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Alleanza tra Lombardia e Catalogna sul tema strategico dell’industria chimica. Oggi a Barcellona l’assessore di Regione Lombardia allo Sviluppo economico, Guido Gudesi, e il ministro della Generalitat de Catalunya alle Imprese e al Lavoro, Miquel Sà mper, hanno concordato di collaborare per intensificare le relazioni tra i due “ecosistemi”, attivare progetti condivisi e unire le forze rispetto ai rapporti con l’Unione Europea.
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Lombardia e Catalogna, motori economici del Continente, fanno parte dell’European Chemical Regions Network (ECRN), la rete europea delle Regioni leader nell’industria chimica  e ufficialmente riconosciuta come interlocutore da Bruxelles.
Allo stesso modo le Regioni sono protagoniste dell’ESRA (European Semiconductor Regions Alliance), la rete delle Regioni europee leader nell’ambito dei semiconduttori, di cui la Catalogna assumerà la presidenza dal 1* gennaio 2026 e dei “Quattro Motori d’Europa”, a testimonianza della forza economia di Lombardia e Catalogna.
L’obiettivo dell’accordo avvenuto nella capitale catalana consiste nel rafforzare questa cooperazione, prevedendo gruppi di lavoro che coinvolgano le strutture tecniche dei rispettivi governi regionali, le associazioni di categoria, il mondo dell’innovazione delle due Regioni, oltre a due incontri bilaterali annui a Milano e Barcellona. In quest’ottica, la missione lombarda in Catalogna ha visto la partecipazione anche di Acció con una propria delegazione, di Federchimica con il vice presidente Aram Manoukian, del Professore del Politecnico di Milano Pierangelo Metrangolo e del Direttore della rete ECRN Folco Ciulli. Saranno sviluppate ogni anno almeno due priorità comuni che riguardano aspetti come la formazione, la ricerca, la sostenibilità ambientale, l’impegno congiunto a livello comunitario e incontri tra le imprese catalane e lombarde per creare sinergie collaborazioni e opportunità di business.
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«Lombardia e Catalogna – ha detto Guidesi – sono due Regioni affini dal punto di vista economico e sociale e contribuiscono in maniera determinante al Pil europeo. Collaborare in modo strutturale significa potenziare il sostegno ai rispettivi comparti della chimica, settore vitale per la manifattura e in generale per la competitività internazionale dei nostri territori. Implementiamo il lavoro già in atto con la rete ECRN a tutela di imprese, occupazione e know-how».
«Il settore chimico in Catalogna è un settore di grande rilevanza per la nostra economia industriale. Questo ci unisce alla Lombardia, che, come noi, vanta un intero ecosistema chimico frutto della migliore collaborazione pubblico-privato. Ora più che mai, possiamo certamente unirci in un’Alleanza che ci consente di moltiplicare le sinergie nel contesto europeo», lo dichiara il ministro della Generalitat de Catalunya alle Imprese e al Lavoro, Miquel Sà mper.
ECRN sta assumendo sempre più importanza in Europa come “voce dei territori ad elevata impronta chimica”: le posizioni dell’alleanza delle regioni sono state infatti inserite dalla Commissione Europea all’interno del “terms of reference” della Critical Chemical Alliance, il documento che descrive gli obiettivi da raggiungere in un determinato settore, citando la stessa associazione come esempio virtuoso di rete territoriale.Â
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Nel settore la Lombardia è tra le prime cinque regioni europee per numero di addetti (45.000) e la terza per la chimica fine e specialistica a uso industriale. Regione, in particolare, mette a disposizione strumenti di sostegno e lavora per agevolare le connessioni tra imprese, università e aziende di impiantistica e servizi avanzati. A questo si aggiunge il lavoro politico-istituzionale promosso dall’assessore Guidesi, a livello europeo, per consolidare il ruolo della Lombardia come attore politico ed economico in grado di incidere sui tavoli di Bruxelles e di cogliere nuove opportunità attraverso l’interazione con altre regioni d’Europa. Anche per la Catalogna il settore chimico è strategico e prioritario e questo lo si evince dell’elevata densità di imprese del settore presente sul territorio.
Nell’ambito della missione a Barcellona, Guidesi ha partecipato anche all’assemblea dell’ESRA (European Semiconductor Regions Alliance), la rete delle Regioni europee leader nell’ambito dei semiconduttori, ci cui la Lombardia fa parte. Un’occasione per ribadire il ruolo lombardo nel settore della microelettronica, con Regione che sta lavorando per valorizzare i distretti territoriali: un esempio da questo punto di vista è il distretto della microelettronica di Pavia, individuato come primo caso di studio per la sperimentazione delle ZIS (Zone di Innovazione e Sviluppo), il nuovo strumento di Regione pensato per sostenere le aggregazioni spontanee di soggetti pubblici e privati che condividono una vocazione produttiva-economica ben definita in un determinato territorio.
