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News da giannibarbacetto.it

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#Gianni #Barbacetto

Forum Mondiale dell’Acqua

Emilio Molinari, dalle lotte operaie del Novecento ai nuovi movimenti

Emilio Molinari se n’è andato a 85 anni, dopo aver attraversato da dirigente politico la grande storia del Novecento, ma anche i movimenti del nuovo millennio. È stato fino all’ultimo troppo appassionato del mondo per starsene fermo e zitto a casa. Ancora il 18 maggio scorso aveva voluto essere presente a un incontro in cui si discuteva del Modello Milano, delle speculazioni immobiliari, delle disuguaglianze crescenti, dell’espulsione dalla città a causa dei costi dell’abitare.

Per lui la politica era passione sociale e civile, non carriera. Fu consigliere comunale a Milano, regionale in Lombardia, poi parlamentare europeo e senatore della Repubblica. Dirigente di Avanguardia operaia e di Democrazia proletaria, in seguito dei Verdi arcobaleno e della Federazione dei Verdi.

Figlio di operai milanesi, era entrato giovanissimo alla Borletti (“Punti perfettiâ€: fabbricava macchine per cucire e pezzi di armamenti) assunto perché vi aveva lavorato la madre. “Eravamo poco più che bambini, ci chiamavano i Pieriniâ€, aveva ricordato in un’intervista. “La mia prima paga era settimanale, ci si metteva tutti in fila davanti a un’impiegata che aveva davanti a sé la cassetta: a 14 anni presi 3.500 lireâ€.

Diventa operaio specializzato. “Verso i 17 anni iniziai a frequentare le scuole serali. Uscivo di casa alle 7 e mezza del mattino, facevo l’orario pieno in fabbrica, sabato compreso, e poi alle 17 andavo direttamente a scuola imbottito di panini che mi preparava mia madreâ€. Non sopportava il minestrone servito nella gigantesca mensa della Borletti, dove trovava apparecchiate e già riempite 3 mila scodelle di metallo. “Rientravo a casa poco prima di mezzanotte e lì mi aspettava uno zabaione fatto sempre da mia mammaâ€.

A 22 anni è perito industriale. “Sono passato a essere un tecnico, un impiegato. Disegnavo, progettavo. Ero passato dall’altra parte del vetro, non ero più un operaio, ma ero restato uno di loro, cresciuto fin da bambino in mezzo a loroâ€. Negli anni Sessanta “scopre†la politica. 1963: i primi scioperi per il contratto dei metalmeccanici. 1966: Emilio sposa Tina, inseparabile. 1968: le lotte operaie e studentesche esplodono. “Riunioni su riunioni. Lotte, scioperi. Ricordo il primo volantino, lo facemmo distribuire agli studenti, ma nacque dopo lunghe analisi e discussioni tra i lavoratori. Descrivevamo la nostra vita, i dettagli dei soprusi, della violenza dei ritmi che ci imponevano, del cottimo, dei capireparto, dei marca-tempoâ€. Così nascono i Cub, i comitati unitari di base.

Esaurita quella fase, chiuse le grandi fabbriche milanesi, l’ambientalismo diventa il suo nuovo terreno di impegno. Emilio Molinari diventa il leader italiano del movimento mondiale per l’acqua pubblica, che in Italia vince il referendum del 2011. Presidente del Comitato per un Contratto mondiale sull’Acqua, vicepresidente dell’Associazione “Laudato si’â€, fondatore dell’associazione CostituzioneBeniComuni.

Nel 2024 scrive a papa Francesco: “Sono un non credente, sono un ex senatore della Repubblica italiana disincantato e deluso dalla sinistra, sono indignato per le ingiustizie e la disumanità di questo mondo e non me la sento di rivolgermi a Lei chiamandola Sua Santità. Ma le Sue parole nell’Enciclica Laudato si’ e il riferimento all’acqua che non può essere oggetto di mercato sono diventate una guida per me e per le associazioni in cui mi impegno… Mi rivolgo dunque a Lei, Papa Francesco, perché è la sola autorità che può cacciare i mercanti dal tempio e chiedere a tanti parroci sparsi in tutto il mondo: tuonate dai vostri pulpiti, tuonate che l’acqua non può essere quotata in Borsa, perché l’acqua è la vitaâ€. Al termine della sua vita, Emilio è stato salutato a pugno chiuso, alla Camera del lavoro di Milano, al canto dell’Internazionale.

Data articolo: Fri, 11 Jul 2025 17:48:18 +0000

Trattativa Stato-mafia

Borsellino, la borsa esposta alla Camera diventa monumento ai depistaggi italiani

La borsa di Paolo Borsellino, accartocciata dall’esplosione in cui il magistrato fu ucciso insieme alla sua scorta, è stata esposta solennemente in una teca alla Camera dei deputati. È un omaggio dello Stato che però, a saper guardare, si trasforma nel suo contrario: un impietoso atto d’accusa allo Stato, l’esposizione di un trofeo dell’antistato.

