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#news #tempi.it
Domani si vota in Venezuela e l’opposizione al regime chavista potrebbe vincere perché, come ha spiegato la sua leader più conosciuta, Maria Corina Machado, «c’è un’energia senza precedenti per il cambiamento. È una lotta esistenziale e spirituale. Per molti venezuelani è l’ultima occasione per non lasciare emigrare altri figli. C’è un desiderio di unione della famiglia e di vita dignitosa molto forte».
MarÃa Corina Machado non è la candidata della Piattaforma Unitaria Democratica (PUD), la coalizione formata da un conglomerato di partiti di un ampio spettro ideologico uniti dal desiderio di sconfiggere il chavismo. Aveva vinto le primarie con più del 92 per cento dei voti lo scorso ottobre, ma Maduro l’ha fatta bandire politicamente, ricorrendo alla “giustizia” per eseguire il suo diktat. Il regime pensava così di essersi tolto di mezzo il principale avversario. Si sbagliava.
Maria Corina ha ceduto il protagonismo a Edmundo González Urrutia, un diplomatico e professore internazionalista in pensione che tra un mese compirà 75 anni. Semi-sconosciuto e con un carisma lontano anni luce da quello della Machado, solo per questo il chavismo lo aveva accettato come candidato, lo scorso marzo. Lo ritenevano un rivale molto facile da sconfiggere. Invece, per vincere domani, Maduro e i suoi hanno dovuto spingere al massimo la loro solita ingegneria elettorale. Hanno comprato i voti con il cibo e i bonus (sussidi), hanno spostato i seggi all’ultimo nelle zone dove sanno che la maggioranza non è pro-regime per non scoraggiare molti ad andare a votare, hanno impedito a circa 5 milioni gli aventi diritto, fuggiti all’estero, di partecipare al suffragio e, da giorni, diffondono il solito messaggio di tutte le dittature che, quando vedono il loro potere vacillare, minacciano “bagni di sangue”.
Maduro ieri ha chiuso la sua campagna con le ormai solite minacce: «Ci sarà mano di ferro e giustizia contro i fascisti e i violenti. Non permetteremo loro di continuare a fare del male, il loro tempo è finito», ha tuonato nell’Avenida BolÃvar di Caracas. Poi ha accusato l’opposizione di fantomatici piani violenti per non riconoscere i risultati quando lui “trionferà ”, aggiungendo che, d’altro canto, le forze armate potrebbero opporsi a un’eventuale vittoria dell’opposizione.
Maduro ha chiesto ai venezuelani di pensare bene a come votare domani. «Pensate bene alla vostra famiglia, alla vostra impresa, al vostro commercio, alla vostra azienda, al vostro lavoro: chi tra i 10 candidati garantisce la pace e la stabilità del Venezuela? Solo io, e sono pronto per una grande vittoria e so che il nostro popolo lo farà di nuovo. Non ce l’hanno fatta con noi e non ce la faranno mai e domenica lo dimostreremo ai fascisti e all’imperialismo», ha dichiarato, per poi chiudere con queste parole, riferite a Urritia: «Domenica presentate il conto ai fascisti, all’estrema destra! Daremo loro una tale bastonata in modo che non si alzino mai più e non mettano più piede in questa patria».
Al di là delle minacce, anche se domani dovesse vincere l’opposizione (come del resto ha dichiarato a El PaÃs Nicolás Maduro Guerra, il figlio del presidente – «Se Edmundo vince, saremo opposizione e basta. Certo sarà un fastidio»), il regime chavista controllerà ancora il Parlamento, la Corte Suprema di Giustizia, il Consiglio Nazionale Elettorale, la capitale Caracas, 20 su 23 stati (l’equivalente delle nostre regioni), 220 su 335 comuni e tutti i vertici militari, di polizia e paramilitari (i collettivi motorizzati). Insomma, come consigliava il comandante guerrigliero comunista nicaraguense Tomás Borge, uno dei fondatori del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN) ai suoi alleati rivoluzionari ideologici di Venezuela e Cuba «possiamo perdere tutto, tranne il potere, per costruire la dittatura della democrazia».
Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno avvertito Maduro che se farà una frode monumentale o, peggio, un “bagno di sangue”, reintrodurranno le sanzioni sul greggio, rimosse dall’Amministrazione Biden come segno di buona volontà . Ciò priverebbe il regime delle entrate delle compagnie petrolifere, Chevron in testa. Per qualche mese, la Casa Bianca aveva anche ritirato le sanzioni all’oro di stato venezuelano, ma poi era tornata sui suoi passi quando MarÃa Corina Machado è stata bandita. Dal 2020 Maduro e i vertici del suo “cerchio magico” sono accusati negli Stati Uniti di narcotraffico.
