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News da giannibarbacetto.it

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Sistema Milano

Nuove regole per la nuova Commissione paesaggio. Ecco che cosa ci dimostra questa svolta

NUOVA COMMISSIONE PAESAGGIO A MILANO

Il Comune di Milano è tornato entro i confini della legge per quanto riguarda la Commissione paesaggio, il nodo più scandaloso e criminogeno del Sistema Milano:

1. Ha tolto i superpoteri alla Commissione, che decideva sui progetti edilizi (in palese e strutturale conflitto d’interessi) al posto degli uffici comunali. Ora tornerà alla legge: avrà parere consultivo nella «valutazione della coerenza dei progetti con i vincoli degli strumenti paesistico-ambientali vigenti anche in relazione al corretto inserimento paesaggistico». Bene.

2. Ha stabilito che i componenti della Commissione non devono avere alcun incarico professionale sul territorio di Milano durante i tre anni di mandato e per i 18 mesi successivi. Bene (ma da tenere sotto controllo gli eventuali incarichi fuori Milano).

3. Il “ritorno alla legge†è un segnale positivo.
Che però dimostra due fatti:

a. che fino a oggi il Comune era “fuori-leggeâ€.

b. che non era per niente difficile restare nei confini della legge: chi non l’ha fatto in tutti questi anni (sindaci, assessori…) ne è politicamente responsabile.

Gli 11 componenti della nuova Commissione sono: l’ingegnere Gianmarco Zuccherini e gli architetti Aldo Bello, Gabriele Silvano Munari, Marco Rizzoli, Maurizio Monti, Paola Bonzi, Giuseppe Glorioso, Gaia Piccarolo, Virna Mastrangelo, Maura Martina Brugnoni, Vincenza Nardone.

Data articolo: Sat, 22 Nov 2025 10:34:18 +0000

Sistema Milano

Niente sequestro del cantiere: la colpa è tutta del Comune

Non è una buona notizia per il Comune di Milano. Ieri un giudice ha deciso di dissequestrare un cantiere, ma con una motivazione bruciante per l’amministrazione del sindaco Giuseppe Sala. Il progetto era sì fuori legge, ma la colpa è tutta degli uffici comunali, che hanno “fuorviato il privatoâ€, cioè il costruttore e il progettista, i quali hanno agito “in buona fedeâ€.

È l’ultimo paradosso del Sistema Milano. Ieri la giudice delle indagini preliminare (gip) Sonia Mancini non ha convalidato il sequestro del cantiere di via Papiniano 48, come avevano chiesto le pm Giovanna Cavalleri e Luisa Baima Bollone, che il 12 novembre avevano disposto il sequestro preventivo d’urgenza, in attesa della convalida di un giudice. Questa non è arrivata. Ma non perché il cantiere fosse regolare. Tutt’altro: stava procedendo alla costruzione di una torre di 8 piani, da far sorgere al posto di un magazzino-deposito di 2 piani completamente demolito.

La gip riconosce la “assoluta antigiuridicità dell’intervento†edilizio, che non prevede un piano attuativo (cioè la pianificazione dei servizi necessari ai nuovi abitanti che arriveranno in zona). L’operazione era stata autorizzata dagli uffici comunali con una semplice Scia alternativa al permesso di costruire ed era stata considerata una “ristrutturazione ediliziaâ€. Era invece “nuova costruzioneâ€, in un’area oltretutto sottoposta a vincolo (vincolo Naviglio Grande e vincolo regionale Nucleo rurale di interesse paesaggistico).

La gip ha però riconosciuto anche la “buona fede†dei due indagati che “hanno creduto ai criteri descritti dal Comuneâ€, il costruttore palermitano Salvatore Murè e il suo progettista Mauro Colombo (già a processo anche per un’altra operazione urbanistica, il palazzo nel cortile di via Fauchè, il cui sequestro è stato invece confermato in via definitiva dalla massima istanza della giustizia amministrativa, il Consiglio di Stato. Muré è lo stesso che a maggio ha chiesto lo sfratto del centro sociale Cantiere, da abbattere per realizzare un’altra operazione immobiliare).

Sono stati i “comportamenti dello stesso Comune di Milano†a “fuorviare il privato†costruttore, sostiene la giudice nel suo dispositivo, in cui offre anche indicazioni per il futuro: “Da questo momento in poiâ€, la situazione “non potrà più dirsi sorretta dalla, fin qui riconosciuta, buona fede†ed è “auspicabile l’adozione di un piano attuativo in sanatoria per ricondurre alla piena legalità l’intervento edilizio†e “riportare a sistema l’interesse pubblico†della città di Milano.

Data articolo: Sat, 22 Nov 2025 10:02:27 +0000

Silvio Berlusconi

Berlusconi, ancora bugie. La vera storia delle tangenti pagate e di Silvio assolto

Tratto da: Gianni Barbacetto, Una storia italiana, Chiarelettere 2023

Scandalo a Napoli

Lo scandalo scoppia il 22 novembre 1994. Silvio Berlusconi ha trionfato alle elezioni ed è presidente del Consiglio da sei mesi. Quel giorno si trova a Napoli, dove partecipa a un vertice dell’Onu sulla criminalità organizzata. La mattina, nelle edicole arriva il «Corriere della Sera» che spara uno scoop in prima pagina, firmato dai giornalisti Goffredo Buccini e Gianluca Di Feo. Titolo: Milano, indagato Berlusconi. Occhiello: «L’iscrizione sul registro decisa dalla procura per l’ipotesi di due pagamenti alle fiamme gialle». L’articolo racconta di due tangenti che Berlusconi avrebbe pagato a uomini della guardia di finanza per ammorbidire verifiche fiscali alla Mondadori (130 milioni di lire) e a Mediolanum (100 milioni).

