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Estero

RISPONDIAMO ALL’APPELLO DEL CALP E DELL’USB: IL 22 SETTEMBRE SOSTERREMO SENZA SE E SENZA MA LO SCIOPERO GENERALE!
Data articolo:Sat, 13 Sep 2025 06:57:20 +0000

In oltre 1000 persone ieri a Genova all’assemblea nazionale chiamata da Unione Sindacale di Base, Global Movement To Gaza, Calp e Music for peace.

Se oggi come equipaggio di terra della Flotilla siamo in condizione di gridare “blocchiamo tutto” in sostegno a chi è salpato alla volta di Gaza, è perché i lavoratori del Calp da anni lottano contro il traffico di armi bloccando i porti, é perché un sindacato conflittuale e coraggioso da anni proclama scioperi contro la guerra e l’economia di guerra, e con loro abbiamo costruito appuntamenti importanti come la manifestazione nazionale del 21 di giugno scorso partita da piazza Vittorio a Roma al grido Disarmiamoli!, per l’uscita dalla NATO e contro ogni forma di riarmo e difesa comune.

Bloccheremo tutto perché vogliamo fermare il genocidio del popolo palestinese e fermare lo Stato terrorista di Israele, che è un pericolo per il mondo, come gli attacchi a stati sovrani quali Iran, Siria, Libano, Yemen e Quatar sono lì a dimostrare.

Dobbiamo però ricordare che, se Israele si permette di alzare costantemente l’asticella dello scontro e del massacro, é perché gli stati occidentali glielo hanno permesso per 80 anni e sono 2 anni che finanziano il genocidio.

Non dimentichiamo Mattarella che stringe la mano al criminale Herzog, così come non dimentichiamo la stretta di mano di Meloni con Netanyahu e le vergognose parole dette riguardo agli attivisti della Flotilla.

Non ci facciamo nemmeno prendere in giro da Von der Leyen e dalla mozione al Parlamento Europeo: le istituzioni europee ancora dopo 2 anni balbettano sulle sanzioni economiche, ma addirittura la presidente della Commissione parla di sanzioni ai coloni particolarmente “cattivi”… Lo diciamo chiaramente: non esistono coloni buoni, esiste solo un piano di occupazione e pulizia etnica!

Unione europea, NATO  e il nostro governo sono nemici del popolo palestinese, e per questo sono nostri nemici.

Per questo come Potere al Popolo pensiamo che nelle crescenti ondate di mobilitazione vadano messe bene in chiaro le responsabilità del nostro governo, la complicità di Meloni, Salvini e Tajani con il sionismo e il genocidio. Proponiamo che la prossima settimana sia costruita sui territori una giornata durante la quale andare a farci sentire sotto le sedi del Governo e davanti alle Prefetture locali, per pretendere non solo la fine degli accordi, ma anche sanzioni ed embargo contro lo stato terrorista di Israele: mandiamo a casa questo governo complice!

Con lo stesso spirito sarà doveroso essere in piazza anche il 4 ottobre alla manifestazione nazionale chiamata dalle realtà palestinesi.

Oggi la Palestina può rappresentare quello che ha rappresentano il Vietnam negli anni 70: il risveglio di una coscienza generalizzata. E allora, se un tempo si diceva “Per un solo Vietnam” oggi dobbiamo dire “Per una sola Palestina dal fiume al mare!”

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Campania

[CAMPANIA] LA REGIONE SI RINNOVA: DE LUCA VINCE ANCORA!
Data articolo:Thu, 11 Sep 2025 14:32:28 +0000

Finalmente ci siamo! Dopo oltre due anni di un percorso complesso, oggi è partita la riorganizzazione degli uffici regionali.
Il nuovo organigramma, definito la scorsa estate e previsto per gennaio, ha subito un brusco rallentamento: le nomine dirigenziali si sono intrecciate con le tensioni politiche regionali, diventando terreno di scontro tra i vari potentati locali

TUTTO CAMBI AFFINCHE’ NULLA CAMBI!

Dopo una lunga serie di rinvii, la situazione si è sbloccata, quasi per magia, nel pieno della campagna elettorale, a pochi giorni dallo scioglimento del Consiglio regionale.
Lo “sceriffo” ha blindato i suoi fedelissimi ai vertici dell’amministrazione, confermando i dirigenti nei principali settori strategici: sanità, lavoro, istruzione e formazione, Protezione Civile, agricoltura, mobilità, cultura, turismo e altri ancora.
Le nomine non sono affatto secondarie: i dirigenti apicali gestiscono concretamente le politiche pubbliche e intrecciano importanti relazioni con attori pubblici e privati.
L’elenco dei confermati è lungo, ma per capirne il peso, analizziamo due figure chiave della squadra di Vincenzo De Luca.

ANTONIO POSTIGLIONE, DIRIGENTE PUBBLICO
AL SERVIZIO DELLA SANITA’ PRIVATA

Cominciamo da Antonio Postiglione, nominato alla guida della Direzione Generale “Tutela della Salute e Coordinamento del Sistema Sanitario Regionaleâ€, ovvero il settore che gestisce la principale voce di spesa del bilancio regionale.
Le sue competenze spaziano dalla pianificazione della rete ospedaliera alla gestione dei servizi territoriali (medicina generale, ambulatori), dall’accreditamento delle strutture private agli acquisti, dal personale sanitario all’assistenza socio-sanitaria, fino all’organizzazione dei consultori.
Senza entrare nel merito del suo operato, è utile ricordare alcuni episodi legati alla sua carriera, a partire dall’inchiesta che lo ha visto indagato di corruzione, abuso d’ufficio e induzione indebita per aver favorito la clinica privata Pineta Grande di Castel Volturno, gestita da Vincenzo Schiavone.
Postiglione è stato, inoltre, indagato per concussione, insieme al consigliere regionale Giovanni Zannini (eletto nel listino di De Luca), con l’accusa di aver abusato del suo potere per rimuovere Enzo Iodice, direttore sanitario dell’ASL di Caserta.

ROBERTA SANTANIELLO
TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE

Un’altra conferma di peso è quella di Roberta Santaniello, già a capo dell’Ufficio di Gabinetto di De Luca e poi coinvolta in settori chiave: PNRR, edilizia sanitaria, opere pubbliche strategiche.
Dirigente di spicco del PD irpino, incarna il legame stretto tra politica e alta burocrazia. Nel 2015 si candidò nella coalizione che portò alla prima giunta De Luca.
Anche la sua carriera è segnata da ombre: la Procura di Napoli l’ha indagata di aver fornito informazioni riservate alla ditta MED in merito al maxi appalto per i Covid center.

LA RIVINCITA DEL “CACICCOâ€

In definitiva, la riorganizzazione degli uffici regionali si è rivelata un’occasione mancata per rendere più efficiente la macchina amministrativa. Si è trattato, piuttosto, di uno strumento utilizzato da De Luca per rafforzare il proprio controllo in vista della prossima consiliatura.
Sul piano politico, l’accordo con Elly Schlein ha spento le speranze di chi auspicava un ricambio nella classe dirigente locale. Si va configurando, piuttosto, un campo largo – anzi, larghissimo – che blinderà l’attuale sistema di potere semi-feudale.
A questo punto la domanda è inevitabile: Fico lascerà i “colonnelli†di De Luca al loro posto o tenterà una rottura vera, premessa necessaria per qualsiasi cambiamento?
Per ora, tutto fa pensare che l’intero centrosinistra sia pronto a ingoiare il rospo, pur di non restare fuori dalla spartizione del ricco bottino garantito dal bilancio regionale.

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News

[LIVORNO] AGLI ZOPPI… PEDATE NEGLI STINCHI
Data articolo:Mon, 08 Sep 2025 14:14:24 +0000

In questi giorni a Livorno si fa un gran parlare di sicurezza, si annunciano zone rosse, controlli serrati; consiglieri comunali col colletto bianco e il portafogli pieno chiedono il pugno di ferro su quartieri che non hanno mai abitato né conosciuto.
La giunta comunale, evidentemente priva di una visione a lungo termine della città insegue la retorica repressiva della destra di una maggiore militarizzazione delle nostre piazze e dei nostri quartieri.

La “questione” Garibaldi risalta fuori ad ogni campagna elettorale per il gusto della destra di lucrare sulle difficoltà e le legittime preoccupazioni di chi certe situazioni le deve vivere ogni giorno.
Il problema dello spaccio e della sicurezza nella zona Garibaldi infatti non è un’invenzione della propaganda ma una realtà che chiunque viva quel quartiere conosce.

Nel corso di questi anni, però, abbiamo potuto osservare che le politiche securitarie e i provvedimenti speciali a mo’ di “stato di polizia” non sono stati una soluzione a questi problemi. Anzi.
Il quartiere Garibaldi, come altre zone della nostra città, si è sempre più svuotato di attività, commerciali e sociali; le retate della polizia non hanno prodotto effettivi risultati e di certo non hanno migliorato le vite degli abitanti, a partire dal loro reddito; il Comune parla da anni di “riqualificazione”, ma nei fatti ha impegnato pochissime risorse a fronte dei molti proclami.

La prefettura poi, organo di rappresentanza del Governo si unisce alla campagna elettorale, spingendo per operazioni in grande stile che fanno un buco nell’acqua fragoroso ma sostanzialmente inutile nel contrastare lo spaccio nel quartiere e in città, per la risoluzione del quale sarebbe il caso di girarsi verso il porto, dove negli ultimi anni il traffico di cocaina è cresciuto in modo esponenziale e l’infiltrazione della ‘Ndrangheta è evidentemente sempre più profonda.

Ciò che servirebbe di più, non solo in Garibaldi, sono presidi locali, non semplicemente delle forze di polizia, ma delle istituzioni; un supporto reale alle associazioni e a quelle attività commerciali che fanno lavoro sul territorio, resistendo strenuamente da anni a un quartiere che viene solo usato come carne da campagna elettorale per poi essere gettato via quando non serve più.

Servirebbe ripensare architettonicamente le piazze e le strade, con un’illuminazione migliore, servizi per i cittadini, riduzione del danno rispetto al consumo di sostanze, una vita serale più attiva che porti persone in strada, contribuendo così a un tipo di sicurezza che nessuno mette mai in conto: la sicurezza collettiva. Quando le piazze si svuotano e i quartieri muoiono, la criminalità li riempie e li sfrutta; il rischio con la zona rossa e queste genialate securitarie è proprio di alimentare questi processi di alienamento, di distruzione di quel poco che resta del tessuto sociale e collettivo.

Se da una parte molte di queste cose potrebbero essere processi attuabili anche nel breve termine con la giusta volontà politica, ce ne sono altri che richiedono un impegno che riesca a vedere in prospettiva. La riqualificazione di Garibaldi e di molti altri quartieri non può passare dall’affidare l’ennesimo pezzo di città ai soliti speculatori, ma dal supportare chi il quartiere lo vive, chi non vuole aprire il locale di lusso inarrivabile dal grosso degli abitanti, ma chi ha progetti che promuovano iniziative di carattere sociale, che facciano rivivere quella zona e non la svendano.

È necessario poi garantire un tetto al prezzo degli affitti, che in tutta la città sono in crescita ma che soprattutto in certi quartieri eviti la speculazione immobiliare dei grandi gruppi che finiscono per acquistare a basso prezzo le case di Garibaldi per poi lucrare su chi ha bisogno di un tetto sulla testa.

Insomma, più politica, più presenza sui territori e nei quartieri, meno propaganda, specie da chi ha le villette nei quartieri sud, e più impegno giornaliero; ridurre tutto a una questione di spacciatori o polizia vuol dire non voler risolvere davvero certe problematiche.

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Campania

[CAMPANIA] PER UNA CAMPANIA POPOLARE
Data articolo:Fri, 05 Sep 2025 14:43:38 +0000

Per ridare voce, forza e rappresentanza ai ceti popolari della nostra Regione.
Sono bastati pochi mesi per far crollare le abituali chiacchiere e il castello di mistificazioni circa il presunto rinnovamento della Politica e la rottura di un sistema di governance che – in forma dispotica e arrogante – ha caratterizzato il corso politico ed amministrativo della Campania per oltre 11 anni.
Nell’arco di qualche settimana si è palesato l’ennesimo inciucio – un vero e proprio patto di potere e di lottizzazione della Regione – tra l’uscente Presidente della Regione, Vincenzo De Luca, il Partito Democratico di Elly Schlein e il Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte.
Roberto Fico candidato alla Presidenza della Regione; assessorati e cariche di peso ai capobastone di PD, Movimento 5 Stelle e a soggetti politici legati a De Luca; le liste elettorali nelle mani di Piero De Luca: è la geometria di una linea di condotta precisa e di come costoro intendono governare la Campania negli anni a venire.
Un dato è chiaro: tutte le funamboliche promesse e le suggestioni a proposito di una azione politico-amministrativa di discontinuità verso la stagione Deluchiana sono state, nella migliore delle ipotesi, illusioni che oggi cadono e lasciano il campo al classico trasformismo/gattopardismo delle classi dirigenti.
Un esito politico che non prospetta nulla di buono per la Campania e per gli interessi dei settori popolari della società. Un esito che non possiamo mandar giù passivamente e che intendiamo contrastare in tutte le forme possibili.

Uscire dal deserto, conquistare un futuro migliore

Cosa ci lascia in eredità il decennio di potere di Vincenzo De Luca? Il deserto.
L’elenco delle criticità è enorme. La Sanità innanzitutto: nei suoi ultimi proclami De Luca celebra i successi di una Sanità che non esiste. Basta parlare con un qualsiasi operatore sanitario o un qualsiasi cittadino per rendersi conto di quanto i passi siano stati sì fatti, ma indietro. La salute oggi è sempre meno un diritto – peraltro garantito dalla Costituzione – e sempre più un bene da comprare sul mercato, non a caso , De Luca , si è distinto in questi anni per un forte finanziamento verso la sanità privata e convenzianata. Per chi se lo può permettere, ovviamente. Magari emigrando fuori Regione.
Salute messa a rischio da quell’inquinamento di cui si riempivano le pagine dei giornali solo pochi anni fa e che oggi sembrerebbe scomparso, a leggere la carta stampata e a vedere le TV.
E invece i roghi, camuffati da inspiegabili incendi di siti di stoccaggio di proprietà di privati, continua! Prendono inspiegabilmente fuoco rifiuti sotto sequestro e stoccati addirittura in un sito militare. E per l’ARPAC la qualità dell’aria è sempre nella norma … Un progetto integrato del ciclo dei rifiuti che superi sia la crisi ciclica che la scelta nefasta degli inceneritori, a partire da quello di Acerra, che tanti danni irreversibili alla salute dei cittadini di quel territorio continua a provocare, non è mai stato messo in cantiere da nessuna delle Giunte regionali.

Come tutt’altro che risolta è l’annosa crisi del Trasporto Pubblico, che ci consegna una Regione sempre più frammentata e aree interne sempre più isolate e lasciate al proprio destino, anche per volontà diretta dei governi nazionali.

Ancora: i fattori di crisi economica, occupazionale e del complesso delle dinamiche legate alle condizioni di vita e di lavoro di milioni di cittadini della Campania, fanno della nostra Regione – checché ne scriva il Mattino – una terra da cui troppi, giovani ma non solo, sono costretti a scappare. In questa logica riproporre una forma di sostegno al reddito diventa una scelta non più rinviabile.
Se non si mette mano alle chiusure delle grandi imprese, al lavoro nero, al lavoro povero, al lavoro insicuro, continuerà il processo di desertificazione industriale e sociale che caratterizza ampie aree della Regione.

