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Sabato 29 novembre 2025, alle ore 10:30, presso l’Auditorium CMC – Largo Corsia dei Servi, 4, si terrà l’incontro “Alleanza tra generazioni: cosa significa per le comunità ecclesiali?”.
Intervengono:
Maria Malaerida, Azione cattolica
Dolores Librale, Movimento dei Focolari
Laura Boccenti, Alleanza Cattolica
Tommaso Agasisti, Comunione e Liberazione
Mons. Luca Bressan, Vicario Episcopale Diocesi Milano
coordina Peppino Zola, NONNI 2.0
Il Centro culturale Alessandro Manzoni ha organizzato per giovedì 11 dicembre (ore 21.00, presso la Casa dell’economia in viale Tonale 30 a Lecco) l’incontro “Liberi liberi siamo noi ma liberi da che cosa… L’interminabile ’68”. Dialogo con Giancarlo Cesana e Giuliano Ferrara. Coordina: Gianluca Bezzi.
Regione Lombardia chiede che l’Europa riconosca la ‘specialità ’ delle zone alpine come ‘ambiti economicamente fragili’, dunque meritevoli di maggiori investimenti e politiche ad hoc, con l’obiettivo di creare condizioni favorevoli per residenti e imprese e mitigare così i fenomeni di spopolamento.
La proposta lombarda è stata presentata oggi dall’assessore regionale allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, durante assemblea generale di Eusalp (l’Alleanza europea delle regioni alpine) in corso di svolgimento a Innsbruck, in Austria.
L’idea è mutuare a livello europeo e transnazionale l’esperienza delle ‘Zone economiche speciali’, prevedendo per le aree montane una serie di strumenti specifici (incentivi, agevolazioni e semplificazioni normative) comuni ai diversi territori transfrontalieri, in modo da creare uno ‘spazio economico alpino’ attrattivo per le aziende e in particolare per l’imprenditorialità giovanile.
“Riconoscere a livello europeo le ‘Zone montane’ come ‘Aree di interesse strategico’ – ha detto Guidesi – significa individuare e ‘mettere a sistema comune’ azioni applicabili in modo ampio e trasversale su tutte le Alpi. Occorre offrire nuove opportunità soprattutto ai giovani, attrarre capitali e talenti, implementare gli investimenti in infrastrutture fisiche e digitali. Le risposte devono essere strutturali e coordinate, anche per riequilibrare situazioni di svantaggio territoriale e di squilibrio tra confinantiâ€.
Per ottenere questi risultati, secondo l’assessore Guidesi, è anzitutto fondamentale rafforzare la ‘governance’ e il peso politico di Eusalp, la ‘Strategia Macroregionale Alpina’ attiva dal 2013 che coinvolge 80 milioni di cittadini di 7 stati e 48 istituzioni tra Regioni, Lander, Cantoni e Province Autonome accumunati dalla medesima area geografica; unico ente europeo in cui si registra la presenza della Svizzera.
“C’è la necessità – ha proseguito Guidesi – che l’Unione Europea strutturi una politica di bilancio sulla Macroregione Alpina a favore di progetti di dimensione interregionale e transfrontaliera. Eusalp deve diventare una piattaforma politica più incisiva, attraverso cui intensificare la cooperazione transnazionale tra i territori alpini e il confronto costruttivo con la Commissione Europea e tutti i decisori europeiâ€.
La proposta operativa della Lombardia prevede, come prima fase, una mappatura delle ‘buone pratiche’ già attivate nei territori Eusalp da metter a ‘fattor comune’; una condivisione degli ambiti di azione prioritari; una ricognizione delle fonti di finanziamento attivabili, anche attraverso il ricorso a partnership pubblico-private; una definizione degli indicatori di monitoraggio per stabilire l’impatto e l’efficacia delle misure condivise.
“Solo agevolando la nascita e il consolidamento di una nuova generazione di imprenditori che vivono e lavorano in montagna – ha evidenziato Guidesi – possiamo innescare uno sviluppo economico strutturale e positivo. Come Lombardia vogliamo essere promotori di una nuova visione europea di sviluppo che rafforzi l’alleanza, la cooperazione e l’integrazione tra territori simili dal punto di vista sociale ed economico e che devono godere delle stesse condizionalità . La Macroregione Alpina può e deve giocare un ruolo più significativo e operativo sullo scenario continentale.
