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News da giannibarbacetto.it

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Stragi

20 anni di Archivio Flamigni, che ricompone il puzzle della democrazia italiana

“La memoria non è un fatto privato, che riguarda solo le vittime delle vicende di terrorismo e di mafia, o i loro famigliari. Riguarda la storia del nostro Paese. La memoria misura il nostro grado di democraziaâ€: Ilaria Moroni è la direttrice dell’Archivio Flamigni, che raccoglie e custodisce la memoria ferita della storia italiana. L’Archivio è nato nel 2005, vent’anni fa, raccogliendo le tante carte, i documenti, i libri di Sergio Flamigni, formidabile custode della memoria e instancabile ricercatore di verità nascoste.

Partigiano, parlamentare del Pci, membro attivo delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul caso Moro, sulla criminalità organizzata, sulla loggia P2, Flamigni ha indagato per tutta la sua vita sulle svolte cruciali della storia italiana e ha scritto libri imperdibili, sul caso Moro e sulla P2. Mi piace ricordare (e consigliare) almeno Trame atlantiche (Kaos editore) un formidabile concentrato di storia italiana che illumina gli intrecci della politica e dell’economia, nazionali e internazionali, mostrando l’influenza della loggia di Licio Gelli, potente circolo dell’oltranzismo atlantico.

L’Archivio Flamigni è cresciuto negli anni, sotto la guida appassionata di Ilaria Moroni, arricchendosi di documenti sulle stragi, l’eversione, le mafie. Ha via via acquisito altri fondi documentali e librari. Quelli di Emilia Lotti, dirigente nazionale dell’Udi (Unione donne italiane); di Piera Amendola, l’instancabile responsabile dell’archivio della Commissione parlamentare sulla loggia P2; di Aldo Moro, per la parte non confluita nell’Archivio di Stato; di Angelo La Bella, studioso della prima strage italiana, quella di Portella della Ginestra; di Giuseppe De Lutiis, il grande storico del terrorismo e dei servizi segreti.

Più recentemente, sono confluiti nell’Archivio anche i documenti di Vincenzo Vinciguerra, ex militante dei movimenti neofascisti Avanguardia nazionale e Ordine nuovo e poi studioso delle vicende italiane al confine tra neofascismo e servizi segreti; del giornalista Sandro Provvisionato; di Falco Accame, militare e poi parlamentare socialista; della giornalista e scrittrice Stefania Limiti; del magistrato Giovanni Tamburino, che indagò sulla Rosa dei Venti, snodo cruciale della strategia della tensione.

In questi vent’anni, l’Archivio Flamigni ha svolto attività didattica, formativa, d’informazione, di studio, di divulgazione. Nel 2022 ha partecipato all’ideazione e realizzazione del progetto “Nannarè†che ha raccolto fonti documentali e testimonianze di donne protagoniste a Roma negli anni della lotta al fascismo e nella Resistenza, e poi nelle stagioni successive per il voto, i diritti civili e sociali, il lavoro, la vivibilità del territorio, i servizi.

L’Archivio, ospitato nello spazio Memo, è un’isola di storia e di memoria nel cuore della Garbatella, a Roma. Oltre ai documenti in consultazione, ha una ricchissima biblioteca di 5 mila volumi, specializzata nei temi di interesse del centro: la storia negata della guerra segreta e dei poteri illegali che hanno segnato e determinato le vicende nazionali. Ha contribuito a promuovere la “Rete degli archivi per non dimenticareâ€. Ha valorizzato il patrimonio custodito realizzando mostre, convegni, progetti di ricerca, laboratori, percorsi formativi e informativi, anche in collaborazione con università, enti pubblici, scuole.

Si ripete spesso che il nostro è il Paese dei “misteri d’Italiaâ€: in verità sappiamo molto, moltissimo della storia dolorosa e cruenta della nostra Repubblica. Abbiamo già a disposizione un puzzle di milioni di pezzi: raccoglierli, conservarli, collegarli, interpretarli è l’avventura di Ilaria Moroni, delle sue collaboratrici, dei tanti amici dell’Archivio. Il risultato è un contributo prezioso alla democrazia italiana.

 

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Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 11:39:55 +0000

Urbanistica

Salvini presenta la Salva-Sala nella riforma del Testo unico sull’edilizia

“Sì, è il ritorno della Salva-Milanoâ€: non ha dubbi la giurista Maria Agostina Cabiddu, docente di Diritto pubblico al Politecnico di Milano.

Ieri al Consiglio dei ministri è stato presentato un disegno di legge-delega che riforma il Testo unico sull’edilizia. È la ripresa del cammino della Salva-Milano?

Sì. E non sanerà solo gli abusi edilizi contestati a Milano, ma sarà una legge generale che varrà per tutta l’Italia e per il futuro. Oltre all’interpretazione autentica che riguarda le vicende giudiziarie milanese, resuscita il condono del 1985 con l’intento di mettere una pietra tombale sugli abusi commessi a partire dall’entrata in vigore della cosiddetta legge ponte.

Lo ha presentato il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini.

Ma con il concerto di molti altri ministri. Manca quello dell’Economia: un’assenza che si nota, visto che si dice che il mattone è il volano dell’economia.

Non è una molla dello sviluppo del Paese?

Lo sarebbe: pensi a un piano casa come il piano Fanfani. Qui invece non si tratta affatto di far muovere l’economia o promuovere lo sviluppo del Paese. Il ddl tutela piuttosto la rendita urbana, andando in soccorso di coloro che fanno profitti sul territorio e sulle città. Un economista non comunista e nemmeno socialista, ma liberale, come Pasquale Saraceno, agli inizi degli anni Sessanta, in pieno boom, scriveva che tra i protagonisti della produzione non sono certamente compresi i proprietari di aree che beneficiano di plusvalori. “L’attribuzione dei plusvalori stessi ai proprietari di aree si risolve nella sottrazione di una quota di reddito nazionale alle categorie che lo hanno prodotto, ed è quindi un fenomeno che, in una società ordinata, non è consentitoâ€.

Lo sviluppo urbano attira però capitali immensi.

Molti dei quali di dubbia provenienza e comunque, oggi, la rendita non è neanche, per la maggior parte, incamerata dai palazzinari nostrani, ma dai fondi esteri, dalle grandi società di gestione del risparmio, da banche internazionalizzate: pura finanza estrattiva di profitto, poco a che fare con l’economia produttiva del Paese.

Il ministero sostiene che il ddl è soltanto un ridisegno delle norme, ma che non avrà alcun influsso sui processi in corso.