Eppure a Palazzo Santa Lucia non sono mancati finanziamenti nazionali e comunitari i quali – pur tutt’altro che sufficienti alle cronicità sociali vigenti – sono stati distribuiti e utilizzati per finanziare il sistema delle imprese, i centri di potere speculativi e clientelari insediati nelle varie province e per foraggiare un blocco di potere che consentisse la riperpetuazione di un ciclo politico legato a De Luca, al Partito Democratico, a Confindustria e all’intero caravanserraglio costituito dal “partito del cementoâ€, studi professionali compiacenti, dirigenti delle ASL, responsabili delle Autorità Portuali, direttori di organi di informazione, un “universo culturale†che ha perso ogni anelito critico e da un circuito di cosiddette piccole e medie imprese alcune delle quali collocate e agenti ai margini tra “economia legale ed economia criminaleâ€.
Se questo è il presente, l’accordo di potere da poco ufficializzato lascia presagire un futuro tutt’altro che roseo.
Se vogliamo metterci alle spalle il deserto, non possiamo rimanere con le mani in mano nè accontentarci del ruolo di grilli parlanti. Per questo vogliamo avanzare una proposta politica e sociale che prenda atto non solo della necessità di contrastare le Destre, ma anche della irriformabilità del Centrosinistra/Campo Largo. Una proposta da discutere e da approfondire, con i contributi di singoli e collettivi, che vorranno partecipare alla costruzione di questo percorso che auspichiamo vada oltre la partecipazione alle prossime elezioni regionali.
Quanto accaduto in queste settimane non è il frutto di una presunta astuzia di Vincenzo De Luca, ma il coerente approdo di una azione politica che, al di là dei distinguo tra questo o quel nome o tra questo o quel partito, assume come dato fondante e costitutivo la centralità degli interessi del mercato, una collocazione della nostra Regione come un’area dove il lavoro è fortemente svalorizzato, dove i fattori crescita economica e sociale sono individuati nella turistificazione selvaggia, nelle Zone Economiche Speciali, nella deregolamentazione dei diritti e nella cementificazione e nello sfruttamento insensato e invasivo dei territori.
Vogliamo aria nuova e scelte politiche chiare. La politica del “meno peggio†non ha mai impedito gli affondi antisociali o che si determinassero i disastri che sono sotto gli occhi di tutte e tutti noi. Anzi – consapevolmente o inconsapevolmente – ha prodotto disorientamento politico, passivizzazione sociale e ulteriore frammentazione sociale.
Vogliamo costruire un orizzonte di autonomia e indipendenza ben piantato su elementi di rottura col quadro esistente. Mai più sostegno alla sanità privata quando si dice di voler difendere quella pubblica. Mai più consociativismo con quei soggetti che hanno devastato la nostra terra e, anziché essere cacciati, sono di nuovo in pista, pronti alla spartizione di torte milionarie. Perché se vogliamo metterci alle spalle il deserto prodotto da De Luca occorre non scendere a patti con le esigenze dei centri di potere che comandano in Regione.
La nostra terra ha bisogno della partecipazione e del protagonismo civile, sindacale, sociale e politico del nostro popolo, di chiunque porti sulla propria pelle i segni della crisi e non voglia arrendersi a un destino che l’attuale classe politica vorrebbe far sembrare ineluttabile.
C’è bisogno dei troppi che scelgono l’astensionismo, che lasciano prevalere la rassegnazione. Senza una prospettiva di riscatto collettivo e di rinascita lasceremo la nostra Campania nelle mani di cacicchi, capibastone e feudatari.

Per noi l’alternativa è possibile. Per questo proponiamo di incontrarci a breve per definire una lista che sappia interpretare i bisogni popolari, la voglia di rottura e di cambiamento.

Per firmare scrivi a campaniapopolare@gmail.com

Elenco firmatari

Francesco Maranta, Portavoce Forum Diritti e Salute
Paola Nugnes, attivista, ex senatrice M5S e ManifestA
Francesco Schettino, professore di economia politica presso l’università della Campania L Vanvitelli
Michele Docimo, giornalista, presidente Migr-Azioni Ets
Matteo Mantero, attivista, ex senatore M5S e Potere al Popolo
Silvia Giordano, ex parlamentare M5S
Virginia La Mura, attivista, ex senatrice M5S e ManifestA
Enrico Beniamino De Notaris, psichiatra
Giuliana Lombardi, penalista Caserta
Teresa Tartaglione, attivista per i diritti dei malati, Caserta
Domenico Laurenza, Caivano attivista ambientale Stop biocidio Caivano
Antonio Mancini, psichiatra
Francesco Blasi, psichiatra ASL Na 1
Marcello Gregori, attivista Caserta vecchia
Marcello Musto, professore di Sociological Theory alla York University, Canada
Alessio Filace lavoratore del SSN
Martina Flora, medico
Riccardo d’Angiò, medico
Giuseppe Marziale, avvocato
Mauro Romualdo, Medico di famiglia ASL Napoli2nord
Giuseppe Palmieri, Casapulla dipendente pubblico
Raffaele Ucci, Capodrise magazziniere
Viola Di Pinto, medico
Alessia Loffredo, medico
Claudia Penzavecchia, dietista
Annunziata Centanni, Caserta pensionata
Damiano Errico, Caiazzo artista fotografo
Sergio Gioielli, artista e gallerista
Silvia Marzoli, Casagiove critica d’arte contemporanea
Massimo Sgroi, Casagiove (Ce) scrittore critico d’arte contemporanea
Flora Calvanese, Cava de’ Tirreni – già Parlamentare PCI (Sa)
Gennaro Thiago, Nenna Cava de’ Tirreni (Sa)
Giovanni Francione, Roccadaspide (Sa)
Ferdinando Pezzopane, studente magistrale in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Torino, Aversa (Ce)
Clementina Sasso, astrofisica
Marco Manna, autotrasportatore e saggista
Giuseppe Bruno, revisore dei conti e dottore commercialista di Sant’Antimo Napoli
Luigi Filace, palestra Happy Life Mugnano di Napoli
Pina Di Febbraro palestra Happy Life di Mugnano di Napoli
Viviana Filace palestra Happy Life di Mugnano di Napoli
Severino Mastrogiacomo della Rete Sociale No Box
Francesco Di Mauro della Rete Sociale No Box
Aldo Pappalepore della Rete Sociale No Box
Bruno Santoro della Rete Social No Box
Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo
Chiara Capretti, consigliera della II Municipalità di Napoli
Thomas Strauss, consigliere della II Municipalità di Napoli
Giuseppe Aiello consigliere della III Municipalità di Napoli
Diego Civitillo, consigliere della X Municipalità di Napoli
Fabio Tirelli, consigliere della IX Municipalità di Napoli
Luca Mandara, docente a contratto presso Università degli Studi della Basilicata
Claudio Cozza, economista
Mauro Palmentieri, segretario nazionale CUB SALLCA
Mariano Luise, dipendente statale
Nerino Allocati, avvocato del lavoro Napoli
Antonio Mariano Tinto
Nello Mainente, insegnante
Giovanna Alfano Urciuolo, biologa
Andrea Cavalieri, lavoratore commercio
Ferdinando Kaiser, pensionato circumvesuviana
Palma Fioretti, casalinga
Marco Murzi
Maria Mucci
Alfredo Ciano, insegnante
Alessandro Susio, lavoratore TPL
Vincenzo Gagliano, componente il Forum diritti e Salute
Antonio Mariano Cifariello, docente precario
Christian De Luca, insegnante ex consigliere comunale pap
Wanda D’Alessio, prof. universitaria in pensione
Pietro Palumbo, pensionato
Antonio Donnarumma
Raffaele Cammisa, ex RSU Merloni Elettrodomestici
Giulio Cicalese, avvocato
Alessandro Cozzolino
Concetta Vollero
Giorgio Carcatella, già consigliere provinciale di Napoli PdCI-FdS
Attilio Bruno, operatore socio sanitario
Danilo Baselice, architetto
Raffaele Merola
Salvatore Giustino
Anna Buonanno, libraia
Aldo Velo, pensionato ex Italsider
Paolo Fierro, Medicina Democratica
Gaetano Ricciardiello, pensionato
Novella Formisani, Psichiatra ASL Napoli1
Antonio Rega
Vincenzo Iorio, Comitato Diritto e Salute
Vincenzo Morreale, Comitato Civico di San Giovanni a Teduccio
Marcella Raiola, insegnante
Salvatore D’Ambrosio
Antonio Di Gennaro
Ciro Aiello, inoccupato
Maria Avino
Piero De Luca, Dirigente Scolastico
Ilia Marino
Cristoforo Orlando, autotrasportatore
Associazione Ottobre

Associazione Berlinguer Lab Eboli (Sa)
Associazione Rinascita culturale ebolitana (Sa)
Associazione Culturale XD390 – Eboli (Sa)
Petizione malati e derubati in Campania Caserta
PCI – Partito Comunista Italiano
Potere al Popolo!
Migr-Azioni ETS Associazione Antifascista

In aggiornamento…

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Estero

LE NAZIONI UNITE COMPIONO OTTANT’ANNI
Data articolo:Thu, 04 Sep 2025 09:20:10 +0000

Esiste un solo trattato al mondo che, nonostante i suoi limiti, unisce le nazioni: la Carta delle Nazioni Unite. I e le rappresentanti di cinquanta Paesi hanno redatto e ratificato la Carta delle Nazioni Unite nel 1945, mentre altri Paesi hanno aderito negli anni successivi. La Carta stessa stabilisce solo i termini del loro comportamento, non crea e non può creare un mondo nuovo. Dipende dai singoli Paesi decidere se vivere secondo la Carta o morire senza di essa.

La Carta rimane incompleta. Nel 1948 era necessaria una Dichiarazione universale dei diritti umani, e anche quella fu contestata perché i diritti politici e civili, alla fine, vennero separati dai diritti sociali ed economici. Le profonde divisioni nelle visioni politiche hanno creato fratture nel sistema delle Nazioni Unite che hanno impedito di affrontare efficacemente i problemi del mondo.

Ora, l’ONU compie ottant’anni. È un miracolo che sia durata così a lungo. La Società delle Nazioni fu fondata nel 1920 e durò solo diciotto anni di relativa pace (fino all’inizio della seconda guerra mondiale in Cina nel 1937).

L’ONU è forte solo quanto la comunità di Paesi che la compongono. Se la comunità è debole, allora anche l’ONU è debole. In quanto organismo indipendente, non ci si può aspettare che arrivi volando come un angelo, sussurri all’orecchio dei belligeranti e li fermi. L’ONU può solo fischiare, come un arbitro di una partita le cui regole vengono regolarmente violate dai Paesi più potenti. Offre un comodo capro espiatorio per tutte le parti dello spettro politico: viene incolpata se le crisi non vengono risolte e se gli aiuti sono insufficienti. L’ONU può fermare il genocidio israeliano a Gaza? I funzionari dell’ONU hanno rilasciato dichiarazioni forti durante il genocidio, con il Segretario Generale António Guterres che ha affermato che “Gaza è un campo di sterminio – e i civili sono in un circolo vizioso di morte senza fine†(8 aprile 2025) e che la carestia a Gaza “non è un mistero – è un disastro causato dall’uomo, un’accusa morale e un fallimento dell’umanità stessa†(22 agosto 2025). Si tratta di parole forti, ma che non hanno portato a nulla, mettendo in discussione l’efficacia stessa dell’ONU.

L’ONU non è un unico organismo, ma è composta da due parti. Il volto più pubblico dell’ONU è il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC), che è diventato il suo braccio esecutivo. L’UNSC è composto da quindici Paesi: cinque sono membri permanenti (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti) e gli altri sono eletti per un mandato di due anni. I cinque membri permanenti (i P5) hanno potere di veto sulle decisioni del Consiglio. Se uno dei P5 non è d’accordo con una decisione, può affossarla con il proprio veto. Ogni volta che all’UNSC è stata presentata una risoluzione che chiedeva un cessate il fuoco, gli Stati Uniti hanno esercitato il loro veto per annullare anche quella misura tiepida (dal 1972, gli Stati Uniti hanno posto il veto su più di quarantacinque risoluzioni dell’UNSC riguardanti l’occupazione israeliana della Palestina). Il Consiglio di Sicurezza sostituisce l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA), i cui 193 membri possono approvare risoluzioni che cercano di influenzare l’opinione pubblica mondiale, ma che spesso vengono ignorate. Dall’inizio del genocidio, ad esempio, l’UNGA ha approvato cinque risoluzioni chiave che chiedono un cessate il fuoco (la prima nell’ottobre 2023 e la quinta nel giugno 2025). Ma l’UNGA non ha alcun potere reale nel sistema delle Nazioni Unite.

L’altra metà delle Nazioni Unite è costituita da una miriade di agenzie, ciascuna delle quali è stata istituita per affrontare questa o quella crisi dell’era moderna. Alcune sono antecedenti alle Nazioni Unite stesse, come l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), creata nel 1919 e inserita nel sistema delle Nazioni Unite nel 1946 come prima agenzia specializzata. Altre seguirono, tra cui il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), che difende i diritti dei bambini, e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), che promuove la tolleranza e il rispetto delle culture del mondo. Nel corso dei decenni sono state create agenzie per difendere e fornire assistenza ai rifugiati, garantire che l’energia nucleare sia utilizzata per la pace piuttosto che per la guerra, migliorare le telecomunicazioni globali ed espandere l’assistenza allo sviluppo. Il loro mandato è impressionante, anche se i risultati sono più modesti. Uno dei limiti è rappresentato dai magri finanziamenti da parte degli Stati del mondo (nel 2022, la spesa totale delle Nazioni Unite è stata di 67,5 miliardi di dollari, rispetto agli oltre 2.000 miliardi di dollari spesi per il commercio di armi). Questo cronico sottofinanziamento è in gran parte dovuto al fatto che le potenze mondiali non sono d’accordo sulla direzione delle Nazioni Unite e delle sue agenzie. Tuttavia, senza di esse, le sofferenze nel mondo non sarebbero né registrate né affrontate. Il sistema delle Nazioni Unite è diventato l’organizzazione umanitaria mondiale soprattutto perché l’austerità neoliberista e la guerra hanno distrutto la capacità della maggior parte dei singoli Paesi di svolgere da soli questo lavoro e perché le organizzazioni non governative sono troppo piccole per colmare in modo significativo questa lacuna.

Con la disintegrazione dell’Unione Sovietica, l’intero equilibrio del sistema mondiale è cambiato e l’ONU è entrata in un ciclo di iniziative di riforma interna: da An Agenda for Peace (1992) e An Agenda for Development (1994) di Boutros Boutros-Ghali a Renewing the United Nations (1997) di Kofi Annan, fino ai Our Common Agenda (2021), Summit of the Future (2024) e UN80 Task Force (2025) di Guterres. La Task Force UN80 è la riforma più profonda mai immaginata, ma i suoi tre settori di interesse (efficienza interna, revisione del mandato e allineamento dei programmi) in passato sono già stati oggetto di tentativi (“abbiamo già provato questo esercizio in passatoâ€, ha affermato il Sottosegretario generale per le politiche e presidente della Task Force UN80, Guy Ryder). L’agenda fissata dall’ONU si concentra sulle proprie debolezze organizzative e non affronta le questioni prevalentemente politiche che ostacolano il lavoro dell’ONU. Un’agenda più ampia dovrebbe includere i seguenti punti:

1. Trasferire il Segretariato delle Nazioni Unite nel Sud globale. Quasi tutte le agenzie delle Nazioni Unite hanno sede in Europa o negli Stati Uniti, dove si trova lo stesso Segretariato delle Nazioni Unite. Sono state avanzate proposte occasionali per trasferire l’UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione e UN Women a Nairobi, in Kenya, che già ospita il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e UN-Habitat. È giunto il momento che il Segretariato delle Nazioni Unite lasci New York e si trasferisca nel Sud del mondo, anche per impedire a Washington di punire i funzionari delle Nazioni Unite che criticano il potere degli Stati Uniti o di Israele con il rifiuto di concedere visti. Con gli Stati Uniti che impediscono ai funzionari palestinesi di entrare negli Stati Uniti per l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sono già state avanzate richieste di trasferire la riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Ginevra. Perché non lasciare definitivamente gli Stati Uniti?

