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#news #tempi.it
I miracoli avvengono ancora: la nuova legge finanziaria introduce il “buono scuola†nazionale. Lo Stato italiano, cioè, ha deciso di aiutare le famiglie poco abbienti a scegliere la scuola per i propri figli. Come Tempi ha già scritto, infatti, è previsto che le famiglie con un Isee inferiore ai 30.000 euro che scelgono di iscrivere il figlio ad una scuola paritaria potranno avere un contributo che può arrivare a 1.500 euro.
Perché ho parlato di “miracolo� Perché finora in Italia non era mai stato riconosciuto il diritto dei genitori a scegliere liberamente la scuola ritenuta migliore per i propri figli, malgrado che ciò sia previsto dall’articolo 30 della Costituzione; malgrado, cioè, che tale libertà costituisca un vero e proprio diritto costituzionale, che finora è stato sempre disatteso da tutti i governi italiani, di qualunque colore essi fossero. Finalmente questo diritto è stato riconosciuto. Non tutti pensavano che ciò fosse anche solo possibile, mentre altri, addirittura, si erano mostrati sostanzialmente contrari. Invece, finalmente, questo principio è stato riconosciuto, anche se in misura limitata dal punto di vista quantitativo, visto che la spesa complessiva dello Stato non potrà superare i 20 milioni di euro. Ma il principio è stato affermato ed una piccola breccia è stata portata ad un muro che pareva essere incrollabile.
E ciò è avvenuto anche grazie all’insistenza con cui un gruppo di associazioni familiari, coordinate con saggezza da Roberto Pasolini, ha proposto il principio affermato nella Costituzione; e grazie al lavoro intelligente di politici dell’attuale maggioranza.
Ora che il miracolo è avvenuto non dobbiamo dormire sugli allori, ma dobbiamo rimanere operativamente vigilanti perché il principio venga definitivamente accettato dal punto di vista culturale prima ancora che dal punto di vista economico e sociale e politico. E, ripeto, il principio è che il diritto all’educazione dei figli spetta innanzi tutto ai genitori, i quali devono essere aiutati, in base al principio di sussidiarietà , a svolgere liberamente il proprio compito educativo. Ciò comporterà che si rafforzi una definitiva unità tra tutte le associazioni famigliari e gli organismi che rappresentano le scuole paritarie. Un forte patto tra scuole e famiglie deve essere posto in atto sia a livello delle scuole statali che di quelle paritarie. Trattandosi di un “diritto costituzionaleâ€, il sostegno alle famiglie dovrà essere allargato al massimo, nei tempi opportuni, affinché esso non rimanga solo un riconoscimento di principio. E, d’altra parte, spero che le famiglie italiane si avvalgano il più possibile della possibilità di accedere al buono scuola. Essendo stato affermato il principio, ora l’impegno per la sua definitiva affermazione diventa ancora più cogente e interessante.
Questo lavoro culturale dovrà anche contribuire a cancellare definitivamente alcuni equivoci anche di linguaggio che fanno fatica a scomparire, come ha bene osservato suor Monia Alfieri. Alcuni, infatti, in questi giorni, hanno detto, anche se con voce sostanzialmente flebile, che non devono essere spesi soldi per le scuole “privateâ€. Altrettanto sommessamente desidero ribadire che in una posizione simile esiste un duplice errore. Con il buono scuola, infatti, si aiutano direttamente le famiglie e non le scuole (e su questo punto occorre che tanti rileggano l’articolo 30 della costituzione); Inoltre, le scuole “paritarie†non sono scuole “privateâ€, ma a tutti gli effetti sono scuole “pubblicheâ€, come detta una legge che ha oramai 25 anni e che è stata voluta da un insospettabile ministro di sinistra: il sistema scolastico italiano si regge sulle scuole pubbliche statali e sulle scuole pubbliche paritarie. Lo dice la legge, non una opinione di parte.
Occorre dare atto a questo governo che ha coraggiosamente imboccato la strada di prevedere vari sostegni alle famiglie. Sul versante educativo e scolastico, oltre al “buono scuolaâ€, è previsto un sostegno diretto alle famiglie in difficoltà un aiuto per l’acquisto dei libri. Inoltre, anche l’esonero dal pagamento dell’Imu da parte dei gestori delle scuole paritarie è sottoposto alla condizione che le rette applicate dalle scuole paritarie siano inferiori al costo medio per studente, il che, in una certa misura, si traduce anch’esso in un aiuto alla famiglia, che, quindi, mi pare torni al centro dell’interesse della politica, secondo il dettato dell’articolo 29 della Costituzione.