Gioia e dolore hanno il confine incerto, cantava Fabrizio De Andrè nella sua Ave Maria. È il sapore che lascia il comunicato del 4 novembre della diocesi cattolica di Auchi, nella Nigeria meridionale, informando che due dei tre seminaristi rapiti a luglio sono ormai liberi, mentre il terzo è stato assassinato.
I tre giovani erano stati rapiti dal seminario minore dell’Immacolata concezione di Ivianokpodi il 10 luglio ed erano poco più che ragazzi, tra i 15 e i 16 anni. Uno di loro, Japhet Jesse, era riuscito a sfuggire ai rapitori già il 18 luglio. Un altro, Joshua Aleobua, è stato liberato ma il terzo, Emmanuel Alabi, è rimasto ucciso.

Il rapimento e l’uccisione di sacerdoti e seminaristi in Nigeria ormai non fa più notizia. Non esiste nessun altro posto al mondo, infatti, dove negli ultimi dieci anni siano stati rapiti o uccisi 250 sacerdoti e 350 pastori protestanti. Una media di 60 all’anno, più di uno a settimana.
È difficile anche trovare un altro paese al mondo dove, dal 2009, siano state distrutte 19.100 chiese, cioè 1.200 all’anno in media, 100 al mese, tre al giorno. Dal 2009, cioè da quando è iniziato l’offensiva di Boko Haram in Nigeria, circa 50 mila cristiani sono stati uccisi. Trentamila solo negli ultimi dieci anni. E 15 milioni di fedeli hanno dovuto abbandonare le proprie case per sfuggire ai terroristi.
Se fino a qualche anno fa la situazione era gravissima nel nord del paese e allarmante nel centro-nord, il sud della Nigeria rimaneva relativamente tranquillo per l’assenza dei grandi gruppi terroristici come Boko Haram o Iswap. Ma da anni non è più così.
L’ultimo spettacolare attentato in una chiesa cattolica in Nigeria, il massacro durante la Messa di Pentecoste nella chiesa di St Francis di Owo, nella diocesi di Ondo, è avvenuto nel sud-ovest del paese il 5 giugno 2022 e ha causato la morte di oltre 50 cattolici.
Allora il vescovo di Ondo, monsignor Jude Arougundade, disse: «Questa è follia. Non esiste un solo altro luogo al mondo dove si pianifica di uccidere bambini, neonati, mariti e mogli mentre pregano Dio nel giorno della Pentecoste. Chi cercava di scappare veniva ucciso alle spalle. Quello che la gente di tutto il mondo deve sapere è che la Nigeria è in guerra e questo tipo di guerra è diretta ai civili e non so quale scopo possa avere».

Gli amanti dei distinguo, come Giulio Albanese su Avvenire, fanno a gara a ricordare che negli attentati dei jihadisti muoiono sia cristiani che musulmani (ovviamente). Altri notano che in assoluto sono morti più musulmani che cristiani, anche se quando vengono fatti questi calcoli – che restano dubbi – quasi nessuno ricorda che nel nord del paese i musulmani sono come minimo il 30 per cento in più dei cristiani.
Soprattutto, però, i media insistono a parlare di Boko Haram e Iswap ignorando che da almeno sei anni esiste un gruppo che causa cinque volte più vittime con i suoi attacchi delle due famose organizzazioni jihadiste: le bande armate di Fulani, etnia prevalentemente musulmana.
Secondo i dati dell’Osservatorio per la libertà religiosa in Africa, dal 2019 al 2024 i Fulani sono responsabili dell’uccisione di 36.056 civili su 66.656, cioè il 47%. Boko Haram e Iswap, invece, hanno causato “appena” l’11% delle vittime. E il rapporto tra i cristiani e i musulmani uccisi non è nemmeno lontanamente paragonabile: «I dati rivelano che per ogni musulmano vengono uccisi 2,4 cristiani [tra il 2019 e il 2024]». Ma se invece che fare calcoli in termini assoluti si parametrano le vittime in proporzione alla dimensione delle comunità , si scopre che «i cristiani vengono uccisi a un tasso superiore di 5,2 volte ai musulmani».
Come documentato da Tempi in un reportage, soprattutto nella Middle Belt le stragi sono impressionanti per efferatezza. Molti cercano di ridurre gli eccidi a scontri tra comunità : pastori nomadi da una parte, agricoltori stanziali dall’altra. Ma non è così, come testimoniato a Tempi da uno dei tanti capi tribù cristiani che abitano negli Stati di Plateau e Kaduna, Prince Robert Ashi Dodo, leader degli Irigwe:
«Negli ultimi anni abbiamo subìto centinaia di attacchi premeditati e ben orchestrati. Non c’è alcun problema di terre contese tra noi e i Fulani: loro vogliono soggiogarci e sopprimerci. Arrivano di notte parlando in fulfulde, il loro dialetto, con armi sofisticate, e ci braccano casa per casa, stanza per stanza. Fanno a pezzi la nostra gente con i machete come se fossimo animali. Cospargono di benzina le persone e poi appiccano il fuoco. Con le loro mandrie distruggono i nostri raccolti. Questi non sono “scontriâ€, questa è pulizia etnica».

