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News da tempi.it

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Cultura
Cinema e industria dormono in stanze separate
Data articolo:Fri, 21 Nov 2025 13:43:32 +0000 di Redazione

«Coniugare esigenze culturali e logiche industriali». Parto dall’ultima riga dell’intervento di Filippo Cavazzoni che ha avviato questo “Substack†(non lo so se si dice così, ma intanto lo ringrazio di non avermi coinvolto in un “podcastâ€). Parto dall’ultima riga di Cavazzoni, dicevo, perché questo qui è o sarebbe l’ABC. L’ABC sin da quando il cinema è nato. E se in Italia torniamo sempre a interrogarci sulle premesse, forse c’è qualcosa di più profondo che non va. Ci sarà un motivo se questa premessa da noi sembra ancora un problema spinoso, una strana alchimia, un matrimonio forzato e infelice: arte e industria costrette a vivere sotto lo stesso tetto, provando per lo più a ignorarsi.

Per continuare a leggere prosegui qui o iscriviti a Lisander, il substack di Tempi e dell’istituto Bruno Leoni. 

Cultura
La voce di Pavel Florenskij
Data articolo:Fri, 21 Nov 2025 13:35:55 +0000 di Mauro Grimoldi

La vita non ci aspetta,
la vita reclama le sue esigenze,
e ora non si potrà più restare
semi-credenti o semi-ortodossi
come la maggior parte di noi,
ma è necessario raccogliere
tutte le forze dell’anima
in vista di un unico fine:
per servire la Chiesa,
per difendere la Chiesa
e chi lo sa,
forse per il martirio.
Pavel Florenskij 1906

Giunge ancora la voce del detenuto
trecentosessantotto, uno dei
cinquecentonove condannati,
prelevati dal bordo glaciale delle Solovki
una sera brumosa di ottobre,
e destinati alla città di Lenin,
quasi tutti avendo già addosso
la tagliola della morte.
Non si è ancora spenta,
né credo mai si spegnerà
la voce che dice,
se qualcuno la raccoglie
per farla circolare ancora,
tra i vivi che sono di qua
e i vivi che hanno passato il confine,
proprio quello dal quale
nullu homo vivente pò skappare.
È una voce che pensa
la voce di Pavel,
classe 1882,
azero di nascita
ma armeno di stirpe,
trapiantato ancora fanciullo
nella terra dell’uomo d’acciaio,
quello dalle dita tozze
come vermi grassi.
Una voce che pensa
e pensando scrive,
poco più che ventenne,
al vescovo Antonij:
Qui non c’è Cristo.
Pensando dentro di sé
questo scrive:
Qui non c’è Cristo.
E parla dei suoi
della sua stessa famiglia,
non conoscerei una famiglia
più perfetta della nostra;
i miei genitori sono caratterizzati
da una grande bontà,
da una costante disponibilità
ad aiutare gli altri,
assai tolleranti
nei confronti di qualsiasi
convinzione religiosa,
a patto che restasse
pura teoria.
Una famiglia quieta,
tutta dedita a sé stessa,
tutta impegnata
per il bene dei figli:
Decisamente tutte le forze dei genitori
sono sempre state spese per noi,
e tutti i loro pensieri
sono sempre stati rivolti
a come far sì
che noi potessimo avere
la migliore istruzione,
la migliore educazione,
i migliori divertimenti,
e via dicendo.
(…)
Ed ecco,
dopo che tutta la vita
era stata interamente spesa
per fare della famiglia qualcosa di unico,
perché questo era il sogno dei genitori,
dopo che fummo cresciuti,
i genitori videro,
con il più totale sconforto,
che la famiglia si disfava.
Come pare disfarsi il mondo,
le cose del mondo,
e le famiglie del mondo.
La vita stessa del mondo
e delle sue creature.
Non è sufficiente
aver cercato di essere buoni,
o di stare buoni,
in mezzo a quelli che fanno i cattivi,
perché mi interroghi
su ciò che è buono?
Uno solo è buono.
Non basta essere tolleranti
in mezzo a quelli
che tolleranti non sono,
o lo sono fin troppo.
Né aver cercato per i figli
le scuole migliori,
i vestiti più confortevoli,
le case più confortevoli,
abitate da mogli e mariti
entrambi confortevoli,
piene di figli confortevoli,
o cani o gatti o conigli,
tutti quanti confortevoli,
consumando cibi e bevande
confortevoli.
Né è sufficiente non litigare
nel mezzo delle guerre,
per fare di sé un buon esempio
per tutti.
Nella famiglia di Pavel
non c’era guerra:
Non è che ci fossero litigi;
questo proprio non c’era,
semplicemente non c’era unità,
non c’era nulla che unisse dall’interno;
non c’era una famiglia,
ma un gruppo di persone,
ed era come se ciascuno
facesse per conto suo.
Dentro di me penso:
“Qui non c’è Cristo”.