Quello che c’è e si vede – la borsa – rimanda a quello che non c’è e non si può vedere – l’agenda rossa – che è stata sottratta da quella borsa da uomini dello Stato e ancora oggi, 33 anni dopo, è tenuta nascosta con i suoi segreti. Quella presenza dentro la teca evoca un’assenza. Il contenente richiama inesorabilmente il contenuto, scomparso, diventando una silenziosa ma eloquente requisitoria.

Le reliquie dei santi sono esibite dalla Chiesa cattolica come il segno di una presenza oltre la morte, di una vittoria della collettività che è restata viva e attiva dopo il martirio. La reliquia civile della borsa trovata in via D’Amelio è invece segno di un vuoto, di una sconfitta, di una beffa alla verità. Quella teca di cristallo è il monumento al più colossale depistaggio della storia repubblicana, con cui è stata costruita una falsa pista, esibito un falso colpevole, dichiarato un movente rassicurante (solo mafia, o tutt’al più solo mafia e appalti). Attorno, volteggiano poliziotti, ufficiali dei carabinieri, agenti segreti, magistrati più fedeli a obbedienze massoniche che alla Costituzione.

I monumenti si innalzano quando si vuole chiudere una stagione, ritenere terminata una fase, dichiarare vinta una lotta per la legalità e la verità. Sulle stragi del 1992-93 non c’è niente di chiuso, nulla di terminato: la verità è una borsa vuota, esibita lì in Parlamento come una rassicurazione, mentre è un monumento al depistaggio, eterno ingrediente della storia italiana fatta di bombe e doppi giuramenti, di eserciti segreti e logge riservate, di “deviazioni†che sono il comodo scudo per apparati che semplicemente perseguono con terribile efficacia il loro scopo d’istituto, dimenticando la Costituzione.

La trattativa tra lo Stato e la mafia, l’utilizzo delle mafie da parte dello Stato, l’intreccio tra boss, neofascisti e logge restano capitoli di un libro da bruciare, da nascondere, da dimenticare come l’agenda rossa di Paolo Borsellino, malgrado la condanna definitiva per la strage di Bologna di Paolo Bellini, neofascista, amico dei boss e pedina di apparati dello Stato, sia un’ulteriore scossa contro la Grande Rimozione in corso, contro il tranquillo revisionismo che si afferma su certi giornali e in certe commissioni parlamentari.

La presidente dell’Antimafia si fa ritrarre in foto con Luigi Ciavardini, in quanto detenuto che lavora per il reinserimento dei detenuti, ma anche terrorista nero condannato definitivo per la strage di Bologna (come Bellini, come Gilberto Cavallini, come Giusva Fioravanti, come Francesca Mambro). Guida la commissione parlamentare facendosi ispirare dal generale Mario Mori e mettendo in un angolo Roberto Scarpinato, che denuncia un vero e proprio “depistaggio istituzionaleâ€.

Il giorno dell’ostensione della borsa, Giorgia Meloni ha ripetuto che la nascita del suo impegno politico è coincisa con la morte di Borsellino. È bello che una passione politica – di destra o di sinistra non importa – sia innescata dall’ammirazione per un grande e intelligente combattente antimafia.

Speriamo che ora seguano i fatti, dentro il governo e dentro la commissione, altrimenti qualcuno potrebbe pensare che quell’ammirazione della giovane Giorgia non era per l’eroe dell’antimafia sopra le parti, ma per “uno dei nostriâ€, l’uomo che in gioventù era iscritto al Fuan, l’organizzazione universitaria del Msi, parte della “comunità politica†da cui Meloni si dice fiera di provenire. Se fosse così, vorrebbe dire che la memoria di Borsellino, mai uomo di parte, non è onorata, ma sequestrata.

Data articolo: Thu, 10 Jul 2025 16:17:27 +0000

Strage di Bologna

Bologna, la Cassazione chiude il cerchio: Bellini e la strage nera

di Gianni Barbacetto e Sarah Buono /

Un altro chiodo è stato piantato dalla Corte di cassazione nel muro slabbrato della stazione di Bologna che racconta la storia della strage del 2 agosto 1980. È quello della sentenza che rende definitiva la condanna all’ergastolo di Paolo Bellini, terrorista neofascista (e poi collaboratore di apparati dello Stato a ridosso delle stragi di mafia del 1992-93). Si aggiunge e si allinea alle condanne già definitive di altri terroristi neri: Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Gilberto Cavallini.

La strage è neofascista. I supremi giudici hanno accolto l’impianto accusatorio della Procura generale di Bologna secondo cui “è pienamente provato l’apporto concorsuale†di Cavallini e Bellini nella più sanguinosa delle stragi italiane, 85 morti e oltre 200 feriti. Una strage politica, voluta dalla P2 e dai servizi segreti collegati alla loggia di Licio Gelli, che pagò non solo i Nar, ma anche altri gruppi di estrema destra dell’epoca, come pure il militante di Avanguardia nazionale Paolo Bellini.

È lui – si leggeva nelle oltre 400 pagine della sentenza d’appello ora confermata – il responsabile di aver “trasportato, consegnato e collocato parte dell’esplosivo†che sventrò la stazione bolognese. Smentite le affermazioni di Bellini che nega di aver mai conosciuto Cavallini. Già un telex del Sisde (il servizio segreto civile) nel 1983 riportava: “Sappiamo che Bellini era in contatto con Gilberto Cavallini, alias Antonioâ€.