Ma non è vero, tanto che il concerto è anche con il ministro della Giustizia. In ogni caso, la legge ridefinisce che cos’è ristrutturazione in opposizione a nuova costruzione, riordina i procedimenti urbanistici con ricorso ad autocertificazione e a meccanismi di silenzio-assenso, fa espresso riferimento ad autocertificazioni come la Scia in alternativa al permesso di costruire e a interventi edilizi consentiti senza l’adozione di strumenti attuativi, prevede deroghe per interventi ai quali siano formalmente riconosciute finalità di rigenerazione urbana. Sono proprio i casi sotto inchiesta e sotto processo a Milano: molte di queste disposizioni hanno nome e cognome, indirizzo e numero civico. Non oso pensare poi, date le ulteriori ipotesi di silenzio-assenso, agli interventi su beni sottoposti a vincolo culturale o a rischio idrogeologico, in un territorio fragile come quello italiano.

Che cosa succederà nei processi che sono già in corso e nelle altre decine di indagini?

Andranno avanti. Ma se queste norme dovessero essere approvate, i giudici non potranno che assolvere. Pm e giudici milanesi avranno lavorato per nulla.

Paradossalmente, questa è la prova che invece oggi i reati ci sono, tanto è vero che si trovano costretti a cambiare la legge.

Il disegno di legge ha anche l’avvertenza di dire che sarà tenuto conto della giurisprudenza, in particolare di quella della Corte costituzionale.  Forse intendono tenerne conto per far piazza pulita di tutta quella giurisprudenza, più che consolidata, direi granitica, non solo del giudice delle leggi ma anche della Cassazione e del Consiglio di Stato, che finora ha sempre ribadito i principi fatti valere dalla Procura di Milano. Peraltro, la premessa di questo disegno di legge è quella di voler riordinare e semplificare perché ci sono sovrapposizioni e antinomie fra disposizioni statali e regionali e, tuttavia, lo stesso testo lascia alle Regioni la possibilità di ulteriori livelli di semplificazione: così siamo “da capo a dodiciâ€, legittimando nuove e future sovrapposizioni normative per intanto far tabula rasa delle regole e dei principi finora esistenti.

Data articolo: Fri, 05 Dec 2025 11:35:24 +0000

Salva-Milano

Ci riprovano: la Salva-Sala travestita da “legge speciale per Milanoâ€

La sapete l’ultima? Hanno escogitato un nuovo modo per far passare la Salva-Milano. Ma questa volta è una sanatoria di nuova generazione, pulita, presentabile, bipartisan, ecumenica, politicamente corretta, che sprizza sviluppo e promesse di futuro. E intanto cancella le inchieste della Procura di Milano sull’urbanistica e i grattacieli fuori legge.

È una Salva-Milano 2.0. La chiamano “legge speciale per Milanoâ€. Il primo a proporla è stato Luciano Fasano, professore associato di Scienza politica, con un articolo sul Corriere della sera. È stato l’inizio di una piccola campagna di stampa, ancora in corso. Intervistato sulla proposta, si è detto subito d’accordo il senatore della Lega Massimiliano Romeo. Poi, ad applaudire alla proposta, è corsa Silvia Roggiani, deputata e segretaria regionale lombarda del Pd.

Infine, ecco scendere in campo Emilio Del Bono, Partito democratico, per due mandati sindaco di Brescia, ex deputato della Margherita e oggi vicepresidente del Consiglio regionale lombardo. “Milano deve poter correre. Una legge speciale per Milano è necessaria. È l’unica città italiana che può paragonarsi alle grandi metropoli europee. Ha bisogno di un’autonomia regolatoria e finanziaria per andare alla stessa velocità delle città tedesche, francesi, spagnole delle medesime dimensioniâ€. Come non essere d’accordo con il ruolo “speciale†di Milano in Italia? Ma “correre†per andare dove?

La prima richiesta è di avere più soldi: “Se il capoluogo attinge agli stessi fondi regionali per il trasporto pubblico locale o per l’edilizia residenziale pubblica, è evidente che rischia di drenare risorse di cui avrebbero bisogno gli altri territori. Milano non può fermarsi né essere una idrovoraâ€. Eppure per il trasporto pubblico, per esempio, l’area Milano-Monza già prende in percentuale più soldi del resto della Lombardia, il 64% del totale.

Ma è davvero per questo che serve proprio adesso una legge speciale? Non è che il vero obiettivo è un altro, cioè ottenere quella “autonomia regolatoria†che può voler dire regole speciali per l’urbanistica? “È un tema su cui si può ragionareâ€, ammette Del Bono. “La legislazione urbanistica è datata e questo apre a faticose interpretazioniâ€.

Inutile ripetere ancora una volta che è “datato†anche il codice civile ma non per questo si chiede ogni giorno di “aggiornarloâ€. Quanto alle “faticose interpretazioniâ€, sono solo quelle imposte contra legem da determine e circolari comunali che non hanno “interpretatoâ€, ma contraddetto le leggi urbanistiche nazionali e regionali, inventando quel mostro di deregulation che è il Rito Ambrosiano: a Milano si può costruire nei cortili, le nuove costruzioni sono considerate “ristrutturazioniâ€, gli oneri di costruzione sono scontati del 60 per cento, per fare torri e grattacieli basta una autocertificazione (la Scia) invece del piano attuativo che prevede nuovi servizi per i cittadini.

Che non ci siano “interpretazioni†da dare, ma leggi a cui tornare dopo anni di Farwest, lo hanno ribadito nei mesi scorsi (sul piano penale) i giudici delle indagini preliminari, quelli dell’udienza preliminare, quelli del riesame, la Cassazione, oltre che (sul piano amministrativo) il Tar e il Consiglio di Stato. Ci hanno provato prima con la Salva-Milano: arenata in Senato per palese indecenza e sospetti di incostituzionalità. Ci stanno provando con proposte di ridefinizione generale delle regole urbanistiche: ma è un cammino lungo, più lento dei processi già in corso.

Ecco allora l’ideona: una legge speciale che, sotto qualche proposta magari accettabile e perfino utile per Milano, faccia diventare legge i reati, mascherando la solita sbobba indecente della sanatoria per salvare: i costruttori che hanno fatto quello che il Comune ha loro permesso di fare; i dirigenti comunali che hanno fatto valere norme, queste sì, “specialiâ€: fuori legge; i politici e il sindaco che è stato per anni sviluppatore, garante e gestore di questo – specialissimo – Sistema Milano.

Data articolo: Tue, 02 Dec 2025 16:10:51 +0000

Gianfrancesco Turano

Noir all’italiana. Turano, da Milano a Dubai

Diffidare dei romanzi scritti da giornalisti. Ma se il giornalista è anche uno scrittore (e in questo caso lo dimostrano i suoi sette romanzi precedenti, tutti da leggere), allora ci si può concedere un tuffo – pericoloso – dentro la storia noir di Gianfrancesco Turano.

Titolo: I buoni non esistono. Puro piacere della lettura, tanto da far dimenticare che la realtà, la politica, la cronaca italiane forniscono trame da far impallidire quelle hard boiled distillate in America da Chandler, Hammett, Ellroy.

