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Il Sud America nell’era di Trump
Data articolo:Mon, 17 Nov 2025 07:37:34 +0000 di Lodovico Festa

Il presidente americano Donald Trump con il suo omologo e alleato argentino Javier Milei alla Casa Bianca, 14 ottobre 2025 (foto Ansa)
Su Scenari economici Fabio Lugano scrive:

«L’America è tornata nelle Americhe. Sembra questo il mantra della politica di difesa del presidente Trump, che sta attuando un piano che potremmo definire “Dottrina Monroe 2.0â€, focalizzato sulla difesa emisferica, in cui l’emisfero in questione è quello che contiene il continente Americano, Nord e Sud».

Non di rado provo fastidio per le sparate trumpiane sulla scena internazionale: la politica estera è arte delicata e va gestita con molta cura e prudenza, con il massimo di diplomazia possibile e il minimo di attenzione ai social. Però il piglio della nuova Casa Bianca a non arrendersi al narcotraffico e all’annessa egemonia cinese sull’America latina mi pare convincente.
* * *
Sulla Nuova Bussola quotidiana Stefano Magni scrive:

«Ogni intervento ha i suoi motivi oggettivi. In Argentina, gli avversari poli...

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Scuola
Gandolfini: «Il consenso informato difende ragazzi, genitori e la democrazia»
Data articolo:Mon, 17 Nov 2025 03:50:00 +0000 di Caterina Giojelli

Siamo alle solite: in Italia basta pronunciare le parole “consenso informato” in un’aula scolastica per vedere scatenarsi una rissa degna di un’assemblea del ’77. Eppure stiamo parlando del principio più ovvio in democrazia: sapere chi insegna cosa a tuo figlio.

Da giorni il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara viene accusato di voler «censurare l’educazione sessuale», «ostacolare la lotta ai femminicidi», «riportare l’Italia al Medioevo». Una caricatura utile all’opposizione in perenne fissazione col sesso dei bambini, ai collettivi per le tradizionali occupazioni di novembre, agli editorialisti a corto di cartucce, certo, ma non minimamente al contenuto del disegno di legge che ha scatenato la bagarre parlamentare, con il ministro a gridare alle opposizioni: «Balle». E ha ragione. Anche perché, a fare la gara di balle, vincono quelle servite sulla presunta correlazione tra corsi a scuola e diminuzione dei femmincidi.

Ma che bavaglio, «il consenso informato è il massimo della democrazia»

«Chiariamolo ancora una volta: il consenso informato del ribattezzato “ddl Valditara” non è un bavaglio, tantomeno un’invenzione ideologica: è la traduzione concreta dell’articolo 30 della Costituzione, quello che definisce il “diritto e dovere dei genitori educare i figliâ€Â», ribadisce a Tempi Massimo Gandolfini, neurochirurgo e psichiatra, presidente dell’Associazione Family Day Difendiamo i nostri figli e volto noto del dibattito bioetico. «Un provvedimento d’emergenza – lo definisce -, non una panacea, ma un primo argine contro l’onda montante di una “educazione” che, lungi dal formare coscienze libere, indottrina i più piccoli a un’ideologia che prescinde dalla biologia e dalla Costituzione».

La sua posizione è da manuale della scuola pubblica: «Quando la scuola propone un percorso su temi eticamente sensibili – spiega – ha l’obbligo di consultare i genitori». Il genitore che è d’accordo firma; quello che non è d’accordo non firma. «È il massimo della democrazia». La levata di scudi che accompagna il provvedimento, invece, non è la difesa della libertà ma l’ennesima crociata ideologica. «Si invocano diritti, ma per negarne un altro: il diritto dei genitori di scegliere l’educazione dei figli».

Così si è passati a scuola dalla “lotta alla violenza di genere” alla pornografia

Il punto è che nelle scuole italiane, spesso sotto la dicitura rassicurante di «lotta alla violenza di genere» o «prevenzione del bullismo», entrano associazioni, materiali, «esperti» esterni che presentano visioni del mondo tutt’altro che neutre. Gandolfini tira fuori un dossier realizzato con ProVita & Famiglia e consegnato ai parlamentari non da ultimo al ministro Valditara: 262 segnalazioni in scuole di ogni ordine e grado, catalogate una per una, in cui sono stati introdotti percorsi sulla «fluidità di genere» (eufemismo), identità multiple, istruzioni per la masturbazione. «Non parliamo di fantasmi – insiste – ma di episodi documentati. In alcuni casi i docenti provenivano da associazioni militanti, che portavano nelle classi il loro impianto ideologico. Ed è esattamente ciò che il consenso informato consente di evitare».

