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#news #tempi.it
Tre anni fa a Caorle ci chiedevamo se è vero che “non si può più dire nienteâ€. Eravamo nel pieno della reazione alla prima elezione di Donald Trump, al culmine del politicamente corretto e dell’ideologia woke, quella dei “risvegliati†che si accorgevano delle diseguaglianze razziali e di genere nella società e le combattevano cercando di censurare e abbattere tutto ciò che era bianco, occidentale, eterosessuale e di destra. Oggi la rielezione di Trump sembra aver imposto un freno a certi eccessi, portandone però altri. È così? La cancel culture ha perso la sua forza? E quale è stato il ruolo dei social network in tutto questo? C’è il rischio di un “woke di destra”? Di questo e molto altro hanno discusso sul palco della festa di Tempi a Caorle il direttore del Tempi Tommaso Cerno, il giornalista di Domani Mattia Ferraresi e l’autore di satira Federico Palmaroli, in arte Osho, che ha fatto ridere tutta la piazza con una carrellata delle sue vignette più belle.
Quando e perché i ragazzi hanno smesso di stare nel “mondo reale†e hanno cominciato a vivere altrove, online? Qual è il destino della “generazione ansiosa†descritta di Jonathan Haidt? È possibile tornare presenza umana in una società sempre più dominata da algoritmi, tecnologie e mercificazione del corpo e della relazione? E soprattutto come si ricomincia a educare, a mettersi di traverso tra i ragazzi e l’algoritmo per non lasciarli ragazzi in balia della solitudine, della confusione tra il sé e il mercato?
A tutte queste domande hanno risposto Marina Terragni, giornalista, scrittrice, femminista della differenza, oggi garante per l’infanzia e l’adolescenza (e Premio Luigi Amicone 2025), e Claudio Risé, psicoanalista, saggista, voce libera e mai conformista, durante la serata inaugurale del festival di Tempi a Caorle “Chiamare le cose con il loro nome”.
L’incontro, partecipatissimo, di venerdì 13 giugno, intitolato “L’era della post-famiglia, tra generazione ansiosa e ansia di generareâ€, ha preso le mosse dal celebre saggio dello psicologo americano per affrontare il tema più dibattuto da esperti e giornali: da un lato la relazione tra iperconnessione e l’impennata, tra gli adolescenti, di ansia, depressione, malattie mentali, rifiuto delle relazioni; dall’altro la latitanza degli adulti, così iperprotettivi eppure incapaci di un rapporto genitoriale e di un’introduzione dei ragazzi all’avventura di vivere.
Ed è a questi ultimi che Terragni e Risé non fanno sconti, ricordandoci il prezzo di avere abdicato alla tecnocrazia il criterio con cui vivere l’umano e mettere su famiglia. Ma la realtà si sta dimostrando più forte e a dimostrarlo non sono solo i fallimenti delle derive del mercato procreativo ma i ragazzi stessi, capaci di inaspettati eppure enormemente significativi gesti di riscossa: «Nessuna generazione è perduta e già stanno emergendo gli anticorpi».
È stata una grande testimonianza di fede e di umanità quella di don Maurizio Patriciello alla festa di Tempi a Caorle. Nel secondo giorno dell’edizione 2025 di “Chiamare le cose con il loro nomeâ€, il parroco di Caivano ha approfondito alcuni dei tanti spunti che propone quasi quotidianamente sui social e dalle colonne di Avvenire a partire da fatti di cronaca di tutti i tipi, specie quelli che coinvolgono la gioventù “a rischio†del suo territorio.
Che cosa vuol dire che per educare i ragazzi occorre «ritrovare la gioia di essere cristiani»? E che gli educatori – le famiglie innanzitutto – devono «arrivare prima» della magistratura e della polizia, cioè prima che sia «troppo tardi»? Che cos’è l’autorità , e perché gli adulti sembrano aver smesso di esercitarla nella nostra società ? E che cosa è, e soprattutto cosa non è, l’amore, nel nome del quale un giovane uomo può arrivare a uccidere la sua ex fidanzata poco più che bambina? Cosa vuol dire che «ad amare si impara»?
Questi i temi toccati da don Patriciello nel corso dell’incontro “Giovani, carini e spaesati. L’urgenza di tornare a educareâ€. Con un affondo sulla situazione del quartiere Parco Verde di Caivano a due anni dalla famosa visita di Giorgia Meloni e dall’intervento di riqualificazione avviato dal governo dopo i terribili fatti di cronaca che tutti conosciamo. E un finale “poetico†sulla speranza, virtù che per don Patriciello ha un nome preciso: Gesù Cristo.