Turano, inviato speciale dell’Espresso, ci fa viaggiare tra Milano, Roma e Dubai insieme ai suoi personaggi. Il poliziotto Mariano Greco, diventato investigatore privato per eccesso di correttezza: non proprio uno stinco di santo, ma cacciato dalla polizia perché si era rifiutato di nascondere le verità indicibili della politica e dei suoi accordi con la criminalità. Fulvio Di Sauris detto Osso, agente del gruppo più segreto del servizio segreto, con licenza d’uccidere Stay Behind, friulano tutto di un pezzo, feroce e adorabile al tempo stesso, temprato dalle azioni proibite della “guerra non ortodossaâ€. Sua figlia Arminia detta Minni: un vero Problema, da non scoprire troppo, almeno non su OnlyFans.

Se proprio volete scoprire qualcosa, nelle 285 pagine veloci come un film veloce potreste perfino riconoscere l’agenzia Equalize, quella degli spioni privati con sede dietro il Duomo di Milano; o potreste individuare nell’intreccio a chiave la storia incredibilmente vera di un armatore di Reggio Calabria diventato deputato a Roma e latitante negli Emirati.

Esilio dorato dopo una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa – ramo ’ndrangheta – per Amedeo Matacena, solida amicizia con un altro condannato per concorso esterno – ramo Cosa Nostra – Marcellino Dell’Utri.

Matacena se la cava con dieci anni di reclusione felice negli hotel stellati di Dubai, beffandosi della giustizia italiana. La beffa diventa pericolo per i poteri che lo hanno protetto, o – chissà – il suo tesoro fa troppo gola a chi gli sta accanto. Fatto sta che l’esilio inquieto e felice viene interrotto dalla sua morte misteriosa, per infarto, a 59 anni, proprio a un soffio dal suo ritorno libero in Italia (accuse cadute per il trascorrere del tempo), e tre mesi dopo la ancor più misteriosa morte della madre, Raffaella De Carolis, ex miss Italia volata a Dubai forse per convincere il figlio a non fare un passo falso.

Di certo c’è solo che madre e figlio erano stati assistiti – troppo? – da Pupi, moglie sposata con rito africano, nella realtà (più hard boiled della finzione) ex modella, chirurga estetica, dottoressa senza laurea, infine ereditiera del tesoro nascosto di Matacena.

Non c’è soluzione del giallo, né nel romanzo né nella realtà. Turano usa con maestria gli stilemi di genere e cuoce il suo hard boiled italo-emiratino senza soggezione dei maestri ma anche senza restare prigioniero del genere. Del resto ha saputo scrivere negli anni una piccola Iliade calabro-calcistica (Catenaccio!, 2006), un romanzo filosofico (Remedia amoris, 2009), un romanzo politico (Salutiamo, amico, 2020), un romanzo storico (Polemos, 2022).

In questa sua nuova storia, ci infligge una lettura agghiacciante e divertita che incrocia poteri legali e poteri illegali (difficile distinguerli). Sotto una poderosa e agrodolce scorza di cinismo – ma proprio sotto – si può intuire una voglia di far vincere i buoni. Che però non esistono. Forse.

Data articolo: Tue, 02 Dec 2025 15:39:30 +0000

Procura di Milano

Banche e governo, i nuovi furbetti del concertino

In finanza non ci sono buoni e cattivi. Difficile e inutile, dunque, schierarsi come fan tra i tifosi dell’uno o dell’altro fronte che si stanno combattendo in questi mesi nell’ultima guerra per banche. Unicredit, Mediobanca, Montepaschi, Bpm… Impossibile però non rendersi conto che quello che sta avvenendo, al di là delle tecnicalities bancarie, di Ops e Abb, di scalate e “concertiâ€, è un gigantesco tentativo di ridisegnare i rapporti di potere politico-finanziari in Italia.

Sono soprattutto due le operazioni in corso. Nella prima, Unicredit prova a conquistare Banco Bpm per fare una banca più grande e più solida. Ieri ha avuto il via libera della Dg Comp della Commissione europea. Ma il governo italiano – che dovrebbe dettare le regole uguali per tutti, non giocare per una squadra in campo – la sta bloccando, sfoderando l’arma fine di mondo della Golden share: la fusione Unicredit-Bpm non s’ha da fare.

Il ministro Giorgetti considera Bpm ancora la banca della Lega (ricordate Credieuronord?) e la vuole libera e bella, ma soprattutto disponibile e controllabile, anche se una integrazione con Unicredit avrebbe senso di mercato e creerebbe valore per entrambe. Curioso, il cartellino giallo della Golden share esibito dal governo in nome della “sicurezza nazionaleâ€, per “non far andare all’estero il risparmio degli italianiâ€. Mai fatto prima. Oltretutto per una banca italiana e per un’operazione Italia su Italia.

La seconda operazione è perfino più incredibile. Un uomo potentissimo a Roma ma non ancora al Nord, Francesco Gaetano Caltagirone, si è lanciato alla conquista del boccone più prezioso della finanza italiana, Assicurazioni Generali. In alleanza con i quasi-francesi di Delfin (famiglia Del Vecchio), assedia da anni Mediobanca e Generali. Poiché l’Europa gli ha spiegato che per controllare un istituto finanziario ci vuole un istituto finanziario, ha conquistato il controllo di fatto di una banca, Montepaschi, che doveva tornare sul mercato dopo il salvataggio del governo.

Come ha fatto? Con un giochetto apparecchiato dal governo Meloni che ha incaricato dell’operazione la piccola Banca Akros: questa ha lasciato fuori dalla porta Unicredit, che voleva il 10% della banca di Siena, e ha assegnato in famiglia il 15% a quattro amici al bar di Calta: Delfin (3,5%), Bpm (5%), Anima (3%) e lo stesso Caltagirone (3,5%).

A questo punto ecco Montepaschi pronta a lanciare l’assalto a Mediobanca, per poi conquistare anche il boccone grosso, Generali. Se questa operazione è “concertoâ€, se è stato commesso il reato di aggiotaggio, o ostacolo alla vigilanza, o manipolazione del mercato, lo verificherà la Procura di Milano e lo decideranno i giudici (obbligati dai fatti a entrare in partita: non si osi parlare come al solito di “ingerenzaâ€). Ma fin da ora è chiaro che, reati o non reati, è in corso una manovra di potere che piega il mercato – elogiato in verità da tutti solo quando conviene – e impone invece le decisioni della politica.

Ne sanno qualcosa Gaetano Caputi e Marcello Sala, che hanno gestito i dossier per conto del governo. In nome di una “italianità delle banche†a doppio standard. Siamo ancora lì, all’“italianità delle bancheâ€, come ai tempi dei Furbetti del quartierino, quelli di Fiorani che dava il bacio in fronte al governatore Fazio, quelli di Ricucci che voleva assaltare il Corrierone, quelli di Fassino che chiedeva: “Abbiamo una banca?â€.