Gandolfini aggiunge che in altri Paesi «la questione è già esplosa», e ancora una volta è difficile contraddirlo. Spiked – non Tempi o Avvenire – ha pubblicato qui un estratto da Pornocracy, libro-inchiesta di Jo Bartosch e Robert Jess che documenta come corsi su affettività e sessualità mal regolati siano diventati il cavallo di Troia per introdurre pornografia esplicita e attivismo sessuale nelle scuole britanniche. Il risultato? Secondo una recente ricerca del Commissario per l’Infanzia, poco meno della metà dei giovani ritiene che «le ragazze si aspettino che il sesso implichi aggressioni fisiche» e un ulteriore 42 per cento afferma che «le ragazze apprezzano gli atti sessuali fisicamente aggressivi». Alla faccia della prevenzione della violenza di genere.

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«La scuola non può tornare ad essere un veicolo ideologico»

Quali criteri adottare allora per selezionare interventi esterni? «Innanzitutto trasparenza totale: testi, video, materiali, nomi dei docenti. E poi rispetto dei valori su cui si regge la nostra Repubblica. Immagini pornografiche o allusive, o l’introduzione surrettizia di pratiche sessuali, non hanno nulla a che fare con l’educazione scolastica. La scuola deve educare, nel senso di tirare fuori il meglio dei ragazzi, non indottrinare». Il richiamo storico è preciso: «Un secolo fa si indottrinavano i bambini al primato della razza. Le conseguenze le conosciamo. La scuola non può tornare a essere veicolo ideologico».

Quanto all’obiezione burocratica – dirigenti e presidi sostengono che introdurre il consenso informato significhi complicare la vita delle segreterie, moltiplicare autorizzazioni, predisporre attività alternative per chi non aderisce -, Gandolfini non ha dubbi: forse ci sarà qualche aggravio amministrativo, «ma la posta in gioco è altissima. Si tratta di tradurre in regola concreta un principio costituzionale e di evitare che ai bambini vengano somministrati contenuti inappropriati».

Il “compromesso” sulle medie? «È un provvedimento d’emergenza. Un inizio»

Il “ddl Valditaraâ€, del resto, vieta esplicitamente ogni forma di educazione sessuale nelle scuole primarie, norma che Gandolfini definisce «pedagogicamente sacrosanta». «Tra i 6 e i 10 anni i bambini non hanno l’interesse né le capacità cognitive per comprendere certi contenuti. La scuola dell’infanzia e le elementari devono rispettare i tempi di sviluppo del bambino. Se si vuole affrontare l’argomento, spetta esclusivamente ai genitori». Per le scuole medie, spiega, «si è arrivati a un compromesso: avrei preferito restassero fuori anche quelle».
Rimane però un tema più ampio: questo provvedimento non nasce in un paese sereno, ma in una situazione che, secondo Gandolfini, «è scappata di mano». 262 casi documentati non sono un’anomalia, ma un fenomeno strutturale. «È un provvedimento d’emergenza. Avremmo voluto molto di più. Ma ogni percorso inizia con un primo passo. Il consenso informato è un inizio».

E che succede dopo? «Bisogna osservare come evolve il costume sociale», risponde, «e tenere fissi dei paletti». Gli chiediamo quali. «Per esempio una seria educazione civica, basata sui principi della Costituzione. Non servono 83 identità di genere per parlare di rispetto. Gli articoli 2 e 3 dicono già tutto: pari dignità per tutte le persone, indipendentemente dal sesso, dall’età, dalla condizione sociale. È da qui che si deve partire».

Dove ci sono i corsi di educazione sessuale «il numero dei femminicidi non diminuisce. Anzi»

Infine, il tema femminicidi, diventato detonatore della polemica. A dispetto di chi continua a sostenere che più educazione sessuale significhi meno violenza di genere tocca ricordare che «In tutti i Paesi europei che da anni hanno introdotto corsi di educazione sessuale, il numero dei femminicidi non è diminuito. In alcuni casi è aumentato. Il problema della prevenzione della violenza non è l’educazione sessuale, ma un’educazione civica concreta e veritiera. Le persone devono essere rispettate perché sono persone. Punto».

Vale per le famiglie “disfunzionali†(termine che piace moltissimo a giornalisti e addetti ai lavori per sostenere che «L’educazione sessuo-affettivo non va lasciata esclusivamente alle famiglie», ci vogliono «figure esperte» per «veicolare un’informazione corretta prima della sessualità pienamente agita»), vale per tutti. Senza scomodare il famigerato “paradosso svedeseâ€, assunta la definizione di FemminicidioItalia.info, i numeri stono stati pubblicati dalla Verità (fonti Eurostat/Eige e Dipartimento di Pubblica Sicurezza, ministero dell’Interno) e ne ricordiamo qualcuno. Italia 2021: 119 omicidi volontari di donne; Francia 337; Germania 228. Italia 2023: 106 femminicidi; Germania 241; Francia 212. Nel 2024: Italia 40; Spagna 57; Francia 93; Germania 360. Regno Unito: un femminicidio ogni tre giorni dal 2009 al 2024. «Germania, Francia, Spagna, Regno Unito – conclude il Gandolfini -.Tutti Paesi che prevedono educazione sessuale obbligatoria da anni. Ma che continuano a precederci in ogni obbrobriosa classifica a tema violenza sulle donne».

