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#news #tempi.it
Che un detective dell’unità abusi sui minori abbia dovuto perdere tempo a verificare se ricordare l’esistenza della Chiesa d’Inghilterra costituisca un crimine è già abbastanza tragico. Che il meccanismo del safeguarding (progettato per garantire che i bambini possano imparare in un ambiente sicuro) sia stato usato come clava contro un professore colpevole di dire la verità , e non bugie, ai propri alunni lo è ancora di più.
Il caso dell’insegnante londinese licenziato per aver ricordato a un alunno musulmano che «la Gran Bretagna è ancora uno Stato cristiano» non sarà quello del classico profanatore di “pronomi preferitiâ€, ma, quanto a conseguenze drammatiche, ha da fare concorrenza alle tante vittime della scuola inglese concepita come laboratorio di attivisti e con i bambini ridotti a cavie di un nuovo genere fantasy.
Ricapitoliamo i fatti. In una scuola primaria laica della capitale, alcuni bambini musulmani si lavano i piedi nei lavandini comuni prima della preghiera. La scuola vieta da tempo le preghiere nel cortile e, di conseguenza, le abluzioni rituali nei bagni condivisi: per questo ha messo a disposizione dei ragazzi una stanza apposita per pregare. L’insegnante richiama all’ordine i ragazzi, parla di tolleranza (valore britannico sancito dalla legge) e aggiunge che il Regno Unito è ancora uno Stato cristiano. Che il Re è capo della Chiesa d’Inghilterra e che l’Islam è tuttora una religione di minoranza nel paese.
Apriti cielo. Denuncia, sospensione, licenziamento, indagine di polizia per hate crime, con l’ispettore capo della squadra abusi sui minori, segnalazione al comitato di tutela. Siamo all’inizio del 2024. L’insegnante viene inserito nella lista nera dei docenti che non possono lavorare con i bambini. Motivo? Rischia di causare “danni emotivi”.
Solo dopo mesi di calvario la Teaching Regulation Agency archivia tutto: nessuna colpa, nessun caso. L’insegnante vince l’appello, trova un altro posto e ora fa causa al municipio con l’aiuto della Free Speech Union. Fine della storia? Non esattamente.
Quello dello “sfortunato” insegnante inglese (contro il quale sono state raccolte le dichiarazioni scritte di tre bambini, valutate da un funzionario di tutela, un assistente sociale, un consulente delle risorse umane, il preside della scuola, la polizia, e una équipe che ha concluso: il maestro è colpevole di “commenti islamofobi offensivi sull’Islam”) non delinea solo un eccesso britannico di political correctness.
E non solo per quel dettaglio cruciale, passato inosservato e su cui ha insistito solo Spiked: preoccupato per il bullismo settario tra gli studenti musulmani – ragazze prese in giro perché senza velo, ragazzi criticati per non digiunare come gli altri – il docente non si limitava a spiegare regole sui lavandini o a ricordare che il Regno Unito è uno Stato cristiano. Faceva il suo lavoro: applicava l’etica della tolleranza in una scuola laica.
In un’assemblea sui valori britannici aveva mostrato chiaramente che deridere chi pratica la fede diversamente è l’esatto opposto della tolleranza. Così, ha ricordato agli studenti che, se volevano lavarsi i piedi nel bagno sbagliato o prendere in giro chi “non era il musulmano giustoâ€, potevano sempre iscriversi a una scuola islamica diversa. Un suggerimento ragionevole, per chiunque riconosca il senso del buon insegnamento.
Quello dello “sfortunato” insegnante inglese e come è stato trattato fuori dalle mura scolastiche è però innanzitutto il sintomo di una malattia tutta europea: l’incapacità di dire con serenità chi siamo, da dove veniamo e su quali fondamenta poggia la nostra convivenza. Il Regno Unito è cristiano non perché tutti vadano in chiesa la domenica.
«Anche se meno della metà della popolazione si identifica ora come cristiana, il fatto che lo stato sia stato plasmato dal Cristianesimo per oltre 1.300 anni significa che non si ha alcuna speranza di comprendere la nazione e la sua cultura se non si comprende il Cristianesimo», scrive il Telegraph invitando a parlare di cristianesimo a scuola come atto di “inclusività radicale”. «Offrire a tutti gli alunni una comprensione del Cristianesimo significa offrire loro un modo per confrontarsi appieno con le complessità della vita britannica. Questo inizia dal livello più quotidiano. Cos’è il Natale?».