La strage di cristiani e l’epidemia di rapimenti non è motivata solo dall’odio religioso, ma da un insieme di ragioni tutte intrecciate tra loro. La povertà che attanaglia il paese spinge centinaia di giovani a entrare a far parte di bande armate bene inserite nel lucroso racket dei rapimenti.
La corruzione diffusa nel paese fa sì poi che i militari non fermino gli attentati, voltandosi dall’altra parte, che la polizia non indaghi i crimini e che la giustizia non persegua i criminali, soprattutto quando appartengono alla propria etnia. La politica, poi, dominata nelle sue figure apicali dai musulmani per ragioni storiche, garantisce sicurezza solo nelle località che assicurano voti.
Il fatto che esistano molte ragioni, oltre all’odio religioso, per cui i cristiani vengono presi di mira in Nigeria non è una buona ragione per negare una realtà che è sotto gli occhi di tutti: pur rappresentando il 50% della popolazione e pur avendo vissuto per secoli in armonia con i musulmani, oggi i cristiani sono perseguitati in Nigeria, specialmente al nord.
Come dichiarato a Tempi dal reverendo Steven Dangana, presidente nello stato di Plateau della Confraternita pentecostale, «il paese è ormai costellato di fosse comuni: i cristiani stanno diventando una specie in via d’estinzione in Nigeria».
Da decenni l’Occidente considera la libertà religiosa un diritto umano di serie B. Non ritenendo la religione un fattore importante per l’uomo, ignorano le realtà in cui la fede viene repressa. Gli stati europei, e non solo, provano vergogna della propria identità , desiderano staccarsi dal proprio passato e così non amano parlare di cristianesimo, ancora meno riconoscere che nel mondo ci sono ancora persone che vengono uccise solo perché abbracciano la fede cristiana.
Ecco perché quando Donald Trump ha dichiarato che interverrà in Nigeria «se il paese continuerà a permettere che vengano uccisi i cristiani» c’è stata una sollevazione generale. I media in tutto l’Occidente si sono affrettati a dimostrare che non è così e che in fondo va tutto bene.
Ma non va tutto bene in Nigeria. E per capire che gli omicidi e le stragi non sono normali atti criminali, basta guardare il video diffuso dai rapitori dei giovani seminaristi di Ivianokpodi.
I ragazzi sono stati costretti a implorare di essere liberati tenendo in mano teschi umani, mentre gli uomini armati passeggiavano compiaciuti alle loro spalle puntando loro i kalashnikov alla testa.
Un episodio simile di sadica violenza è avvenuto anche durante la prigionia di Michael Nnadi, seminarista di Kaduna costretto a ballare e a muggire come una mucca. È stato ucciso con un colpo di fucile alla testa nel 2020 perché, come dichiarato da uno dei rapitori arrestati, li invitava a convertirsi e «continuava a parlarci di Dio». Come dichiarato a Tempi da Samuel Kanta Sakaba, vicerettore del seminario del Buon Pastore a Kaduna, «Michael è un martire, come santo Stefano, ha dato la vita per portare il messaggio di Cristo ai terroristi».
Come si fa a capire che si stava meglio quando si stava peggio? Come si fa a capire che al peggio non c’è mai fine? Per rispondere alla domanda basta tornare indietro con la memoria, e paragonare quello che si viveva e si sentiva allora con il presente. È quello che mi è capitato la scorsa settimana, vedendo quasi per caso un dibattito a tre a Timeline, uno degli appuntamenti pomeridiani di Sky. In studio una conduttrice di cui non ricordo il nome; una prima ospite, un’esperta di cui ancora non ricordo il nome, ma certamente una campionessa e paladina dei diritti; e la Luciana Castellina, di cui ricordo il nome perché, al solo sentirlo, mi si sono drizzate le orecchie.
La Luciana Castellina, oggi ultra novantenne, era l’anima nobile della sinistra nobile degli anni Settanta. Il volto presentabile e dignitoso del pensiero cattivo. Più a sinistra del Partito comunista e meno a sinistra delle Brigate rosse. Una di quelle “né con le Br né con lo Statoâ€, per intenderci. E che, se pur allora non saliva sulle barricate, di certo stava lì nelle retrovie pronta a rifornirle di argomenti e munizioni dialettiche. Combattiva, schiena dritta, più volte in carcere per aver partecipato a scioperi e manifestazioni popolari (altro che Salvini), radiata dal Pci per il suo sostegno alla Primavera di Praga e la sua condanna della politica imperialista dell’Unione Sovietica, pluriparlamentare, aveva fondato con altri fuoriusciti dal Pci un giornale, il Manifesto, diventandone l’anima.