L’Italia è sotto shock. Anche l’uomo nuovo, il trionfatore delle elezioni, è entrato nel lungo elenco degli indagati per corruzione di Mani pulite, del pool di Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo. Berlusconi e il suo mondo, con i suoi giornali e le sue tv che, in sintonia con la maggioranza del paese, avevano sostenuto con entusiasmo per mesi Di Pietro e Mani pulite, cominciano ad attaccare e infangare i magistrati. Iniziano a scagliarsi contro il pool, accusato di aver messo in scena una macchinazione mediatico-giudiziaria, comunicando al «Corriere» la notizia di Berlusconi indagato e facendola uscire proprio nel giorno in cui il premier presiedeva un importante vertice inter- nazionale.

I magistrati del pool, in verità, avevano programmato che la notizia rimanesse segreta almeno fino al 26 novembre, il giorno in cui Berlusconi era stato convocato alla Procura di Milano per essere interrogato in veste di indagato. Avevano mandato l’invito a comparire e lo avevano fatto recapitare la sera del 21 novembre: non a Napoli, ma a Roma, dove credevano si trovasse il presidente del Consiglio. Lo ritirano i suoi collaboratori e Gianni Letta, il testimone di nozze diventato sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Questi telefona subito a Silvio, a Napoli. «Sono appena venuti a Palazzo Chigi due ufficiali dei carabinieri per conse- gnarti un provvedimento della Procura di Milano, ma non hanno voluto aggiungere di più: devono notificarlo personalmente a te. Li ho invitati a ripassare domani.»

I due ufficiali, Emanuele Garelli e Paolo La Forgia, da Roma chiamano a Milano il procuratore Francesco Saverio Borrelli per comunicargli di non aver trovato Berlusconi. Il magistrato, per cautelarsi da eventuali fughe di notizie, autorizza Garelli a contattare Berlusconi a Napoli e a leggergli al telefono l’invito a com- parire. Intanto Letta ha informato anche Previti. È già sera quando Garelli parla al cellulare con Berlusconi. Gli dice che ha un atto giudiziario per lui. Berlusconi gli chiede di aprire la busta e leggerglielo. «Si riferisce a tangenti alla guardia di finanza.» Il presidente del Consiglio però ha fretta: alle ventuno deve essere nel palco reale del teatro San Carlo, per assistere al concerto di gala di Luciano Pavarotti. Dice all’ufficiale di richiamare un paio d’ore più tardi.

Finito il concerto, Berlusconi telefona a Garelli, che può finalmente leggergli il testo dell’invito a comparire. Gli recita il primo e il secondo capo d’imputazione, sulla mazzetta Mediolanum e su quella Mondadori. C’è un terzo capo d’imputazione, sulla tangente che sarebbe stata pagata per ammorbidire la verifica fiscale a un’altra azienda del Biscione, Videotime, ma Berlusconi, irritato, lo interrompe: «Va bene, ho capito». E gli dà appuntamento per il giorno dopo alle quattordici, a Palazzo Chigi, per la notifica.

L’indomani esce il «Corriere» con lo scoop. Il mondo berlusconiano grida allo scandalo, trasuda indignazione per il fatto che il presidente del Consiglio sia venuto a sapere di essere indagato da un giornale. L’accusa sarà ripetuta per anni, fino a oggi. In realtà, come abbiamo visto, Berlusconi fu informato la sera prima. E i magistrati del pool si convincono che a confermare la notizia al «Corriere» sia stato proprio l’entourage del presidente, visto che il giornale riporta soltanto i primi due capi d’imputazione, senza nemmeno un cenno al terzo (la mazzetta di 100 milioni per Videotime), che Garelli non era riuscito a leggere a Berlusconi. Ma ancora oggi un pezzo d’Italia è convinto che siano stati i magistrati a spifferare dell’avviso di garanzia (in realtà un invito a comparire) per mettere Silvio in difficoltà durante l’incontro internazionale.

La storia processuale delle tangenti emerse quella mattina di novembre sarà lunga, punteggiata da polemiche politiche, violenti attacchi alla magistratura, manovre dilatorie per allungare i processi, leggi ad personam per cancellare i reati. Subito alle contestazioni si aggiunge una quarta mazzetta, pagata per Tele+. Alla fine, dopo anni di battaglie processuali, per le tangenti alla guardia di finanza Berlusconi è condannato in primo grado, senza attenuanti generiche, a due anni e nove mesi di reclusione, con una sentenza che ritiene provate tutte e quattro le mazzette contestate. In appello, la Corte gli concede le attenuanti generiche: così scatta la prescrizione – la prima di una lunga serie – per tre tangenti. Per la quarta (Tele+), gli è concessa l’assoluzione, pur con formula dubitativa, secondo il comma 2 dell’articolo 530 del codice di procedura penale.

La Cassazione, nell’ottobre del 2001, chiude la partita. Conferma le condanne per i coimputati di Berlusconi (i suoi collaboratori Massimo Maria Berruti e Salvatore Sciascia, che hanno materialmente pagato le mazzette; e i finanzieri Francesco Nanocchio e Giuseppe Capone, che le hanno intascate): dunque le tangenti ci sono state. Ma attenzione: i giudici ritengono di non avere la prova certa che Berlusconi ne fosse al corrente; dunque è assolto per non aver commesso il fatto, seppur con un richiamo all’insufficienza di prove («Tenuto conto di quanto già osservato sulla insufficienza probatoria, nei confronti di Berlusconi, del materiale indiziario utilizzato dalla Corte d’appello a proposito delle vicende Mondadori, Videotime e Mediolanum…»). Dunque le mazzette ci sono, sono state pagate, con i soldi di Berlusconi, ma (secondo la Corte) a sua insaputa.