L’inglese moderno è nato con la traduzione della Bibbia del XVI secolo di William Tyndale, gran parte della quale confluì nella successiva versione di Re Giacomo. Da Shakespeare a T.S. Eliot, secoli di letteratura inglese senza la Bibbia rimarrebbero un libro chiuso. Deve tutto al cristianesimo la cultura (i canti, il calendario, l’architettura gotica, i dipinti della National Gallery, il paese disegnato da guglie, cimiteri e abbazie), ma soprattutto ogni gloria conquistata sul piano del progresso sociale, il sistema di “valori” britannico.
David Cameron lo disse senza giri di parole nel 2011, a Oxford, per i 400 anni della Bibbia di Re Giacomo. «Siamo un Paese cristiano e non dobbiamo avere paura di dirlo». Non era un proclama confessionale ma da uomo di Stato convinto che più una società è sicura della propria identità storica, più è capace di accogliere l’altro senza complessi di inferiorità o di superiorità .
La tolleranza britannica – quella vera, non la sua caricatura buonista – non è nata dal vuoto pneumatico del relativismo, ma dal cristianesimo. Dall’idea che ogni uomo è fatto a immagine di Dio e che quindi anche il re è sotto la legge; che la coscienza è inviolabile; che il Samaritano può essere moralmente superiore al sacerdote. Da lì vengono lo Stato di diritto, l’abolizione della schiavitù, il divieto del lavoro minorile, persino la possibilità per un musulmano di pregare cinque volte al giorno in una stanza messa a disposizione dalla scuola.
Invece oggi si preferisce il silenzio imbarazzato o, peggio, la censura. Si cambiano i nomi delle feste («Winter Jumper Day» invece di «Christmas Jumper Day»). Si rimuovono i presepi, si trasforma la tutela dei minori in una polizia del pensiero. E si finisce per fare il gioco di chi, all’estremo opposto, vorrebbe ridurre il cristianesimo a un’arma identitaria contro gli immigrati. Sia i multiculturalisti che si contorcono per non dire «Natale», sia i nazionalisti da pub che cantano i carols per scacciare i musulmani riducono il cristianesimo a un tribalismo di serie B, quando invece è stato la più potente macchina universalistica che la storia occidentale abbia prodotto.
Il Regno Unito farebbe bene a ricordarselo. E anche noi. Perché dire con tranquilla fierezza «siamo un Paese di tradizione cristiana» non è offendere nessuno: è il presupposto per trattare tutti – credenti, non credenti, musulmani, ebrei, indù – con il rispetto che meritano. Chi ha paura di questa affermazione non difende la pluralità : la tradisce. Perché priva chiunque della possibilità di capire dove si trova e di inserirsi in una storia più grande. Ma queste sono ovvietà da scuola elementare.
Come quelle spiegate in classe da un insegnante di Londra e che lo hanno fatto finire al patibolo come pericoloso corruttore di minori.
Per gentile concessione dell’autore ripubblichiamo un articolo di Antonio Gozzi apparso su Piazza Levante.
* * *
Venerdì scorso è stata pubblicata la National Security Strategy, il documento dell’Amministrazione Trump che delinea la strategia di medio-lungo termine degli USA.
L’Amministrazione Trump con questo documento introduce un cambio di paradigma che va ben oltre la politica estera. In appena una trentina di pagine la Casa Bianca abbandona trenta anni di dottrina interventista e mette al centro dell’azione strategica non l’esportazione della democrazia ma la ricostruzione della potenza industriale americana
È America First, con l’obiettivo di “proteggere il Paese e il suo stile di vita†fino al ripristino della “salute spirituale e culturale†degli USA. I principi operativi ruotano all’interno di un perimetro ristretto di interessi nazionali: pace attraverso la forza, non interventismo selettivo, realismo flessibile, centralità della nazione, equilibrio di potenza, lavoratore americano al centro, equità , competenza e merito.
Si afferma che “l’era delle migrazioni di massa è finita†e che bisogna garantire la tutela dei diritti fondamentali ai cittadini americani. Si afferma che si deve operare per una redistribuzione degli oneri e che la sicurezza economica deve essere basata su un commercio bilanciato, sull’accesso alle materie prime critiche e alle supply chain critiche, sulla reindustrializzazione, sulla ricostruzione della base industriale della difesa, sulla supremazia energetica e finanziaria.