Ora, questo volto nobile della sinistra nobile, per l’autorevolezza del nome e l’eco che ancor oggi suscita, non solo a sinistra, è stata chiamata da Sky a dire la sua «sul colpo inferto dal ministro Valditara alla libertà di educazione sessuale nelle scuole». Dal tono di voce e dal modo con cui eran poste le domande si capiva che da lei ci si attendeva che desse man forte, sostenendo la tesi. E la Luciana Castellina: «Ma che cos’è tutto questo parlare di sesso? Quando andavo io alle elementari non se ne parlava assolutamente. Invece adesso se ne parla in modo quasi ossessivo. Adesso c’è questa cosa morbosa. Vedo che tutti e dappertutto sono ossessionati da questo problema». E ancora: «Il rapporto sessuale: Dio mio, cosa sarà mai?».
Per incominciare, ben detto vecchia (non si offenda) volpe. Cos’è questa ossessione del sesso quasi che the sex incominci dalla punta dei capelli per arrivare alla pianta dei piedi senza lasciare fuori neanche un pelo della nostra povera carcassa? Io penso uguaglio. Tra l’altro, se il sesso fosse stata quella gran cosa per cui vale la pena riempire tutte le nostre giornate e ogni nostro pensiero e aspettativa, il buon Satana, mi dico io, l’avrebbe piazzato in testa fra le tentazioni degne di Gesù. Ma essendo che il signor Satana la sa lunga come il diavolo, al buon Gesù ha apparecchiato portate degne di lui, pane, gloria, potere. E ha riservato la tentazione del sesso ai quaquaraquà . Cioè a noi.
Insomma, ascoltandola, io che a suo tempo l’avrei quasi sprofondata nella polvere, mi son trovato, quasi, a innalzarla sugli altari. La Luciana Castellina poi, forse per la semplicità che si sedimenta con l’età , ha osato quasi l’inosabile. Sentite: «Se anche solo spiegassero che il rapporto sessuale è la condizione naturale per la riproduzione si potrebbe raccontare di più di come sia una cosa buona e positiva e bella. Tanto che quando nasce un bambino in una famiglia tutti fanno una festa. Poi certo, bisogna dire che occorre fare attenzione, spiegando che è un atto d’amore, un atto che ha incidenza sulla vita futura e che quindi così deve essere visto e considerato».
Il rapporto sessuale come «condizione naturale per la riproduzione»? Quando nasce un bambino in una famiglia «tutti fanno festa»? Ma signora Luciana, lei forse non ha presente che, solo qualche anno fa, il patron della Barilla ha dovuto scusarsi per aver osato dire che nelle sue pubblicità avrebbe dato spazio alle famiglie tradizionali, quelle in cui lui credeva, quelle in cui, come lei spiega, «il rapporto sessuale è la condizione naturale per la riproduzione». Quelle in cui, ancora secondo lei, signora Castellina, quando nasce un bambino «tutti fanno festa». E ha dovuto scusarsi perché la sinistra, da sempre a difesa dei lavoratori, aveva minacciato di boicottare i prodotti della Barilla mettendo a repentaglio centinaia di posti di lavoro.
Ma forse la senatrice e signora Castellina (detto senza ironia, ché il titolo di signora se lo merita) non aveva in mente (o magari, semplicemente, non ha mai guardato le pubblicità ) che solo un paio di anni fa è nata una ulteriore polemica grossa come una casa perché Esselunga ha osato far vedere una bambina con i genitori separati. La quale, senza dire nulla alla mamma, aggiunge una pesca alla spesa per regalarla poi al papà . Perché li vuol vedere insieme: «Questa te la manda la mamma». E il papà , che tutto ha compreso dell’offerta e di quel volto triste: «Me la manda la mamma? Allora adesso chiamo la mamma e la ringrazio».
E sapete qual fu il bersaglio principale – leggere Il Fatto quotidiano per capire – contro cui si scagliarono tutti? La tristezza che attraversava il volto della bambina. La sua colpa era di essere triste perché le mancava la «coppia eterosessuale unita». Potevano dire più semplicemente “papà e mamma insieme†e sarebbe stato più efficace. Ma si sa che anche il linguaggio del potere ha le sue regole e i suoi dogmi lessicali.