Le Olimpiadi invernali del prossimo anno saranno una straordinaria opportunità per i nostri territori ma oggi abbiamo chiesto ai colleghi un ruolo più forte e più attivo politicamente di Eusalp affinché anche tutti gli effetti positivi di eventi così straordinari possano rimanere e consolidarsi.
Continuo a pensare che solo attraverso un ruolo attivo e sinergico tra regioni transfrontaliere possa concretizzarsi quell’Europa che ci hanno raccontato a scuolaâ€.
Le possibilità che il piano di pace americano in 28 punti per mettere fine al conflitto in Ucraina sia operativo entro giovedì prossimo, in conformità all’ultimatum che Donald Trump aveva inizialmente notificato a Kiev il 20 novembre, sono nulle.
Il piano comprende decisioni su questioni che riguardano anche Nato e Unione Europea, ed è per questo che una delle prime reazioni alla sua pubblicazione è stata la formulazione di uno speculare “piano europeo” in 24 punti formulato da Francia, Germania e Regno Unito, dissimile da quello made in Usa su punti qualificanti (per la verità , sulla paternità delle proposte Washington ha riproposto il balletto consueto, da quando si è insediata l’attuale amministrazione presidenziale, fatto di smentite delle dichiarazioni del giorno prima e di smentite delle smentite). Successivamente il piano delle tre potenze europee è stato presentato (da Reuters) come anch’esso in 28 punti che assecondano o contrastano a seconda dei casi i 28 punti del piano americano.
Il summit di Ginevra fra americani, europei ed ucraini è servito a cercare di concordare una proposta che vada bene a tutti e tre i soggetti, dopodiché toccherà ai russi dare il loro placet, che non è per nulla scontato dal momento che l’originario piano americano, presumibilmente concordato con Mosca (i suoi contenuti appaiono ricalcati su esigenze molte volte manifestate dal Cremlino), uscirà modificato dai negoziati intraoccidentali.
Il Financial Times parla di un piano ridotto a 19 punti come risultato del negoziato fra americani ed europei, ma al momento in cui scriviamo nessuno conosce il testo di questo piano ridotto; i 19 punti potrebbero essere non un piano intero da sottoporre ai russi, ma piuttosto l’insieme delle questioni su cui le tre parti presenti a Ginevra si trovano d’accordo, mentre sulle restanti 9 del piano originario devono ancora discutere perché d’accordo non sono.Â

I principali punti di contrasto fra gli iniziali piani americano ed “europeo” riguardano l’entità delle forze militari dell’Ucraina post-bellica, il destino dei territori non occupati dai russi ma da essi pretesi in qualche forma per accettare il cessate il fuoco, la questione dell’adesione dell’Ucraina alla Nato e della presenza di truppe straniere sul suo territorio, il finanziamento della ricostruzione del paese e il destino delle riserve finanziarie russe congelate in Belgio.
Qualunque compromesso su questi punti che si allontani dal primo testo americano solleverà verosimilmente obiezioni da parte di Mosca e alimenterà la sua indisponibilità a cessare le ostilità . Il pessimismo è d’obbligo.
C’è però una buona notizia che si può sin da ora rilanciare: le bozze dei piani trapelate alla stampa (non esistono al momento versioni ufficiali) manifestano punti di vista opposti su questioni cruciali, ma anche un’incoraggiante convergenza: europei e americani sono d’accordo che occorre creare un’architettura di sicurezza comune in Europa che coinvolga la Russia.
Nel piano di Washington questo concetto viene espresso ai punti 2 e 4. Il primo recita: «Tra Russia, Ucraina ed Europa verrà concluso un accordo di non aggressione globale e completo. Tutte le ambiguità degli ultimi 30 anni saranno considerate risolte». Nel secondo si legge: «Si terrà un dialogo tra Russia e Nato, con la mediazione degli Stati Uniti, per risolvere tutte le questioni di sicurezza e creare le condizioni per una de-escalation, al fine di garantire la sicurezza globale e aumentare le opportunità di cooperazione e di futuro sviluppo economico».
Il punto 2 si ritroverebbe tale e quale anche nel piano europeo in 28 punti, mentre il punto 4 è proposto con alcune correzioni: «Dopo la firma dell’accordo di pace, si terrà un dialogo tra Russia e Nato per affrontare tutte le preoccupazioni in materia di sicurezza e creare un ambiente di de-escalation per garantire la sicurezza globale e aumentare le opportunità di connettività e le future opportunità economiche».