C’è un fatto che pesa sul piatto della bilancia e lo fa inclinare verso l’assoluzione: la falsa testimonianza nell’aula processuale di un personaggio chiave nella storia di Berlusconi, l’avvocato David Mills. È il professionista che aveva costituito a Londra le società offshore della Fininvest, la Fininvest ombra, il Biscione segreto. In aula a Milano non racconta la verità e per il suo silenzio viene ricompensato (come stabilirà definitivamente la Cassazione nel 2010) con 600.000 dollari pagati nel 1999-2000, per aver tenuto con il suo comportamento Berlusconi, come aveva ammesso lo stesso Mills, «fuori da un mare di guai».

Data articolo: Sat, 22 Nov 2025 08:37:29 +0000

Urbanistica

Cattive notizie per Sala: i diritti della signora Dordevic di Belgrado

Le cattive notizie, per Giuseppe Sala, arrivano non solo da Roma, ma perfino da Strasburgo e Belgrado. Dalla capitale italiana sono arrivate due pronunce definitive dalla massima istanza della giustizia penale (la Cassazione, sulle Residenze Lac al Parco delle Cave) e amministrativa (il Consiglio di Stato, sul palazzo nel cortile di via Fauché) che danno torto all’amministrazione comunale in materia urbanistica: il Rito Ambrosiano della Scia e di Grattacielo selvaggio è fuorilegge, altro che norme contraddittorie “da interpretareâ€.

Ma adesso ci si mette pure la Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, con una sentenza del 7 ottobre 2025 subito segnalata dalla Cassazione italiana. La sentenza riguarda la signora Dordevic di Belgrado, che si riteneva danneggiata da un palazzo di sei piani costruito così vicino al suo appartamento “da privarla di luce e ventilazioneâ€. Ha fatto causa in Serbia al costruttore e al Comune di Belgrado, chiedendo la modifica del progetto e il riconoscimento di un indennizzo.

Dopo alterne pronunce, la sua richiesta è stata respinta. Si è rivolta allora alla Cedu, che invece ora le dà ragione. La corte di Strasburgo contesta ai tribunali serbi di aver “ignorato l’impatto del danno sulla vita della danneggiataâ€, ma anche il “deprezzamento del suo immobile nella misura del 20%†e le “irregolarità nella procedura di rilascio del permesso di costruireâ€.

I giudici europei affermano che è stato violato l’articolo 8 della Convenzione europea che “afferma il diritto di ogni individuo al rispetto della sua vita privata e familiare, della sua casaâ€: perché “il principio del rispetto della casa non è limitato alla sua consistenza fisica, ma anche al contesto in cui essa è collocataâ€, dunque non dev’essere “impedito il godimento delle amenità connesse all’abitazioneâ€. Violato anche l’articolo 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione, che riconosce “il diritto al pacifico godimento della proprietàâ€.

I giudici della Cassazione italiana, a questo punto, commentano: va rispettato “il principio della necessaria ponderazione tra opposte esigenzeâ€, quelle del costruttore e quelle degli abitanti della zona, “sia nel momento del rilascio di un permesso di costruzione di un nuovo immobile sia nel corso della costruzione, all’esito delle eventuali osservazioni e doglianze provenienti dai privati danneggiati dall’intervento edilizioâ€.

E aggiungono: “Per quanto concerne il nostro Paese, la legge italiana assicura il rispetto delle norme in tema di distanze legali indipendentemente dal fatto che gli edifici siano stati, o meno, realizzati in conformità alle prescrizioni dell’Autorità o sulla base di regolari titoli autorizzativi, accordando al soggetto danneggiato una duplice tutela, ripristinatoria e risarcitoria, e prevedendo sia l’alternatività tra detti rimedi, a scelta dell’interessato, sia la possibilità di cumularliâ€.

L’inquilino danneggiato, dunque, può chiedere a sua scelta il risarcimento, oppure “la rimozione dell’edificio eretto in violazione della normativa sulle distanze legaliâ€. Può anche pretenderli entrambi, “in tal caso con limitazione del risarcimento al solo danno sofferto medio tempore, sino alla rimozione†dell’edificio che lo danneggia. Concludono i supremi giudici: “Quando la costruzione è stata eretta in violazione delle regole di edilizia contenute in leggi speciali e nei regolamenti comunali ed arrechi pregiudizio a terzi, è assicurata, comunque, l’esperibilità del rimedio risarcitorioâ€.

Insomma: mentre giornali e tv sono così sensibili ai diritti (sacrosanti) delle cosiddette “famiglie sospese†che hanno comprato case poi sequestrate dalla magistratura per irregolarità urbanistiche (ma a Milano i cantieri sotto sequestro sono solo tre, ripeto: 3), la Cedu e la Cassazione ci ricordano anche i diritti (altrettanto sacrosanti) dei cittadini danneggiati dalla deregulation urbanistica dell’amministrazione milanese e dalla furia edificatoria di Grattacielo selvaggio.

Data articolo: Fri, 21 Nov 2025 14:15:00 +0000

Strage di Bologna

Caro Nordio, ecco perché la tua riforma dei giudici (la stessa di Gelli) è eversiva

Era il piano di Licio Gelli? E che male c’è? Separare le carriere dei magistrati era ed è “un’opinione giusta, non si vede perché non si dovrebbe seguire perché l’ha detto luiâ€. Così parlò Carlo Nordio, ministro della Giustizia. “Anche l’orologio sbagliato segna due volte al giorno l’ora giustaâ€. In verità, la segna l’orologio fermo: quello sbagliato è sbagliato 24 ore su 24. Ma Nordio continua imperterrito: “Io non conosco il piano della P2â€. Grave, per un ministro della Repubblica la cui storia è stata segnata dalla P2, dagli anni Sessanta fino a oggi. Gli proponiamo un rapido ripasso delle imprese di Gelli, dal golpe Borghese alla strage di Bologna.