La strage aveva alle spalle una attenta organizzazione: “L’efficacia devastante del piano criminale eseguito e gli immediati depistaggi seguiti evidenzianoâ€, si leggeva nelle motivazioni d’Appello, “come esso sia stato meticolosamente organizzato anche per consentire ai partecipi materiali di costruire degli alibi coerenti. Tale piano prevedeva la partecipazione di almeno due gruppi di individui istruiti per agire autonomamente fra loro sino al momento della collocazione della bomba alla stazioneâ€.

Sopra gli esecutori neri, c’erano i finanziatori e i registi. Per i giudici d’Assise si può “ritenere del tutto condivisibile e fondata l’esistenza di un collegamento tra Bellini sia con Licio Gelli che con Federico Umberto D’Amato (ex capo del servizio segreto civile) in quanto con entrambi senza ombra di dubbio Stefano Delle Chiaie (leader di Avanguardia nazionale) aveva stabili contatti direttiâ€. Di conseguenza appare condivisibile pensare che “sia Gelli che D’Amato, attraverso Delle Chiaie, abbiano potuto ottenere da Bellini la disponibilità, economicamente remunerata, di contribuire, unitamente a ulteriori soggetti, alla strage di Bologna. Circostanza questa che da sola spiega le ragioni dei reiterati e gravi depistaggiâ€.

Sentenza definitiva anche per l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, condannato a 6 anni per depistaggio, e per Domenico Catracchia, amministratore di condomini in via Gradoli a Roma, condannato a 4 anni per false informazioni al pm: sugli appartamenti dei servizi segreti – vertigine italiana – affittati nel tempo a terroristi neri e a brigatisti rossi.

Data articolo: Wed, 02 Jul 2025 14:03:38 +0000

Milano

Il Comune vende le case, gli inquilini restano senza tetto

Il Comune di Milano l’ha pubblicizzata come una grande operazione con cui si riappropriava di edifici e abitazioni, da usare per fini sociali. I primi effetti reali? Famiglie e anziani espulsi dalle loro case nel quartiere di Quarto Oggiaro. L’operazione annunciata consiste nel liquidare due fondi immobiliari, Comune di Milano 1 e Comune di Milano 2, costituiti dalla giunta di Letizia Moratti, a cui nel 2008 e nel 2010 erano stati conferiti edifici di proprietà del Comune.

L’annuncio: “Riacquisiamo il patrimonio immobiliare, per un valore di 50 milioni, per sostenere i progetti del Piano Casa per dare un’abitazione a chi non se la può permettere a prezzi di mercatoâ€. La realtà: alcune famiglie e alcuni inquilini anziani sono a rischio di perdere l’appartamento dove abitano da anni, nelle torri di via De Roberto a Quarto Oggiaro, alla periferia nord-ovest di Milano.

Il fondo Comune di Milano 1, gestito dalla banca Bnp Paribas e controllato interamente dal Comune, negli anni scorsi ha proposto agli inquilini di comprare il loro appartamento. Alcuni hanno comprato, altri non avevano le risorse economiche per farlo, dunque sono rimasti pagando l’affitto, in edifici lasciati senza manutenzione e abbandonati al loro destino. Alcuni degli appartamenti non comprati dagli affittuari sono stati venduti ad altri.

Già nel 2023, il sindacato inquilini Sicet aveva mandato una lettera al Comune lamentando il fatto che alcuni abitanti delle torri si erano visti comparire alla porta il nuovo proprietario che pretendeva di entrare nel suo alloggio. L’assessore Emmanuel Conte aveva risposto al Sicet che non c’entrava nulla con questi problemi: poiché “la proprietà del bene non è più in capo al Comune di Milano, ma al Fondo Comune di Milano 1â€.

In questi giorni sono avvenute le ultime vendite, di appartamenti abitati dagli inquilini più deboli, famiglie o anziani già assistiti dalla vicina parrocchia di Santa Lucia. Questi rischiano, alla scadenza del contratto, di perdere la casa. Altri inquilini sono rimasti invece vittime di una sorte beffarda: dopo aver accettato di acquistare l’appartamento e aver versato la caparra, hanno avuto per il rogito tempi così stretti da non riuscire a far concludere alla banca a cui si erano rivolti la procedura per ottenere il mutuo. Così ora rischiano non solo di perdere la casa, ma anche la caparra già pagata. Intanto il Comune continua a vantare le virtù del suo Piano Casa.

Data articolo: Wed, 02 Jul 2025 13:56:32 +0000

Sismi

Italia, la Repubblica fondata sui dossier. Dal Sifar a Potere al popolo

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul dossieraggio. Lo ripetono i vecchi volponi cinici della politica e dell’intelligence, che si palleggiano con noncuranza la citazione di Norberto Bobbio: “Il potere è di per sé segreto. Il controllo degli altri senza essere controllati è sempre stato un fine più che un mezzo del potereâ€. L’ultima storia d’ombra è quella dei giovani poliziotti che tenevano sotto controllo gli studenti di Cambiare Rotta e i militanti di Potere al popolo.