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Post Scriptum. A proposito delle iniziative rivolte a studenti o docenti documentate dal dossier, i fresconi con la memoria corta diranno “Ah ma si tratta della solita fantomatica teoria gender di Provitaâ€? E somministrare a ragazzi tra i 14 e i 16 anni la lettura del libro di Melania Mazzucco – con passaggi espliciti come (ci scusiamo oggi come allora per il linguaggio) «ficcò la testa fra le gambe di Mariani e si infilò l’uccello in bocca. Aveva un odore penetrante di urina, e un sapore dolce. Invece di dargli un pugno in testa, Mariani lasciò fare. Giose lo inghiottì fino all’ultima goccia e sentì il suo sapore in gola per giorni» – come si chiama? Libertà di pensiero?

E la lettura ai bimbi delle primarie di Zaff a cui la principessa “sul pisello†consegna il suo vestito dicendogli che potrà essere “la principessa col pisello� Sono solo due esempi. Nel libro della Mazzucco Christian e Giose si recano insieme in Armenia e acquistano un utero. Nove mesi dopo nasce Eva. Agli alunni del liceo romano Giulio Cesare è stato chiesto di leggere il romanzo e scriverci un tema a partire dalla famosa frase (per altro citata in maniera monca) di papa Francesco sugli omosessuali: «Chi sono io per giudicare?».

Economia
Così la Cina accetta di perdere soldi pur di dedollarizzare il mondo
Data articolo:Mon, 17 Nov 2025 03:45:00 +0000 di Rodolfo Casadei

La Cina ha deciso di internazionalizzare la sua moneta, lo yuan, per farlo diventare una valuta di riserva come il dollaro Usa, e persegue questo obiettivo anche se le costa parecchi quattrini che potrebbe in alternativa incassare. L’ultimo esempio in ordine di tempo è la conversione del debito denominato in dollari che alcuni paesi africani hanno con la Cina, in debito denominato in yuan. All’inizio del mese scorso il Kenya ha finalizzato la conversione in renminbi (altro nome della valuta di Pechino) di tre prestiti cinesi stimati complessivamente in 3,5 miliardi di dollari e destinati alla costruzione di una linea ferroviaria lunga 600 chilometri fra il porto di Mombasa e la stazione di Naivasha nella Rift Valley.

Per parte sua l’Etiopia ha avviato negoziati col governo cinese allo scopo di convertire almeno una parte dei suoi 5,38 miliardi di dollari di debito verso Pechino in debito denominato in renminbi. Lo Zambia, che deve alla Cina una cifra approssimativa attorno ai 6 miliardi di dollari, segue da vicino l’accordo concluso dal Kenya nella speranza di poterne concludere uno analogo. Fuori dall’Africa, lo Sri Lanka (4,7 miliardi di dollari di debito verso la Cina) risulta interessato alla stessa soluzione.

Nairobi risparmia, Pechino ci smena

Il motivo che spinge i paesi sopra menzionati a chiedere la conversione del loro debito è la possibilità di un risparmio sul pagamento degli interessi: è vero che dall’inizio della presidenza Trump il dollaro ha perso circa il 10 per cento del suo valore, e quindi potrebbe sembrare conveniente conservare in questa valuta il debito contratto, ma si dà il caso che nell’arco degli ultimi quattro anni i tassi d’interesse americani siano saliti, passando dall’1 per cento del 2021 al 4,15 per cento di oggi. Di conseguenza, indebitarsi in yuan risulta attualmente più conveniente che indebitarsi in dollari americani: secondo il ministro delle Finanze kenyano John Mbadi l’accordo concluso con Pechino permetterà al suo paese di risparmiare 215 milioni di dollari.

Nel suo caso, i prestiti contratti in dollari comporterebbero interessi del 7 per cento da pagare, contro il 3 per cento di un debito denominato in renminbi. Se questo è vero, la Cina ha accettato di perdere risorse che avrebbe altrimenti incassato. Il motivo della sua decisione non sta nello spirito filantropico dei suoi governanti, ma nella volontà politica di internazionalizzare la propria moneta come riserva valutaria e di incoraggiare la dedollarizzazione dell’economia mondiale.

Fuga da valuta e debito Usa

La dedollarizzazione è già in corso da tempo, anche se procede nei fatti lentamente. Fanno tuttavia notizia avvenimenti come l’annuncio che Panama e Colombia, paesi molto dipendenti dal dollaro, abbiano deciso di contrarre nuovi prestiti in una valuta come il franco svizzero. O il fatto che la Cina, per un certo periodo detentrice numero uno di titoli di Stato del debito Usa, sia oggi scesa al terzo posto (dietro al Giappone e al Regno Unito), dopo aver venduto 600 miliardi di bond del Tesoro americano fra il 2016 e il 2023. Pechino si “accontenta†di detenere oggi circa 757 miliardi di dollari del debito pubblico Usa (che nel totale raggiunge la stratosferica cifra di 38 mila miliardi di dollari).