Vita movimentata, quella di Licio, fin dall’adolescenza. A 13 anni è espulso da tutte le scuole del regno per aver preso a calci un professore antifascista. A 18 si arruola volontario per combattere in Spagna a fianco dei franchisti. A 26 è arrestato per reati comuni (fra i quali furto e sequestro di persona) commessi con la camicia nera. Fascista, è gran maestro del doppio gioco. È in stretto collegamento con il comando tedesco, ma a partire dal 1942, annusata l’aria, apre contatti con i servizi segreti inglesi e poi, dal 1944, con il Cic (Counter Intelligence Corps) della quinta armata americana.

Dopo la liberazione, rischia la fucilazione, ma viene salvato dai dirigenti del locale Cnl. Poi emigra in Argentina, dove attiva nuovi rapporti. Tornato in patria, scala le gerarchie massoniche. Diventa un volonteroso funzionario del doppio Stato e della “guerra non ortodossa†al comunismo. A capo della loggia segreta P2, seleziona gli ufficiali anticomunisti dell’esercito pronti al colpo di Stato. È lui che nella notte dell’8 dicembre 1970 è pronto a entrare con una squadra armata al Quirinale, per fare prigioniero il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Il golpe viene sospeso all’ultimo momento dagli Usa. Ma resta protetto: “La figura di Licio Gelli è stata volutamente espunta dagli accertamentiâ€,  scrive il giudice Guido Salvini. “Del resto si trattava, secondo le parole del generale Maletti, di una ‘persona sacra per il Servizio’â€.

Dopo il 1974, la strategia della guerra segreta contro il comunismo cambia: basta con i progetti apertamente golpisti, sostituiti da un più flessibile programma di occupazione di tutti i centri di potere: esercito, intelligence, partiti, imprese, banche, giornali. La P2 organizza questo club del doppio Stato, riservato circolo dell’oltranzismo atlantico, ma anche, all’italiana, variopinta cricca dove si promuovono carriere, affari, corruzioni. Negli anni, inchiesta dopo inchiesta, scopriamo Gelli grande riciclatore dei soldi di Cosa nostra, protagonista della bancarotta del Banco Ambrosiano, regista e finanziatore della strage di Bologna.

Gli ultimi anni li passa tranquillo a villa Wanda, rilasciando interviste in cui dice cose del tipo: “Tutti gli italiani dovrebbero rimpiangere il fascismo, perché sotto Mussolini c’era serenità, lavoro e sicurezzaâ€. Cita sornione anche Silvio Berlusconi, un suo affiliato dei tempi d’oro diventato presidente del Consiglio: “Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo, la giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Dovrei chiedere i diritti d’autoreâ€.

Tutto o quasi: “Manca solo la divisione delle carriere giudiziarie, io ho sempre sostenuto che pm e giudici si debbano odiareâ€. Ora ci siamo, anche grazie a Nordio. Era tutto già scritto nel Piano di rinascita democratica, elaborato tra l’autunno 1975 e l’inverno 1976: segna il passaggio dell’Italia dalla fase golpista (quella delle stragi e dei tentati golpe tra il 1969 e il 1974) a quella di occupazione dei gangli del potere (dopo il tramonto dell’amministrazione Nixon e il cambio della strategia internazionale dell’oltranzismo atlantico).

Il Piano di rinascita, di cui Gelli è non l’autore, ma il volonteroso propagandista, indica sei obiettivi da realizzare: nei partiti, nella stampa, nei sindacati, nel governo, nel Parlamento. Il quinto punto riguarda “la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggiâ€. Come? Realizzando una serie di riforme. Eccole. Introdurre “la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati†e “la normativa per l’accesso in carriera (esami psico-attitudinali preliminari)â€.

Seguono sei riforme concrete. La prima riguarda la separazione delle carriere, con il pm diviso dai giudici: eccola, la “riforma†che oggi si vuole portare a compimento. Al quarto punto si toglie autonomia al Csm: “Riforma del Consiglio superiore della magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamentoâ€. Il quinto punto insiste sulla separazione delle carriere: “Riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistratiâ€. Così possiamo prepararci ai prossimi passi della “riforma†che affonda le radici nel passato più nero della Repubblica.

Data articolo: Thu, 20 Nov 2025 15:36:42 +0000

Slapp

Diffamazione e querele temerarie. L’avvocato Malavenda: “Rivediamo la leggeâ€

L’attacco all’informazione si manifesta anche – come nel caso di Report e di Sigfrido Ranucci – con querele temerarie: “concetto vagoâ€, secondo il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. È davvero così? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Caterina Malavenda, specialista nella difesa di giornalisti accusati di diffamazione, autrice del libro E io ti querelo (Marsilio). “Premetto: chiunque ha diritto di fare causa civile o penale se è stato diffamato. Aggiungo: occorrerebbe tutelare altrettanto chi la subisce se è infondata o addirittura temeraria. E questo non succedeâ€.

Il ministro Nordio ha detto che “lite temeraria†è un concetto vago.

Temerarietà è il termine atecnico che rimanda alla colpa grave o alla malafede di chi avvia una causa senza alcun appiglio giuridico: se ne parla nei codici di procedura civile e penale, basta leggerli. E la querela temeraria, per rimanere al penale, è quella di chi per esempio contesta la verità di un fatto, chiedendo la punizione di chi l’ha divulgato, pur sapendo che è vero e che, dunque, nessuno sarà condannato; o di chi si lamenta di un’insinuazione che solo lui ha colto.

Non c’è soltanto la lite temeraria. C’è anche la querela infondata.

Sì, anche la querela semplicemente infondata crea problemi, intanto perché devi difenderti, impegnando tempo e denaro, e anche se va a finire bene non recuperi né l’uno né l’altro. Chi ti ha trascinato in tribunale invece non corre alcun rischio, paga solo il suo avvocato.

Il giornalista alla fine è sempre sconfitto.