Dopo la recente pubblicazione sul sito di un decalogo di principi conservatori sottoscritto da varie associazioni culturali, i lettori tempisti godranno di un’ampia discussione sul tema nel prossimo numero di Lisander. D’altronde, parlare di conservatorismo non significa rivolgersi solo a una minoranza di persone, cittadini o elettori. Un conto è infatti identificarlo ideologicamente con una parte politica, altra cosa, invece, è discettarne come di un’attitudine o una sensibilità che, a ben vedere, riguarda tutti. Giova a tal proposito sfogliare un libro uscito di recente, pubblicato da Yale University Press: True Conservatism. Reclaiming Our Humanity in an Arrogant Age. L’autore, Anthony T. Kronman, è uno studioso americano di diritto che è soprattutto preoccupato di una tendenza contemporanea: l’egualitarismo montante che porta al livellamento sociale e all’inaridimento della persona.
Già in un volume di qualche anno fa, The Assault on American Excellence, Kronman aveva palesato il suo timore: a furia di svalutare la qualità e l’eccellenza, in nome di un democraticismo massificante, la perdita secca è di tutti. Kronman ha diversi numi tutelari, ma forse il più importante di tutti è Alexis de Tocqueville – e come dargli torto! Un aristocratico, di sangue e di spirito, che riconosce nella democrazia un fatto provvidenziale con cui bisogna fare i conti, ma che, nonostante questo, non è totalmente positivo.
Che cosa significa? Molto semplice: venute meno le distinzioni di sangue, censo ed eredità varie, non si può pensare che ciascuno sia equivalente all’altro. Il che è un altro modo per dire che ciascuno potenzialmente può elevarsi – moralmente, intellettualmente, economicamente – ma non può accampare pretese sul corpo sociale: è la responsabilità individuale che deve guidare la vita propria, una bella rivoluzione! Positiva, se ciascuno cerca di migliorarsi, ma negativa se invece diviene il pretesto per una visione egualitaria della vita, com’è d’altronde tipico di un diffuso uomo-massa contemporaneo.
Michael Oakeshott, un altro riferimento dello studioso americano, sebbene purtroppo quasi inutilizzato, parlava in un saggio sulle masse nella democrazia contemporanea (inserito in Razionalismo in politica e altri saggi a cura di Giovanni Giorgini, IBL Libri) di “anti-individuoâ€. Se è vero che con la modernità fa capolino il singolo, l’individuo che vuole ricercare la felicità a proprio modo, d’altro canto non tutti riescono a far fronte alla responsabilità che necessita questo vasto spazio lasciato alla libertà individuale. Ecco così che all’individuo si accompagna la sua controparte manqué, la sua ombra non in grado di sostenere il fardello della propria libertà .
È altrettanto evidente che l’individualismo necessita di appoggi e sostegni di natura permanente. L’uomo rischia di smarrire se stesso se non è educato ai propri limiti, da un lato, ma anche al gusto per l’eccellenza, dall’altro. Esemplificativa è la citazione posta in esergo da Kronman tratta da Tocqueville: affinché una società democratica rettamente intesa regga, va coltivato il piacere per ciò che trascende il qui e ora, un sentimento che spinga l’uomo al miglioramento di se stesso, un amore per i piaceri immateriali. Un conservatorismo autentico, per Kronman, non può che mirare a conservare un’immagine “alta†di uomo: serve educarsi alla virtù per essere in grado di sostenere il peso della libertà . Autodisciplina e autocontrollo si acquisiscono solo dopo – e mai definitivamente! – attraverso un duro e lungo tirocinio. L’educazione liberale, scriveva Oakeshott (ma non solo lui!), richiede sacrifici ma affina l’uomo.
Il discorso è tutt’altro che finito qua, ovviamente. Una parte cruciale di un conservatorismo degno di questo nome riguarda infatti la tutela di tutte quelle strutture intermedie – come la famiglia – e di quelle infrastrutture morali – come le tradizioni e i costumi – che aiutano l’individuo a orientarsi in quel vasto e sconfinato mare che è la vita stessa: tentare di distruggerle, magari sostituendole con surrogati artificiali, conduce all’abolizione dell’uomo. Conservare l’uomo, la sua dignità , la sua libertà , i suoi limiti: può sembrare forse astratto, ma le implicazioni nella realtà sono immense.
Anthony Kronman, True Conservatism: Reclaiming Our Humanity in an Arrogant Age, Yale Univ Pr, 320 pp, 34 euro.
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Al termine dell’incontro “L’era della post-famiglia, tra generazione ansiosa e ansia di generare”, con Marina Terragni e Claudio Risé, il direttore di Tempi, Emanuele Boffi, ha consegnato alla giornalista, scrittrice, femminista della differenza e Garante per l’infanzia e l’adolescenza il Premio Luigi Amicone 2025. «Ricordo la sua strepitosa vitalità , il suo coraggio, e la sua capacità di mischiarsi con persone che avevano storie molto diverse dalla sua», ha detto Marina Terragni ricordando il fondatore ed ex direttore di Tempi. «Per lui questo era un valore aggiunto. Gigi era uno strepitoso guerriero».