Come uno che bussa
e non lo si fa entrare;
uno che viene
e nessuno lo accoglie.
Per non avere fastidi,
per non aver grane.
Per non avere altro che sé
e le proprie cose.
Che poi vanno via
e si disfano.

Padre Pavel Florenskij
venne fucilato a dicembre;
l’anno era il 1937,
il giorno era la Festa
dell’Assunta.
Il suo corpo,
dopo la fucilazione,
fu seppellito in una fossa comune,
in qualche posto della Carelia
che nessuno conosce
esattamente.
Ecco il suo testamento,
redatto per tempo
anni prima:
“Vi prego, miei cari,
quando mi seppellirete,
di fare la comunione
in quello stesso giorno,
o se questo proprio
non dovesse essere possibile,
nei giorni immediatamente successivi.
E in genere vi prego
di comunicarvi spesso
dopo la mia morte.
La cosa più importante
che vi chiedo
è di ricordarvi del Signore
e di vivere al suo cospetto.
Con ciò è detto tutto ciò che voglio dirvi,
il resto non sono che dettagli
o cose secondarie,
ma questo non dimenticatelo mai”.

Blog
C’è differenza tra Charlie Kirk e Zohran Mamdani
Data articolo:Fri, 21 Nov 2025 07:57:14 +0000 di Lodovico Festa

Sul blog di Beppe Grillo si scrive:

«Dalle Ande all’Himalaya, una nuova ondata di proteste sta attraversando il pianeta. Senza leader, bandiere, né partiti. È la voce della Generazione Z, i nati tra il 1996 e il 2010, cresciuti dentro Internet e stanchi di governi che non li ascoltano. In Madagascar, in Nepal, in Kenya, in Indonesia, nelle Filippine, in Perù, in Marocco, la rabbia dei giovani ha travolto i palazzi del potere. È un malcontento globale che parte dai telefoni e finisce nelle strade.
Ad ottobre, il presidente del Madagascar Andry Rajoelina è stato costretto a lasciare il potere e il Paese in seguito a un ammutinamento militare, culmine di settimane di manifestazioni guidate da giovani manifestanti che si autodefiniscono “Gen Z Madagascarâ€. Sam Nadel, direttore del Social Change Lab nel Regno Unito, ha spiegato: "Ciò che accomuna queste proteste guidate dai giovani è la consapevolezza condivisa che i sistemi politici tradizionali non siano sensibili alle preoccupazioni d...

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Esteri
La corruzione in Ucraina fa più danni della guerra
Data articolo:Fri, 21 Nov 2025 03:55:00 +0000 di Leone Grotti

Quando Volodymyr Zelensky fece il grande salto da comico a politico, durante la campagna elettorale che l'avrebbe portato alla carica di presidente nel 2019, rimproverò due errori fondamentali all'allora capo dello Stato Petro Poroshenko: la corruzione e il nepotismo. A sei anni dall'elezione, Zelensky è immerso fino al collo negli stessi problemi del suo predecessore e l'ultimo scandalo di corruzione sta scuotendo dalle fondamenta la cerchia ristretta dei suoi fedelissimi, fino a toccare il potente Andriy Yermak.
Il bubbone è scoppiato proprio nel momento peggiore, quello in cui Zelensky deve mostrarsi forte e fronteggiare i tentativi degli Usa di porre fine alla guerra con la Russia a spese di Kiev.
Lo scandalo di corruzione da 100 milioni
Secondo l'indagine dell'agenzia nazionale anticorruzione, che in estate Zelensky ha cercato invano di decapitare, un gruppo di politici e imprenditori vicini al presidente chiedeva tangenti del 10-15% sul valore di tutti i contratti riguardanti a ...

