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News da tempi.it

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Cultura
Per un cinema senza regia pubblica
Data articolo:Thu, 18 Dec 2025 10:23:03 +0000 di Filippo Cavazzoni

«Confido che mettendo insieme tutte le cose che stiamo scrivendo qui, sollecitati da lui, venga fuori qualcosa di buono». Così Andrea Minuz ha concluso il suo contributo su Lisander. Il “lui†sarei io, e spetta ora a me il compito di provare a chiudere questa discussione sul cinema, cercando di tenere insieme i molti spunti emersi e di giungere a una breve e inevitabilmente sommaria conclusione.

Anzitutto, i ringraziamenti. Desidero ringraziare sinceramente tutte le persone che hanno dedicato il loro tempo per intervenire in questo dibattito: i contributi sono stati numerosi, articolati e, soprattutto, di grande interesse e qualità.

Per continuare a leggere prosegui qui o iscriviti a Lisander, il substack di Tempi e dell’istituto Bruno Leoni. 

Blog
L’ambientalismo ideologico è alle corde, cercasi ambientalismo realista
Data articolo:Thu, 18 Dec 2025 07:27:35 +0000 di Lodovico Festa

Sul Sussidiario Mattia Adani scrive:

I produttori europei di automobili non sono in grado di offrire auto elettriche a prezzi competitivi e sostenibili per i consumatori europei, soprattutto quelli meno fortunati. L’Europa non è riuscita a dotarsi di un produttore significativo di batterie elettriche per veicoli e, anche se ci riuscisse, rimarrebbe comunque dipendente dalla Cina per la raffinazione del litio. E questo non perché l’industria chimica europea non abbia le competenze o le capacità tecniche per farlo, ma perché le politiche europee sulla chimica rendono praticamente ed economicamente impossibile raffinare il litio nel nostro continente (oltre a rischiare di compromettere gran parte della chimica di base europea). L’infrastruttura di ricarica elettrica non ha, né avrà nel prossimo futuro, la capillarità necessaria per sostenere una massiccia elettrificazione della mobilità. Infine, l’Europa non dispone di un eccesso di energia elettrica rinnovabile, con il risultato che com...

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Salute e bioetica
Travolti da un insano desiderio
Data articolo:Thu, 18 Dec 2025 03:50:00 +0000 di Caterina Giojelli

L’8 ottobre è approdato in commissione Affari sociali della Camera il ddl Roccella-Schillaci «per l’appropriatezza prescrittiva e il corretto utilizzo dei farmaci per la disforia di genere». Un tentativo di reintrodurre un grammo di clinica nel carnevale identitario: diagnosi multidisciplinare, psicoterapia documentata, farmaci solo con il nullaosta del Comitato etico pediatrico, registro Aifa in ordine. È la stessa inversione di marcia già vista all’estero, dal Regno Unito agli Stati Uniti ai Paesi Bassi: dal culto affermativo alla prudenza, soprattutto per quelle adolescenti (otto su dieci) spaventate dalla pubertà.
Ma i media italiani pretendono la loro favola edificante: transizione come diritto naturale, famiglia come nemico, complessità ridotta a catechismo arcobaleno. Il lunghissimo servizio “Inside – La libertà sessuale nell’era di Vannacci†delle Iene è la summa teologica del genere: il Generale Lucifero opposto al Virgilio pop da 3 milioni di follower Vincenzo Schettini; la s...

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Esteri
Il Nicaragua vieta l’ingresso di Bibbie e giornali nel Paese
Data articolo:Thu, 18 Dec 2025 03:45:00 +0000 di Paolo Manzo

C’è un gesto che più di altri rivela la natura profonda di un potere ed è la paura delle parole. In Nicaragua il regime sandinista ha deciso di vietare l’ingresso nel Paese di Bibbie, libri, giornali e riviste. Non propaganda armata, non esplosivi ma carta stampata. È l’ultimo atto di una repressione che non ha più nemmeno il pudore di mascherarsi da “sicurezza nazionaleâ€, ma che rivela apertamente il suo vero bersaglio, ovvero la libertà di pensiero che poi è nella sua parte più intima anche la libertà religiosa.
Non si può portare la Bibbia in Nicaragua
La misura è stata confermata nelle ultime settimane da diverse compagnie di trasporto internazionale, tra cui Tica Bus e Central Line, che collegano San José, la capitale del Costa Rica, dove vivono oltre 100mila esuli scappati negli ultimi sette anni dalla folle dittatura sandinista, a Managua. Gli avvisi affissi nelle stazioni degli autobus sono espliciti, come mostra la foto di copertina, che circola da qualche giorno su siti e soc...