Vorrei, infine, porre alcune domande ai politici cattolici che militano in partiti che oggi si trovano all’opposizione. Visto che l’emendamento governativo aiuta le famiglie più povere ad esercitare il libero diritto alla scelta educativa, come potranno non votare a favore di una tale misura? La dimenticata ma sempre strepitosa dottrina sociale cattolica, infatti, da sempre chiede di aiutare i poveri e afferma il diritto della famiglia all’educazione. Per coerenza, allora, come potranno non essere d’accordo, almeno su questo punto, con quanto finalmente stabilito dalle forze di governo? Su questi temi cruciali e decisivi per il nostro futuro, non sarebbe opportuno che i politici cattolici trovassero una linea comune, indipendentemente dal partito di appartenenza? Su temi così delicati, non dovrebbe prevalere il voto di coscienza? Oppure dei poveri si parla solo per demagogia e della famiglia solo per prendere qualche voto in più? Mi sembra che la vicenda qui commentata renda interessanti ed attuali queste domande. Perché non aprire almeno un dialogo? Un dialogo non confessionale, ma assolutamente “laicoâ€, basato sul chiaro dettato costituzionale, espresso negli articoli 2, 3, 30, 31, 33, 34, 118 della nostra carta fondamentale.
Il Natale non è un favola per bambini. La nascita di Gesù non è un evento fantasioso che non ha conseguenze per la vita degli uomini. Lo ha ricordato papa Leone XIV parlando ai giornalisti il 23 dicembre: «Vorrei invitare tutte le persone, specialmente durante questi giorni di festa per Natale, a riflettere sulla natura della vita umana, sulla bontà della vita umana».
Il Pontefice non stava facendo il classico discorso natalizio. Ma, rispondendo a una domanda dell’emittente Ewtn fuori da Castel Gandolfo, stava spiegando di avere parlato a inizio mese con il governatore dell’Illinois, JB Pritzker, proprio nelle ore in cui il politico e imprenditore democratico doveva decidere se firmare o no una legge per legalizzare il suicidio assistito.
L’Illinois non è un luogo qualunque, dal momento che Robert Francis Prevost è nato proprio nella città più famosa dello stato americano, Chicago.
La legge in questione, denominata “Deb’s Law†in onore di Deb Robertson, un malato terminale che si è battuto per la legalizzazione dell’eutanasia, permette a tutti i maggiorenni di ottenere il suicidio assistito se affetti da una malattia terminale che lascia soltanto sei mesi di vita. La prognosi, che non può che essere aleatoria, deve essere confermata da due medici.
La Conferenza episcopale dell’Illinois si è opposta con forza alla legge, chiedendo allo Stato di «non normalizzare il suicidio», ma di «investire nelle cure palliative» e nel «sostegno reale a chi è in fin di vita»: «Questa legge ignora che a spingere le persone più vulnerabili alla disperazione sono le carenze nell’accesso a cure di qualità ».
Anche il Papa ha fatto la sua parte, intervenendo e chiedendo «in modo molto esplicito» al governatore dell’Illinois, Pritzker, «di porre il veto alla legge e di non firmarla. Io [e il cardinale Blase Cupich] siamo stati molto chiari sulla necessità di rispettare la sacralità della vita dal principio fino alla fine. Ma sfortunatamente, per diverse ragioni, il governatore ha deciso di firmare la legge. Sono molto contrariato per questa cosa».
Né Leone XIV né il governatore avevano mai parlato prima di questo deciso intervento del Papa a favore della vita e contro le leggi che legalizzano l’eutanasia (negli Stati Uniti come in Italia).
Il Pontefice ha poi aggiunto:
«Dio si è fatto uomo come noi per mostrarci che cosa significa vivere davvero la vita umana. E io spero e prego che il rispetto per la vita cresca di nuovo in tutti i momenti dell’esistenza umana, dal concepimento fino alla morte naturale».