2. Aumentare i finanziamenti all’ONU da parte del Sud globale. Attualmente, i maggiori finanziatori del sistema delle Nazioni Unite sono gli Stati Uniti (22%) e la Cina (20%), con sette stretti alleati degli Stati Uniti che contribuiscono per il 28% (Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Canada e Corea del Sud). Il Sud globale – senza la Cina – contribuisce per circa il 26% al bilancio dell’ONU; con la Cina, il suo contributo è del 46%, quasi la metà del bilancio totale. È ora che la Cina diventi il principale contributore dell’ONU, superando gli Stati Uniti, che utilizzano i loro finanziamenti come arma contro l’organizzazione.

3. Aumentare i finanziamenti per l’umanitarismo all’interno degli Stati. I Paesi dovrebbero spendere di più per alleviare le sofferenze umane che per ripagare i ricchi detentori di obbligazioni. L’ONU non dovrebbe essere la principale agenzia di assistenza ai bisognosi. Come abbiamo dimostrato, diversi Paesi del continente africano spendono più per il servizio del debito che per l’istruzione e la sanità; incapaci di fornire questi servizi essenziali, finiscono per dipendere dall’ONU attraverso l’UNICEF, l’UNESCO e l’OMS. Gli Stati dovrebbero rafforzare le proprie capacità piuttosto che dipendere da questa assistenza.

4. Tagliare il commercio globale di armi. Le guerre non vengono combattute solo per il dominio, ma anche per i profitti dei commercianti di armi. Le esportazioni internazionali annuali di armi sono di circa 150 miliardi di dollari, con gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa occidentale che rappresentano il 73% delle vendite tra il 2020 e il 2024. Solo nel 2023, i primi cento produttori di armi hanno realizzato 632 miliardi di dollari (in gran parte attraverso le vendite delle aziende degli USA all’esercito statunitense). Nel frattempo, il budget totale delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace è di soli 5,6 miliardi di dollari e il 92% delle forze di pace proviene dal Sud globale. Il Nord del mondo guadagna con la guerra, mentre il Sud invia i propri soldati e poliziotti per cercare di prevenire i conflitti.

5. Rafforzare le strutture regionali per la pace e lo sviluppo. Per distribuire parte del potere del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è necessario rafforzare le strutture regionali per la pace e lo sviluppo, come l’Unione Africana, e dare priorità ai loro punti di vista. Se non ci sono membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU provenienti dall’Africa, dal mondo arabo o dall’America Latina, perché queste regioni dovrebbero essere ostaggio del veto esercitato dai P5? Se il potere di risolvere le controversie fosse affidato maggiormente alle strutture regionali, l’autorità assoluta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU potrebbe essere in qualche modo diluita.

Con il genocidio che continua senza sosta, un’altra ondata di imbarcazioni piene di attivisti solidali – la Freedom Flotilla – tenta di raggiungere Gaza. Su una delle imbarcazioni c’è Ayoub Habraoui, membro del Partito della via democratica dei lavoratori del Marocco che rappresenta l’Assemblea Internazionale dei Popoli. Ayoub Mi ha inviato questo messaggio:

Quello che sta accadendo a Gaza non è una guerra convenzionale, è un genocidio al rallentatore che si sta consumando sotto gli occhi del mondo. Mi unisco a questa iniziativa perché la fame deliberata viene usata come arma per spezzare la volontà di un popolo indifeso, a cui vengono negati medicine, cibo e acqua, mentre i bambini muoiono tra le braccia delle loro madri. Mi unisco a questa iniziativa perché l’umanità è indivisibile. Chi oggi accetta un assedio, domani accetterà l’ingiustizia ovunque. Il silenzio è complicità nel crimine e l’indifferenza è un tradimento dei valori stessi che affermiamo di sostenere. Questa flottiglia è più di un semplice insieme di barche. è un grido globale della coscienza che dichiara: no all’assedio di intere popolazioni, no alla fame degli innocenti, no al genocidio. Potremmo essere fermati, ma il solo fatto di salpare è una dichiarazione: Gaza non è sola. Siamo tutte e tutti testimoni della verità e voci contro una morte lenta.

Con affetto,
Vijay

*Traduzione della trentaseiesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

Chi è Vijay Prashad?

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Campania

[CAMPANIA] COSTRUIAMO UN’ALTERNATIVA ALL’INCIUCIO DE LUCA-SCHLEIN E AL SISTEMA CAMPANIA
Data articolo:Tue, 02 Sep 2025 13:56:41 +0000

L’inciucio Schlein – De Luca è il sipario che cala sulle speranze di chi aveva creduto che le prossime elezioni regionali in Campania potessero significare la fine del deluchismo.
Il cacicco è ancora in sella. I capibastone danno ancora le carte. Nemmeno si sente più l’eco dei “basta†della segretaria del PD del febbraio 2023. Il Deluchistan è vivo e vegeto.

L’accordo di potere siglato sulle teste di sei milioni di campani – e con sviluppi nazionali verso il 2027 – è l’ultimo chiodo su una bara: non c’è possibilità di trasformazione nel centrosinistra. Non è campo largo o larghissimo: è il campo del gattopardismo, cambiare i volti affinché nulla cambi.

Ho letto diversi appelli di queste settimane che coglievano questi rischi, provavano a scongiurarli, ad attivare forze della società civile e politica per impedire questo scempio. Le parole di Isaia Sales, Gianfranco Nappi, Massimiliano Amato e tante e tanti altri; per ultime quelle durissime di Antonio Marfella. Le segreterie e le burocrazie dei partiti politici del centrosinistra li hanno bellamente ignorati e hanno fatto la loro scelta: la continuità e non la discontinuità, la conservazione e non la rottura, la propagazione di un sistema feudale anziché la rivolta contro cacicchi, sultani e feudatari.

De Luca avrà assessorati di peso, in primis quello alla Sanità, che pesa per i due terzi del bilancio regionale. Avrà in mano il partito regionale, consegnato al figlio Piero. Che significa che disporrà del potere di comporre le liste elettorali per Regionali e Politiche (se vi siete chiesti del perché l’unica a scrivere apertamente contro l’accordo sia stata la campagna Pina Picierno qui abbiamo un indizio).
Avrà la garanzia della continuità dei suoi progetti, dal castello del sultano, la nuova sede della Regione Campania nei pressi di Piazza Garibaldi per la modica cifra di 700 milioni di euro, ai dieci mega-ospedali, regalo a costruttori e speculatori, e della permanenza dei suoi “fidiâ€, a partire da dirigenti sanitari e amministrativi, tessere di un puzzle che prevede l’occupazione di ogni spazio di vero potere.

Schlein avrà un alleato interno al PD, “volubile†ma ritenuto utile in vista delle politiche del 2027, anche per indebolire l’area Guerini-Picierno. Conte e il M5S avranno la candidatura di Roberto “Foglia di Fico†alla presidenza. A lui il compito di nascondere dietro il volto perbene il sistema di potere che continuerà a spadroneggiare in Campania.

Dal patto di potere ogni pezzo degli apparati guadagna qualcosa. A perdere è la maggioranza della nostra terra. Ma la partita non è chiusa.
L’accordo scommette infatti sulla passività della società civile e politica. Scommette, cioè, che il malcontento rimanga confinato al lamento, senza la forza e la volontà di farsi progetto. Che lo “schifo†prevalga e spinga molte e molti a rimanere a casa. O che, al massimo, questi malumori si facciano coscienza critica, ma dentro il “campo XXLâ€, da Mastella e Renzi fino ad AVS e forse oltre, con il paradosso che potrebbero fungere da energia ri-legittimatrice dell’inciucio Schlein-De Luca-Fico. Che anche qui si imponga la logica del “menopeggismo†e, alla fine, si decida di sostenere il centrosinistra, magari turandosi il naso e chiudendo occhi e orecchie. E tutti a votare Pellegrino Mastella e le figlie e i figli di chi in Regione comanda per davvero.

È lo scenario da scongiurare. Per questo serve un’altra proposta. Serve lanciare un grido insieme di allarme e speranza, rivolto a chi voglia liberare la nostra terra. Che oggi è ostaggio di questi personaggi e di questo sistema di potere. Chi credeva che i liberatori sarebbero arrivati da fuori, dovrebbe ricordare la massima secondo cui “solo il popolo salva il popoloâ€.

L’accordo di potere Schlein-De Luca-Conte-Fico ha un solo grande merito: rende palese che non c’è possibilità di cambiamento dentro il centrosinistra. Pane al pane, vino al vino: chi c’è per sfidare le destre e il centrosinistra e il sistema di potere che continua a toglierci aria e superare Scilla e Cariddi?

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Tavolo scuola universita ricerca

A scuola, contro guerra e genocidio
Data articolo:Mon, 01 Sep 2025 14:54:07 +0000

Quasi 8 milioni di studentesse e studenti e oltre 800.000 insegnanti tornano a scuola in un clima pesante. In tempo di guerra la scuola troppo spesso diventa strumento di manipolazione: celebra eroi, reprime il dissenso, o prepara i giovani alla logica bellica. Oggi la scuola continua a riprodurre l’ideologia dominante, costruendo consenso nelle retrovie o, peggio, inviando i giovani al fronte.

Dopo il 7 ottobre 2023 la pressione si è fatta ancora più forte: chi tra i docenti ha osato parlare, anche timidamente, delle responsabilità dello Stato sionista in Palestina è stato messo sotto accusa, sospeso o zittito. Circolari e “vigilanza” su commemorazioni come il Giorno della Memoria hanno limitato la libertà di insegnamento proprio quando era urgente confrontarsi sui crimini in corso.

La militarizzazione della scuola non nasce oggi: iniziative di “civismo†hanno aperto le porte a forze armate e corpi di polizia come presunti “espertiâ€, normalizzando la loro presenza in materie che vanno dall’educazione civica alla prevenzione del bullismo. Parallelamente si assiste alla trasformazione delle scuole in caserme: reintroduzione del voto di condotta, lavori socialmente utili come sanzione, restrizioni sul diritto di espressione del personale e crescente potere discrezionale dei dirigenti. Le linee guida e i programmi spingono verso una scuola nostalgica e autoritaria — “Patriaâ€, primato occidentale, ritorno ai miti del passato — in un tentativo reazionario di cancellare il pensiero critico.

La precarietà aggrava tutto: oltre 200.000 docenti precari salgono in cattedra anche quest’anno. La precarietà produce vulnerabilità, paura di perdere il posto, scarsa partecipazione a progetti educativi a lungo termine e riduce la capacità collettiva di resistere e organizzarsi.

Per questo è necessaria una svolta.

La mobilitazione contro il genocidio del popolo palestinese ha risvegliato una coscienza che si riflette anche nelle scuole: iniziative, mozioni, prese di posizione di singoli e di istituti dimostrano che la scuola democratica — praticata ogni giorno da migliaia di insegnanti — è viva e resistente.

Per l’avvio del nuovo anno si stanno organizzando iniziative diffuse: dal minuto di silenzio all’ora di discussione, testi per mozioni collegiali e azioni di mobilitazione. In rete gira un appello a tutti i sindacati per indire uno sciopero generale unitario della scuola contro il genocidio, e l’Osservatorio contro la militarizzazione propone la data del 4 novembre, con mobilitazioni preparatorie a partire dal 20 ottobre.

Come Potere al Popolo e come docenti militanti, sosteniamo e diffondiamo queste iniziative. Facciamo anche noi appello alle sigle sindacali — e in primo luogo al sindacalismo conflittuale — perché si ragioni su uno sciopero della scuola contro il genocidio. Continueremo a contrastare il progetto reazionario del Governo, costruendo legami tra chi lotta dentro e fuori la scuola — docenti, studenti e personale tecnico-amministrativo — consapevoli di essere tutti dalla stessa parte della barricata: quella giusta.

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Estero

LETTERA APERTA: “COSA TEMETE CHE FARÀ L’ESTREMA DESTRA CHE VOI NON ABBIATE GIÀ FATTO?â€
Data articolo:Fri, 29 Aug 2025 10:48:15 +0000

Il 12 agosto, Samar Abu Elouf, vincitrice del World Press Photo of the Year 2025 per la foto che trovate sopra, ha fatto un post sul suo account Instagram per comunicare che l’amico intimo di suo figlio, Sami Shukour, era stato ucciso mentre “andava a cercare farina per sfamare se stesso e la sua famigliaâ€. Samar aveva scattato delle foto di laurea di Sami poco prima dell’inizio del genocidio nell’ottobre 2023. La famiglia di Sami possiede una delle aziende più famose della Palestina, che produceva halawa con tahini [un dolce a base di sesamo, ndt] “tra le migliori di Gazaâ€, ha scritto Samar. Sami, ha aggiunto, “è stato ucciso sotto una raffica di proiettili; il rumore era terrificante…non siamo solo numeri; ognuno di noi è una storiaâ€.

Siamo entrati nell’ultimo trimestre del 2025, i giorni “galoppano†verso un nuovo anno. L’immagine di essere inseguiti dai cavalli non è casuale, perché non si tratta di cavalli selvaggi la cui bellezza decorano il paesaggio del campo aperto, ma sono cavalli dell’apocalisse. Ovunque ci voltiamo, c’è l’odore dell’estrema destra di tipo speciale alle porte del potere, i suoi leader che cavalcano a tutta velocità. Nessuno di questi leader ha un programma preciso volto a risolvere le nostre crisi; piuttosto, alimentano le crisi. Negano l’esistenza del cambiamento climatico e l’importanza della dignità umana. Vogliono approfondire l’austerità e spingono alla guerra. Promuovono l’irrazionalità e il soffocamento sociale.

In tutto il mondo, le persone di coscienza sono sconvolte dall’ascesa di questa estrema destra e dal fascino che esercita su ampie fasce delle nostre società. A Tricontinental: Institute for Social Research, abbiamo studiato la crescita di questa estrema destra. Abbiamo esaminato come la sua base politica sia radicata nell’atomizzazione della società, nella crescita di istituzioni e altri gruppi che orientano la loro visione politica – come per esempio le nuove comunità religiose e le economie sommerse – e nella disgregazione delle organizzazioni operaie e contadine. Parte della nostra conclusione è che il crollo politico della socialdemocrazia e del liberalismo sia dovuto all’adozione di politiche di austerità neoliberiste e ha creato le condizioni per il radicamento dell’estrema destra tra le masse. Senza il riconoscimento di questo fatto e senza un rinnovamento dei loro programmi politici non ci possiamo aspettare che diventino i nostri alleati nella lotta contro l’estrema destra di tipo speciale.

Colpito dal fallimento della socialdemocrazia e del liberalismo di tutto il mondo nel rinnovarsi in questo senso (soprattutto i liberali del Nord globale sono stati incapaci di porre fine al loro sostegno al genocidio israeliano contro il popolo palestinese) ho scritto una “lettera†che condivido qui sotto, una lettera a coloro che continuano ad aderire a queste forze politiche; una lettera indirizzata alle persone socialdemocratiche e liberali e a coloro che fanno ancora parte dei partiti che si riferiscono a quella tradizione ormai letteralmente svuotata: Labour (nel Regno Unito), Verdi (in Germania), Democratici (negli Stati Uniti) e Liberali (in Giappone).