La stessa strategia di relativa dedollarizzazione della finanza sta prendendo piede in molti paesi. Scrive il quotidiano finanziario francese Les Echos:

«In Asia, nei paesi del Golfo e oramai in Africa i dirigenti politici cercano di ridurre la loro dipendenza dal dollaro per rafforzare i legami finanziari regionali, attenuare la loro esposizione ai cicli dei tassi di interesse americani, stabilizzare la gestione dei loro tassi di cambio e diversificare le riserve. Sul piano politico, questi paesi vogliono limitare la loro esposizione alle sanzioni e ai cambiamenti di politica di Washington. Nel frattempo la Cina ne approfitta per rafforzare la propria influenza su questi paesi».

L’espansione dell’influenza cinese

Gli effetti di questo riorientamento cominciano a farsi sentire. Nel quarto di secolo che va dal 1999 al 2024 la percentuale della valuta americana detenuta nelle riserve delle Banche centrali di tutto il mondo è scesa dal 71 per cento al 57,8 per cento delle riserve; negli ultimi otto anni, cioè fra il 2016 e il 2024, la percentuale è scesa dal 65,4 al 57,8 per cento.

A beneficiare di questo riaggiustamento però finora non è stata la valuta cinese, ferma a un modesto 2,1 per cento (che però è il doppio dell’1,1 per cento del 2016), né l’euro che alla fine del 2024 segnava più o meno lo stesso valore del 2016 (19,84 per cento contro il 19,14 per cento di otto anni prima), bensì l’insieme delle “altre valuteâ€, che comprendono anche lo yuan, ma soprattutto lo yen giapponese (5,82 per cento), la sterlina britannica (4,73 per cento), il dollaro canadese (2,77 per cento), il dollaro australiano (2 per cento) e il franco svizzero (0,8 per cento).

Convertire in yuan i prestiti in dollari fatti a paesi soprattutto africani (ma anche asiatici e latinoamericani) è certamente un modo per consolidare l’influenza cinese su questi paesi in una fase in cui Pechino tende a fare pochi nuovi prestiti. Attualmente i paesi emergenti versano alla Cina 3,9 miliardi di dollari di interessi all’anno sui debiti che hanno contratto con essa, cioè una cifra decisamente superiore ai nuovi prestiti cinesi. Non bisogna però dimenticare la grande operazione della realizzazione di progetti infrastrutturali, che hanno comportato anche molti prestiti e che la Cina ha condotto nei paesi emergenti fra il 2008 e il 2024: si calcola che essa abbia comportato investimenti per 472 miliardi di dollari.

Oro in cascina

Per garantire tangibilmente la sua moneta e per combattere la dollarizzazione della finanza mondiale la Cina ha poi inaugurato la politica dell’acquisto dell’oro. L’interesse della Cina per l’oro è apparso chiaro nel 2010, quando le sue riserve auree sono salite a 1.054 tonnellate, dalle circa 600 tonnellate del 2005. Dieci anni dopo, nel 2020, le sue riserve auree erano quasi raddoppiate di nuovo, raggiungendo quasi le 2 mila tonnellate. Alla fine del 2024 sono arrivate 2.279 tonnellate, quasi il quadruplo rispetto al 2005 e il 30 per cento in più rispetto al 2015, quando erano già diventate 1.762.

L’attuale quantità fa della Cina il sesto paese al mondo per quantità di riserve auree, in un mercato nel quale il prezzo dell’oro continua a salire. Ciò è dovuto non solo agli acquisti cinesi, ma anche a quelli di India e Russia, passate rispettivamente dalle 557 e dalle 1.414 tonnellate del 2015 alle 822 e alle 2.329 di fine 2024. Invece Stati Uniti, Germania, Francia e Italia sono rimaste sostanzialmente agli stessi valori che registravano nel 2015. Lo Shanghai Gold Exchange festeggia.

@RodolfoCasadei

Chiesa
Eravamo quasi riusciti a fare di san Francesco una Greta Thunberg del Duecento
Data articolo:Mon, 17 Nov 2025 03:15:00 +0000 di Berlicche

Mio caro Malacoda, so che hai fatto il possibile, hai suggerito argomenti risibili ai sostenitori della causa, hai creato concorrenze fra santi (prima san Giuseppe e poi santa Chiara), hai fatto pronosticare tracolli economici del paese (un costo di 4 miliardi di euro) però ci è andata male, il 4 ottobre, è tornato festa nazionale.
Eravamo riusciti a farne quasi una Greta Thunberg del Duecento. Avevamo trovato chi, l’onorevole pentastellata Patty L’Abbate, è riuscito nella non facile impresa di una doppia profanazione, quella del Poverello e quella dell’Aula del Parlamento italiano in cui ha pronunciato queste parole: «Francesco d’Assisi è il patrono dell’ecologia, e, se fosse oggi qui, vivo, sapete cosa farebbe? Lavorerebbe perché riconoscerebbe il cambiamento climatico, riconoscerebbe il discorso di una transizione ecologica. [E poi], sarebbe stato in prima fila, in questi giorni, a manifestare per la pace, perché i fratelli sono tutti uguali».
Ora, mi dispiace dirlo, ma anche noi d...