Oggi a chiederlo è Giorgia. Ma questa volta lo schieramento mediatico apparecchiato per l’operazione Meloni Generali è imponente, con tutti i fogli di Caltagirone e di Angelucci a testate unificate. E con il più simpatico (e impudente) di tutti, Luigi Bisignani, che descrive l’assalto come “il Palio del potere finanziario tra le contrade incappucciate di Parigi contro quelle di Sienaâ€, proprio lui che è un esperto del ramo.


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Data articolo: Tue, 02 Dec 2025 14:43:36 +0000

Procura di Milano

I furbetti del concertino/2. Il terzo concertista: il governo Meloni

Ci sono le impronte digitali degli uomini del governo, nella storia della scalata Montepaschi-Mediobanca. Dapprima era un bradisismo. Poi è diventato terremoto che ha avviato una grande trasformazione dei rapporti di potere politico-finanziario in Italia. Alle guerre per banche, in verità, il nostro Paese è abituato; e anche alla politica in campo per aiutare o frenare le operazioni finanziarie.

L’Italia è il Paese delle banche e delle operazioni “di sistemaâ€, dove pesano più i rapporti politici che il mercato e la “produzione di valoreâ€. Ma questa volta il governo in carica ha puntato a mettere le mani sul sistema finanziario, bancario, assicurativo. Innescando le conquiste di imprenditori “amiciâ€: su Montepaschi, per poi conquistare Mediobanca, per sferrare infine l’attacco a Generali, la grande compagnia italiana di peso europeo.

Il protagonista numero uno è Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore, costruttore, finanziere, editore. Da tempo tenta di espandere il suo impero romano al nord: a Milano, sede di Mediobanca, fino a Trieste, culla di Generali. Ha trovato un alleato per le sue battaglie in Francesco Milleri, il manager che tiene insieme la rissosa famiglia Del Vecchio e governa l’impero Luxottica-Delfin.

Ma ancor più prezioso è il sostegno del governo di Giorgia Meloni, a cui Caltagirone ha messo a disposizione il suo giornale romano, Il Messaggero. Il governo, con la “legge capitaliâ€, nel 2024 ha permesso a Caltagirone e Delfin di aumentare i loro rappresentanti dentro i Cda di Mediobanca e Generali. Ma i due fortini del nord erano restati sotto la guida di Philippe Donnet (Generali) e Alberto Nagel (Mediobanca).

Prima, nel 2022, era stata la Bce, la banca europea, a fermare Delfin che voleva salire oltre il 20% in Mediobanca: le norme europee impediscono a un soggetto non finanziario di controllare una banca. Ecco allora che il duo si attrezza per conquistare un istituto di credito. Punta su Montepaschi (Mps), attraverso un’alleanza non dichiarata con Banco Bpm, e sotto lo sguardo più che benevolo del governo Meloni. Il ministero dell’economia e delle finanze (Mef) di Giancarlo Giorgetti deve riprivatizzare Mps dopo il salvataggio.

Lo fa vendendo grossi pacchetti di azioni con la procedura finanziaria chiamata Abb (Accelerated Book Build). Nel novembre 2024 il Tesoro incarica a sorpresa un solo bookrunner, la piccola Banca Akros, che vende il 15% di Mps a condizioni accettate in soli nove minuti, con offerte fotocopia, da quattro soggetti: Caltagirone, Delfin, Bpm e Anima. Una vendita in famiglia, visto che sia Akros sia Anima sono controllate da Bpm, una banca a trazione leghista, come leghista è Giorgetti. Tagliati fuori gli altri che volevano comprare, come Andrea Orcel di Unicredit che chiedeva un 10% di azioni Mps ma viene lasciato a piangere al telefono.

A questo punto, Montepaschi, guidata da Luigi Lovaglio, è nelle mani di Caltagirone-Delfin e diventa lo strumento per assaltare Mediobanca: con un’offerta pubblica di scambio (Ops) in cui viene tagliato fuori il mercato, viene escluso chi non possedeva già azioni Mediobanca. Secondo il Testo unico della finanza, per superare insieme il 25% di azioni Mediobanca dovevano lanciare una ben più costosa Offerta pubblica d’acquisto (Opa), in contanti. Non lo hanno fatto e per questo “concerto†non dichiarato, Caltagirone, Milleri, Lovaglio e altri sono sotto indagine a Milano.

Unicredit, esclusa dall’affare Mps, cambia gioco e lancia una Ops su Bpm. Ma il governo la blocca, giocando la carta della golden share, in nome di un curioso “interesse nazionale†in un’operazione in cui tutti i player sono italiani. Quanti interventi del governo in questa storia. Era stata pensata anche una legge ad Caltagironem – alzare dal 25 al 30% la soglia in cui è obbligatorio fare l’Opa – ma questa non è arrivata in tempo. Ma ci sono stati altri aiutini. A Palazzo Chigi vigilava sulle operazioni Giovanbattista Fazzolari, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio di Giorgia Meloni. Negli uffici del Mef vegliavano Gaetano Caputi e i direttori generali, Marcello Sala, Stefano Di Stefano, Francesco Soro.

C’è anche un sms di Giorgetti in persona che aleggia su questa storia, almeno secondo quanto dice, intercettato, Lovaglio: “So che il ministro ha scritto un smsâ€. Per tentare di convincere il fondo americano Blackrock a schierarsi con gli scalatori contro Nagel (invano: “Ha fatto il bidoneâ€, commenta infine Lovaglio). L’accordo con il governo lo ammette lo stesso Lovaglio nell’assemblea di Montepaschi del 17 aprile 2025: “L’operazione – l’ho detto pubblicamente, e ho documentazione che mi supporta – l’ho presentata per la prima volta nel dicembre 2022 al ministro Giorgetti, precisamente il 16 dicembre 2022 (credo che fosse il giorno del suo compleanno)â€. Con tanti auguri.

Per convincere i consiglieri indipendenti nel Cda di Mps a dimettersi, per lasciar posto agli uomini di Caltagirone e Delfin, si danno da fare dirigenti del Mef e, secondo i pm, anche il deputato della Lega Alberto Bagnai. Fuori dal Palazzo, tutti schierati con gli scalatori i fogli di Caltagirone e di Angelucci, Messaggero, Libero, Il Giornale: sostegno a testate unificate.