Avete rinunciato a qualsiasi limitata funzione “neutrale†che lo Stato aveva nella lotta di classe tra capitalisti e lavoratori. Ora è l’oligarchia a governare lo Stato, con leggi ridotte al minimo e i diritti della classe lavoratrice praticamente azzerati.

Avete assunto il ruolo di spettatori mentre l’oligarchia ha dato fuoco alla società, smantellato le vecchie fabbriche e trasferito i macchinari in paesi dove la manodopera è più economica e si è arricchita attraverso la speculazione. Non ci sono più posti di lavoro in queste terre desolate, solo lavori servili per soddisfare i capricci dell’oligarchia e lavori uberizzati per fornire servizi mediocri.

Avete spinto lo Stato già compromesso a tagliare le tasse e a ridurre i servizi sociali proprio mentre la disoccupazione e la povertà aumentavano. Le vecchie idee liberali di aiutare i meno fortunati si sono dissolte nell’acido dell’individualismo e dell’ambizione personale, il denaro che veniva speso per il welfare sociale è evaporato nei mercati finanziari per la corsa degli oligarchi a diventare i primi trilionari. Ciò che sarebbe stato riciclato attraverso il sistema fiscale è ora impantanato nei mercati monetari che assomigliano a veri e propri casinò, dove le urla e il delirio dei ricchi nascondono le grida dei poveri.

Avete orientato lo Stato verso un rafforzamento del suo diabolico legame con i commercianti di armi e con i loro prodotti. Le armi divorano gli impegni sociali dello Stato moderno con le sue cittadine e i suoi cittadini. Ci sono famiglie che mendicano per strada, mentre nelle sale riunioni, in alto sopra di loro, i governi si stringono accordi ripugnanti con le aziende dell’armamento e con i soldi del popolo. I valori di un popolo non sono radicati nelle costituzioni – che sono state svuotate ormai – ma nei conti pubblici, che sono così fortemente sbilanciati a favore delle armi che non rimane praticamente nulla per il welfare sociale.

Avete permesso che la cultura della crudeltà cresca, una cultura di comportamenti mostruosi della polizia nei confronti delle cittadine e dei cittadini, di uomini arraggiati nei confronti delle donne, della fame che tormenta chi ha lo stomaco vuoto. Tutto questo è ormai normale, è la natura della civiltà moderna. Voi l’avete permessa e l’avete promossa. Vi siete nascosti dietro agli atteggiamenti “socialiâ€, a un liberalismo sociale, alle vostre occasionali partecipazioni al pride o a una passeggiata per la Giornata internazionale della donna; ma non vi importa nulla dell’uomo gay che sta morendo di HIV/AIDS e che non ha accesso ai farmaci, della donna che non ha un rifugio per se e i suoi figli quando la casa diventa invivibile.

Il vostro liberalismo è ormai imploso. Non ci sono filosofi liberali che non siano meramente analitici, con la loro bussola morale intrappolata in un dibattito accademico che ha poco a che vedere con il mondo fuori. I vostri pensatori sono fatti per la TV, il trucco sul loro viso impedisce che la luce li illumini, ma anche che la luce della ragione accompagni le sue parole. Il vostro liberalismo è pubblicità, non filosofia.

La cultura fascista classica era una cultura morta. Era una cultura di falsa gloria e autentica violenza. Ha rappresentato una vera rottura con la cultura liberale che l’aveva preceduta e una rottura con la cultura della classe operaia e dei contadini che si era rafforzata attraverso decenni di lotte e di costruzione di istituzioni. La cultura dell’estrema destra di tipo speciale, invece, è una rifrazione della cultura neoliberista. Non ha una cultura propria, ma è una replica, uno specchio rotto delle fantasie e dei desideri neoliberisti, un’inflazione del desiderio. Trump non è Hitler, ma il conduttore di The Celebrity Apprentice, il cui slogan è: “Sei licenziato!â€.

Il Nord globale, epicentro dell’estrema destra di tipo speciale, è immerso nella decadenza e nel pericolo. Non emana alcuna nuova filosofia. Non ha intellettuali che lo guidano, nemmeno del tipo degli intellettuali nazisti come Ernst Krieck, Martin Heidegger o Carl Schmitt. È pericoloso perché comanda un esercito che ha la capacità di distruggere il mondo: quasi l’80% della spesa militare mondiale è sostenuta dal Nord globale e dai suoi alleati della NATO, con gli Stati Uniti in possesso di oltre 900 basi militari, molte delle quali sul suolo europeo.

La leadership dei liberali e dei socialdemocratici del Nord globale è una falsa speranza. Dobbiamo cercare la leadership in noi stessi, nelle nostre tradizioni e nei nostri movimenti. Lottiamo per riportare vitalità nelle nostre culture, per approfondire le nostre teorie e filosofie, per cercare riferimenti tra i nostri pensatori. Si tratta di una lotta più profonda di quella elettorale. Dobbiamo ricostruire la nostra fiducia per respingere la vana gloria nazionale e e lo sporco liberalismo che ci viene offerto dal Nord globale. L’estrema destra è terrificante, ma è solo una svolta più terribile dei liberali tecnocratici e dei Verdi guerrafondai che preferiscono spendere più soldi per le forze armate e il pagamento del debito che per i bisogni dell’umanità.

Con affetto,
Vijay

*Traduzione della trentacinquesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

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Estero

IL SAHEL ALLA RICERCA DELLA SOVRANITÀ
Data articolo:Thu, 28 Aug 2025 11:20:42 +0000

Nel settembre del 2023, sulla scia dei colpi di Stato guidati da fazioni progressiste dell’esercito, i capi di Stato di Burkina Faso, Mali e Niger si sono riuniti a Bamako (Mali) per firmare la Carta di Liptako-Gourma che istituisce l’Alleanza degli Stati del Sahel (AES).[1] L’articolo VI della Carta stabilisce che:

Qualsiasi violazione della sovranità e dell’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerata un’aggressione contro le altre parti e darà luogo a un dovere di assistenza e soccorso da parte di tutte le parti, individualmente o collettivamente, compreso l’uso della forza armata, per ripristinare e garantire la sicurezza nell’area coperta dall’alleanza.[2]

L’iniziativa di costituire l’AES è stata una risposta diretta alla minaccia di un intervento militare in Niger da parte della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) a seguito del colpo di Stato militare sostenuto dalla popolazione. L’ECOWAS, insieme all’Unione africana (UA), ha anche imposto sanzioni e sospeso l’adesione dei tre Stati membri dell’AES a seguito dei rispettivi colpi di Stato: il Mali nell’agosto 2020, il Burkina Faso nel gennaio 2022 e il Niger nel luglio 2023.

Nel gennaio 2024, Burkina Faso, Mali e Niger hanno annunciato congiuntamente il loro ritiro dall’ECOWAS. La decisione, diventata ufficiale nel gennaio 2025, è stata motivata come segue:

I coraggiosi popoli del Burkina, del Mali e del Niger constatano con profondo rammarico e grande delusione che l’organizzazione [ECOWAS] si è allontanata dagli ideali dei suoi padri fondatori e dal panafricanismo. Essa non serve più gli interessi dei suoi popoli, ma è diventata invece una minaccia per i suoi Stati membri e le loro popolazioni, di cui dovrebbe garantire la felicità.[3]

I leader dell’AES – Assimi Goïta del Mali, Ibrahim Traoré del Burkina Faso e Abdourahamane Tchiani del Niger – sono uniti dalla loro ascesa al potere grazie a colpi di Stato popolari e dall’irrequietezza nei confronti della politica filo-occidentale dell’ECOWAS. Rappresentano una nuova generazione di ufficiali militari che canalizzano la diffusa frustrazione dell’opinione pubblica nei confronti del neocolonialismo francese, e il loro ritiro dall’ECOWAS affonda le sue radici nei limiti storici del blocco.

Sebbene l’ECOWAS sia stata fondata nel 1975 con la retorica panafricana dei leader come il generale Acheampong del Ghana, che prometteva che questa nuova organizzazione regionale avrebbe “eliminato secoli di divisioni e barriere artificiali imposte dall’esterno all’Africa occidentaleâ€, si è sempre trattato di un progetto limitato. In realtà, è stata creata per concentrarsi su questioni economiche, come la creazione di un mercato comune, senza seri obiettivi di integrazione politica.[4] Questo ambito limitato è stato immediatamente ostacolato da divisioni interne e, cosa ancora più significativa, da lealtà esterne contrastanti. La parallela Comunità economica dell’Africa occidentale francofona (CEAO), sostenuta dalla Francia, spesso sovvertiva gli obiettivi del blocco. Ciò è stato dimostrato durante la crisi del Ciad del 1979-1981, quando la Francia e la CEAO hanno minato la missione di pace della Nigeria, trasformandola in un fallimento per l’ECOWAS e in una vittoria per il proprio blocco. Allo stesso modo, gli accordi militari esistenti tra la Francia e le sue ex colonie hanno ostacolato gli sforzi per creare una strategia di difesa comune.[5]

È questa storia di divisioni interne e di persistente influenza straniera che caratterizza oggi la prospettiva dell’AES. L’alleanza sostiene che l’ECOWAS agisce ora come un’autorità regionale al servizio di interessi esterni, tradendo i suoi principi fondanti e cadendo “sotto l’influenza di potenze straniereâ€.[6] Di conseguenza, al Vertice di Niamey in cui è stata lanciata l’AES, gli Stati membri hanno affermato che il loro ritiro dall’ECOWAS è definitivo, anche se stanno pianificando la transizione verso un governo civile.

Sebbene le principali istituzioni di sicurezza, i commentatori politici e le agenzie non governative abbiano riconosciuto il fallimento dell’ECOWAS e di altri partenariati di sicurezza nel garantire una sicurezza significativa nella regione, hanno ampiamente condannato le misure adottate dall’AES come “un duro colpo al progetto di integrazione regionale†che rischia di aumentare “le fratture†e “aggravare il deterioramento della situazione [di sicurezza]†nella regione.[7] Tuttavia, nel Sahel si sta formando una contro-narrazione. Dal punto di vista non solo dei leader politici dell’AES, ma anche delle organizzazioni di base locali e della popolazione in generale, l’alleanza è stata forgiata nel crogiolo delle più ampie insicurezze e disuguaglianze contemporanee che affliggono molti Paesi del Sud globale attivamente alle prese con questioni di sovranità e sviluppo. Per i membri dell’AES, il 2023 ha segnato una rottura collettiva con gli accordi di sicurezza falliti (come il G5 Sahel), la leadership delegittimata di organismi regionali come l’ECOWAS e l’UA e i rapporti politici di lunga data e diseguali con l’Unione Europea, la Francia e gli Stati Uniti, il tutto sostenuto da decenni di politica economica neoliberista.[8]

Questo dossier esplora l’emergere dell’AES e cerca di stimolare un dibattito sulla congiuntura attuale nella regione. Consideriamo questa nuova formazione come un esempio di regionalismo antimperialista nel contesto più ampio di come i Paesi del Sud globale affrontano le sfide della sovranità, della dipendenza e della sicurezza interna ed esterna. Essa invita a riflettere e a discutere sul significato e sulle implicazioni di questo ritorno alla via della sovranità, non come nazionalismo nostalgico, ma come coraggioso e necessario tentativo di rivendicare autonomia politica, autodeterminazione economica e dignità popolare di fronte all’iper-imperialismo.

Il Burkina Faso, il Mali e il Niger sono Paesi confinanti senza sbocco sul mare, con porzioni significative del loro territorio che si estendono lungo il confine meridionale del Sahara. Insieme, rappresentano circa il 45% della superficie dell’Africa occidentale e il 17% della sua popolazione, per un totale di 73 milioni di persone (Niger 26,2 milioni; Mali 23,8 milioni; e Burkina Faso 23 milioni).[9] Questi Paesi condividono norme culturali profondamente radicate, e mettono una forte enfasi sui valori comunitari, le tradizioni orali, uno stile di vita prevalentemente agricolo e strutture sociali e vita quotidiana profondamente influenzate dalla religione dominante, l’Islam.

Come gran parte dell’Africa occidentale, questi Paesi hanno vissuto le contraddizioni del dominio coloniale in modo particolarmente acuto durante la Seconda guerra mondiale. Sebbene lo sbarco in Normandia sia uno dei momenti più celebri della storia militare francese, ciò che spesso viene tralasciato è che molti dei soldati e dei lavoratori che contribuirono alla vittoria sulla Germania nazista erano persone africane provenienti dalle colonie francesi, tra cui gli attuali Burkina Faso, Mali e Niger. Il loro sacrificio sul suolo europeo contribuì a una crescente consapevolezza politica e gettò le basi per le rivendicazioni postbelliche di uguaglianza e autodeterminazione.[10]

All’indomani della guerra, incoraggiate dal nascente blocco socialista, le richieste di indipendenza si intensificarono. In Niger, ad esempio, nel 1946 fu fondato il Partito Progressista Nigerino (PPN), affiliato al Raggruppamento Democratico Africano (RDA), un movimento panafricano e anticolonialista guidato da figure come Modibo Keïta in Mali e Ahmed Sékou Touré in Guinea. Inizialmente il RDA chiedeva la parità di trattamento con i cittadini francesi, ma ben presto passò a rivendicare la piena indipendenza. In Burkina Faso, il partito Unione Voltaica (UV) si unì alla RDA nella speranza di costruire un fronte di liberazione nazionale coordinato a livello regionale, ma l’UV finì per sciogliersi sotto la pressione francese. Questo risveglio politico avrebbe gettato le basi per le lotte di liberazione nazionale in Africa occidentale.

Dopo la costosa sconfitta in Vietnam nel 1954 e nel contesto dell’escalation della guerra in Algeria (1954-1962), la Francia dovette affrontare crescenti pressioni interne ed esterne. Temendo una perdita totale dell’influenza economica e politica nel continente africano, il presidente Charles de Gaulle, appena tornato al potere, nel 1958 indisse un referendum nell’ambito della nuova costituzione della Quinta Repubblica. Il referendum offriva alle colonie africane due opzioni: votare “sì†per rimanere parte della Comunità franco-africana, sotto l’influenza francese (la cosiddetta opzione “di transizioneâ€, che prometteva un’indipendenza differita mantenendo i poteri chiave nelle mani della Francia), oppure votare “no†per l’indipendenza immediata, con la minaccia di un improvviso ritiro francese e di un’incombente instabilità economica. Djibo Bakary, fondatore del partito Sawaba (che significa libertà in hausa) e poi capo del governo nigerino dopo le prime elezioni del 1957, guidò la campagna per il “noâ€. Alla fine, solo la Guinea, sotto la guida di Sékou Touré, votò con successo “noâ€, diventando la prima colonia francese dell’Africa occidentale a ottenere l’indipendenza nel 1958.

I sostenitori di una rottura totale con la Francia, come Bakary, furono oggetto di repressione interna e messi da parte dai collaboratori coloniali, tra cui i leader tradizionali, gli amministratori coloniali e gli évolués (che significa gli evoluti, ovvero gli africani che avevano studiato nelle istituzioni francesi, ottenendo diritti o status limitati e preparati a servire l’ordine coloniale).[11] Per sabotare il referendum in Niger e minare Sawaba, che aveva anche combattuto contro lo sfruttamento dell’uranio francese, De Gaulle inviò un nuovo governatore: Don Jean Colombani. Il governo Colombani utilizzò il suo pieno controllo sulle centrali istituzioni statali – sicurezza, finanza e amministrazione territoriale – per lanciare una campagna di repressione, intimidazione e persino guerra psicologica, in particolare lanciando volantini dagli aerei in cui si diceva che chi votava “no†era nemico dello Stato.[12] Nonostante l’ampio sostegno pubblico a Sawaba, nel 1958 un massiccio broglio elettorale assicurò una vittoria fittizia alla campagna per il “sì†in Niger.