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Blog
Sesso “liberoâ€
Data articolo:Mon, 17 Nov 2025 03:10:00 +0000 di Annalisa Teggi

Si chiamava Barbara, ma voleva essere Barbie. È morta a 31 anni accasciata nel letto di un uomo che l’aveva contattata per servizi sessuali. Barbara Jankavski era un’influencer brasiliana nota con gli appellativi “Barbie umana†e “Bambola disumanaâ€, mostrava sui social la lunga strada a tappe di 27 interventi di chirurgia estetica per diventare la versione ideale di sé. In una delle sue foto più recenti si mostrava con gli occhi tumefatti in seguito a un lifting. Fuori contesto, poteva benissimo essere scambiato per un contenuto di violenza subita. E forse lo è, quei lividi sono anche i segni di un’ossessione contro se stessa, intrappolata – chissà per quale storia personale – a dover cambiare faccia e corpo, rimpolpando, scolpendo, tagliando, iniettando.
Tutto questo travaglio estetico non è approdato a una nuova nascita, ma al cadavere giovanissimo di una ragazza stordita di droghe, e morta mentre offriva servizi sessuali. Bambola disumana purtroppo, e di Barbie solo la posa ri...

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Società
La caduta della Bbc
Data articolo:Sun, 16 Nov 2025 03:55:00 +0000 di Piero Vietti

Che i grandi media della carta stampata, della tv e del web raccontino la verità dei fatti con imparzialità è una fake news a cui ormai non credono più neppure loro. Ha fatto notizia in questi giorni l’intervista mai avvenuta di Giovanni Falcone contro la separazione delle carriere tra giudici e pm citata da Nicola Gratteri in tv senza che nessuno lo smentisse in diretta e già usata dal Fatto quotidiano per criticare la riforma della giustizia. Col solito suo tono da saputello, Marco Travaglio ha chiesto scusa ai lettori, sollevando comprensibili dubbi in chi si chiede quante altre bufale spacciate per vere ma non scoperte vengono pubblicate sul giornale più giustizialista d’Italia. Il caso dello pseudo Falcone e del Fatto ci ricorda che giornalismo e verità raramente si “prendono†e che più una tesi è ideologica più “tutto fa brodo†per sostenerla.

Crolla il mito dell’imparzialità della Bbc. Ma non solo

In questo sono maestri i colleghi (si parva licet) della Bbc, travolti in questi giorni da uno dei peggiori scandali giornalistici degli ultimi tempi. Il servizio pubblico britannico di radio, televisione e informazione online è considerato da sempre esempio di imparzialità e accuratezza nel raccontare fatti e dare notizie, e ha ancora un’influenza profondissima non solo nel Regno Unito, ma in moltissimi Paesi del mondo, anche grazie alle edizioni “locali†e in altre lingue, su tutte quella araba.

In verità, il mito della Bbc come regina dell’informazione super partes scricchiolava già da qualche tempo, ma la recente pubblicazione da parte del Telegraph di una nota inviata al board della Bbc da un consulente indipendente, Michael Prescott, ha fatto cadere l’ultimo velo di ipocrisia. Prescott, che fino a giungo 2025 faceva parte del comitato che controlla gli standard e le linee guida del broadcaster pubblico britannico, ha esternato in un report ben documentato una profonda preoccupazione per il giornalismo a suo dire fazioso, fuorviante e falso della Bbc portando una serie di recenti e clamorosi esempi di disinformazione. Ed è stato ignorato. Fino a che quel documento non è arrivato al Telegraph.

Il discorso manipolato di Donald Trump

Il primo, gravissimo, caso è quello della manipolazione del discorso di Donald Trump del 6 gennaio 2021, giorno dell’assalto al Campidoglio da parte dei Proud Boys. Uno dei programmi di punta dell’emittente britannica, Panorama, ha unito due spezzoni di parti diverse e molto lontane tra loro del discorso per far credere agli spettatori che Trump avesse esortato i suoi sostenitori a scendere in piazza e combattere a Capitol Hill: «Andremo al Campidoglio, io sarò lì con voi e combatteremo. Combatteremo con tutte le nostre forze e se non combatterete con tutte le vostre forze, non avrete più un Paese».

