Oggi è Venerdi' 05/12/2025 e sono le ore 07:26:39
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Oggi è Venerdi' 05/12/2025 e sono le ore 07:26:39
Nostro box di vendita su Vinted
Nostro box di vendita su Wallapop
Nostro box di vendita su subito.it
Condividi questa pagina
Nostra publicità
Compra su Vinted
Compra su Vinted
#news #tempi.it
«Se Zerocalacare non era già ricco e famoso, a “Più libri più liberi” c’annava pure se c’era Goebbels». Non fa una grinza la battuta di Federico Palmaroli, autore di satira famoso per “Le più belle frasi di Oshoâ€, a commento dell’ennesima e stucchevole polemica di scrittori e sedicenti intellettuali di sinistra contrari alla presenza di una casa editrice accusata di pubblicare autori neofascisti alla fiera della piccola e media editoria in corso a Roma.
Il fumettista romano talmente antagonista da essere diventato mainstream ha cancellato la sua partecipazione alla kermesse – ormai è un vizio – che osa ospitare l’editore Passaggio nel bosco. «Meglio così», dice Palmaroli a Tempi, spiegando che «è un peccato, ma non si possono fare passi indietro», altrimenti si normalizza il fatto che un gruppo di persone decida arbitrariamente chi può partecipare o meno a un evento culturale. «È paradossale che in una manifestazione che si chiama “più liberi†qualcuno voglia impedire a una casa editrice di pagarsi uno stand per vendere libri».
Non è una novità , se qualcuno esprime idee di destra la sinistra reagisce pavlovianamente urlando al pericolo fascismo, «perché questi col fascismo ce magnano, dato che pensano di essere gli unici a poterne parlare. Io credo che a questo clima contribuisca molto il fatto che la destra è al governo: prima un certo pensiero era “tollerato”, ora meno». Con una differenza, fa notare Palmaroli: «L’estrema sinistra, anche quella violenta, è vicina alle posizioni di parte del Campo largo, le organizzazioni di estrema destra non sono amiche del governo, e comunque se scendono in piazza fanno molto meno casino. Onestamente non vedo pericoli fascisti alla fiera romana, soprattutto se si tratta idee espresse nei libri».

Libri di vignette ne ha pubblicati diversi anche lui, e non fa eccezione quest’anno: «Salvo il problema del regalo di Natale con un’idea che fa fine e non impegna», scherza in questi giorni quando parla di “Awanagana” – Cronaca surreale di un mondo reale, da poco uscito per Rai Libri. È la raccolta delle più belle vignette dell’ultimo anno, da settembre 2024 a ottobre 2025, con cui l’autore di satira del Tempo (e ospite fisso alla festa di Tempi a Caorle) fa dire ai protagonisti della politica italiani e mondiali quello che “pensano davveroâ€.

In copertina c’è Donald Trump, e il titolo è un omaggio all’Alberto Sordi di Un americano a Roma. «Trump è senza dubbio il personaggio dell’anno, nel bene e nel male, e dato che io faccio parlare i personaggi in romanesco era inevitabile l’associazione con Albertone. Trump ha fagocitato il dibattito e offre un sacco di spunti di satira, anche se io mi sento orfano di Joe Biden: lui era un personaggio da copertina, uno dei miei preferiti, il suo era un filone comico interessante».
Non si può più contare su Sleepy Joe, ma «per fortuna ha vinto Trump, Kamala Harris non avrebbe dato gli stessi spunti». Dopo i premier italiani, Elly Schlein e il Papa, un leader politico straniero in copertina. «Sì, e sono contento di essere uscito dalla politica nazionale: il governo ormai regala pochi contrasti, il centrosinistra è noioso perché fanno finta di andare d’accordo». Non c’è ciccia, o quasi. «Io poi vivo di quello che i media riportano», sottolinea Palmaroli, «e per mesi hanno parlato solo di Gaza, o dei dazi». Nel libro ci sono molte vignette sui dazi, praticamente nessuna su Gaza. «È complicato fare satira sulle notizie che arrivano da là , si può scherzare magari sulla Flotilla – e l’ho fatto – sul resto no». Più facile farlo sull’Ucraina, dice, «Netanyahu è poco “spendibile†a livello di vignetta», Zelensky e Putin hanno più contesti in cui vengono fotografati.