Ciononostante, la vittoria della campagna per il “no†in Guinea sempre nel 1958 – un “no†sulla scia dell’indipendenza del Ghana dalla Gran Bretagna nel 1957 – costrinse la Francia a cedere ulteriore terreno sulla questione dell’indipendenza politica e, nel 1960, 17 Paesi africani, tra cui 14 ex colonie francesi, dichiararono la loro indipendenza. Tuttavia, questa indipendenza formale non inaugurò una reale trasformazione economica. La tutela e la discrezionalità della Francia continuarono, e il controllo economico fu mantenuto attraverso una serie di accordi di “cooperazioneâ€, tra cui accordi di difesa, protocolli di assistenza tecnica e accordi finanziari come il sistema del franco CFA. Uno di questi accordi era l’accordo di difesa firmato nell’aprile del 1961 da Costa d’Avorio, Benin (ex Dahomey) e Niger, accordo che consentiva alla Francia di “utilizzare senza restrizioni†i beni di interesse militare.[13] Nel caso del Niger, la Francia manteneva anche un controllo significativo attraverso i seguenti meccanismi, espressione di un modello più ampio utilizzato in tutta la regione:

Un regime del debito coloniale: il Niger era tenuto a “rimborsare†alla Francia le infrastrutture dell’era coloniale, come strade e scuole costruite tramite il lavoro forzato.

Il controllo delle risorse: la Francia manteneva il diritto di prelazione sulle esportazioni strategiche del Niger, in particolare l’uranio, e le aziende francesi beneficiavano di un accesso preferenziale a settori chiave dell’economia.

Esenzioni fiscali: in base al principio della non doppia imposizione, le imprese francesi operanti in Niger pagavano le tasse solo in Francia ed erano esenti dagli obblighi locali, compresi dazi, imposte sulle vendite, imposta sul valore aggiunto e persino tasse sul carburante, il che comprometteva in modo significativo le entrate fiscali del Paese.

La dipendenza monetaria: il Niger era tenuto a utilizzare il franco CFA, una valuta emessa e regolamentata dal Tesoro francese, che limitava il suo controllo sulla propria politica monetaria e fiscale.

Un radicamento militare: la Francia manteneva basi militari e godeva del “libero uso delle installazioni militariâ€. Ciò includeva la libertà di movimento via terra, aria e acqua, il libero accesso alle infrastrutture di trasporto e comunicazione e il diritto di installare sistemi di segnalazione e trasmissione aerea e marittima.[14]

Inoltre, l’allegato II dell’accordo di difesa del 1961 garantiva al militare il ruolo di garante degli interessi del capitale francese e della politica economica nei Paesi firmatari. In particolare, l’articolo I dell’allegato stabiliva due categorie di materie prime strategiche: 1) idrocarburi liquidi o gassosi; e 2) uranio, torio, litio e berillio, nonché i loro minerali e composti. L’articolo II stabiliva che “la Repubblica francese informerà regolarmente la Repubblica della Costa d’Avorio, la Repubblica del Dahomey e la Repubblica del Niger della politica che intende seguire in materia di materie prime e prodotti strategici, tenendo conto delle esigenze generali della difesa, dell’evoluzione delle risorse e della situazione del mercato mondiale†[evidenziato dall’autore]. L’articolo V stabiliva che gli africani dovevano a loro volta garantire che la Francia fosse “tenuta informata dei programmi e dei progetti relativi all’esportazione al di fuori del territorio […] delle materie prime di seconda categoria e dei prodotti strategiciâ€. Inoltre, tutti e tre i Paesi erano tenuti a “facilitare, a beneficio delle forze armate francesi, lo stoccaggio di materie prime e prodotti strategici†e, quando gli interessi della difesa lo richiedessero, a “limitarne o proibirne l’esportazione verso altri paesiâ€.[15] Incorporando direttive economiche nei quadri di cooperazione militare, l’accordo trasformò l’infrastruttura di difesa del Paese in uno strumento per salvaguardare gli interessi commerciali e geopolitici francesi.

Anche il Mali ha cercato di affermare la propria sovranità economica e politica negli anni immediatamente successivi alla sua indipendenza nel 1960. Sotto la guida di Modibo Keïta (1960-1968), il Paese ha perseguito politiche economiche di orientamento socialista, come la creazione di imprese statali e l’adozione di una moneta nazionale indipendente dal franco CFA nel 1962 volta a rompere con il dominio monetario francese. Questi sforzi hanno subito notevoli ritorsioni, tra cui l’isolamento diplomatico, restrizioni commerciali e il ritiro del sostegno tecnico e finanziario francese, che contribuirono ad aggravare la crisi economica. Le turbolenze economiche che seguirono permisero al tenente Moussa Traoré, sostenuto dalla Francia, di compiere un colpo di Stato militare nel 1968, che portò il Mali a rientrare nella zona del franco CFA nel 1984.

Con la fine della Guerra fredda, la Francia modificò la sua politica africana introducendo la “condizionalità politica†al Vertice francofono di La Baule del 1990, con il presidente Mitterrand che dichiarò che gli aiuti francesi sarebbero stati vincolati alle cosiddette riforme democratiche, come le elezioni multipartitiche.[16] Ciò diede il via a un’ondata di programmi di aggiustamento strutturale (Structural Adjustment Programs – SAPs) del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale imposti a tutto il continente africano negli anni ’80; anche al Mali, dove misure di austerità, tagli ai servizi pubblici e la liberalizzazione dei mercati sono andati a pari passo al rientro del Paese nella zona del franco CFA nel 1984. Gli anni ’90 hanno inaugurato una seconda ondata di SAPs nel continente, soprattutto dopo la svalutazione del franco CFA nel 1994, quando la valuta ha perso metà del suo valore sotto la pressione della Francia, dell’FMI e della Banca Mondiale. Presentata come una misura volta a stimolare le esportazioni e ripristinare la stabilità finanziaria, in realtà la svalutazione ha provocato un forte aumento dei prezzi, l’erosione dei salari e disordini diffusi in tutta la regione. Questa seconda fase ha combinato la liberalizzazione economica con riforme di governance imposte dai creditori.[17] Presentati come democratizzazione, questi cambiamenti hanno rafforzato il controllo neocoloniale attraverso il debito, la privatizzazione e la ristrutturazione dello Stato gestita dall’esterno.

Questi strumenti di dominio riconfigurati sono stati accompagnati dall’espansione della presenza militare statunitense con il pretesto della lotta al terrorismo. Nel 2002, gli Stati Uniti hanno lanciato l’Iniziativa Pan Sahel, inizio di una presenza militare occidentale in diversi Paesi della regione, tra cui Mali, Niger, Ciad e Mauritania che poi si è espansa in Burkina Faso e ha cambiato nome nel 2005:  Partenariato Transahariano Contro il Terrorismo (TSCTP).

La crisi securitaria nella regione è stata, come ha spiegato il ministro degli Esteri del Mali Abdoulaye Maïga all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2024, “esacerbata dall’avventato intervento militare della NATO in Libia nel 2011â€.[18] Il crollo dello Stato libico ha aperto le porte al commercio illegale di armi e al crescente terrorismo. Il bombardamento di quello che allora era uno dei Paesi africani più sviluppati, con il più alto indice di sviluppo umano del continente e grandi progetti infrastrutturali come quello di irrigazione del Grande fiume artificiale, è stato ampiamente considerato un punto di svolta. Questa svolta ha inoltre minato il Consiglio di pace e sicurezza dell’Unione africana, che era pronto a inviare una missione nella capitale libica, Tripoli, quando sono state sganciate le prime bombe.[19]

Dopo il bombardamento della Libia nel 2011, sempre con la scusa della lotta al terrorismo, le attività militari francesi e statunitensi si sono notevolmente intensificate in tutto il Sahel. Sono state avviate nuove operazioni con droni statunitensi, missioni di addestramento guidate dall’AFRICOM e sono stati istituiti dispiegamenti militari e basi statunitensi e francesi a Gao (Mali), N’Djamena (Ciad), Niamey (Niger) e Ouagadougou (Burkina Faso). Nel 2014, le truppe francesi hanno lanciato l’operazione Barkhane, consolidando la loro presenza nella regione e formando la forza operativa congiunta G5 Sahel, che comprendeva Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger.[20] Tuttavia, negli ultimi dieci anni l’attività terroristica è aumentata in modo significativo. I funzionari maliani hanno ripetutamente affermato che le operazioni militari francesi non solo non sono riuscite a contenere il terrorismo, ma sono state addirittura il motore delle attività terroristiche; hanno inoltre accusato la Francia di prendere di mira in modo selettivo alcuni gruppi armati, tollerandone o proteggendone invece altri, e di utilizzare la crisi securitaria per giustificare la sua presenza militare prolungata e salvaguardare i propri interessi strategici. Nell’agosto 2022, l’allora ministro degli Esteri del Mali Abdoulaye Diop ha apertamente accusato la Francia di ripetute violazioni dello spazio aereo, spionaggio e sostegno diretto a gruppi terroristici – compreso il trasporto aereo di armi e il coordinamento con i leader jihadisti – e ha chiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per fermare quelli che ha definito “atti di aggressione contro la sovranità e l’integrità territoriale [del Mali]â€.[21]

Mentre gli attori militari stranieri minavano la sovranità nazionale con il pretesto della lotta al terrorismo, le multinazionali continuavano a sfruttare le risorse del Sahel a condizioni profondamente disuguali. Questi Paesi rimangono fortemente dipendenti dall’esportazione di materie prime – come l’uranio dal Niger e l’oro dal Mali – a condizioni di sfruttamento. Nel 2010, ad esempio, il Niger ha ricevuto solo il 13% del valore totale delle esportazioni generate dalle due principali società francesi di estrazione dell’uranio operanti nel Paese.[22] Nonostante sia diventato uno dei maggiori produttori di oro dell’Africa a partire dagli anni ’90, il Mali ha mantenuto benefici economici minimi. Esenzioni fiscali, strutture inique di diritti di proprietà (royalty) e altre politiche hanno consentito a società come Randgold Resources (che si è fusa con Barrick Gold Corporation nel 2018) e AngloGold Ashanti di estrarre profitti con pochi reinvestimenti.

A lungo termine, questa dipendenza economica ha rafforzato il sottosviluppo, reso gli Stati vulnerabili alle pressioni esterne e limitato la loro capacità di diversificare le economie o negoziare condizioni commerciali favorevoli. La conseguente mancanza di uno sviluppo sostenibile ha contribuito a una serie di crisi politiche, sociali e securitarie. A partire dagli anni ’90, colpi di Stato e cambiamenti di regime sono diventati una caratteristica comune, con le élite nazionali che competono per il potere in contesti istituzionali deboli. La corruzione, l’inadeguatezza dei servizi pubblici e l’esclusione dei gruppi emarginati hanno ulteriormente minato la legittimità dello Stato e approfondito la sfiducia dell’opinione pubblica.

Mobilitazioni di massa

La frustrazione popolare nei confronti delle istituzioni statali svuotate da decenni di ristrutturazioni neoliberiste e ingerenze straniere ha provocato mobilitazioni di massa in Mali, Burkina Faso e Niger tra il 2017 e il 2022, e, di conseguenza, colpi di Stato popolari.

A partire dalle proteste contro il franco CFA in Senegal nel settembre 2017, le manifestazioni si sono rapidamente intensificate in tutto il Sahel. In tanti consideravano la valuta, emessa dal Tesoro francese, uno strumento di dominio economico permanente e un simbolo del controllo neocoloniale. Nell’aprile 2019, in Mali sono scoppiate proteste su larga scala a seguito di un’ondata di violenze intercomunali, tra cui il massacro di circa 160 abitanti di un villaggio fulani [gruppo etnico diffuso nell’Africa occidentale, con una presenza significativa in paesi come Nigeria, Mali, Guinea, Senegal e Niger, ndt] da parte di membri della comunità etnica dogon [popolazione maliana che conta circa 240.000 persone, ndt].[23] La situazione è degenerata nel gennaio 2021, quando un attacco aereo francese ha colpito una festa di matrimonio nel villaggio di Bounti, uccidendo almeno diciannove persone civili. Mentre l’esercito francese ha affermato di aver preso di mira combattenti jihadisti, un’indagine successiva delle Nazioni Unite ha fornito le prove che l’attacco ha colpito in modo schiacciante i civili, in violazione del diritto internazionale.[24] Questi eventi hanno alimentato manifestazioni di massa che rivendicavano le dimissioni del presidente Ibrahim Boubacar Keïta e il ritiro delle truppe francesi e internazionali, contribuendo, nell’agosto del 2020, alla destituzione di Keïta e alla formazione di un governo guidato dai militari.

Analogamente, a partire dal 2018 il Burkina Faso ha vissuto mobilitazioni di massa contro le inefficaci politiche di sicurezza del presidente Roch Kaboré. Queste hanno raggiunto un punto di svolta nel novembre 2021, quando i manifestanti a Kaya e in altre località hanno bloccato i convogli militari francesi, sospettandoli di complicità con gruppi terroristici. I disordini prolungati sono culminati in una rivolta militare nel gennaio 2022 e nella presa di potere da parte del capitano militare Ibrahim Traoré.

Contemporaneamente, nel dicembre 2019 in Niger sono scoppiate proteste a seguito di un attacco mortale da parte di militanti dello Stato Islamico contro una base militare; l’attacco ha causato la morte di almeno 71 soldati nigerini e alimentato la rabbia dell’opinione pubblica per l’incapacità dello Stato. Le tensioni sono riesplose nel novembre 2021 nella città di Tera, dove i manifestanti hanno affrontato un convoglio militare francese che era stato precedentemente bloccato dai manifestanti in Burkina Faso per oltre una settimana. Il convoglio ha aperto il fuoco, uccidendo almeno due civili e ferendone diversi altri, intensificando ulteriormente l’indignazione dell’opinione pubblica.[25]

Colpi di Stato popolari

Spesso, l’Africa viene citata come vittima di una “epidemia di colpi di Statoâ€.[26] Tra il 1950 e il 2022, la maggior parte dei tentati colpi di Stato militare nel mondo – 214 su 486 – ha avuto luogo in Africa, metà dei quali con esito positivo.[27] La narrazione mainstream ha inquadrato i recenti colpi di Stato nel Sahel perlopiù come l’ennesimo ciclo di instabilità politica nel continente africano, parte di un modello di “imprenditori politici autocratici nella fascia dei colpi di Stato in lotta per il potereâ€.[28] Tuttavia, a differenza dei precedenti colpi di Stato nel continente, questi sembrano esemplificare un patriottismo diverso e che il presidente dell’Organizzazione dei popoli dell’Africa occidentale Philippe Toyo Noudjnoume ha descritto come “intervento militare per la sovranitàâ€.[29]

Questi governi militari si distinguono dai precedenti nella regione per almeno tre aspetti significativi: in primo luogo, per le origini di classe e l’orientamento ideologico dei leader golpisti; in secondo luogo, per la partecipazione attiva delle organizzazioni popolari; in terzo luogo, per lo sviluppo di programmi nazionali panafricani e antimperialisti endogeni.