Ma ciò che Trump aveva effettivamente detto era:

«E dopo questo, cammineremo, e io sarò lì con voi. Cammineremo, cammineremo. Chiunque voglia, ma credo proprio che cammineremo fino al Campidoglio, e faremo il tifo per i nostri coraggiosi senatori, deputati e deputate, e probabilmente non faremo il tifo per alcuni di loro. Perché non riprenderete mai il nostro Paese con la debolezza. Dovete mostrare forza e dovete essere forti. Siamo venuti per chiedere al Congresso di fare la cosa giusta e di contare solo gli elettori che sono stati legalmente designati, legalmente designati. So che tutti qui presto marceranno verso il Campidoglio per far sentire la propria voce in modo pacifico e patriottico».

Non solo: la clip del “discorso” era seguita da un filmato dei Proud Boys che marciavano verso il Congresso, così da dare l’impressione che questi sostenitori avessero raccolto la sua “chiamata alle armi”. In realtà, i Proud Boys avevano marciato verso Capitol Hill prima che Trump iniziasse a parlare.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto Ansa)
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump (foto Ansa)

La narrazione pro Pal su Gaza (e senza verifiche)

Come noto Trump ha chiesto immediate scuse al broadcaster, riservandosi di fare loro causa per un miliardo di dollari. Il direttore generale della Bbc, Tim Davie, e l’amministratore delegato di Bbc News and Current Affairs, Deborah Turness, si sono dimessi. Le scuse sono arrivate, sì, ma con toni ipocriti: «Sebbene la Bbc si rammarichi sinceramente per il modo in cui il videoclip è stato modificato, siamo fermamente in disaccordo sul fatto che vi siano i presupposti per una denuncia per diffamazione».

Nel report di Prescott sono elencati molti altri casi in cui la Bbc ha dimostrato parzialità, censurato fatti e notizie che non seguivano la narrazione voluta dall’emittente e imposto una linea ideologicamente schierata a sinistra spacciandola per super partes. Bbc Arabic, ad esempio, canale molto influente in una parte di mondo molto sensibile a come vengono raccontate certe notizie, ha dato copertura della guerra a Gaza, minimizzando l’aggressione araba «per minimizzare la sofferenza israeliana e dipingere Israele come l’aggressore».

Lo ha fatto gonfiando dati non verificati e smentiti dalle stesse Nazioni Unite, come quello del numero di morti di donne e bambini nel conflitto, parlando di fosse comuni fatte dagli israeliani quando in realtà si è scoperto che erano opera dei palestinesi, spacciando per verificate informazioni che arrivavano da Hamas e dando spazio nei propri programmi a ospiti che definivano gli ebrei come esseri inferiori e “diavoli”.

L’agenda pro Trans della Bbc

Come ha notato sul suo Substack (ripreso da The Free Press) la giornalista del Times Melanie Phillips, «questa è roba malvagia, malvagia. E arriva da un’emittente radiotelevisiva che è più influente in tutto il mondo – incluso il vulcanico Medio Oriente – di qualsiasi altra, perché considerata un punto di riferimento in termini di verità e correttezza». I dirigenti della Bbc hanno ignorato per oltre due anni le osservazioni del rapporto Prescott, rifiutandosi anche solo di riconoscere il problema.

Abbiamo già raccontato di come il memo di Prescott denunci anche il tentativo (riuscito) di portare avanti sulle tematiche Lgbt una agenda pro trans escludendo le voci critiche: dal grottesco articolo sul «latte dal seno maschile buono come quello femminile», alla censura di storie come quelle sui minori in transizione che avrebbero messo in crisi la narrazione sempre positiva di queste tematiche, fino alla recente sanzione per la presentatrice Martine Croxall, rea di avere alzato un sopracciglio mentre diceva “donne incinte” invece di “persone incinte” come scritto sul testo che doveva leggere. Come se non bastasse, dal rapporto Prescott emergono anche pregiudizi e censure nel modo in cui la Bbc ha coperto negli anni le politiche climatiche ed energetiche.

La giornalista di Bbc News Martine Croxall con capelli biondi e camicetta rosa shocking guarda direttamente verso la telecamera con un'espressione seria. Si trova in uno studio televisivo moderno con numerosi schermi e monitor in background che mostrano grafiche e altri contenut
Il momento in cui Martine Croxall, volto storico di Bbc News, corregge in diretta la formula «pregnant people» in «pregnant women»

La nemesi di chi ci mette in guardia dalle fake news

Come ha scritto ancora Phillips, il terremoto che ha investito la Bbc non riguarda soltanto il tema della parzialità, ma «è una frode giornalistica». La cosa è ancora più grave grave perché la Bbc è una delle testate che “dettano il clima” ai media di tutto il mondo: “lo ha detto la Bbc” fino a poco tempo fa era garanzia di notizia verifica, fonte affidabile, imparzialità. Bisogna sempre diffidare di quei media che si presentano come imparziali e giurano di raccontare solo i nudi fatti se non, addirittura, la verità: nel momento stesso in cui un giornale decide di dare prima una notizia rispetto a un altra, o di approfondire un tema rispetto a un altro, già sta dando un’opinione, provando a dettare un’agenda di priorità.