Il giornalista che vince la causa civile almeno recupera le spese legali, che vengono pagate da chi perde, mentre è assai difficile che ottenga anche l’indennità posta a carico di chi abusa del processo, mettendo in moto una macchina che non sarebbe mai dovuta partire o, peggio, promuovendo una lite temeraria, come stabilisce l’articolo 96 del codice di procedura civile.

È il giudice che deve ravvisare una lite temeraria?

Sì, ma chissà perché ha tante remore a ricorrere a questo strumento, anche quando sarebbe sacrosanto. Il problema a volte non è nella legge, ma in chi deve applicarla.

Anche quando gli vengono liquidate spese e indennità, il giornalista fa fatica a recuperarle, se il debitore si dimostra nullatenente.

Basterebbe prevedere una cauzione per chi avvia una causa civile, a copertura almeno delle spese legali e dei danni che dovessero essere liquidati se il giudice gli dà torto. È una delle misure sollecitate dalla direttiva europea sulle Slapp.

Le Slapp (Strategic Lawsuits Against Public Participation) sono le cause usate per intimidire giornalisti, attivisti e Ong. La direttiva europea, se accolta, risolverebbe il problema?

Se ne parla come se fosse la panacea di tutti i mali, senza ricordare che non tocca le cause penali e riguarda solo le azioni civili “con implicazioni transfrontaliereâ€, cioè che vengono intentate in un Paese europeo diverso da quello in cui risiede chi è citato in giudizio.

Nel processo penale non c’è alcuna tutela contro le querele temerarie?

Una norma analoga all’articolo 96 che vale per il processo civile c’è anche nel processo penale, è l’articolo 427, che consente al giudice di condannare il querelante che abbia agito con colpa grave, a risarcire l’imputato, ma solo se viene assolto perché il fatto non sussiste o non lo ha commesso. Peccato che il giornalista venga di solito assolto perché il fatto non costituisce reato…

Rimedi?

Basterebbe poco per equilibrare le cose, intanto stabilendo che solo chi attribuisce volutamente un fatto falso può essere querelato per diffamazione, eliminando ipotesi alternative che lasciano troppo spazio alla discrezionalità del giudice. Oggi, può stabilire la rilevanza penale di un epiteto, un’opinione dura, un accostamento sgradevole, semplicemente affermando che, a suo parere – il solo che conti – superano il limite della continenza verbale e, dunque, devono essere sanzionati. Si potrebbe poi stabilire che tutti gli imputati assolti debbano essere risarciti, se si accerta la colpa grave di chi li ha querelati. Sono proposte già fatte e mai recepite. Sono anni che dico e che sento sempre le stesse cose su quel che si potrebbe fare, per migliorare la vita dei giornalisti, per evitare che diventino bersagli di rappresaglie giudiziarie, ma gli interventi sono di natura squisitamente politica e non mi paiono proprio all’ordine del giorno.

Data articolo: Sat, 15 Nov 2025 18:55:55 +0000

Salva-Milano

Il Comune vara i “rimediâ€. In attesa della Salva-Milano2

“Misure rimedialiâ€. È questo l’oggetto dell’ultima delibera di giunta con cui il Comune di Milano cerca di tornare nel solco della legge. Proprio così: “Misure rimedialiâ€. La locuzione suona un po’ neolingua burocratico-amministrativa, ma dice la necessità di “rimediareâ€, di adeguarsi alle leggi urbanistiche, dopo le indagini della magistratura.

In particolare alle norme – per niente confuse – che distinguono “nuova costruzione†da “ristrutturazioneâ€. Ci dev’essere continuità tra ciò che si abbatte e ciò che si ricostruisce. Il nuovo edificio deve avere la stessa volumetria di quello abbattuto. Demolizione e ricostruzione devono avvenire nello stesso arco temporale. Senza l’accorpamento di volumi che erano prima suddivisi.

Questi sono, in sintesi, i criteri indicati nella sentenza del Consiglio di Stato emessa il 4 novembre, come ultima parola della giustizia amministrativa su uno dei casi sotto inchiesta a Milano, la palazzina tirata su in un cortile di via Fauchè. Nove giorni dopo, il 13 novembre, la giunta di Milano prende atto e si adegua, votando la delibera sulle “misure rimedialiâ€. Il Consiglio di Stato chiama, la giunta di Milano risponde.

In verità, anche la Cassazione si era espressa nella stessa direzione. Già il 24 luglio, era intervenuta su un altro dei casi milanesi, quello delle Torri Lac di via Cancano, tre grattacieli affacciati su un laghetto al bordo del parco delle Cave, costruiti con una Scia (Segnalazione certificata d’inizio attività) come fossero “ristrutturazione†della vecchia fabbrica delle pompe Peroni. Sono invece “nuova costruzioneâ€, con il conseguente obbligo di pagare gli oneri: così stabilisce definitivamente la Cassazione, dando ragione a pm e gip.

Già a luglio, dunque, il Comune avrebbe potuto far decollare le sue “misure rimedialiâ€. Invece ha aspettato la pronuncia del Consiglio di Stato, forse sperando che potesse essere difforme da quella della Cassazione, per poter giocare sulla (inesistente) “differenza interpretativa†tra giustizia penale e giustizia amministrativa. Aspettativa delusa: si confermano a vicenda.

A questo punto partono le “misure rimedialiâ€, con una vistosa assenza in giunta: quella del sindaco Giuseppe Sala, la cui firma non compare nella delibera. Forse era impegnato a inseguire dialoghi impossibili. “Serve un dialogo con la Procuraâ€, ripete da tempo, “quello che serve è parlarsi, perché altrimenti Milano resta in uno stalloâ€. Ma la Procura parla con i suoi atti, seguendo i codici, e non può certo mettersi ad aprire impossibili trattative con i suoi indagati.