Le origini di classe e l’orientamento ideologico dei leader golpisti. Molti dei principali leader golpisti sono di stampo diverso rispetto agli altri ufficiali militari che hanno guidato i colpi di Stato nella regione. I colpi di Stato archetipici tra gli anni ’60 e ’80 erano in gran parte sostenuti dall’Occidente, volti contro i leader della liberazione nazionale e a frenare la diffusione di governi e forze sociali antimperialisti o di sinistra. In quei casi, la sopravvivenza di un governo militare era meno legata a questioni ideologiche, ma ad assicurarsi il sostegno delle élite nazionali e dei sostenitori stranieri.[30] I recenti colpi di Stato non rientrano in questo schema. Come osserva Vijay Prashad, direttore di Tricontinental: Institute for Social Research:

Personaggi come il militare e presidente ad interim del Burkina Faso Ibrahim Traoré (nato nel 1988), cresciuto nella provincia rurale di Mouhoun e che ha studiato geologia a Ouagadougou, e il colonnello del Mali Assimi Goïta (nato nel 1983), originario della città mercato del bestiame e ridotta militare di Kati, hanno iniziato a rappresentare sempre di più queste ampie frazioni di classe. Le loro comunità sono state completamente emarginate a causa dei duri programmi di austerità dell’FMI, del furto delle loro risorse da parte delle multinazionali occidentali e del finanziamento delle guarnigioni militari occidentali nel Paese. Esclusi e senza una vera e propria piattaforma politica che parlasse per loro, ampi settori del Paese si sono uniti dietro le parole d’ordine patriottiche di questi giovani militari, a loro volta spinti da movimenti di massa, come per esempio i sindacati o le organizzazioni contadine. È per questo che il colpo di Stato in Niger viene difeso con manifestazioni di massa dalla capitale Niamey fino alle più piccole e remote città che confinano con la Libia. Questi giovani leader non arrivano al potere con un programma ben elaborato. Tuttavia, hanno un certo livello di ammirazione per persone come Thomas Sankara: Il capitano Ibrahim Traoré del Burkina Faso, ad esempio, indossa un berretto rosso come Sankara, parla con la sua franchezza di sinistra e imita persino la sua dizione.[31]

La partecipazione attiva delle organizzazioni popolari. Le organizzazioni popolari hanno plasmato gli elementi fondamentali dell’agenda nazionale e partecipano attivamente alla sua costruzione. Quando nel luglio del 2023 è avvenuto il colpo di Stato in Niger, le organizzazioni di massa di tutti i settori hanno assediato le basi militari francesi e l’ambasciata francese, non solo per celebrare la caduta di un regime in crisi e difendere il colpo di Stato, ma anche per rafforzare la rivendicazione di lunga data di espellere le forze neocoloniali francesi. Nel 2022, quindi prima del colpo di Stato, i movimenti sociali avevano già iniziato a costruire un fronte di massa contro l’imperialismo, un processo popolare che si basa sulle organizzazioni politiche e su processi di formazione politica che esistono da decenni. Quando il governo militare del Niger ha rotto con la Francia, è stato un segnale di tutela degli interessi del proprio popolo. Da allora, i leader dei movimenti sociali continuano a chiedere all’AES di mantenere i suoi impegni antimperialisti e sottolineano la necessità di introdurre meccanismi istituzionali che garantiscano sia la responsabilità che la partecipazione popolare. Effred Mouloul Al-Hassan, segretario generale del Sindacato dell’Istruzione del Niger, ha articolato questa dinamica di sostegno condizionato in una conferenza tenutasi a Niamey nel novembre 2024: “Vi sosteniamo finché sarete dalla parte del popolo. Altrimenti, vi combatteremo come abbiamo combattuto i colonialistiâ€.[32]

Lo sviluppo di programmi nazionali panafricani e antimperialisti endogeni. I nuovi governi golpisti hanno avviato nuovi programmi nazionali con un orientamento chiaramente antimperialista basato su modelli di sviluppo endogeni e sul patrimonio sociale e intellettuale della regione. La Strategia nazionale per l’emergenza e lo sviluppo sostenibile (SNEDD 2024-2033) del Mali delinea un programma a medio termine per il rinnovamento nazionale radicato in una rottura storica con i modelli di governance e sviluppo imposti dall’esterno. La SNEDD 2024-2033 si ispira al documento Mali Kura ɲɛtaasira ka bÉ›n san 2063 ma (Un nuovo Mali: una visione per il 2063), un rapporto previsionale pubblicato dal governo che articola una visione più ampia per il futuro del Paese.[33] Insieme, questi programmi cercano di radicare la ricostruzione nazionale nel pensiero politico e nelle tradizioni etiche precoloniali del Mali.

Nell’ambito della ridefinizione dell’identità nazionale e delle priorità istituzionali, il SNEDD 2024-2033 collega esplicitamente il rinnovamento post-colpo di Stato del Mali a tre pilastri del patrimonio culturale del Paese. In primo luogo, la Carta Manden – la costituzione dell’Impero del Mali, creata nel 1236 e spesso citata come una delle prime dichiarazioni dei diritti umani al mondo – che promuoveva valori quali la solidarietà sociale, la protezione dei settori vulnerabili della popolazione e la governance partecipativa attraverso un processo decisionale assembleare. In secondo luogo, i codici giuridici dell’Impero Massina (1818-1862), fondato nel Delta interno del Niger, nel Mali centrale, che combinavano la giurisprudenza islamica con la governance locale per istituzionalizzare la giustizia, la tutela dell’ambiente e il controllo dell’autorità esecutiva. In terzo luogo, le tradizioni manoscritte di Timbuctù, che uniscono il diritto, la scienza, l’etica e la pubblica amministrazione e riflettono secoli di produzione intellettuale locale e di dibattito sul governo giusto, sulle responsabilità morali della leadership e sulla ricerca della conoscenza al servizio del bene comune.

Insieme, queste tradizioni costituiscono le fondamenta di una nuova visione antimperialista dell’identità e della politica maliana basata sulla giustizia sociale, la governance collettiva e la dignità della civiltà.[34] La visione Mali 2063 chiede lo sviluppo di “un nuovo individuo maliano (Maliden kura)…un cittadino responsabile, patriottico, rispettoso dei valori, [che] è laborioso, coscienzioso e di mentalità aperta, che lavora per la sovranità e il benessere di tuttiâ€.[35]

Questa strategia nazionale afferma la ricostruzione del Mali come progetto nazionale e di civiltà basato su “uno Stato forte, stabile ed economicamente sovrano†che “garantisce la sua sovranità su diversi settori strategiciâ€[36]. Radicata nella partecipazione popolare e nella resistenza all’influenza neocoloniale, propone una trasformazione olistica incentrata su un “nuovo modello di sviluppo endogeno (Mali Kura Taasira)†in settori quali la governance, l’istruzione, la giustizia e la sovranità economica.[37] Questa visione fondamentale pone l’integrità culturale e la sovranità al centro dello sviluppo nazionale, segnando una chiara rottura con i modelli neocoloniali del passato, guidati dai donatori.

Questo programma viene gradualmente realizzato tramite diverse iniziative importanti. Tra i principali progetti infrastrutturali figurano il potenziamento della doppia carreggiata Bamako-Koulouba-Kati, della strategica strada transahariana (tratto Bourem-Kidal) e la costruzione della centrale solare da 200 MW di Sanankoroba (autorizzato nel 2024).[38] Nel settore minerario, descritto dal governo come la “leva strategica della crescita e dello sviluppo economicoâ€, sono state attuate importanti riforme attraverso il Codice minerario del 2023, il rilascio di licenze su larga scala per l’estrazione dell’oro (come la licenza Korali-Sud nella regione di Kayes) e l’acquisizione da parte del Mali dell’80% delle quote della miniera d’oro di Yatela, precedentemente detenute da società straniere.[39] Il Codice minerario del 2023 ha rivisto i termini dell’impegno con tutte le multinazionali straniere, imponendo una maggiore partecipazione statale fino al 30% nelle imprese minerarie, eliminando le esenzioni fiscali e ponendo le basi affinché lo Stato possa recuperare le imposte e i dividendi non pagati. Queste misure mirano a recuperare miliardi di franchi CFA precedentemente persi a causa di accordi iniqui (una recente revisione contabile ha rivelato una perdita di 300-600 miliardi di franchi CFA di entrate statali a causa di tali accordi), un segnale forte nei confronti di chi, nella storia del Paese, ha saccheggiato la ricchezza aurifera del Mali.[40] Il governo ha inoltre portato avanti i piani per costruire, con il sostegno della Russia, una raffineria d’oro e sviluppare, con l’aiuto della Cina, l’estrazione del litio nel progetto Goulamina; in questo modo, il Mali assume una propria posizione scalando la catena del valore piuttosto e non rimane un semplice fornitore di minerali grezzi.[41]

I Paesi dell’AES continuano ad affrontare sfide economiche importanti. Ad esempio, nel 2023 il PIL pro capite del Niger era di soli 560 dollari, uno dei più bassi al mondo, con un tasso di povertà internazionale del 47,8% e un’aspettativa di vita di 61 anni.[42] Anche il Mali e il Burkina Faso presentano indicatori simili, che riflettono una povertà diffusa e un accesso limitato ai servizi essenziali. Le sfide della sicurezza sono solo state esacerbate dalle vigenti difficoltà economiche. Negli ultimi quindici anni, il Sahel ha registrato un drammatico aumento delle attività terroristiche, con un incremento del 2’860% dei decessi e del 1’266% degli incidenti. Solo nel 2023, nella regione quasi 4’000 persone sono state uccise in attacchi terroristici, pari al 47% dei decessi causati dal terrorismo a livello mondiale e al 26% di tutti gli incidenti registrati. La stragrande maggioranza si è verificata in Burkina Faso, Mali e Niger.[43] Le violenze in corso, unite alla crisi ambientale, hanno causato lo sfollamento di milioni di persone in tutta la regione, contribuendo all’aumento del numero di sfollati interni e rifugiati.[44] Queste pressioni demografiche e securitarie insieme influenzano le priorità strategiche e le decisioni politiche dell’AES.

È in questo contesto e sullo sfondo di un crescente sentimento anti-francese che l’AES ha iniziato a prendere forma. Nel febbraio del 2022, il Mali ha espulso le forze diplomatiche e militari francesi e si è ritirato dai partenariati regionali per la sicurezza come il G5 Sahel, condannando il fallimento nel rispondere alle esigenze di sicurezza della regione. A luglio dello stesso anno, il Mali ha approfondito la cooperazione militare con la Russia attraverso nuovi accordi per l’addestramento e le operazioni congiunte. A settembre invece, il Burkina Faso ha vissuto il suo secondo colpo di Stato dell’anno; un colpo di Stato attraverso il quale una nuova leadership è salita al potere – una replica delle posizione anti-occidentale che già si erano rafforzate in Mali – e che ha avviato partenariati di sicurezza alternativi. In Mali, le tensioni con la Francia si sono ulteriormente intensificate, culminando nella sospensione dei programmi di aiuto francesi nel novembre 2022.

Il 2023 ha segnato la costituzione formale dell’AES come blocco regionale. A gennaio, il Burkina Faso ha rivendicato il ritiro delle truppe francesi, ponendo di fatto fine agli accordi militari e chiudendo le basi francesi nel Paese. A luglio, il Niger si è unito al Mali e al Burkina Faso nel rifiuto dell’influenza politica e militare occidentale sulla scia dei rispettivi colpi di Stato militari. Ad agosto, l’AES ha dichiarato un patto di difesa collettiva – formalizzato il mese successivo nella Carta di Liptako-Gourma – in cui si afferma che un attacco contro uno dei membri sarà considerato un attacco contro tutta l’alleanza. L’AES ha inoltre ampliato le sue partnership internazionali in occasione del Vertice Russia-Africa a San Pietroburgo, dove gli Stati membri hanno concluso nuovi accordi militari ed economici con la Russia. A settembre, gli Stati membri dell’AES hanno espulso i diplomatici statunitensi ed europei accusati di ingerenza e hanno avviato negoziati formali con la Cina per esplorare progetti di investimento infrastrutturale e di condivisione delle risorse.

Nel 2024, l’AES ha intrapreso una serie di iniziative strategiche per rafforzare la propria presenza regionale e affermare la propria sovranità. A luglio ha tenuto il suo primo vertice dei capi di Stato e ha formalizzato il ritiro dall’ECOWAS. Nei mesi successivi, l’alleanza ha condotto le sue prime esercitazioni militari congiunte, incentrate su operazioni coordinate di antiterrorismo e sicurezza delle frontiere. A marzo, sulla scia della chiusura da parte del Niger di una delle più grandi basi aeree statunitensi per droni, l’AES ha ulteriormente ampliato i suoi accordi di sicurezza con la Russia, concentrandosi sull’acquisto di armi e sulla condivisione di informazioni.[45]

Nell’aprile del 2024, i leader dell’AES hanno partecipato a un Forum panafricano sulla sicurezza, rafforzando la prospettiva di maggiore autonomia regionale e la ricerca di soluzioni proprie alle sfide securitarie. A giugno, l’alleanza ha ribadito il suo impegno per la sovranità delle risorse, sottolineando l’importanza strategica dell’uranio in Niger, dell’oro in Mali e delle risorse agricole in Burkina Faso. A luglio, l’AES ha respinto le richieste delle Nazioni Unite e delle potenze occidentali di accelerare la transizione verso un governo civile liberal-democratico, dando priorità alla stabilità interna rispetto alle scadenze imposte dall’esterno. L’alleanza ha anche rilasciato una dichiarazione in cui condanna le attuali sanzioni occidentali contro gli Stati membri, definendole strumenti imperialisti volti a minare la sovranità regionale. Il 6 luglio 2024, i membri dell’AES hanno adottato un trattato che istituisce ufficialmente la Confederazione degli Stati del Sahel; così si è rafforzata l’alleanza formata con la Carta di Liptako-Gourma del 2023. Il trattato delinea le priorità comuni in materia di sicurezza e difesa, lotta al terrorismo e promozione della cooperazione economica, commerciale e culturale tra i tre  Paesi.[46]

Questi sviluppi sottolineano l’impegno dell’AES a rafforzare l’autonomia regionale e a promuovere un approccio unificato per affrontare le complesse sfide del Sahel. Con l’espulsione della Francia e la diminuzione della sua influenza, la regione ha allargato le sue relazioni con la Cina e la Russia. Questo cambiamento ha sollevato preoccupazioni a Washington e in Occidente per l’erosione dell’influenza occidentale nella regione, trasformando il Sahel in un campo di battaglia per i conflitti internazionali.

L’AES deve affrontare limitazioni fondamentali, poiché le sue economie sono ancora dipendenti dalle risorse estrattive; questo riflette i modelli neocoloniali di relazioni commerciali ineguali e il limitato valore aggiunto.

