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IL VIZIETTO. LA VECCHIA PASSIONE DELLA DESTRA PER LA CENSURA DEI LIBRI SCOLASTICI.
Data articolo:Tue, 01 Jul 2025 15:59:04 +0000

È di questi giorni la notizia dell’attacco della destra governativa ad un libro di storia per le scuole superiori, “Trame del tempo†della Laterza, reo di presentare, nel terzo volume, un passaggio, non più lungo di un capoverso, sulle elezioni del 2022 e sul governo Meloni che, benché oggettivo, ben fatto e storicamente documentato (anzi proprio per queste ragioni) è risultato sgradito alla compagine di governo. L’attivissimo Valditara non ha esitato a interpellare l’Associazione Italiana Editori e a minacciare non si sa bene quali provvedimenti. In attesa di sapere che cosa accadrà – per il momento l’effetto ottenuto è una valanga di solidarietà nei confronti di autori ed editore – cerchiamo di capire perché non siamo di fronte ad un episodio singolo, ma ad una postura culturale che viene da lontano.

La scuola è stata infatti storicamente un pallino dell’estrema destra, consapevole dell’importanza di quest’istituzione nella società contemporanea come o forse più di quanto non lo sia, a volte, la “sinistra†che dice di difenderla (svendendola ai privati). Sotto il fascismo c’era il cosiddetto “testo unico di Statoâ€, introdotto da una legge del 1929 e adottato a partire dall’a.s. 1930-31: un libro unico per prima e seconda elementare, due libri (antologia e sussidiario) per terza, quarta e quinta, preparati da una commissione di intellettuali “di fiducia†nominati dal Ministero della Pubblica Istruzione. I libri erano una vera e propria apologia del fascismo e del Duce, presentato in modo mitico come degno erede di una continuità storica che dai “fasti†dell’Impero Romano arrivava fino all’età contemporanea.

Nei primi anni 2000, governo Berlusconi, si tornò a polemizzare sui “comunisti†che imperversavano con la loro ideologia nelle scuole, attraverso libri di testo orientati. A farlo fu in particolare Roberto Maroni, allora Ministro dell’Interno, particolare che fa capire l’intento repressivo e poliziesco del polverone.

L’episodio di cronaca di questi giorni arriva a valle di una serie di iniziative del Governo sulla scuola che rivelano in modo chiaro e netto quali sono le intenzioni e gli obiettivi che si vuole raggiungere. Dalle nuove linee guida sull’educazione civica alle nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo (particolarmente importanti per ciò che vi è scritto sull’insegnamento della storia) emerge il disegno di riportare all’interno della scuola una visione reazionaria, conservatrice, razzista e suprematista del mondo e della società, senz che siano possibili letture alternative.

Per questo motivo le azioni del Ministero sono destinate a scontrarsi con un certo grado di resilienza del mondo della scuola, che continua, fortunatamente e nonostante tutto, a garantire una pluralità di vedute, tra le quali trovano, purtroppo, spazio anche quelle più vicine alla narrazione governativa, accanto però ad altre di segno opposto. Questa pluralità è garantita dal fatto che la scuola non si basa, nel bene e nel male, su un solo modello pedagogico, né tantomeno su una sola lettura del mondo e della storia; ai docenti, come alle autrici e agli autori dei libri in uso, non viene richiesto un giuramento di fedeltà a determinati valori.

È questa resilienza il problema di una parte specifica del Governo, che va dalla Lega, con l’attivissimo Rossano Sasso, a Fratelli d’Italia: sono questi due partiti in particolare ad aver dato vita ad una vera e propria caccia alle streghe, a causa della quale periodicamente uno o una docente ritenuto “non conforme†viene messo alla gogna per la condanna pubblica, vuoi che sia per le posizioni sui conflitti in corso, per le tematiche relative al mondo LGBT o per qualunque altra posizione dissonante con quelle governative. La destra al governo continua, com’è tradizione del fascismo, ad atteggiarsi a vittima, e indica di volta in volta in questo o quell’insegnante, intellettuale, autrice o autore (che sia Christian Raimo o altri meno famosi e conosciuti) uno degli elementi della presunta congiura politico-culturale ai loro danni.
Non possiamo, naturalmente, leggere l’insieme di questi interventi senza legarli alla repressione poliziesca più esplicita e palese, che va dal cosiddetto DDL Sicurezza, di recente convertito in legge e già in parte smontato dalla Cassazione, fino all’infiltrazione di ben 4 agenti dell’antiterrorismo (il quinto ha avuto meno fortuna) in un’organizzazione politica come la nostra, passando per lo spionaggio di una decina di giornalisti e attivisti attraverso un software, Paragon, di produzione israeliana.

L’Italia postdemocratica e meloniana, seguendo una tendenza globale, si dimostra sempre meno attenta e rispettosa anche degli aspetti formali della democrazia così come l’abbiamo conosciuta. Per questo ogni forma di repressione, che sia lo spionaggio, l’infiltrazione, la censura, le denunce, gli arresti, le violenze poliziesche, deve trovare l’opposizione compatta di tutte quelle componenti democratiche e progressiste della società, senza distinzioni di sorta. L’attacco su un fronte è sempre parte di un disegno generale, e riguarda tutte e tutti noi. Per questo la nostra solidarietà a Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi, autori del testo contestato oggi, e al loro editore, è ancora più forte, ed è la medesima nei confronti di tutte e tutti coloro che, in questi quasi tre anni, sono stati vittime della repressione, sotto qualunque forma, nonché di coloro che, purtroppo, lo saranno nel prossimo futuro. È nostro dovere continuare a rispondere colpo su colpo, e non arrenderci: non hanno vinto e non vinceranno.

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GIORGETTI VUOLE TAGLIARE SULLA SCUOLA E L’ESPERTO INVALSI ANNUISCE. MA I DATI DICONO ALTRO
Data articolo:Tue, 01 Jul 2025 15:47:47 +0000

Il direttore dell’Istituto Invalsi Roberto Ricci ha anticipato al quotidiano di Confindustria il Rapporto Invalsi 2025. Secondo il focus “gli apprendimenti bassi non sono un prodotto delle classi numerose”. Anzi!

I dati sono riportati in modo che appaia strettamente correlato il numero degli alunni per classe con il livello di apprendimento: nelle scuole primarie, la percentuale di studenti con difficoltà si attesterebbe intorno al 52,4% per le classi con meno di 20 alunni, mentre scenderebbe al 45,6% per quelle con oltre 25 studenti. Nella scuola secondaria di primo grado troviamo più o meno la stessa situazione.

A prima vista dunque, l’Invalsi ci sta dicendo che non solo non ha senso ridurre il numero di studenti per classe. Ma che al contrario perché gli studenti vadano bene a scuola serve accorpare le classi e aumentarne la numerosità!

Sarà contento il Ministro Giorgetti il cui piano, espresso fumosamente durante l’ultima audizione in Parlamento, è semplice: ridurre il numero di classi (e quindi di docenti stipendiati dal Ministero), accorpandole, in modo da seguire il trend del calo demografico, e liberare risorse per alimentare clientele, far pagare meno tasse a professionisti e imprenditori già ampiamente coccolati dal Governo e accontentare le richieste militari della Nato e di “Daddy” Donald Trump. Già con l’ultima manovra e il dimensionamento scolastico, si sono persi 5.660 posti di insegnanti e 2.174 di personale ATA.

I dati su cui questa manovra si basa però sono stati cucinati dall’esperto Ricci. Guardando dentro i dati si scopre infatti che classi più numerose infatti si trovano nei centri in particolare al centro-Nord, mentre quelle più piccole si trovano al Sud, dove, a causa del contesto socio economico svantaggiato, gli studenti hanno un rendimento scolastico più basso. Se 2 più 2 fa 4, non è il basso numero di studenti per classe, ma sono il background familiare e il contesto socio economico a influire sul rendimento scolastico.

Anche perché chiunque si sia seduto dietro una cattedra o abbia vissuto gli anni del Covid sa benissimo che, a parità di contesto, nelle classi piccole si lavora meglio che nelle classi numerose, e che andrebbe ridotto e non ampliato il tetto massimo di alunni per classe.