Sfogliando “Awanagana†tornano in mente episodi e personaggi che sembrano lontanissimi nel tempo – uno di questi è proprio Biden – e altri che Palmaroli vorrebbe tornassero a far parlare di sé: «Una vignetta su Di Maio ci vuole sempre: nessuna sa cosa sta facendo, la stampa lo ignora, il Medio Oriente non se la passa proprio benissimo… Spero torni in Italia a darmi di nuovo soddisfazioni». Ci sono un po’ di vignette su Papa Francesco, protagonista della copertina di un anno fa, solo una su Leone XIV: «Prevost non riesco ancora a inquadrarlo comicamente», dice, «Papa Francesco da subito è stato un papa innovativo, che faceva discutere, per questo satirizzabile. Leone non ha aperto né ai gay né ai trans, non dà ancora spunti. L’unica cosa che si sa è che romanista… potrei prenderlo in giro per questo forse», scherza il laziale Palmaroli.

Dichiaratamente di destra da tempi in cui non era ancora così “di modaâ€, l’autore delle più belle frasi di Osho è apprezzato in modo bipartisan per la sua capacità di sdrammatizzare e far “dire†ai protagonisti della politica cose che non hanno mai detto ma che sembrano più che credibili.
«Vedrai che se la so’ presa perché lo abbiamo rimpatriato in un Paese non sicuro», dice Meloni a Nordio parlando degli attacchi al governo sul caso Al-Masri. «Sì, ma sa che è pe’ quello», risponde il ministro. «Donald scusa, poi me li giri gli accordi di pace? Giusto pe’ curiosità », dice Zelensky al telefono quando Usa e Russia lavorano a un trattato senza coinvolgere Kiev. «Finalmente… non ne potevo più de metteme quaa robaccia de bigiotteria», dice un anonimo monsignore con croce d’oro al collo dopo la morte di papa Francesco.

«Donald, scusa, er pecorino a quanto lo mettemo?», chiede un impiegato del supermercato che fa i prezzi nei giorni in cui Trump annuncia i dazi. «A bello, allora? Come stai? Che se dice?», chiede il presidente Usa incontrando Putin in Alaska. «Se combatte, dai», risponde lo zar. «Venerdì prossimo contro che scioperamo?», chiedono a Landini durante un corteo. «Boh… quarcosa se ‘nventeremo», replica il leader della Cgil, a cui in un’altra vignetta qualcuno chiede un selfie perché «mi moje nun ce crede che ogni venerdì ce sta sciopero». «Oh cazzo, s’è cancellato pure Piero Pelù», dice un preoccupato Elon Musk quando un po’ di “vip†italiani hanno annunciato la loro cancellazione di Twitter in polemica con lui.

Non c’è in “Awanagana†ma merita una citazione la prima delle vignette natalizie di quest’anno, con Giuseppe che, nel presepe, dice a Maria: «Poi damo ‘na pulita a sta grotta che se arivano i servizi sociali ce levano er ragazzino». Predilige la satira politica, Palmaroli, ma quando fa incursioni nella cronaca come nel caso della “famiglia nel bosco†le azzecca sempre: «Alcune vicende sono come una liberazione, come la storia della kiss cam dei Colplay che ha beccato i due amanti: in quei casi mi scateno, e mi piace fare i “crossover†tra storie diverse».

E il 2026 darà soddisfazioni? «Penso di sì: andiamo verso il referendum sulla giustizia, le politiche non sono lontane e la campagna elettorale inizia presto, c’è il tema della leadership del centrosinistra… e ovviamente Trump che impazza». Ma la satira come sta? Bene, dice “Oshoâ€, «il politicamente corretto non è più un limite ma uno spunto per riderne», e soprattutto oggi chi fa satira è difficile da censurare: «Una volta dovevi avere un giornale che ti pubblicasse se volevi farla, oggi hai i social con cui uno sbocco si trova sempre». Parola di chi proprio dai social è partito prima di arrivare in prima pagina. E in libreria.

Quando ero un giovane ragazzo di bottega, ai primi anni della professione, Luigi Amicone mi aveva dato il compito di tenere il computo dei compensi da riconoscere ai collaboratori per i loro articoli apparsi su Tempi. Ogni martedì, il giorno seguente la chiusura del numero, mi recavo nell’ufficio di Gigi per sapere quale cifra segnare accanto ai nomi di chi aveva scritto sul settimanale. Ricordo ancora quando arrivai a quel nome, “Lodovico Festaâ€, e la risposta di Amicone: «A Vichi niente soldi, lo paghiamo in libri».
Quasi venticinque anni dopo quelle parole, ho capito perché Lodovico “Vichi†Festa è uno che si fa “pagare in libri†e per scoprirlo ho dovuto leggere – guarda caso – un suo libro da poco in commercio che ha un titolo fantastico e ironico, già di per sé degno del prezzo del volume: Non sapendo fare a maglia. Il titolo si spiega con la risposta spiritosa che Vichi dà alla moglie Lidia ogni volta che lei lo rimprovera di affaticarsi ancora – alla sua età ! – a leggere compulsivamente e scrivere disordinatamente, anziché fare qualcosa di utile come «golfini o sciarpette per i miei nipoti, o meravigliosi centrini come quelli che faceva mia nonna per cugini e sorelle».
