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News Potere al popolo

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25 APRILE 2025: LIBERIAMOCI DALLE ARMI
Data articolo:Thu, 17 Apr 2025 12:58:38 +0000

80 anni fa, il 25 aprile 1945, l’insurrezione vittoriosa delle forze partigiane italiane metteva fine all’occupazione nazista e al governo fascista e collaborazionista di Benito Mussolini.
La Resistenza italiana, che non si era mai spenta durante tutto il periodo del fascismo, tenuta in vita dalle organizzazioni clandestine, prima fra tutte il Partito comunista, si ingrossò rapidamente dopo l’armistizio 1943.
Decine di migliaia di giovani italiani e italiane rifiutarono le condizioni e i salari miseri imposti dal corporativismo fascista, ma ancora di più rifiutarono di combattere una guerra imperialista che non avevano voluto. Rifiutarono di opprimere altri popoli e scelsero di combattere contro il comune oppressore.
Si organizzarono nelle brigate partigiane in Italia, ma anche in Grecia e Jugoslavia, dove decine di migliaia di italiani e italiane scelsero di lottare al fianco dei fratelli e sorelle greci e slavi contro il comune nemico fascista.
Se il rifiuto della guerra è oggi scolpito nell’art.11 della Costituzione italiana lo dobbiamo a loro.
Per questo il 25 aprile di quest’anno assume per noi un significato particolare. Di fronte al Rearm Eu che ultradestra e liberali, Meloni, Von Der Leyen e il partito trasversale di Repubblica, vorrebbero imporci. Di fronte alle richieste degli Usa di Trump di innalzare al 3,5% del Pil le spese militari dei paesi Nato per foraggiare le industrie belliche. Di fronte alla barbarie della guerra in Ucraina e del genocidio in Palestina, dobbiamo ricordarci per cosa hanno lottato i nostri nonni e le nostre nonne e riprendere in mano quella battaglia.
Non servono più soldi per arricchire l’industria delle armi, servono soldi per i salari, per la sanità e i servizi, per pensare la rivoluzione ecologica e affrontare la vera sfida del nostro tempo, ossia la crisi climatica. Questa è l’unica vera battaglia che vogliamo e dobbiamo combattere oggi, contro il Governo Meloni, la guerra e il riarmo.
Giú le armi, su i salari.
W il 25 aprile, w la Resistenza antifascista.

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Estero

ASPETTANDO UN NUOVO SPIRITO DI BANDUNG
Data articolo:Thu, 17 Apr 2025 10:40:28 +0000

Negli ultimi giorni di marzo mi trovavo in Cina nella nuova città di Xiong’an, a meno di due ore di macchina da Beijing. La città è stata costruita per ridurre il traffico intenso della capitale, ma sarà anche la casa di donne e uomini che sono desiderosi di sviluppare le forze produttive di nuova qualità della Cina e diventerà il centro di università, ospedali, istituti di ricerca e imprese che producono tecnologie innovative, inclusa l’agricoltura high-tech. Xiong’an punta a raggiungere “zero emissioni nette†di diossido di carbonio utilizzando i big data per orientare le scienze sociali nella direzione di migliorare la qualità della vita quotidiana delle persone.

La città è costruita in mezzo a un’enorme rete di laghi, fiumi e canali, con al centro il lago Baiyangdian. In un freddo pomeriggio, un gruppo di noi – che includeva i membri del team di Tricontinental: Institute for Social Research Tings Chak, Jie Xiong, Jojo Hu, Grace Cao e Atul Chandra – ha preso una barca con cui abbiamo attraversato il lago per visitare un museo dedicato alla lotta contro l’imperialismo giapponese. L’ora che abbiamo speso passeggiando per il museo e il ritorno verso l’acqua sono stati magici. Quando l’esercito imperiale giapponese conquistò la provincia di Hebei (che ha al centro Beijing), tentò di reprimere le classi popolari, compresi i contadini e i pescatori nella regione del lago Baiyangdian. La resistenza messa in piedi nell’area dal Partito comunista della Cina (Communist Party of China, CPC) portò le forze giapponesi a condurre delle rappresaglie contro i villaggi situati sulle piccole isole e sulla costa del grande lago. Il CPC, con il supporto di ex ufficiali dell’esercito, costruì la base antigiapponese Jizhong e successivamente il distaccamento di guerriglia Yanling. Che emozione essere sulle acque di questo enorme complesso di laghi, muoversi con la barca tra le isole fatte di giunchi e immaginarsi i coraggiosi contadini e pescatori che combattono contro l’esercito giapponese nei loro veloci mezzi da sbarco DaihatsudÅtei!

Le donne e gli uomini di Baiyangdian mi hanno fatto tornare alla memoria le storie del coraggioso popolo del distretto di Satara (nell’India occidentale), il cui Toofan Sena (esercito dell’uragano) sottrasse seicento villaggi dal dominio britannico tra il 1942 e il 1943 per creare il Prati Sarkar (governo parallelo). Anche loro venivano dalle classi popolari, molti di loro armati con fucili rudimentali oppure con pistole rubate ai britannici, e hanno sacrificato la propria vita pur di conservare la propria dignità. Dal Baiyangdian e da Satara, vale la pena spostarsi fino agli altopiani del Kenya, dove l’esercito della Terra e della Libertà (conosciuto anche come il Mau Mau) sotto la guida di Dedan Kimathi Waciuri portò avanti la ribellione contro l’imperialismo britannico dal 1952 al 1960. Sono state queste donne e questi uomini – con i piedi ben piantati nella terra delle proprie patrie – a costruire uno stato d’animo antimperialista che è poi stato modellato attraverso una serie di processi: la loro indipendenza nazionale dal governo coloniale (per esempio, l’indipendenza indiana del 1947, la rivoluzione cinese del 1949 e l’indipendenza kenyota del 1963); la partecipazione a incontri globali anti-coloniali (al suo apice nella conferenza asiatico-africana del 1955 a Bandung, in Indonesia); e la loro insistenza sul fatto che le organizzazioni internazionali dovessero riconoscere l’importanza di abolire il colonialismo (ad esempio, attraverso la Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai Paesi e ai popoli coloniali del 1960, che afferma che il “processo di liberazione è irresistibile e irreversibileâ€).

Lo stretto legame tra le lotte di massa dei decenni precedenti al periodo della decolonizzazione che è iniziato verso la fine degli anni Quaranta del secolo scorso ha prodotto ciò che è stato poi conosciuto come lo spirito di Bandung. Il termine di riferisce all’incontro svoltosi in quella città dell’Indonesia nel 1955, che riunì i capi di governo di ventinove Paesi dell’Africa e dell’Asia per discutere e costruire il progetto del Terzo Mondo, che avanzò delle proposte di politiche specifiche per trasformare l’ordine economico internazionale e costruire una società antirazzista e antifascista. A quel tempo, la relazione tra la leadership che aveva sviluppato il progetto e le masse nei loro Paesi era organica. Quella relazione rese possibile l’idea che lo spirito di Bandung potesse diventare una forza materiale in grado di guidare un’agenda internazionalista tra i continenti di Africa, Asia e America latina (dopo la rivoluzione cubana del 1959).