Papa Leone XIV ha fatto del rispetto della vita uno dei cardini del suo pontificato. Non a caso, sempre il 23 dicembre, si è appellato alla Russia e non solo per chiedere in prossimità del Natale almeno 24 ore di pace, senza uccisioni:
«Davvero tra le cose che mi causano più tristezza in questi giorni c’è il fatto che la Russia ha apparentemente rifiutato al tregua di Natale. Forse ci ascolteranno e permetteranno che ci siano 24 ore, un giorno intero di pace in tutto il mondo».
E come ha ricordato Leone XIV nel suo messaggio per la LIX giornata mondiale della pace,
«prima di essere una meta, la pace è una presenza e un cammino. Seppure contrastata sia dentro sia fuori di noi, come una piccola fiamma minacciata dalla tempesta, custodiamola senza dimenticare i nomi e le storie di chi ce l’ha testimoniata. È un principio che guida e determina le nostre scelte. […] La pace di Cristo risorto continua ad attraversare porte e barriere con le voci e i volti dei suoi testimoni».
Gli uomini sono riluttanti a passare dalla nozione di una divinità astratta e negativa all’Iddio vivente. Non me ne meraviglio. Qui sta la radice più profonda del panteismo e dell’obiezione al linguaggio immaginoso tradizionale. In fondo, esso non fu detestato perché Lo raffigurava come un uomo, ma perché Lo rappresentava come un re, o persino come un guerriero. L’Iddio del panteista non fa nulla, non chiede nulla. Se Lo vuoi, è là , come un libro su uno scaffale. Non ti darà la caccia, non c’è il pericolo che in qualsiasi momento cielo e terra possano scomparire ad una Sua occhiata. Se fosse Lui la verità , allora potremmo davvero considerare tutte le immagini cristiane della regalità come un accidente storico del quale la nostra religione dovrebbe essere ripulita.
Scoprirle indispensabili ci dà un brivido. Avete avuto un brivido simile altre volte, relativamente alle cose minori – quando qualcosa dà uno strattone alla lenza o quando c’è un sospiro dietro a voi nelle tenebre. Così qui: il brivido ci coglie nel preciso momento in cui il fremito della vita ci viene trasmesso dall’indizio che stavamo seguendo. Ci fa sempre molta impressione incontrare la vita dove credevamo di essere soli.
“Attenzione!”, gridiamo, “è vivo” e quindi a questo esatto punto che tanti si tirano indietro – lo avrei fatto anch’io se avessi potuto – e non vanno più avanti col cristianesimo. Un “Dio impersonale” va bene. Un Dio soggettivo della bellezza, della verità e della bontà all’interno della nostra testa, ancor meglio. Una forza vitale informe che fluisce attraverso di noi, una immensa potenza che possiamo spillare, il meglio del meglio.
Ma Dio stesso, vivo, che dà uno strattone all’altro capo della corda, che forse si avvicina ad una velocità infinita, il cacciatore, il re, il marito – ah questa è tutta un’altra faccenda. C’è un momento in cui i bambini che stanno giocando ai ladri si zittiscono improvvisamente: non si sentono dei passi veri di là nell’entrata? C’è un momento in cui quelli che stanno dilettandosi di religione (“l’uomo alla ricerca di Dio”!) si tirano improvvisamente indietro.
E se davvero lo trovassimo? Non avevamo nessuna intenzione di arrivare a questo! E ancor peggio, se Lui ci avesse trovati?
Clive Stephen Lewis, La mano nuda di Dio: Uno studio preliminare sui miracoli, 1947
Cara redazione di “bastardi”, vi chiamo così dopo aver letto i racconti di Amicone dell’ultimo numero. Lavoro da molti anni in uno studio legale, da un paio sono diventato partner. Negli ultimi anni, la festa natalizia di studio è incentrata su un momento ironico dove far emergere quanto successo nell’anno e le peculiarità dei colleghi e dei collaboratori. Quest’anno, per varie questioni, avevo deciso di sospendere l’iniziativa limitandomi a organizzare un semplice pranzo per lo scambio degli auguri, senza aggiungere altro. Questa mattina ho letto i racconti di Vietti e “la Cate” sulla vostra redazione, e ho pensato: hanno ragione loro, bisogna costruire comunità anche a lavoro. È una fatica, ma una fatica giusta e va fatta. Allora mi sono ritagliato un paio d’ore e adesso sono pronte le descrizioni ironiche di tutte le persone che lavorano con noi per valorizzare il buono che c’è in ognuno di loro. Al pranzo di Natale dello studio le leggeremo. Se non avessi letto Tempi, non l’avrei fatto. Buon Natale.