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Cultura
“Obsoleto e volgareâ€, ora Harry Potter fa paura anche in università
Data articolo:Thu, 18 Dec 2025 03:30:00 +0000 di Piero Vietti

Prima di pensare che l’ideologia woke abbia smesso di infestare la cultura e i luoghi del sapere, meglio farsi un giro nelle università britanniche. Lì la corrente di pensiero progressista che negli ultimi anni ha plasmato il discorso pubblico decidendo surrettiziamente di cosa si può parlare o meno, e cosa è offensivo o no, in nome della tutela delle minoranze, continua a colpire e diffondersi più di un’influenza stagionale. Uno dei grandi classici del revisionismo soft tipicamente woke è quello di inserire all’inizio di libri o film del passato che trattano temi “sensibili†i cosiddetti trigger warning: si tratta di avvisi a lettori e spettatori che una certa opera tratta in modo “sbagliato†argomenti come la razza o il sesso, oppure contiene espressioni che possono turbare le fragili e traumatizzabili nuove generazioni.

Harry Potter e gli altri offensivi libri per bambini

Il settimanale conservatore britannico Spectator ci informa che il mese scorso all’Università dell’Essex sono comparsi trigger warning che mettevano in guardia gli studenti di Letteratura da “violenza, schiavitù, razzismo e suicidio” in Amleto, Arancia Meccanica e 1984. «Ora la peste si è diffusa anche a Glasgow», scrive l’accademica e scrittrice Joanna Williams. «Gli studenti di questa antica università sono stati avvisati che Harry Potter e la Pietra Filosofale, il primo libro della serie di J.K. Rowling sul giovane mago, contiene “atteggiamenti, insulti e linguaggio obsoleti”». Ma sono stati segnalati come potenzialmente offensivi anche Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, I Cercatori di Tesori di Edith Nesbit e First Term at Malory Towers di Enid Blyton.

Si tratta di libri per bambini, tanto che prima di chiedersi perché sarebbero offensivi, la domanda da farsi è perché facciano parte di un corso universitario frequentato da studenti ventenni che dovrebbero averli letti quando avevano dieci anni. Sono libri bellissimi che ogni persona dovrebbe leggere alle elementari, ma è proprio qui il punto, come fa notare Hugo Timms su Spiked: «Questo è probabilmente l’aspetto più sconcertante e scoraggiante: i giovani adulti di un’università che ha contribuito a far nascere l’Illuminismo scozzese e che annovera tra i suoi ex studenti Adam Smith, non solo seguono corsi dedicati ai libri per bambini, ma sembrano anche trovare i contenuti dei corsi un po’ troppo impegnativi a livello emotivo».

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Anche una volta ammesso che un corso su tali testi sia necessario, infatti, non si capisce perché e da cosa gli studenti dovrebbero essere messi in guardia: generazioni di bambini sono cresciute indenni su quelle pagine, che hanno stimolato la loro immaginazione e ampliato il loro vocabolario.

La Rowling sotto attacco

«L’idea che i giovani adulti di oggi non riescano a gestire i libri comunemente letti dai bambini nei decenni precedenti ci dice tutto ciò che c’è da sapere sul declino degli standard educativi», chiosa Williams. Che aggiunge: «Blyton è un bersaglio perenne di divieti e avvertenze sui contenuti, e la Rowling è sotto attacco – non per qualcosa che Harry Potter dice o fa, ma per la sua difesa dei diritti delle donne basati sul sesso. Potremmo certamente trovare “atteggiamenti, abusi e linguaggio obsoleti” in questi libri, soprattutto se estendiamo la definizione di “abuso” alle ragazze punite per le feste di mezzanotte e gli scherzi alla padrona francese, o alla camera da letto non convenzionale di Harry nel ripostiglio del sottoscala. Ma gli studenti di oggi sono davvero così sensibili da svenire di fronte a queste storie?».

Non leggere, ma restare vigili contro razzismo e sessismo

Il reale obiettivo di questi avvisi, che formalmente non si chiamano più trigger warning, ma content advisoryies (trigger era troppo offensiva come espressione, forse) è stato svelato da una portavoce dell’Università di Glasgow, che ha spiegato come essi «aiutano gli studenti a prepararsi a una discussione critica. A differenza dei bambini che leggono per piacere, gli studenti universitari analizzano questi testi in profondità, il che può evidenziare atteggiamenti obsoleti su infanzia, razza o genere».