Ciò rende loro difficile muoversi all’estero e, per questo, a Washington c’è chi ha proposto una amnistia in cambio di un trasferimento pacifico dei poteri. Maduro, dal canto suo, può ricattare l’amministrazione Biden avendo accettato di riprendersi i rimpatriati che arrivano al confine degli Stati Uniti senza documenti. Una grossa misura di sollievo migratorio per l’amministrazione Biden in un anno elettorale. Un accordo che, tuttavia, Maduro potrebbe cancellare in caso di mancato riconoscimento di una sua vittoria truccata da parte di Washington.
Che cosa è l’ambiente? Che cosa è l’informazione? Può esistere un ambiente digitale e può avere una sua etica? Sono gli interrogativi da cui muove il contributo di Adriano Fabris per riflettere sulla possibilità di un’ecologia – e quindi di un’etica – degli ambienti digitali. Per rispondere a queste domande è necessario procedere a ritroso e interrogarsi se, a partire dagli anni Novanta, non siamo diventati prigionieri di una caverna platonica costruita con la tecnologia, la cosiddetta infosfera? Il mio punto è che non dobbiamo prendere sul serio questa cameretta magrittiana tappezzata di contenuti virtuali, ma piuttosto ritrovare la radice dell’esistenza che è l’unica realtà . Mi spiego.
Il dato non è innocente: esiste in quanto frutto dell’incontro tra un fatto e un giudizio, tra un evento e una ipotesi. L’informazione è la registrazione di un dato e non ha alcun significato al di fuori di questa relazione. Dal tempo di Shannon è diffusa la convinzione che l’informazione esista, ma si tratta di una credenza che implica l’esistenza di […]
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Questa settimana Il Foglio ha ospitato un articolo di Sharelle Jacobs, editorialista del Telegraph, che sostiene una tesi tanto interessante quanto provocatoria. Ella vede in Trump il paradigma di un conservatorismo “gangster†che «sa quello che vuole, va a prenderlo senza fregarsene di qualunque cosa o di chiunque si trovi sulla sua strada. Un nuovo tipo di politica populista-conservatrice che persegue aggressivamente la prosperità e l’ordine, potrebbe essere l’inevitabile futuro della politica di destra nell’occidente in declino». La tesi espressa sintetizza quella polarizzazione su scala globale che più volte ho sottolineato negli articoli pubblicati su Tempi e che sembra inesorabilmente premiare le posizioni più estreme.
Il ritiro di Biden e l’entrata in gioco di Kamala Harris rafforzerà ulteriormente questa radicalizzazione delle posizioni. Tutti i commentatori, a partire dagli editoriali del New York Times, evidenziano come la sua discesa in campo non potrà che estremizzare la campagna elettorale per la presidenza americana. Non a caso Kamala Harris ha già dichiarato che il tema dell’aborto, da riconoscere come diritto universale, sarà uno dei punti centrali della sua sfida contro Trump. È facile prevedere che gli slogan della sinistra più massimalista, giocheranno su questo fronte per presentarsi come alternativa al trumpismo. Dunque, si profila uno scontro radicale tra culture “Woke†e “Magaâ€: due posizioni politiche antitetiche.
Ebbene, in un Occidente che appare sempre più vittima delle proprie paure, con un’identità offuscata e senza più punti saldi cui ancorarsi, che sta perdendo altresì il proprio ruolo di primazia sulla scena globale, la via per uscire dalle secche è davvero il conservatorismo “gangster� Questo è il tema centrale per gli Stati Uniti, che oggi non possono più considerarsi leader incontrastati nel mondo, ma ovviamente anche per l’Europa, ancor più destinata ad una marginalizzazione economica, demografica e forse anche culturale.
Esiste un’alternativa? Io credo di sì, ed quello che io chiamo popolarismo, la cultura politica che storicamente ha plasmato il blocco conservatore in Italia e in Europa e che costituisce la nostra originalità . Ad eccezione dei Tories inglesi, infatti, in Germania, in Spagna, in Francia, in Italia, ecc. non è mai esistito un vero partito conservatore, perché lo spazio politico del centro destra è stato occupato prevalentemente da forze politiche di centro moderato, culturalmente di area popolare, come la Dc e Fi/Pdl nel nostro Paese, la Cdu/Csu tedesca, il Partido Popular spagnolo, l’Ump e poi Les Republicains francesi, ecc. Questo, peraltro, è stato a mio parere il principale contributo storico dei cattolici popolari in politica nel dopoguerra: un conservatorismo popolare, non gangster, equilibrato nei toni e nei contenuti, rispettoso delle istituzioni, teso all’incontro e al confronto con l’avversario politico, non allo scontro.
