente non ha chiesto in passato.

Ma non spiega perché il Comune non li ha pretesi al momento giusto, quei benedetti oneri, soldi dovuti ai cittadini per nuovi servizi, e invece “dimenticati†facendo passare per “ristrutturazioni†le costruzioni di grattacieli, chiedendo una Scia (cioè un’autocertificazione) invece di un piano attuativo, e monetizzando le aree a standard a prezzi di saldo.

È un segno che Sala si sta incamminando sulla strada della giustizia “pasticciativaâ€, non “riparativaâ€. Questa riguarda le persone, e nelle vicende milanesi sono invece coinvolti il Comune e le società di costruzione. E non può in alcun caso dimenticare i diritti dei cittadini che sono stati danneggiati dai reati commessi. La giustizia “riparativaâ€, quella vera, pretenderebbe comunque tutto un altro percorso.

Primo, l’ammissione degli illeciti: il Comune deve ammettere di aver sbagliato ad autorizzare edificazioni con titoli fuori legge, a confondere sostituzioni edilizie con ristrutturazioni edilizie, a lasciar costruire nei cortili, a pretendere oneri d’urbanizzazione scontati del 40% e monetizzazioni ridicole (facendo perdere alle casse pubbliche, dunque ai cittadini milanesi, almeno un miliardo e mezzo di euro).

Secondo, è necessario il ritorno alle regole, cioè ai piani attuativi che calcolino i nuovi servizi per i cittadini.

Terzo, ci vuole il pagamento da parte dei costruttori degli oneri dovuti: subito, non alla fine di un lungo iter giudiziario.

Con questi tre passaggi, forse qualcosa si potrebbe sanare. Non tutto. Non i falsi in atto pubblico, non i traffici d’influenza illeciti, non le corruzioni, non le concussioni. Non gli abusi edilizi totali, come le costruzioni nei cortili, che per legge andrebbero abbattute. Per evitarlo, e per salvare gli incolpevoli acquirenti, si potrebbe procedere – perché no – alla confisca: il Comune ha tanto bisogno di case popolari da assegnare.

Chi ha comprato è già garantito nella sua proprietà, anche dagli stessi giudici già intervenuti (per esempio sulle Park Towers). Dovranno però essere risarciti anche i proprietari delle case a cui sono stati tolti luce e vista dai grattacieli costruiti davanti alle loro finestre. La giustizia riparativa non potrà essere la nuova “moratoria†giudiziaria, come quella gentilmente concessa durante Expo per “sensibilità istituzionale†(almeno secondo quanto dichiarato da Matteo Renzi).

Intanto si sappia che a Roma sono già al lavoro per la Salva-Milano/2. Quella contabile. Per salvare i dirigenti del Comune di Milano che in seguito alle inchieste della Procura saranno accusati di danno erariale. Arriva un salvacondotto totale per gli amministratori. E uno sconto del 70%, anche retroattivo, per chi dovesse essere comunque condannato per danno erariale. Anche questa Salva-Milano/2, come la prima, va fermata.

Data articolo: Thu, 10 Apr 2025 11:00:27 +0000

Salva-Milano

Salva-Milano/3: ora provano con la “giustizia riparativaâ€

Primo incontro in Procura a Milano, ieri, tra il procuratore Marcello Viola, la procuratrice aggiunta che coordina le inchieste sull’urbanistica, Tiziana Siciliano, e il capo dell’avvocatura del Comune, Antonello Mandarano. L’incontro è avvenuto su richiesta dell’amministrazione guidata dal sindaco Giuseppe Sala, alla ricerca di una via d’uscita per le inchieste penali (almeno una ventina) aperte a Milano sulle costruzioni in città.

Tramontata la Salva-Milano (cioè la legge voluta da Sala, presentata dalla destra in Parlamento, votata anche dal Pd alla Camera ma poi spiaggiata in Senato) è caduta la speranza di bloccare le indagini giudiziarie grazie all’approvazione di un provvedimento parlamentare preteso come “legge d’interpretazione autentica†che rendesse le procedure urbanistiche seguite a Milano legge per tutta Italia.

Ecco allora il cambio di strategia. Mentre la riforma della Corte dei conti cerca di mettere in sicurezza i dirigenti comunali che hanno firmato gli atti urbanistici considerati fuori legge dalla Procura, ora la nuova via d’uscita viene cercata nel dialogo con i magistrati che stanno indagando: il tentativo è quello di ridurre al minimo i danni, ricorrendo alla “giustizia riparativaâ€, un percorso giudiziario usato prevalentemente per i reati commessi dai minori e che punta a “riparare†più che punire.   

L’incontro di ieri è stato interlocutorio. Viola e Siciliano hanno ascoltato le richieste e le proposte di Mandarano, rimandando a prossimi incontri gli approfondimenti e gli sviluppi, se saranno trovate strade percorribili entro i confini stabiliti dai codici. Le soluzioni dovranno essere trovate “caso per casoâ€, con uno sforzo giuridico anche “creativoâ€, perché l’applicazione dell’istituto della giustizia riparativa in procedimenti come quelli aperti a Milano, dove sono coinvolti dirigenti comunali, progettisti e costruttori, sarebbe “un unicum†a livello nazionale.