P.S. E ci sono scappati anche un paio di abbonamenti da regalare per Natale.
Alberto Biasco
***
Vorrei ringraziare Carlo Simone per questo dono natalizio. La recensione de Oscar e la dama rosa mi ha talmente incuriosito e fatto desiderare di leggere il libro che, dopo aver superato l’ostacolo della libreria che mi ha detto che era esaurito da molti anni, ho chiesto a mia figlia di cercare con Amazon. L’ha trovato e ordinato. Oggi è arrivato e in poco più di un’ora me lo sono letto. Grazie di cuore e tantissimi auguri di buon Natale nell’abbraccio di Gesù Bambino.Â
P.S. Ho scoperto che a luglio è stato ristampato così lo dirò alla mia libreria.
Maurizio PasiniÂ
***
Cari amici, i tempi drammatici che stiamo vivendo ci comprovano ancora una volta l’inconsistenza ultima dei nostri progetti e delle nostre aspettative. E noi, i nostri occhi volti verso il cielo alla ricerca di qualcuno, di qualcosa che ci liberi dalle nostre pesanti contingenze. Il Natale è l’avvenimento in cui il Mistero del cielo – a cui volgiamo il nostro sguardo, come gli uomini di tutti i tempi – ci ha rivelato il suo volto, facendosi uno di noi a cui poter guardare. Con l’augurio di un Natale di bene a voi e alle persone a voi care.Â
Natale, il volto del Mistero
Passeggere come gli uomini, le foglie,
caduche, una ne nasce, l’altra si dilegua,
è l’esperienza elementare della vita
un fiore di campo che germoglia
già si dissecca nella sera,
un’inconsistenza ultima
che mentre la stringi ti abbandona.
Nondimeno, dentro il dramma
di una vita senza pace, una sfida
un accadimento irriducibile
si sottrae al provvisorio.
Dentro questa contingenza
apparentemente senza sfoci,
una svolta, l’evento del Natale!
Il Mistero, che l’uomo di ogni tempo
ha denominato Dio, è venuto,
si è curvato sul nostro nulla
chiamandoci per nome.
Una Presenza
ci ha resi familiari col Destino.
Franco Casadei
L’autrice di questo articolo, suor Marta Fagnani, è madre superiora di Nostra Signora Fonte della Pace, monastero trappista nel villaggio rurale di Azer, in Siria.
A un anno dal cambiamento politico avvenuto in Siria, il clima è ancora molto teso. Occorre dire che la percezione della situazione cambia abbastanza da zona a zona, anche fra gli stessi cristiani, quindi anche la nostra non può essere che una visione relativa.
Ad Aleppo, ad esempio, dove non vive la minoranza alawita, e dove l’influenza turca si fa sentire, sembra che si percepisca una certa calma, anche se, ad esempio, la presenza dei soldati del governo a protezione delle chiese (dopo l’attentato di Damasco contro la chiesa di Mar Elias) risvegliano un senso di paura, di pericolo. Però ci sono gruppi misti che lavorano insieme nel sociale; all’accensione dell’albero di Natale ragazzi cristiani e musulmani hanno festeggiato insieme. Quindi ci sono segni positivi.
Ma la nostra impressione, da quanto ci dicono soprattutto i giovani, è che molti cristiani si sentano una minoranza tollerata, con poca possibilità di avere una voce reale nella vita del paese. Del resto questo vale non solo per i cristiani: anche molti sunniti moderati sembrano essere rimasti esclusi dalla direzione del paese.
Gli alawiti sono stati per la maggior parte licenziati dagli impieghi statali (scuole, uffici…), figuriamoci se possono avere una rappresentanza politica. I drusi hanno trovato la loro indipendenza, appoggiati da Israele. E i curdi stanno facendo lo stesso, con l’aiuto americano. Insomma una Siria divisa, nonostante i cartelloni pubblicitari nell’anniversario dell’8 dicembre recitassero: «Una sola Siria, un solo popolo».