Il nostro ultimo dossier, The Bandung Spirit, pubblicato nell’aprile 2025 per celebrare il settantesimo anniversario della conferenza del 1955, esplora l’importanza di quella relazione organica nel mantenere vivo lo spirito di Bandung – guardando a come i leader dei governi di liberazione nazionale provenissero dalle insurrezioni di massa contro il colonialismo e a come dovessero rispondere a quel stato d’animo e a quelle istituzioni – e indaga se quello spirito rimane intatto ancora oggi. Il dossier risolleva lo splendore delle lotte di massa anticoloniali e lo sforzo di costruire Stati postcoloniali sulle rovine del furto e della deprivazione.

Eppure, come dimostriamo, lo spirito di Bandung è stato in gran parte spazzato via negli anni Ottanta, rimasto vittima della violenza contro i movimenti anticoloniali esercitata dalle vecchie potenze imperialiste (ad esempio attraverso colpi di stato, guerre, sanzioni) e la crisi del debito imposta a questi Paesi dai sistemi finanziari occidentali (il cui valore era stato creato proprio attraverso il furto coloniale). Sarebbe fuorviante affermare che lo spirito di Bandung è vivo e vegeto. Esiste ancora, ma più che altro come un senso di nostalgia e non come il risultato della relazione organica tra le masse in lotta e i movimenti alle soglie del potere.

Oggi, dopo molti decenni di stasi, vediamo la crescita di quello che chiamiamo un “nuovo stato d’animo†nel Sud globale. Eppure, questo stato d’animo non è la stessa cosa di uno spirito. È soltanto un accenno a una nuova possibilità, ma ha un potenziale democratico enorme, con il concetto di “sovranità†al suo centro. Qui seguono alcuni aspetti propri di questo nuovo stato d’animo:

  • Vi è un’ampia comprensione del fatto che le politiche guidate dal FMI di importare debito ed esportare prodotti non lavorati non sono più sostenibili.

  • Vi è il riconoscimento che prendere ordini da Washington o dalle capitali europee non è solo controproducente rispetto agli interessi nazionali ma è anche profondamente coloniale. Un senso di sicurezza verso sé stessi si è sviluppato gradualmente nei Paesi del Sud globale, che sentono di non dover più cambiare le proprie idee ma di doverle articolare in modo chiaro e diretto.

  • Vi è la consapevolezza che la crescita industriale della Cina e di altre locomotive del Sud globale (situate soprattutto in Asia) ha cambiato l’equilibrio di forze nel mondo, soprattutto nell’essere in grado di fornire fonti di finanziamento alternative per i Paesi che sono diventati dipendenti dagli obbligazionisti europei e dal FMI.

  • Il senso di sicurezza ha mostrato che la Cina può aiutare ma non può salvare da sola il Sud globale, e che i Paesi del Sud globale devono sviluppare i propri piani e le proprie risorse, oltre a cooperare con la Cina e altre locomotive del Sud globale.

  • L’importanza della pianificazione centralizzata è stata rimessa sul tavolo dopo decenni di discredito da parte della critica neoliberale. Il ravvedimento di istituzioni statali, inclusi ministeri della pianificazione, ha dimostrato che nel Sud globale i Paesi devono costruire e rafforzare sia competenze tecniche che iniziative di impresa nel settore pubblico. La cooperazione regionale sarà necessaria per sviluppare questo tipo di competenze.

Dieci anni dopo la conferenza di Bandung, l’esercito indonesiano – con il via libera degli Stati Uniti e dell’Australia – uscì dalle caserme e rovesciò il governo di Sukarno. Durante il colpo di stato del 1965, l’esercito e i suoi alleati uccisero circa un milione di membri del Partito comunista d’Indonesia (Partai Komunis Indonesia, PKI) e di altre organizzazioni della classe lavoratrice e contadina. Arrestarono anche vaste porzioni di persone che simpatizzavano con la sinistra. Si trattò di un attacco sferrato tanto contro lo spirito di Bandung quando contro il PKI. Nel periodo tra la sua incarcerazione nel dicembre del 1966 e la sua esecuzione nell’ottobre del 1968, il Segretario generale del PKI Sudisman scrisse non solo delle analisi dei problemi che avevano portato al colpo di stato ma anche delle commoventi poesie sulla determinazione e l’impegno del popolo e sulla necessità dell’organizzazione per lo spirito di Bandung:

L’Oceano è connesso al Monte Krakatau
Il Monte Krakatau è connesso all’Oceano
L’Oceano non si prosciuga
Anche se impazza l’uragano
Il Krakatau non si piega
Anche se soffiano i tifoni
L’Oceano è il Popolo
Il Krakatau è il Partito
I due sempre vicini e sempre insieme
I due connessi l’uno all’altro
L’Oceano è connesso al Monte Krakatau
Il Monte Krakatau è connesso all’Oceano.

È incontrovertibile, Sudisman scrisse dalle profondità di una prigione militare a Jakarta da cui sapeva che non avrebbe potuto fuggire che il popolo non avrebbe sopportato le contraddizioni di imperialismo e capitalismo, che prima o poi avrebbe costruito le sue organizzazioni, e che queste organizzazioni – avvolte in un nuovo spirito – si sarebbero sollevate e avrebbero trasceso le condizioni del nostro tempo. Questi momenti arriveranno, il nuovo stato d’animo si svilupperà in un nuovo spirito.

Con affetto,
Vijay

*Traduzione della sedicesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

Chi è Vijay Prashad?

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[TORINO] “COSTELLAZIONI IIIâ€: A MAGGIO LA TERZA EDIZIONE DEL NOSTRO FESTIVAL!
Data articolo:Mon, 14 Apr 2025 14:40:12 +0000

Dal 9 al 11 maggio alla Casa del Popolo “Estella” (via Martinetto 5/H, Torino)

TRE GIORNI DI INCONTRI, TEATRO, MUSICA, SOCIALITA’ E TANTO ALTRO!

Dal 9 all’11 maggio torna Costellazioni per la sua terza edizione!

L’anno scorso ci siamo salutati dopo tre giorni intensi di dibattiti, socialità e cultura, con la promessa di tornare per un’edizione ancora più ricca. E ora eccoci qui!

Dalla relazione tra città e periferie alla questione abitativa, dalla precarietà lavorativa alle sfide globali: filiere più giuste, anticolonialismo e un nuovo dibattito transfemminista.

Questa terza edizione guarda il mondo con gli occhi di chi ha un futuro in salita, ma ancora tutto da scrivere.

Una città sempre più proiettata verso i giovani, ma a chi parla davvero? Studenti di lusso che alimentano sfratti e affitti alle stelle, bar e locali alla movida dove proprio quei giovani vengono sfruttati, tagli ai servizi e ai diritti in favore di grandi eventi che dettano l’agenda urbana.

Decenni di egemonia neoliberista ci hanno fatto credere che si può farcela solo da sol3 e che non esiste alternativa al presente. Ma la verità è che c’è ancora spazio per organizzarsi, immaginare e trasformare la storia di tutt3.

Con la terza edizione di Costellazioni, vogliamo contribuire a costruire questo futuro.
Come lo scorso anno, a maggio la Casa del Popolo Estella sarà un luogo di dibattito, socialità e formazione, con musica, buon cibo e tanta bella gente.
Impossibile mancare!

Tutti gli eventi saranno ad ingresso libero.