L’aspetto curioso della vicenda è che, mentre da una parte si vara la delibera che ammette l’errore di aver considerato “ristrutturazione†le nuove costruzioni, perdendo oneri per milioni di euro, dall’altra si dice “mi adeguo ma non mi piegoâ€: è la vicesindaca Anna Scavuzzo a dichiarare che il Comune di Milano “mette in campo una serie di misure correttive per gli interventi di urbanistica che sono oggetto delle inchieste o che rischiano di esserloâ€, per “riorientare l’attività degli uffici comunaliâ€; ma senza ammettere colpe e solo in attesa di altro: “Aspettiamo un’azione complessiva che permetta di adeguare le norme in materia urbanistica alle istanze che da diverse città oggi emergono, non più solo da Milanoâ€.

Una nuova Salva-Milano, formato magnum, per tutta l’Italia. La contraddice il capogruppo di Fratelli d’Italia in Comune, Riccardo Truppo: “Questi colpevoli ritardi sono inaccettabili, come il tentativo continuo di buttare la palla in corner chiedendo norme nazionali che invece non servonoâ€.

Intanto emerge una incauta scelta del Comune. Quando, in seguito alle inchieste, sono stati riorganizzati gli uffici dell’urbanistica, Sala ha assunto come dirigente Massimiliano Lippi, oggi al vertice della Direzione attuazione diretta Piano di governo del territorio e Sportello unico edilizia. Ma ora emerge (lo segnala l’agenzia LaPresse) che Lippi nel 2023 è stato condannato in via definitiva dalla Corte dei conti a risarcire al Comune di Arcore, dove era dirigente, un danno erariale di 400 mila euro, insieme all’allora sindaco di Forza Italia, Marco Rocchini: per una complessa vicenda urbanistica partita dalla trasformazione di un’area da agricola a produttiva. L’uomo giusto per le “misure rimediali†del Modello Milano.

Data articolo: Sat, 15 Nov 2025 17:19:50 +0000

Sistema Milano

Ma davvero la Cassazione ha sepolto le indagini sull’urbanistica a Milano?

Gioiscono i due “sindaci†di Milano: Giuseppe Sala, quello eletto, e Manfredi Catella, quello acclamato, via chat, dall’(ex) assessore Giancarlo Tancredi. Dopo la doppia decisione di ieri su Milano della Cassazione, Sala ha dichiarato: “La Suprema corte smentisce la Procura. Ma purtroppo vedo che la Procura continua ad andare avanti senza tener conto che il sistema giudicante non accoglie in parte significativa la sua lineaâ€. Catella aggiunge, per rassicurare i suoi preoccupati stakeholder: “Undici giudici hanno radicato fino al livello massimo della magistratura la nostra estraneità a quanto contestatociâ€. Poi esagera: “Equivale a un riconoscimento virtuoso dell’integrità, del rigore, della professionalità e della capacità di reazione della nostra organizzazione e di tutte le persone di Coimaâ€.

È proprio così? La Cassazione ha davvero sepolto l’indagine della Procura sul Sistema Milano? Dovremo aspettare le motivazioni delle due decisioni. Ma già ora alcune cose sono chiare. Innanzitutto che l’indagine Grattacieli puliti è composta da due livelli.

Il primo riguarda i reati urbanistici: torri residenziali fatte passare per “ristrutturazione†di piccoli laboratori; edifici tirati su nei cortili; grattacieli permessi con un’autocertificazione (la mitica Scia) mentre la legge impone chiaro chiaro, per le costruzioni oltre i 25 metri, un piano attuativo, cioè l’arrivo di nuovi servizi per i cittadini; e il pagamento di oneri adeguati (Sala ha fatto perdere alla città, negli ultimi anni, ben 2 miliardi di euro regalati a costruttori e fondi immobiliari). Questo livello è stato finora sempre confermato da Tar, Consiglio di Stato, gip, gup e, in sede cautelare, giudici del riesame e Cassazione. Le indagini aperte sono decine, aumenteranno nelle prossime settimane e in quattro casi sono già approdate al dibattimento in aula.

Il secondo livello – quello su cui ieri si è pronunciata la Cassazione – è più complesso. Secondo la Procura, a Milano si è consolidato un metodo di corruzione sistemica. Il vecchio patto corruttivo tra l’imprenditore e il pubblico ufficiale, con le sue poco eleganti tangenti, è stato sostituito dalla “cattura del regolatoreâ€: la Commissione paesaggio, a cui sono stati conferiti i superpoteri di decidere al posto degli uffici comunali, è a libro-paga degli operatori immobiliari, che remunerano i loro interlocutori bifronti (progettisti ma anche pubblici ufficiali) con incarichi professionali e consulenze. La tangente cool della corruzione 2.0.

Il Rito Ambrosiano ha realizzato la privatizzazione dell’organo decisore (la Commissione paesaggio) e organizzato un sistema di corruzione strutturale, ontologica. Chiunque abbia un po’ d’intelligenza e di buon senso vede questo sistema e capisce quanto male faccia allo sviluppo della città, consegnato ai privati. È la metropoli-Farwest, dove vige il diritto del più forte (chi ha più soldi da investire) e viene dimenticato il diritto dei cittadini (a non vedere un grattacielo costruito davanti alle loro finestre, a non perdere servizi urbani per 2 miliardi di euro). Una politica sana sarebbe corsa subito a correggere queste storture, prima dell’arrivo dei giudici. Non lo ha fatto, anzi ha consolidato il nuovo sistema.