Obsoleti, cioè superati e da superare in nome del progresso: «Agli studenti viene detto in anticipo di non apprezzare questi libri (anche se sono per bambini!), ma di condannarli», commenta Williams sullo Spectator. «Non devono perdersi nel Paese delle Meraviglie o a Hogwarts, ma rimanere sempre vigili contro atteggiamenti e preconcetti sessisti, razzisti o classisti».

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I professori che emettono questi avvisi insomma pongono una domanda – chiedendo ai ragazzi un lavoro di analisi approfondita – e marzullianamente già danno la risposta: “razzismo”. Gli studenti sanno in partenza che quello che stanno per leggere è “obsoletoâ€, quindi da disapprovare, ed ecco fatta l’analisi del testo. Costringere un lettore ad avvicinarsi a un libro già condizionato dal fatto che quelle pagine contengono sessismo, classismo e altre “cose sbagliateâ€, è il modo migliore per non farlo amare.

Gli insegnanti che non rischiano sul senso critico degli studenti

L’ondata di puritanesimo woke, che aveva già colpito Shakespeare, I racconti di Canterbury e Peter Pan, per citarne alcuni (Dickens ancora no, scherza amaro Timms, ma solo perché i suoi libri sono troppo lunghi e nessuno li legge più), ora ha messo nel mirino i libri per bambini: inevitabile, «dopo anni di infantilizzazione degli studenti e diffamazione di tutti gli autori degni di essere letti». Ci vuole coraggio a chiamare insegnanti degli adulti che non hanno nessuna stima dei ragazzi tanto da non rischiare neppure di far leggere loro i classici e lasciarli trarre le conclusioni usando il proprio senso critico.

Blog
L’Italia non è e non deve essere una Repubblica di procuratori
Data articolo:Wed, 17 Dec 2025 07:31:59 +0000 di Lodovico Festa

Su Open Stefania Carboni scrive: 

«"La pista adesso è quella dell’omicidio o dell’omicidio come conseguenza di altro reato: sicuramente l’hanno tenuto appeso fuori dalla finestra e le lesioni che ha sul polso sono state create". Gianluca Vinci, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta bis sulla morte dell’ex capo della comunicazione di Mps David Rossi, ne è convinto. [...] Davanti a queste deduzioni la vedova di Rossi ha annunciato che verrà presentata un’istanza per la riapertura delle indagini».  

Ma una persona in buona fede può non rendersi conto che la caterva degli errori giudiziari che emergono in questi giorni non possono che essere frutto di un’imperfetta catena di rapporti tra giudici, pm e forze di polizia? E che dunque è sempre più urgente la separazione delle carriere e dunque dei Csm, e l’annullamento del potere delle correnti con il sorteggio dei membri degli organi di garanzia dei magistrati?
* * *
Sul Sussidiario Valentina Simonetti riporta: 

«Ilda Bocc...

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Esteri
Tutti i legami (ignorati) tra i terroristi di Bondi Beach e l’Isis
Data articolo:Wed, 17 Dec 2025 03:55:00 +0000 di Leone Grotti

Qualcuno pensa davvero che una nuova strage come quella di Bondi Beach, a Sydney, possa essere evitata restringendo ulteriormente le norme sul possesso legale di armi in Australia? Le proposte del primo ministro Anthony Albanese, arrivate fin dai primi minuti successivi al massacro, sembrano più un modo per «distrarre» la popolazione, come ha fatto notare l’ex premier John Howard, che limitò l’uso di armi nel paese negli anni ’90, che uno stratagemma per risolvere il problema della violenza jihadista.

Uno dei due attentatori, Sajid Akram, poteva legalmente possedere ben sei armi da fuoco. Troppe? Forse sì. Ma dal momento che nella sua auto sono stati trovati anche due ordigni esplosivi, insieme a bandiere dell’Isis, è chiaro che quelle armi se le sarebbe procurate in ogni caso.

Il vero problema che nessuno vuole guardare in faccia, né in Australia né sui media europei, almeno a giudicare dagli articoli di commento alla strage di questi giorni, è quello dell’estrema facilità con cui un immigrato di seconda generazione, nato in Australia, abbia potuto insieme al padre legarsi per anni a un network di sostenitori dell’Isis, per di più noto alle autorità, e non essere fermato né controllato.

È la leggerezza con cui ancora si indagano i casi di radicalizzazione islamica che andrebbe affrontata in Australia e non solo. È la cecità con cui ancora si straparla di «lupi solitari» che andrebbe contrastata, anche per legge. Limitare il possesso di armi può essere un’iniziativa sensata, ovviamente, ma non è certo la più urgente come la cronaca dimostra.