Così il nostro Vichi, completamente assorbito come Barney Panofsky in un’opera “totalmente non necessariaâ€, nel corso di un decennio ha meticolosamente appuntato, accanto a ogni frase di ogni libro che ha letto, un’impressione, un’intuizione o un giudizio che oggi riversa in questo volume che, come scrive Mattia Feltri nella prefazione, è una sorta di «regalo» che lui fa a tutti noi, suoi lettori e amici.
Seguendo un ordine assolutamente casuale – come casuale è la vita, anche quella ordinata –, Vichi porta alla nostra attenzione frasi e aforismi di Shakespeare e Dante (amatissimi), Eliot e Wilde, Machiavelli e Hegel, la Bibbia e James Bond, Groucho Marx e Bette Davis, cui si devono le battute più felici («Mi piacerebbe baciarti, ma mi sono appena lavata i capelli»). E per ogni frammento c’è un commento, a volte di compiacimento altre di rammarico, che va a formare una scia di analisi serissime e acute sulla storia e la contemporaneità (a pagina 211, in sole 45 righe, Festa riesce a spiegare la storia dell’Italia dal Dopoguerra) e una raccolta di brillanti arguzie che non possono non mettere di buonumore (Georges Clemenceau, riferendosi al suo segretario: «Quando scorreggio, è lui che puzza»).
Venticinque anni dopo quel “Vichi-lo-paghiamo-in-libriâ€, diventa più chiaro come questo nostro amico e collaboratore (collaboratore perché amico) entri ed esca dai libri, si alzi alle sei del mattino per scrivere la “Preghiera†per Tempi, viaggi sempre in bilico tra vita operativa e contemplativa, perché è sempre alla ricerca di un confronto e di un’ipotesi che spieghi a noi stessi quel gran mistero che noi stessi siamo. E la pervicacia con cui svolge questo lavoro – l’unico che meriti di essere compiuto – ci fa perdonare il fatto che non ci abbia mai regalato una sciarpetta o un golfino lavorato a maglia con le sue manone da giornalista.

Lodovico Festa, Non sapendo fare a maglia. Diario di viaggio di un lettore compulsivo, con prefazione di Mattia Feltri, Liberilibri 2025, 320 pagine, 18 euro.
* * *
Una versione di questo articolo è pubblicata nel numero di dicembre 2025 di Tempi. Abbonati per sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
È uscita mercoledì scorso l’edizione 2025 di Eduscopio della Fondazione Agnelli e l’Istituto Don Gnocchi di Carate Brianza continua a migliorare i suoi risultati: il liceo delle scienze applicate “Don Gnocchi†si colloca al primo posto tra le scuole di questo indirizzo sia statali che paritarie, mentre il liceo classico risulta secondo su tutto il territorio della provincia di Monza e Brianza e di Milano.
Il liceo scientifico risulta al primo posto tra le scuole paritarie, e ai primi posti in assoluto, nel massimo raggio consultabile (30 chilometri), prendendo come centro Carate Brianza. Il liceo economico sociale segna invece il record assoluto di diplomati in regola con una percentuale del 92 per cento, staccando di 20 punti la seconda classificata.
La ragione principale che giustifica l’interesse per le inchieste come Eduscopio che stilano una classifica delle scuole sulla base dei risultati verificati nei primi anni di frequenza universitaria sta nel fatto che permettono una riflessione sul compito della scuola, quella superiore in particolare. Certamente la qualità della preparazione disciplinare è un’indicazione importante, ma non sufficiente. Il compito principale della scuola è inerente alla natura stessa della ragione umana.
Essa, infatti, non può accontentarsi di una ricognizione analitica degli elementi che compongono la realtà , né di sondare tutti gli elementi che compongono un particolare di ciò che esiste. La ragione rivendica un’esigenza di senso, ha necessità di comprendere il nesso che lega le cose tra loro, che le connette alla persona e che dischiude il destino a cui cose e persone tendono.
Non si tratta neppure di un sistema coerente di idee, di pensieri o teorie. L’urgenza di cogliere l’unità della realtà comprende anche, se non soprattutto, il problema dell’unità tra le persone. Lo vediamo con dolente chiarezza nel tempo che stiamo vivendo, in cui la confusione sul significato e sulla direzione dell’esperienza umana si accompagna alla solitudine.
