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Scuola
Libertà di educazione. Primo sì al buono scuola nazionale
Data articolo:Sat, 20 Dec 2025 03:55:00 +0000 di Emanuele Boffi

Scuole paritarie: c’è una buona notizia che potrebbe diventare ottima. Ieri in Commissione bilancio al Senato è arrivato un primo ok al buono scuola nazionale per gli studenti meno abbienti che frequentano gli istituti non statali. È stata approvata la formulazione definitiva dell’emendamento di Noi Moderati, a firma Gelmini e Versace, che ora sarà sottoposta al vaglio del Senato e poi, dopo Natale, alla Camera. La misura prevede un contributo fino a 1.500 euro per i nuclei familiari con un Isee non superiore a 30 mila euro e riguarda gli studenti che frequentano le scuole paritarie secondarie di primo grado o il primo biennio delle secondarie di secondo grado.

Soddisfazione è stata espressa dal leader di Nm Maurizio Lupi che ha sottolineato la «significativa affermazione di principio per cui in una legge di Bilancio dello Stato viene riconosciuto concretamente il principio della libertà di scelta delle famiglie, a cui la nostra Costituzione riconosce il diritto e il dovere dell’educazione dei figli». E da Mariastella Gelmini: «Il cosiddetto “buono scuola” per le paritarie è una misura di libertà e di civiltà».

La promessa di Meloni

È un altro passo in avanti verso una effettiva parità, come era stato promesso questa estate dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni dal palco del Meeting di Rimini:

«E se vogliamo avere il coraggio di portare altri mattoni nuovi nel mondo dell’educazione, io penso che non dobbiamo avere timore nel completare il percorso avviato in questi anni, trovare gli strumenti che assicurino alle famiglie, in primis alle famiglie con minori capacità economiche, di esercitare pienamente la libertà educativa sancita dalla Costituzione. L’Italia rimane l’ultima nazione in Europa senza un’effettiva parità scolastica e io credo che sia giusto ragionare sulla questione con progressività, con buon senso, ma soprattutto sgombrando il campo da quei pregiudizi ideologici che per troppo tempo hanno impedito di affrontare seriamente il tema».

Chi invece ha perso una buona occasione per tacere è la senatrice del Movimento 5 stelle Barbara Floridia che ha criticato la misura coi soliti vecchi argomenti della propaganda statalista. «Forse le famiglie che mandano i figli alla scuola pubblica valgono meno di chi li manda alle scuole private?», ha detto.

Sono i vecchi slogan di chi finge di non conoscere cosa dica la legge Berlinguer del 2000 e quanto le scuole paritarie facciano risparmiare alle casse dello Stato. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, oltre a salutare come un fatto positivo l’approvazione dell’emendamento, ha ricordato che «come chiarito in modo inequivocabile dagli uffici Studi di Camera e Senato, continuiamo a incrementare le risorse destinate alla scuola italiana: le spese autorizzate a favore del bilancio del ministero dell’Istruzione e del Merito aumentano infatti per il 2026 di circa 960 milioni di euro. L’incidenza della spesa per la scuola sul bilancio dello Stato crescerà nel 2026, passando dal 6,2 al 6,3 per cento. Siamo ora in attesa dell’approvazione di un altro importante emendamento che stanzia 20 milioni di euro aggiuntivi per l’acquisto dei libri di testo sempre in favore delle famiglie meno abbienti».

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L’annosa questione dell’Imu

A questa notizia se ne aggiunge una seconda che mette fine a una questione ventennale. Un articolo della legge di bilancio chiarisce che le scuole paritarie non devono corrispondere l’Imu, a condizione che la retta media sia al di sotto del “Costo medio per studente” stabilito ogni anno dal ministero dell’Istruzione.

«Finalmente – ha scritto in una nota il network Sui tetti -, la legge di bilancio 2026 apre una breccia contro la discriminazione a danno delle famiglie meno abbienti, inserendo un iniziale buono-scuola, che, secondo i virtuosi esempi di Lombardia e Veneto, offre uno strumento concreto di libertà per l’educazione dei propri figli». Tutto questo è stato possibile grazie all’impegno di alcuni ministri, Valditara, Giorgetti e Roccella, i sottosegretari Frassinetti e Mantovano e, come ricorda anche Sui tetti, grazie al lavoro di alcuni parlamentari come «Gelmini, Lupi, Lotito, Malagola, Gusmeroli, Malpezzi, Paroli, Cesa, Gasparri, Malan, Romeo».