L’addestramento militare con l’Isis

La strage antisemita di Bondi Beach è stata accuratamente orchestrata, come dimostra il fatto che i due terroristi – Sajid Akram e il figlio Naveed Akram – avevano affittato un appartamento per nascondervi le armi con cui condurre l’attentato.

Non solo. L’1 novembre padre e figlio si sono trasferiti per un mese nelle Filippine, fino al 28 novembre, per ricevere «un addestramento militare», come rivelato da un funzionario della divisione antiterrorismo australiana.

Gli Akram si sono recati nell’area di Davao, capitale dell’isola meridionale di Mindanao, dove lo Stato islamico nel 2017 tentò di introdurre un Califfato come a Mosul in Iraq o a Raqqa in Siria. È chiaro che nelle Filippine sono stati bene addestrati visto il modo professionistico con cui hanno condotto l’attentato, appostandosi anche su un ponte per meglio colpire le proprie vittime.

Naveed Akram, 24 anni, ha compiuto la strage di Bondi Beach insieme al padre Sajid
Naveed Akram, 24 anni, che ha compiuto la strage di Bondi Beach insieme al padre Sajid, aveva chiari legami con l’Isis

La figura sulfurea dell’imam Haddad

Ma chi ha fornito agli Akram i contatti per farsi addestrare al jihad nelle Filippine? È qui che la vicenda inizia a farsi paradossale, tanto da fare apparire il fallimento dell’intelligence australiana sconvolgente.

È ormai noto che nel 2019 Naveed Akram era stato indagato per i suoi legami con una cellula dello Stato islamico con base a Sydney. Dopo sei mesi di indagine, non è stato ritenuto una «minaccia» per la società.

Eppure i suoi legami con alcune figure pericolose erano stati accertati. Akram figlio orbitava infatti attorno all’imam Wisam Haddad, definito dai giornalisti australiani «un religioso che ha influenzato molteplici generazioni di jihadisti australiani».

La condanna per gli insulti antisemiti

Haddad, mai formalmente accusato né tantomeno condannato per terrorismo, è un predicatore islamico accusato di indottrinare i giovani in un centro di preghiera di Bankstown, sobborgo di Sydney, chiamato Al Madina Dawah Centre.

L’unica condanna ricevuta dall’imam è stata a luglio, quando un giudice lo ha trovato colpevole di violazione della legge contro la discriminazione razziale. Haddad ha più volte definito gli ebrei «malvagi, intriganti, vili e discendenti delle scimmie e dei maiali». Ha anche incitato all’uccisione degli ebrei, ma si è sempre difeso (con successo) affermando che si era limitato a citare il Corano.

L'imam Wisam Haddad, considerato una figura influente nella galassia jihadista di Sydney
L’imam Wisam Haddad, considerato una figura influente nella galassia jihadista di Sydney (foto Four Corners)

«Allah è più importante di tutto»

Naveed Akram, il giovane di 24 anni che è passato dalle parole ai fatti, conosceva Haddad e fin da quando aveva 17 anni faceva proselitismo per le strade di Sydney per conto di un’organizzazione legata a quella di Haddad, Dawah Van, dal nome Street Dawah.

In un filmato del 2019 si vede Akram che spiega agli studenti che «la legge di Allah è più importante di qualsiasi altra cosa tu abbia da fare – lavoro, scuola. Non potrò mai sottolinearlo abbastanza». A un altro giovane spiega che «Allah remunera le azioni condotte nel suo nome».

Queste parole, di per sé innocue, assumono tutto un altro significato alla luce dell’interpretazione estremista che i jihadisti dell’Isis ne danno.

La bandiera dell’Isis tra i ProPal

Poche settimane dopo quelle azioni di proselitismo, la polizia fece una retata e arrestò diversi terroristi legati all’Isis, tra i quali due appartenenti all’organizzazione Street Dawah. Uno di questi, Isaac al-Matari, è stato poi condannato a sette anni di carcere, essendosi definito il leader dell’Isis in Australia.

Sempre nel 2019, durante l’indagine dell’intelligence australiana, sono stati accertati i legami di Akram con un reclutatore dell’Isis, Youssef Uweinat, condannato a quattro anni di carcere per avere indottrinato alcuni giovani a compiere attentati terroristici per il centro di Haddad.