Esiste una sola esperienza storica in cui l’unità della vita e della realtà si accompagna all’unità tra gli uomini e le donne che abitano il mondo. È l’esperienza della Verità e della Verità che si fa Persona. È la notizia dell’Incarnazione, verso cui siamo tesi in questo tempo di Avvento.
Dio ha inteso chiarire all’uomo il senso della sua esistenza mandando il Figlio, Parola incarnata, per convocare a Sé ciascuno di noi lungo il drammatico cammino che porta al compimento positivo della vita. Il popolo che ne è sorto, la Chiesa, è il soggetto educativo per eccellenza, perché mette insieme la vita e gli uomini e le donne che la vivono, in una forma di novità che vince la confusione e la solitudine e sostiene ragionevolmente la speranza di un Destino di realizzazione felice e definitiva.
Che c’entra tutto questo con la scuola? Le scuole paritarie e libere che sorgono dagli ordini religiosi o dai laici impegnati in un’esperienza ecclesiale divengono il luogo in cui questa educazione si realizza. Scuole superiori come l’Istituto Don Gnocchi a Carate Brianza, il Candia di Seregno, la Traccia di Calcinate, il Sacro Cuore, Regina Mundi, Alexis Carrel a Milano, per citare alcuni tra gli esempi lombardi, sono gli avamposti più significativi di questa possibilità educativa, più che mai vitali e necessari in un frangente storico segnato da una estraneità , quando non da un conflitto violento, tra le persone, con il mondo e con la vita.
La presenza abituale di questi istituti ai vertici della classifica stilata da Eduscopio documenta il valore di queste scuole e la bontà del servizio che offrono a tutti. Sono scuole pubbliche a tutti gli effetti. Per questo vanno sostenute. Come vanno sostenute le famiglie che se ne servono e devono, ingiustamente, sobbarcarsi un onere economico non indifferente.
«Nelle more dell’adozione di una disciplina legislativa con portata generale e in adempimento di quanto statuito dalle citate sentenze della Corte costituzionale, in un’ottica di tutela della dignità della persona e di minimizzazione delle sofferenze della stessa, il Tavolo Tecnico ritiene che sia doveroso per il Servizio Sanitario Regionale offrire al richiedente una risposta non parziale, che si faccia quindi concretamente, tempestivamente e ragionevolmente carico anche del percorso finale di esecuzione della Mma, non limitandosi alla fase della mera valutazione ex ante, eventualmente favorevole, delle condizioni delineate dalla sentenza costituzionale n. 242/19».
Mma è l’acronimo di Morte medicalmente assistita, e il virgolettato è tratto dalla proposta di linee guida procedurali del Sistema sanitario regionale trasmesse nel dicembre 2024 dal Tavolo Tecnico presieduto da Giovanni Canzio, primo presidente emerito della Corte di Cassazione, «ai competenti Assessore e Direttore Generale Welfare della Regione Lombardia». Un Tavolo istituito con decreto n. 13846 del 19 settembre 2024 che si premura di fornire «indicazioni tecnico-organizzative» per gestire le richieste di suicidio assistito («indicato con il termine più appropriato di Mma») pervenute alla Regione Lombardia e così «ottemperare al dictum» delle sentenze 242/2019 e 135/2024.
Indicazioni che non sono mai state pubblicate né condivise con i consiglieri regionali del centrodestra, gli stessi che il 19 novembre 2024 votavano compatti la pregiudiziale di costituzionalità sul disegno di legge del comitato “Liberi subito” di Marco Cappato. E che confliggono con quanto sostenuto dalla stessa Direzione Generale Welfare, audita il 23 settembre dello stesso anno dalle Commissioni Affari istituzionali e Sanità della Lombardia.
In quell’occasione era stato infatti ribadito che il Servizio sanitario può arrivare solo alla valutazione delle condizioni previste dalla Consulta per evitare procedimenti penali nei confronti di chi aiuta un malato a porre fine alla propria vita. Nient’altro. Perché in nessuna delle sue sentenze la Corte costituzionale riconosce un diritto a morire che implichi l’accesso al suicidio medicalmente assistito con farmaco letale identificato e fornito dal Servizio sanitario.
Al contrario, nella proposta di linee guida delineate e approvate dal Tavolo che Tempi ha potuto leggere, si dettaglia il percorso attuativo fino alla fornitura del farmaco. «Oltre all’individuazione del luogo, l’ASST territorialmente competente fornisce, senza spesa a carico del richiedente, il farmaco e la strumentazione idonei a dare attuazione alla procedura di Mma, come valutati e suggeriti dal Collegio di Valutazione».