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Ambiente
La Cop30 e l’inutile ossessione dell’Occidente per il clima
Data articolo:Fri, 21 Nov 2025 03:45:00 +0000 di Bjørn Lomborg

Mentre il vertice sul clima Cop30 si avvia alla conclusione a Belém, nel cuore amazzonico del Brasile, gli attivisti se ne vanno dopo due settimane di foto nella foresta pluviale, proteste e discorsi appassionati sulla necessità di tagliare le emissioni. I partecipanti hanno però evitato la realtà più scomoda: le azioni dei paesi occidentali — Italia compresa — hanno un peso sempre minore sul percorso futuro del riscaldamento globale.

Le emissioni prodotte dai paesi ricchi contano sempre meno

Per decenni i governi occidentali, soprattutto in Europa, hanno dato priorità al taglio della Co2 rispetto alla crescita economica, spendendo trilioni di dollari per convincere i consumatori ad adottare l’auto elettrica e accettare energia eolica e solare più costosa e meno affidabile. Tutti questi sforzi, costosissimi, stanno ottenendo risultati minimi.

Il ritmo globale di decarbonizzazione (misurato come emissioni di Co2 per unità di pil) è rimasto praticamente invariato dagli anni Sessanta, senza alcun cambiamento dopo l’Accordo di Parigi del 2015. Le emissioni mondiali sono aumentate e nel 2024 hanno raggiunto un nuovo record storico. Nonostante ciò, gli attivisti climatici chiedono — in modo del tutto irrealistico — che il mondo quadruplichi il suo tasso di decarbonizzazione.

Perché le emissioni continuano a crescere nonostante Unione Europea e Stati Uniti abbiano speso oltre 700 miliardi di dollari nel 2024 in investimenti “verdiâ€, tra pannelli solari, turbine eoliche, batterie, idrogeno, auto elettriche e reti elettriche? Perché le emissioni del mondo ricco contano sempre meno per il clima del XXI secolo.

La neutralità climatica dell’Occidente non salverà il clima

Se l’Occidente ha dominato le emissioni nei secoli passati, la quasi totalità delle emissioni future arriverà da Cina, India, Africa, Brasile, Indonesia e molti altri paesi che stanno uscendo dalla povertà. Uno scenario recente mostra che, con le attuali politiche, solo il 13 per cento delle emissioni di Co2 del resto del secolo proverrà dai paesi ricchi dell’Ocse.

La promessa dell’Occidente di arrivare alla neutralità climatica nel 2050 costerà centinaia di trilioni di dollari e servirà a poco. Molto probabilmente, queste politiche sposteranno soltanto la produzione ad alta intensità energetica nel resto del mondo, con un impatto minimo sulle emissioni complessive — esattamente come abbiamo visto nel caso della produzione di batterie per auto elettriche, trasferita in gran parte nell’economia cinese alimentata a carbone.

Se i paesi ricchi cercano di correggere questo effetto introducendo dazi di frontiera sul carbonio, i costi aumenteranno ulteriormente sia per i paesi ricchi sia per quelli poveri, privando questi ultimi della possibilità di crescere grazie alle esportazioni.

Se assumiamo — con un ottimismo quasi irrealistico — che l’Occidente riesca davvero a eliminare tutte le proprie emissioni entro il 2050 senza ulteriori “fughe di carbonioâ€, la riduzione delle emissioni globali per tutto il secolo sarebbe appena dell’8 per cento. L’effetto sulla temperatura globale sarebbe minuscolo, come mostra il modello climatico dell’ONU: entro il 2050 l’Occidente ridurrebbe l’aumento della temperatura globale di appena 0,02 °C. Persino alla fine del secolo, la riduzione sarebbe inferiore a 0,1 °C.