Dopo gli anni di prigione, terminati nel 2023, il nome di Uweinat è recentemente rimbalzato di nuovo sulle pagine dei giornali australiani. Durante una manifestazione a favore della Palestina a Sydney il 3 agosto, l’uomo ha infatti sventolato una bandiera nera con la shahada, la professione di fede islamica, molto simile a quelle utilizzate dall’Isis. Il suo gesto sarebbe forse passato inosservato se l’imam Haddad non l’avesse ripubblicata sui social media con il commento: «L’unica bandiera che conta!».

Il jihad contro gli infedeli

Nel periodo in cui Uweinat aveva stretti legami con Akram, incitava i giovani a combattere il jihad contro gli infedeli. E spingeva i ragazzi a visitare chat private piene di propaganda jihadisti, decapitazioni di cristiani, bambini con in braccio fucili, spingendoli a «morire come martiri».

Uweinat nel 2023 è tornato libero dopo aver convinto un giudice di avere rinunciato per sempre alla propaganda jihadista: «D’ora in poi voglio aiutare i giovani australiani ad abbandonare le ideologie estremiste», dichiarò. Ma la sua performance con la bandiera nera alla manifestazione ProPal suggerisce altro rispetto alle sue parole.

Infatti, secondo l’Abc, subito dopo il rilascio Uweinat si è riunito all’imam Haddad e ad altri estremisti usciti dal carcere: Abdul Nacer Benbrika, 18 anni passati in prigione per avere guidato una cellula terroristica, e Wassim Fayad, accusato di essere un leader dell’Isis in una cellula di Sydney dieci anni fa.

Una folla riunita a Bondi Beach per commemorare i 15 ebrei uccisi dagli Akram nella strage antisemita di domenica
Una folla riunita a Bondi Beach per commemorare i 15 ebrei uccisi dagli Akram nella strage antisemita di domenica (foto Ansa)

L’infiltrato nel network di Haddad

Se esistono così tante informazioni sull’imam Haddad e il suo network è perché un agente dell’antiterrorismo australiana (Asio) reclutato in Medio Oriente, denominato Marcus, lo ha infiltrato per anni. L’agente, dopo aver lasciato il paese senza che il religioso sia mai stato condannato, è uscito allo scoperto nove mesi fa denunciando tutto a Four Corners.

«Uweinat e gli altri sostenitori dell’Isis sono diventati estremisti a causa della frequentazione con l’Al Madina Dawah Centre e dopo avere ascoltato i discorsi e le lezioni di Haddad», ha affermato l’agente.

Grazie al lavoro di Marcus, compiuto tra il 2016 e il 2023, molti terroristi sono stati arrestati, ma non tutti: Haddad non è mai stato toccato dalla giustizia per mancanza di prove, altri, come Akram, lo stragista di Bondi Beach, non sono stati ritenuti una «minaccia».

«Non diventate un facile obiettivo»

L’imam Haddad – diventato famoso più di dieci anni fa come leader del Al Risalah Islamic centre, centro di preghiera radicale, diventato un hub di Al-Qaeda prima e dell’Isis poi – ha già dato mandato al suo avvocato di sottolineare che non c’è alcun collegamento tra l’attentato di Bondi Beach e la sua predicazione.

Se è riuscito sempre a uscire pulito da ogni indagine, forse è perché parlava così alle giovani reclute, secondo quanto riportato dall’agente Marcus: «Diceva: “Se volete fare qualcosa, non venite da me, non ditelo a nessuno mantenete il segreto. Se credete che sia un buon lavoro e che rientra nel jihad, allora andate e fatelo. Non diventate un facile obiettivo per cui sarete fermati”».

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Contrastare la radicalizzazione islamica

Se le autorità australiane sapevano che l’attentatore di Bondi Beach era un seguace di un imam con un simile curriculum e legato a jihadisti condannati per avere tentato di organizzare attentati terroristici, com’è possibile che sia stato giudicato non pericoloso né sottoposto a controlli più estesi?

Finché l’Australia non prenderà sul serio il contrasto ai network terroristici – che si celano anche dietro moschee, centri di preghiera e fondazioni islamiche – non otterrà alcun vantaggio da misure tappabuchi come le limitazioni al possesso di armi da fuoco.