Esteri
Un prestito «razionale» per aiutare l’Ucraina a trattare la pace
Data articolo:Sat, 20 Dec 2025 03:45:00 +0000 di Leone Grotti

La macchina della retorica, in Europa e non solo, non si ferma mai. E così all'indomani del Consiglio europeo, che ha deciso di prestare 90 miliardi all'Ucraina senza però intaccare gli asset russi congelati in Belgio, è tutto un parlare di pavidità e fallimento.
Soldi o sangue
Il più citato dalla stampa è il premier polacco Donald Tusk, che si è esercitato in una modernizzazione dell'aut aut draghiano: «Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?». Tusk l'ha messa giù così: «La scelta è semplice: o i soldi oggi o il sangue domani. E non parlo solo dell'Ucraina, ma anche dell'Europa».
Parole che hanno fatto breccia nel cuore di molti, ma non in quello di tutti. Grazie soprattutto all'opposizione di Italia e Francia, alla fine tra i Ventisette ha vinto una linea pragmatica, in grado di perseguire gli obiettivi strategici dell'Ue, senza però rischiare troppo. Il premier belga Bart De Wever l'ha spiegata così: «È chiaro che molte persone non hanno apprezzato l'accordo. Volevano punire ...

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Sport
Da dove comincia la crisi della Fiorentina (e chissà quando finirà)
Data articolo:Sat, 20 Dec 2025 03:15:00 +0000 di Sandro Bocchio

Per ritrovare l’ultima vittoria in Serie A occorre risalire al 25 maggio e all’avversaria contro cui dovrà giocarsi (quasi) tutto. Giornata conclusiva della stagione 2024-25, Udinese-Fiorentina 2-3. Viola sesti e pronti a un ambizioso salto di qualità. Sette mesi dopo, l’incubo sportivo. Sei punti in classifica e nessun successo in 15 partite, due allenatori che si sono già alternati in panchina e turno pre-natalizio con l’Udinese, nel triste catino di un Franchi in perenne ristrutturazione. Un appuntamento che la Fiorentina affronta sull’onda dell’ennesima sconfitta, quella incassata giovedì sera in Conference League a Losanna. Un torneo in cui era stata protagonista con le due finali nel 2023 e nel 2024 e la semifinale nell’ultima edizione, e che ora la vede obbligata agli spareggi per raggiungere gli ottavi.

Ma l’Europa resta l’ultimo dei problemi viola. Il primo, quello principale, è evitare una retrocessione che manca dal 2002, dai giorni terminali dell’impero Cecchi Gori, prima del fallimento. E la Fiorentina si presenta all’ennesimo appuntamento che conta seguendo il solito schema all’italiana: turnover spinto in coppa, per risparmiare i titolari, più ritiro immediato (per tacere dei patti squadra-tifosi). Buona fortuna…

La morte di Barone è l’inizio della crisi della Fiorentina

La crisi attuale può avere una precisa data di origine. Il 19 marzo 2024 quando, dopo due giorni di ricovero, muore Joe Barone. Era stato vittima di un malore nel ritiro prima della partita con l’Atalanta. Era l’uomo intorno al quale ruotava la Fiorentina, l’uomo di fiducia in Italia del patron Rocco Commisso, poco propenso a muoversi dagli Stati Uniti. Un personaggio ruvido con tutti, senza sconti: poteva essere un collega dirigente, un giornalista o un tifoso. Magari non sapeva molto di calcio, ma che era perfetto per il compito da assolvere: fare in modo che tutto funzionasse al meglio, in società, come nella squadra. Non a caso viveva a tempo pieno al Viola Park.

Il presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, con l'allora direttore generale Joe Barone in tribuna al Franchi, il 2 ottobre 2022
Il presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, con l’allora direttore generale Joe Barone in tribuna al Franchi, il 2 ottobre 2022 (foto Ansa)

Morto Barone, lontano Commisso, la Fiorentina non ha più avuto una figura cui guardare con certezza. E i nodi sono venuti tutti al pettine quest’anno. Infelice la scelta di richiamare Stefano Pioli in panchina, con scelte mai convincenti nell’assetto tattico. Peggio ancora la campagna acquisti, con una spesa di 92 milioni e acquisti top finora rivelatisi clamorosi flop: i 25 milioni al Cagliari per Piccoli (un gol in campionato) e i 16 al Parma per Sohm (inconcludente a centrocampo). A questo si sono aggiunti la crisi di Kean, passato dal ruolo di vice capocannoniere del compagno in azzurro Retegui – con 19 gol – a attaccante da due sole reti. Se l’alternativa sono il già citato Piccoli e il quasi 40enne Dzeko, i conti si fanno facilmente.