La strada percorribile potrebbe essere quella dell’ammissione delle illegittimità commesse dal Comune e dagli operatori, con la disponibilità a versare, da parte dei costruttori, gli oneri finora non versati. Questo non bloccherebbe i procedimenti giudiziari, che devono andare comunque avanti, ma potrebbero trovare una soluzione con la concessione da parte dei giudici di attenuanti per aver già “riparato†i danni provocati alle casse comunali e ai cittadini (per esempio, per averli privati di servizi, “aree a standardâ€, verde, parcheggi, scuole. Ma anche per aver tolto aria, vista e luce agli abitanti che si sono visti crescere nel loro cortile un grattacielo tirato su con una autocertificazione, la prodigiosa Scia).

La speranza del Comune è di poter convincere i pm a chiedere al giudice l’archiviazione per “particolare tenuità del fattoâ€: l’illecito c’è stato, ma potrebbe non essere perseguito perché i danni sono stati “riparatiâ€. Strada difficile da percorrere. Perché è necessaria l’ammissione degli illeciti. Perché alcuni dei reati contestati non sono “riparabiliâ€: la corruzione, la concussione, il traffico d’influenze illecite. E perché i costruttori finora sostengono di aver fatto (e versato) quello che i dirigenti di Palazzo Marino avevano detto loro di fare (e versare). Il seguito alle prossime puntate.

Data articolo: Thu, 10 Apr 2025 10:52:54 +0000

Salva-Milano

Arriva la Salva-Milano/2: la “riforma†della Corte dei conti

A Roma stanno confezionando la Salva-Milano/2. Ormai tramontata la Salva-Milano/1, ossia il super-condono edilizio che avrebbe raso al suolo le inchieste sull’urbanistica della Procura di Milano, ecco che il Parlamento si è messo al lavoro per varare una riforma che salvi gli amministratori dal rischio di essere chiamati dalla Corte dei conti a risarcire i danni erariali provocati dai loro atti.

Nella disattenzione generale, le commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera hanno approvato una riforma che stravolge e limita i poteri della Corte dei conti, riducendo i tempi per il controllo preventivo sugli atti, che viene così quasi vanificato; varando un salvacondotto totale per gli amministratori che hanno prodotto danni erariali, ma che saranno salvati in nome del principio di presunzione della loro “buona fedeâ€, dunque non dovranno più risarcire i danni erariali provocati; e aggiungendo generosamente uno sconto del 70%, anche retroattivo, a chi dovesse essere comunque condannato per danno erariale.

È una “riforma†che ha già fatto scattare le proteste dell’Associazione magistrati della Corte dei conti (Amcc). Ancora nessuno ha però denunciato che sembra fatta su misura per salvare gli amministratori del Comune di Milano. Sono sotto inchiesta della Procura di Milano per falso, abuso edilizio e lottizzazione abusiva. I fascicoli aperti sono una ventina e contestano ai dirigenti comunali di aver rilasciato a progettisti e costruttori titoli edificatori fuori legge, permettendo di costruire con la Scia (un’autocertificazione) edifici che invece hanno bisogno per legge di un piano attuativo, oppure considerando “ristrutturazione†la costruzione di nuovi grattacieli, dopo l’abbattimento di piccoli edifici preesistenti.

Queste modalità del “Rito ambrosiano†in uso da anni a Milano hanno già attirato l’attenzione anche della Corte dei conti, che sta verificando i possibili danni erariali, cioè i buchi nelle casse del Comune provocati dagli atti amministrativi. La  Procura lombarda della Corte ha da tempo chiesto al Comune i documenti che riguardano gli edifici sotto indagine e nell’ottobre 2024 ha mandato a Palazzo Marino la prima contestazione, per la prima operazione analizzata: i grattacieli Park Towers di via Crescenzago, costruiti come “ristrutturazione†di un edificio di un piano al bordo del parco Lambro di Milano.

La prima verifica quantifica in 321 mila euro il danno “per colpa grave†arrecato alle casse comunali. Alla società Bluestone di Andrea Bezziccheri gli uffici del Comune hanno chiesto 1,8 milioni per oneri d’urbanizzazione e costi di costruzione, invece dei 2,1 milioni dovuti: perché hanno considerato le due torri di 17 e 24 piani, nuove di zecca, come la “ristrutturazione†di un vecchio fabbricato di un piano, autorizzata con una semplice Scia, invece che con “un piano particolareggiato esecutivo o un piano di lottizzazione esteso all’intera zonaâ€.

I 321 mila euro contestati per una sola operazione potrebbero diventare una cifra imponente se moltiplicati per i 150 cantieri dalle caratteristiche simili – come dichiarato dal sindaco – esistenti in città. Se poi a questi mancati introiti si aggiungono anche quelli, ben più consistenti, delle mancate monetizzazioni degli standard, il buco è destinato a diventare voragine. Secondo i consulenti tecnici dei pm, infatti, per le monetizzazioni delle Park Towers il Comune ha incassato solo 1,5 milioni invece dei 6 dovuti, facendo perdere alle casse pubbliche, in una sola operazione, ben 4,5 milioni.

La Salva-Milano/2, quella contabile, diventa dunque perfino più preziosa della Salva-Milano/1, quella penale, perché i soldi potrebbero davvero essere chiesti agli amministratori milanesi alla fine dei procedimenti giudiziari, mentre è praticamente escluso che gli indagati possano finire in carcere.

La proposta di riforma della Corte dei conti è firmata da Tommaso Foti, già capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera e ora ministro per gli affari europei del governo Meloni. Era firmata da Foti anche la Salva-Milano/1, cioè la “legge d’interpretazione autentica†sull’urbanistica voluta dal sindaco Giuseppe Sala, presentata dai quattro partiti della maggioranza, approvata alla Camera con i voti anche del Pd, ma poi bloccata al Senato.

Data articolo: Thu, 10 Apr 2025 10:46:06 +0000

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