Più sintetico ma ancora più suggestivo il contenuto del punto 24 di quello che sarebbe stato l’iniziale piano anglo-franco-tedesco secondo una delle bozza circolate: «Colloqui separati sull’architettura di sicurezza europea saranno avviati insieme a tutti gli Stati dell’Osce (l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa che riunisce 57 Stati – ndt)».
C’è voluta una guerra di quasi quattro anni su suolo europeo per la quale il conto finale dei morti e dei feriti sarà fatto in milioni di unità , per arrivare alla conclusione che la pace e la sicurezza sono garantite più dagli accordi globali fra soggetti che escono da conflitti nei quali si sono combattuti (direttamente o per interposta persona), che non dall’illimitata espansione delle rispettive alleanze militari (Nato e Csto, l’alleanza costituita attorno alla Russia che ha preso il posto del vecchio Patto di Varsavia).
C’è voluta l’ennesima inutile strage per giungere a capire che la sicurezza, nei rapporti internazionali, è un bene indivisibile: la libertà di aderire a qualsivoglia alleanza militare non è il più alto dei valori di uno Stato sovrano, essa deve essere contemperata con la percezione che della propria sicurezza hanno gli Stati confinanti e vicini.

L’orizzonte verso cui i 57 Stati dell’Osce dovrebbero muovere ha solo come tappa intermedia quella di un assetto fatto di Stati Nato, Stati Csto e paesi neutrali: l’obiettivo è un’Eurasia che non abbia più bisogno di alleanze militari perché nessuno si sente minacciato dal vicino e a nessun imprenditore politico viene offerto il cespite di consenso rappresentato dall’esistenza di un nemico esterno (reale o fantasmatico) contro il quale agitare le folle e alla fine inviare le truppe.
Nel breve periodo sono dunque necessarie le garanzie di sicurezza per l’Ucraina che implicano anche impegni di spesa militare da parte dei paesi che l’hanno sostenuta nel corso della guerra, ma nel medio e lungo periodo il sentiero tracciato dai punti delle bozze dei vari piani di pace sopra citati va nella direzione del progressivo disarmo onnilaterale e bilanciato, con conseguente diminuzione della spesa militare.
L’andamento dei titoli di Borsa il 21 e il 24 novembre segnala che gli investitori percepiscono sviluppi delle relazioni internazionali che renderanno meno profittevoli le attività delle industrie della difesa. Renk, Hensoldt, Rheinmetall (tedesche), Leonardo, Fincantieri (italiane) e Saab (svedese) hanno registrato significative perdite venerdì e lunedì. Al termine di quelle due sedute l’indice Stoxx Aerospace & Defence ha perso quasi il 4 per cento. Cattiva notizia per gli azionisti, motivo di speranza per tutti gli altri esseri umani europei.
Il prezzo pagato e ancora da pagare per l’avvento di una coscienza più matura e più realistica delle relazioni internazionali che si sta manifestando non consiste solo nelle immani perdite di vite umane, nelle mutilazioni e menomazioni con cui molti reduci dovranno fare i conti per il resto della loro esistenza, nelle distruzioni materiali e nello spreco di risorse che la guerra ha comportato. Il prezzo comprende anche la rinuncia a perseguire coloro che hanno commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità .
Il piano di pace americano in 28 punti al punto 26 prevede che «tutte le parti coinvolte in questo conflitto riceveranno piena amnistia per le loro azioni durante la guerra e si impegnano a non avanzare alcuna richiesta o a prendere in considerazione alcuna lamentela in futuro». I piani “europei†non sembrano raccogliere questa indicazione, ma è evidente che la Russia non firmerà mai un trattato di pace che non preveda l’immunità per i suoi vertici politici come per i suoi comandanti e soldati sul campo.
Tornano attuali le parole di Robert D. Kaplan sulla condizione tragica degli esseri umani, costretti spesso a scegliere fra una pace senza giustizia e una giustizia senza pace. Cioè a scegliere necessariamente fra cose che possono essere presentate come due mali o come due beni in competizione fra loro: «In base alla definizione che ne hanno dato i Greci, la tragedia non è il trionfo del male sul bene, ma il trionfo di un bene su un altro bene che provoca sofferenza».
Chi oggi manifesta indignazione per accordi di pace apparentemente troppo generosi nei confronti di chi ha iniziato le ostilità del 24 febbraio 2022, dovrebbe avere l’onestà di esplicitare il suo pensiero circa l’alternativa alla pace senza giustizia. Che è soltanto la giustizia senza pace, cioè la prosecuzione del conflitto fino a che trionfino le ragioni del diritto (già malmenato in molte circostanze di conflitto internazionale recenti). Tradotto per il cittadino comune: l’entrata in guerra dei paesi europei a fianco dell’Ucraina. Cioè la Terza Guerra mondiale, anche stavolta a partire dal suolo europeo.