@LeoneGrotti

Politica
Schlein invita Meloni a “farsi un giro nel quartiereâ€. Ma chi le scrive i discorsi?
Data articolo:Wed, 17 Dec 2025 03:45:00 +0000 di Emiliano Ronzoni

Questa è una pillolina, una cosa piccola, che non fa né bene né male ma, cosa ci posso fare se lei, la Elly Schlein, la segretaria nazionala del Pd, intendo, ogni volta che parla punta a darsi la zappa sui piedi? Ma, perché dico io, e chiederete voi: cosa la tira a farsi del male? È destino? È una condanna? Una vocazione? Domenica scorsa ero lì che mi stavo ascoltando su Sky Tg24 l’intervento della Meloni ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia. Un po’ ascoltavo, un po’ apprezzavo, un po’ trepidavo (stai attenta Meloni che il potere te se magna pure a’ tte). Giorgia stava ringraziando, quasi uno ad uno, tutti quelli che le sono a fianco nel suo tentativo. Il loro lavoro, dice, la loro presenza, la ripaga delle tante notti con poco sonno, dei fine settimana passati al lavoro, delle ore su ore passate studiando i tanti dossier. Quando ecco, dopo un buon quarto d’ora, il collegamento viene interrotto e, per par condicio presumo, fanno sentire la Elly all’assemblea nazionale del partito democratico.

La spesa di Schlein la popolana

Ora, “par condicio†è la traduzione, diciamo così, colta e elegante, dal latino, del classico “per non saper né leggere, né scrivereâ€, così, dunque, per non sapere né leggere né scrivere, devono aver pensato in redazione, facciamo vedere e sentire e l’una e l’altra. Staccano dalla Meloni e vanno sulla Schlein. Elly Schlein sta perorando e gesticolando dal palco. «Presidente, Meloni le voglio fare una domanda molto semplice: da quanto tempo non le capita di andare a fare la spesa? Si immagini per un secondo di prendere un carrello come ogni giorno fanno milioni di madri e di padri in questo paese e provi a fare i conti, scaffale dopo scaffale, di ciò che va rimesso al suo posto, perché questa settimana non te lo puoi più permettere. Esca da Palazzo Chigi faccia un giro in un qualsiasi alimentare di quartiere».

Ora, che Elly la popolana, la supemercatara spingitrice di carrelli, la scaffalatrice amara, inviti Giorgia a uscire dal palazzo e a farsi un giro tra i supermercati per vedere la vita vera ci può anche stare, ma, per meglio apprezzare l’invito e il suggerimento, credo non sarebbe inutile fermarsi un attimo e farsi un’analisi comparata, anche pur veloce, della biografia Schlein e della biografia Meloni.

Giorgia da Garbatella

Biografia numero 1: Giorgia Meloni nasce alla Garbatella, zona rossa di Roma che più rossa non si può. Quartiere e case popolari. Il papà, quando lei ha due anni, se ne va abbandonando moglie e due figlie. Mamma le cresce. Da sola. Stanno in 38 metri quadri. Nel corridoio di casa c’era un mobile-letto dove la sorella Arianna e la piccola Giorgia si coricavano insieme: «Una de capo e una de piedi», diceva la nonna. Insomma, una con i piedi in faccia all’altra. Mamma Anna, che di cognome faceva Paratore, rincorreva i mestieri. Contabile, scrittrice di romanzi rosa, anche. Ancora adesso fa lavoretti artigianali che vende in giro nei mercati rionali.

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La giovane Giorgia cresce, vuol studiare lingue, all’epoca esiste un solo liceo linguistico, ma è privato, non è roba per le sue tasche, e Giorgia ripiega sull’istituto professionale del quartiere. Per mantenersi agli studi lavora come cameriera, barista, baby sitter. Vacanze? Al mare a Coccia di Morto, la spiaggia proletaria dei romani, a pochi chilometri da casa, famosa anche per essere stata definita a suo tempo una delle spiagge più sporche d’Italia per via della vicinanza con la foce del Tevere e tutti i suoi sversamenti. Il nome Coccia di Morto viene dal ritrovamento di teschi trascinati e depositati dal Tevere. Qualcuno dice che sono teschi antichi, qualcun altro preferisce sorvolare.

Schlein da Lugano

Biografia numero 2: Elly Schlein, come si dice, nasce bene. A Lugano, in Svizzera. Nella sua famiglia, ad andar giù brevi, inanellano titoli e onorificenze come se piovesse. Il padre, Melvin Schlein, è un politologo e accademico statunitense di origine ebraica. All’epoca stava professore emerito di Scienza della politica e Storia presso la Franklin University di Lugano.
La madre, Maria Paola Viviani, è professoressa ordinaria di Diritto pubblico comparato presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi dell’Insubria, figlia dell’avvocato Agostino Viviani, a suo tempo senatore socialista e presidente della Commissione Giustizia del Senato.