Peraltro gli accorpamenti di cui parla Giorgetti sulla carta sono del tutto impossibili in alcune realtà dove le scuole sono molto distanti tra di loro. In territori già martoriati dall’emigrazione, dall’assenza di prospettive lavorative e dal crollo demografico, chiudere le scuole vuol dire eliminare un importante elemento di tenuta sociale.

Per migliorare l’apprendimento e ridurre la dispersione scolastica, sono altre le politiche strutturali che andrebbero introdotte. Ma non sarà certo il Governo dell’autonomia differenziata e del riarmo a portarle avanti. Per ora, non fidiamoci dei di chi cucina i dati ad uso e consumo del potere.

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IL NORD GLOBALE VIVE DI RENDITE INTELLETTUALI
Data articolo:Tue, 01 Jul 2025 12:29:11 +0000

Il dato riportato nel grafico sotto, che si basa sui calcoli del Fondo Monetario Internazionale, non è esagerato. Nonostante la crescente capacità tecnologica e industriale dei Paesi del Sud globale, i Paesi e le aziende del Nord continuano a detenere i brevetti di proprietà intellettuale su prodotti chiave, costringendo il Sud a regimi di pagamento dei brevetti a tempo indeterminato. Questi includono i pagamenti di brevetti per prodotti farmaceutici, tecnologie digitali (come i diritti di licenza per software e infrastrutture di telecomunicazione) e prodotti agricoli (come semi geneticamente modificati, fertilizzanti, pesticidi e attrezzature). I progressi scientifici e tecnologici hanno effettivamente subito un’accelerazione nel Sud globale, con diversi Paesi, in particolare in Asia, che hanno sviluppato sofisticate reti ferroviarie ad alta velocità, tecnologie green e infrastrutture di telecomunicazione. Tuttavia, anche in questi settori, la maggior parte dei Paesi continua a pagare ingenti canoni alle aziende del Nord globale che detengono i brevetti su componenti chiave.

Ci sono cinque settori in cui lo squilibrio nei pagamenti relativi ai brevetti è più grave (in altre parole, dove i Paesi del Sud pagano molto di più in royalties e diritti di licenza di quanto ricevono in cambio):

1. Farmaceutico. I brevetti farmaceutici sono in gran parte di proprietà di aziende con sede in Europa, Giappone e Stati Uniti. Un esempio recente dell’alto prezzo di accesso alle tecnologie mediche essenziali è stato il costo dell’importazione dei vaccini a mRNA durante la pandemia di COVID-19. Diversi Paesi del Sud globale, come il Sudafrica e l’India, hanno dovuto affrontare ritardi e costi elevati nell’approvvigionamento dei vaccini a causa delle restrizioni dei brevetti e del limitato trasferimento di tecnologia. (Il Sudafrica ha infine deciso di acquistare i vaccini da produttori generici indiani, come Cipla e Serum Institute, risparmiando circa 133 milioni di dollari in tre anni).

2. Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). Ogni componente delle TIC, dal software e dall’hardware ai semiconduttori e alle reti mobili, costa una fortuna ai Paesi del Sud globale. Ciò non solo a causa del prezzo dei prodotti fisici stessi, ma anche a causa delle elevate spese di licenza per le tecnologie sottostanti, spesso controllate da pool di brevetti esclusivi (consorzi di aziende che gestiscono e concedono in licenza brevetti essenziali).

3. Macchinari industriali e tecnologie di produzione. I brevetti per le macchine a controllo numerico computerizzato (CNC) essenziali (strumenti automatizzati utilizzati nella produzione di precisione) insieme alla robotica e ad altre attrezzature di precisione (tutte fondamentali nei settori automobilistico, minerario e tessile) sono in gran parte di proprietà di aziende del Nord globale. Di conseguenza, i paesi del Sud che cercano di industrializzarsi sono costretti a importare queste tecnologie e a pagare diritti di licenza permanenti piuttosto che svilupparle o produrle internamente.

4. Biotecnologie agricole. Una manciata di aziende – come DuPont, Monsanto (Bayer) e Syngenta – controllano le principali biotecnologie agricole, tra cui fertilizzanti, semi geneticamente modificati e pesticidi, tutti distribuiti attraverso costosi accordi di licenza. Questo controllo monopolistico non solo limita la capacità degli agricoltori del Sud di accedere o sviluppare alternative – aumentando la dipendenza dalle aziende straniere e gonfiando i costi di produzione – ma mina anche la sovranità delle sementi e contribuisce al degrado ambientale attraverso la monocoltura, l’uso eccessivo di prodotti chimici e la perdita di biodiversità.

5. Tecnologia verde. Le innovazioni chiave nei sistemi di batterie, pannelli solari e turbine eoliche sono protette da brevetti detenuti in gran parte da aziende del Nord globale, rendendo impossibile il trasferimento di tecnologia. Di conseguenza, i Paesi del Sud devono pagare diritti di licenza esorbitanti per adottare queste tecnologie, limitando la loro capacità di sviluppare sistemi energetici sostenibili in modo indipendente.

Queste disparità sono in gran parte dovute al controllo monopolistico delle innovazioni e dei regimi di proprietà intellettuale da parte delle aziende del Nord globale, che impediscono ai Paesi del Sud di costruire alternative competitive. La mancanza di capacità di Ricerca e Sviluppo (R&S) nelle economie medie e piccole del Sud globale gioca un ruolo enorme nel riprodurre queste disparità.

Questa mancanza di capacità di R&S affonda le sue radici in un’eredità coloniale che ha lasciato molti Paesi del Sud con istituzioni educative sottosviluppate, in particolare nel campo delle scienze avanzate. A ciò si aggiunge il modello migratorio neo-coloniale che vede studenti di talento partire per il Nord globale in cerca di opportunità di carriera. Infine, gli Stati del Sud globale non sono riusciti a costruire il peso politico necessario per sfidare i regimi internazionali di proprietà intellettuale che preservano i vantaggi acquisiti dai Paesi e dalle aziende del Nord in epoche precedenti.

Nel 1986, il Nord globale a guida USA ha avviato l’ottavo ciclo dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT), noto anche come Uruguay Round. I sette cicli precedenti del GATT si erano concentrati principalmente sulla riduzione delle tariffe doganali tra gli Stati dell’Atlantico e il Giappone, con scarsa partecipazione delle ex colonie. Ma l’Uruguay Round ha modificato l’agenda: in cambio dell’accesso ai mercati del Nord, i Paesi del Sud sono stati spinti ad abbattere le barriere agli investimenti, alla tecnologia e ai servizi del Nord e a rivedere le loro leggi sulla proprietà intellettuale. Durante questo periodo, i vantaggi comparativi delle aziende monopolistiche del Nord in materia di diritti di proprietà intellettuale e nel settore dei servizi si sono rivelati enormemente redditizi.

È importante sottolineare che le bozze per i negoziati dell’Uruguay Round non provenivano dai Paesi seduti al tavolo delle trattative, ma da gruppi misteriosi come la Coalizione per la proprietà intellettuale e la Coalizione per i negoziati commerciali multilaterali. Come si è scoperto, queste coalizioni non erano composte da Paesi, ma da gruppi di pressione delle principali aziende monopolistiche del Nord globale, come appunto DuPont, Monsanto e Pfizer, che hanno spinto per rivedere il concetto di proprietà intellettuale. Prima dell’Uruguay Round, i brevetti potevano essere registrati solo sul processo con cui veniva sviluppata un’innovazione, consentendo ad altri individui, aziende e Paesi di ottenere lo stesso risultato finale attraverso un metodo diverso e rendendo possibili innovazioni basate sul reverse engineering. L’Uruguay Round ha cambiato questo principio affermando che il prodotto finale stesso doveva essere brevettabile, garantendo così dei profitti al titolare del brevetto indipendentemente dal processo utilizzato per ottenere il prodotto finale. Questo sarebbe diventato noto come Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS).

Dieci Paesi del Sud globale (Argentina, Brasile, Cuba, Egitto, India, Nicaragua, Nigeria, Perù, Tanzania e Jugoslavia), con a capo il Brasile e l’India, hanno iniziato a riunirsi per discutere i pericoli dell’Uruguay Round. Questo Gruppo dei Dieci (G10) sosteneva che il nuovo approccio avrebbe portato la “fame tecnologica” nel Sud globale, con un trasferimento tecnologico minimo, se non a costi elevati, e un collasso virtuale dello sviluppo tecnologico interno. Per un certo periodo sembrava che il G10 potesse ottenere alcune concessioni, ma gli Stati Uniti esercitarono pressioni e il gruppo iniziò a frammentarsi. Nel 1989, il Brasile e l’India cedettero e il gruppo si sciolse.