Il giorno prima dell’attacco il premier israeliano Benjamin Netanyahu era andato al Kotel, il Muro occidentale, quel che resta del Tempio di Salomone, luogo sacro per eccellenza dell’ebraismo. Come tanti altri ebrei che si recano a pregare aveva infilato tra le pietre un biglietto scritto in ebraico con una citazione dal sapore biblico: «Un popolo si solleva come una leonessa, e come un leone rampante si alza».
Cosa intendesse veramente lo si è capito poche ore dopo, nella notte: l’attacco condotto contro l’Iran ha un nome che si ispira al leone rampante, “Rising Lionâ€, simbolo della città di Gerusalemme e della tribù di Giuda: il popolo come un leone. E il leone ha un chiaro obiettivo: l’Iran. Il regime degli ayatollah è la preda che non può avere scampo. «Non è una operazione militare», dichiara una nota dell’Idf, l’esercito israeliano, «è una guerra».
Un comunicato descrive fin nei dettagli l’attacco preparato da tempo: «Un attacco preventivo di precisione, integrato, basato su intelligence di alta qualità , con l’obiettivo di colpire il programma nucleare iraniano». Subito dopo, continua la nota, «decine di aerei hanno completato il colpo di apertura contro un vasto numero di obiettivi militari, compresi target nucleari in diverse aree dell’Iran». Si tratta di «un attacco preventivo di portata storica per eliminare questa minaccia esistenziale contro lo Stato di Israele», hanno ribadito alla stampa ufficiali dell’Idf, «una mossa pianificata nel corso di una difficile guerra multifrontale. Questa non è un’operazione», ripetono, «è una guerra pianificata e condotta a 1.500 chilometri da casa». I militari dello Stato ebraico dichiarano di avere «eliminato comandanti e scienziati» e «attaccato il sito nucleare di Natanz».
Si parla inoltre di una campagna «sul fronte interno in cui la resistenza civile sarà una componente importante». Cosa intendano gli israeliani per “fronte interno†è stato presto chiarito. Poche ore dopo l’attacco, il comandante del Partito della libertà curdo e comandante generale dell’esercito nazionale curdo, Hussein Yazdanpanah, ha postato sui social una dichiarazione di guerra contro il regime di Teheran: «Il tempo della insurrezione e del rovesciamento del regime è arrivato. La macchina di repressione del regime è completamente distrutta».
Il Mossad, caso più unico che raro, ha mostrato foto e video dei suoi uomini che hanno sabotato le basi di lancio dei missili iraniani e hanno costruito a loro volta, in territorio iraniano, una postazione di droni esplosivi che sono stati lanciati verso obiettivi a Teheran, ulteriore prova del livello di infiltrazione raggiunto dai commando israeliani e degli appoggi su cui possono contrare nel territorio nemico.
Prima del bombardamento sono stati uccisi con lanci di precisione il capo dei Guardiani della rivoluzione, Hossein Salami, il capo di Stato maggiore dell’esercito Mohammad Bagheri e almeno 20 altri importanti leader militari e scienziati nucleari.
Donald Trump ha commentato invitando l’Iran a prendere atto della situazione e a trattare un accordo per evitare guai peggiori. Solo il giorno prima lo stesso presidente degli Stati Uniti aveva invitato Israele a non attaccare, almeno subito, e da aspettare i risultati dei colloqui tra America e Iran sul nucleare, previsti per domenica in Oman. Quanto sia stato efficace l’appello si è visto.
Certo Netanyahu non può essersi sentito frenato più di tanto dalla dichiarazione della Casa Bianca, rilasciata mentre la stessa Agenzia atomica internazionale dichiarava che l’Iran ha arricchito l’uranio delle sue centrali ben oltre i limiti previsti per usi civili, rivelandosi quindi inaffidabile e non rispettoso degli accordi. Per Netanyahu e le autorità israeliane l’Iran era pronto a costruire, e a lanciare, in pochi giorni nove bombe atomiche. Una minaccia alla stessa esistenza dello Stato ebraico, ben peggiore del 7 ottobre.
Resta da vedere quale sarà la reazione iraniana, che ha annunciato una pioggia di droni su Israele, minaccia in passato sempre sventata da Israele, con l’aiuto di Stati Uniti e sauditi. Infine restano le incognite rappresentate da Russia, Cina e Turchia. A parole solidali con l’Iran. Anche loro, in realtà , stanno muovendo le loro pedine sulla scacchiera. Se resteranno fermi è segno che avranno ottenuto qualcosa. Dopo il cambio di regime in Siria, si apre la fase decisiva del nuovo ordine mediorientale promesso da Netanyahu e auspicato da Trump.