Cop30, Belem, Brasile, 7 novembre 2025 (Ansa)
Cop30, Belem, Brasile, 7 novembre 2025 (Ansa)

La Cop30 e l’importanza dell’innovazione

Nonostante questa irrilevanza, i vertici sul clima e gli attivisti continuano a concentrarsi ossessivamente su ciò che dovrebbero fare i paesi ricchi. I manifestanti si incollano alle autostrade in Europa e negli Stati Uniti, ignorando quasi del tutto la Cina e completamente l’India, l’Africa e il resto del mondo.

Non c’è da stupirsi: il loro messaggio di sacrificio non farà molta strada in paesi che vogliono disperatamente uno sviluppo basato sull’energia. Le nazioni più povere non guardano all’Occidente desiderando imitare l’enorme debito climatico della Germania, i blackout “verdi†della Spagna o i prezzi record dell’elettricità nel Regno Unito.

Esiste un approccio molto più economico ed efficace: l’innovazione. Nella storia, l’umanità non ha risolto le grandi sfide imponendo rinunce, ma innovando. Quando negli anni Cinquanta Los Angeles era soffocata dallo smog, non abbiamo vietato le auto: abbiamo inventato il catalizzatore che le ha rese più pulite. Quando negli anni Sessanta una parte del mondo rischiava la fame, non abbiamo imposto di mangiare meno: abbiamo creato colture più produttive.

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Le innovazioni che mancano per l’energia verde

Ora servono innovazioni simili per l’energia verde — ma il mondo sta quasi ignorando la ricerca. Nel 1980, dopo gli shock petroliferi, i paesi ricchi investivano più di 8 centesimi ogni 100 dollari di PIL nella ricerca energetica. Con il calo dei prezzi del petrolio, gli investimenti sono scesi. Quando le preoccupazioni climatiche sono aumentate, nella corsa a sovvenzionare solare ed eolico inefficaci abbiamo trascurato l’innovazione. Nel 2023 i paesi ricchi investivano ancora meno di 4 centesimi ogni 100 dollari di PIL. In totale, gli investimenti “ricchi†nella ricerca verde ammontano a soli 27 miliardi di dollari — meno del 2 per cento della spesa verde complessiva.

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L’Occidente dovrebbe portare questa cifra ad almeno 100 miliardi l’anno. Ciò permetterebbe di puntare su tecnologie potenzialmente rivoluzionarie: reattori nucleari di quarta generazione, piccoli e modulari; produzione di idrogeno verde e processi di purificazione dell’acqua; batterie di nuova generazione; petrolio CO2-free ricavato dalle alghe; cattura della CO2; fusione nucleare; biocarburanti di seconda generazione e migliaia di altre possibilità.

Ma i leader mondiali sono fissati con le emissioni

Nessuna di queste tecnologie è oggi efficiente, ma l’innovazione deve solo renderne una — o poche — più conveniente dei combustibili fossili, e il mondo intero adotterà spontaneamente la nuova soluzione. Inoltre, la ricerca costerebbe una frazione minima rispetto alle politiche attuali e agli impegni futuri per lo zero netto: con la R&D verde si può fare molto di più spendendo molto di meno.

Purtroppo, i leader che hanno volato nella foresta pluviale brasiliana per il summit restano fissati con obblighi e sussidi, ignorando la forza della ricerca intelligente. È tempo che l’Occidente riconosca il suo peso ormai limitato e abbandoni le spese inutili per puntare su investimenti tecnologici capaci di produrre risultati reali.

Blog
La morte della morte. Il caso delle gemelle Kessler
Data articolo:Fri, 21 Nov 2025 03:35:00 +0000 di Rodolfo Casadei

Tripudio per la morte. Tripudio per il suicidio di due anziane signore, immerse nella tristezza e nella solitudine. Commemorazioni festose, epicedi assertivi: “Onoreremo la loro memoria approvando una legge….â€.