«Coppia eterosessuale unita», come scrisse dunque, allora, Il Fatto quotidiano. E la tristezza sul volto di quella bambina era da condannare perché, se la «coppia eterosessuale unita» le mancava, così pensavano i campioni dell’amore fior da fiore, significava che per lei era un valore. E di conseguenza la “coppia bitriquatersexual disunita†era un disvalore. Insomma il volto di quella bambina bestemmiava. Così adesso, prendete nota, tutto è compiuto. Al comandamento “Non separi l’uomo quello che Dio ha unito†subentra il definitivo imperativo laico “nessuno si azzardi, men che meno i bambini, a riunire quello che il radioso regno dei diritti e delle libertà ha divisoâ€.
* * *
Ps 1. Intervistatrice: «Signora Castellina, lei ha detto che preferisce parlare di responsabilità piuttosto che di diritti. Mi spiega perché?». Castellina: «Responsabilità nel senso che effettivamente un atto sessuale senza amore può dare luogo a un imbroglio. Le donne rimangono incinte, gli uomini no e se ne possono fregare. Penso che bisognerebbe sottolineare l’aspetto positivo dell’atto sessuale. Le donne sono quelle che hanno la posizione più chiara, sono quelle che capiscono di più il rapporto fra sessualità e riproduzione e già questa è una cosa importante. Quello che non capisco è perché lo Stato si deve impicciare di cose che dovrebbero risolversi attraverso la normale discrezione della vita. Non capisco questo Stato che deve decidere tutto: se devo divorziare, se non devo divorziare; se devo avere i bambini, se non li devo avere; se devo avere rapporti sessuali o no…».
Ps 2. Devo dire per onestà che, anche ai nostri tempi, la personalità di Luciana Castellina non risultava priva di fascino. Dalle pagine del Manifesto quella sua rigida disciplina comunista misteriosamente sposata a uno sfrenato, anarchico, amore per la libertà , faceva presa anche su molti di noi. Ricordo la prima metà degli anni Settanta, quando don Luigi Giussani incocciò me e il mio amico Salvatore, vent’anni, ciellini imberbi, fuori da un’aula dell’Università Cattolica di Milano, con una copia de Il Manifesto che, bene in vista, spuntava dalla tasca dell’eskimo. Avvicinatosi sorridente, il Gius fece il gesto scherzoso di sputare per terra. Ci segnalava il suo disaccordo. Questo dice del suo amore per la libertà (mai ci avrebbe anche solo suggerito di non comprare Il Manifesto) e dice anche quanto eravamo fessi noi, io e il mio amico Salvatore.
parrocchia parròcchia s. f. [dal lat. tardo, eccles., parochia, forma laterale di paroecia, che è dal gr. παÏοικία, propr. «vicinato», der. di παÏοικÎω «abitare accanto», raccostato per il sign. a πάÏοχος […]Â
TRECCANI vocabolario online
Eppure, me lo avevano assicurato.
Mi avevano detto che li avrei trovati,
li avrei incontrati per strada,
on the road,
come usava dire una volta
in certi ambienti,
lungo la via.
Eeeh!
Niente da fare: non se ne vede in giro mezzo,
neanche a cercarlo con la nota lanterna.
Come dire, per esempio:
un uomo scendeva da Brivio a Monticello Brianza,
e fu assalito dai briganti,
che lo percossero, lo spogliarono
e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto
proprio in mezzo alla strada,
esattamente dove dovevano essere, loro.
Invece, passò prima un tizio indefinito
e poi un altro, indefinito anche lui,
naturalmente;
né l’uno né l’altro ebbero cura di fermarsi;
ne ebbe compassione invece
un algerino irregolare,
sempre per dire,
che, dopo averlo assistito,
lo caricò sul suo monopattino
e lo portò in una locanda,
un bed and breakfast, mi pare,
dove si prese cura di lui.
Il giorno dopo, raccomandò al proprietario
eccetera eccetera,
lasciando naturalmente un anticipo per le spese.
Perché nessun eccellente personaggio trascorse di lì,
nessun eminente cittadino?
E dire che la storia racconta
di un levita e di un sacerdote.
Non dovevano essere in giro?
Non si erano impegnati a farlo?
Non avevano rinunciato all’acqua di colonia
per indossare l’odore delle pecore,
secondo il principio in voga?
Dove si sono cacciati?
Dove sono andati a costruire ponti?
In quale cantiere sono impegnati ad abbattere muri?
Mi sono recato dal vicinato,
ho chiesto a quelli che abitano accanto,
il prossimo, ricordi?
– Chi ti sembra sia stato il prossimo
di colui che è incappato nei briganti? –
Niente. Nessuno li ha visti.
In nessuno degli ambienti
in cui gli altri vivono la vita.
Gli altri, appunto; non loro.
Viene alla fine uno che li conosce,
studia il loro comportamento,
osserva le loro abitudini
e mi indica una vecchia edicola:
cercali lì, sui giornali voglio dire,
li troverai che rispondono,
eccome se rispondono;
ma rispondono a chi?
alle domande dei giornalisti,
naturalmente.