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https://www.giannibarbacetto.it/2025/06/19/la-procura-indaga-sul-concerto-leuropa-sugli-aiuti-di-stato-a-montepaschi/

Data articolo: Tue, 02 Dec 2025 14:08:37 +0000

Procura di Milano

I furbetti del concertino/1. Indagati Caltagirone, Milleri (Delfin-Luxottica) e Lovaglio (Montepaschi)

Il bacio in fronte, questa volta, non lo dà il banchiere Gianpiero Fiorani al governatore di Bankitalia Antonio Fazio, come ai bei tempi dei “furbetti del quartierinoâ€, ma Francesco Gaetano Caltagirone, imprenditore, costruttore, finanziere, editore, all’amministratore delegato di Montepaschi Luigi Lovaglio. “Mi pare fantastico, bravo. Io le faccio i complimenti perché è stato molto bravoâ€. “Ma noâ€, gli risponde Lovaglio, “il vero ingegnere è stato lei, io ho solo eseguito l’incarico, comunque godiamoci questa cosa… ha ingegnato una cosa perfetta, quindi complimenti a lei per l’ideaâ€.

L’“idea†è conquistare Mps attraverso Banco Bpm per poi assaltare Mediobanca e infine puntare a Generali, il vero obiettivo. Di concerto (non dichiarato) con Francesco Milleri (Luxottica-Delfin della famiglia Del Vecchio). Ma con un terzo “concertista†molto particolare: il governo di Giorgia Meloni e del ministro Giancarlo Giorgetti, interessati a creare un polo bancassicurativo nazionale, fedele alle loro indicazioni.

Ci ha messo ben due giorni dalle perquisizioni e dagli avvisi di garanzia, ma finalmente si è svegliata anche la politica: Conte e Schlein chiedono a Giorgetti di riferire in Parlamento sul suo coinvolgimento citato dai magistrati (ma il Mef smentisce “qualsiasi ingerenzaâ€), mentre il deputato leghista Alberto Bagnai non risponde alle domande del Fatto sulle pressioni che avrebbe esercitato su alcuni consiglieri di Mps per farli dimettere, raccontate dai manager ai pm.

Del ruolo del Mef nella partita accennano, intercettati il 18 aprile, Caltagirone e Lovaglio in riferimento “a una sollecitazione di voto da parte del Mef sul Ceo del fondo americano†Blackrock. “Qualcuno ci ha fatto il bidoneâ€, dice l’ad di Mps commentando il voto contrario del fondo Usa all’aumento di capitale per finanziare la scalata a Mediobanca. “So che il ministro ha scritto un smsâ€, continua, “perché io gli ho detto ‘Oh, guarda che non ha votato!’â€. Il ministro è Giorgetti. “Quindi ho detto a Sala (Marcello Sala, all’epoca direttore generale del Mef, ndr) hanno scritto un sms… nonostante questo non è andata beneâ€. Insomma il Mef prova a convincere Blackrock, ma il fondo vota diversamente e fa “il bidoneâ€.

Per realizzare la “cosa perfetta†i soci coinvolti hanno però commesso – secondo la Procura di Milano – i reati di manipolazione di mercato e ostacolo alle autorità di vigilanza. L’inizio del deal e l’accordo con il governo li ammette lo stesso Lovaglio nell’assemblea di Mps del 17 aprile 2025: “L’operazione – l’ho detto pubblicamente e ho documentazione che mi supporta – l’ho presentata per la prima volta nel dicembre 2022 al ministro Giorgetti, precisamente il 16 dicembre 2022 (credo che fosse il giorno del suo compleanno)â€.

Un bel regalo di compleanno: una banca da poco salvata dal governo dal crac, che si mangia un istituto più sano, Mediobanca. Il sogno impossibile si realizza tre anni dopo. Per arrivarci, Delfin aveva tentato nel 2022 di salire oltre il 20% in Mediobanca, ma era stata fermata dalla Bce perché le norme europee impediscono a un soggetto non finanziario di controllare una banca. Allora Caltagirone e Delfin cambiano strategia e si attrezzano per conquistare un istituto di credito. Puntano su Mps, attraverso un’alleanza (non dichiarata) con Bpm, sotto lo sguardo benevolo del governo Meloni.

È la pesca miracolosa del novembre 2024: il ministero di Giorgetti deve vendere il 7% di Mps per riprivatizzare la banca: con una procedura veloce (un Abb, Accelerated Book Building), che però taglia fuori altri interessati (UniCredit di Andrea Orcel) e vende non il 7, ma il 15% agli amici di Bpm (banca a trazione leghista). Tutto in famiglia: il bookrunner che vende è la piccola banca Akros controllata da Bpm, e a comprare, con offerte fotocopia presentate in soli 9 minuti, sono Caltagirone, Delfin, Bpm e Anima (controllata da Bpm).

Così Mps è nelle mani di Caltagirone-Delfin per assaltare Mediobanca. Con un’offerta pubblica di scambio (Ops) da 13,2 miliardi, senza però sborsare un centesimo, scambiando solo carta con carta: 2,3 nuove azioni Mediobanca per ogni vecchia azione portata in adesione a Mps. Tagliato fuori il mercato, escluso chi non possedeva già azioni Mediobanca. Secondo il Testo unico della finanza, per superare insieme il 25% di azioni Mediobanca dovevano lanciare una ben più costosa Offerta pubblica d’acquisto (Opa) in contanti.

Anche questo viene contestato agli indagati dai pm Luca Gaglio e Giovanni Polizzi, coordinati dall’aggiunto Roberto Pellicano. Coinvolti sono i manager di Akros che hanno strutturato l’Abb: il presidente Alessandro Melzi d’Eril (guardacaso poi nominato dai nuovi padroni ad di Mediobanca il 28 ottobre), il dg Giuseppe Puccio, il dirigente Giulio Greco, oltre a Fabio Corsico del gruppo Caltagirone.

Palazzo Chigi vegliava con Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio di Giorgia Meloni, grata a Caltagirone che ha schierato in suo sostegno il Messaggero. Si muove anche un direttore generale del Mef, Stefano Di Stefano, e Alessandro Tonetti, vicedirettore generale di Cassa depositi e prestiti. Ora il Mef smentisce, Bagnai tace. Ma, al confronto, quell’“abbiamo una banca†di Fassino a Consorte, nel 2005, sulla scalata di Unipol a Bnl, (poi fallita) pare quasi una battuta da bar.

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Data articolo: Tue, 02 Dec 2025 14:04:09 +0000

Giornalismo

In ricordo di Danielle Rouard

Danielle Rouard, “grande reporter†di Le Monde e per anni corrispondente del quotidiano francese in Italia, è morta a Parigi il 10 agosto 2025, all’età di 84 anni. Voglio ricordarla qui con un articolo di Philippe Ridet apparso su Le Monde. E, a seguire, con un mio personale ricordo di una cara collega e grande amica.


Danielle Rouard, giornalista appassionata

di Philippe Ridet /

Probabilmente perché era nata il 1° novembre, Danielle Rouard, ex grande reporter e corrispondente di Le Monde in Italia, detestava gli addii, i saluti e i crisantemi. Al telefono, aveva già riattaccato mentre tu continuavi a parlare nel vuoto. Scomparendo domenica 10 agosto, all’età di 84 anni, in piena estate in una Parigi deserta, non ha fatto altro che seguire la sua naturale inclinazione che la portava a congedarsi senza troppi convenevoli.