Paese Principale merce di esportazione (2023) Quota delle esportazioni (%) Esportazioni totali (miliardi di dollari) Principali destinazioni
Burkina Faso Oro 81,8 3,65 Svizzera (67%)
Mali Oro 94,1 5,02 Emirati Arabi Uniti (72%)
Niger Oro, semi oleosi, uranio insieme ~68,5% 0,8 Emirati Arabi Uniti (25%), Cina (20%)

Fonte: Atlas of Economic Complexity di Harvard sulla base dei dati Comtrade delle Nazioni Unite.[47]

Mentre i Paesi dell’AES sfruttano la loro ricchezza mineraria per dare impulso ai cambiamenti economici, lo fanno in un contesto di dipendenza, diversificazione e aggiunta di valore.[48] Sebbene le destinazioni commerciali si siano spostate dal dominio francese, oggi la Svizzera (centro di raffinazione dell’oro) e gli Emirati Arabi Uniti (centro regionale per il commercio e la raffinazione, costantemente in crescita) dominano le esportazioni dei Paesi dell’AES. Mentre la Svizzera funge in gran parte da hub di transito, riesportando l’oro raffinato con un valore aggiunto locale minimo per i Paesi africani, gli Emirati Arabi Uniti sono impegnati in alcune attività di raffinazione, cosa che riflette un leggero miglioramento strategico per quel che riguarda la diversificazione. Tuttavia, in entrambi i casi, la catena del valore rimane prevalentemente al di fuori del controllo africano, alimentando la dipendenza dalle materie prime. Le economie dell’AES rimangono quindi vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi globali delle materie prime. Ad esempio, un calo dei prezzi dell’oro o perturbazioni nei mercati finanziari degli Emirati Arabi Uniti potrebbero avere gravi ripercussioni sulle entrate in valuta estera del Mali e del Burkina Faso. Nel frattempo, la dipendenza dall’uranio del Niger rimane politicamente delicata. In qualità di importante fornitore del settore dell’energia nucleare europeo, in particolare della Francia, sia il riallineamento politico post-colpo di Stato del Paese e che le tensioni con le potenze occidentali hanno sollevato preoccupazioni circa la sicurezza dell’approvvigionamento. Queste tensioni vengono esacerbate dalle sanzioni e dalla sospensione degli aiuti, trasformando l’uranio in una fonte di sostentamento economico e in una merce di scambio geopolitico.

Sebbene i Paesi dell’AES abbiano dimostrato una chiara aspirazione politica allo sviluppo economico sovrano, permangono vulnerabilità strutturali – dalla proprietà delle risorse, all’egemonia della valuta CFA. Una vera autosufficienza richiederà non solo la diversificazione delle destinazioni e dei prodotti di esportazione, ma anche un cambiamento radicale delle strutture produttive: sviluppo della capacità di raffinazione interna, controllo della politica monetaria, rafforzamento del commercio regionale e industrializzazione che superi la dipendenza dalle materie prime.

La stampa internazionale ha seguito da vicino l’arrivo della maggior parte dei leader africani al Vertice Russia-Africa del 2023. Quando il presidente del Burkina Faso Ibrahim Traoré e il presidente del Mali Assimi Goïta sono entrati nella sede dell’evento, i media si sono scatenati su questi leader “ribelli†che hanno adottato un comportamento assertivo, cosa che indica l’ampio cambiamento geopolitico in corso nei Paesi strategici del Sud globale.

Durante l’incontro bilaterale con il presidente russo Vladimir Putin, Traoré ha dato priorità alla sicurezza nazionale e agli accordi di sviluppo, ma ha anche fatto riferimento, in modo esplicito, agli “sviluppi in Nigerâ€, dove proprio in quel momento il generale Abdourahamane Tchiani stava guidando un colpo di Stato militare. Questo gesto ha segnalato l’allineamento con la rottura politica del Niger e ha rafforzato la narrativa di una lotta comune all’interno di un ordine internazionale ingiusto che, secondo i leader dell’AES, deve essere ridefinito.[49] Le strategie diplomatiche di Traoré e Goïta riflettono un deliberato allontanamento dai rapporti neocoloniali e un avvicinamento a partenariati di sviluppo sovrani, riecheggiando una crescente tendenza di molti Paesi del Sud globale all’interno dell’architettura mondiale iper-imperialista che può essere definita una posizione di “forte ricerca della sovranitàâ€.[50]

Questi impegni diplomatici – compresi i riallineamenti strategici e le iniziative economiche o di sicurezza congiunte – non sono semplici alleanze opportunistiche, ma espressioni di aspirazioni più profonde di riposizionamento strutturale. L’AES non sta semplicemente bilanciando le minacce nel senso tradizionale degli studi sulla sicurezza (cioè allineandosi con una potenza per controbilanciarne un’altra), né sta semplicemente cercando nuovi protettori. Piuttosto, il suo atteggiamento potrebbe essere descritto come una “offensiva di sovranitàâ€, una condizione in cui gli Stati, confrontati con i vincoli di un ordine iper-imperialista, affermano politiche e strategie istituzionali volte a rompere con la dipendenza e a riconfigurare il loro posto nel sistema globale.

Alla Conferenza internazionale di solidarietà con i popoli del Sahel, tenutasi a Niamey nel novembre del 2024, il generale di brigata Abdou Assoumane Harouna, leader del Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (CNSP) e governatore di Niamey, ha dichiarato: “Affronteremo la potenza dell’imperialismo […] Nessuna potenza militare al mondo può fermare la spinta verso l’indipendenza e il rifiuto del vecchio ordine mondialeâ€.[51] Questa impostazione riflette un’aspirazione più ampia – non solo nel Sahel, ma in tutto il Sud globale – volta a liberarsi dalla camicia di forza del comando imperiale e ad affermare percorsi indipendenti di sviluppo, cooperazione regionale e chiarezza ideologica.[52]

Il riposizionamento sovrano dell’AES non riflette una spontaneità ideologica, ma emerge dalla tradizione delle lotte di liberazione nazionale e dalla fine della dipendenza che i movimenti popolari rivendicano da tempo. Queste richieste provenienti dal basso hanno chiaramente influenzato il modo in cui i leader dell’AES hanno inquadrato le transizioni guidate dai militari come forme di “sovranità correttivaâ€.

Alcuni analisti riducono questi cambiamenti a un “effetto carrozzone†in relazione alla Russia [cioè una tendenza ad adottare dei specifici comportamenti perché altri fanno lo stesso, ndt] o a un populismo militare opportunistico, ma tali spiegazioni non colgono le dinamiche strutturali dello svincolamento da un forzato sistema di subordinazione. Come ha osservato il presidente Goïta nei suoi negoziati bilaterali con il presidente Putin durante il Vertice Russia-Africa del 2023:

Numerosi Paesi africani, in particolare il Mali, stanno subendo pressioni senza precedenti da parte di Paesi che sono pronti a introdurre sanzioni contro di noi per la nostra partnership con la Russia, per la nostra scelta sovrana [evidenziato dall’autore]. Siamo sbalorditi da questa pratica neocolonialista che deve essere fermata attraverso uno sforzo concertato a livello internazionale.[53]

Questa “scelta sovrana†deriva da interessi condivisi e da processi storici più lunghi che sono ancora in corso. Il presidente del Burkina Faso Traoré, durante il suo discorso al vertice ha spiegato che la Russia è come una famiglia per il popolo africano a causa della loro storia comune. “La Russia ha compiuto enormi sacrifici per liberare il mondo dal nazismo durante la Seconda guerra mondiale. Anche i popoli africani, i nostri nonni, sono stati deportati con la forza per aiutare l’Europa a liberarsi dal nazismoâ€, ha spiegato. “Condividiamo la stessa storia, nel senso che siamo i popoli dimenticati del mondoâ€.[54]

Questa posizione dell’AES rimane significativa. Quando il presidente Ibrahim Traoré dichiara che “uno schiavo che non può assumersi la responsabilità della propria rivolta non merita pietàâ€, o quando il ministro degli Esteri maliano Abdoulaye Diop afferma che “il destino dei nostri Paesi non sarà deciso a Bruxelles, Parigi, Washington o Londra. Sarà deciso a Bamako, Ouagadougou, Niameyâ€, non si tratta semplicemente di retorica.[55] Tali dichiarazioni sono affermazioni politiche che risuonano con un sentimento popolare di sovranità attraverso la lotta armata e istituzionale, in rottura con i regimi liberali smobilitati e guidati dai compradores degli ultimi decenni. Ciò è stato chiarito in modo inequivocabile quando una serie di tentativi di attentati e interventi contro Traoré sono stati risposti, il 30 aprile 2025, con numerose manifestazioni, proteste e dimostrazioni a sostegno della sua leadership in Paesi di tutto il continente e del mondo, dal Burkina Faso, alla Costa d’Avorio e al Kenya, fino agli Stati Uniti, al Regno Unito e alla Francia.[56]

Non si tratta di romanticizzare l’AES. Questi governi devono affrontare profonde contraddizioni interne e navigare tra i pericoli di vecchie e nuove dipendenze. I cambiamenti nel panorama geopolitico possono rapidamente modificare la capacità dell’AES di sfruttare le sue nuove relazioni. Come scrive Vijay Prashad a proposito degli eventi in Siria e delle loro ripercussioni nel Sahel:

Il cambio di governo in Siria non solo ha indebolito l’Iran nel breve termine, ma ha anche indebolito la Russia (un obiettivo strategico a lungo termine degli Stati Uniti), che in precedenza utilizzava gli aeroporti siriani per rifornire i suoi aerei in rotta verso vari Paesi africani. Non sarà più possibile per la Russia utilizzare queste basi e non è chiaro dove gli aerei militari russi potranno rifornirsi per i viaggi nella regione, in particolare verso i Paesi del Sahel. Ciò offrirà agli Stati Uniti l’opportunità di spingere i Paesi che confinano con il Sahel, come Nigeria e Benin, a lanciare operazioni contro i governi di Burkina Faso, Mali e Niger. Questo richiederà una nostra particolare attenzione.[57]

Nonostante i risultati simbolici e strategici ottenuti finora, il successo dell’alleanza dipende dalla sua capacità di creare istituzioni durature, promuovere l’integrazione economica e allineare i propri obiettivi interni alla stabilità regionale. Nuove iniziative – come il coordinamento regionale in materia di gestione delle risorse, le proposte per una moneta saheliana, un passaporto AES unico che consenta la libera circolazione tra i Paesi, l’interconnessione delle reti, le forze militari congiunte e gli appelli alla cooperazione Sud-Sud – riflettono i primi passi verso un nuovo paradigma di sviluppo radicato nella sovranità, nell’autosufficienza e nella partecipazione popolare. Il paradigma emergente nel Sahel rimane fragile, ma riflette un deciso rifiuto del modello imperiale e un orizzonte politico in linea con le aspirazioni di emancipazione del Sud globale.

Note

[1]    Autorità del Liptako-Gourma, Carta del Liptako-Gourma che istituisce l’Alleanza degli Stati del Sahel, settembre 2023, https://maliembassy.us/wp-content/uploads/2023/09/LIPTAKO-GOURMA-Engl___-2.pdf, 2.

[2]    Autorità di Liptako-Gourma, Carta di Liptako-Gourma, 3.

[3]    Comunicato congiunto del Burkina Faso, della Repubblica del Mali e della Repubblica del Niger: I tre paesi decidono di ritirarsi immediatamente dall’ECOWAS, 28 gennaio 2024, pubblicato su Le Sahel. Consultato il 14 luglio https://www.lesahel.org/communique-conjoint-du-burkina-faso-de-la-republique-du-mali-et-de-la-republique-du-niger-les-trois-pays-decident-de-leur-retrait-sans-delai-de-la-cedeao/, traduzione nostra.

[4]    R. I. Onwuka, ‘The ECOWAS Treaty: Inching Towards Implementation’, The World Today 36, n. 2 (1980): 52, http://www.jstor.org/stable/40395168.

[5]    Onwuka, ‘The ECOWAS Treaty’, 52.

[6]    ‘La Francia deve andarsene dall’Africa è lo slogan del momento’, Tricontinental: Institute for Social Research, consultato il 7 luglio 2025, https://poterealpopolo.org/sahel-sovranita/; Vijay Prashad, “The Sahel stands up and the world must pay attentionâ€, People’s Dispatch, consultato il 7 luglio 2025, https://peoplesdispatch.org/2024/07/08/the-sahel-stands-up-and-the-world-must-pay-attention/.

[7]    ‘A Splinter in the Sahel: Can the Divorce with ECOWAS Be Averted?’, Crisis Group, 5 dicembre 2024, https://www.crisisgroup.org/africa/sahel/burkina-faso-mali-niger/splinter-sahel-can-divorce-ecowas-be-averted; Beverly Ochieng, ‘Will the Sahel Military Alliance Further Fragment ECOWAS?’, Center for Strategic & International Studies, 15 febbraio 2024, https://www.csis.org/analysis/will-sahel-military-alliance-further-fragment-ecowas; Matthew Edds-Reitman and Rachel Yeboah Boakye, ‘Sahel Coup Regime’s Split from ECOWAS Risks Instability in Coastal West Africa’, United States Institute of Peace, consultato il 25 dicembre 2024, https://www.usip.org/publications/2024/10/sahel-coup-regimes-split-ecowas-risks-instability-coastal-west-africa.

[8]    World Bank, ‘Population, Total – Burkina Faso, Mali, Niger’, World Development Indicators, consultato il 12 giugno 2025, https://data.worldbank.org/indicator/SP.POP.TOTL?locations=BF-ML-NE.

[9]    World Bank, ‘Population, Total – Burkina Faso, Mali, Niger’, World Development Indicators, consultato il 12 giugno 2025, https://data.worldbank.org/indicator/SP.POP.TOTL?locations=BF-ML-NE.

[10]    Sarah Jean Zimmerman, Living Beyond Boundaries: West African Servicemen in French Colonial Conflicts, 1908–1962 (UC Berkeley, 2011), https://escholarship.org/uc/item/4x19q2xb.

[11]    Mamane Sani Adamou, dell’Organizzazione Rivoluzionaria per una Nuova Democrazia (ORDN) – Tarmouwa, intervista inedita di Mikaela Nhondo Erskog, 9 settembre 2024.

[12]    Rahmane Idrissa, ‘Hot Water’, London Review of Books Blog, 9 April 2021, https://www.lrb.co.uk/blog/2021/april/hot-water; Klaas Van Walraven, ‘Decolonisation by Re1erendum: The Anomaly of Niger and the Fall of Sawaba, 1958–1959’, The Journal of African History 50, no. 2 (2009): 269-292, https://doi.org/10.1017/S0021853709990053.

[13]    ‘Accord de coopération en matière de défense entre la République française et la République du Niger’, firmato a Parigi il 24 aprile 1961, riprodotto in ‘Accords de coopération signés par la France avec la Côte d’Ivoire, le Dahomey et le Niger’, Journal Officiel de la République Française n. 69, 23 marzo 1963, https://afriquexxi.info/IMG/pdf/accord_france_niger_1961_0_.pdf.

[14]    Le cinque aree elencate sono state delineate in un’intervista inedita a Mamane Sani Adamou dell’Organizzazione Rivoluzionaria per la Nuova Democrazia (ORDN) – Tarmouwa, condotta da Mikaela Nhondo Erskog, il 9 settembre 2024.

[15]    ‘Accord de coopération’, 4, traduzione nostra.

[16]    Gordon Cumming, ‘French Aid to Africa: Towards a New Consensus?’, Modern & Contemporary France 4, n. 4 (1° gennaio 1996): 453-62, https://doi.org/10.1080/09639489608456334; Bocar Diagana et al., ‘Effects of the CFA Franc Devaluation on Urban Food Consumption in West Africa: Overview and Cross-Country Comparisons’, Food Policy 24, n. 5 (1° ottobre 1999): 465-78, https://doi.org/10.1016/S0306-9192(99)00060-3.

[17]    IMF, ‘Background Information from the Study Guide to The Fabric of Reform – An IMF Video’, consultato il 12 giugno 2025, https://www.imf.org/external/pubs/ft/fabric/backgrnd.htm.

[18]  Abdoulaye Maïga, ‘Speech at the General Debate of the 79th Session of the United Nations General Assembly’, 28 settembre 2024, New York, https://gadebate.un.org/sites/default/files/gastatements/79/ml_fr.pdf, traduzione nostra.

[19]  Tricontinental: Institute for Social Research, Defending Our Sovereignty: US Military Bases in Africa and the Future of African Unity, dossier n. 42, 5 luglio 2023, https://thetricontinental.org/pan-africa/dossier-42-militarisation-africa/; Malak Altaeb, ‘What’s Next for Libya’s Great Man-Made River Project?’, Middle East Institute, 10 agosto 2022, https://www.mei.edu/publications/whats-next-libyas-great-man-made-river-project.