Spiegano
i pensieri che hanno avuto,
rassicurano la pubblica opinione,
dichiarano di essere anch’essi tra gli amici,
perfettamente in linea
con la volontà generale
nella sua componente più progredita,
più illuminata.
Ci abbiamo messo un po’ di tempo,
ammettono, ma ce l’abbiamo fatta,
vi abbiamo raggiunto; anche se,
a dirla tutta, gli altri, nel frattempo,
si sono portati più in là ,
in territori più insidiosi, benché prevedibili.
E allora ci sarà bisogno di un altro sforzo,
un ulteriore impegno, in questo faticoso
inseguimento.
Ma ne vale la pena.
Altroché se ne vale la pena!
Ecco perché scrivono altri articoli,
libri addirittura;
e rispondono ad altre domande,
su tutte le tribune disponibili,
come ormai fanno da un pezzo.
Gente responsabile.
Gente che risponde.
Gente disponibile.
Si radunano perfino tra di loro,
e sono tanti,
togati e non togati,
ci sono tutti o quasi tutti,
in interminabili assemblee,
per rispondere meglio,
per quello che è possibile,
naturalmente,
quello che si può,
quel tanto che si può,
allo Spirito del Tempo,
Zeitgeist in tedesco,
spirito in verità piuttosto malridotto,
spirito minuscolo,
spiritino, verrebbe da dire;
uno smorto fantasmino,
neppure lontanamente paragonabile
allo spettro che s’aggirava decenni fa
e che se n’è andato pure lui;
morto a dispetto del suo essere spettro.
Nel tempo della grande confusione ariana,
un eminente uomo eccellente scendeva,
diciamo, da Roma a Frascati;
non incappò nei briganti,
ma cadde lo stesso,
inciampando nel proprio splendido mantello,
e rimase a terra tramortito.
Per caso, un sacerdote percorreva la medesima strada
e, quando lo vide, passò dall’altra parte.
A occhio e croce, non era della stessa parrocchia.
Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide,
ma passò oltre. Non c’era pubblico
in quel punto deserto.
Toccò ad un gruppo di persone,
gente di poco conto,
gente semplice, umile, Â Â
piuttosto rozza anche,
a guardarla bene,
e nemmeno troppo pulita;
gente del popolo insomma,
per niente alla moda,
desueta,
ecco esattamente così,
desueta,
fermarsi e prestargli soccorso.
Gli fasciarono il capo ferito,
gli diedero da bere,
acqua del pozzo di Sicar,
e lo accolsero nella loro tenda.
Fecero a lui secondo
quello che avevano
sentito dire dal Maestro
e da tanti altri dopo di Lui,
ma sarebbe da dire insieme a Lui,
Va e anche tu fa lo stesso;
nel tempo e nel luogo
in cui ci si rallegra
perché i nostri nomi
stanno scritti in cielo,
e qualche volta pure sui giornali,
ma, generalmente,
per non dirne
niente di buono.
Euforie improvvise e scroscianti come piogge tropicali. Abitualmente cupio dissolvi. Poi di nuovo risate di gioia e così via: non è certo facile ricavare dai media, escludendo la routine di quelli specializzati, considerazioni equilibrate sullo stato di salute del nostro cinema. Purtroppo i dati già da molti anni rischiano di stroncare qualsiasi riflessione, entusiastica o depressiva che sia: una ricerca appena antecedente alla pandemia scatenata dal Covid-19, per esempio, certificava che sui 91 milioni circa di biglietti staccati in Italia, la quota di mercato appannaggio del nostro cinema era scesa dalla media del 35,6 al 25,2 per cento. Ciò nonostante da Cinecittà e dintorni erano stati sfornati ben 166 titoli, non di rado, per evidenti ragioni di cervellotica inconsistenza o palese dilettantismo, destinati a non incassare nulla o addirittura a non vedere la luce del circuito: una cifra evidentemente irragionevole e/o controproducente. È logico che l’intera gamma delle criticità abbia finito con l’azzerare, una volta superato l’epocale collasso di cui sopra, il discorso sulle dinamiche produttive, le attitudini di sceneggiatori e registi e le misure messe in atto dalle istituzioni private o statali per migliorare la nostra competitività in campo internazionale.
Per continuare a leggere prosegui qui o iscriviti a Lisander, il substack di Tempi e dell’istituto Bruno Leoni.Â
«They not like us, loro non sono come noi: è la canzone che suona quando viene annunciata la vittoria di Zohran Mamdani al Paramount Theater di Brooklyn. Loro e noi – la comunità di cui si sente di far parte il pubblico presente a quello che per una notte è il quartier generale di Zohran Mamdani. Del nuovo sindaco di New York».