Nei confronti degli altri Paesi, specie quelli delle Americhe, non si vuole proseguire con il modello storico di mano d’opera e materie prime a basso costo, ma a una ridefinizione dei rapporti di forza. Il piano al riguardo prevede l’allargamento dei partner e la progressiva marginalizzazione dei “competitor extra-emisferici†e lo si fa con toni che in taluni passaggi richiamano antiche prassi di cambio di regime.
In Asia si punta a “vincere il futuro economico†e a prevenire la guerra. Anche se Trump accetta la vendita alla Cina di chip di Nvidia meno avanzati, la NSS specifica che gli USA riequilibreranno la relazione economica, imponendo reciprocità per stabilire l’indipendenza economica americana. Il commercio con la Cina dovrà essere bilanciato e limitato a settori non sensibili.
Washington intende “resistere ai sussidi predatori†e incoraggiare le maggiori economie a riorientare il modello cinese verso il consumo interno. Si punta in poche parole a un blocco comune a diversi Paesi con a capo gli USA con una tariffa esterna comune contro Pechino. Tale blocco dovrà essere accompagnato da un rafforzamento della deterrenza nell’Indo-Pacifico, con maggiori oneri militari per gli alleati da Taiwan ai Paesi dell’area del Mar Cinese meridionale.
Sull’Europa la diagnosi è impietosa: declino e rischio di “estinzione civileâ€. L’elenco delle critiche al modello UE è lungo e giunge alla previsione che se le tendenze attuali proseguiranno il continente in vent’anni sarà irriconoscibile.

La domanda reale contenuta nel NSS è se alcuni membri della Nato avranno ancora economie e forze armate in grado di renderli alleati affidabili. E il testo si spinge oltre: “Nel lungo periodo è plausibile che certi membri della Nato diventino a maggioranza non europea, e per ciò resta incerto come vedranno il loro ruolo nel mondo e nell’Alleanza atlanticaâ€.
Parte degli organi di informazione e della politica europea hanno enfatizzato il presunto definitivo “divorzio†tra USA, a conduzione trumpiana, e l’Europa e hanno sottolineato le vere e proprie scorrettezze contenute nel NSS a proposito dell’incapacità dell’UE di individuare un’uscita da questa crisi verticale e della necessità di ridare spazio e potere agli Stati nazionali.
Il FT parla di scontro di civiltà tra America e Europa, anche se la NSS ribadisce che il continente resta “strategicamente vitaleâ€. Ma la ricetta è chiara: aiutare l’Europa a correggere la propria traiettoria riforgiandola Stato per Stato bypassando Bruxelles con una priorità dichiarata: “Coltivare la resistenza alla traiettoria europea all’interno delle nazioni europeeâ€.
In realtà dà molto fastidio che l’Amministrazione Trump, ma Biden non era distante da queste posizioni, abbia capito quella che è la reale sfida dei prossimi anni: impedire che l’industria manifatturiera americana ed europea venga spazzata via dalla sleale competizione cinese.
La NSS sostiene anche che è interesse degli USA “negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucrainaâ€. Eppure dopo l’incontro con Macron, Starmer e Mertz, Zelensky ribadisce che non cederà territori. Il conflitto può trascinarsi a lungo e Washington può defilarsi lasciando all’Europa il compito di pagare e armare Kiev. In parallelo si apprende che gli USA intendono trasferire la gestione operativa della NATO all’Europa entro il 2027. Se ciò accadesse il piano UE di portare la spesa militare al 3,5% del PIL entro il 2035 diventerebbe risibile. In uno scenario come quello attuale di né pace né guerra con la Russia servirebbero spese militari pari all’8-10% del PIL nei prossimi due anni per provare a contrastare l’aggressività russa rinforzata dal disimpegno americano.
Inoltre il vice Segretario di Stato USA ha avvertito che Washington non accetterà più che gli stessi governi parlino di “Alleanza†nei meeting della Nato per poi cambiare cappello nel formato UE e promuovere politiche anti-USA.
In sintesi la NSS colloca l’Europa, nella sua configurazione attuale, in una posizione geopolitica difficile, senza buone opzioni.