Oltre ai dibattiti e agli eventi troverai:

  • ogni giorno troverai cibo e bevande per tuttÇ
  • sabato dalle h 15:00 SERIGRAFIA e SWAP PARTY, a cura di Spazio Muffa.
  • sabato e domenica dalle h 15:00 CONTRO/CONSUMO, piccolo mercatino in cui troverete un’insieme di artigiani, artisti e creativi accomunati dalla loro opposizione alle logiche del consumismo.

VENERDÌ 9 MAGGIO, h 17:30

Cibo e moda sono status symbol, ma dietro si nascondono filiere globali che saccheggiano il pianeta e sfruttano milioni di persone. Ogni anno, un terzo del cibo e 40.000 tonnellate di vestiti diventano rifiuti. Le multinazionali rubano terra e acqua, perpetuando forme di colonialismo, mentre i lavoratori rischiano la vita per salari da fame.
Possiamo cambiare questa situazione solo con il “potere” del consumatore o è necessario ripensare l’intero modello di produzione e consumo?

Ne parliamo con:

  • Deborah Lucchetti, coordinatrice di Campagna Abiti Puliti
  • Davide Cirillo, ricercatore su conflitti socio-ambientali
  • Federico Scirchio, attivista di Ecologia Politica Network

VENERDI’ 9 MAGGIO, h 20:30

Un racconto che abbiamo letto su un poeta che non abbiamo conosciuto.

Spettacolo di Nicolas Toselli, con Antonio Capone, Lara Cosentino e Nicolas Toselli.

SABATO 10 MAGGIO, h 15:00

“Alleanze ribelli†(edito da Progetto Me-Ti) non vuole essere solo un testo teorico, ma un progetto militante. Le autrici e gli autori, tra le voci più note del movimento transfemminista spagnolo, muovono dal presupposto che non esiste uno ma molti femminismi e che non solo abbiamo la possibilità di dissentire da alcuni di essi, ma anche il dovere di spiegare le nostre discrepanze.
La proposta teorica e militante è quella un transfemminismo materialista, che non assuma derive identitarie, ma unisca il fronte delle persone oppresse costruendo alleanze con altri movimenti e lotte sociali.

Con:

  • Viola Carofalo, Progetto Me-Ti
  • Clara Serra, filosofa e autrice femminista

SABATO 10 MAGGIO, h 17:30

Maranza, criminali, fannulloni che infestano le nostre città. Per lo Stato, un problema di ordine pubblico da arginare con carcere e zone rosse.

Ma la retorica della sicurezza nasconde la guerra contro gli ultimi. Disoccupazione, tagli ai servizi e precarietà, l’unica risposta è la repressione, anche delle forme di mutualismo e
resistenza.

Ai giovani delle periferie non e solo negato il futuro, ma anche la possibilità di raccontarsi. La loro rabbia è il segno di un conflitto che va riconosciuto e organizzato.

Ne parliamo con:

  • Giuliano Granato, portavoce di Potere al Popolo!
  • Paolo Grassi, antropologo, ricercatore presso l’Università di Milano-Bicocca e co-responsabile di CURA Lab (Laboratorio di Ricerca e Intervento su Culture Urbane e Rappresentazioni del Margine)
  • Quarticciolo Ribelle, realtà attiva nella periferia romana tra autorganizzazione, mutualismo e conflitto
  • Antigone, da anni impegnata nella difesa dei diritti nelle carceri e contro gli abusi del sistema penale

SABATO 10 MAGGIO, h 20:00

Concerto con:

  • Lorenzo Del Grande
  • Carlomagno

DOMENICA 11 MAGGIO, h 12:00

Workshop e pranzo a cura di Sorella Palestina.

DOMENICA 11 MAGGIO, h 16:30

Le città italiane sono spesso descritte come smart e innovative, ma la realtà per molti residenti è ben diversa. L’aumento del lavoro precario e dei bassi salari, unito alla crescente difficoltà di trovare alloggi accessibili, sta trasformando i centri urbani in luoghi sempre più inospitali per chi vive del proprio lavoro.

Ne parliamo con:

  • Paolo “Tex” Tessarin, co-autore di “Foodification – come il cibo si è mangiato le città” e membro del collettivo politico Sistema Torino
  • Francesco Chiodelli, professore presso l’Università di Torino e dirigente del centro di ricerca in studi urbani OMERO
  • Prendocasa, collettivo attivo da anni sulla questione abitativa

DOMENICA 11 MAGGIO, h 19:00

Jam musicale

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21 GIUGNO MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA CONTRO GUERRA E RIARMO, 24 MAGGIO ASSEMBLEA NAZIONALE.
Data articolo:Sun, 13 Apr 2025 14:06:12 +0000

L’incontro nazionale che si è tenuto a Roma domenica 13 Aprile, promosso da 40 sigle tra partiti, associazioni realtà del sindacalismo di base e del mondo pacifista e studentesco, ha avviato un percorso per la costruzione di una manifestazione nazionale per il 21 giugno a Roma, a pochi giorni dal vertice Nato dell’Aia. Per preparare la manifestazione si convoca una assemblea nazionale il 24 maggio. È fondamentale in questo momento coinvolgere più realtà, organizzazioni, intellettuali e membri della società civile disponibili a costruire un fronte ampio e indipendente contro le politiche belliciste, il riarmo, la Nato e il genocidio in Palestina e per riconvertire gli investimenti in armi in spese sociali. La lotta contro il riarmo e la guerra non può essere merce di scambio elettorale. Per costruire questo percorso sono stati individuati una serie di punti su cui concentrarsi per favorire la maggior convergenza possibile.

1) il disarmo come unica scelta giusta e razionale per il futuro dell’umanità. Il disarmo richiede la immediata de escalation delle armi e delle spese militari, il cessate il fuoco in ogni luogo di guerra per giungere ad un accordo di disarmo generalizzato che metta al bando le armi nucleari e riduca gli eserciti.

2) No al riarmo europeo, nè su base nazionale nè sotto l’ipocrita ombrello della difesa comune europea. L’esercito comune europeo presentato come alternativa al riarmo nazionale, nella UE burocratica e antidemocratica attuale, sarebbe una mostruosità golpista e guerrafondaia . L’Europa deve diventare un continente di pace dall’Atlantico agli Urali.

3) Il primo atto di pace e giustizia nel mondo è la libertà del Popolo Palestinese. Nessuna vera pacificazione sarà possibile se Israele, con il sostegno e la complicità degli USA e dell’Occidente, potrà continuare il genocidio di un intero popolo. Tutti i criminali israeliani e i loro complici vanno portati alla sbarra della giustizia, il regime coloniale di apartheid in Palestina deve essere smantellato con il pieno diritto al ritorno di tutti i profughi cacciati dalla loro terra e l’autodeterminazione democratica. Fino ad allora la resistenza palestinese all’oppressore va sostenuta in tutte le sue forme e Israele va boicottata e sanzionata.

4) Basta con la NATO, unica alleanza militare aggressiva la mondo, che, al di là della retorica liberale, sostiene con le armi e la guerra il suprematismo bianco occidentale. La NATO va sciolta e in ogni caso l’Italia deve uscire dalla NATO e smantellare le enormi basi e servitù militari americane sul suo territorio. Un ruolo neutrale dell’Italia darebbe un grande contributo alla pace in Europa e nel mondo e aprirebbe spazi enormi per lo sviluppo economico e sociale del paese.