Il dibattito iniziò quindi a concentrarsi sui disaccordi tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea in materia di sussidi agricoli. Quando l’Uruguay Round fu completato nel 1994, il Sud globale accettò il nuovo e fatale regime di proprietà intellettuale e le norme che ne derivavano. L’accordo TRIPS divenne il cuore dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), istituita l’anno successivo.

Nove anni dopo, India, Brasile e Sudafrica formarono un blocco chiamato IBSA, che chiedeva deroghe ai diritti di proprietà intellettuale e licenze obbligatorie per i farmaci essenziali, in particolare i farmaci antiretrovirali per l’HIV/AIDS. I loro sforzi contribuirono alla decisione dell’OMC del 30 agosto 2003 di allentare temporaneamente alcuni obblighi del TRIPS, consentendo ai Paesi senza capacità produttiva di importare farmaci generici con licenze obbligatorie. Sebbene ciò non abbia invertito la logica alla base del TRIPS (noto anche come principio TRIPS), ha comunque garantito un sollievo limitato per alcuni farmaci. (L’impegno assunto nel 2003 dalle fondazioni Gates e Clinton di ridurre il costo dei farmaci per l’HIV/AIDS, d’altra parte, era una cortina fumogena per proteggere il quadro più ampio del TRIPS). Questo primo allineamento tra Brasile, India e Sudafrica si è poi trasformato nel blocco BRICS nel 2009, dopo l’inizio della Terza Grande Depressione del mondo atlantico nel 2007. Sebbene il BRICS abbia lanciato importanti iniziative in materia di salute e tecnologia, non è stato in grado di minare il principio TRIPS.

Durante gli anni ’80, i governi del Sud globale hanno iniziato a sollevare la questione di quella che in seguito sarebbe stata definita biopirateria. Essi sostenevano che molte delle cosiddette innovazioni moderne, in particolare nel settore agricolo e farmaceutico, avevano origine nei sistemi di conoscenza tradizionali sviluppati da agricoltori e guaritori in Africa, Asia e America Latina. L’argomentazione non ha avuto molto successo in generale, anche se in alcuni casi emblematici – come il tentativo di W. R. Grace di brevettare la foglia di neem dell’Asia meridionale e quello di Phytopharm di sviluppare l’hoodia, tradizionalmente utilizzato dal popolo San dell’Africa meridionale – l’accusa di biopirateria ha costretto le aziende a rinunciare ai brevetti o a condividere i profitti. Il dibattito sulla biopirateria ha portato all’adozione di un trattato dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) che impone alle aziende di rivelare l’origine delle risorse genetiche e delle conoscenze tradizionali utilizzate nei loro prodotti. Tuttavia, questo trattato è spesso eluso nella pratica. Oltre a sottolineare che questo tipo di divulgazione non avveniva in passato, non ha portato alcun beneficio sostanziale né alle comunità indigene né ai Paesi in cui vivono. Infatti, il TRIPS prevale sulle disposizioni dell’OMPI, concedendo alle aziende un ampio margine di manovra nello sfruttamento delle conoscenze tradizionali.

Pensare alla biopirateria e alle norme sulla proprietà intellettuale relative alla diffusione delle tecnologie verdi mi porta al mondo del poeta e ex ambasciatore messicano Homero Aridjis, il cui Selva Ardiendo (La giungla in fiamme) potrebbe essere un buon monito contro le regole che soffocano il mondo:

I cieli color zafferano ricordano i Turner tropicali.
Le palme danzanti sono baciate da lingue voraci.
Le scimmie urlatrici saltano di cresta in cresta.
Attraverso le nuvole di fumo, stormi di pappagalli
con la coda bruciata vanno alla ricerca del sole
che li osserva di nascosto, come un occhio putrido.

Con affetto,
Vijay

*Traduzione della ventiseiesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

Chi è Vijay Prashad?

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PRESIDI IN TUTTA ITALIA CONTRO L’ATTACCO USA IN IRAN
Data articolo:Mon, 23 Jun 2025 13:45:01 +0000

Nessuno può davvero credere che Trump si fermi dopo una notte di bombardamenti, nessuno può credere che la via della pace si costruisca bombardamento dopo bombardamento, nessuno può davvero credere di restare fuori dalla guerra restando nella NATO e in tutte le forme di alleanza tra USA, UE e Israele.

Non possiamo rimanere in silenzio. Ci stanno portando alla guerra!

È necessario dare subito una risposta decisa nelle piazze con punti chiari:

  • NO all’aggressione israeliana-americana all’Iran;
  • NO al coinvolgimento della NATO e all’uso delle basi in Italia;
  • NO a ogni ipotesi di riarmo!

DISARMIAMOLI!

(elenco in aggiornamento…)

Lunedì 23/6

ROMA: h 18 Ambasciata USA
MONTEROTONDO (RM): Stazione Mentana-Monterotondo h.17:30
LATINA: Piazza San Marco h.15
POMEZIA: Piazza San Benedetto da Norcia h.11:30
MILANO: 18.30 Consolato USA
TORINO: h.19 piazza Carignano
CUNEO: h.20.30 piazza del Comune
PADOVA: h 18.30 Prefettura
BOLOGNA: 18.00 piazza Nettuno
RAVENNA: 18:30 Piazza del Popolo
RIMINI: 18:30 Piazzale Kennedy
FAENZA: h 16 Piazza del Popolo
IMOLA: 18 Piazza Matteotti
VILLA SAN GIOVANNI (PC): h 19 sotto la Prefettura
PARMA: h 18 prefettura di Parma (via repubblica 39)
MODENA: 24/6 10:30 Prefettura (Via Martiri della Libertà 34)
PISA 18 piazza XX Settembre
FIRENZE 18.30 Lungarno Vespucci
NAPOLI: 18.30 Piazza Sannazzaro
BARI: 18.00 piazza Umberto
REGGIO CALABRIA: 18.30 Prefettura Piazza Italia
BOVALINO (RC): h 18:30 piazza Camillo Costanzo

Martedì 24/6

GENOVA: martedì 24 ore 19:00 piazza De Ferrari
LECCE: martedì 24 giugno ore 19.0 porta Rudiae

Mercoledì 25/6

VERONA: ore 20:00 piazza san Niccolò

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[LUCCA] COMUNE E NEOFASCISTI: UN’INQUIETANTE COMPLICITÀ
Data articolo:Mon, 23 Jun 2025 09:00:30 +0000

Potere al Popolo: l’iniziativa di Forza Nuova a Lucca conferma la connivenza dell’amministrazione coi movimenti neofascisti
 
Ancora una volta Potere al Popolo denuncia l’inquietante complicità tra i rappresentanti delle istituzioni lucchesi e i movimenti neofascisti.
 
Sabato 21 giugno, alle ore 17:00, in via Beccheria si tiene una manifestazione di Forza Nuova, alla quale presenzia Roberto Fiore. Fin qui nessuna voce di protesta da parte delle istituzioni comunali contro l’evento, ma la cosa non stupisce: da anni la nostra città subisce il tentativo neofascista di appropriarsi degli spazi pubblici senza che il Comune intervenga.
Non è la prima volta, infatti, che a Lucca un movimento di ispirazione neofascista trova spazio. Senza andare troppo indietro nel tempo, è possibile elencare una serie di iniziative che si sono svolte nell’assoluto silenzio (o, peggio, con la complicità) delle istituzioni.
 
Il 4 maggio 2019 il Comune di Lucca assegna all’associazione Epsilon il Foro Boario per festeggiare il decennale della nascita di Casapound Lucca, iniziativa naufragata solo grazie alla strenua mobilitazione delle associazioni antifasciste cittadine.
Nel Gennaio 2021 il consiglio comunale all’unanimità approva una mozione per l’intitolazione di una via a Norma Cossetto, favorendo in tal modo l’equiparazione storica tra la Giornata della memoria e il Giorno del ricordo tanto cara ai movimenti dell’ultradestra.
Nell’Ottobre 2023 il consiglio comunale nega l’intitolazione di una via a Sandro Pertini; dal 2023 a Lucca si svolge il Festival di Casapound L’Augusta, finanziato quest’anno con 30.000 euro dal Comune.
 