Un tempo il tripudio era riservato solo alla morte dei tiranni. La morte comune, quella che colpisce i nostri cari oppure gli estranei, generava a seconda della vicinanza o della distanza affettiva tristezza, dolore, talvolta disperazione; oppure pena, rammarico, riguardo. Un suicidio normalmente generava pena. E senso di colpa: si poteva fare qualcosa, lenire tanta solitudine, manifestare quella preferenza, quel guardare e chiamare per nome che tante volte rinnova motivazioni di vita in un depresso. Alla morte di un estraneo era dovuto come minimo ossequio, reverenza: ci si toglieva il cappello dalla testa, si inclinava la testa verso il basso, le mani composte. Nessuna pena per il dittatore, invece, nessuna pietà: la sua morte è vissuta come una liberazione, il suo corpo è esposto alla feroce esaltazione della folla, come nel caso di Mussolini e compagni; la notizia suscita danze e battimani, come quelle degli sciiti iracheni dopo l’impiccagione di Saddam Hussein. Si rinnova nel compiacimento della propria crudeltà «il grande godimento festoso dell’umanità antica», come scrive Nietzsche nella Genealogia della morale.

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Non c’è differenza tra vita e morte

Qual è allora il tiranno, il nemico asfissiante di cui si celebra festosamente la fine nel suicidio delle gemelle Kessler? È la morte stessa. Nei peana al suicidio programmato delle rinomate ballerine tedesche si celebra la morte della morte. Si crede di averla sconfitta perché non si è rimasti lì a subirla, ma la si è presa d’assalto con un atto a cui si dà il nome di autodeterminazione.

La morte sarebbe moralmente sconfitta perché è tolta di mezzo la sua contrapposizione alla vita: le abbiamo messe sullo stesso piano attraverso il concetto di autodeterminazione. Non esiste più differenza assiologica fra la vita e la morte, buona la prima, cattiva la seconda. A determinare la bontà di tutto ciò che è parte della realtà e dell’esperienza che ne facciamo è solo la nostra scelta. Non esiste più nulla che sia intrinsecamente bene o male, niente è bene o male in sé: è la nostra scelta per qualcosa che fa diventare bene quel qualcosa.

Alice ed Helen Kessler con Johnny Dorelli durante una puntata di <“Premiatissimaâ€, il 13 novembre 1986 (foto Ansa)
Alice ed Helen Kessler con Johnny Dorelli durante una puntata di Premiatissima, il 13 novembre 1986 (foto Ansa)

Libero arbitrio

Qui sorge però la grande questione: chi può dirsi certo che la sua scelta equivalga a un’autodeterminazione, e non sia invece una forma sottile o plateale, subdola o aperta di alienazione, di eterodeterminazione, di soggezione a condizionamenti psicologici, sociali, culturali? Da Martin Lutero ai genetisti come Robert Sapolsky e Anthony Cashmore, ai saggisti come Richard Dawkins, passando per i filosofi materialisti (del materialismo storico) come Karl Marx e per gli psicanalisti come Sigmund Freud, ci siamo sentiti ripetere che il libero arbitrio non esiste, che la nostra libera volontà non è libera, ma è condizionata dal nostro patrimonio genetico, dalle nostre condizioni materiali, dalla nostra appartenenza di classe, dalle nostre esperienze infantili; siamo plagiati dalla pubblicità, dal potere, dai santoni, dagli stimoli subliminali, dall’ambiente in cui siamo cresciuti, ecc. ecc.

Nel caso delle gemelle Kessler ci vuole un bel coraggio a dirsi certi che la loro decisione esprime autodeterminazione. Alice ed Ellen non sono mai riuscite a vivere separatamente, e allo stesso modo non sono riuscite a morire separatamente. Hanno amato, fisicamente e spiritualmente, anche altri esseri umani, ma quegli amori si sono tutti alla fine arresi all’ineluttabilità del vincolo che le univa. Non hanno generato qualcosa di duraturo, figli o convivenza con l’amato per il resto della vita. Sono sempre tornate indietro, a quell’unità fra loro iniziata al momento del concepimento, a quella fusione ancora più forte dell’unione fusionale con la madre che modella l’inconscio di ogni essere umano uscito dal ventre materno ed entrato in questo mondo. Le gemelle Kessler dovrebbero essere l’emblema di un’impossibilità di autodeterminazione, altro che le eroine del libero arbitrio.