Poi la crisi perenne di Gudmundsson, un centrocampo dove il solo Mandragora prova a dare idee, una difesa friabile e un De Gea non più infallibile tra i pali, aiutano a spiegare il contesto. Un contesto in cui Pioli, dopo essersela presa con Allegri (che in estate non piazzava la Fiorentina in zona Champions), non ha trovato soluzioni, fino allo stucchevole balletto dimissioni sì-dimissioni no e al conseguente licenziamento dopo il ko interno con il Lecce del 2 novembre. Paolo Vanoli non ha fatto meglio in termini numerici del predecessore (0,4 punti a match per entrambi) e, se possibile, ha spento ancor più la squadra, come si è visto in Svizzera.

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Tifoseria depressa e stadio non finito

Una depressione che si allarga fino alla tifoseria, incredula per quanto sta accadendo. Sono lontanissimi i tempi in cui si sognava lo scudetto con la proprietà Della Valle e Prandelli in panchina. Non c’è stato più il coraggio di puntare su allenatori emergenti come Italiano e Palladino, autori delle fortune recenti del club. Chi può, prova ancora a ironizzare, ma con un sorriso amaro. I tifosi più accesi, quelli della Fiesole, ne hanno piene le tasche. Quelli più tranquilli, come il Centro Coordinamento Viola Club, hanno fatto sapere di non riconoscersi nella proprietà.

L'allenatore della Fiorentina Paolo Vanoli accanto alla panchina nello stadio Artemio Franchi di Firenze. Vanoli è stato chiamato al posto di Pioli per uscire dalla crisi
Perplesso. L’allenatore della Fiorentina Paolo Vanoli (foto Ansa)

La Fiorentina non è più il simbolo unificante di una città che fatica a ritrovare un’anima, tra eccessi di turismo e brand acchiappa-stranieri. Lo stesso Franchi è il riassunto plastico della situazione. Commisso avrebbe voluto un impianto nuovo e di proprietà, non se ne è fatto nulla. Nella ristrutturazione dello stadio non vuole mettere soldi, a meno che non gli venga garantita carta bianca nella gestione (cosa che non succederà). E i lavori vanno a rilento. Ad agosto 2026 avrebbe dovuto essere pronta la curva Fiesole per i 100 anni del club, invece ritardi vari hanno spostato la data a febbraio 2027, mentre per la riapertura totale dello stadio si prevede uno slittamento al 2029-30. Ma che Fiorentina riaccoglierà?

Esteri
Che vergogna i silenzi e le ambiguità della sinistra sugli attacchi agli ebrei
Data articolo:Sat, 20 Dec 2025 03:00:00 +0000 di Antonio Gozzi

Per gentile concessione dell’autore ripubblichiamo un articolo di Antonio Gozzi apparso su Piazza Levante.

* * *

Sono a Roma nel mio ufficio di piazza di Montecitorio e nella piazzetta davanti alla Camera una ventina di militanti pro Pal continuano a gridare slogan contro Israele (dal fiume al mare), contro il sionismo, contro gli ebrei.

Siamo a meno di 48 ore dalla strage di Sydney, un attentato organizzato da due estremisti (padre e figlio) che hanno fatto giuramento di adesione all’Isis; un gesto di odio e violenza inauditi che colpisce al cuore la comunità ebraica che stava festeggiando, in un clima di pace e serenità, la festa dell’Hanukkah, la festa delle luci, una festa che celebra la libertà religiosa, la resistenza culturale e il prevalere della luce sulle tenebre.

Nella tradizione ebraica il tema delle luci e delle tenebre ha un significato teologico, morale e simbolico molto profondo. Non indica solo il contrasto fisico tra giorno e notte, ma soprattutto quello tra ordine e caos, bene e male, conoscenza e ignoranza, presenza e assenza di Dio.

La strage di Sydney dimostra ancora una volta che, in Occidente, l’antisemitismo è una piaga devastante molto più diffusa di quello che pensiamo.