Giunte di centrosinistra e giunte di destra, consigli comunali a maggioranza dell’una o dell’altra parte: tutti colpevoli di dare o aver dato spazio al neofascismo lucchese, in spregio ai valori antifascisti della Costituzione su cui le nostre istituzioni dovrebbero essere fondate.
Non ci stupisce, dunque, che all’evento di sabato siano stati invitati l’attuale sindaco Pardini (Difendere Lucca) e il presidente della Regione Giani (PD): i neofascisti conoscono bene i loro storici complici. Già il centrosinistra, come abbiamo visto, ha avallato certe situazioni; la giunta attuale, con un vicesindaco neofascista, non può che portare avanti tale linea.
 
Potere al Popolo, che da anni denuncia la connivenza istituzionale coi movimenti neofascisti, ribadisce, oggi come ieri, che nessuno spazio e nessun finanziamento pubblico devono essere concessi ai fascisti nella nostra città.

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21 GIUGNO: IL VOLANTONE DI DISARMIAMOLI!
Data articolo:Thu, 19 Jun 2025 14:56:23 +0000

DISARMIAMOLI

Il 9 giugno Mark Rutte, Segretario Generale della NATO, è al centro studi britannico Chatham House. Ride di gran gusto. Lo fa anche quando afferma che “se non aumentiamo la spesa in Difesa al 5% potremo conservare la nostra Sanità e le nostre pensioni, ma sarà meglio che impariamo a parlare russo. Questa è la conseguenza. La verità può rendere nervose le persone, ma bisogna renderle nervoseâ€.

Ride mentre ribadisce ciò che ormai sappiamo tutte e tutti: al summit de L’Aia del 24 e 25 giugno, la NATO “chiederà†ai 32 Paesi membri un impegno senza precedenti: il 5% del PIL in armi e Difesa, come vuole il “pacifista†Trump.
E tutti i 32 Governi scatteranno sugli attenti e obbediranno. Tutti: dai “progressisti†all’ultradestra, passando per l’estremo centro liberale.
Governo Meloni compreso. Crosetto ha già fatto sapere che “è ragionevole fissare il traguardo al 2035, con un aumento massimo dello 0,2% l’anno†perché “il nostro compito è rispettare gli impegni NATO e gli assetti richiesti†per “costruire un futuro sistema di difesa europea, basato sugli stessi criteri e principi della NATO†(Corsera, 15 giugno 2025).

“Ce lo chiede la NATO†è già oggi il nuovo mantra.
Ma che significa raggiungere il 5% del PIL in spese militari? Concretamente una cifra tra i 44 e i 77 miliardi di euro in più all’anno rispetto a quanto l’Italia spende già oggi, fino a raggiungere una cifra che arriva quasi a pareggiare la spesa sanitaria.
Hanno eliminato il reddito di cittadinanza perché 7 miliardi per sostenere disoccupati e lavoratori poveri era troppo; nelle scuole la carta igienica la devono portare docenti e famiglie; gli stipendi del personale sanitario non si possono alzare (così che c’è oggi una fuga all’estero), perché bisogna tenere in conto il pareggio di bilancio; insomma, mai un euro per i bisogni di milioni di persone, però ora che c’è da foraggiare il complesso militare-industriale, Leonardo in primis, i soldi escono fuori a volontà.
È per la nostra sicurezza, si capisce. Quando avremo bisogno di una visita e ci sarà una lista d’attesa che la prima data possibile è dopo un anno e mezzo, ci rallegreremo perché vabbè che non avremo la TAC, ma vuoi mettere un bel tank Leopard proprio lì davanti al pronto soccorso (magari chiuso)?

Serve riarmarsi, ci ripetono. Perché siamo in pericolo. Per mano della Russia e della Cina, non certo di un Paese che clandestinamente ha sviluppato l’arma atomica, senza aderire al TNP (Trattato di Non Proliferazione nucleare) – Israele; di un Paese che prosegue nel genocidio a Gaza; di un Paese che ha avviato un attacco illegale e criminale contro l’Iran.

Il 5% del PIL in armi che imporrà la NATO, gli 800 miliardi del ReArm EU di von der Leyen, i propositi di “difesa comune europea†dei progressisti di casa nostra, vanno nella stessa direzione: “disegnare un modello di relazioni che ci permetta di mantenere questa posizione di privilegio [50% della ricchezza mondiale, ma solo il 6,3% della popolazione] senza pregiudicare la nostra sicurezzaâ€. Sono le parole che George Kennan mise nero su bianco nel 1948 e che spiegano perché gli USA inventarono la creatura NATO.

Incontrano però un ostacolo. La propaganda bellicista i popoli se la bevono sempre meno. Il rifiuto del riarmo e del principale attore che lo impone, la NATO; la convinzione che Israele vada fermato e che i soldi vadano spesi per i bisogni popolari, non per riempire i portafogli di Leonardo & Co. Deve però uscire dal privato o dal virtuale di un reel instagram e darsi le gambe per diventare movimento sociale e politico antimilitarista.
“Disarmiamoli!†è parola d’ordine che deve farsi battaglia delle idee e pratica quotidiana: non siamo né soli né impotenti, come vorrebbero “loroâ€; al contrario, come ci hanno dimostrato i portuali di Marsiglia, Tangeri, Genova che, superando le barriere nazionali e linguistiche hanno coordinato azioni di embargo militare dal basso contro carichi di armi pronti a rifornire il genocidio israeliano.
Questa è la strada: nominare con chiarezza i nemici, senza politicismi, dare battaglia, costruire solidarietà concreta, farsi movimento di massa.

Scarica il volantone

5% PER LA GUERRA, 0% PER CHI LAVORA: LA SPESA MILITARE ITALIANA AL SERVIZIO DELLA NATO

Nel 2025 l’Italia spenderà 31,4 miliardi di euro in spese militari. Un’enormità. Significa quasi 86 milioni al giorno, oltre 1.000 euro al secondo. Un incremento del 12% rispetto al 2024, e una crescita del 61% in dieci anni.

Questa valanga di soldi pubblici non finisce solo nei “classici†capitoli della Difesa. È distribuita anche su ministeri come MIMIT, MEF e MIT, a conferma che la militarizzazione non è un dettaglio, ma una scelta strutturale. È così che l’Italia si prepara alla guerra e smantella il presente, mentre interi settori della sanità, della scuola e del welfare vengono abbandonati.

Ma cosa compriamo con questi miliardi? Tra i programmi principali figurano: i caccia F-35 e Typhoon, i nuovi obici semoventi Rch155, i blindati Centauro 2 e i carri leggeri Lynx, i sommergibili U-212 NFS, e molto altro ancora.

E in questo carrello della spesa la dipendenza dai fornitori extra-UE, in particolare dagli Stati Uniti, è preponderante. Secondo i dati del report Europa a mano armata (2025), «in termini aggregati, gli Stati Uniti rappresentano da soli il 63% dei piani di approvvigionamento militare dei paesi UE».

Eppure, la propaganda continua a presentare questa spesa come “investimento per il lavoro”. I numeri smentiscono. Secondo i dati raccolti dallo stesso report, su una spesa di 1.000 milioni di euro per l’acquisto di armi, l’impatto occupazionale in Italia è di 3.000 posti aggiuntivi. Un dato risibile se lo paragoniamo a quello creato dagli stessi investimenti in istruzione, salute e ambiente, che generano un impatto da due a quattro volte superiore.

A guidare questa deriva non c’è solo l’interesse industriale o l’opportunismo politico: c’è la pressione costante della NATO. L’Alleanza Atlantica, nata per garantire la “difesa collettivaâ€, è oggi uno strumento di espansione militare al servizio delle strategie statunitensi. L’obiettivo del 2% del PIL in spese militari, che verrà presto superato dal folle 5%, è diventato un dogma imposto ai Paesi membri, senza alcun confronto democratico. L’Italia (di Meloni, ma anche quella di Renzi, Conte e Draghi) ubbidisce, rinunciando a qualsiasi autonomia politica, trasformandosi in un avamposto bellico in una guerra che non ci appartiene, ma che paghiamo cara.