[20]  [12] Tricontinental: Institute for Social Research, Defending Our Sovereignty.

[21]  [13] ‘Letter from Republic of Mali to UN on French Aggression and Support for Terrorism in Region’, Black Agenda Report, 24 agosto 2022, http://www.blackagendareport.com/letter-republic-mali-un-french-aggression-and-support-terrorism-region.

[22]  [14] ‘Areva in Niger: Who Is Benefiting from the Uranium?’, Oxfam International, 21 agosto 2014, https://www.oxfam.org/en/press-releases/areva-niger-who-benefiting-uranium.

[23]     [1] ‘Thousands Rally in Mali to Protest against Ethnic Violence’, Al Jazeera, 5 aprile 2019, https://www.aljazeera.com/news/2019/4/5/thousands-rally-in-mali-to-protest-against-ethnic-violence.

[24]    ‘UN Finds French Strike in Mali in January Killed 19 Civilians; France Refutes Report’, France 24, 30 marzo 2021, https://www.france24.com/en/live-news/20210330-un-probe-finds-french-strike-in-mali-in-january-killed-19-civilians.

[25]    ‘Deaths in Niger as Protesters Confront French Army Convoy’, Al Jazeera, 27 novembre 2021, https://www.aljazeera.com/news/2021/11/27/three-killed-in-niger-as-protesters-confront-french-army-convoy; Andrea Carboni, ‘Regional Overview: Africa 8-14 December 2019’, Armed Conflict Location & Event Data, 16 dicembre 2019, https://acleddata.com/2019/12/16/regional-overview-africa-8-14-december-2019/.

[26]    Kent Mensah, ‘Africa’s Coup Epidemic: Has Democracy Failed the Continent?’, Al Jazeera, 23 settembre 2023, https://www.aljazeera.com/features/2023/9/22/africas-coup-epidemic-has-democracy-failed-the-continent.

[27]     [5] AJLabs, ‘Mapping Africa’s Coups d’etat across the Years’, Al Jazeera, consultato il 27 dicembre 2024, https://www.aljazeera.com/news/2023/8/30/mapping-africas-coups-detat-across-the-years.

[28]    Theodore Murphy, ‘Middle Powers, Big Impact: Africa’s “Coup Belt,†Russia, and the Waning Global Order’, European Council on Foreign Relations, 6 settembre 2023, https://ecfr.eu/article/middle-powers-big-impact-africas-coup-belt-russia-and-the-waning-global-order/.

[29]    ‘Democracy is Like Rice. We Need to Grow It Ourselves: The Twelfth Pan-Africa Newsletter (2024)’, Tricontinental: Institute for Social Research, consultato l’11 giugno 2025, https://thetricontinental.org/pan-africa/newsletterissue-niger-conference/.

[30]    Ebenezer Babatope, Coups: Africa and the Barrack Revolts (Ibadan: African Books Collective, 1981); Samuel Decalo, ‘Modalities of Civil-Military Stability in Africa’, The Journal of Modern African Studies 27, n. 4 (1989): 547-578; Godfrey Mwakikagile, Military Coups in West Africa Since the Sixties (New York: Nova Science Publishers, 2001).

[31]    ‘Il popolo del Niger vuole rompere la rassegnazione’, 33° Newsletter di Tricontinental: Institute for Social Research, consultata il 30 dicembre 2024, https://poterealpopolo.org/niger-intervento-militare/. Per ulteriori informazioni sulla vita di Traoré, si veda Jack G. Kraft, Ibrahim Traoré: The Youngest Leader of Burkina Faso: From Military Officer to Interim President (Independently published, 2025).

[32]  Effred Mouloul Al-Hassan, osservazioni ascoltate dagli autori alla Conferenza internazionale in solidarietà con i popoli del Sahel, Niamey, Niger, novembre 2024.

[33]  Ministry of Economy and Finance, Mali Kura ÆÉ›taasira Ka BÉ›n San 2063 and National Strategy for Emergence and Sustainable Development (SNEDD 2024-2033) (Bamako: Government of Mali, dicembre 2024).

[34]  Ministry of Economy and Finance, Mali Kura ÆÉ›taasira Ka BÉ›n San 2063; Ministère de la Refondation de l’État, République du Mali, ‘Programme National d’Éducation aux Valeurs’, Bamako, 5 gennaio 2023, https://cdi.gouv.ml/wp-content/uploads/2024/02/Programme-National-DEducation-aux-Valeurs.pdf.

[35]  [13] Ministry of Economy and Finance, Mali Kura ÆÉ›taasira Ka BÉ›n San 2063, 4.

[36]  Ministry of Economy and Finance, Mali Kura ÆÉ›taasira Ka BÉ›n San 2063, 4.

[37]  [15] Ministry of Economy and Finance, Mali Kura ÆÉ›taasira Ka BÉ›n San 2063, 22.

[38]  Présidence de la République du Mali, ‘Sanankoroba: coup d’envoi de la construction d’une nouvelle centrale solaire de 200 MWc’, Koulouba, consultato il 12 luglio 2025, https://koulouba.ml/sanankoroba-coup-denvoi-de-la-construction-dune-nouvelle-centrale-solaire-de-200-mwc/; Présidence de la République du Mali, ‘Communiqué du Conseil des Ministres du jeudi 02 mai 2024’, Koulouba, consultato il 12 luglio 2025, https://koulouba.ml/communique-du-conseil-des-ministres-du-jeudi-02-mai-2024/.

[39]  Ministry of Economy and Finance, Mali Kura ÆÉ›taasira Ka BÉ›n San 2063, 14; Joy Chukwu, ‘Mali Takes Full Control Of Yatela Gold Mine From Foreign Companies’, West Africa Weekly, 20 ottobre 2024, https://westafricaweekly.com/mali-takes-full-control-of-yatela-gold-mine-from-foreign-companies/.

[40]  Bloomberg, ‘Mali to Get $1.2bn from Miners after Talks’, Mining Weekly, consultato il 16 giugno 2025, https://www.miningweekly.com/article/mali-to-get-12bn-from-miners-after-talks-2025-01-13.

[41]  Bruno Venditti, ‘Ganfeng Begins Production at Goulamina Lithium Mine in Mali’, Mining, 26 dicembre 2024, https://www.mining.com/ganfeng-begins-production-at-goulamina-lithium-mine-in-mali/.

[42]    World Bank, Macro Poverty Outlook: Sub-Saharan Africa (Washington, DC: World Bank, ottobre 2024) https://www.worldbank.org/en/publication/macro-poverty-outlook/mpo_ssa, 66.

[43]    Institute for Economics & Peace, Global Terrorism Index 2024: Measuring the Impact of Terrorism, Sydney, febbraio 2024, https://www.visionofhumanity.org/wp-content/uploads/2024/02/GTI-2024-web-290224.pdf.

[44]     [3] ‘Internal Displacement in Africa Triples in 15 Years since Landmark Treaty to Address It’, Internal Displacement Monitoring Centre, consultato il 20 dicembre 2024, https://www.internal-displacement.org/news/internal-displacement-in-africa-triples-in-15-years-since-landmark-treaty-to-address-it.

[45]     [4] Antony Sguazzin and Katarina Hoije, ‘Niger’s Military Junta Ditches America and Courts Russia’, Bloomberg, 19 marzo 2024, https://www.bloomberg.com/news/newsletters/2024-03-19/next-africa-us-right-to-operate-drone-base-in-niger-terminated-by-junta.

[46]     [5] Kester Kenn Klomegah, ‘The Alliance of Sahel States: Implications, Challenges and Prospects in West Africa’, Modern Diplomacy, 17 settembre 2024, https://moderndiplomacy.eu/2024/09/17/the-alliance-of-sahel-states-implications-challenges-and-prospects-in-west-africa/.

[47]     [1] Harvard’s Atlas of Economic Complexity, ‘Growth Lab’, consultato il 10 giugno 2025, https://atlas.hks.harvard.edu/explore.

[48]     [2] Harvard’s Atlas of Economic Complexity, ‘Growth Lab’.

[49]    Team of the Official Website of the President of Russia, ‘Meeting with Interim President of Burkina Faso Ibrahim Traore’, President of Russia, 29 luglio 2023, http://en.kremlin.ru/events/president/news/71838.

[50]    Si veda Hyper-Imperialism: A Dangerous Decadent New Stage, Studies on Contemporary Dilemmas n. 4, 23 gennaio 2024, https://thetricontinental.org/studies-on-contemporary-dilemmas-4-hyper-imperialism.

[51]    Peoples Dispatch, ‘The Anti-Imperialist Upsurge in the Sahel Is Irreversible, Say Leaders at Historic Conference in Niamey’, Peoples Dispatch, 19 novembre 2024, https://peoplesdispatch.org/2024/11/19/the-anti-imperialist-upsurge-in-the-sahel-is-irreversible-say-leaders-at-historic-conference-in-niamey/.

[52]    Peoples Dispatch, ‘The Anti-Imperialist Upsurge in the Sahel Is Irreversible, Say Leaders at Historic Conference in Niamey’, Peoples Dispatch, 19 novembre 2024, https://peoplesdispatch.org/2024/11/19/the-anti-imperialist-upsurge-in-the-sahel-is-irreversible-say-leaders-at-historic-conference-in-niamey/.

[53]    Team of the Official Website of the President of Russia, ‘Meeting with Interim President of Mali Assimi Goïta’, President of Russia, 29 luglio 2023, http://en.kremlin.ru/events/president/news/71842.

[54]    Steve Lalla ‘Burkina Faso’s President Traoré Delivers Anti-Imperialist Speech at Russia–Africa Summit’, MR Online, 5 agosto 2023, https://mronline.org/2023/08/05/burkina-fasos-president-traore-delivers-anti-imperialist-speech-at-russia-africa-summit/.

[55]    ‘Le sort des Etats de l’Alliance du Sahel ne se décidera pas dans les capitales occidentales (Abdoulaye Diop)’, consultato il 30 dicembre 2024, https://www.aa.com.tr/fr/afrique/le-sort-des-etats-de-lalliance-du-sahel-ne-se-décidera-pas-dans-les-capitales-occidentales-abdoulaye-diop-/3262012, traduzione nostra; Christina Glazkova, ‘Future of Sahel Is Now Decided by Its People, Malian Foreign Minister Declares in EU’, Sputnik Africa, 28 giugno 2024, https://en.sputniknews.africa/20240628/future-of-sahel-is-now-decided-by-its-people-malian-foreign-minister-declares-in-eu-1067286390.html; Peoples Dispatch, ‘“A Slave Who Cannot Assume His Own Revolt Does Not Deserve to Be Pitied,†Says Ibrahim Traoré of Burkina Faso’, Peoples Dispatch, 2 agosto 2023, https://peoplesdispatch.org/2023/08/02/a-slave-who-cannot-assume-his-own-revolt-does-not-deserve-to-be-pitied-says-ibrahim-traore-of-burkina-faso/.

[56]     [8] Oluwasegun Sanusi, ‘Demonstrators March, Picket Western Embassies in Ouagadougou, Accra, London, Paris in Support of Ibrahim Traoré’, West Africa Weekly, 1° maggio 2025, https://westafricaweekly.com/demonstrators-march-picket-western-embassies-in-ouagadougou-accra-london-paris-in-support-of-ibrahim-traore/.

[57]    Vijay Prashad, ‘Come leggere il cambio di governo in Siria’, 51° newsletter di Tricontinental: Institute for Social Research, 19 dicembre 2024, https://poterealpopolo.org/cambio-governo-siria/.

L'articolo IL SAHEL ALLA RICERCA DELLA SOVRANITÀ proviene da Potere al Popolo.

Campania

[IRPINIA] POTERE AL POPOLO SOSTIENE LE RIVENDICAZIONI DEL COMITATO “UNIAMOCI PER L’ACQUAâ€. CONTRO OGNI IPOTESI DI PRIVATIZZAZIONE DI ALTO CALORE, PER UN SERVIZIO IDRICO INTEGRATO PUBBLICO, EFFICIENTE E DI QUALITÀ!
Data articolo:Mon, 25 Aug 2025 13:04:52 +0000

Mercoledì 20 agosto, al Comune di Grottaminarda, si è tenuta una partecipata assemblea con più di 50 persone provenienti da diversi comuni dell’Irpinia e del Sannio, per discutere la piattaforma rivendicativa e definire i prossimi passi della mobilitazione per il diritto all’acqua.

L’incontro nasce in risposta a una crisi idrica strutturale che da troppo tempo colpisce il territorio servito da Alto Calore.

Numerose le testimonianze dirette di cittadine e cittadini che ogni giorno subiscono disagi crescenti, a causa di ripetute – e spesso improvvise – interruzioni del servizio idrico. Durante l’assemblea sono stati fissati gli elementi chiave della vertenza e i prossimi appuntamenti di lotta, nel solco del referendum del 2011, tradito da scelte politiche che vanno in direzione opposta alla volontà popolare.

Le richieste del Comitato vanno dallo stop agli aumenti tariffari ai fondi straordinari per il rifacimento delle reti al coinvolgimento del Governo e dell’Europa alla gestione pubblica, trasparente e partecipata.

Sentiamo parlare di investimenti per il riarmo e per grandi opere inutili e dannose, mentre nei rubinetti a mancare è l’acqua.

È vero che il Governo Meloni, per le cosiddette “aree interne”, non ha previsto altro che un accompagnamento alla morte – come dimostra il PSNAI – ma senza acqua questo processo accelererebbe in maniera irreversibile.

Constatiamo, altresì, una – a dire il vero poco sorprendente – sintonia tra ultradestra al governo nazionale e centrosinistra al governo regionale in materia di privatizzazioni. Se Piantedosi auspica una soluzione attraverso il voto, De Luca, in questi anni, non è rimasto a guardare: ha gettato le basi per l’ingresso dei privati anche nella Grande Adduzione.

Ci vediamo il 25 agosto alle 14:00 ad Avellino davanti la sede ACS in concomitanza con l’asssemblea dei soci ed il 27 agosto a Napoli sotto l’Ente Idrico Campano.
Nessun profitto sull’acqua! Controllo popolare e alternativa politica possono salvarci!

Giuliano Granato: “Sottoscriviamo il Patto per l’Acqua elaborato e proposto dal Comitato Uniamoci per l’Acqua e dal Coordinamento Campano per l’Acqua Pubblica. Siamo in prima fila contro ogni ipotesi di privatizzazione, contro gli ingiusti aumenti tariffari, per un piano straordinario di rifacimento delle reti idriche.In politica servono chiarezza e coerenza: nel centrosinistra il rischio è che, per una poltrona, chi va con lo zoppo – al netto delle belle parole e delle promesse elettorali – finisca per imparare a zoppicare, o peggio, a fare da stampella! Quanto a Piantedosi per un vero Decreto Sicurezza, avrebbe dovuto garantire la sicurezza dell’accesso all’acqua, invece di criminalizzare i poveri e le lotte sociali. Facciamo nostre le parole del Comitato: non vogliamo capri espiatori a settimane alterne. Per Alto Calore chiediamo acqua nei rubinetti, cantieri veri e conti chiari!”

 

L'articolo [IRPINIA] POTERE AL POPOLO SOSTIENE LE RIVENDICAZIONI DEL COMITATO “UNIAMOCI PER L’ACQUA”. CONTRO OGNI IPOTESI DI PRIVATIZZAZIONE DI ALTO CALORE, PER UN SERVIZIO IDRICO INTEGRATO PUBBLICO, EFFICIENTE E DI QUALITÀ! proviene da Potere al Popolo.


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