Se l’UE scegliesse la via dell’intesa con la Cina – come sembra suggerire Macron tra una minaccia commerciale e l’altra – finirebbe per esasperare Washington, mentre le pratiche commerciali cinesi macinano risultati record negli ultimi mesi, come ha ben evidenziato la stampa italiana (1000 miliardi di Usd di esportazioni negli ultimi sei mesi).
Ma anche una posizione di terzietà è difficile. Pretendere di non schierarsi e di fare l’arbitro tra i due grandi giocatori, USA e Cina, non porta a niente perché l’arbitro non vince mai.
Karim fa la pizza in una pizzeria di periferia e ride come se fosse già al festival dell’unità nazionale. Si chiama Karim, ma in pizzeria lo chiamano “Carloâ€, perché il titolare dice che “fa più localeâ€. Lui ride: «Va ben, l’importante l’è che mi paga in euro».
Lavora dodici ore al giorno, canta Vasco mentre impasta e parla un misto di arabo, dialetto e sarcasmo. Dice di fare la pizza meglio di un napoletano e ogni volta che lo dice, un napoletano da qualche parte cambia religione. «Io metto amore, ma senza sentimentalismo», spiega, «e il forno deve avere carattere, mica sensibilità ».
I clienti lo adorano. Una volta una signora gli ha chiesto se fosse italiano. «Quasi», ha risposto. «Tifo Inter e mi lamento delle tasse». Quando va in ferie torna al Cairo, ma dopo tre giorni sente nostalgia del traffico di Milano. «Là guidano tutti come matti. Qui invece con più educazione».
Karim parla milanese con accento del Nilo. «Eh belìn, oggi poca clientela, sarà colpa del governo». Gli amici ridono. Lui non sa quale governo, ma è la frase giusta in ogni stagione. Quando l’Ispettorato del lavoro è venuto a controllare, ha offerto una margherita: «Così vedono che lavoro onesto».
Dice che si sente italiano dentro, ma con passaporto scaduto. E quando qualcuno gli chiede se crede nell’integrazione risponde: «Certo. Prima impasto io, poi impasti tu, poi mangiamo tutti». Poi sorride, guarda il forno e aggiunge: «L’importante è non bruciare. Né la pizza, né la vita».
Carenza di risorse, mancanza di medici e infermieri, liste di attesa infinite, pronto soccorso intasati… ogni giorno della sanità leggiamo queste cose. Eppure tutti sappiamo quanto la sanità interessi la vita di tutti.
Anche in Lombardia non tutto funziona al meglio, benché il nostro rimanga un sistema sanitario di eccellenza, come testimoniato dalle migliaia e migliaia di “pendolari della sanità †che vengono a farsi curare da noi. Anche qui il 10 per cento della popolazione nel 2024 ha rinunciato a farsi curare o per il costo o per l’eccessiva lunghezza delle liste di attesa o perché non ha trovato la risposta sperata: un milione di persone! La percentuale di chi fa ricorso a prestazioni private interamente a pagamento è cresciuta nel solo 2024 dal 20 al 24 per cento.
Quali politiche e quali prospettive possiamo immaginare dunque per la sanità futura?
Ne abbiamo parlato questa settimana al Pirellone in un convegno organizzato da Noi Moderati che ha visto la presenza di esperti, operatori, direttori del sistema sanitario, l’assessore Bertolaso, politici regionali e parlamentari.
Nel mio intervento ho voluto ricordare come più che rincorrere le emergenze – rispetto alle quali si rischia di essere sempre un passo indietro – sia necessaria una visione capace di ripensare la sanità . Sì, dobbiamo tornare a “pensare la sanità â€, come titola un libro recente di Stefano Zamagni e Luca Antonini, in un mondo che cambia, dove la demografia detterà le condizioni del futuro: meno bambini e giovani (quindi meno ostetrici, ginecologie, pediatrie), più anziani, di cui un numero proporzionalmente crescente vivrà un numero significativo di anni (la vita media si allunga, ormai oltre gli 84 anni) non in buona salute, spesso con malattie croniche, quindi domandando maggiori cure e sanità .
Come sarà possibile garantire un sistema ispirato ai principi di equità , universalità e uguaglianza, in queste nuove condizioni? Dove trovare le risorse? Quali idee e direttrici perseguire?