Ancora in corso le indagini sul software spia Graphite, fornito all’Italia dalla società Paragon e utilizzato per spiare decine di persone, tra cui l’attivista della ong Mediterranea, Luca Casarini, il direttore della testata Fanpage, Francesco Cancellato, e il fondatore di Dagospia, Roberto D’Agostino.

Nella Prima Repubblica, lo spionaggio illegale era una consuetudine degli apparati riservati dello Stato, che avevano ereditato il know-how dell’Ovra, la polizia segreta del fascismo. La madre di tutti i dossieraggi è quella svolta dal generale Giovanni De Lorenzo, direttore del Sifar (il servizio segreto militare) dal 1955 al 1962. In quegli anni, l’agenzia produsse qualcosa come 157 mila fascicoli su cittadini italiani, parlamentari, sindacalisti, dirigenti di partito, industriali, intellettuali, vescovi, preti. Altri 40 mila fascicoli erano ordinati non per nome, ma per argomento. La commissione d’inchiesta appositamente costituita nel 1968 decretò che almeno 34 mila di quei fascicoli dovevano essere considerati del tutto illegali.

Prima di allora, nel 1953, restò vittima dei dossieraggi l’astro nascente della Dc, Attilio Piccioni, che ebbe la carriera politica stroncata dallo scandalo Montesi, quello della ragazza trovata morta in una spiaggia dopo un festino molto allegro a cui aveva partecipato suo figlio. I dossier non erano solo degli apparati ufficiali dello Stato, ma anche di organizzazioni parallele come quelle messe in piedi da personaggi come Luigi Cavallo, Lando Dell’Amico, Mino Pecorelli e soprattutto Licio Gelli, con la sua loggia P2.

Disseminato di dossier anche il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, come l’archivio segreto di Bettino Craxi trovato in via Boezio a Roma; il “dossier Achille†contro il magistrato di Mani pulite Antonio Di Pietro; l’archivio segreto del generale Demetrio Cogliandro, zeppo d’informazioni raccolte tra il 1984 e il 1991.

Poteva mai una così consolidata tradizione italiana non passare anche alla Seconda Repubblica? Ed ecco infatti che nel 2006, quando i magistrati milanesi Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, indagando sul sequestro dell’imam Abu Omar rapito nel 2003 a Milano da uomini della Cia, fanno perquisire un ufficio dei servizi segreti in via Nazionale a Roma, scoprono una mole di dossier illegali accumulati su magistrati, politici, intellettuali, giornalisti (in quei faldoni c’erano anche i nomi di chi oggi dirige il Fatto e di chi firma questo articolo).

L’ufficio di via Nazionale era il regno di Pio Pompa, detto “shadowâ€, l’ombra di Nicolò Pollari, allora direttore del Sismi. Pompa si era dato l’incarico di catalogare gli oppositori dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Con l’obiettivo di “disarticolareâ€, anche con “azioni traumatiche†(notate il linguaggio Br), i “nemici†del capo del governo. Più concretamente, teneva contatti assidui con una sua rete di giornalisti, tra cui Luca Fazzo, Claudia Fusani, Stefano Cingolani, Oscar Giannino. E Renato Farina, l’“agente Betulla†remunerato con almeno 30 mila euro per le informazioni che passava a Pompa.

“Shadow†riceveva ma anche dava notizie, soffiava informazioni, diffondeva dossier (a volte farlocchi, come quello del Nigergate, sull’uranio che il Niger avrebbe passato a Saddam Hussein per fabbricare in Iraq le sue “armi di distruzione di massaâ€: un grande classico della guerra psicologica). Marco Mancini, braccio operativo di Pollari, era grande amico di un ex collega, Giuliano Tavaroli, che da ex carabiniere era diventato capo della sicurezza di Telecom-Pirelli, dove aveva messo in piedi un ottimo servizio informativo, con relazioni riservate e dossier, a disposizione dell’azienda e dei suoi capi, in un fruttuoso scambio – almeno secondo i magistrati – con il Sismi dell’amico Mancini.

Così va il mondo, ripetono i cinici, che guardano con sufficienza anche i più recenti dossier fabbricati da Equalize, l’agenzia milanese privata, concorrente del gruppo romano chiamato “squadra Fioreâ€, che offriva servizi molto riservati a chi poteva pagarli bene, comprese multinazionali come Heineken ed Eni. Citano Bobbio: “Gli arcana imperii hanno fatto la storia, anche la nostra unità, da Cavour a oggiâ€.

Data articolo: Wed, 02 Jul 2025 13:47:39 +0000

Piano Casa

Milano, il mirabolante Piano Casa: aree e soldi ai privati

È stato annunciato come il Grande Piano che cambierà Milano e risolverà il problema dell’abitare, un evento tipo l’Azione Parallela raccontata da Musil nell’Uomo senza qualità. I giornali hanno squillato le loro trombe, in giunta e nel consiglio comunale si sono versate lacrime per la prematura dipartita dell’estensore di tale mirabolante progetto, quel Guido Bardelli (già avvocato amministrativista dei grandi operatori immobiliari e presidente della ciellina Compagnia delle Opere) che ha dovuto disgraziatamente lasciare l’assessorato alla casa (a cui lo aveva chiamato Giuseppe Sala) dopo che erano diventate pubbliche le intercettazioni in cui discuteva come far cadere la giunta di Giuseppe Sala.