Tra le persone uccise sulla spiaggia c’è Alex Kleitman, un uomo di 87 anni che era sopravvissuto all’Olocausto, ucciso, come tutte le altre vittime, solo e semplicemente perché era ebreo. Si continuano a uccidere ebrei in quanto tali, a Sydney, come ad Amsterdam, come a Parigi, a prescindere dalla loro nazionalità, dalle loro convinzioni politiche, dal loro status sociale, si uccidono solo perché ebrei.

Il messaggio è chiaro: non siete al sicuro da nessuna parte, nemmeno mentre accendete una candela su una spiaggia dall’altra parte del mondo.

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Di fronte a tutto ciò noi non possiamo non vedere e non sapere, non possiamo fare finta di niente e voltarci dall’altra parte come fecero purtroppo in molti, anzi moltissimi, in Occidente a partire dal 1938 quando in Germania e poi in Italia iniziarono le persecuzioni che portarono alla Shoah.

È il momento di decidere da che parte stare dicendo parole chiare e ferme su coloro che demonizzano lo Stato ebraico, sui politici che tollerano e giustificano slogan genocidari e manifestazioni nelle quali in testa ai cortei ci sono striscioni che inneggiano alla strage del 7 ottobre come un atto di resistenza, su politici e su quei partiti che per cavalcare l’onda pro Pal, conseguente al conflitto di Gaza, non hanno il coraggio di dire parole chiare contro l’antisemitismo e di difesa degli ebrei che in tutto il mondo vengono di nuovo perseguitati e uccisi.

L’odio contro gli ebrei è un’emergenza anche in Italia ma chi tenta di affrontare il problema spesso subisce un paradossale linciaggio morale.

La lotta all’antisemitismo in questo momento imbarazza soprattutto la sinistra. Non abbiamo sentito finora i leaders delle forze di sinistra da Schlein a Conte, da Fratoianni a Bonelli condannare con forza la strage di Sydney e l’antisemitismo dell’estremismo islamico da cui trae origine.

Non abbiamo sentito da loro una parola sull’incredibile decisione di un magistrato italiano d’appello di bloccare l’espulsione di un imam torinese che aveva detto pubblicamente che il 7 ottobre è stato un atto di resistenza e che è considerato molto pericoloso dai nostri organi di sicurezza e dal magistrato di primo grado che ne aveva autorizzato l’espulsione.

Muti come pesci, che vergogna!

Ma, recentemente, abbiamo addirittura ascoltato un ex ministro del Pd dire che con Hamas bisogna fare i conti e che secondo lui se si esclude Hamas non c’è una vera rappresentanza dei palestinesi nei negoziati internazionali sulla crisi di Gaza.

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Nonostante questi silenzi assordanti, queste ambiguità e questo sbandamento c’è chi – ma sono pochi –, anche a sinistra, ha coraggio.

Il senatore del Pd Graziano Delrio, innanzitutto, che ha depositato una proposta di legge intitolata “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo e per il rafforzamento della Strategia nazionale per la lotta all’antisemitismo nonché delega al governo in materia di contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme onlineâ€. Peccato che quella iniziativa è stata subito contrastata dal capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia, che ha affermato che l’iniziativa di Delrio doveva intendersi come presa a titolo personale e non rispecchiava la linea del partito, senza spiegare però il perché. Il Pd non è d’accordo su iniziative contro l’antisemitismo?

Anche Italia viva di Matteo Renzi ha preso una posizione forte e chiara contro l’antisemitismo. La senatrice Raffaella Paita, capogruppo di Iv a Palazzo Madama, in un coraggioso intervento in aula ha avuto la forza di affermare: «Siamo e saremo sempre al fianco delle equilibrate parole di Liliana Segre e mai dalla parte del linguaggio scomposto di Francesca Albanese, perché sostenere che l’attacco a La Stampa sia un monito è una vergogna, perché chiedere che si scusi un sindaco che cita i fatti del 7 ottobre mi indigna e non ho alcuna paura a dirlo. Perché occorrono equilibrio e responsabilità nelle parole, perché le parole hanno conseguenze reali».

È proprio così. La campagna di propaganda e odio antiebraico che si è sviluppata ovunque in questi mesi sta mostrando i suoi tragici effetti.