5) Stato sociale e non stato di guerra. Vogliamo la forte riduzione e non l’aumento delle spese militari. Vogliamo la fine delle politiche di austerità e non a favore dell’economia di guerra, ma per la sanità pubblica, la scuola e la formazione, le case, i diritti sociali. Vogliamo la fine della guerra contro il lavoro condotta nel nome del profitto e della competitività a tutti i costi, che oggi ci sta portando alla guerra vera e propria. Vogliamo la redistribuzione della ricchezza tra le classi sociali e tra i popoli e la fine del dominio liberista sull’economia e sulla società.

6) La prima difesa dell’ambiente è eliminare la guerra, che resta la prima devastazione e soppressione di ogni forma di vita sul pianeta. Le colossali risorse economiche e scientifiche oggi spese per le armi e per la guerra vanno riconvertite per la giustizia climatica e ambientale. Per fermare la distruzione della natura oggi è necessario un cambiamento generale del sistema di vita a partire dai paesi più ricchi del pianeta, l’economia di guerra e la guerra invece sostengono con le armi e la violenza un sistema non più sostenibile.

7) No al razzismo. No alle politiche discriminatorie, ai muri, alla guerra verso i migranti che si stanno diffondendo tra tutti i governi del mondo occidentale e che sono parte della follia bellicista dilagante. Non c’è libertà se una parte rilevante degli abitanti di un paese non sono cittadini come gli altri e sono considerati solo in base allo sfruttamento al quale possono essere sottoposti. Non c’è pace se dilaga il razzismo di stato verso i migranti che alimenta quello nella società. La distruzione del regime autoritario speciale che opprime i migranti è parte fondamentale della nostra libertà.

8) No allo stato di polizia e al neofascismo. No alla distruzione della democrazia nel nome della sicurezza interna e del nemico esterno. Leggi fasciste come il Decreto Sicurezza vanno contrastate in ogni modo, così come bisogna lottare contro la propaganda bellicista, contro la caccia alle streghe verso il dissenso e il pacifismo. Oggi il sistema mediatico e la propaganda politica reazionaria e liberale invocano censura e repressione contro chi si oppone al genocidio in Palestina o al riarmo per la guerra. L’intolleranza del potere è parte della logica e della politica di guerra e resistere ad essa è un dovere politico e morale.

La riunione ha poi invitato a fare del 25 aprile una data di mobilitazione diffusa contro riarmo guerra e genocidio in Palestina e ha aderito in modo convinto alla manifestazione del 31 maggio a Roma contro il ddl 1660 promossa dalla rete no ddl. Si invitano i territori a una mobilitazione il 2 giugno nelle modalità da decidere nell’assemblea del 24 maggio.

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Calabria

[REGGIO CALABRIA] PRECARIETÀ STRUTTURALE NELLA SCUOLA E NELL’AFAM: UNA CRISI SISTEMICA E LE PROSPETTIVE DI LOTTA
Data articolo:Sat, 12 Apr 2025 09:41:35 +0000

Negli ultimi decenni, il sistema educativo italiano è stato progressivamente smantellato attraverso politiche neoliberiste che hanno favorito la precarizzazione del lavoro docente e il definanziamento strutturale dell’istruzione pubblica. Se da un lato si moltiplicano le retoriche sul “merito†e sulla “qualità della formazioneâ€, dall’altro i numeri evidenziano una realtà drammatica: negli ultimi otto anni il numero dei docenti precari è raddoppiato, passando dal 12% al 24%, con un incremento da 100.277 a 234.576 unità.[1]

Il fenomeno della precarietà lavorativa è particolarmente allarmante nel settore dell’Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM), dove i docenti, pur avendo titoli di alto livello e una competenza riconosciuta a livello internazionale, rimangono intrappolati in un limbo contrattuale che nega loro diritti e stabilità. Questo ha prodotto una distorsione paradossale: gli studenti che si diplomano e trovano un’occupazione stabile prima dei loro stessi insegnanti.[2]

Di fronte a questa situazione, appare evidente che la precarizzazione del lavoro docente non sia un’anomalia da correggere, bensì un elemento strutturale del modello economico e politico imposto al settore pubblico negli ultimi decenni.

  1. Il precariato come strategia sistemica: le cause strutturali

La crescente precarizzazione del personale docente non è un semplice effetto collaterale della crisi economica, ma una scelta politica deliberata funzionale a obiettivi ben precisi.

Dal 2008 in poi, con il pretesto della crisi economica, i governi italiani hanno avviato una politica di tagli lineari alla scuola e all’università. Tra il 2008 e il 2019, l’Italia ha ridotto il finanziamento pubblico per l’istruzione di oltre il 7%, mentre altri paesi dell’UE hanno aumentato gli investimenti nello stesso periodo.[3]

L’introduzione di meccanismi come la “chiamata diretta†e l’uso sistematico dei contratti a termine ha permesso di frammentare la forza lavoro docente, riducendone la capacità di organizzarsi sindacalmente. Un docente precario è, per definizione, meno incline a contestare le direttive ministeriali o a scioperare, perché il suo futuro lavorativo è incerto.

Mentre il settore pubblico subisce tagli continui, il finanziamento alle scuole e alle università private è aumentato costantemente negli ultimi dieci anni. Nell’anno accademico 2023/2024, il governo ha stanziato oltre 700 milioni di euro per gli istituti paritari,[4] mentre le università statali soffrono una costante riduzione di fondi per la ricerca e il reclutamento di docenti.

  1. Il caso AFAM: il paradosso della precarietà permanente

Il settore dell’AFAM rappresenta un caso emblematico della precarizzazione nel sistema educativo italiano. Nonostante il riconoscimento dell’importanza delle istituzioni AFAM nel panorama culturale e artistico europeo, il corpo docente continua a essere trattato come una forza lavoro usa e getta.

Secondo fonti sindacali, nel 2023 oltre il 70% del personale docente AFAM era impiegato con contratti a termine, con situazioni di instabilità lavorativa che durano anche oltre dieci anni. La Camera dei Deputati, nell’ordine del giorno del 31 luglio 2023, ha riconosciuto la necessità di un piano straordinario di stabilizzazione, ma a distanza di mesi nessun provvedimento concreto è stato adottato.[5]

Questa situazione non è solo un’ingiustizia nei confronti dei lavoratori, ma ha conseguenze dirette sulla qualità della formazione artistica e musicale. L’assenza di stabilità lavorativa impedisce ai docenti di pianificare percorsi didattici di lungo periodo e indebolisce il legame tra insegnamento e ricerca artistica.

  1. La necessità di una mobilitazione collettiva

Negli ultimi mesi, le proteste contro la precarizzazione della scuola e dell’AFAM si sono intensificate, con scioperi e manifestazioni in diverse città italiane. Tuttavia, è necessario un salto di qualità nella mobilitazione. Non basta più resistere: è necessario costruire un fronte ampio che metta in discussione l’intero modello di gestione dell’istruzione pubblica.

Le rivendicazioni devono includere un piano straordinario di stabilizzazione per tutti i docenti precari con almeno 3 anni di servizio, l’abolizione dell’uso sistematico dei contratti a termine nella scuola e nell’AFAM, un rifinanziamento strutturale del settore dell’istruzione pubblica, con l’eliminazione dei fondi alle scuole private.

Tuttavia, senza una mobilitazione di massa che coinvolga studenti, docenti e personale amministrativo, il rischio è che il sistema educativo italiano continui a scivolare verso un modello sempre più precario e privatizzato.