Allora, com’è ’sto fantastico “Piano straordinario per la casa accessibile†pensato per rispondere all’emergenza-affitti in città, che ora dovrà essere realizzato dall’assessore al bilancio Emmanuel Conte? In estrema sintesi: aree pubbliche e risorse collettive regalate ai costruttori privati perché facciano un po’ di case a prezzi un po’ calmierati. In cambio di regali (pubblici) ancora non quantificati.

È la solita solfa che ci propinano da anni: niente nuove case popolari, si continua anzi a svendere il patrimonio pubblico; e invece di mettere risorse per risanare e accrescere un patrimonio abitativo pubblico che sia destinato a restare pubblico, si regalano risorse ai privati nella speranza che qualcosina sgoccioli ai meno abbienti. Del resto, il Comune di Milano non ha soldi: ne ha persi molti (almeno 2 miliardi) rinunciando per anni a far rispettare le leggi agli operatori immobiliari e lasciando costruire grattacieli come fossero “ristrutturazioni†e con una semplice Scia (una autocertificazione). 

Eccolo, dunque, il “Piano straordinario per la casa accessibileâ€: il Comune mette a disposizione gratis otto aree pubbliche, proponendo ai privati di costruire in dieci anni 10 mila case da affittare a 80 euro al metro quadro. Chi vivrà vedrà. Inventata una nuova sigla: le nuove case si chiameranno Edilizia Residenziale Sociale Calmierata (Ersc) e saranno rivolte a nuclei famigliari con redditi tra 1.500 e 2.500 euro al mese.

Al bando hanno risposto 24 operatori. Questi ora apriranno una trattativa privata con il Comune e negozieranno progetti, risorse, benefici, sconti, contraccambi, agevolazioni. “Nessun vincolo, nessuna certezza che domani sarà realizzato quanto stabilito oggiâ€, osserva Veronica Puija del Sicet inquilini. Nel Piano c’è anche un lotto di 500 alloggi popolari già esistenti che potrebbero essere recuperati con costi variabili da 5 mila a 10 mila euro l’uno. Ma se il Comune non troverà i soldi, ecco partire la solita miracolosa partnership pubblico-privato, cioè gli alloggi verranno assegnati a soggetti privati, che si faranno carico delle ristrutturazioni e poi potranno utilizzare il patrimonio come edilizia residenziale sociale.

Per 782 alloggi (di cui 188 sfitti) di proprietà del Comune di Milano ma fuori dai confini comunali, “il progettoâ€, spiega Puija, “è di stipulare accordi per la definizione di diverse forme di gestione o per la cessione degli stabili, non escludendo anche la venditaâ€. Ci sono poi 767 alloggi di edilizia residenziale pubblica in pieno centro di Milano o in zone di pregio (via Jacopino da Tradate, viale Lombardia, Villaggio dei Fiori): indovinate la strategia? Cedere gli stabili ai privati, che si faranno carico delle ristrutturazioni; le case di pregio saranno invece affittate a prezzi di mercato, o vendute per fare cassa.

In un piano così “straordinarioâ€, neanche un cenno alle 109 mila abitazioni che a Milano sono vuote. Niente sugli affitti brevi che drogano il mercato. Niente sulle 13.400 domande di case popolari (dati 2023), soddisfatte con l’assegnazione di soli 387 alloggi. La risposta di Sicet, Unione inquilini e altri 35 gruppi e comitati: manifestazione contro il caro affitti e la speculazione immobiliare, giovedì 3 luglio.

Data articolo: Fri, 27 Jun 2025 16:25:27 +0000

Strage di Ustica

Ustica, 45 anni dopo: indagini archiviate, ma certa la battaglia aerea

Sono passati 45 anni dalla strage di Ustica (27 giugno 1980) e la Procura della Repubblica di Roma ha depositato una richiesta di archiviazione delle indagini che sembra mettere una pietra sopra la ricerca della verità. Il giudice deciderà se accoglierla il prossimo 26 novembre. Intanto esultano i negazionisti della battaglia aerea e la lobby della bomba a bordo. “Ma non dobbiamo farci prendere dal sentimento della sconfittaâ€, dichiara Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione famigliari delle vittime.

“È chiaro che una archiviazione rappresenta un passaggio negativo, quasi un segno di resa da parte dei magistratiâ€. Dopo che perfino il presidente Francesco Cossiga aveva raccontato che il Dc-9 Itavia con 81 persone a bordo poteva essere stato colpito nel corso di una battaglia aerea nei cieli di Ustica, con la presenza di velivoli militari francesi che avevano l’obiettivo di abbattere un aereo con a bordo il leader libico Gheddafi. “Nella richiesta di archiviazioneâ€, osserva Bonfietti, “abbiamo la completa conferma della ricostruzione che ci aveva dato il giudice Priore nella sua sentenza ordinanza del 1999: ‘Il Dc-9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea’â€.