San Francesco e Buzzati

In realtà non si esce dall’idiozia di pensare che sottomettiamo la morte se la facciamo diventare un bene sullo stesso piano della vita attraverso la nostra decisione, se non accettandola come un bene in sé, indipendente dalla nostra decisione. Ma per arrivare a questo bisogna recuperare il tradizionale atteggiamento dell’attenderla anziché dell’afferrarla, come esortano a fare eutanasisti e fautori del suicidio eutanasico.

Tanto per cominciare la morte è necessaria, non è una semplice possibilità che rendiamo atto con la nostra scelta. Possiamo decidere di staccare un frutto dall’albero o di lasciarcelo, e se ce lo lasciamo lui non verrà a cercarci. Ma la morte no, anche se non la affrettiamo con nostri atti lei si presenterà ugualmente. Necessariamente. Tutte le cose necessarie recano un messaggio di senso circa la realtà dell’essere, una rivelazione, e questo vale massimamente per la morte. È per questo che san Francesco scrive «Laudato si’ mi’ signore per sora nostra morte corporale», e che il laico Dino Buzzati la definisce “dono degli dèiâ€.

La “mia†morte

La morte strappa il velo e rivela il mistero dell’esistenza. Restituisce la creatura al Creatore. Consentirà, alla fine dei tempi, a coloro che non sono morti nei peccati mortali di fare la stessa esperienza di Cristo: la resurrezione della carne. I medievali scrivevano sui marmi delle tombe la frase “Mors ianua vitae†(“La morte porta della vitaâ€, a Forlì la stessa scritta è incisa all’ingresso della tomba di Aurelio Saffi, triumviro della Repubblica romana e massone). E lo stesso Francesco d’Assisi l’avrebbe pronunziata in punto di morte, secondo quel che si legge nella Vita Seconda di Tommaso da Celano, nelle Fonti Francescane.

Della fascinazione di Buzzati per la morte come suprema realizzazione dell’attesa del vivente si ricorda soprattutto il finale del Deserto dei tartari, quando il tenente Drogo nel momento del trapasso «benché nessuno lo veda, sorride». Ma è ancora più denso il messaggio di “Duilio Ronconi possidenteâ€, uno dei racconti del libro postumo Il reggimento parte all’alba. Qui un malato incurabile viene portato ogni giorno sulla terrazza della sua casa di campagna quando il sole sta per tramontare. Una sera vede formarsi e mettersi in movimento sotto il prato un’enorme gobba, incredibile prodigio. «L’uomo fu tentato di chiamare, se non altro per far parte ad altri del miracolo. Ma si trattenne, preferiva assaporare da solo l’inaudita vista. (…) erano le ultime luci di quel giorno privilegiato. Il vecchio capì benissimo che si trattava dell’annuncio fatale, messo in atto esclusivamente per lui. Doveva partire, forse la sera stessa. Tuttavia si sentì pervaso da una felicità quale nella lunga vita non aveva mai provato».

Stupidi eutanasisti, che credete di appropriarvi della morte afferrandola per il collo! La morte è “la mia†morte, la morte diventa mio possesso, la morte è riconoscimento e affermazione della mia unicità, la morte è la parola che il Mistero riserva a me solo e che io solo posso comprendere del dialogo con Lui, solo se la ricevo nell’attesa.

@RodolfoCasadei

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Se non la pensi come Zan, Bonelli e Fratoianni, la pensi giusta
Data articolo:Fri, 21 Nov 2025 03:15:00 +0000 di Emanuele Boffi

Spero che il Nobel per la pace assegnato a María Corina Machado accenda una luce sulla condizione dei venezuelani che vivono da anni sotto la dittatura di Hugo Chávez e Nicolás Maduro. E segnalo che, proprio in questo periodo, è stata approvata la canonizzazione dei primi due santi venezuelani, José Gregorio Hernández e madre Carmen Rendiles Martínez.Bruno Salvetti email
È il nostro stesso sentimento, caro Bruno. Assieme all’indignazione per le parole dei leader di Avs, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che hanno criticato l’assegnazione del Nobel alla Machado come frutto di «una scelta che risponde più all’egemonia politica che la destra conservatrice e i suoi adepti nel mondo stanno cercando di rendere predominante». Parole vergognose che confermano la regola numero 1: se non la pensi come Bonelli&Fratoianni, la pensi giusta.
***
Plaudo all’iniziativa parlamentare del centrodestra che ha esteso il divieto di affrontare tematiche sessuali anche alle scuole medie, dopo averlo pre...