Nella nostra zona, che è prevalentemente alawita, la situazione è molto tesa, incerta. A onor del vero dobbiamo dire che, almeno fino ad oggi, noi siamo rispettate, non abbiamo avuto difficoltà se non all’inizio con qualche gruppo armato, che minacciava i nostri operai cristiani che erano stati nell’esercito di Assad. Ma il governo stesso è intervenuto su nostra richiesta. Abbiamo avuto il rinnovo della nostra residenza senza difficoltà . Quando facciamo la spesa nel villaggio sunnita siamo trattate con molta gentilezza e c’è apprezzamento per la nostra presenza. Anche gli alawiti ci percepiscono come un elemento che garantisce sicurezza nella zona.
Noi abbiamo e desideriamo avere buone relazioni con tutti, perché di fatto non abbiamo preferenze, siamo qui per tutti, e vorremmo che i siriani lavorassero insieme per il futuro del loro paese. Preghiamo molto per questo, ma onestamente è un po’ sperare contro ogni speranza. Ci vuole proprio una Luce dall’alto che tocchi le coscienze e i cuori.
Ma anche se noi stiamo bene, dalla nostra zona – dove sono presenti sia alwiti che sunniti – molte persone se ne sono andate, in Libano o anche più lontano. Molti vivono come sospesi, non si riesce a vedere un orizzonte; anche portare avanti il lavoro è faticoso, le persone non riescono a pensare al domani. Attorno a noi ci sono state violenze, purtroppo molte volte si è trattato di vendette.

Oggi le parti si sono invertite: in passato erano i sunniti a sopportare il peso del governo, soprattutto delle mafie. L’orizzonte del perdono, della riconciliazione (anche se molti si stanno impegnando per questo) sembra assente dalle parole della gente, ed è questo che più preoccupa.
Ma, in fondo, è questo che molti paesi stranieri volevano. Sono anni che gli interessi internazionali cercano di frammentare la Siria, e ci sono riusciti. Si potrebbe obiettare che, se la popolazione adesso si è così divisa, significa che non era tanto unita neppure prima. Ed è vero. Ma di fatto qualcosa faceva sentire le persone prima di tutto siriane, e solo poi cristiane, sunnite, alawite, druse… C’era in qualche modo un sentimento nazionale comune. Oggi questa Siria non c’è più. La gente attorno a noi, in generale, non ha speranza che «la Siria possa tornare unita». E di fatto la maggior parte ha coscienza che non sono i siriani stessi a determinare la loro sorte, ma gli interessi internazionali. Lo stesso rovesciamento del governo è avvenuto dall’esterno, e questo è evidente per tutti.
Ora alcune sanzioni sono state tolte, le frontiere si sono aperte e molti beni prima introvabili e molto costosi ora sono presenti e accessibili. Ma la povertà è ancora altissima, il lavoro non ha avuto una ripresa, e sempre più persone indigenti ci chiedono aiuti economici e noi non ce la facciamo a rispondere alle varie necessità che ci circondano.
In questa situazione, si paventa la possibilità che la Siria sia divisa in varie parti confederate. Gli interessi sulle varie zone sono altissimi. Interessi politici ed economici. Qui le opinioni sono molto diverse. Da anni, ancora durante la guerra, si parlava di federazione, e noi siamo sempre state fortemente contrarie. Oggi non ne siamo più così convinte. Perché la gente attorno a noi non vede un’altra opportunità reale per un’esistenza sicura. Certo per i cristiani non è l’ideale, perché sono presenti in tutte le province siriane. E non è l’ideale per questo paese, sarebbe meglio una Siria unita, perché si potrebbe vivere insieme pensando al vero bene, alla vera fede che ci rende tutti uguali davanti a Dio, alla crescita del paese, alla cultura e alla formazione dei giovani. Ma c’è la possibilità che la Siria ritorni un paese per tutti? A questo forse potrebbero rispondere “da fuori”, ma non appare chiaro che cosa costoro vogliano veramente.