A chi fa paura la “famiglia nel bosco� Un paese che si commuove per i “nomadi digitali†in diretta Instagram oggi si agita fino alla guerra civile per una famiglia che decide di vivere in un casolare nei dintorni di Palmoli, terra d’Abruzzo, con acqua di pozzo, pannelli solari e tre bambini tirati su senza scuola pubblica, senza playstation. Il derby che ne è nato (pro magistrati contro pro famiglia) non è folclore. È la versione aggiornata del più antico conflitto politico dell’Occidente: di chi sono i figli.
Per farla breve. La famiglia anglo-australiana di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham si è stabilita in un’ex casa colonica nei boschi di Palmoli. Niente allacci alla rete elettrica, niente acqua corrente, istruzione parentale per i tre figli, 8 anni e due gemelli di 6. Possono farlo? Certo che sì. Di ecovillaggi e famiglie che vivono “felici in autosufficienza†è piena l’Italia e soprattutto il paese digitale. I nomadi digitali vengono celebrati come eroi sostenibili mentre attraversano mezzo mondo educando i figli “on the roadâ€: in van, su case galleggianti, i più instagrammabili in barca a vela. E la scelta di provvedere direttamente all’istruzione e all’educazione dei propri figli senza far ricorso alla scuola, né pubblica né privata, e senza prendersi per forza un precettore, è perfettamente lecita e legale.
Lo riconosce lo stesso Tribunale per i minorenni di L’Aquila che, nell’ordinanza con cui ha sospeso la responsabilità genitoriale e ordinato l’allontanamento dei loro tre bambini, collocandoli in una casa-famiglia di Vasto, chiarisce: «L’ordinanza cautelare non è fondata sul pericolo di lesione del diritto dei minori all’istruzione, ma sul pericolo di lesione del diritto alla vita di relazione (art. 2 Cost.)».
Tradotto: il problema non è la scuola, ma l’isolamento. Secondo i giudici, l’isolamento prolungato comporterebbe infatti rischi «psichici ed educativi»: difficoltà nella gestione dei conflitti, rischio di aggressività o isolamento, bullismo, bassa autostima, ansia sociale, depressione, incapacità di riconoscere l’altro. È la prima cornice concettuale: non si giudica una condotta illegale, si fa prevenzione. Poi arrivano i fatti.
Settembre 2024. La famiglia finisce al pronto soccorso per un’intossicazione da funghi. Essendo coinvolti dei minori, parte la segnalazione ai carabinieri e al Servizio sociale. Che in seguito ai controlli di prassi segnalano al procuratore del Tribunale dei minorenni «indizi di preoccupante negligenza genitoriale, con particolare riguardo all’istruzione dei figli e alla vita di relazione degli stessi, conseguenti alla mancata frequentazione di istituti scolastici e all’isolamento in cui vivevano». Si segnala inoltre una «situazione abitativa disagevole e insalubre», «la famiglia viveva in un rudere fatiscente e privo di utenze e in una piccola roulotte», «i minori non avevano un pediatra e non frequentavano la scuola».
La procedura si attiva: il Tribunale emette un decreto provvisorio ad aprile, confermato a maggio. I bambini restano con i genitori, ma sono affidati formalmente al Servizio sociale, a cui viene attribuito «il potere esclusivo di decidere sul loro collocamento, nonché sulle questioni di maggior rilevanza in materia sanitaria». I genitori assicurano collaborazione, attestano la regolarità del percorso di istruzione parentale della primogenita, dichiarano di avere a disposizione una nuova abitazione con tutte le utenze, promettono collaborazione e aggiornamenti sullo stato di avanzamento dei lavori del casale. Poi il dietrofront: a ottobre, si legge in una nuova relazione del Servizio sociale, «i genitori non hanno inteso più avere incontri e colloqui», impediscono l’accesso all’abitazione agli assistenti sociali. Una mediazione rimette in moto la collaborazione e prevede un accesso settimanale a un centro socio-psico-educativo.
Ma anche lì la macchina si inceppa: nell’ordinanza del 20 novembre i giudici scrivono che «i genitori hanno poi rifiutato di partecipare alle attività di supporto alla genitorialità , senza partecipare ad alcun incontro. Gli accertamenti sanitari obbligatori non sono stati compiuti». La pediatra aveva richiesto una visita neuropsichiatrica infantile e accertamenti ematochimici sullo stato vaccinale.