In altre parole, lo Stato butta miliardi in armamenti mentre milioni di persone faticano ad accedere a cure, trasporti, alloggi. Si tagliano i servizi essenziali, ma si acquistano caccia e sottomarini. Si impoveriscono i territori, ma si finanziano industrie di morte. E tutto questo in ossequio a una strategia europea e atlantica che ha scelto il riarmo, la deterrenza, la guerra come linguaggio della politica.

Questa economia della guerra si può e si deve fermare. Serve una riconversione civile ed ecologica dell’industria militare, serve una mobilitazione collettiva che dica: il nostro futuro vale più delle vostre armi.

ITALIA E ISRAELE: UN AMORE A PROVA DI BOMBA

Mentre i popoli del mondo invocano un cessate il fuoco immediato a Gaza, l’Italia, secondo quanto emerge dalle fonti ufficiali (SIPRI, Istat, relazioni governative) continua a esportare armamenti e tecnologie militari verso Israele.

Tra il 2019 e il 2023, l’Italia ha esportato verso Israele armi per un valore di 26,7 milioni di dollari (circa 23,8 milioni di euro), inclusi 12 elicotteri leggeri AW119 Koala e 4 cannoni navali Super Rapid da 76mm, entrambi prodotti dalla Leonardo Spa. Inoltre, la cooperazione nel programma dei caccia F-35 ha visto l’invio di componenti italiane destinate ai velivoli israeliani.

Nel 2024, l’Italia ha esportato in Israele “armi e munizioni†per circa 5,8 milioni di euro, con solo l’11% di queste esportazioni classificato come “armi non letali†e altre categorie.

Particolarmente rilevante è il capitolo delle tecnologie per “navigazione aerea e spazialeâ€, che comprende aerei, droni e radar per un valore di 34 milioni di euro. Inoltre, l’Italia ha esportato 2,7 milioni di euro in computer industriali e dispositivi per l’elaborazione delle informazioni, strumenti fondamentali per le infrastrutture militari e l’Intelligenza Artificiale.

Nonostante l’evidente coinvolgimento in un contesto di conflitto armato, il Governo italiano continua a rivendicare la legalità delle esportazioni militari, basandosi su deroghe della normativa vigente. Tuttavia, la Legge 185/1990 vieta l’invio di armamenti a Paesi coinvolti in conflitti armati, salvo specifici accordi di sicurezza nazionale.

Emergono inoltre forniture secretate di cui Parlamento e popolo non sanno nulla. Noi scendiamo in piazza per chiedere l’immediata rescissione di tutti gli accordi di cooperazione e le forniture militari con Israele.

Se vogliamo lottare concretamente contro il genocidio, se vogliamo salvare ciò che resta dei nostri ospedali e scuole, dobbiamo fermare il governo e la sua macchina di morte. Ora, non un minuto più tardi.

PER UN’ALLEANZA INTERNAZIONALE CONTRO LA NATO E IL RIARMO

Non appena insediatosi, Trump ha chiesto un maggiore sforzo dai Paesi europei per finanziare la NATO: non più il 2% chiesto nel 2022 a Madrid, bensì il 5% del PIL da dedicare alle spese militari.

Ciò si aggiunge a delle cifre già esorbitanti: nel 2022 gli USA hanno speso ben 1537 miliardi di dollari per il proprio esercito (6% del PIL), che corrisponde a più del 40% degli investimenti militari globali. In Europa tra il 2020 e il 2024, i Paesi dell’Est le hanno aumentate da poco più di 80 miliardi (18% delle spese continentali) a 225 miliardi (33%). La Germania invece nel 2024 le ha aumentate del 28% raggiungendo 88.5 miliardi di dollari in un anno e diventando il Paese con la spesa militare più alta dell’Europa e il quarto al mondo.

Dietro a questa folle corsa agli armamenti ci sono perlopiù due ragioni. Da un lato le pressioni degli USA sul suo junior partner – l’Europa – per assumersi le sue “responsabilità di difesa” e poter mettere il focus sull’Indo-Pacifico dove gli USA ambiscono a limitare le capacità espansive della Cina per stabilizzare la propria egemonia globale. Dall’altro lato, invece, lo sviluppo di “un’economia permanente degli armamenti” viene presentata come risposta alla crisi economica. La storia però insegna: un’economia di guerra produce distruzione, non stabilità economica e sicurezza!

Pochi mesi dopo l’annuncio di Trump, il segretario generale della NATO Mark Rutte ha affermato: “Suppongo che all’Aia ci metteremo d’accordo sull’aumento delle spese per la difesa del 5%”. Gli Stati Uniti ordinano, l’Europa esegue! Dal 24 al 26 giugno durante il vertice della NATO all’Aia infatti i Paesi membri firmeranno un nuovo accordo che alimenterà la corsa agli armamenti.

È quindi più importante che mai costruire alleanze internazionali contro i piani di riarmo e contro le guerre della NATO. Già nelle prossime settimane e nei prossimi mesi Potere al Popolo! sarà impegnato a rafforzare questo lavoro: il 22 giugno all’Aia1 contro il vertice della NATO, il 23 e 24 giugno a Bruxelles2 per il Forum Internazionale per la Pace e poi ancora ad ottobre a Parigi3 nella chiamata internazionale “Non un centesimo, non un’arma, non una vita per la guerra”.

LA LOTTA DEI LAVORATORI PORTUALI CONTRO IL TRAFFICO DI ARMI E IL GENOCIDIO

Le guerre moderne dipendono da una complessa rete logistica per rifornire i fronti di armi e materiale bellico. Sabotare la produzione militare e opporsi alla complicità dell’Italia è un impegno urgente. Porti come Genova e Trieste sono snodi cruciali per il transito di armamenti. Oggi, la tradizione di resistenza dei portuali continua con iniziative come quelle del CALP di Genova (che aderisce all’Unione Sindacale di Base) o del Gap di Livorno, che, rifiutandosi di caricare armi sulle navi, inceppano la catena logistica della guerra.

Un esempio recente è la mobilitazione contro la portacontainer “Contship ERA”, di proprietà dell’israeliana ZIM, rimasta vuota grazie ai portuali di Marsiglia e poi monitorata a Genova, Salerno e Scilla. Queste azioni, che saldano il protagonismo dei lavoratori e degli attivisti no war, indicano una pratica concreta da perseguire. È fondamentale rafforzare questo movimento, smascherando il ruolo delle autorità italiane e dei nostri porti come hub bellici.

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Estero

NONOSTANTE IL DOLORE NEL MONDO, IL SOCIALISMO NON È UNA LONTANA UTOPIA
Data articolo:Thu, 19 Jun 2025 09:21:29 +0000

Ogni mattina apro i giornali (ora su app piuttosto che su carta stampata) e leggo delle atrocità che avvengono in tutto il mondo. C’è un’inflazione di dolore, dal genocidio a Gaza alla guerra in Sudan e alla violenza caotica non riportata dai media in Myanmar e dintorni. Questi conflitti sembrano interminabili e potrebbero persino confondere l’osservatore occasionale che non li segue da vicino.

L’attuale fase della guerra in Sudan è iniziata nell’aprile 2023, con le Forze Armate Sudanesi (guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan) schierate contro le Rapid Support Forces (guidate dal comandante Mohamed “Hemedti†Hamdan Dagalo). In Myanmar, il conflitto si è inasprito nell’ottobre 2023, quando l’esercito (noto come Tatmadaw) ha dovuto affrontare una nuova insurrezione da parte della Chinland Defence Force, della People’s Defence Force e della Three Brotherhood Alliance, che, a maggio 2024, hanno conquistato complessivamente poco più di un terzo del territorio del Paese. Nel frattempo, a Gaza, l’alleanza tripartita tra Israele, Stati Uniti ed Europa continua il genocidio contro il popolo palestinese. Persino i giornali hanno smesso di riportare i dettagli di queste atrocità, chi legge i giornali si allontana dalle storie di morte e distruzione. Le dispute tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo ex braccio destro Elon Musk sono molto più facili da digerire.