E ora? È adeguato il codice penale (massacrato dalle contro-riforme) a cogliere la corruzione 2.0? In sede cautelare, la Cassazione ha trattato il ricorso della Procura sugli arresti di Catella, Alessandro Scandurra e Andrea Bezziccheri: lo ha dichiarato “inammissibileâ€; non ne ha disposto il rigetto nel merito. Perché la Procura non ha motivato l’attualità delle esigenze cautelari (si sono tutti dimessi); o perché ha portato nuovi elementi di fatto, mentre la Cassazione deve limitarsi a questioni di legittimità? Ha poi annullato le interdittive che avevano sostituito gli arresti per Giancarlo Tancredi, Giuseppe Marinoni e Federico Pella: perché già tutti dimissionari, o perché non è sufficientemente dimostrato il patto corruttivo? A rispondere saranno le motivazioni. (Il Fatto quotidiano, 14 novembre 2025)

La cronaca. Le due decisioni della Cassazione

La Cassazione ha rigettato come “inammissibile†il ricorso della Procura di Milano contro l’annullamento, deciso dal Tribunale del riesame, degli arresti (avvenuti l’estate scorsa) dello sviluppatore immobiliare Manfredi Catella, dell’architetto e membro della Commissione paesaggio del Comune Alessandro Scandurra (entrambi ai domiciliari) e del costruttore Andrea Bezziccheri (in carcere). Ha invece accolto i ricorsi dell’ex assessore all’urbanistica Giancarlo Tancredi, dell’ex presidente della Commissione paesaggio Giuseppe Marinoni e dell’imprenditore Federico Pella, per i quali non ha ravvisato la necessità di misure cautelari (si sono tutti dimessi dalle cariche) e ha dunque revocato le misure interdittive che il Riesame aveva loro comminato al posto degli arresti.

Saranno le motivazioni, nelle prossime settimane, a spiegare le decisioni della suprema corte. Intanto gioiscono Catella e il sindaco di Milano. Giuseppe Sala è tornato a chiedere “un dialogo vero con la Procura, altrimenti la città resta in stallo. La Procura continua ad andare avanti senza tener conto del fatto che il sistema giudicante non accoglie in parte significativa la sua lineaâ€. Una nota di Coma, la società di Catella, sostiene che “dal 16 luglio, data di notifica delle accuse, al 12 novembre, data di udienza della Corte suprema – in 120 giorni – undici giudici, oltre alla stessa Procura generale, hanno radicato progressivamente la nostra estraneità a quanto contestatoci. Questa dinamica equivale a un riconoscimento virtuoso dell’integrità, del rigore, della professionalità e della capacità di reazione della nostra organizzazione e di tutte le persone di Coimaâ€.

Intanto la Procura prosegue le indagini, sia sul “secondo livello†del Sistema Milano, quello sui conflitti d’interesse e sulle contestate corruzioni, sia, e ancor di più, sul “primo livelloâ€, quello sulle irregolarità urbanistiche, sempre confermate anche dalla Cassazione e ormai approdate a quattro dibattimenti. (Il Fatto quotidiano, 14 novembre 2025)

Data articolo: Fri, 14 Nov 2025 10:17:56 +0000

Vincenzo Lanni

Quel coltello nella schiena del Modello Milano

Un fatto diventa simbolo quando a pesare è il contesto. Un accoltellamento in piazza Gae Aulenti sarebbe stato, negli anni di trionfo del Modello Milano, una svista del destino, una stravaganza del fato, un cigno nero, anzi nerissimo. Oggi, in una fase di crisi del Sistema Milano, diventa un sintomo.

Vincenzo, la mattina del 3 novembre, ha piantato un coltello nella schiena di Anna Laura, scelta a caso tra la gente che passava in piazza Gae Aulenti. Sarebbe stato “spinto a premeditare l’aggressione in un luogo simbolo del potere economicoâ€, ha confessato al pm. Voleva colpire “il contesto nel quale si trovava, per l’insofferenza per il licenziamento subito dieci anni prima da parte dell’azienda di programmazione informatica per cui lavoravaâ€. Un Luigi Mangione alla milanese.

È chiaro che l’atto di una persona con gravi problemi psichici, in fuga da una comunità protetta, è drammaticamente imprevedibile e angosciosamente individuale, non imputabile ad alcun contesto sociale e collettivo, se non alla mancanza di attenzione e di cure per la malattia mentale.

Ma anche la caduta dell’insegna Generali dal grattacielo di Citylife, che se fosse avvenuta tre anni prima sarebbe stata un incidente senza alcun valore simbolico, a giugno 2025 è stata commentata come una metafora dell’incrinatura del destino di una città e delle sue torri. È il contesto che, in semiotica, conferisce volume di senso al singolo fatto. Così quel coltello nella schiena di una manager di Regione Lombardia può assumere un senso metaforico, sul palcoscenico della piazza più “iconica†e “instagrammabile†della città (gli aggettivi sono imposti dalla neolingua locale).

Nella Milano “place to be†c’è perfino un tour guidato, costo 229 euro su Tripadvisor, punto di partenza Eataly, percorso: Porta Nuova, corso Como, piazza Gae Aulenti, Bosco Verticale. Quella piazza è il luogo-simbolo del Modello Milano, ma anche un non-luogo più simile a un centro commerciale che a una piazza, presidiato dalle guardie private (Sicuritalia) del gruppo Coima che lo gestisce, per conto dei nuovi proprietari, gli arabi del fondo sovrano del Qatar (Paese accusato in passato di finanziare il terrorismo islamista, ma questo non pesa).

È a un passo da quella “Biblioteca degli alberi†che non ce la fa a essere un parco di veri alberi ma è piuttosto il giardino condominiale (aperto al pubblico) di Manfredi Catella. Il luogo, “iconico†e “instagrammabile†ma anche piacevole, attira pubblico. Milanesi in giro per lo shopping, famiglie, genitori a passeggio con i bambini, turisti a caccia di luoghi-simbolo, maranza che arrivano dalle periferie, giovani latini che si danno appuntamento, ragazzini che provano hip-hop specchiandosi nei grattacieli.