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Qualunque testata giornalistica esprime una linea, anche se c’è differenza tra un media privato e un broadcaster di Stato, pagato con le tasse di tutti i cittadini. Quello della Bbc non è il primo caso di grande media che censura opinioni sgradite al pensiero di sinistra o prova a influenzare il pensiero della gente con opinioni di parte. Ma quando manipolazione e falsificazione sostituiscono le opinioni, e la censura ideologica fa da filtro ai fatti, in gioco c’è molto più di una legittima sebbene discutibile linea editoriale.

Che non fosse più imparziale si sapeva da tempo, ma su quanti altri fatti ha mentito la Bbc, influenzando la narrazione dei media di tutto il mondo? La frode arriva da chi quotidianamente, da anni, fa lezioni sulla lotta alle fake news e sull’importanza di una informazione credibile come baluardo della democrazia. Una nemesi inquietante.

Interni
Delpini: «Milano deve reimparare a incontrarsi»
Data articolo:Sun, 16 Nov 2025 03:45:00 +0000 di Lorenzo Margiotta

Continua con monsignor Mario Delpini la nostra serie di interviste sulla crisi di Milano con figure della cultura, delle istituzioni, dell’economia, della società civile per riflettere sui problemi e le risorse della città, la sua “identitàâ€. Sguardi sul presente capaci di comprendere la storia e spingersi al futuro. Nei mesi scorsi: Gianni Biondillo, Raffaella Saporito, don Paolo Steffano, Sergio Scalpelli, Irene Tinagli, Marina Brambilla. Tutte le puntate della serie sono disponibili qui.
* * *
C’è un punto su cui Mario Delpini torna insistentemente nel corso del nostro dialogo sulla città, ed è «il cercare di rendere giustizia al bene che c’è, perché adesso sembra una consuetudine parlare di Milano come di un problema». Certo, «non è che manchi di problemi». Lui stesso aveva avuto modo di evidenziare come la città stia correndo il rischio di divenire «poco accessibile alla gente comune e con troppe disuguaglianze» ma, in ogni caso, serve fare lo sforzo di restituirne «le potenzialit...

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Cultura
Quale scuola per un paese civile?
Data articolo:Sun, 16 Nov 2025 03:15:00 +0000 di Carlo Marsonet

Parlare di scuola significa trattare di qualcosa che va oltre alla scuola presa semplicemente in se stessa. Un Paese come il nostro, che si affanna un giorno sì e l’altro pure a parlarne, ma nel modo e in riferimento ai temi sbagliati, dovrebbe tenerlo sempre presente. Bene ha fatto allora Claudio Giunta a curare la riedizione di Scuola sotto inchiesta. Saggi e polemiche sulla scuola italiana (IBL Libri). L’autore, Guido Calogero (1904-1986) è stato un importante filosofo, di matrice eccentricamente liberale: non è un caso che il libro venga pubblicato in una collana che si chiama proprio “Liberalismi eccentriciâ€. Antifascista e anticomunista, confondatore del Partito d’Azione e di orientamento liberalsocialista, Calogero fu una voce autorevole del settimanale Il Mondo, fondato e diretto da Mario Pannunzio. Contribuì pure a far nasce quella bizzarra creatura – un po’ come l’ircocervo liberalsocialista, o no? – che è il Partito Radicale.

La scuola dell’onniscienza

Uscito in prima edizione nel 1957, il testo constava di 34 articoli. La seconda, pubblicata nel 1965, aumentò di ben 19 saggi, ed è quella che viene ora riproposta. Si tratta, perlopiù, di pezzi usciti originariamente sul Mondo, a cui se ne aggiungono altri pubblicati sulla Stampa, Il Resto del Carlino, Nord e Sud e altrove. Il tema è quello della scuola, ma, come scrive nell’introduzione il curatore, il volume «si può anche leggere come un libro sulla vita, e in particolare sulla vita italiana». Calogero prende infatti di mira alcune tendenze italiche perniciose. Per esempio, la fissazione per la cultura generale, per la conoscenza della totalità.

Nel secondo saggio, La scuola dell’onniscienza, Calogero si chiede: com’è possibile richiedere a un ragazzo una conoscenza enciclopedica quando un adulto si ricorda poco e nulla, a distanza di anni, di quell’«enorme quantità di nozioni inutili» che gli vengono propinate negli anni della scuola? Un individuo che ha un’infarinatura di tutto, ma che non padroneggia nulla, si può davvero dire adulto e maturo?