Scuola
Udu condanna Cnsu all’irrilevanza
Data articolo:Fri, 19 Dec 2025 15:34:10 +0000 di Redazione

Il 16 e il 17 dicembre si è svolta la prima seduta del CNSU, durante la quale i 30 consiglieri eletti a maggio hanno votato per l’elezione del presidente. Sin da subito condizionata da un clima di forte contrapposizione e pressioni costanti mosse dall’Unione degli Universitari e i suoi alleati nei confronti degli eletti, si è ripetuta una situazione che in questi anni ha condannato l’organo alla completa irrilevanza: l’elezione alla presidenza di un esponente di UDU.

La nuova maggioranza appare legata a doppio filo a logiche partitiche. Come gli ultimi 10 anni lasciano immaginare, l’organo sarà condannato a un’ulteriore fase di irrilevanza e ad essere una cassa di risonanza per interessi estranei alla vita universitaria. Interessi che tuttavia, alla prova dei fatti, non sono riusciti a costruire una compagine stabile, come è emerso già alle prime votazioni segnate dalla presenza di franchi tiratori e da una vittoria spuntata per un voto soltanto.

Se questa è la loro maggioranza, noi saremo convintamente all’opposizione. In questa consiliatura, il CLDS agirà in stretta sinergia con le altre sigle moderate e indipendenti, come Confederazione degli Studenti, UniLab, Uni Futura e ANAAO-GMI, per costruire un’opposizione seria e propositiva. I
nove consiglieri, complessivamente espressi da queste realtà, vogliono essere un punto di riferimento per tutti, compresi i consiglieri di maggioranza: un’alternativa esiste e può ancora farsi strada.

Noi non vogliamo essere complici del declino della rappresentanza studentesca ma, al contrario, desideriamo proporci e proporre a tutti un metodo nuovo, frutto di un’esperienza autentica, libera e generativa, capace di stare davanti alla complessità delle problematiche e che si muova nel tentativo di risolverle, mantenendo al centro sempre e solo lo studente. Le conseguenze di questo metodo si concretizzeranno nelle proposte che porteremo avanti in questi tre anni. Proposte originali nel contenuto, perché generate da un dinamismo il cui unico scopo è quello di intercettare un bisogno e tentare di rispondervi alla luce dell’esperienza che viviamo quotidianamente in università. Solo questo sguardo sarà in grado di restituire alla rappresentanza la possibilità di porsi come strada percorribile per rispondere, quantomeno tentativamente, alle sfide che l’Università pone oggi.

Auguriamo quindi ai nostri tre eletti Nicolò Francesco Righi, Luigi Biondini e Francesco Carnevale Maffè e a tutti i Consiglieri un buon lavoro, nella speranza che il nostro appello non rimanga inascoltato.
Michele Costanzi Presidente del CLDS

Società
La famiglia nel bosco. Il dialogo a Ferrara con il sindaco di Palmoli
Data articolo:Fri, 19 Dec 2025 12:07:33 +0000 di Redazione

Il video dell’incontro “La famiglia nel bosco“, con il sindaco di Palmoli Giuseppe Masciulli e la nostra Annalisa Teggi, introdotti per la Fondazione Enrico Zanotti, organizzatrice dell’evento, da Carlo Tellarini.

Il dibattito, tenutosi giovedì 18 dicembre nel Campus Santa Teresa a Ferrara, è il terzo appuntamento della rassegna “Presente! Esserci oggi†promossa dalla Fondazione Zanotti con Ferrara Eventi scs, Esserci, Accademia, Student Office Ferrara e Tempi con il contributo di Family District, Accademia e Wip 2.0.

Blog
Alcune buone idee per far cambiare rotta all’Italia
Data articolo:Fri, 19 Dec 2025 08:23:01 +0000 di Lodovico Festa

Su Piazza levante Antonio Gozzi scrive:

«Tutti o quasi tutti capiscono ormai i limiti di questa Europa ma pochi sono capaci di proporre una realistica visione per un cambiamento di rotta. L’Italia è capace di giocare un ruolo da protagonista nella definizione e attuazione di una nuova Europa? Ebbene posizioni recentemente espresse proprio dalle personalità citate sopra e cioè Giorgia Meloni, Giancarlo Giorgetti e Mario Draghi mostrano una consapevolezza della situazione e una visione che per la prima volta potrebbe configurare un’originale via italiana a una nuova Europa. Non credo ci sia un disegno studiato a tavolino ma se si mettono insieme i pezzi ne emerge un quadro interessante. Meloni in Senato prima e all’ultimo consiglio europeo poi ha per la prima volta espresso con forza una contestazione radicale non degli obiettivi di decarbonizzazione del Green Deal europeo ma ai tempi, modi e strumenti con i quali l’estremismo dell’era Timmermans l’hanno portato praticamente al fallimen...