Per comprendere la portata del cortocircuito tra politica che decide e tecnici che procedono in direzione opposta, conviene riassumere alcuni passaggi. Circa un anno fa (novembre 2024), dopo settimane di audizioni, il Consiglio regionale della Lombardia respingeva l’ennesimo tentativo dei radicali, già riuscito altrove, di introdurre surrettiziamente il suicidio assistito nell’ordinamento italiano. Con la pregiudiziale di costituzionalità , la maggioranza – all’opposizione si aggiungeva solo il voto di Giulio Gallera, Fi – ribadiva il punto: non è competenza delle Regioni legiferare sulla materia.
Eppure, poche settimane dopo (febbraio 2025), l’assessore al Welfare Guido Bertolaso conferma che il Servizio sanitario ha fornito farmaco letale e strumentazione a una cittadina lombarda, “Serena”, e che «la magistratura era d’accordo». Ad assistere la cinquantenne affetta da sclerosi multipla c’era il dottor Mario Riccio, consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni, già “assistente” di Piergiorgio Welby, e poi di Federico “Mario” Carboni, “Vittoria”, “Gloria”. È sua la relazione con protocollo farmacologico inviata all’azienda sanitaria. La notizia lascia basita la maggioranza e non solo: quello di Serena è il primo caso di suicidio assistito in Lombardia.
«Abbiamo dimostrato che, anche senza una decisione di giunta e una legge regionale, il rispetto del dettame costituzionale può essere eseguito. Ne ho parlato anche con la magistratura ordinaria di Milano che ha pienamente approvato il percorso adottato», spiega Bertolaso. Una interpretazione del «dettame costituzionale» già smentita dai costituzionalisti e, come detto, dalla stessa Dg Welfare. Subito il consigliere FdI Matteo Forte, presidente della Commissione Affari istituzionali, annuncia un’interrogazione scritta.
Come racconta La Verità , è lo stesso Canzio, audito in Commissione il 28 maggio 2025, a confermare il cortocircuito. «La Dg Welfare, unitamente all’assessore alla Sanità , ha costituito questo tavolo tecnico da me presieduto» per «definire dal punto di vista procedurale il percorso attuativo derivante dalle sentenze della Corte costituzionale in materia di morte medicalmente assistita, cioè ci siamo occupati di scrivere linee guida procedurali, best practices, rispetto a domande di cittadini che non possono rimanere inevase, pena denuncia».
Rivela inoltre che tale lavoro è già stato consegnato al committente, ovvero «la Dg Welfare e l’assessore», e che non si è occupato di «casi singoli», ma solo di «linee guida alla luce delle sentenza per indicare procedure corrette per gli operatori, registrando approvazione unanime e apprezzamento dai medici».
Peccato non siano state trasmesse alla politica, le cui posizioni sono state confermate di fatto anche dal Tar, che con sentenza depositata il 30 ottobre scorso ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Associazione Luca Coscioni contro la pregiudiziale di costituzionalità . La Lombardia non avrà una legge come quelle toscana e sarda. Ma avrà le linee guida.
Passando alle procedure, il Tavolo incardina in capo alle Asst la competenza e la ricezione delle richieste di morte medicalmente assistita, chiarendo che la Regione «è in primis tenuta alla verifica della necessaria informazione e della concreta attuazione della rete di cure palliative» e «di tutti gli strumenti di assistenza disponibili per alleviare le sofferenze del paziente». Ricorda che tali cure e sedazione palliativa «sono radicalmente diverse dalla Mma» per obiettivi, mezzi e risultati, ed è dunque necessario che «per ogni richiesta sia valutata prioritariamente da parte dell’Asst la reale offerta di cure palliative ricevute dal paziente».
Premesso ciò, l’Asst territorialmente competente è tenuta ad attivare «senza indugio» il Collegio di accertamento per la valutazione tecnica dei requisiti e delle condizioni indicate dalla Consulta. Il Collegio, in linea con le direttive del Comitato Nazionale per la Bioetica (comunicato n. 3, 28 marzo 2023), deve essere coordinato dal direttore sanitario aziendale e composto (su base volontaria e sempre revocabile) da: un medico specialista della patologia del richiedente; un medico psichiatra; uno psicologo clinico; un medico legale; un medico palliativista; un anestesista-rianimatore; un infermiere (preferibilmente competente in terapia del dolore e cure palliative). Più eventuali specialisti a seconda del caso.
Compito dell’équipe: esprimere «la valutazione, a maggioranza semplice, nel termine di sessanta giorni» (prorogabili di quindici). La valutazione passa poi al Comitato Etico che «esprime a maggioranza semplice entro trenta giorni il parere, obbligatorio ma non vincolante», da ritrasmettere al direttore sanitario (con eventuale proroga di dieci giorni per chiarimenti).