La commedia della maturità

Un altro cavallo di battaglia ricorrente nella critica di Calogero è il latino. Non perché sia inutile in sé, quanto piuttosto per il modo in cui viene “insegnato†sui banchi di scuola. Da persona che padroneggiava tala lingua, Calogero ritiene però che non abbia molto senso esercitarsi nella sua scrittura, né fossilizzarsi eccessivamente sullo studio minuzioso e ripetitivo delle sue regole ed eccezioni grammaticali: col far ciò, si ottiene solo il risultato «di far odiare il latino, e di non farlo imparare, perché non si impara ciò che si odia». Le versioni, per lui, vanno semplicemente abolite: meglio sarebbe confrontarsi con i grandi testi antichi, interpretandone il significato e la loro persistente importanza nel corso della storia.

Un altro tema ancora è quella che chiama la commedia della maturità (titolo tra l’altro di un articolo). Molti si interrogano sulla errata deficienza, cioè o quella degli studenti o quella degli insegnanti, quando piuttosto, scrive, è forse proprio l’esame «il più deficiente di tutti». Per come è strutturato e per quello che dovrebbe attestare.

Le cose importanti della vita

In modo simile, Calogero se la prende con il valore legale del titolo studio: un pezzo di carta nudo e crudo che non attesta praticamente nulla, ma che funge essenzialmente «come una chiave opportuna per penetrare in qualche posto, e per asserragliarvisi».

Il libro è pieno di altri spunti di riflessione: al lettore curioso il piacere di scoprirli. Una citazione finale ci pare però doverosa: «lo scopo della scuola non è che lo studente studi, ma che lo studente impari. Le cose più importanti, nella vita, s’imparano tutte senza studiarle sui libri. E un maestro è tanto migliore quanto più gli studenti imparano da lui e meno hanno bisogno di studiare a casa» (corsivo nel testo). In questo pensiero c’è forse abbastanza materiale su cui meditare per un bel po’. E non è un male.

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L’accadere della felicità
Data articolo:Sun, 16 Nov 2025 03:00:34 +0000 di Emiliano Ronzoni

Non so se Anton Čechov si sia mai definito ateo. Solo una volta, mi pare che, almeno fra tutte le cose che ho letto, abbia dichiarato di non credere in Dio. Certamente si definiva laico. Il suo scrivere non aveva finalità – così diceva – ideologiche o religiose. Voleva solo mostrare “l’uomo così com’è, nella sua verità“. Io ho sempre trovato la sua partecipazione alla comune condizione umana commovente. Con la consapevolezza, aggiungo, che senza qualcosa che intervenga da fuori (cosa sia lui non lo dice, o, più verosimilmente, ha pudore a dirlo) niente lo può salvare dalla solitudine cui è condannato. Oggi vorrei proporvi brani di due suoi racconti, Beltà femminili e Lo studente.
Troveremo in essi traccia della domanda che ci accomuna tutti e, sorprendente, veramente sorprendente, una consapevolezza di cosa sia la Chiesa e del suo continuare nel tempo custodendo la presenza di Cristo, oggi difficile da rintracciare, starei per dire, perfino tra le stesse gerarchie ecclesiastiche.
Il ma...

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Il pensionato che è andato in pensione/depressione
Data articolo:Sun, 16 Nov 2025 03:00:00 +0000 di Fabio Cavallari

Nel Paese dei Normali vive un uomo che il giorno dopo la pensione si è svegliato presto per abitudine e non ha trovato niente da fare. Ha fatto colazione, ha rifatto il letto, poi ha rifatto la colazione. Alle nove era già nostalgico del traffico. Ha provato a leggere il giornale, ma gli mancava la fretta per capire le notizie.

Ha tentato un corso di pittura, ma gli è venuta l’orticaria da creatività. Ha provato col giardinaggio, ma le piante morivano per solidarietà. Si è comprato un cane, ma il cane dorme più di lui. Dice che la pensione è una vacanza dove nessuno ti aspetta al ritorno.

Ogni tanto passa davanti alla vecchia fabbrica e guarda il cancello come si guarda un ex amore. “Lì almeno sapevo chi eroâ€. La moglie gli ha proposto di fare volontariato, ma lui ha detto: “Dopo quarant’anni di obbedienza non me la sento di diventare utileâ€.

Male alle speranze

Al bar prende il caffè con gli altri pensionati, tutti in fila come in un ufficio senza stipendio. Si confrontano sui dolori come su investimenti a rischio. Uno dice “Io ho male alle ginocchiaâ€. L’altro risponde “Io alle speranzeâ€. Poi ridono, ma senza convinzione.

A volte sogna di timbrare di nuovo. Non per i soldi, ma per il gesto. Gli manca il rumore del cartellino, come un battito regolare che teneva insieme le ore. Quando torna a casa accende la radio e si emoziona se passa una sirena. “Ecco, qualcuno sta ancora correndoâ€.

Poi mette su l’acqua per la pasta e guarda l’orologio. Sono le dodici e mezza, anche se per lui da un po’ sono sempre le dodici e mezza.


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