(Giovanna Branca, Marina Catucci, il manifesto)
È stato commovente ieri per quel distruttore di civiltà del Correttore di bozze apprendere come tante democratiche preoccupazioni dinanzi a Donald Trump che “divide l’America†siano improvvisamente sparite dopo l’elezione di Mamdani a primo cittadino di New York. È bastata la vittoria di un’icona progressista nella capitale delle icone progressiste perché i democratici edificatori di civiltà ricominciassero a dividere spensieratamente il paese in due: «loro e noi». I vecchi bianchi ricchi fascisti zozzoni da una parte, noi dall’altra. Cara superiorità antropologica, quanto ci sei mancata.
«Mamdani, nato in Uganda e musulmano, si definisce un “socialista democraticoâ€. Ha fatto promesse considerate populiste, folli e irrealistiche – dai generi alimentari gratuiti ai trasporti pubblici gratuiti, fino a nuove imposte patrimoniali – ed è ferocemente anti-Israele, che accusa di genocidio, in una città con una vasta comunità ebraica. Ma Mamdani ha avuto un’ascesa meteoritica come anti-Trump. Anche tra molti elettori ebrei. Ed è una delle voci più articolate della sinistra radicale americana dai tempi in cui Alexandria Ocasio-Cortez esplose sulla scena nazionale».
(Alan Friedman, La Stampa)
Magari sembrerà un po’ menagramo Alan Friedman quando accosta Zohran Mamdani proprio ad Alexandria Ocasio-Cortez, altra icona progressista “socialista democratica†di qualche anno fa che oggi, più che per la fulminante ascesa, è ricordata per la «meteoritica» discesa da astro a zimbello. Sembrerà magari un po’ semplicione anche il trucchetto del Correttore di bozze di far smontare le promesse elettorali di Mamdani in due righe da quel gufo di Alan Friedman.
Fatto sta che per scorgere il lato leggerissimamente demagogico del programma di Mamdani non c’è mica bisogno di bersi le fake news della stampa della destra vecchia bianca ricca fascista zozzona. Basta per esempio leggere la Bbc, informazione talmente corretta che è praticamente criptonite per noi del bufalificio Maga. La promessa mamdanesca di congelare per quattro anni gli affitti degli appartamenti a canone calmierato della città ? Sarebbe «una catastrofe» secondo i grandi operatori del mercato. L’impegno di creare a spese del Comune supermercati con prezzi stracciati per i poracci? «Ignora la complessità della realtà logistica della catena di approvvigionamento dei beni alimentari». L’annuncio che i bus pubblici saranno a sgunfia per tutti? Secondo Mamdani costerà 630 milioni di dollari l’anno; «fai anche un miliardo», ha replicato la Metropolitan Transportation Authority. Senza dimenticare i servizi di assistenza per l’infanzia anch’essi a gratis e l’aumento del salario minimo da 16,50 a 30 dollari l’ora entro il 2030.
«Il costo complessivo del programma è stimato in 7 miliardi di dollari all’anno, coperti con un aumento delle entrate fiscali per 9 miliardi, ottenuto alzando all’11,5 per cento le tasse per le aziende e aumentando del 2 per cento le imposte per chi guadagna oltre un milione all’anno. Quindi un trasferimento di ricchezza dai ricchi ai poveri».
(Paolo Mastrolilli, La Repubblica)
E ora che New York ha eletto sceriffo Robin Hood, era ovvio che Elly Schlein si sarebbe convinta che in fondo la vittoria è un po’ anche del Pd.
«“Splendida vittoria, la sinistra torna a vincere con parole e programmi chiari su stipendi dignitosi, sanità davvero universale, sul diritto alla casa, sui trasporti e i nidi gratis per chi non ce la faâ€, le parole della segretaria del Pd Elly Schlein. “La politica della speranza vince sulla politica della paura che individua solo nemici e capri espiatoriâ€, continua Schlein. “Vincono anche le candidate democratiche Mikie Sherrill in New Jersey e Alice Spanberger in Virginia, vince il referendum del governatore democratico Newsom in California. Un bel risveglio negli Usa!â€Â».
(Così come era ovvio, se è per questo, che la Lega di Salvini e Vannacci si sarebbe convinta che invece ha vinto l’Isis).
Del resto sono cose che succedono, qui in provincia, tutte le volte che si vota in America. Per chi fosse interessato a comprendere fino in fondo la gravità della sbronza newyorkese dei nostri progressisti, comunque, il consiglio del Correttore di bozze è come sempre di leggere Repubblica in questi giorni, dove «un bel risveglio negli Usa» tira più di un carro di buoi.