Per «garantire equità e parità di trattamento dei cittadini», il Tavolo propone inoltre di istituire un Comitato regionale per l’etica clinica (CoRec, i cui membri siano selezionati da una Commissione di nomina del Consiglio Regionale), «organo consultivo indipendente» con composizione multidisciplinare adeguata alla gestione delle richieste di Mma, capace di valutare gli aspetti clinici, familiari, sociali, etici e giuridici, in modo approfondito ma coerente con la condizione del paziente. Limitatamente a queste funzioni, il CoRec sostituisce i Comitati etici territoriali.
Acquisito il parere del Comitato Etico, il Collegio definisce la valutazione conclusiva entro dieci giorni e la trasmette al richiedente. È qui che il Tavolo ritiene «doveroso» per il Servizio sanitario fornire «una risposta non parziale», facendosi dunque carico anche del «percorso finale di esecuzione della Mma, non limitandosi alla fase della mera valutazione». Dove? Il domicilio resta il luogo più richiesto, ma «in alcuni casi è stata formulata una esplicita richiesta di essere accolti in un contesto sanitario».
Se il richiedente è ricoverato, l’Asst deve individuare «il luogo idoneo ad attuare la procedura, non essendo opportuno identificare uno specifico spazio ad hoc per evitare lo stigma della persona». E garantire la presenza di «personale sanitario del Ssr» che, sempre su base volontaria, vigili sull’autosomministrazione del farmaco o sull’utilizzo dello strumento prescelto, fronteggiando eventuali complicanze tecniche. Resta ferma «la responsabilità del medico scelto dal paziente». Ogni medico o infermiere «può partecipare su base volontaria all’agevolazione richiesta, con esclusione di medici e infermieri coinvolti nel processo valutativo».
Oltre al luogo, l’Asst competente deve fornire «senza spesa a carico del richiedente, il farmaco e la strumentazione idonei a dare attuazione alla procedura di Mma, come valutati e suggeriti dal Collegio di Valutazione». Una volta attuata, un medico «accerterà il decesso del paziente con i criteri di morte cardiaca» e lo certificherà con relativa codifica Istat (morte per arresto cardiaco «indotto da Mma» ex sentenza 242/19), necessaria ai fini di legge.
L’ultimo capitolo riguarda l’obiezione di coscienza. Il Tavolo non rileva criticità per la partecipazione dei professionisti nel Collegio di valutazione e nel Comitato Etico, «in assenza di un rapporto diretto con l’evento morte». Viceversa, per la «concreta opera di agevolazione della Mma», come da sentenza 242/19, resta affidato «alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato». Medici e infermieri coinvolti nell’attuazione dovranno quindi essere individuati «su base volontaria dalla struttura sanitaria».
La proposta viene trasmessa all’assessore Bertolaso e alla Dg Welfare il 13 dicembre 2024. Poco dopo il voto politico sulla pregiudiziale di costituzionalità in Consiglio. E poco prima della «Mma» di “Serena”. Ad introdurre il suicidio assistito in Lombardia – dicono i documenti – non sono stati i radicali, ma i tecnici.
La trincea che segna la “Blue Line”, la linea di demarcazione, è a poche centinaia di metri dalla altura di Har Adir, nel Golan. A sinistra il Libano, a destra la Siria. Qui i gruppi di jihadisti che formano la galassia che ruota attorno ad Hezbollah hanno più volte tentato di infiltrarsi, mentre i razzi sparati dalle montagne impegnavano l’esercito dello Stato ebraico.  Ora c’è la tregua, ma dall’alto sentiamo le esplosioni. Colpi rarefatti, non più la pioggia di ordigni lanciati dai missili e dai droni. Ma quanto basta per capire quanto sia fragile la tregua e lontanissima una vera pace. In mezzo ci sono i villaggi: sono tornati gli abitanti che erano sfollati lo scorso anno (a sud oltre centomila israeliani, a nord un milione di libanesi).
Un ufficiale superiore che ha comandato reparti delle truppe speciali dell’esercito israeliano in quei terribili giorni spiega a Tempi: «Quando lanciano i missili non c’è il tempo materiale per mettersi al riparo. Bisogna gettarsi per terra e coprirsi il capo, sperando nella sorte. Siamo in grado di individuare la postazione da cui è partito il colpo, e spesso riusciamo a raggiungerla con i droni. Ma la vera difesa è “preventiva”. Un attacco di massa è sempre possibile. Sappiamo che il nemico può organizzarsi in poche ore, massimo sei, mentre noi abbiamo bisogna di più tempo per mobilitare i riservisti e per organizzare la difesa su un fronte più vasto come quello del nord».