In questa situazione frammentata, che cosa ci facciamo noi qui, perché costruiamo un monastero di pietre e di persone? Facciamo quello che cerchiamo di vivere da ormai vent’anni: “sprecare” la nostra vita secondo la nostra vocazione e quanto ci dice il Vangelo, nella lode a Dio, nella preghiera per tutti, nel lavoro quotidiano. Cercando anche di immaginare un aiuto possibile, soprattutto nel lavoro e nella formazione, che sono l’urgenza vera in questa situazione. Ma soprattutto cerchiamo di vivere il Natale, cioè la contemplazione di un Amore tanto grande da essersi fatto uno di noi.
Nel desiderio che un giorno apriremo gli occhi per rendercene conto, accoglierlo per comprendere a quale speranza siamo chiamati, tutti. Possiamo solo essere qui, cercando di vivere l’oggi con cuore aperto e con la certezza dell’amore di Dio per l’uomo, al di là di tutto.
Organizzata in collaborazione con il Kunstmuseum dell’Aia, il Museo delle Culture di Milano ospita una mostra dedicata a Escher che va ben oltre il pur corretto titolo “Tra arte e scienza“. In un’epoca dominata da comunicazioni incontrollate, spesso contraddittorie e frammentarie, le opere di Escher risultano straordinariamente attuali. Esse ci costringono a interrogarci sul concetto stesso di realtà , spingendoci – non sempre senza fatica – a distinguere tra vero e falso, reale e virtuale, utopia e realismo. Non è un caso che tali temi siano oggi al centro di numerosi convegni dedicati ai giovani, nei quali psicologi e sociologi cercano di interpretare i paradossi di comportamenti estremi e talvolta drammatici.
Tutti conoscono il celebre paradosso — o, più precisamente, l’antinomia — del mentitore, attribuito a Epimenide, che potremmo oggi riformulare così: «Io sono un uomo e tutti gli uomini dicono bugie». Questo paradosso rappresenta una delle forme più radicali di relativismo, capace di trascinarci in un vortice di dubbio senza uscita, un fenomeno che ritroviamo nei dibattiti contemporanei su vaccini, fake news e complottismo.
Personalmente, sono sempre rimasto affascinato dalle opere di Escher e sono stato profondamente colpito sia dalla straordinaria mostra curata da Marco Bussagli a Palazzo Reale di Milano nel 2016, sia dal celebre libro di Douglas Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante. Hofstadter, docente di scienze cognitive e intelligenza artificiale al Mit, esplora nel suo libro il misterioso emergere dell’ordine in biologia, a partire dal Dna, evidenziando sorprendenti analogie con gli spazi paradossali di Escher, le strutture musicali speculari di Bach e persino i teoremi matematici di Kurt Gödel.
Le opere di Escher si muovono così tra paradossi, antinomie e ossimori, rispecchiando in qualche modo anche il teorema di incompletezza di Gödel, che traduce in termini matematici l’antinomia del mentitore: «Questo enunciato è falso». A suo modo, anche Escher – come Gödel – ci ricorda che la dimostrabilità è una nozione più debole della verità e che esistono verità non dimostrabili, ma non per questo meno vere.
Le sue opere affrontano, in effetti, una delle questioni fondamentali dell’esistenza umana: il senso stesso del vivere. Come scrive McCarthy ne Il passeggero: «Se non siamo alla ricerca dell’essenza, allora che cosa cerchiamo?». Se abbiamo il coraggio di cercarla, scopriamo che ogni realtà rimanda inevitabilmente al mistero che la fa essere e che, in
ultima analisi, la domanda più radicale potrebbe essere quella di Pilato a Cristo: Quid est veritas?
Come ha scritto Marco Bussagli, molti vedono in Escher soltanto un abile e bizzarro creatore di illusioni ottiche, mentre la sua arte esprime una profonda tensione conoscitiva. Lo testimonia una frase che Escher amava citare, pronunciata da Miguel de Unamuno nella Vita di Don Chisciotte: «Soltanto chi tenta l’assurdo è in grado di conquistare l’impossibile».
Del resto, parole come infinito e mistero sono difficili da afferrare e spesso sfuggono alla pura analisi razionale; eppure il cuore umano le percepisce come necessarie, tanto da far scrivere a Pascal: «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce». Se la razionalità è la trasparenza critica della realtà , anche il senso del mistero — sebbene spesso abusato da esoterismi e banalizzazioni — ne fa parte ed è percepibile dalla ragione stessa.