Già citato il Mastrolilli gasato il giusto ma comunque gasato da questo Mamdani «figlio dell’alta borghesia intellettuale, padre professore alla Columbia University e madre regista di successo, che diventa il paladino dei dimenticati, degli umiliati e degli offesi», non si può non fare menzione della lucida corrispondenza di Gabriele Romagnoli dal bel mezzo di quella Generazione Z che «ha vinto» con Zohran Mamdani e giustamente martedì 4 novembre «ha danzato tutta la notte» pazza di gioia. «Sono i giovani a fare la differenza» e «perdono i miliardari», si leggeva inizialmente ieri mattina nel titolo del suo pezzo.
È ovvio, no, con chi ce l’avesse Romagnoli? Intendeva celebrare «i giovani» che finalmente hanno avuto la meglio su
«Cuomo, Musk, Trump, Bloomberg, i miliardari che hanno messo le fiches dal lato sbagliato della storia, i padri cinici, i nonni scettici».
Come resistere, a fronte di ciò, alla tentazione di gettarsi nelle sfrenate danze di quanti invece hanno scelto il Bene? Tiè, brutti miliardari.
E certo che fa specie, a un puntatore di fiches sul lato sbagliato di qualunque cosa come il Correttore bozze, trovare tutto questo sprezzo verso «i miliardari» proprio sul giornale che fa capo a John Elkann, un miliardario che le fiches le ha messe se non dal lato giusto della storia, almeno dal lato giusto dell’Oceano, e a cui il nonno cinico Trump non fa poi tanto schifo. Sarà per questo che a un certo punto della giornata quel «perdono i miliardari» è sparito dal titolo del pezzo di Romagnoli?
(Che poi di converso i miliardari, da parte loro, con tutto quel carico di miliardi e di cinismo e di età avanzata, mica schifavano tutti il giovane Mamdani. Anzi, il suo programma laqualunque «ha entusiasmato il miliardario Alexander Soros, figlio del magnate George», ha scritto Gianni Riotta sempre su Repubblica. Fortuna che Romagnoli non li legge i giornali dei miliardari).
Ma non divaghiamo. La lucida corrispondenza di Romagnoli dalla notte danzante dei giovani di New York, dicevamo:
«Una decina di feste sparse nella città attendevano il risultato annunciato. A quella di Fort Greene, nel tempio massonico, c’erano un migliaio di persone tra ammessi e rimasti in coda lungo l’isolato».
Al che vi domanderete anche voi che cosa cacchio ci facesse mai Romagnoli l’altra sera nel tempio massonico di Fort Greene. Ma date retta al Correttore: basta domande dal lato sbagliato della storia, ogni festa ha la location che si merita. Occhi puntati piuttosto sulla gioia di questi bei giovani che gliel’hanno fatta vedere ai Trump, ai Cuomo, ai padri cinici, ai nonni scettici e probabilmente pure, a questo punto, ai vecchi massoni.
«La ragazza che lo accompagna sul palco gli fa eco: “È la vittoria socialistaâ€. Una parola (“socialistaâ€) che, non solo a New York, si fermava al Jfk ora circola liberamente, è la chiave dell’oggi, la moda di domani. È una folla felice e incredibilmente fuori dal tempo. […] Indossa abiti vintage, collane di perline dorate come gadget, celebra cantando “We Are the Champions†dei Queen. La grafica rossa e nera della serata fa da cornice e richiamo. Per chi ha conosciuto gli anni Settanta in Italia il rimando non è una riunione di giovani socialisti, ma di iscritti al partito comunista d’Italia marxista leninista (in breve Ellemme), non fosse che questi sono usciti dalla nicchia per andarsi a prendere Manhattan»
Ecco. Adesso converrete con il Correttore di bozze che è una gran bella novità , «chiave dell’oggi e moda di domani», questa folla felice e vintage di giovani socialisti che fanno così anni Settanta da mandare in trip uno come Romagnoli, il quale se non avesse sessanta e rotti anni sarebbe praticamente un loro coetaneo. Non si vedeva tanto allegro marx-leninismo nel lato giusto della storia forse dai tempi delle Sardine.
D’altronde può averci visto male, nel tripudio del tempio massonico, lo stesso Romagnoli che esattamente un anno fa, a urne delle presidenziali appena chiuse, annunciava strafelice «ha vinto Kalama»? E avrebbe avuto quasi ragione, se non fosse stato per Trump. Pensa te. Miliardari del menga.
«Gioisce anche l’Anpi: “Il tecnofascismo iperliberista e con tratti criminali rappresentato da Trump si può vincere†ma “contro il ritorno autoritario non basta una politica moderataâ€, scrive sui social il presidente nazionale dell’associazione partigiani Gianfranco Pagliarulo».
(Stefano Baldolini, La Repubblica)
Insomma, sorge il sol dell’avvenire su New York, e qui siamo tutti pronti ad aprire finalmente una pagina nuova della Storia: la resistenza antifascista. Più giovane di così.