Suo fratello è il matematico Benjamin Schlein e sua sorella Susanna è primo consigliere diplomatico all’Ambasciata italiana ad Atene, ed ex-capo della cancelleria consolare dell’ambasciata italiana a Tirana. Dei nonni, sia paterni che materni, tra deputati e imprenditori, taciamo per stare brevi e non abusare della pazienza dei lettori.

Qualcuno ha visto Schlein a Coccia di Morto?

A prima vista, e salvo smentite, non parrebbe dunque che la giovane Elly abbia mai avuto la possibilità di aver cognizione di cosa significhi “popolareâ€. Nella sua ancor breve vita non ci sono Garbatelle e non ci sono quartieri. Suo recinto è il mondo: abbonda in cittadinanze, prende tre e paga uno, ha cittadinanza italiana, americana e svizzera. Il suo liceo è uno dei più antichi e prestigiosi istituti del Canton Ticino. Le prime notizie della sua passione politica la vedono girare giovin donzelletta per gli Stati Uniti impegnata come volontaria (ossia, mantenuta dal papi) nelle campagne elettorali di Barack Obama.

Quell’altra inizia la sua carriera girando tra i tavoli come cameriera, lei si laurea a Bologna e subito dopo eccola segretaria di produzione di un documentario che, potenza del traino a sinistra, al primo colpo vince il David di Donatello. Vacanze? A parte essere andata a zonzo per gli States con le mancette di papà, a volte l’hanno data in giro per le alpi svizzere. Altre volte si è parlato di puntate fra la Sardegna e la Grecia, oppure anche di esclusive ville con piscina dove lei si sequestrerebbe in volontaria clausura per tutelarsi la privacy. Certo a Coccia di Morto non l’hanno mai vista. Fatto sta che, da quando è alla ribalta come segretaria del Pd, è solita inabissarsi agli inizi di agosto e scomparire nel mistero più assoluto per un mese intero (qualcuno l’ha soprannominata la “fondista delle vacanzeâ€).

Ma chi scrive i discorsi alla Schlein?

Bene, non si rimane un po’ straniti, a sentire una siffatta Elly Schlein invitare Giorgia Meloni a girare per i supermercati per finalmente conoscere “la vita vera� Non vi suona un po’ come un africano che pretenda di insegnare a un eskimese come difendersi dal freddo? Eppure bisogna essere onesti, e riconoscere che una possibilità che Schlein giri per i supermercati c’è.

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Fa parte di quei piaceri che i borghesi benvissuti ogni tanto si concedono per sentirsi buoni e parte del popolo. Le chiamano immersioni nella realtà. Tanto sanno che ne riemergono quando vogliono. E poi la realtà, dicono, è un po’ come il Negroni: non fa mai male, se la sai centellinare col ditino alzato e con misura. E dunque non è difficile per noi immaginare la nostra Elly girare con l’amica e l’armocromista al seguito che le consigliano se prendere il carrello rosso o verde per armonizzarlo con il raso della giacca sartoriale.

Oppure, nel mentre si compra qualche datterino che, volendo, come orecchino sta che è una meraviglia, oppure ancora prendersi il domopak perché è così leggero, un velo, ti dico un velo, che neanche la seta. Insomma, e qui sta la conclusione, il succo dell’invito di Elly Schlein a Giorgia Meloni altro non sarebbe se non quello di uscire dal palazzo per andarsene in giro vezzosa a cazzeggiare come lei. Complimenti. Ma chi le scrive i discorsi?

Ps: D’altro canto, cosa aspettarsi da una che, appena eletta segretaria del Pd, sentenziava che «non esiste giustizia sociale senza giustizia climatica» e che dovremmo «rinunciare all’elettricità per darla agli africani poveri»? Giusto, ci impegniamo a farlo tutti, ma solo dopo che lei, signora Schlein, ci dimostra, con tanto di documento notarile, che rinuncia all’aria condizionata, alla piscina con acqua riscaldata e ai materassini massaggianti delle beauthy farm.