In Lombardia quasi trent’anni fa mettemmo in campo una visione basata su principi tutt’ora validi: l’idea che “pubblico†non coincide con “stataleâ€, ma che è pubblico tutto ciò che può essere accessibile liberamente e gratuitamente dai cittadini, dentro un sistema di accreditamento che garantisca qualità e regole paritarie di concorrenza, remunerando le prestazioni con i medesimi importi a prescindere che a erogarle sia un soggetto pubblico o no. Così abbiamo aperto alla sanità no-profit e a quella “privata†e sono nate e cresciute tante realtà , dai laboratori di esami e diagnostica ai grandi gruppi come Humanitas, San Donato, ecc. Il secondo principio cardine della visione di allora era la libertà di scelta del cittadino, che poteva scegliere di farsi curare ovunque desiderasse (non dunque come in altre regioni italiane solo dall’ospedale pubblico del suo distretto) perché questo – partendo dal presupposto che ciascuno avrebbe scelto l’ospedale ritenuto migliore – sarebbe stato il modo migliore per innalzare la qualità di tutto il sistema in un “quasi mercatoâ€.
Questo modello però ha generato anche alcuni problemi: un certo eccesso di offerta, problemi crescenti di appropriatezza, la tendenza a preferire le prestazioni più semplici o meglio remunerate e a lasciare al pubblico le alte complessità e le prestazioni più onerose.
Cosa serve dunque oggi?
Provo a indicare 5 nodi culturali e politici e 5 piste di possibile soluzione
1. È necessario abbandonare una idea “prometeica†della sanità , secondo la quale implicitamente si pensa che se il sistema funzionasse non si dovrebbe morire mai! Evidentemente non è così e persino l’Art. 32 della Costituzione, più che stabilire un “diritto alla salute†(chi può esigerlo e chi può garantirlo), andrebbe letto come un diritto alla cura, sempre necessaria e possibile, anche quando non fosse possibile la guarigione.
2. Si deve curare e “prendersi cura†dell’ammalato, cioè della persona nella sua integralità , non della malattia. La sanità è una questione di relazione fra soggetti, non può ridursi ad “aggiustare†degli oggetti. Per questo l’umanizzazione delle cure è decisiva e va respinta una visione “cartesiana†della sanità a favore di una personalistica.
3. Al centro del sistema devono rimanere le persone, a cominciare, oltre che dagli ammalati, dai professionisti e dagli operatori sanitari. Le persone, non le strutture: non basta realizzare ospedali, case di comunità , centrali operative territoriali, POT, PREST, ecc.. se non è chiaro chi e come le farà funzionare.
4. L’equità , l’universalità e l’uguaglianza del sistema non si garantiscono per Decreto! Infatti, al di là delle affermazioni di principio, oggi non esistono, come dimostrano le differenze di costo (un giorno di degenza costa 374 euro al San Giovanni XXIII di Bergamo, 827 euro a Cosenza e addirittura 1.326 euro al Vanvitelli di Napoli) e di qualità tra un territorio e un altro. Occorre creare condizioni di sistema che dal basso spingano verso l’equità e generino uguaglianza.
5. Occorre misurare la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni più che il numero e la quantità , come troppo spesso facciamo oggi. Un ospedale che facesse molte prestazioni perché costringe lo stesso paziente a tornare più volte in quanto non guarito non è certo meritevole. Al contrario la sanità migliore è quella che crea le condizioni, attraverso la prevenzione, la promozione di corretti stili di vita, ecc., perché la gente ne abbia sempre meno bisogno.
Quali politiche dunque per la sanità del futuro? In che direzione lavorare per affrontare questi nodi e contribuire a risolverli? Anche qui 5 spunti di riflessione.
a) Libertà di scelta dei cittadini in un sistema di “welfare mixâ€, dove coabitano erogatori publici, privati e no-profit in un sistema di accreditamento regolato e sorvegliato dalle regioni, non solo per gli ospedali (già oggi in Lombardia la metà dei 205 presidi ospedalieri sono di privati accreditati), ma anche per tutti i servizi territoriali: Case e ospedali di comunità , COT, Prest, farmacie dei servizi, ecc, includendo e valorizzando la nutrita rete dei servizi sanitari e sociosanitari già esistente, che in Lombardia include oltre 10 mila erogatori fra RSA, RSD, CDI, CDD, ADI, SMI, Consultori, Farmacie, ecc.