«Per questo manteniamo gli avamposti in territorio libanese», continua, «e colpiamo ogni possibile minaccia prima che si sia concretizzata. Sì, si può sbagliare. Accade. Un esempio? Durante i giorni della guerra aperta, lo scorso anno, mi segnalarono che i droni avevano inquadrato una donna e due uomini a ridosso della trincea con un dispositivo montato su un cavalletto che puntava verso di noi. Poteva essere una telecamera come un lanciarazzi. Non c’è tempo per riflettere troppo in questi casi. Se sparano, in una frazione di secondo diventi una nuvola di polvere. Abbiamo sparato prima noi. Non sapremo mai esattamente chi erano».

L’ufficio propaganda di Hezbollah, prosegue l’ufficiale dell’esercito israeliano, «lo ha definito un attacco a civili. Così come attacchi a civili sono definiti le “eliminazioni” di persone che si muovono tra i villaggi. Ma sappiate, e loro lo sanno, che siamo in grado di inquadrarli con i droni spia e sappiamo bene chi sono. Spesso contrabbandieri di armi o cambiavalute legati a Hezbollah, che pagano i funzionari pubblici dei villaggi alimentando la catena di controllo del territorio che permette alla milizia-partito filoiraniana di sopravvivere, anzi di consolidarsi sul terreno».
Hezbollah, aggiunge, «non è affatto sconfitto, ha una forza militare ancora notevole, una forza politica in Parlamento a Beirut che gli permette di influenzare il governo, una catena di media che fanno risuonare la sua propaganda sui social di tutto il mondo. Come nel 2023, quando Hezbollah ha attaccato il nord di Israele con i missili, per impegnare l’esercito diviso tra qui e Gaza. Sapevamo che erano pronti per una invasione come il 7 ottobre. Avevano creato una forza speciale, l’unità Radwan, avevano piani precisi, erano e sono ben addestrati e ben armati. Per questo manteniamo cinque “punti di osservazione” in Libano, e continueremo a farlo finché davvero Hezbollah sarà solo un partito politico e consegnerà le armi all’esercito. Non credo all’ipotesi che i jihadisti si arruolino nell’esercito regolare per continuare a usare le loro armi. Per il semplice fatto che un miliziano Hezbollah riceve una paga di sessanta dollari al giorno, nell’esercito meno di dieci, quando Beirut ha i soldi per pagare. E nell’esercito sarebbero controllati».
L’alto ufficiale non può dire il suo nome, almeno apertamente, su di lui i fondamentalisti (i «terroristi» precisa) hanno messo una taglia. Ci tiene a precisare che in Libano Israele «nonostante qualche errore» cerca di limitare i danni collaterali, cioè l’uccisione dei civili. Focalizza con precisione gli obiettivi o cerca di sorprendere il nemico con operazioni sofisticate di intelligence, come i cinquemila cercapersone venduti a Hezbollah da una società ungherese che fungeva da prestanome, ma che in realtà apparteneva al Mossad.
Dispositivi fatti esplodere simultaneamente che hanno messo «fuori gioco» 250 miliziani. Dispositivi peraltro regolarmente venduti e pagati. Una operazione, apprendiamo per la prima volta, ideata da una giovane donna israeliana il cui nome non sapremo mai. Danno e beffa.
Tra le operazioni di intelligence studiate da Israele ci sono anche quelle che hanno portato alla decapitazione, lo scorso anno, della leadership di Hezbollah nel cuore di Beirut, non solo nella periferia sud dove è stato seppellito Nasrallah, il segretario generale, sotto sessanta tonnellate di bombe. Gli attacchi sono stati condotti persino nel nord del Libano, nei villaggi cristiani dove alcune famiglie del sud, vicine a Hezbollah, si erano rifugiate.
Abbiamo visto come i droni hanno colpito quando è arrivato un ufficiale Hezbollah con duecentomila dollari, uccidendo una ventina di persone. Al sud, in alcuni villaggi cristiani, i sindaci hanno fatto una sorta di patto con la milizia sciita: nessuna postazione militare tra i civili, avevano chiesto e in parte ottenuto. Ma la distinzione è labile, non sempre rispettata, i miliziani si infiltrano con postazioni mobili di lanciarazzi e ci sono tunnel giganteschi, ben più grandi di quelli di Gaza, in grado di ospitare caserme intere e lanciamissili con tutti i supporti logistici.