Nata a Romans-sur-Isère (Drôme) quando la seconda guerra mondiale aveva già festeggiato il suo primo anniversario, ultima di dieci figli, aveva la sete di conoscenza di una generazione cresciuta nell’inquietudine e nella paura del domani. Figlia di un rappresentante di tessuti, egli stesso erede dei venditori ambulanti dell’Oisans, e di una commerciante di lenzuola, era una studentessa tanto studiosa quanto dotata.

Già allora era guidata da un’ossessione: lasciare Romans, consapevole che una donna non può realizzarsi, almeno non lei, nella maternità ripetuta. Direzione Parigi. Scienziata, frequenta i corsi della scuola femminile del Politecnico e poi di Sciences-Po Paris. Vivendo inizialmente nella città universitaria di Antony (Hauts-de-Seine) con altri spiriti brillanti – «Si distribuivano già premi Nobel», scherza un testimone dell’epoca – impara a conoscere le famiglie selezionate, le bande.

Seguiranno altre esperienze simili, come la vita in una comunità in rue du Ruisseau, nel 18° arrondissement di Parigi, poi, durante le vacanze, a Quinson, un piccolo villaggio delle Alpi dell’Alta Provenza, dove ritrova amici simili a lei per inventare altri modi di relazionarsi con gli altri. Inutile dire che il Maggio ’68 la segnerà in modo indelebile.

Vicina alla Gauche prolétarienne. Un’altra hippie in un’epoca in cui non mancavano certo? Non proprio, perché Danielle Rouard è guidata meno dal peace and love degli anni ’70 che dal materialismo dialettico di Karl Marx. Vicina alla Gauche prolétarienne e ai membri del giornale La Cause du peuple, frequenta militanti maoisti puristi, “estabiliti†e alcuni di coloro che si riuniranno attorno a Serge July per fondare Libération nel 1973.

Tuttavia, anche se il giornalismo la attira, è l’economia che le permette di vivere. Terminati gli studi, dal 1961 al 1965 lavora come analista numerica all’Institut Blaise-Pascal del CNRS, poi entra a far parte, come ricercatrice in metodi di pianificazione, del Centre pour la recherche économique et ses applications (Cepremap), diretto per un certo periodo da Daniel Cohen. Parallelamente, inizia a scrivere articoli freelance per diversi giornali, tra cui alcuni per il giornale Parents, una curiosità per una donna che ha scelto di non essere genitore.

Ma è proprio grazie all’economia che entra a far parte del quotidiano Le Monde senza aver seguito studi di giornalismo. Il suo primo articolo appare nell’edizione del 13-14 aprile 1975 del quotidiano serale. Sotto il titolo “La vita sociale ed economicaâ€, è dedicato a uno sciopero in una fabbrica di copriletti. Gli operai vogliono salvare la fabbrica. Ispirati da quelli della Lip di Besançon, hanno costituito delle scorte che vendono direttamente.

Diventata reporter per il servizio di informazione generale nel 1983, segue il dossier corso che, come tutti coloro che vi si sono dedicati, la appassiona. Si interessa in particolare alle attività dei clienti della Brise de mer, alcuni dei quali non esitano a minacciarla per la sua curiosità. Dieci anni dopo, raggiunge lo status di grande reporter. In questa occasione, vive l’esperienza della guerra in Afghanistan e inizia a seguire l’attualità italiana.

Simbolo della sua generazione. La vera felicità professionale a volte può richiedere molto tempo. Di natura ribelle e inquieta, Danielle Rouard era destinata a diventare corrispondente a Roma e a realizzarsi lì. Senza presenze gerarchiche e con l’ansia che l’attualità non fosse all’altezza o che la redazione parigina finisse per dimenticarsi di lei. Questa esperienza dura tre anni, il tempo necessario per seguire da vicino i tumulti politici della Penisola, la mafia, gli sbarchi dei migranti e tutto il resto.

Economia, cronaca, società… I libri scritti o co-scritti da Danielle Rouard testimoniano la varietà dei suoi interessi: un’opera scientifica sull’energia solare redatta con il suo amico degli anni di Mao, il matematico Pierre Audibert (1941-2020), un altro sul musicista Manu Dibango (1933-2020), che era orgogliosa di aver visto tradotto in inglese e in italiano, e infine una guida di New York.

Avrebbe voluto pubblicare la sua autobiografia, di cui aveva scritto alcuni capitoli. Il suo obiettivo non era tanto quello di mettersi in mostra, quanto quello di offrire la sua vita come esempio per coloro, soprattutto donne, che avrebbero scelto di intraprendere questa professione. Consapevole di aver sacrificato molto per essa – la sua vita personale, una possibile vita familiare e gran parte della sua salute –, sapeva di aver dovuto affrontare molte difficoltà insieme alle giornaliste della sua età. In questo senso si può dire che fosse un simbolo sia della sua generazione che del suo sesso.

Andata in pensione nel 2003, continuò a vivere a Roma, in un piccolo appartamento al primo piano di un bel palazzo adiacente al chiostro di Saint-Louis-des-Français. La luce non entrava, o quasi. Coltivava piante rigogliose nel cortile. È lì che l’abbiamo incontrata per la prima volta un giorno della primavera del 2008 e che siamo diventati prima vicini di scala, poi amici.

Burbera e generosa, dispensava consigli e si arrabbiava se non li seguivamo, faceva regali per i compleanni e viziava i bambini in modo sconsiderato. Raramente eravamo d’accordo, che si trattasse di politica, del quotidiano Le Monde o dell’Italia. Ma non siamo mai rimasti arrabbiati per più di ventiquattro ore. Rimane tuttavia un mistero che più di diciassette anni di regolare frequentazione non mi hanno permesso di svelare: perché questa scienziata che apparentemente doveva capire tutto del funzionamento delle cose ha martoriato così tanti telefoni cellulari, computer e telecomandi della televisione?

L’eclettismo della sua carriera e degli argomenti trattati hanno reso Danielle Rouard una giornalista di spicco della nostra redazione. Le Monde porge le più sincere condoglianze alla sua famiglia e ai suoi cari, nonché a coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerla e apprezzarla nel corso della sua lunga carriera nel nostro giornale.


Cara Danielle

di Gianni Barbacetto/

Cara Danielle, negli ultimi anni ci vedevamo poco: tu a Parigi, io a Milano. Ci sentivamo ogni tanto al telefono, tu accennavi brevemente ai tuoi acciacchi, con ritosia, io ti raccontavo che ero contento del mio lavoro, meno della situazione politica in Italia. Ci siamo salutati nell’inverno del 2023, nella tua casa di Montparnasse. Dietro la facciata ruvida, esondava un grande affetto e una dolce generosità. Ho ancora i regalini che portavi a me e alle mie bambine quando, negli anni, venivi a Milano.