Mentre la guerra devasta il pianeta, sempre più persone soffrono la fame rispetto all’anno scorso, nonostante l’aumento della produzione alimentare globale. Eppure non c’è molta differenza tra l’omicidio strutturale causato dalla fame e l’omicidio congiunturale causato dalla guerra. La sofferenza urla nelle viscere del Sud globale, dove si concentra la maggior parte del dolore. Ma questa sofferenza non è astratta né priva di logica. Palestina, Sudan, Myanmar: ognuno di questi luoghi ha una storia da raccontare. È la debolezza dello spirito che può portare le persone ad alzare le mani in segno di disperazione e ad attribuire questa violenza al destino o all’inspiegabile comportamento umano. Un simile atteggiamento permette ai filosofi morali di sfuggire al mondo e di tracciare schemi morali con tale precisione matematica da non dover più pronunciare alcun giudizio su di esso.

Hanno forse paura di condannare apertamente gli assassini, con parole chiare? Tra questi assassini ci sono trafficanti d’armi che sostengono di vendere semplicemente delle armi, negando così la propria colpevolezza. Chi vende proiettili non è più considerato pericoloso di chi vende sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio.

Uno degli obiettivi del nostro istituto di ricerca è quello di indicare, il più frequentemente possibile, l’attualità dell’ingiustizia nel mondo e di evidenziare le linee tracciate dai movimenti che agiscono per invertire la bruttezza inflitta all’umanità. Ci auguriamo che le nostre newsletter siano utili, che le condividiate con altre persone e che invitiate anche loro a iscriversi. Non capita spesso che ci rivolgiamo a voi per chiedervi di fare questo, o anche solo di aiutarci con risorse per mantenere in vita il nostro istituto.

Ci sono due modi per aiutarci: in primo luogo, con risorse materiali (come donazioni, che sarebbero molto, molto gradite) e, in secondo luogo, con il volontariato attraverso le vostre competenze di ricerca, traduzione e editing. Se desiderate fare una donazione regolare, potete farlo qui o scrivendo a Tariro Takuva, responsabile del nostro dipartimento operativo, all’indirizzo tariro@thetricontinental.org. Siamo grati ai numerosi collettivi, volontari e pubblicazioni che traducono regolarmente il nostro lavoro in diverse lingue, dall’arabo all’hindi, dallo spagnolo al portoghese, dal mandarino all’italiano, dal francese al coreano, dal tedesco al rumeno. Il loro lavoro ci incoraggia a continuare. Se siete interessati a tradurre volontariamente le nostre pubblicazioni in queste o altre lingue, o a collaborare come redattori, scrivete a celina@thetricontinental.org. Se siete interessati a offrire le vostre competenze di ricerca, scrivete all’indirizzo vijay@thetricontinental.org. Se siete interessati a fare volontariato come interprete, scrivete a pilar@thetricontinental.org.

Oltre alla nostra newsletter settimanale, il nostro istituto ne produce altre quattro – tre radicate nei tre continenti in cui operiamo (Asia, Africa e America Latina) e una prodotta dai nostri partner europei del Zetkin Forum for Social Research – e un bollettino artistico:

1. Tricontinental Pan Africa. La newsletter mensile di Tricontinental Pan Africa presenta voci provenienti da tutto il continente su una serie di temi, dal saggio di Marion Ouma sui tagli all’assistenza sociale alle riflessioni di Blaise D. K. Tulo sulle elezioni in Ghana. Nell’ultima newsletter, il musicista Seun Kuti ha scritto della realizzazione del suo nuovo album con Egypt 80, Heavier Yet (Lays the Crownless Head), e della necessità che l’arte si impegni con gli ideali socialisti:

Negli ultimi dieci anni della mia carriera, ho cercato di scrivere album che parlassero dal punto di vista dei poveri e della classe operaia. Sebbene la musica possa parlare delle gioie della vita e permettere agli ascoltatori di liberarsi dallo stress, questo tipo di musica non racconta tutta la storia di chi siamo e di ciò che viviamo. Troppa musica, nella forma e nei contenuti, si crogiola nelle comodità del mondo e può funzionare come un anestetico. Dico spesso ai miei amici che se un alieno venisse sulla Terra e guardasse l’arte africana mainstream, penserebbe che tutto va bene. Probabilmente sarebbe una cosa positiva che l’alieno ci percepisse in modo positivo, dato che anche le/gli africane/i sono stanchi di essere visti come un popolo perennemente in difficoltà, ma la sua valutazione delle nostre vite sarebbe incompleta e falsa. L’arte deve essere radicata nell’onestà. Questo bisogno di onestà mi ha incoraggiato a parlare nella mia musica di cose nascoste dalla narrativa mainstream.

2. Tricontinental Asia. Le newsletter bimensile della squadra asiatica spaziano dalla lettera di Elizabeth Alexander sulla lotta contro il patriarcato e il capitalismo nell’Asia meridionale alle riflessioni di Atul Chandra sulla pace. Una recente newsletter scritta dal segretario generale della Federazione dei contadini del Nepal Pramesh Pokharel analizza le ragioni alla base della crisi costituzionale del paese, caratterizzata da una crescente opposizione monarchica e da un indebolimento della sinistra. “Il mondo guardaâ€, scrive Pramesh, “mentre una delle repubbliche più giovani lotta per superare questo momento precarioâ€. Egli spera che la crisi stimoli ulteriori riflessioni intellettuali sul Nepal, intensifichi la battaglia delle idee e rafforzi la lotta di classe.

3. Tricontinental Nuestra América. Quando il nostro istituto è stato fondato dieci anni fa, in occasione della Seconda Conferenza Internazionale sui Dilemmi dell’Umanità, abbiamo deciso di aprire uffici di ricerca a Buenos Aires e São Paulo, soprattutto perché volevamo radicarci sia nell’America Latina di lingua spagnola e portoghese, sia nel Paese più grande del continente, il Brasile, sede del Movimento dei Lavoratori Senza Terra (MST): il più grande movimento di massa della regione. Negli ultimi anni abbiamo ampliato le nostre attività e la nostra rete di collaboratrici/collaboratori, costruendo un programma per tutta la Nuestra América. La prima newsletter, scritta da Miguel Enrique Stédile (Tricontinental) e Stephanie Weatherbee Brito (Assemblea Internazionale dei Popoli) riporta i risultati della Quarta Conferenza Internazionale sui Dilemmi dell’Umanità, tenutasi a São Paulo nell’aprile 2025. L’obiettivo della conferenza era quello di contribuire a costruire una nuova teoria dello sviluppo per il Sud del mondo che, scrivono gli autori, “deve essere radicata nelle lotte popolari, adattata a ogni contesto e, soprattutto, costruire il potere necessario per renderla realtà. Di fronte alla crisi di civiltà che stiamo vivendo, il socialismo non è una lontana utopia: è l’unica bussola per navigare verso un futuro in cui l’economia venga messa al servizio delle persone e non del capitaleâ€.

4. Zetkin Forum for Social Research. Il nostro avamposto europeo, lo Zetkin Forum, ha sede a Berlino e produce una newsletter mensile in tedesco e inglese. L’ultima condivide un estratto dalla nuova rivista, Fascism Rising, del Zetkin Forum; entrambe ci danno il benvenuto a Berlino per la conferenza Fascism Back in Europe? dal 20 al 22 giugno. Ci vediamo lì.

5. Tricontinental Art Bulletin. Negli ultimi dieci anni, il nostro istituto ha lavorato duramente per garantire che la battaglia delle idee fosse integrata con quella delle emozioni, che l’arte non fosse solo decorazione. Da marzo 2024, il nostro dipartimento artistico pubblica un bollettino mensile per fornire un contesto più ricco all’arte prodotta nella tradizione della liberazione nazionale. Questi bollettini, scritti dal direttore artistico del nostro istituto, Tings Chak, si basano su interviste ad artiste/i contemporanei e su approfondimenti negli archivi dell’arte rivoluzionaria di tutto il mondo. L’ultimo bollettino Poesia contro il fascismo, si apre con una discussione su Olga Bergholz dell’Unione Sovietica e si chiude con Sarojini Naidu dell’India. “Noi, che non siamo ancora liberiâ€, ha scritto Naidu, “rendiamo omaggio a voi che avete sconfitto il tirannoâ€.