È significativo ciò che Escher scrive a proposito dei cristalli: «Nei principi fondamentali dei cristalli c’è qualcosa che toglie il fiato. Non sono creazioni della mente umana […] essi “sonoâ€, esistono. In un attimo di lucidità , l’uomo può al più scoprire che esistono e rendersene conto». Come osserva ancora Bussagli, nei cristalli – concrezioni delle leggi geometriche e matematiche – Escher vede il riflesso dell’insondabilità del mistero della vita, dell’uomo e del cosmo. In un altro passo, l’artista è ancora più esplicito: «La bellezza e l’ordine dei corpi regolari sono irresistibili […] se tu insisti a parlare di Dio, hanno qualcosa di divino, per lo meno nulla di umano».
È difficile non ricordare, a questo punto, ciò che don Luigi Giussani ha avuto il coraggio e la lucidità di indicare con la parola Mistero (con la “M†maiuscola) come nome stesso di Dio. Per Giussani, la vita è rapporto con ciò che “fa essere la realtà â€, dunque con il Mistero, cioè con Dio. Scrive infatti: «La parola più giusta è la parola Mistero, perché Mistero indica Dio, Destino, e implica l’inconoscibilità di Dio, a meno che Egli stesso non prenda l’iniziativa, comprendendo la pochezza che siamo».
Per questo il Santo Natale che si avvicina è memoria di questa iniziativa che Dio ha preso verso ciascuno di noi, affinché attraverso Cristo e la sua Chiesa possiamo conoscere il Mistero.
Chi conosce Marco Bernardi sa che questo 48enne imprenditore bolognese non si fa troppi problemi a prendere posizioni forti, pur rivestendo il ruolo di presidente di un’azienda come Illumia. Non sorprende dunque di per sé l’acceso dibattito suscitato da Iwagumi – Dismisura, la maxi installazione dell’artista australiano Nimrod Weis inaugurata domenica scorsa in piazza Maggiore a Bologna e che qui resterà esposta fino al 26 dicembre. In città non si parla d’altro da una settimana. E non solo per il successo dell’iniziativa, promossa da Bologna Festival e sponsorizzata proprio da Illumia. A stupire questa volta è forse il merito di alcune contestazioni mosse al progetto. Le gigantesche finte rocce gonfiabili alte fino a 14 metri sparpagliate sul “Crescentone†dell’iconica piazza cittadina davanti a San Petronio, che di notte si illuminano cambiando completamente aspetto ed effetto, sono state accusate niente meno che di «umiliare la tradizione cristiana» del Natale, oltre a essere metaforicamente scagliate contro il Comune per punirne il cattivo gusto e lo «sperpero di denaro pubblico». Abbiamo chiesto a Bernardi di darci la sua versione.
Com’è andata l’inaugurazione?
Molto bene: diecimila persone in piazza ad assistere alla prima accensione delle rocce e tutto si è svolto in un bel clima, sia durante l’esibizione della soprano Iolanda Massimo e del pianista Paolo Andreoli, sia durante gli interventi del sindaco Matteo Lepore, di Maddalena da Lisca, sovrintendente di Bologna Festival, dell’artista e del sottoscritto. È stato un momento semplice e bello.
Illumia lo ha annunciato come «un vero regalo di Natale per la città » e lei stesso domenica sera ha voluto dire pubblicamente che «l’opera è profondamente natalizia». In che senso?
Non pretendiamo certo di decidere noi che cosa l’artista volesse dire con questa opera, però, proprio perché si tratta di arte, in accordo con lui, siamo stati liberi di leggerla e proporla nel modo che ci appariva più adeguato.

E che cosa ci avete visto in Iwagumi?
La decisione di proporla in questo periodo discende in particolare da una suggestione del poeta Davide Rondoni, che guardando le immagini di altre esposizioni ha reagito con quella sua tipica immediatezza creativa proponendo di “sottotitolare†l’opera Dismisura.
Perché Dismisura?
Sono due i “poli†della suggestione di Rondoni. Da una parte la sproporzione dell’uomo davanti alla natura, la stessa esperienza che ciascuno fa davanti all’oceano o a un bel tramonto, a una montagna maestosa: queste rocce monumentali ti obbligano in qualche modo a guardare in alto, a riscoprirti piccolo e quindi a ritrovare la giusta umiltà in un’epoca in cui l’uomo tende invece a imporre se stesso come misura di tutto.