Sono 450 le pagine depositate, frutto delle nuove indagini, con le nuove testimonianze acquisite, i nuovi riscontri, le nuove intercettazioni. È stata individuata una portaerei francese, la Foch, nel mar Tirreno, la sera del 27 giugno 1980. È stato provato che era in corso una “esercitazione†in cielo con la partecipazione di aerei francesi e americani. È stata segnalata attività militare nella base dell’Aeronautica italiana a Grazzanise.

I francesi continuano a negare tutto: niente portaerei di Parigi in mare, niente voli dalla base di Solenzara, in Corsica. Continuano i silenzi anche dell’Aeronautica militare italiana, che ha sempre smentito quello che hanno visto gli avieri in servizio quella notte nei centri radar, e cioè la presenza di aerei militari attorno al Dc-9 civile in volo da Bologna a Palermo. Per i nostri generali, il cielo, quella notte, era completamente vuoto. A pagare sono stati solamente i proprietari dell’Itavia, costretta al fallimento dopo che il governo italiano ha tolto alla compagnia aerea la concessione al volo, già nel dicembre 1980.

Ora i magistrati della Procura chiedono l’archiviazione, ma ribadendo che “il Dc-9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerraâ€. Ma non possono chiedere un processo a causa dei silenzi, dei depistaggi, delle menzogne dei militari italiani e degli Stati amici e alleati, Francia e Stati Uniti innanzitutto. Il giudice Priore ha dedicato largo spazio ai depistaggi, con un intero capitolo della sua sentenza ordinanza intitolato: “La distruzione delle proveâ€.

“Allora questo è proprio il senso profondo di questo quarantacinquesimo anniversarioâ€, rilancia Daria Bonfietti, “cercare di passare dalla consapevolezza della verità conquistata, alla pretesa di collaborazione internazionale, per scrivere definitivamente questa ultima pagina della storia del nostro Paese. Il diritto alla verità deve diventare una battaglia di tutti noiâ€.

La presidente dei famigliari di Ustica aggiunge un accenno al lavoro della commissione che su impulso dei governi Renzi e Draghi ha il compito di controllare il versamento dei documenti finora segreti all’Archivio centrale dello Stato: “Possibile che non si trovi l’archivio dell’ammiraglio Fulvio Martini, capo del servizio segreto militare? In quali archivi sono conservate le attività, le ricerche, le conoscenze di un capo del servizio?â€. Nelle carte rese finora pubbliche dalla Direttiva Renzi-Draghi non c’è traccia di questa documentazione, non c’è traccia dell’archivio di Martini. “Ustica non si deve archiviareâ€, conclude Bonfietti, “bisogna finalmente scrivere tutta la veritàâ€.

Leggi anche:
https://www.giannibarbacetto.it/2023/09/03/strage-di-ustica-la-scia-di-morti-sospette


Data articolo: Fri, 27 Jun 2025 12:57:11 +0000

Milano

Sala: Basta primarie a Milano, sono io il kingmaker

Kingmaker: il sindaco di Milano vuole avere un ruolo preminente nell’indicare il suo successore. Aveva indicato se stesso: ma era un momento di rabbia e di rottura con Elly Schlein, quello in cui aveva tirato in ballo un suo possibile terzo mandato, come un De Luca qualsiasi. Ora più realisticamente vuole avere peso nella scelta. Interviene sul metodo e sul merito. Vuole esprimere le sue idee su nomi e programmi. E innanzitutto dire che il candidato sindaco del centrosinistra non deve essere scelto con le primarie.

In un mondo normale, Giuseppe Sala non solo non potrebbe pontificare sul suo successore, ma dovrebbe stare zitto ammettendo la sua sconfitta politica. Un pezzo crescente di città contesta le sue scelte e critica la sua amministrazione. Ha gettato nel caos il business numero uno della città – l’immobiliare – permettendo per un decennio di costruire fuori legge, esponendo i dirigenti comunali a una catena di inchieste e processi per reati urbanistico-edilizi, per torri costruite nei cortili e “ristrutturazioni†che sono invece grattacieli nuovi di zecca.

Non si è accorto che sotto il suo naso la Commissione paesaggio elargiva permessi in conflitto d’interessi e con qualche accusa anche di corruzione. Ha regalato agli operatori immobiliari circa 2 miliardi di euro, in sconti su oneri d’urbanizzazione e monetizzazioni degli standard. Ha rinunciato ai servizi per i cittadini previsti dalle leggi urbanistiche, preferendo il suo Rito Ambrosiano che attira operatori e fondi internazionali, ma lascia la città più cara, più inquinata, con più cemento e più disuguaglianze.

Il suo Sistema Milano, basato sulla supremazia della rendita immobiliare, ha espulso dalla città 400 mila milanesi che non hanno più retto i costi dell’abitare. Sotto la sua amministrazione hanno chiuso le piscine comunali, le case popolari hanno continuato a degradarsi, le periferie a impoverirsi, le attese alle fermate dei tram ad allungarsi. Lo stadio di San Siro è diventato per Sala un Vietnam in cui, dopo cinque anni di mercato dei tappeti, il Meazza potrebbe essere infine svenduto per essere abbattuto e sostituito da una mega-operazione immobiliare con grattacielo a uffici e super-centro commerciale.