Queste quattro newsletter – e questa newsletter che vi arriva ogni settimana – sono pensate per contribuire a tracciare una roadmap e fornire gli strumenti per cogliere i rapidi cambiamenti che ci attendono. Le nostre ricercatrici e i nostri ricercatori non si concentrano solo sulla totalità – tutti gli elementi della vita umana, dall’economia alla cultura – ma anche sui modi in cui questi elementi interagiscono per costituire quella totalità. Nessun elemento deve essere considerato in modo isolato o non integralmente correlato agli altri.

Durante i dieci anni trascorsi dalla seconda Conferenza internazionale Dilemmas of Humanity, abbiamo prodotto un corpus considerevole di ricerche radicate nelle lotte del nostro tempo, seguendo la congiuntura, analizzando i cambiamenti nella struttura neocoloniale e impegnandoci nella battaglia delle idee che plasma il nostro momento storico. Abbiamo ancora molto lavoro da fare: continuare a costruire il nostro inventario di informazioni sul presente, sistematizzarlo in una teoria del presente che illumini i futuri possibili, e farlo sempre in dialogo con le forze della trasformazione sociale. Speriamo che continuerete ad accompagnarci in questo viaggio.

Con affetto,
Vijay

*Traduzione della venticinquesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.

Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.

Chi è Vijay Prashad?

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DIRE NO AL RIARMO È DIRE NO ALLA NATO. LE RAGIONI POLITICHE DI DUE CORTEI A ROMA. UNISCITI ALLA RETE DISARMIAMOLI!
Data articolo:Wed, 18 Jun 2025 11:12:32 +0000

Quello che sta succedendo è sotto gli occhi di tutte e tutti: la “Terza guerra mondiale a pezzi†ha un’accelerazione senza precedenti con l’attacco diretto di Israele contro l’Iran, il genocidio a Gaza, l’investimento europeo nel conflitto ucraino, la guerra commerciale degli USA di Trump, la corsa folle al riarmo a cui assistiamo da mesi… Tutto ciò non sta avvenendo per caso o per la “pazzia†di singoli leader politici, ma è il frutto del nostro sistema economico e politico. Ormai ce lo dicono senza alcuna ipocrisia: le classi dominanti degli Stati Uniti, e il blocco “occidentale†che hanno costruito intorno a loro, vogliono continuare a mantenere il predominio a livello mondiale, e per farlo devono impedire a nuovi attori, che siano la Cina o potenze regionali, di acquisire spazio e di crescere.

Questa rinnovata aggressività imperialista ovviamente va a danno di tutti i popoli e delle classi lavoratrici: innanzitutto di quelle del sud del mondo bombardate, affamate, sterminate, o costrette a intrupparsi dietro i loro leader quasi sempre tradizionalisti e autoritari, ma anche di quelle occidentali, che sempre più si vedono spinte verso l’economia di guerra e i sacrifici che questa comporta, mentre subiscono gli effetti della crescita dell’estrema destra, che negli USA e nella UE torna ad essere lo strumento politico per gestire la  crisi del capitalismo.

È in questo contesto che prende tutto il suo senso il vertice della NATO previsto a L’Aja dal 24 al 26 giugno. Si tratta di un momento estremamente importante perché in quest’occasione i leader della NATO dovranno decidere di quanto dovrà crescere la spesa militare dei membri dell’Alleanza. All’attuale obiettivo del 2% del PIL ne subentrerà uno nuovo: 3%, 3,5%, forse addirittura 5% come richiesto da Trump. Quest’aumento della spesa manderà un segnale chiaro al mondo: “facciamo sul serio, siamo disposti a tutto, state al posto vostro e accettate di trattare alle nostre condizioniâ€.

Proprio perché questo momento è così importante, e proprio perché è la NATO a guida USA che impulsa i vari piani di riarmo europei, sono state chiamate il 21 giugno manifestazioni in tutta Europa, in modo da far sentire come i nostri popoli rifiutano il riarmo e rifiutano il macello che, come la Storia insegna, puntualmente gli fa seguito.

L’Italia, da sempre paese a sovranità limitata perché occupato dagli USA con cento basi militari e perno dell’Alleanza Atlantica nel Mediterraneo, con il Governo Meloni, uno dei più filo-atlantici di sempre, alla faccia del “sovranismo†della destra, si sta allineando. 40 miliardi in più saranno progressivamente dati alla guerra e non ai nostri veri bisogni, a scuole, ospedali, messa in sicurezza del territorio e transizione ecologica, sostegno sociale per chi è in difficoltà. Il ministro Crosetto lo dice chiaramente: “Il nostro compito è rispettare gli impegni Nato e gli assetti richiesti. Ogni Paese ha un ruolo assegnato. Così, contribuiamo anche a costruire un futuro sistema di difesa europea, basato sugli stessi criteri e principi della Natoâ€. Sono insomma gli USA e la NATO che impulsano le mosse dell’Unione Europea e il suo piano di riarmo (che peraltro finanzierà tante imprese statunitensi).

Per questo anche in Italia, facendo seguito alla piazza del 15 marzo che si opponeva alla NATO e al piano di riarmo europeo, come Disarmiamoli abbiamo lanciato un appello per costruire il 21 giugno, in concomitanza con il vertice NATO (infatti proprio a L’Aja e in diversi paesi europei è prevista una mobilitazione contro il summit!), per accendere un riflettore e indicare i veri responsabili a un’opinione pubblica italiana che in stragrande maggioranza è contraria alla guerra, ma non agisce poi politicamente perché non sa bene come e con chi prendersela o cosa si può fare. A questo nostro appello hanno risposto circa 80 realtà, tra cui le realtà giovanili e studentesche più attive del paese, i sindacati di base che hanno indetto un coraggioso sciopero per il 20 giugno, i portuali che a Genova e a Salerno hanno bloccato il transito di armi verso la Palestina, i giovani palestinesi, il movimento NO TAV e chi resiste alla devastazione del territorio.

Altre realtà vicine al centrosinistra non hanno risposto, e hanno deciso di lavorare a una seconda piazza. Un errore a nostro avviso, perché una piazza unica sarebbe stata molto più forte nel denunciare ciò che NATO, Unione Europea e Governo Meloni stanno determinando, e perché le cose che ci accomunano sono tante. Ma è un errore che dipende da una presa di posizione politica di fondo per le prospettive. Tanto che anche i tentativi di mediazione che sono stati fatti, sono stati rifiutati da chi ha indetto la seconda piazza che ha precisato che intendevano fare “un loro corteoâ€. È giusto esplicitare quindi le motivazioni, perché possono rappresentare un momento di dibattito e crescita politica.

Per noi è del tutto evidente – lo ammette persino Crosetto! –, il ruolo della NATO in questo passaggio e che il 21 giugno bisogna scendere in piazza mettendo al centro questo tema. Di cortei “contro la guerraâ€, senza altri aggettivi, ce ne sono stati tanti in questi anni. Ora abbiamo l’occasione, perché sono le nostre stesse classi dominanti a fornircela, di poter far fare un salto in avanti al movimento contro la guerra.

Gli organizzatori della seconda piazza invece sulla questione NATO tacciono e vogliono tacere. Il motivo è lampante: si tratta di una piazza dell’area del centrosinistra che mira a fare assumere a tutto il centrosinistra e in particolare al PD, una posizione più “pulita†su questo tema e contraria al riarmo, visto che il PD si è diviso tra chi è a favore e chi contro al piano europeo. E che così costruisca una coalizione larga, che recuperi il movimento No War verso le elezioni 2027. Se questo è lo scopo politico, bisogna per forza tenere il livello di politicizzazione più basso, tenere l’appello generico, limitarsi a contrastare il piano europeo, mentre si enuncia la possibilità di una “difesa comune europea†che sarebbe l’alternativa. Come se la difesa comune non implicasse una maggiore integrazione tra le borghesie europee e le loro imprese di morte, come se la “difesa comune†non implicasse individuare dei “nemici comuniâ€â€¦

Noi di Disarmiamoli vogliamo affermare invece con chiarezza che la prospettiva che ci propongono i “campisti†del centro sinistra non ci piace e vogliamo lavorare per un’alternativa politica e di classe distinta fortemente dagli aggregati ambigui che periodicamente si ripresentano e che spesso portano alla sconfitta.