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A Torino il maestro è Sinner, al cinema è Favino. Il tennis fra passione e disillusione
Data articolo:Fri, 21 Nov 2025 03:00:00 +0000 di Simone Fortunato

Il testo che segue è tratto dalla puntata settimanale di “Cinema Fortunatoâ€, la newsletter di recensioni cinematografiche riservata agli abbonati di Tempi. Abbonati per riceverla ogni giovedì.
Legenda: â˜…★★★ pazzesco | â˜…★★ ci sta | â˜…★ â€™nzomma | â˜… imbarazzante
Il maestro ★★★
Di Andrea Di StefanoDove vederlo: al cinema
Altra prova notevole di Andrea Di Stefano, dopo il bel L’ultima notte di Amore. Stavolta il regista porta sullo schermo la parabola di un maestro di tennis interpretato da Pierfrancesco Favino, figura carismatica che naviga tra ambizioni sportive e disillusioni esistenziali. Il film, a tratti un po’ ingessato, esplora il mondo del tennis professionistico attraverso lo sguardo di chi ne conosce i meccanismi ma resta ai margini del successo, dedicandosi alla formazione di giovani talenti con un misto di passione residua e rassegnazione. Di Stefano gioca bene le sue carte sull’ambientazione vintage e sulle caratterizzazioni, sia di ...

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Fermare l’ubriacatura da potere di certi magistrati
Data articolo:Thu, 20 Nov 2025 07:54:40 +0000 di Lodovico Festa

Su Open Ugo Milano scrive:

Il procuratore di Napoli Nicola Gratteri ha tirato in ballo ancora una volta Giovanni Falcone per dimostrare la presunta contrarietà del magistrato ucciso da Cosa Nostra alla separazione delle carriere tra pm e giudici. Secondo il quotidiano Il Dubbio, però, Gratteri ha travisato ancora una volta il pensiero del giudice. Un’altra gaffe, insomma, dopo quella già incassata durante DiMartedì su La7, dove aveva citato una presunta frase di Falcone in realtà mai pronunciata. Gratteri nell’ultima citazione di Giovanni Falcone fa riferimento all’intervento del magistrato all’Istituto Gonzaga dei gesuiti di Palermo. Era l’8 maggio 1992, due settimane dopo Falcone sarebbe stato ucciso con sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta nella strage di Capaci. I giornalisti del Dubbio Davide Vari e Damiano Aliprandi rimproverano a Gratteri di aver estrapolato solo poche frasi di quell’intervento, decontestualizzandolo del tutto «per dimostrare l’indimostrabil...

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Esteri
Se Gaza è un rebus, la Cisgiordania è una polveriera
Data articolo:Thu, 20 Nov 2025 03:55:00 +0000 di Leone Grotti

Un israeliano è stato ucciso martedì e altri tre sono rimasti feriti in un attentato in Cisgiordania presso il Gush Etzion Junction, a sud di Gerusalemme. Due appartenenti alla Jihad islamica, che ha incitato tutti i palestinesi a rivoltarsi contro Israele, hanno prima accelerato a bordo di un veicolo contro i pedoni e poi sono scesi per accoltellare gli altri civili presenti. Entrambi sono stati poi uccisi dalle forze di sicurezza, che nello scontro a fuoco hanno colpito una civile israeliana, ora in gravi condizioni.
Commentando l'attentato Hamas ha dichiarato: «È la risposta naturale ai tentativi di Israele di eliminare la causa palestinese e alla furia dell'occupazione e dei coloni in Cisgiordania».
La forze di sicurezza israeliane hanno chiuso l'area attorno al Gush Etzion Junction, a sud di Gerusalemme, dopo l'attentato del 18 novembre da parte della Jihad islamica (foto Ansa)
Coloni estremisti attaccano i palestinesi
Il riferimento è agli attentati di domenica, quando un gruppo ...

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