Blog
Perché non mi stupisce affatto che l’eroe di Sydney sia musulmano
Data articolo:Wed, 17 Dec 2025 03:30:00 +0000 di Rodolfo Casadei

Mi ha lasciato sbalordito l’inaudito slancio del tabaccaio siriano-australiano che ha strappato dalle mani del fruttivendolo pakistano-australiano il fucile a canna lunga con cui quest’ultimo stava falciando le vite degli ebrei che in un parco a ridosso di una spiaggia di Sydney celebravano la festa delle luci. Ma non mi ha sorpreso il fatto che si trattasse di un musulmano.
Immaginare che un uomo affronti a mani nude un altro uomo che maneggia un arma da fuoco con la quale sta sparando su degli esseri umani tutti i proiettili che ha portato con sé è una fantasia da film di serie B, ma una volta che la sconclusionata fantasia si sia trasformata in solida realtà, non c’è niente che debba impedire che l’uomo in questione possa essere un musulmano. Addirittura uno che, stando a quello che riferisce un cugino, dal letto dell’ospedale dove gli stanno curando le plurime ferite da arma da fuoco che gli ha inferto il figlio del fruttivendolo cecchino precisa: «È Dio (Allah, God, Javhé - ndr) ...

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Cultura
Il dono di Fumana
Data articolo:Tue, 16 Dec 2025 17:40:47 +0000 di Redazione

Fumana è il nome di una bambina che, appena nata, rimane subito orfana, perché la madre muore mettendola al mondo e il padre fugge non si sa bene dove, ma senza più lasciare traccia. La notte in cui è nata, la gente di Voltascirocco, piccolo borgo non lontano da Rovigo, se la ricorda ancora: era il settembre 1882 e sembrava che l’Adige volesse spazzare via tutto il Veneto. A prendersi cura di lei resta solo il saggio e rude nonno Petrolio, che improvvisamente si trova alle prese con una seconda inattesa paternità. Petrolio cresce la piccola Fumana come e quanto può e, siccome fa il pescatore nelle valli di notte, la bimba impara presto a pescare con la fiocina e a stare in equilibrio sul sandolo in mezzo alle paludi. Acqua e natura sono il mondo che abita e che ama, immersa nella Fumana, cioè nella nebbia del basso Polesine che è il suo elemento costitutivo: è lì, in quella densa caligine che si rifugia e trova la sua intimità, sola con la luce della lampada con cui attira i pesci sul barchino.

Quando Fumana comincia a farsi donna, Petrolio capisce che non può più proteggerla come un tempo e decide di affidarla alla Lena, una donna che ha votato la sua vita alla cura degli altri. In casa sua Fumana scopre di possedere un dono raro: anche lei come la Lena è destinata a diventare una “strigossaâ€, una guaritrice, che attraverso rimedi naturali, segni e parole segrete può alleviare malanni e piccole sofferenze. “Segnare†è un dono prezioso, ma anche una condanna e Fumana lo comprende presto: le “strigosse†infatti venivano cercate nei momenti di bisogno – per curare la febbre, i reumatismi, il fuoco di Sant’Antonio – e poi, al primo inconveniente, accusate di malocchio, di magia nera, relegate ai margini del paese.

Destino di strigossa

Chi mai vorrebbe sposare una donna che accoglie in casa uomini malati e bisognosi e compie misteriose guarigioni? Eppure anche Fumana è destinata a conoscere l’amore, quello per il compaesano Luca, con cui vive un rapporto profondo e vero che affronta con la stessa autonomia e libertà con cui ha vissuto ogni aspetto della sua vita. Questo le crea parecchie difficoltà: la famiglia di Luca non la accetta e le due guerre che attraversano l’Italia tra fine Ottocento e inizio Novecento, unite all’arrivo della moderna medicina a Voltascirocco, aggiungono ulteriore complessità al suo destino di “strigossaâ€.

Eppure Fumana ha ricevuto un dono, quello di “far del benâ€, gratuitamente, per restituire al mondo i frutti del dono ricevuto. Lo dimostra quando decide di prendere con sé una bambina muta e malata, Bisatta, su cui tutto il paese aveva già espresso la sua dura sentenza. Ormai ha capito che la vita ha senso solo quando si accetta con letizia il proprio dono, anche se talvolta può voler dire sacrificare tutto il resto.

“I doni che ga”

Fumana è un libro denso come quella nebbia che si taglia con il coltello che accompagna il lettore pagina dopo pagina. Ci sono momenti di rara bellezza in cui lo splendore della natura sembra dilatarsi davanti agli occhi: il fiume, la pianura, il richiamo degli uccelli, l’eco del vento. Ma soprattutto c’è lei, Fumana, che col suo carattere impetuoso e fragile ogni tanto fa prudere le mani, ogni tanto fa scendere una lacrima.

Come non volerle bene? Così caparbia nel cercare la propria strada, desiderosa di scoprire il senso profondo della sua esistenza e di mettere a frutto il suo dono, perché «ognuno ga i doni che ga. Quel che possiamo fare l’è de seguirli, o de lasciarli là».

Fumana, Paolo Malaguti, Einaudi, 2024

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