Insomma, è ovvio che se bisogna costruire un centrosinistra di Governo bisogna essere “responsabili†e non ce la si può prendere né con la NATO né con i motivi profondi di questa situazione. D’altronde i 5 Stelle che saranno in piazza sono stati i primi ad accettare l’aumento al 2% delle spese militari come richiesto in passato dalla NATO, a far crescere l’export di armi verso Israele, oltre a votare per l’invio delle armi in Ucraina e il PD – intorno a cui è nato il solito balletto c’è/non c’è Schlein, che toglie spazio ai motivi della manifestazione – ha sempre votato per le avventure militari italiane, dai banchi del governo e dell’opposizione.

A noi, nel rispetto della sensibilità di tutti, non interessa portare acqua a questo tipo di operazioni politiche o portare a Roma 40 bus, come stiamo facendo, per poi ascoltare dichiarazioni politiche di forze che non ci rappresentano. Noi vogliamo scendere in piazza per mettere in evidenza questi punti:

  1. No alla NATO e all’aumento della spesa militare a cui ci obbliga la partecipazione all’Alleanza, sì a diplomazia, negoziati, coinvolgimento dell’ONU;
  2. No al piano di riarmo europeo, alla formazione di un esercito comunitario e a ogni politica bellicista dell’UE, sì a spese sociali, in sanità, istruzione, transizione ecologica;
  3. No alla costruzione della fortezza Europa, al respingimento e alla morte di migranti, all’Inquisizione degli attivisti che salvano vite;
  4. No all’estrema destra, ai decreti sicurezza, ai software israeliani usati per spiare giornalisti, alla “guerra sporca†contro i movimenti sociali;
  5. Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni di Israele, rottura delle relazioni diplomatiche e militari con lo stato sionista;
  6. Sostegno alla Resistenza palestinese e ai popoli che subiscono le aggressioni imperialiste.

Per noi questa è la piattaforma che conta se vogliamo avere una reale autonomia, evitare che il movimento No War venga recuperato e tradito di nuovo, se vogliamo dimostrare proprio a quel ceto politico, come è successo con la Palestina, che la società che si sta mettendo in moto è molto più consapevole di lui e ha voglia di posizioni chiare e non del solito cerchiobottismo italiano. Facciamolo, dando spazio alla ricchezza e alla diversità di ognuno. Non è troppo tardi per scegliere chiaramente da che parte stare.

Continueremo a confrontarci con chiunque voglia mobilitarsi, ci auguriamo che entrambe le piazze siano strapiene e debordanti, ma crediamo che questo sia il momento delle parole e delle lotte senza se e senza ma.

Ci vediamo il 21 giugno alle 14 in Piazza Vittorio a Roma!

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Calabria

[CATANZARO] COMUNICATO SUGLI IMBRATTAMENTI FASCISTI ALLA CASA DEL POPOLO THOMAS SANKARA
Data articolo:Mon, 16 Jun 2025 09:17:48 +0000

Nella giornata del 14 giugno la sede della Casa del Popolo Thomas Sankara di Catanzaro è stata imbrattata con simboli dell’organizzazione neofascista Forza Nuova.
Questo atto di vandalismo non ci sorprende, perché comprendiamo che lo storico impegno delle organizzazioni che hanno dato vita alla Casa del Popolo – Potere al Popolo, Fronte Comunista e Associazione di Amicizia Italia-Cuba – nella lotta politica e culturale contro il fascismo di ieri e di oggi ci renda sgraditi.
Intendiamo tranquillizzare gli autori del gesto vigliacco e i loro mandanti! Non solo non ci faremo intimidire ma continueremo senza sosta il nostro impegno per togliere loro ogni agibilità politica e sociale.
Prova ne sia la circostanza proprio nella medesima giornata di ieri abbiamo continuato le nostre attività con una seguitissima presentazione di un libro.
Tuttavia non possiamo non rimarcare l’infamia di questo gesto riconducibile alla teppa fascista che purtroppo in questa città è stata storicamente fin troppo tollerata.
Questa è la città – vogliamo ricordarlo – nella quale il compagno lavoratore Giuseppe Malacaria ha trovato la morte per mano fascista. Questa è la città dove aggressioni a compagne e compagni anche in giornate simbolo come il 25 aprile rimangono nitidamente nella memoria delle antifasciste e degli antifascisti.
In questo ultimo periodo la presenza di organizzazioni neofasciste in Catanzaro è divenuta più assidua anche con aperture di sedi, come quella di Forza Nuova, ovvero quel movimento che non ha mai rinnegato la sua natura smaccatamente neofascista e che si è reso protagonista di episodi violenti come il vergognoso assalto alla sede della Cgil in Roma di pochi anni fa.
Si rende dunque necessaria una forte e permanente mobilitazione di tutte le forze autenticamente democratiche, senza tentennamenti e ambiguità di sorta.
A loro ci rivolgiamo e lanciamo sin d’ora l’invito alla partecipazione ad un appuntamento cittadino sul tema che nei prossimi giorni collettivamente decideremo e renderemo noto.
Per quanto ci riguarda non intendiamo indietreggiare di un solo passo e siamo certi che la parte sana e democratica di Catanzaro saprà fare altrettanto. Chiudere i covi dei fascisti! Rendere fuori legge le organizzazioni neofasciste, nel rispetto della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana che vieta la riorganizzazione del Partito Nazionale Fascista.

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[LIVORNO] I REFERENDUM NELLA NOSTRA CITTÀ: UNA QUESTIONE DI CLASSE?
Data articolo:Mon, 16 Jun 2025 09:12:58 +0000

Lunedì abbiamo avuto a livello nazionale la conferma di un trend che ormai va avanti da molti anni, quello sì dell’astensione ma in particolare del fallimento nell’utilizzo dello strumento referendario da parte dei soggetti organizzati e della “società civile” che si collocano nell’ampio spettro del centrosinistra(che ormai da anni può voler dire tutto e niente).

Se da un lato l’analisi del referendum ha fatto sbocciare dichiarazioni incredibili tra una destra che si rivendica di non aver fatto votare e un centrosinistra che dichiara di aver portato al voto più persone di quante abbiano votato la destra nel 2022, noi riteniamo che l’analisi del voto, seggio per seggio, debba far scaturire un altro tipo di riflessione.

Guardando infatti alle percentuali di voto nelle cinque circoscrizioni livornesi vediamo una divisione molto netta tra i quartieri e le zone benestanti e i corrispettivi storicamente popolari.
Nella nostra città le percentuali di affluenza piu alte si registrano nei quartieri Nord, con addirittura seggi dove, rispetto alle comunali, vediamo un aumento del voto.

Andando invece verso sud, nella circoscrizione 5, tra l’Ardenza, Antignano e Montenero, fino a Quercianella, si raggiungono picchi del -19% dell’affluenza a questi referendum, referendum che, ricordiamo, parlavano di lavoro, contratti da fame e sfruttamento.

A Shangai, alla Guglia e nelle zone nord e sud intorno alla stazione abbiamo invece percentuali di affluenza in rialzo rispetto alle comunali di un anno fa, segno che certe questioni sono sentite da una parte della popolazione più che da un’altra.

Sembrerebbe che dinamiche simili si siano registrate anche in altri luoghi in Italia e forse può essere l’unico segnale realmente positivo che ci lascia questo referendum, dall’altra parte rimane una grande occasione mancata, grazie anche alla solita presunzione di un centro sinistra che sembra pensi ancora di poter parlare delle tematiche del lavoro senza coinvolgere lavoratori e lavoratrici.

Da parte nostra riteniamo sia fondamentale che le lotte su questi temi vengano portate avanti e si apra un nuovo ciclo di lotte e rivendicazioni, sia nella nostra città che nel nostro paese.

Già da anni si muovono lotte grandi e piccole per rivendicare il diritto a condizioni di lavoro dignitose e salari che stiano al passo con l’inflazione e l’aumento dei prezzi, ma se già erano represse dai governi di centrosinistra ora lo sono ancora di più da parte di un governo di estrema destra che fa di tutto per compiacere la grande industria, utilizzando le forze di polizia per reprimere nel sangue e nei processi chi lotta per una vita degna.

Abbiamo molto da fare, molto di cui parlare, troviamoci, organizziamoci!

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