La precarietà non è una condizione inevitabile, ma il risultato di scelte politiche precise. Invertire questa tendenza significa rimettere al centro il valore della scuola e dell’alta formazione come strumenti di emancipazione collettiva.

  1. Per questi motivi, noi abbiamo preso parte allo sciopero nazionale che si è tenuto il 4 aprile

La lotta contro la precarizzazione non può limitarsi alla scuola e all’AFAM, ma deve necessariamente includere l’intero sistema dell’istruzione superiore. Il mondo universitario soffre le stesse dinamiche di tagli strutturali, contrattualizzazione precaria e progressiva aziendalizzazione, come denunciato da anni dai lavoratori dell’Unione Sindacale di Base (USB)​.

Uno degli aspetti più gravi è la progressiva esternalizzazione dei servizi e il depotenziamento del personale tecnico, amministrativo e bibliotecario (TAB), che costituisce un pilastro essenziale del funzionamento degli atenei. Il mancato investimento su queste figure, così come sulla stabilizzazione del personale accademico, ha reso l’università un luogo sempre più elitario e inaccessibile per le classi popolari​.

Lottare per la stabilizzazione del personale significa dunque combattere per un’università pubblica accessibile, libera e realmente democratica. USB ha messo in evidenza la necessità di maggiore finanziamento al sistema pubblico universitario, con l’abolizione dei limiti al turnover e un piano straordinario di assunzioni; abolizione della logica del precariato strutturale, che colpisce docenti, ricercatori e personale tecnico-amministrativo; parità di trattamento tra i lavoratori dell’istruzione superiore, con il riconoscimento di un comparto contrattuale unitario per Università, Ricerca e AFAM​.

Lo sciopero del 4 aprile è stata un’occasione cruciale per unificare le lotte della scuola, dell’AFAM e dell’università in un fronte comune contro la privatizzazione dell’istruzione pubblica e la precarizzazione del lavoro. Solo attraverso una mobilitazione collettiva e radicale potremo invertire questa tendenza distruttiva e riaffermare il valore sociale della conoscenza e della formazione.

Infine, urge affermare (anzi, ribadire) ciò che ormai si è perduto: l’arte e la musica SONO lavori. Se si sminuiscono gli anni di studio, pratica, esibizione su palchi con fare semplicistico ed associandolo principalmente ad un hobby, oltre a non comprendere mai la fatica che c’è dietro, si legittima una narrazione che giustifica il mancato riconoscimento economico e contrattuale di chi opera in questi settori. Questa retorica svalorizza il contributo culturale e sociale di musicisti, artisti e docenti AFAM, alimentando un sistema che li costringe alla precarietà anziché riconoscerli come lavoratori a pieno titolo, con diritti e tutele adeguate.

[1] https://www.orizzontescuola.it/precari-docenti-e-ata-in-otto-anni-numeri-raddoppiati-dal-12-al-24-mappa-della-precarieta-uil-scuola-rua/

[2] https://anief.org/stampa/news/6125-afam-paradosso-tutto-italiano-gli-studenti-entrano-di-ruolo-e-i-loro-insegnanti-restano-precari

[3] https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/educ_uoe_fini01/default/table?lang=en

[4] https://www.mim.gov.it/-/scuola-da-mim-oltre-700-milioni-per-le-scuole-paritarie-valditara-tutte-le-realta-educative-del-sistema-pubblico-devono-essere-valorizzate-particolare

[5] https://www.rivistamusica.com/la-protesta-dei-precari-afam/

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Calabria

[CATANZARO] DAL GOVERNO FASCISTA PIÙ GUERRA E PIÙ REPRESSIONE!
Data articolo:Sat, 12 Apr 2025 09:38:34 +0000

Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge indebitamente intitolato alla Sicurezza.

Con questo atto il governo Meloni esautora il Parlamento, perché “troppo lentoâ€, e trasforma il disegno di legge che si stava discutendo al Senato, utilizzando lo strumento della decretazione d’urgenza, in decreto-legge.

Siamo difronte ad un cambio di paradigma, ad una ulteriore stretta securitaria. Uno atto che calpesta la Costituzione e la democrazia. Un vero colpo di Stato. In tal modo le destre vogliono dotarsi di più efficace strumentazione repressiva per fronteggiare le crescenti mobilitazioni contro il riarmo e la guerra.

Chiediamo al Presidente Mattarella, in virtù della sua funzione istituzionale, dove stanno i requisiti di “straordinaria necessità ed urgenza†e i “contenuti omogenei†richiesti, per i decreti, dalla Costituzione? Il Parlamento viene trattato, ancora una volta, come un inutile ornamento se un decreto sostitutivo di una legge già in discussione (giunta alle ultime battute per l’approvazione) sottrae al Parlamento stesso la funzione legislativa conferita dall’articolo 70 della Costituzione. Entro il mese di aprile il Parlamento avrebbe sicuramente varato la legge. Di conseguenza il requisito della “urgenza†richiesto dalla Costituzione non esiste. L’unica motivazione sta nella volontà di questo governo di imporre lo Stato di polizia.

Il decreto legge assorbe il ddl Sicurezza. Dei 38 articoli in discussione solo 6 sono stati “limati†perché a rischio incostituzionalità, ma l’impianto rimane sostanzialmente invariato.

Il testo dopo la pubblicazione entrerà subito in vigore, e passerà al Parlamento, che avrà sessanta giorni di tempo per convertirlo in legge e senza che i parlamentari lo possano cambiare se non per aspetti molto marginali (la differenza tra un disegno di legge e un decreto-legge sta qui, tra le altre cose).

Nel decreto-legge sono previste nuove norme che aumentano le possibili pene per chi manifesta e potenziano le forze di polizia e i servizi segreti. Ma ci sono anche provvedimenti contro la cannabis light.

Cosa prevede il decreto-legge:

  • La norma che obbligava gli enti pubblici (incluse le università e la Rai) a collaborare con i servizi segreti e fornire loro informazioni, anche ignorando le norme sulla privacy e sulla riservatezza, è diventata facoltativa;
  • La resistenza passiva, in carcere, non è più considerata pari al reato di rivolta. In questo caso, il (leggero) cambiamento è che potrà essere condannato solo chi non obbedisce a degli ordini impartiti per “il mantenimento dell’ordine e della sicurezza†nel carcere. Resta comunque possibile condannare chi non segue gli ordini, anche se non fa alcun danno materiale a persone o cose. La stessa regola si applica per le rivolte nei Cpr, mentre nei centri di accoglienza non può esistere il reato di rivolta;
  • Il punto del disegno di legge che puniva chi protesta contro la realizzazione di opere pubbliche, un passaggio che sembrava scritto appositamente per le contestazioni no Tav e le manifestazioni contro il ponte sullo Stretto di Messina, sostanzialmente non cambia. Viene riscritto e il reato non si applica per tutte le opere pubbliche, ma solo a quelle che servono per il trasporto, le telecomunicazioni, l’energia o altri servizi pubblici;
  • C’era poi la controversa norma sulle schede sim vendute ai migranti: il ddl Sicurezza vietava di farlo a chi non avesse un permesso di soggiorno. La novità emersa nel decreto, anche in questo caso per andare incontro al Quirinale, è che ‘basterà’ un passaporto o un documento di riconoscimento come la carta d’identità;
  • Il decreto punta a rafforzare il contrasto al terrorismo, introducendo il reato di possesso di materiali utili alla preparazione di attentati. Chi viene trovato in possesso di manuali, istruzioni o strumenti utilizzabili per atti terroristici rischia da 2 a 6 anni di carcere, mentre la diffusione di tali contenuti, anche online, comporterà una condanna fino a 4 anni;
  • Per contrastare le occupazioni abusive, il decreto introduce una pena da 2 a 7 anni di carcere per chi occupa un’abitazione privata con violenza o minaccia, e la polizia potrà intervenire immediatamente per sgomberare gli occupanti. Inoltre, il decreto prevede pene più severe per chi commette reati nelle stazioni ferroviarie e sui mezzi pubblici, come furti e aggressioni;
  • Per i reati di aggressione o resistenza a pubblico ufficiale, prima, la legge prevedeva che nelle sentenze su questi illeciti non si dovessero più considerare le attenuanti generiche. L’idea è stata eliminata, perché non rispettava il principio che il diritto penale si deve applicare a tutti allo stesso modo;
  • Una novità riguarda la tutela legale per le forze dell’ordine: il decreto aumenta le pene per chi aggredisce poliziotti, carabinieri e vigili del fuoco, con sanzioni da 2 a 5 anni per lesioni semplici, da 4 a 10 per lesioni gravi e da 8 a 16 per lesioni gravissime. Viene introdotto anche un finanziamento di 10 milioni di euro per l’uso delle bodycam da parte degli agenti e un rimborso fino a 10.000 euro per le spese legali degli agenti indagati per fatti di servizio. Se l’agente sarà riconosciuto colpevole con dolo, dovrà restituire l’importo ricevuto;
  • Infine, le donne incinte e con figli di meno di un anno: il ddl prevedeva che per loro non fosse più facoltativa la detenzione in carcere, ma obbligatoria. Il decreto mantiene questo obbligo, ma sposta la detenzione dal carcere agli Istituti di custodia attenuata per le madri incinte;
  • Tra le misure più discusse, spicca il divieto di vendita della cannabis light: il decreto vieta la commercializzazione di infiorescenze di canapa e derivati come oli e resine, chiudendo il dibattito sulla legalità di questi prodotti. Infine, il provvedimento introduce un inasprimento delle sanzioni per chi non si ferma all’alt della polizia: oltre alla multa, si rischia ora la sospensione della patente fino a un anno;

Dopo la criminale decisione della Commissione von der Leyen di lanciare un faraonico piano di riarmo da 800 miliardi di euro, c’era da aspettarsi questa accelerazione della stretta repressiva. E non è una coincidenza che il boia Netanyahu venga accolto in Europa con tutti gli onori: la sua ferocia genocida contro i palestinesi piace ai governanti europei che programmano la loro guerra interna contro quanti/e intendono battersi, e si batteranno, contro la corsa ad un nuovo apocalittico conflitto militare globale inter-imperialista.

Rispondiamo a questo colpo di mano da stato di guerra che “CONTRO LA VOSTRA IN-SICUREZZA AI NOSTRI POSTI CI TROVERETE!

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Estero

IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI BUCHENWALD FU LIBERATO DA PRIGIONIERI COMUNISTI
Data articolo:Thu, 10 Apr 2025 13:42:38 +0000

Ottant’anni fa, l’11 aprile 1945, le unità della 4ª Divisione Corazzata delle forze armate statunitensi del generale George S. Patton si diressero verso la città di Weimar, in Germania, dove si trovava il campo di concentramento di Buchenwald. Le truppe di Patton presero il controllo del campo, ma le dichiarazioni dei soldati, raccolte in seguito da storici e storiche, fanno capire che non furono i carri armati statunitensi a liberare Buchenwald: il campo era già stato occupato dall’organizzazione e dal coraggio delle persone che vi erano tenute prigioniere che avevano approfittato della fuga dei soldati tedeschi di fronte all’avanzata alleata.

Le persone imprigionate per motivi politici nel campo di concentramento di Buchenwald si erano costituite in gruppi di combattimento (Kampfgruppen) che usarono il loro deposito di armi segreto per fomentare una rivolta all’interno del campo, disarmare le guardie naziste e impadronirsi della torre all’ingresso del campo. In seguito sventolarono una bandiera bianca dalla torre formando un cerchio intorno al campo per informare le truppe statunitensi che avevano già liberato il campo di concentramento di Buchenwald. “Das Lager hatte sich selbst befreit”, dicevano; “Il campo si è liberato”.

La ribellione non fu limitata a Buchenwald. Nell’agosto del 1943, a Treblinka ci fu una ribellione armata che, nonostante l’uccisione delle persone protagoniste della rivolta, costrinse il regime nazista a chiudere questo ripugnante campo di sterminio (nel quale avevano ucciso quasi un milione di persone ebree).

L’Armata Rossa dell’Unione Sovietica e le forze statunitensi liberarono diversi campi, la maggior parte dei quali erano terribili campi di sterminio. Le truppe statunitensi liberarono Dachau nell’aprile del 1945, ma fu l’Armata Rossa ad aprire le porte alla maggior parte dei campi peggiori, come Majdanek (luglio 1944), Auschwitz (gennaio 1945) in Polonia e Sachsenhausen (aprile 1945) e Ravensbrück (aprile 1945) in Germania.

Nel luglio 1937, il regime nazista portò le persone imprigionate a Sachsenhausen in un’area vicino a Weimar (patria di Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Schiller, nonché il luogo in cui fu firmata la Costituzione tedesca del 1919) e le forzò a disboscare quasi 200 ettari di foresta per costruire un campo di concentramento per ospitare 8.000 persone, che il comandante del campo nazista Hermann Pister (1942-1945) utilizzò per esperimenti medici e lavori forzati. Alla chiusura del campo, otto anni dopo, questo conteneva quasi 280.000 persone (per lo più comunistÉ™, socialdemocraticÉ™, rom e sinti, ebreÉ™ e dissidenti cristianÉ™). Alla fine del 1943, le forze naziste uccisero quasi 8.500 prigionieri di guerra sovietici nel campo e uccisero molti comunisti e socialdemocratici. I nazisti uccisero un totale stimato di 56.000 prigionieri in questo campo, tra cui il leader del Partito Comunista di Germania (KPD) Ernst Thälmann, che fu ucciso a colpi di arma da fuoco il 18 agosto 1944 dopo undici anni di isolamento. Ma Buchenwald non era un campo di sterminio come Majdanek e Auschwitz. Non faceva direttamente parte dell’orribile “soluzione finale della questione ebraica” di Adolf Hitler (Endlösung der Judenfrage).

All’interno di Buchenwald, le persone comuniste e socialdemocratiche istituirono il Comitato Internazionale del Campo per organizzare la loro vita nel campo e per condurre atti di sabotaggio e di ribellione (anche, ed è da notare, contro le vicine fabbriche di armamenti). Alla fine l’organizzazione maturò nel Comitato del Fronte Popolare, istituito nel 1944, con quattro leader: Hermann Brill (Fronte Popolare Tedesco), Werner Hilpert (Democratici Cristiani), Ernst Thape (Socialdemocratici) e Walter Wolf (Partito Comunista di Germania). L’aspetto più importante di questa iniziativa era che, nonostante la condizione di prigionia, il comitato aveva già iniziato a discutere il possibile futuro di una nuova Germania denazificata che si sarebbe basata su un’economia cooperativa. Mentre era a Buchenwald, Wolf scrisse Una critica dell’irragionevolezza: sull’analisi della pseudo-filosofia nazionalsocialista.