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Esteri
Dopo l’Australia, l’estremismo islamico colpirà l’Europa? «La minaccia c’è»
Data articolo:Fri, 19 Dec 2025 03:55:00 +0000 di Piero Vietti

Col senno di poi è facile dire che l’attentato di Bondi Beach, a Sydney, era prevedibile “perché i segnali c'eranoâ€, ed è stato sottovalutato, dice a Tempi l’esperto di terrorismo Marco Lombardi, ma la recente destrutturazione dei gruppi fondamentalisti islamici rende questo tipo di previsioni sempre più difficile.
«È vero che negli ultimi mesi la pubblicistica di Daesh, quindi dell'Isis, aveva richiesto più volte di fare attacchi soprattutto verso gli ebrei in occasione delle feste, ma questa non è una novità: tutti gli anni verso settembre-ottobre Daesh fa propaganda e parla di "Natale di sangueâ€Â». Questo a prescindere dalla guerra di Israele a Gaza, spiega il professore ordinario di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore dove insegna, tra le altre cose, Cooperazione nelle aree di post conflict e Sicurezza e contrasto al terrorismo, ed è anche direttore del centro di ricerca ITSTIME (Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies).
È «marketing...

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Società
Miss Finlandia scatena la guerra con un selfie (ciaone pace nel mondo)
Data articolo:Fri, 19 Dec 2025 03:50:00 +0000 di Caterina Giojelli

«Voglio iniziare porgendo le mie più profonde scuse a tutti coloro che ho ferito, specialmente alla comunità asiatica». E in quel momento, dentro Sarah Dzafce, alias Miss Finlandia, alias “la nuova icona dell’ultradestraâ€, convivevano almeno tre personaggi: Evita Perón del Renunciamiento, Maria Antonietta che pesta il piede del boia Sanson e il Gatto con gli stivali di Shrek quando fa gli occhioni al nemico.
«Spero che questa azione dimostri quanto seriamente stiamo prendendo la situazione», aggiunge con tono grave, spiegando che la decisione di deporre la corona è stata presa insieme all’organizzazione di Miss Finlandia. «Ora capisco che le mie azioni sono state sbagliate e me ne assumo la piena responsabilità». Fino al climax inevitabile: «Mi prenderò una pausa dai social media».
Le scuse della Miss al giornale che non esiste
Ora immaginate Sarah rifare tutto questo in mandarino, scusandosi apertis verbis davanti alle telecamere con il popolo cinese. Glielo ha chiesto una donna cines...

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Esteri
La politica di Trump nei Balcani mette a rischio la fragile unità della Bosnia
Data articolo:Fri, 19 Dec 2025 03:35:00 +0000 di Rodolfo Casadei

L’evento più mediatico del trentesimo anniversario della firma europea degli accordi di Dayton, che posero fine alla guerra di Bosnia (1992-95), non è il messaggio congiunto con cui il 13 dicembre l’Alto rappresentante per la politica estera della Unione Europea Kaja Kallas e il commissario per l’Allargamento Marta Kos hanno ricordato che a mantenere sui binari gli accordi che ebbero la firma cerimoniale delle parti a Parigi il 14 dicembre 1995 sono i 1.500 uomini dell’operazione militare a guida Ue Eufor Althea.

Ha prodotto molta più sensazione l’annuncio che Jared Kushner ha fatto il 15 dicembre, e cioè che aveva deciso di ritirarsi dal progetto di costruzione di un grande complesso residenziale con hotel di lusso incorporato nel cuore di Belgrado, firmato nel febbraio dell’anno scorso dalla sua società di capitale privato Affinity con il governo serbo. Il gesto potrebbe arginare le critiche di quanti sostengono che la nuova politica balcanica dell’amministrazione Trump – culminata alla fine di ottobre nell’annullamento delle sanzioni americane contro l’allora presidente della Repubblica Serba (Rs, l’entità politica che insieme alla Federazione croato-musulmana forma lo stato di Bosnia-Erzegovina) Milorad Dodik e altri dirigenti locali – è fondata esclusivamente su interessi privati, mette in discussione il fragile assetto regionale mediato trent’anni fa dagli Usa e quindi pone a repentaglio la stabilità dei Balcani.