In realtà, per constatare il fallimento politico del sindaco basterebbe considerare la storia della Salva-Milano, sanatoria trasformata da Sala in “legge d’interpretazione autentica†per azzerare le inchieste e i processi su Grattacielo selvaggio e poi ingloriosamente ritirata dopo aver constato che non avrebbe salvato Milano, ma avrebbe dannato l’Italia con un diluvio di cemento.

Ma niente. Lui resta sulla scena e pretende di dare le carte per il prossimo poker. Niente primarie, dunque, per le comunali del 2027. “Se il prossimo candidato sindaco viene scelto con le primarie, rischiano di essere primarie del Pd. Perché uno di Avs o un centrista dovrebbe correre per le primarie? Perderebbeâ€. Le primarie di coalizione sarebbero una sceneggiata in cui prevarrebbe comunque un candidato del Pd, sostiene Sala, dunque decida il partito senza ipocrisie: magari un nome che piaccia ai “centristiâ€, un clone di Sala.

Nello sciorinare questa teoria (contraddetta dai fatti: nel 2010 alle primarie vinse Giuliano Pisapia contro le indicazioni del Pd), Sala fa una bella ammissione: lui le primarie le avrebbe perse, nel 2016 contro Francesca Balzani, la candidata di Pisapia, se non si fosse messo in mezzo Pierfrancesco Majorino (togliendo voti a Balzani e facendo vincere Sala).

Le esternazioni più gustose comunque restano quelle sulle inchieste giudiziarie. “Dire che ha ragione la Procura non lo dicoâ€: non sia mai! Meglio dire che è giusto violare la legge e continuare a commettere reati. “Ma ci siamo adeguati. Non abbiamo detto alla Procura che ha ragione, ma siccome è tutto fermo mi adattoâ€: non capisco ma mi adeguo. Proprio un bell’esempio di rispetto istituzionale e di cultura della legalità.

Data articolo: Wed, 25 Jun 2025 10:28:36 +0000

Sismi

Addio Pazienza, la superspia delle “deviazioni†decise dalle istituzioni

“Sapeva quasi tutto di tutti, e quello che non sapeva, tutti pensavano che lo sapesse. Per questo poté vivere come uno che non sapeva niente di nienteâ€. Questo è l’epitaffio che Francesco Pazienza voleva scrivere sulla tomba del suo grande amico “Umbertinoâ€, Federico Umberto d’Amato, gran burattinaio dell’Ufficio affari riservati, “Zafferanoâ€, la più luciferina delle spie italiane.

Potrebbe essere anche il suo epitaffio, ora che è morto, a 79 anni, dopo l’ultima fase della sua vita vissuta in una villetta alta sul mare di Lerici, piena di mobili antichi e di tappeti. Francesco Pazienza vi si era riparato dopo una dozzina d’anni di carcere, condannato per aver depistato, insieme ad alti papaveri dei servizi segreti, le indagini sulla strage di Bologna.

Per lui fu inventata la definizione di “faccendiereâ€, ma era soprattutto un uomo d’intelligence e di operazioni coperte, che riuscì, all’ombra di Giuseppe “Bourbon†Santovito, a controllare il Sismi, il servizio segreto militare italiano.

Rivendicava con orgoglio di avere inventato il Supersismi, deviazione istituzionale dell’intelligence italiana, ma giurava che era composto solo da lui (“Io ero generale, colonnello, maresciallo, truppa e mulo con bastoâ€). Rivendicava le operazioni dei Supersismi, cioè di Francesco Pazienza: le trattative con la Camorra per la liberazione del democristiano Ciro Cirillo dalle Br; il “Billy Gate†contro Jimmy Carter; l’operazione Solidarnosc (soldi dell’Ambrosiano, attraverso papa Wojtyla, al sindacato polacco); l’organizzazione dell’incontro tra Giovanni Paolo II e il leader palestinese Yasser Arafat.

Ha sempre negato (a ragione) di essere iscritto alla P2 (per Licio Gelli aveva solo parole di scherno e disprezzo). Ma negava anche il depistaggio sulla strage. Smentito da una condanna definitiva a 10 anni, ricevuta in compagnia di Gelli e di due ineffabili ufficiali del Sismi. Tutta colpa – diceva – di Mario Mori, il carabiniere che ha surfato sui misteri d’Italia. A Pazienza piaceva il ruolo di guida nel labirinto degli specchi, dove non sai se ciò che vedi è riflesso, o finzione, o inganno, o realtà.

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Data articolo: Tue, 24 Jun 2025 13:55:14 +0000

Unicredit

La Procura indaga sul “concertoâ€, l’Europa sugli aiuti di Stato a Montepaschi

Mentre a Milano la Procura continua le indagini, con acquisizioni di documenti ma anche cominciando ad ascoltare a verbale alcuni manager delle banche, a Bruxelles è arrivato un ricorso che chiede all’Europa di valutare le operazioni finanziarie realizzate negli ultimi mesi in Italia con l’obiettivo di cambiare gli equilibri di Montepaschi, Mediobanca e Generali.