Una settimana dopo la liberazione di Buchenwald, le persone che si erano liberate posero una scultura di legno vicino al campo come simbolo della loro resistenza antifascista. Volevano ricordare il campo non per le uccisioni, ma per la resistenza durante l’incarcerazione e la loro autoliberazione. Nel 1945 avevano già formulato il giuramento di Buchenwald, che divenne il loro credo: “Rinunceremo alla lotta solo quando l’ultimo colpevole sarà stato giudicato dal tribunale di tutte le nazioni. La distruzione assoluta del nazismo, fino alle sue radici, è il nostro mezzo. La costruzione di un nuovo mondo di pace e di libertà è il nostro ideale”.

Il campo, allora nella Repubblica Democratica Tedesca (DDR o Germania dell’Est), fu trasformato in una prigione per i nazisti che attendevano il loro processo. Alcuni nazisti, tra cui il sindaco di Weimar, Karl Otto Koch, che aveva organizzato l’arresto degli ebrei in città nel 1941, furono fucilati per i loro crimini. Nel frattempo, al di là della cortina di ferro, la Repubblica Federale di Germania (Germania Ovest) incorporò rapidamente le persone che erano state parte del regime nazista nella burocrazia statale, con due terzi del personale senior della Bundeskriminalamt (la polizia criminale federale) composto da loro. Con la fine del processo i resti di Buchenwald entrarono a far parte del progetto di commemorazione pubblica nella DDR.

Nel 1958, Otto Grotewohl, un socialdemocratico che fu il primo Primo Ministro della DDR, aprì il campo a centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici e bambini e bambine delle scuole per visitare gli edifici, ascoltare le storie delle atrocità e della resistenza e impegnarsi nell’antifascismo. Nello stesso anno, l’ex prigioniero Bruno Apitz pubblicò Nackt unter Wölfen (Nudo tra i lupi), che raccontava la storia di come il movimento di resistenza nel campo nascose un ragazzino a grande rischio per il movimento stesso, e poi di come il movimento conquistò il campo nel 1945. Nel 1963 nella DDR il romanzo è stato trasformato in un film da Frank Beyer, che si è basato sulla testimonianza di Stefan Jerzy Zweig, il ragazzo al quale fu evitata così la deportazione ad Auschwitz. Zweig è sopravvissuto al calvario ed è morto all’età di 81 anni a Vienna nel 2024.

La DDR ha plasmato la sua cultura nazionale attorno al tema dell’antifascismo. Nel 1949, il Ministero dell’Istruzione Popolare esortò le scuole a costruire un calendario di eventi che mettessero in risalto la lotta antifascista piuttosto che le festività religiose, come la Giornata Mondiale della Pace invece del Fasching (Martedì Grasso). Anche la vecchia Jugendweihe (cerimonia di iniziazione dei e delle giovani) è stata rimodellata da semplice rito di passaggio a promessa di impegno nell’antifascismo. Le scuole portavano i e le loro studenti in gita a Buchenwald, Ravensbrück e Sachsenhausen per conoscere l’orrore del fascismo e coltivare i valori umanisti e socialisti. Questo fu un potente esercizio di trasformazione sociale per una cultura che era stata trascinata nel nazismo.

Quando la Germania Ovest annesse l’est nel 1990, iniziò un processo che minò i progressi dell’antifascismo sviluppati nella DDR. Buchenwald è stato il ground zero di questo esercizio. In primo luogo, la gestione di Buchenwald divenne una controversia. La dottoressa Irmgard Seidel, che nel 1988 aveva preso il posto dell’ex prigioniero del KPD Klaus Trostorff come direttrice, ha saputo del proprio licenziamento da un articolo di giornale (la dottoressa Seidel era la studiosa che indagando sui registri delle SS, aveva scoperto che c’erano 28.000 donne prigioniere a Buchenwald che lavoravano come schiave, in gran parte nelle fabbriche di armamenti). Il suo sostituto Ulrich Schneider fu poi rimosso quando si scoprì che era stato un membro del partito comunista della Germania Ovest. A Schneider seguì Thomas Hofmann, che era sufficientemente anticomunista da compiacere la nuova dirigenza politica. In secondo luogo, l’orientamento antifascista della memoria pubblica doveva essere modificato per incoraggiare l’anticomunismo, ad esempio minimizzando il memoriale di Thälmann. Una nuova enfasi fu posta sull’uso sovietico di Buchenwald per imprigionare i nazisti.

Storici e storiche della Germania dell’ovest cominciarono a scrivere resoconti dicendo che furono i soldati di Patton, e non le persone imprigionate, a liberare il campo – questa era l’interpretazione, ad esempio, dell’influente Buchenwald und die DDR di Manfred Overesch. Oder die Suche nach Selbstlegitimation (Buchenwald e la DDR. La ricerca dell’autolegittimazione) del 1995. Nel giugno 1991, il cancelliere tedesco Helmut Kohl presiedette una cerimonia per l’installazione di sei grandi croci per le vittime della “dittatura del terrore comunista” e parlò dei crimini nazisti come se fossero identici alle azioni dell’Unione Sovietica. Tra il 1991 e il 1992, lo storico tedesco Eberhard Jäckel guidò una commissione per riscrivere la storia di Buchenwald, accusando le persone comuniste che vi erano state detenute di collaborare con le forze naziste, commemorando poi le “vittime” del carcere antifascista. Si trattava di un riordino ufficiale dei fatti storici per legittimare le forze fasciste e indebolire quelle antifasciste. Negli ultimi anni questo revisionismo storico ha raggiunto nuovi livelli. I rappresentanti diplomatici di Russia e Bielorussia, due ex repubbliche sovietiche, sono stati esclusi dagli eventi commemorativi annuali. Nei discorsi tenuti al memoriale, gli oratori hanno equiparato i campi di concentramento nazisti ai campi di lavoro sovietici. E mentre le bandiere israeliane sono state esposte apertamente a Buchenwald, ai visitatori che indossavano la kefiah è stato vietato l’accesso ai locali e qualsiasi menzione del genocidio in Palestina è stata rimproverata.

Negli anni ’50, alcuni artisti comunisti si unirono per costruire una serie di memoriali a Buchenwald per commemorare la lotta contro il fascismo. Gli scultori René Graetz, Waldemar Grzimek e Hans Kies crearono stele in rilievo con incisa sul retro una poesia del primo ministro della cultura della DDR Johannes R. Becher:

Thälmann vide cosa accadde un giorno:
Hanno dissotterrato le armi che erano state nascoste
Dalla tomba sono risuscitate le persone condannate
Vedere le loro braccia spalancate
Guarda un memoriale in molte forme
Evocando le nostre lotte presenti e passate
Le vittime ammoniscono: Ricordatevi di Buchenwald!

In questa newsletter, i dipinti sono di ex prigionieri di Buchenwald e la fotografia raffigura la scultura “Rivolta dei prigionieri”, una grande scultura in bronzo che ricorda la liberazione del campo ed è stata realizzata da Fritz Cremer, che si unì al KPD nel 1929.