Ma non mette a tacere quanti la criticano con motivazioni politiche, vedendovi un cedimento agli interessi russi nell’ottica di un grande accordo fra Washington e Mosca che destabilizzerebbe questa come altre aree europee.

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Trump cancella le sanzioni a Dodik

Dopo che il 29 ottobre scorso Dodik, i suoi familiari e altri dirigenti della Rs sono stati cancellati dalla lista dei sanzionati presso il Treasury’s Office of Foreign Assets Control americano, nella quale erano stati inseriti con executive order prima di Barack Obama (2017) e poi di Joe Biden (2022) come punizione per iniziative politiche che mettevano in discussione gli accordi di Dayton, i critici del provvedimento di Trump lo hanno spiegato come un cedimento a logiche lobbistiche, privo di intendimenti strategici.

All’indomani dell’elezione di Donald Trump, il sanzionato Dodik ha contrattualizzato lobbisti americani e attivato contatti con persone vicine al nuovo presidente per ottenere una revisione dei provvedimenti a lui ostili. Le società a cui i serbi di Bosnia si sono affidati sono la Zell & Associates International Advocates, la RRB Strategies di Rod Blagojevich, l’ex governatore democratico dell’Illinois condannato per corruzione nel 2011 e graziato da Trump nel 2020, la filo-repubblicana Stokes Strategies, la Tactic Coc, la Mo Strategies e la Becker & Poliakoff (queste ultime due in unico contratto).

Le personalità vicine a Trump che più si sono battute per la rimozione delle sanzioni sono l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani e la lobbista della destra cristiana Laura Loomer. Ha scritto sdegnato il Financial Times:

«La decisione è una dimostrazione emblematica della diplomazia trumpiana a sostegno dei nazionalisti di destra: offre una nuova prospettiva sul suo approccio transazionale alla politica estera, in cui personaggi come Dodik, alleato del presidente russo Vladimir Putin, possono influenzare la politica statunitense pronunciando le parole giuste e assumendo le persone giuste».

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha cancellato le sanzioni all'ex presidente della Repubblica Serba Mirolad Dodik
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha cancellato le sanzioni all’ex presidente della Repubblica Serba Mirolad Dodik (foto Ansa)

Nuove elezioni nella Repubblica Serba

Altri osservatori hanno fatto notare che le sanzioni non sono state cancellate in cambio di niente, ma dopo che Dodik si è dimesso da presidente della Rs e il suo parlamento ha annullato le leggi secessioniste che avevano portato alla comminazione delle sanzioni. Il motivo per cui Usa e Regno Unito hanno assunto provvedimenti contro il leader serbo e il suo entourage (cosa che non ha potuto fare l’Unione Europea, frenata dall’opposizione di Viktor Orban e da considerazioni relative alla sicurezza di Eufor Althea) è che nel corso degli anni i governi da lui presieduti (2010-18 e 2022-25) hanno approvato leggi di natura secessionista che andavano a corroborare sue ripetute dichiarazioni provocatorie nei confronti del governo federale di Sarajevo, dell’Alto rappresentante nominato dal Consiglio per l’attuazione della pace incaricato dell’attuazione degli accordi di Dayton e della Corte di Bosnia-Erzegovina, che nel febbraio scorso lo ha condannato a un anno di prigione con la condizionale e lo ha interdetto per sei anni dai pubblici uffici.

Il motivo era che nel giugno 2023 il parlamento della Rs aveva adottato una legge che sospendeva le sentenze della Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina e bloccava la pubblicazione delle decisioni dell’Alto rappresentante nella Gazzetta ufficiale, il che significava che non avrebbero avuto effetto nella Rs. Per reazione alla condanna di Dodik, il parlamento della Rs aveva poi adottato una legge che vietava alle autorità giudiziarie bosniache, alla polizia e ai servizi di sicurezza federali di esercitare la loro giurisdizione nella Rs.

I mandati di arresto contro Dodik non sono stati eseguiti nel timore di far precipitare una situazione molto tesa. La tensione si è sciolta quando il 29 settembre Dodik ha accettato di dimettersi e di pagare una multa in alternativa alla detenzione, e il 18 ottobre il parlamento della Rs ha abrogato tutte le leggi di natura secessionista che la Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina aveva dichiarato incostituzionali nel maggio di quest’anno. L’annullamento delle sanzioni da parte degli Usa è arrivato undici giorni dopo.