Da corrispondente di Le Monde dall’Italia, sei perfino riuscita a darmi ospitalità a Roma, nel tuo piccolissimo appartamentino tra il Senato e San Luigi dei Francesi, nei primi giorni del mio trasferimento da Milano a Roma per lavorare in tv con Michele Santoro. Dopo la fine del tuo lavoro per Le Monde, sei restata per qualche anno a Roma, fiera del tuo incarico d’insegnamento all’università, ti piaceva parlare ai ragazzi del tuo lavoro, del giornalismo, del sistema dei media. Ogni volta ti spingevo a scrivere la storia di una vita e di un impegno giornalistico che sarebbe stato interessante leggere. Mi ero offerto anche di darti una mano. Non abbiamo fatto in tempo.

Del resto, nella tua vita avevi scritto tanti reportage e realizzato grandi inchieste, avevi fatto molte interviste, tra cui quella splendida ad Ahmad Massoud, “il Leone del Panjshirâ€, leader laico della resistenza afgana: ma tu non te la tiravi, era impossibile vederti posare da grande cronista che aveva visto e scritto tanto, eri del tutto immune dal narcisismo dei giornalisti che si sentono degli Hemingway redivivi.  

Ci eravamo incontrati la prima volta quando tu, “grande reporter†di Le Monde, eri arrivata a Milano per raccontare l’arrivo al governo di Silvio Berlusconi, che in Francia già conoscevate come imprenditore della tv. Abbiamo fatto un’inchiesta insieme, andando anche in Lussemburgo, a interrogare, tra gli altri, il banchiere della Bil (Banque Internationale de Luxembourg) che curava gli affari di Berlusconi nella prima pay-tv in Europa, non senza prestanomi e la sua solita circumnavigazione attorno alle leggi. Al termine del nostro lavoro, tu pubblicasti il tuo reportage in due puntate sul Monde, (“Les fusibles du Cavaliereâ€, “Sur la piste d’un eurocartel de la télévisionâ€). Io scrissi un articolo sul mio giornale d’allora, L’Europeo.

Danielle e io andammo anche a suonare un campanello, a sorpresa, nella via linda di un quartiere giardino della capitale del Lussemburgo: in una elegante villetta bianca viveva uno dei latitanti di Mani pulite, Mauro Giallombardo, allora ricercato dalla giustizia italiana come gestore di una parte delle tangenti del leader socialista Bettino Craxi. Speravamo di poterlo intervistare, o di potergli strappare una qualunque reazione, o almeno di poterlo vedere per scrivere che il grande latitante stava comodamente a casa sua. Ci venne ad aprire una cameriera che indossava una divisa perfetta, grembiulino bianco e crestina, che ci disse, in francese, che “il signore era fuoriâ€.

Danielle mi chiese una grande scheda sulle accuse a Berlusconi di rapporti con Cosa nostra, che già nel 1994 cominciavano a circolare. La vidi pubblicata (“Polémique autour de la Mafiaâ€) con la mia firma sul Monde del 24 novembre 1994. Grande orgoglio, per me allora giovane cronista italiano con venerazione per il giornale parigino. Abbiamo continuato a sentirci, più raramente dopo il suo ritorno a Parigi. Io continuo a pensarla, di tanto in tanto, giornalista generosa e appassionata delle materie su cui scriveva, senza un grammo di quel cinismo che è la malattia contagiosa del giornalismo.
  


Data articolo: Mon, 24 Nov 2025 18:54:48 +0000

Sistema Milano

Milano. La storia di Giovanna e delle “famiglie assediateâ€

Un servizio fotografico di Margherita del Piano/
Supercondominio Quartiere Modello accerchiato dalle architetture della nuova Milano.

Tra il 1940 e il 1942 l’Ingegner Tanzi Mira, un giovane professionista con studio in via Brera progettò e costruì il “Supercondominio Quartiere Modelloâ€, che si estendeva per un intero isolato tra le vie Paoli, Bellani , largo de Benedetti e Via Sassetti, all’angolo con Via Melchiorre Gioia a Milano. Non si sa a cosa fosse dovuta questa denominazione, forse al fatto che il complesso era composto da 10 palazzine, alte massimo 7 piani, disposte intorno a un rigoglioso giardino comune che faceva del condominio un’oasi di tranquillità, un po’ isolato rispetto al contesto urbano.

Il Supercondominio, pur trovandosi in area sensibile tra la Stazione Centrale e la Stazione Garibaldi, è sfuggito miracolosamente ai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Ma la città cambia e, sull’isolato incombe, a nordest, l’edificazione del vicino palazzo della Regione Lombardia (2010). Alcuni condomini gli hanno dovuto far causa perché i raggi luminosi proiettati dalle vetrate concave del nuovo edificio scioglievano loro gli infissi, altri perchè la presenza dell’eliporto dava luogo a continui decolli ed atterraggi di elicotteri davanti alle loro finestre.

Nel frattempo, già dal 2004 il Piano Integrato di Intervento Garibaldi-Repubblica rimodellava quel pezzo di città che va dal vecchio quartiere direzionale degli anni 50-60 alla Stazione Garibaldi. Come i tasselli di un mosaico, di anno in anno nuovi edifici, cantieri, demolizioni, ristrutturazioni, ampliamenti e scavi riempiono la zona. Si costruiscono i grattacieli sulla nuova Piazza Gae Aulenti, le altissime residenze Solaria, il Bosco Verticale, le sedi di Coima e Ibm, la torre Unipol, la Diamond Tower. Al centro di tutto c’è il parco BAM (Biblioteca degli Alberi).

Giovanna abita al quarto piano di una palazzina affacciata sul giardino interno del Supercondominio. Dopo anni di cantieri, dalla finestra e dal balcone della sua cucina, affacciata a sud ovest, ha guadagnato una bella e luminosa vista sul Parco BAM e sui grattacieli, e, anche se ricorda con nostalgia il circo delle Varesine, si ritiene abbastanza soddisfatta.

Ma il Piano Integrato di Intervento non è finito, mancano ancora due piccoli lotti di 32.000 mq di proprietà del Comune di Milano, che nel 2018 (tramite asta pubblica con un solo partecipante: Coima) li vende. Ormai il suolo libero nel nuovo quartiere è pochissimo e vale una fortuna; la zona è una delle più collegate di Milano e gode della recente rivalorizzazione. Il prezzo di vendita è di 79 milioni di euro. (una curiosità : 8 anni dopo, nel 2025, la valutazione economica per la vendita dell’intero stadio di San Siro sarà di 70 milioni di euro). L’allora assessore all’urbanistica Pierfrancesco Maran, quasi a giustificare la vendita di un bene pubblico, dichiarerà che quei soldi serviranno a riqualificare le periferie, mentre i successivi oneri di urbanizzazione verranno investiti per la riapertura del Naviglio della Martesana.