b) Costruire sistemi premianti per chi segue corretti stili di vita e di prevenzione: paradossalmente oggi il sistema sanitario “premia†chi è malato, curandolo gratuitamente qualunque sia la causa, e non incentiva chi fa di tutto per rimanere sano. Più che penalizzare chi non segue comportamenti corretti è meglio incentivare chi lo fa, soprattutto con un attenzione crescente per la prevenzione.
c) Difficile pensare che in futuro le risorse pubbliche per la sanità potranno crescere significativamente. Occorrono altre soluzioni per dare risorse al sistema. Un modo può essere prevedere tra i LEA (livelli essenziali di assistenza), che dovranno continuare ad essere garantiti per tutti gratuitamente a carico della fiscalità generale, e la sanità a pagamento a condizioni di mercato (che dovrà restare tale, come ad esempio nel caso della chirurgia estetica), un livello intermedio di tipo assicurativo o mutualistico, basato su forme di welfare aziendale o contribuzione volontaria, che nel tempo diventi progressivamente crescente
d) Investire nelle nuove tecnologie, ma sempre come supporto alla relazione personale tra paziente e medico. La medicina predittiva e personalizzata, la telemedicina e tele assistenza, la robotica chirurgica, il sequenziamento del genoma, ecc. possono essere strumenti formidabili per superare i limiti di tempo e conoscenza, anche grazie ai big data e alla intelligenza artificiale. Ma io spero di non vedere mai l’alba del giorno in cui a curarmi sarà un macchina e non una persona, aiutata dalle macchine migliori
e) Cambiare approccio: “Dall’orientamento al prodotto all’orientamento al clienteâ€; troppo spesso le politiche sanitarie sono pensate con riferimento alle esigenze del sistema, non del cittadino utente. Mettiamoci nei panni della signora Maria che sta male o deve accudire chi sta male. Oggi cosa può fare oltre che correre al PS? A chi può telefonare? Dove altro può andare? Cosa conosce delle alternative esistenti? Il rapporto fra ospedale e territorio può essere affrontato e risolto solo se lo si prende dalla parte delle esigenze del cittadino e non da quelle del sistema sanitario.
Il video dell’incontro “Liberi liberi siamo noi, ma liberi da che cosa… L’interminabile ’68â€. Promosso dal Centro culturale Alessandro Manzoni, l’incontro si è tenuto l’11 dicembre presso la Casa dell’economia a Lecco. Coordinati da Gianluca Bezzi sono intervenuti Giuliano Ferrara, giornalista e fondatore del Foglio, e il medico e professore onorario di Igiene Giancarlo Cesana, autore de L’interminabile ’68 (Liberilibri).
***
Caro direttore, vorrei mandarti il mio personale Te Deum. Ringrazio innanzitutto per i primi spiragli di tregua a Gaza e in Ucraina. E poi perché ogni anno divento più consapevole di cosa è la vita e la realtà . Ringrazio perché sono riuscito a vedere Parigi (viaggio che da molto tempo desideravo fare, città bellissima che vi consiglio di visitare, qui sotto vi metto una foto che ho scattato io), per i molti amici e, soprattutto, per la mia famiglia che mi sostiene e mi vuole bene. Ringrazio perché, per la prima volta, ho votato e ringrazio di essere arrivato in quinta liceo (fatto per me non scontato: è come se avessi scalato un’alta montagna). Passo dopo passo, ogni anno divento sempre più grande e mi aspetto che il prossimo anno sia ancora più bello di quello che sta per concludersi.
Vi lascio con una mia poesia.
Poesia di Fine annoÂ
Anno belloÂ
Anno importanteÂ
Anno significativo.Â
Anno GiubilareÂ
Anno amorevoleÂ
Anno da ricordare.
Anno da non dimenticareÂ
Anno da amareÂ
Anno da fotografare.Â
Benedetto Frigerio Padova
Benedetto, detto “Ben”, è un caro amico figlio di un carissimo amico. Pubblichiamo sempre le sue lettere perché, nella loro elementare chiarezza, ci ricordano l’essenziale. La vita è arcigna a chi le mostra il broncio, come diceva Mounier, ma è un’avventura piena di sorprese per chi è certo di essere amato.