Il punto strutturale pesa: la perizia del geometra dei genitori viene giudicata «del tutto insufficiente». Mancano impianti, rifiniture, certificazioni, agibilità ex Testo unico dell’edilizia – in Abruzzo, regione sismica, la sicurezza statica non è un dettaglio filosofico. Per il Tribunale l’assenza di requisiti essenziali «è sufficiente a far scattare il rischio di pregiudizio per l’incolumità dei minori».
Il capitolo scuola è un concentrato di frizioni tecniche. Per i giudici manca documentazione: il certificato rilasciato dalla “Novalis Open School†di Brescia non risulta notificato alla dirigente scolastica competente. L’avvocato ribalta il quadro: presenta l’atto dell’istituito comprensivo competente che autorizza l’home schooling per l’anno in corso e conferma l’idoneità della figlia maggiore. Il ministero dell’Istruzione conferma a sua volta che l’obbligo scolastico è stato regolarmente espletato «attraverso l’educazione domiciliare legittimata dalla Costituzione e dalle leggi vigenti e tramite l’appoggio ad una scuola autorizzata».
L’avvocato sostiene che quel documento non sia mai stato trasmesso al Tribunale perché «a quanto ci risulta, l’assistente sociale lo ha tenuto nel cassetto invece di trasmetterlo tempestivamente al giudice». È solo una delle “inesattezze” che i genitori porteranno a ricorso. Poco male: il Tribunale insiste sull’isolamento, «la deprivazione del confronto tra pari ostacola lo sviluppo delle competenze sociali, emotive e cognitive essenziali, rendendo più difficile l’adattamento del bambino sia nel sistema educativo che nella società in generale».
Il tribunale accusa inoltre la coppia di aver esposto mediaticamente i bambini partecipando alla trasmissione Le Iene. Avrebbero «violato il diritto dei minori alla riservatezza», divulgato «dati idonei a consentire l’identificazione dei minori», mostrando di «fare uso dei propri figli allo scopo di conseguire un risultato processuale». Punto pesante, perché entra nel territorio scivoloso – e altrettanto ipocrita ai tempi dei Ferragnez – del giudizio morale.
La conclusione è drastica: «In considerazione delle gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli all’integrità fisica e psichica, all’assistenza materiale e morale, alla vita di relazione e alla riservatezza, i genitori vanno sospesi dalla responsabilità genitoriale». Il Tribunale nomina un tutore provvisorio e «ordina l’allontanamento dei minori dalla dimora familiare e il loro collocamento in casa-famiglia». I bambini vengono portati via, la madre ottiene il permesso di seguirli, ma non di dormire con loro.
Ad oggi Nathan e Catherine non hanno più titolo per decidere dove vivono i figli, quali cure ricevono o quale percorso educativo seguono. L’avvocato smentisce punto per punto l’ordinanza: «I bambini hanno fatto i vaccini obbligatori, non hanno fatto il richiamo perché non vanno a scuola», «non hanno problemi di socialità e neppure di scolarizzazione, e l’abitazione ha l’idoneità statica». Il tecnico aveva già predisposto la costruzione di un sistema di fitodepurazione, una soluzione ecologica prevista dalla legge, per un bagno alla casa nel bosco.
E poi c’è il contesto sociale: Palmoli è quasi tutta con loro. Il sindaco ricorda di aver già messo a disposizione lo scorso anno una casa con tutte le utenze ma che la famiglia aveva lasciato perché “non corrispondeva ai loro princìpiâ€: acqua del pozzo, water a secco, pannelli solari. Catherine, addestratrice equestre, e Nathan, ebanista, hanno vissuto in tutto il mondo, parlano cinque lingue e non accettano i fondi pubblici offerti dal Comune: come ricorda l’avvocato, «non vogliono assistenzialismo, non vogliono accedere a benefici che ritengono di non dover sottrarre alla comunità . Hanno una loro autonomia economica e hanno chiarito che, se ci sono lavori da fare, li pagheranno di tasca loro».