Hezbollah non ne fa mistero: sui social posta immagini dei tunnel. L’Idf mostra le uscite dei cunicoli, e molte sono vicine alle case dei civili o alle postazioni dell’Onu. Nella visione israeliana una pace è possibile con lo Stato libanese guidato dal presidente Aoun, ma solo se Hezbollah si disarma davvero e lascia il controllo del territorio a sud del fiume Litani (peraltro con un possibile nuovo mandato, più solido, consegnato alla forza Onu, l’Unifil, che finora ha avuto le mani legate, impossibilitata a intervenire).
Nell’Alma Research and Educational Center, un “centro di ricerca” poco distante (in realtà un centro di elaborazione dati dell’Intelligence), a Tefen, ci mostrano le prove che il traffico clandestino di armi, proveniente dall’Iran non si è fermato. Foto prese da droni e satelliti incredibilmente nitide e precise, fino a mostrare le fondine nascoste nelle cinture di facchini innocui all’apparenza che stanno caricando casse su un van. Un camioncino che viene fatto esplodere con tutto il suo carico.
Il traffico, ci dicono, passa dalla Siria e scende nella valle della Bekaa e da qui prosegue verso sud. Viaggia sulle navi che raggiungono i porti libanesi. Passa attraverso le stive dei voli cargo, le armi nascoste tra merce “innocua”. Una mappa precisa disegnata dai servizi israeliani mostra come Iran e i suoi proxy non abbiano smesso di essere un pericolo.

«Anzi – dice una gentile e non più giovane signora, madre di cinque figli, che tutto sembra fuorché una funzionaria del Mossad – temiamo ancora un attacco delle varie milizie pro Iran (non solo Hezbollah), che sono indebolite ma sempre pericolose. Attaccheranno attraverso il Golan. Sono ancora in allarme».
Mostra le vie del contrabbando di armi e i tipi di missili di cui dispongono Hezbollah, Houthi e quel che resta di Hamas, in grado di raggiungere tutto Israele, non solo il nord. E mostra le foto dei contrabbandieri di armi sul confine. L’Iran fa paura in molti modi, compresa l’atomica. Dopo l’attacco israelo-americano, il programma nucleare è stato rallentato ma non certo annullato.
«L’Iran è ferito ma non sconfitto», dice una ex dirigente dei servizi segreti israeliani. «Un cambio di regime ora non è realistico: le opposizioni potrebbero contare su metà della popolazione iraniana, che non è di origine persiana, ma sono ancora divise».

Neppure il cambio di regime in Siria rassicura Israele, nonostante il presidente americano Donald Trump abbia ammonito Tel Aviv a non «interferire» con la transizione in atto a Damasco, dopo uno scontro tra soldati dell’Idf e miliziani in quella che Israele definisce una operazione antiterrorismo. L’alto ufficiale che ci ha accompagnato sul Golan non a caso continua a chiamare Al-Sharaa, il nuovo uomo forte di Damasco che ha spodestato Assad, con il suo nome di battaglia, Al-Jolani, l’uomo del Golan: così si faceva chiamare quando era il capo dell’Isis in Siria (e prima ancora di Al-Qaeda).
«Ostenta propositi di accordo e spero sia sincero. La valutazione spetta ai politici ma noi militari non abbassiamo la guardia. Per questo abbiamo “punti di osservazione” nel Golan. Cioè unità pronte a intervenire. Guardate cosa hanno fatto i miliziani ex Isis ai drusi pochi mesi fa. Siamo circondati da nemici o possibili nemici o, al contrario, ex nemici che sembrano vogliano avviarsi verso una strada di pace. Noi manteniamo la guardia alta».
E aggiunge abbassando la voce: «Non ripeteremo l’errore del 7 ottobre». Il fronte nord è il più temuto da Israele. Gaza è un problema umanitario e politico, più che militare. I battaglioni di Hamas sono una spina nel fianco ma non minacciano l’esistenza di Israele. Al contrario Iran, formazioni armate nel sud del Libano, milizie filo-Teheran acquartierate in Iraq, gruppi di Hamas sparsi tra Libano e Siria, le formazioni del “fronte della resistenza” palestinese che hanno militanti pronti al terrorismo kamikaze nei campi profughi della Cisgiordania, se attaccassero uniti, potrebbero diventare una concreta minaccia per lo Stato ebraico, esausto dopo due anni di guerra, la più lunga mai combattuta da Israele.
«Dicevamo che l’Iran è la testa del serpente – dice l’ex funzionaria del Mossad – ora dico che ci sono diversi serpenti con diverse teste. Per fortuna divisi e spesso in guerra tra loro». Dal fronte nord militari e funzionari dell’intelligence ci fanno capire quanto poco Israele si fidi degli accordi e delle intese tessute dalle diplomazie. La “difesa preventiva” è ancora, per loro, la migliore opzione. O la meno peggio.