I lotti venduti sono in realtà due parcheggi pubblici situati ai due lati della Via Melchiorre Gioia, proprio sopra le fermate della metrò verde. Il più piccolo dei due, in Via Sassetti, è utilizzato anche dai residenti de l Supercondominio. Nel 2023 il parcheggio viene smobilitato e trasformato in area di cantiere. A nulla vale una raccolta firme di 200 residenti. Sopra i due lotti sorgeranno i “Portali†di Via Melchiorre Gioia, due edifici gemelli composti da 4 torri accoppiate a due a due, con altezze di 7, 14, 15 e 24 piani.

I Portali si presentano con un disegno estremamente semplice e con delle facciate a quadrotti neri e grigi che contengono dei pannelli solari. Il progetto è firmato dalle archistar milanesi Citterio-Viel, che in un’intervista del 2024 dichiarano che le torri si rifanno alla tradizione milanese degli edifici alti, e ambiscono ad essere un landmark fra landmarks. Sul sito del progetto dichiarano : “I Portali sono parte di un più vasto disegno urbano. Alla base del progetto vi sono principi tecnologici innovativi ma anche e soprattutto culturali e sociali, pensando a un’attenta organizzazione degli spazi pubblici e alla relazione con la città.”

Peccato però che il Portale Ovest, composto da due torri di 7 e di 14 piani, sorgerà attaccato al Supercondominio, proprio su quel lato del giardino aperto verso il Parco Bam. Giovanna è disperata, e come lei tutti i residenti che ne condividono l’affaccio. Il cantiere parte nel 2023 ed è molto impattante. Lavori fuori orario, fari accesi anche la notte, rumori insopportabili tutto il giorno, trivellazioni che fanno tremare muri e finestre, polveri e vapori di dubbia origine, il braccio della gru che oscilla minaccioso sopra i tetti, traffico continuo di mezzi pesanti e difficoltà a parcheggiare rendono la vita impossibile ai residenti. Alcuni di loro decidono di scappare, vendendo i loro appartamenti nel momento di massimo mercato.

Man mano che i piani si alzano, Giovanna perde luce, aria e la vista sul Parco Bam. Il suo balcone affaccia su una parete di lastre nere, la sua casa è immersa nell’ombra. Ma Giovanna non può andarsene. A lei non resta che la veduta sul meraviglioso cedro del Libano nel giardino condominiale. A patto di non alzare troppo lo sguardo.

Foto 1 – Vista verso la Via Filippo Sassetti. Al centro il Portale Ovest, composto da due torri per uffici di 7 e 14 piani incastrate fra di loro. Sulla destra la torre del Portale Est. Sulla sinistra le due palazzine gialle e rosse del Supercondominio Quartiere Modello.

Foto 2 – Vista più ravvicinata dell’attacco tra la palazzina rossa, dove vive Giovanna, e il retro delle torri del Portale Ovest. Il lato sud ovest del giardino, che una volta era aperto verso Porta Nuova è ora completamente chiuso dalla nuova costruzione. Sullo sfondo, il grattacielo Isibank detto “scheggia di vetroâ€.

Foto 3 – Vista dall’alto del Quartiere Modello che include la Via Paoli. Sulla sinistra il cantiere del Portale Ovest in fase iniziale (giugno 2024), al posto del parcheggio pubblico.

Foto 4 – Il Supercondominio Quartiere Modello accerchiato, sulla destra, dal Portale Est, sullo sfondo dal Palazzo della Regione e sulla sinistra dal cantiere del Portale Ovest. Le due torri di 7 e 14 piani andranno a chiudere completamente il lato sud-ovest.

Foto 5 – Una palazzina del Supercondominio sembra chiedere un po’ di “spazio liberoâ€.

Foto 6 – Dicembre 2023. Vista sul Parco Bam e su Porta Nuova dalla finestra della residente Giovanna. Il cantiere del Portale Ovest è appena iniziato. Sulla sinistra la gru.

Foto 7 – Giugno 2024. La vista dalla finestra di Giovanna si riduce, e con essa la luce e il ricambio d’aria. Se prima riusciva a vedere il Parco Bam, adesso vede solo la sommità dei grattacieli. Sulla destra il cedro del Libano nel giardino condominiale interno.

Foto 8 – Marzo 2025. La vista dalla finestra di Giovanna è ormai completamente occultata. La torre non è ancora completata.

Foto 9 – Marzo 2025. Il giardino del Supercondominio Quartiere Modello in versione invernale. Il giardino aveva un lato aperto a Sud Ovest, che adesso è stato chiuso dal Portale. Anche il microclima di questo piccolo ecosistema ne soffrirà.

Foto 10 – Dettaglio del giardino sovrastato dal Portale Ovest. I residenti lo utilizzano anche come luogo di ritrovo.

Foto 11 – Il lato del giardino affacciato sulla via Paoli, anch’essa facente parte del Quartiere Modello. Sulla destra il palazzo della Regione Lombardia.

Servizio fotografico di Margherita del Piano. Milano, 14 Maggio 2025

Data articolo: Mon, 24 Nov 2025 16:26:43 +0000

Sistema Milano

Nuove regole per la nuova Commissione paesaggio. Ecco che cosa ci dimostra questa svolta

NUOVA COMMISSIONE PAESAGGIO A MILANO

Il Comune di Milano è tornato entro i confini della legge per quanto riguarda la Commissione paesaggio, il nodo più scandaloso e criminogeno del Sistema Milano:

1. Ha tolto i superpoteri alla Commissione, che decideva sui progetti edilizi (in palese e strutturale conflitto d’interessi) al posto degli uffici comunali. Ora tornerà alla legge: avrà parere consultivo nella «valutazione della coerenza dei progetti con i vincoli degli strumenti paesistico-ambientali vigenti anche in relazione al corretto inserimento paesaggistico». Bene.

2. Ha stabilito che i componenti della Commissione non devono avere alcun incarico professionale sul territorio di Milano durante i tre anni di mandato e per i 18 mesi successivi. Bene (ma da tenere sotto controllo gli eventuali incarichi fuori Milano).

3. Il “ritorno alla legge†è un segnale positivo.
Che però dimostra due fatti:

a. che fino a oggi il Comune era “fuori-leggeâ€.

b. che non era per niente difficile restare nei confini della legge: chi non l’ha fatto in tutti questi anni (sindaci, assessori…) ne è politicamente responsabile.

Gli 11 componenti della nuova Commissione sono: l’ingegnere Gianmarco Zuccherini e gli architetti Aldo Bello, Gabriele Silvano Munari, Marco Rizzoli, Maurizio Monti, Paola Bonzi, Giuseppe Glorioso, Gaia Piccarolo, Virna Mastrangelo, Maura Martina Brugnoni, Vincenza Nardone.

Data articolo: Sat, 22 Nov 2025 10:34:18 +0000

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