Si è creata una stratificazione antropologica e sociale, con un sopra e un sotto. Sopra prevale la folla commerciale e sorridente. Sotto c’è la massa dei disperati, nell’adiacente stazione Garibaldi: al riparo dalle telecamere di sorveglianza della piazza, vivono i ragazzi come la maranzina che ha accoltellato una compagna di scuola. “Le luci, la musica, le rapineâ€, ha raccontato intervistata dal Corriere. “Ti senti dentro una cosa grande. Ma è un mercato: chi offre, chi compra, chi guarda. Ti passa accanto un tipo con lo zaino pieno di pasticche, un altro ti afferra per la schiena, anche se dici no. Ogni tanto vai su, in Gae Aulenti: si balla, si litiga, si pippa. Qualcuno tenta lo scippo: telefonini sfilati di mano, portafogli strappati dalle tascheâ€.

La politica intanto litiga, la destra agita la bandiera della sicurezza che rende voti ma non risolve problemi. Piazza Gae Aulenti resta lì, non-luogo al tempo stesso incantevolmente attrattivo e sottilmente inquietante, come la città che cresce e cambia, producendo al tempo stesso ricchezza ed esclusione.

Data articolo: Sun, 09 Nov 2025 13:22:47 +0000

Simone Uggetti

Il libro-riscossa del sindaco che infanga l’impiegata whistleblower che lo aveva denunciato

Più che un libro, è una rivincita. Titolo: Storia di un sindaco, da San Vittore all’assoluzione. Autore: Simone Uggetti, che nel 2016 fu arrestato con l’accusa di aver truccato la gara per la gestione delle piscine comunali di Lodi, nel 2018 fu condannato in primo grado a 10 mesi, ma poi al secondo appello, nel 2023, fu ritenuto non punibile per “la particolare tenuità del fattoâ€: la turbativa d’asta c’era stata, la gara era stata scritta su misura per chi la doveva vincere, ma il fatto era particolarmente leggero.

Ora ha scritto il suo libro della riscossa, con prefazione di Aldo Cazzullo, postfazione di Gian Domenico Caiazza, contributo di Gaia Tortora e applausi pubblici di Michele Serra. L’unica a rimanere senza parole è Cateria Uggè, la whistleblower, l’impiegata comunale che nel 2016 segnalò alla Guardia di finanza che il bando di gara era stato scritto da quello che poi la vinse. “Parlo per la prima volta dopo dieci anni. Ma ora non ce la faccio più. Nelle pagine di quel libro ho trovato un ritratto di Caterina Uggè deformato, ridicolizzato, gravemente diffamatorio. Il mio nome viene ripetuto 74 volte. Ho timore per la mia reputazione, per il mio nuovo lavoro di insegnante. Ho già incaricato il mio avvocato di intraprendere tutte le azioni legali necessarie a tutelare la mia persona. La Uggè Caterina del libro è una funzionaria limitata professionalmente, che capisce poco, inventa numeri, è responsabile di una deposizione ai magistrati piena di errori e falsità. Una donna manipolata, priva di competenze, capacità e autonomia personaleâ€.

Eppure la sentenza finale lo dice chiaro: “Deve pertanto confermarsi la sussistenza del fatto, la sua illiceità penale, la sua corretta qualificazione giuridica, nonché l’accertamento che gli imputati lo hanno commessoâ€. Uggè sorride: “Sì, questa non è un’opinione, è la verità processuale. Ma Uggetti getta ombre su di me. Nel libro scrive: ‘Restano cose che non sapremo mai (c’è qualcuno che ha ispirato Uggè nella costruzione del suo film?)’. Io ho solo fatto il mio dovere di funzionario pubblico, in completa autonomia. L’ho fatto per rispetto di me stessa e dei miei valori. Un atto di libertà, di rottura rispetto a quello che si aspettavano da me. Come dice il mio amico Andrea Franzoso, ho scelto di essere una disobbedienteâ€.

Destino ingrato, quello dei whistleblower. “Sì, sono costretti a cambiare vita. Io mi sono licenziata dal Comune di Lodi sei anni dopo il mio esposto. Anni emotivamente duri. Mi sono rimessa a studiare, ho preso una seconda laurea per potermi costruire una nuova vita professionale. Non volevo andarmene: non mi sembrava giusto che passasse il messaggio che chi sceglie l’onestà deve sempre poi pagarne il prezzo. Ma alla fine ho ceduto e ho voltato pagina. Non sono fuggita: ho cercato di restituire senso a ciò che mi aveva ferito. Oggi insegno Diritto ai ragazzi delle scuole superiori. Sto bene con loro. Mi sento, dopo anni difficili, finalmente al sicuroâ€.

Nel suo libro, Uggetti (Pd) confessa che non era la prima volta che pilotava una gara, ma sempre per il bene del Comune (il giudice del bene e del male? Sempre lui). “Ma la cosa che più mi ha amareggiata è vedere che un giornalista come Aldo Cazzullo ha firmato la prefazione di questo libro che scredita in modo sistematico la figura della whistleblower. Una testimone di giustizia che gli stessi magistrati hanno descritto come ‘attendibile’, ‘rigorosa nella sua rettitudine morale e nella correttezza espositiva’. Le mie dichiarazioni sono state definite di ‘una credibilità generale, fondata su una serie di conferme documentali e inconfutabili del suo narrato’. Mi ha sorpreso ugualmente Michele Serra che lo ha presentato con tutti gli onori proprio a Lodi, la mia città. E Arianna Ravelli che lo ha co-firmato, precisando che non erano stati scritti nomi di magistrati perché non si voleva ‘cercare il colpevole da additare’. Il mio nome invece è stato ripetuto 74 volte. Non comprendo nemmeno il patrocinio al libro di Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e di Ali (Autonomie locali italiane): il whistleblowing è uno strumento istituzionale, regolato da una legge specifica, che tutela chi segnala irregolarità e sanziona ogni forma di ritorsioneâ€.

Ma ora chi tutela Caterina Uggè?

 

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“Noi Cinquestelle in aula contro Uggetti: Caro Di Maio, io non chiedo scusaâ€

Data articolo: Sun, 09 Nov 2025 13:13:16 +0000

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