È stata Mediobanca a intervenire presso la Dg Comp, la direzione generale della Commissione europea che vigila sulla concorrenza. L’ipotesi formulata dall’istituto guidato da Alberto Nagel è che le operazioni del Mef, il ministero del Tesoro, su Montepaschi non escano dal perimetro dell’aiuto di Stato.

Lo scenario è quello dell’assalto a Mediobanca lanciato dal gruppo Caltagirone, in alleanza con Delfin (la finanziaria della famiglia Del Vecchio) e Bpm, con l’obiettivo di conquistare anche Generali, di cui Mediobanca è il primo azionista.

L’attacco è diventato palese il 24 gennaio 2025, quando Montepaschi – ormai controllata da Bpm-Caltagirone-Delfin – ha lanciato una offerta pubblica di scambio (Ops) su Mediobanca. Questa mossa era stata preparata da un’operazione del novembre 2024. Il Tesoro, per evitare l’accusa di violazione della concorrenza e di aiuti di Stato, doveva scendere entro il 31 dicembre 2024 sotto il 20% di Montepaschi “con procedure di mercatoâ€.

Lo ha fatto invece passando il controllo a quattro investitori “amiciâ€, con procedure che – secondo Mediobanca – non sono di mercato e che rivelano un “concerto†non dichiarato tra Caltagirone, Delfin e Bpm. Il Mef lancia un Abb (Accelerated Bookbuilding) per vendere un pacchetto del 7% delle azioni, che poi diventa addirittura del 15%.

Per realizzare l’operazione incarica non i consueti grossi istituti finanziari già coinvolti nelle prime due fasi dell’Abb, ma soltanto la piccola Banca Akros, che si accolla da sola tutto il rischio di un’operazione da 1,1 miliardi. E poi colloca quel 15% a soli quattro soggetti, Caltagirone, Delfin, Bpm e Anima, che in soli nove minuti consegnano offerte fotocopia, con un piccolo premio del 5% rispetto al prezzo di mercato. Una vendita in famiglia, visto che sia Akros sia Anima fanno parte del gruppo Bpm.

Resta a bocca asciutta Unicredit, che protesta per l’esclusione con un esposto a Consob. Protesta anche Mediobanca, secondo cui l’operazione è concordata dal governo con Akros, Bpm, Caltagirone e Delfin che acquisiscono di fatto il controllo di Montepaschi, con quel 15% a cui si somma l’11% ancora nelle mani del Tesoro, che s’impegna (con il comunicato numero 131) “a non vendere sul mercato ulteriori azioni Montepaschi per un periodo di 90 giorniâ€. Giusto il tempo per lanciare in piena sicurezza la Ops di Montepaschi su Mediobanca.

Non avviene neppure un reale cambio di governance: Luigi Lovaglio (indicato dal Mef) resta alla guida della banca di Siena ed entrano in Cda cinque nuovi consiglieri, tra cui Alessandro, figlio di Francesco Gaetano Caltagirone. Modalità – secondo Mediobanca – che non sciolgono affatto il nodo degli aiuti di Stato.

Ora sarà la Dg Comp a valutare le ipotesi di Mediobanca. E sarà la Procura di Milano ad analizzare le ipotesi di “concerto†tra Caltagirone, Delfin e Akros-Bpm denunciate da Mediobanca con un esposto travestito da denuncia per diffamazione nei confronti di un articolo di Osvaldo De Paolini sul Giornale.

Il procuratore Marcello Viola e l’aggiunto Roberto Pellicano stanno procedendo con grande cautela, per non interferire con azioni giudiziarie su delicate operazioni finanziarie. Del resto, di fronte a denunce circostanziate, benché ancora tutte da provare, hanno dovuto avviare indagini. Hanno tenuto a lungo coperta l’inchiesta, negando perfino di aver iscritto nomi nel registro degli indagati.

Ma qualche nome è stato iscritto: di banchieri e di società bancarie; e la Guardia di finanza sta svolgendo complesse attività d’indagine. Ha già chiesto e ottenuto documenti presso gli istituti coinvolti in questa vicenda, tra cui Banca Akros. La Procura sta anche raccogliendo le testimonianze di alcuni tra i protagonisti delle operazioni, a partire dai vertici di Unicredit, che avevano segnalato alla Consob di essere stati tagliati fuori da Akros dalla possibilità di acquisire azioni Montepaschi.

Un altro capitolo riguarda l’intervento delle casse di previdenza, Enpam, Enasarco e Cassa forense, che nelle ultime settimane avevano acquistato a prezzi non convenienti azioni Mediobanca fino al 6%, in vista dell’assemblea (poi rimandata al 25 settembre) in cui avrebbero votato contro l’acquisizione di Banca Generali da parte di Mediobanca: compiacendo il governo e la cordata Caltagirone, ma caricando di forti rischi le loro casse.

Data articolo: Thu, 19 Jun 2025 11:39:07 +0000

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