Poi c’è il “polo†del Natale.
Sì, come ho detto nella serata inaugurale, questa dismisura ha molto a che fare con il Natale, perché questa sproporzione che ti obbliga a guardare in alto, verso il cielo, aiuta anche a ricordare un fatto eccezionale accaduto duemila anni fa, il fatto cioè che quel cielo è diventato un bambino che piange e che ride. Dio che si fa uomo e compagno nostro davanti alle difficoltà e alle gioie della vita: il fatto storico che rompe ogni misura. Non è un caso nemmeno che sullo sfondo di tutto questo ci sia la basilica di San Petronio, che tra l’altro domenica durante l’evento ha tenuto le porte aperte: a simboleggiare che quel fatto accaduto duemila anni fa si offre al mondo anche oggi, nella Chiesa, come proposta di una strada percorribile.

Parole molto cristiane e molto “natalizieâ€, il contrario dell’umiliazione della tradizione cristiana.
Si può discutere finché si vuole della riuscita dell’iniziativa, ma Illumia di certo non farà mai nulla con l’intenzione di smentire la tradizione a cui orgogliosamente appartiene, quella cristiana.
Il messaggio è stato recepito dalla piazza domenica?
Io ho detto tutte queste cose in maniera chiara nel silenzio di diecimila persone che ascoltavano. Che il messaggio sia passato posso solo augurarmelo.
Qualcuno contesta che in realtà a Nimrod Weis del Natale non importa nulla: lo avete aggiunto voi pretestuosamente.
Che sia una lettura nostra è vero, che sia posticcia secondo me no. L’artista nella sua laicità non include nell’opera il concetto del Natale, però nella suggestione rondoniana della dismisura si è ritrovato eccome, tanto è vero che ha accettato di “intitolarla†proprio così in italiano. Lui non la chiama esperienza religiosa, ma di fatto lo è. Oso aggiungere: per fare “arte cristiana†non è mica necessario essere per forza cristiani né utilizzare esclusivamente un immaginario esplicitamente cristiano. Cosa su cui non avrei nulla da ridire, per altro.
Sicuro che non ci sia la volontà di fare uno sfregio al Natale da parte di un’amministrazione «comunista», come protesta qualcuno?
Io non sono una persona di sinistra e questo a Bologna lo sanno anche i sassi, per restare in argomento. Detto questo, però, il Comune non c’entra nulla. Non gli si si può imputare nessuna responsabilità ideologica: ci ha solo concesso il permesso di utilizzare la piazza, apprezzando il fatto che il nostro intento fosse quello di valorizzare un’espressione artistica.

Nessuno spreco di soldi pubblici, quindi?
Il Comune non ci ha messo un euro, ci mancherebbe altro. Oneri e onori spettano ai promotori.
E che cosa risponde a chi critica l’opera perché è semplicemente «brutta»?
Questo ci sta. È una proposta culturale e come ogni proposta perturba, obbliga ognuno in qualche modo a prendere posizione. Il nostro obiettivo era proprio che accadesse questo. Siamo contenti che il progetto abbia risvegliato tutti noi dal torpore natalizio, strappandoci dall’unica preoccupazione dei regali da mettere sotto l’albero. Che l’opera piaccia o non piaccia, poi, mi sembra secondario. Anzi, ammetto che alcuni meme circolati in questi giorni erano molto simpatici: li abbiamo rilanciati attraverso i canali social di Illumia.
Insomma, siete contenti che un dibattito ci sia.
Ma certo, è la conseguenza più positiva della nostra iniziativa. E non fa niente se il livello della discussione è un po’ “di panciaâ€, tocca a noi insistere nel proporre la profondità che ci interessa. Il concetto della sproporzione tra l’io e la natura, per esempio, è passato, mi pare di poter dire che lo abbiano colto tutti.
Bilancio positivo quindi?
Quando si arrischia una proposta, ci si deve prendere anche la responsabilità di quello che si dice, e sono ben cosciente che potremmo aver “osato troppoâ€. La genesi della proposta, comunque, ha totalmente a che fare con la memoria e il significato del Natale, per questo valeva la pena di rischiare. Come diceva Lorenzo de’ Medici: «Dica pur chi mal dir vuole, noi faremo e voi direte».