Con affetto,
Vijay

P.S.: A giugno, il Forum Zetkin per la ricerca sociale convocherà una conferenza contro il fascismo a Berlino, alla quale siete tutti e tutte invitate.

*Traduzione della qundicesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

Chi è Vijay Prashad?

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Campania

[TORRE DEL GRECO – NA] RACCOLTA FONDI PER LA CASA DEL POPOLO – SOSTIENI ANCHE TU LA CAMPAGNA!
Data articolo:Wed, 09 Apr 2025 19:42:30 +0000

SOSTIENI LA RACCOLTA FONDI

Il progetto mira a riqualificare la nostra sede, per donare nuovi spazi comuni da adibire a numerose iniziative sociali. Un importo simbolico può fare la differenza.
Ci troviamo in quartieri popolari, precisamente nel II vico Abolitomonte, incastonato nel “Bronx Pezzentelleâ€. In passato, posti come questo svolgevano un importante ruolo di collettore per il sociale, con attività comuni e di volontariato.
L’utilizzo prolungato negli anni, il passaggio a diversi custodi-gestori, hanno portato la sede ad una impossibilità di utilizzo per determinate attività come: doposcuola ai bambini, l’aula studio, lo sportello “abaco†ed altro, a causa delle sue condizioni.

La somma che ci prefissiamo di raccogliere con la campagna di crowdfunding, servirà per finanziare una ristrutturazione e il mobilio di tutta la sede.
Eventuali eccedenze saranno gestite principalmente in eventi di beneficenza e sociali, tutto rigorosamente certificato e dimostrato con relativi giustificativi.
Pensiamo che opportunamente ristrutturato, potrebbe essere per tutta la popolazione un’area dove è possibile incontrarsi, conoscersi e partecipare alle proposte delle realtà che vi opereranno.
Rilanciamo insieme la rinascita di luoghi per la solidarietà e cultura!

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Emilia Romagna

[PARMA] UNA FIRMA A FORMA DI CASA – LA PETIZIONE POPOLARE PER IL DIRITTO ALL’ABITARE ARRIVA IN CONSIGLIO COMUNALE
Data articolo:Wed, 09 Apr 2025 19:31:13 +0000

“Una firma a forma di Casaâ€,è la petizione popolare promossa da Potere al Popolo con l’obiettivo di affrontare il problema abitativo in città, a partire dal contrasto alla rendita immobiliare. Con questa petizione intendiamo presentare una serie di misure che riteniamo indispensabili per affrontare la drammatica questione abitativa, che a Parma, come in molte altre città italiane rende il diritto all’abitare una chimera.

Ci troviamo di fronte ad una situazione paradossale: mentre le nostre città negli ultimi 30 anni sono stati travolte da una colata di cemento che ci ha reso vulnerabili ai cambiamenti climatici, trovare una casa è un’impresa. Questo è accaduto perché non si fanno più politiche abitative pubbliche a partire dal 1993. L’Italia è fanalino di coda rispetto agli altri grandi paesi europei: mentre in Francia o Inghilterra l’edilizia residenziale pubblica è oltre il 20% del totale, in Italia si aggira intorno al 4%. E nonostante questo Parma ha una percentuale ancora inferiore. Inoltre ad aggravare la situazione c’è stata l’esplosione degli affitti brevi, che stanno trasformando le nostre città in fondali per turisti, mentre esserne cittadini diventa sempre meno facile, a causa dei costi che oggi ha un affitto nella nostra città.

Raccoglieremo le firme necessarie per presentare al Consiglio Comunale il nostro pacchetto casa, che in sintesi mira alla realizzazione di 4 punti:

  • L’istituzione di un Osservatorio comunale sulla casa per censire gli immobili pubblici e privati sfitti.
  • Una tassa di scopo sugli immobili sfitti detenuti dai grandi proprietari (più di cinque unità abitative).
  • Il recupero dell’evasione fiscale sugli affitti in nero, in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate.
  • La destinazione degli introiti per ristrutturare o costruire nuove case popolari.

 

Una risposta concreta all’emergenza abitativa.
A fronte di un’emergenza sociale rilevante, che sta cominciando a compromettere la vivibilità della nostra città non solo per chi non ha un tetto sulla testa, ma per tutti quanti, pensiamo che si debba  affrontare la causa principale di questa situazione, la rendita immobiliare. Per questo occorre usare la leva fiscale per impedire che le case rimangano sfitte e che la speculazione venga prima del diritto all’abitare. Pensiamo che le risorse pubbliche debbano essere indirizzate a robuste politiche pubbliche e non ad alimentare la speculazione con meccanismi come il fondo affitti, che mette risorse pubbliche in tasche private senza che il problema sia minimamente risolto, anzi, peggiorandolo. In attesa che a livello nazionale si arrivi a una legge che rimetta al centro l’edilizia residenziale pubblica pensiamo che dare un segnale dai territori possa dare un contributo importante.

Chiediamo una firma a forma di casa, per presentare al consiglio comunale una proposta che potrebbe invertire la rotta degli ultimi decenni, case pubbliche e contrasto alla rendita immobiliare. Perché senza casa non c’è cittadinanza e senza cittadinanza non c’è giustizia.

LEGGI IL TESTO DELLA PETIZIONE

Testo petizione comunale

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News

[LUCCA] POTERE AL POPOLO: AGGRESSIONE DI SABATO SERA IN CITTÀ, CONTROLLO E PUNIZIONI NON BASTANO
Data articolo:Wed, 09 Apr 2025 19:23:15 +0000

Dopo l’aggressione a un sedicenne avvenuta sabato sera in città da parte di un gruppo di adolescenti si è scatenato, come era ovvio aspettarsi, il coro dei partiti che da sempre governano la città.

Da un lato la destra invoca l’aumento della repressione e un maggiore controllo del centro storico e l’imbarazzo dell’amministrazione che ha fatto della sicurezza uno dei suoi cavalli di battaglia è palpabile. Dall’altro il consigliere PD Alfarano dipinge la città come un coacervo di violenza e banditismo ma, qual buon cuore, si mette a disposizione dei cittadini di buona volontà per progetti che ricostituiscano il tessuto sociale.

Peccato che, per prima cosa e soprattutto, continui a parlare di inasprimento della repressione, seguendo esattamente la stessa logica dell’ex assessore e candidato sindaco Raspini, protagonista nel 2018 dell’aggiornamento del regolamento di polizia urbana col ricorso al Daspo urbano (rivendicato proprio in risposta al decreto anti-bivacco della giunta Pardini che tanto fece discutere nel 2022). L’opposizione parla inoltre di difesa ed apertura di spazi sociali: quando una parte della città battagliava per la Manifattura, per le Madonne Bianche, contro l’apertura del Foro Boario a CasaPound l’amministrazione Tambellini però non volle ascoltare.

Mettersi a disposizione non costa niente. Quanto costa invece un piano articolato per rispondere ai bisogni sociali e metterlo in atto quando si è al governo? Forse il rischio di non parlare alla pancia degli elettori?

Perché se vogliamo parlare di sicurezza è necessario capovolgere il paradigma: non ci sarà sicurezza senza garanzia dei diritti sociali. Sorvegliare e punire non funzionerà. E nemmeno trascurare e rimandare gli interventi sociali e culturali necessari.

 

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