Il 2026 sarà cruciale per la Bosnia

I critici dell’amministrazione Trump insistono nel considerare come minimo prematura l’abrogazione delle sanzioni, perché Dodik e il suo partito (Snsd, Alleanza dei socialdemocratici indipendenti) insistono nell’attaccare l’Alto rappresentante Christian Schmidt (recentemente un esponente della Snsd che è anche ministro del Commercio estero nel governo nazionale, StaÅ¡a KoÅ¡arac, gli ha fatto dono di un elmetto militare nazista “eredità dei suoi antenati”) e nel perorare la causa dell’indipendenza della Rs e della sua potenziale riunificazione con la Serbia, e perché il posto di Dodik è stato preso da un altro esponente del suo partito.

Sta di fatto che il nuovo presidente, Siniša Karan, è stato scelto attraverso elezioni anticipate che si sono tenute il 23 novembre e ha vinto di misura (50,3 per cento dei voti contro il 48,3 del suo avversario) contro il candidato dell’opposizione Branko Blanuša, uno sconosciuto professore universitario che ha perso per soli 8.400 voti. A votare si sono recati solo il 35 per cento degli elettori iscritti per l’intuibile motivo che fra meno di un anno, cioè il 4 ottobre 2026, in Bosnia si terranno le elezioni sia nazionali che delle due entità, quella serba e quella croato-musulmana. Per il presidente della Rs si voterà di nuovo.

Un uomo sventola una bandiera serba sul sito dell'ex edificio dello Stato maggiore generale per celebrare il 26° anniversario della campagna di bombardamenti della Nato del 1999 a Belgrado, in Serbia
Un uomo sventola una bandiera serba sul sito dell’ex edificio dello Stato maggiore generale per celebrare il 26° anniversario della campagna di bombardamenti della Nato del 1999 a Belgrado, in Serbia (foto Ansa)

Il passo indietro di Kushner in Serbia

Sulle discussioni è piombata come un macigno la decisione del genero di Donald Trump di tirarsi fuori da un affare da 550 milioni di dollari che la stampa serba e il Guardian avevano rivelato nel novembre scorso: la trasformazione del sito del quartier generale delle forze armate serbe a Belgrado, distrutto da un bombardamento della Nato nel 1999, in un complesso residenziale comprendente un hotel di lusso e un museo.

La storia in realtà è venuta alla luce perché ai primi di novembre il parlamento di Belgrado ha votato una legge per velocizzare il processo di realizzazione del progetto, ostacolato dall’esistenza di un vincolo di tutela della sovrintendenza ai beni culturali. Il 15 dicembre l’ufficio del procuratore per la criminalità organizzata ha reso noto che l’inchiesta avviata nel maggio scorso circa la presentazione di documenti falsi che disconoscevano il vincolo esistente sull’area si era conclusa con l’incriminazione del ministro della Cultura Nikola Selakovic e di tre suoi collaboratori. Immediatamente dopo Jared Kushner annunciava di ritirarsi dal progetto.

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Le critiche di natura politica alle mosse di Donald Trump nei Balcani si collegano ai contenuti espressi nella National Security Strategy e in una dichiarazione del maggio scorso del vicesegretario di Stato Christopher Landau riferita agli accordi di Dayton: «Non siamo interessati a imporre una visione di società che rifletta le preferenze di burocrati lontani e di minoranze di attivisti. Una politica espansiva all’infinito, senza moderazione e umiltà storica, diventa nemica della strategia e dell’arte di governare costituzionale».

I timori riguardano il fatto che la combinazione fra le decisioni circa la cessione di territori alla Russia nel contesto di un accordo di pace in Ucraina e il riavvicinamento americano ai nazionalisti serbi crei un contesto favorevole a quanti aspirano alla spartizione della Bosnia Erzegovina, stato disfunzionale che da trent’anni sopravvive solo grazie all’azione internazionale, fra Serbia e Croazia. Con tutta probabilità la denuncia degli accordi di Dayton aprirebbe un conflitto regionale che avvantaggerebbe Mosca e metterebbe in crisi l’Unione Europea.

@RodolfoCasadei


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