La famiglia vive come i Neorurali: zero emissioni, autoproduzione, animali, orto, fiume. Il metodo dell’unschooling (filosofia ben diversa dall’home schooling e decisamente più radicale, nata negli anni Settanta come atto di accusa contro la società avida, competitiva e consumistica) lo hanno portato avanti con l’aiuto di una insegnante locale. I bambini vivono con una gatta, due cani, l’asino, il cavallo, coltivano l’orto, raccolgono uova delle galline, vanno al parco, fanno le gite e il bagno nel fiume con «i loro amici». Pesci? No, altri bambini. I Neorurali contano una trentina di famiglie, sessanta persone tra uomini, donne e bambini, stabilitesi negli anni tra Palmoli, Tufilo e San Buono, arrivati nei boschi d’Abruzzo per rifiutare il consumismo e incarnare quel “riconnettersi con la naturaâ€, green e sconnesso raccomandato dagli esperti e che paradossalmente fa hype sui social.
Per capirci, come ha spiegato il sindaco di Palmoli alla Stampa, sono stati i Birmingham-Trevallion a fare piazza pulita di tutti i comfort di cui pure disponeva il casolare acquistato per 20 mila euro: «Quando la coppia l’ha comprata, l’abitazione era provvista di tutte le utenze necessarie. Ma appena entrati, hanno staccato gli allacci della luce e dell’acqua e hanno demolito il bagno».
La domanda che brucia è semplice: questo quadro giustifica la decisione di portare via i figli? La vicenda è diversa, complessa e delicata ma come non essere d’accordo con Matteo Salvini quando evoca i campi rom di Giugliano: centinaia di bambini sporchi in età scolare che non vanno a scuola, vivono senza luce, senza acqua, «e lì dov’è il tribunale dei minori? Dove sono gli assistenti sociali?». Intervengono Meloni (che si dice «allarmata») e Nordio, che promette «approfondimenti».
Tanto basta a scatenare l’Anm: secondo i magistrati l’ordinanza «è stramotivata, è lunga dieci pagine», «si fonda su valutazioni tecniche e su elementi oggettivi: sicurezza, condizioni sanitarie, accesso alla socialità , obbligo scolastico». I membri del Csm hanno chiesto al Comitato di presidenza di aprire una pratica per la tutela dei magistrati del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, per proteggerli da «indebita pressione mediatica», segnalando il rischio che la vicenda venga strumentalizzata per orientare l’esito del referendum sulla riforma della giustizia.
Nel mirino le petizioni di Pro Vita accanto ad altri sette appelli per salvare la “famiglia nel bosco†che hanno raccolto centinaia di migliaia di firme. Il 6 dicembre ci sarà un sit-in di “concittadini, amici e sostenitori della coppia†davanti al ministero della Famiglia. Protestano contro una “misura estremaâ€, figlia – dicono – di un pregiudizio culturale. Sul principio, pur provenendo da matrici diversissime, gli appelli concordano.
Perché se lo Stato può intervenire così sulla libertà educativa, allora non è in discussione solo la libertà di Nathan e Catherine, ma quella di tutti. Sono anni che magistrati e tribunali si esercitano a “normalizzare†famiglie e affermare i diritti degli adulti sui figli: cosa temono davvero da una famiglia che vive nel bosco col bagno a secco?
Il filosofo Gianfranco Pellegrino, su Domani, lo chiarisce con freddezza maoista: «I bambini sono figli sempre della società e dello Stato». La loro educazione è per definizione, materia pubblica, oggetto di «discussione democratica». Per Pellegrino la pericolosità della famiglia del bosco e dei suoi sostenitori à la Meloni o Salvini sta nel diffondere «una concezione della genitorialità come proprietà , oltre che una concezione della libertà come privilegio di monadi isolate di farsi gli affari propri, scaricando su tutti gli altri le conseguenze», «un genitore non può disporre dei figli a proprio insindacabile arbitrio».
È singolare che lo stesso autore che definisce l’opposizione di destra alla maternità surrogata «ideologia omofobica» ora rivendichi la titolarità pubblica dell’educazione perché «nessun essere umano può disporre liberamente di un altro essere umano. I figli sono pezzi di cuore, non pezzi di proprietà ». Della famiglia, beninteso. Perché in fondo, al netto – ribadiamolo – dei troppi aspetti che ancora non si conoscono della vicenda e delle sue diverse versioni, la “famiglia nel bosco†non è un modello, né un pericolo. È promemoria della tentazione ricorrente del paternalismo giudiziario (di molti commentatori intervenuti sulla vicenda, e non solo addetti ai lavori) di fronte a tante famiglie reali, non perfette, forse anarchiche ma certamente non astratte: confondere tutela e supplenza. Fare della protezione dei minori una forma di amministrazione correttiva delle famiglie secondo il sentire di questo o quel momento.