Oggi può essere ancora questa l’alternativa per il centrodestra? Io credo di sì, soprattutto se l’Europa vuole mantenere la sua originalità . Certo, si tratta di una proposta che in Italia come in Europa deve ancora trovare il suo leader, ma che ha già mostrato una domanda potenziale e quindi uno spazio politico che potrebbe essere molto significativo. Lo voglio dire con le parole che qualche giorno fa ha utilizzato, alla presentazione dei palinsesti Mediaset, Piersilvio Berlusconi: «La prossima tornata elettorale potrebbe essere un’opportunità pazzesca di marketing politico. I moderati in Italia sono la maggioranza, ma oggi non hanno qualcuno in cui si riconoscono veramente, tanto è vero che la stessa Meloni sta prendendo voti dai moderati. Io non prevedo nulla, ma dico solo che ci può essere un’opportunità per qualunque nuova forza o candidato di centro moderato».
Questa, dichiarazione è una sfida culturale ancor prima che politica e lo ricorda anche un editoriale del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, intitolato: “Una destra che ama la libertà più che alimentare il trumpismo lo deve combattereâ€. Citando anche in questo caso la famiglia Berlusconi, nello specifico Marina, Cerasa sostiene che il trumpismo non possa essere la risposta ad una destra che voglia interpretare il voto moderato e conservare la propria originalità . Ed insiste appuntando che «Donald Trump incarna la paura, l’isolazionismo, il nazionalismo, l’estremismo, il radicalismo, il complottismo e il protezionismo, mentre il fondatore del centrodestra italiano, Silvio Berlusconi, ha incarnato tutto l’opposto; l’apertura, l’ottimismo, il multilateralismo, l’europeismo, l’antinazionalismo, la difesa della globalizzazione, la battaglia contro gli estremismi a partire da quello xenofobo contro cui ha combattuto per buona parte della sua vita. […] La destra che può avere un futuro è una destra che farebbe bene ad osservare la campagna di Trump con distacco, con preoccupazione ed una certezza: chi ha amato il berlusconismo non può che essere per coerenza terrorizzato da tutto ciò che rappresenta il trumpismo agli occhi di chi ama un valore non negoziabile chiamato libertà ».
Questa, a mio giudizio, è la sfida culturale che oggi attraversa la politica globale ma anche quella italiana. Riuscirà il popolarismo a rappresentare un’alternativa reale al populismo e riusciranno i popolari ad impugnare la battaglia culturale e politica per un conservatorismo che non sia nemico della libertà ?
Questa è la sfida che abbiamo di fronte. È una partita che non possiamo giocare in difesa. C’è un popolo moderato che chiede risposte. Serve coraggio e speranza verso il futuro. Bisogna rimettersi in cammino anche quando in fondo al selciato sembra che non ci siano più sentieri da imboccare. È proprio lì, che bisogna iniziare a costruire nuove strade.
Caro direttore, non so se hai avuto modo di leggere sul Corriere della Sera l’articolo di Roberto Saviano sui morti per il crollo di un ballatoio della Vela Celeste di Scampia. Poche volte ho trovato scritto su un giornale un articolo così egocentrico, lamentoso e fazioso. Secondo l’autore di Gomorra – che lessi a suo tempo e, devo dire, mi era pure piaciuto -, è tutta colpa di quelli che non hanno fatto niente per Scampia. Parla di «tragedia annunciata», ma chi avrebbe dovuto intervenire? Chiede: «I politici napoletani, campani e gli esimi ministri di questo governo con che faccia si presenteranno adesso?». Scrive che è colpa del governo che col «decreto Caivano ha trattato come fosse criminalità il disagio sociale, la marginalizzazione, la mancanza di infrastrutture, la povertà educativa oltre che economica». Insomma, è colpa della destra cattiva che governa da due anni questo Paese.
Annarosa Nuvoli
La costruzione delle Vele iniziò nel 1962 e furono inaugurate nel 1975. Come ha ricordato Corrado Ocone su Libero in quegli anni «maturava e si imponeva una cultura architettonica e urbanistica monopolizzata dalla sinistra, la cui “egemonia culturale” si consolidava anche attraverso, e forse soprattutto, l’azione di intellettuali non umanistici ma legati alle scienze pratiche». Secondo questa visione, il povero non si sarebbe emancipato da solo, ma grazie all’intervento dello «Stato potente e benevolo». Da questa concezione nacquero le Vele «esaltate come esempio di edilizia popolare modello, capolavori estetici, realizzazione pratica di un ideale di vita comune e solidale che avrebbe ricreato i legami sociali dei vicoli in un ambiente moderno e funzionale». Ed è proprio per il crollo di uno di quei ballatoi-pseudovicoli che hanno perso la vita tre persone e due bambine oggi si trovano in ospedale in gravi condizioni.
Dell’articolo di Saviano mi ha colpito il “non detto”. Chi sono i “politici napoletani” che non hanno fatto nulla per le Vele? Esse sono di proprietà del Comune, furono inaugurate dal sindaco comunista Maurizio Valenzi. Dopo di lui, per un decennio, a capo della città si alternarono otto sindaci democristiani e socialisti, ma poi dal 1993 ad oggi solo primi cittadini di sinistra: Antonio Bassolino (1993-2000), Riccardo Marone (2000-2001), Rosa Russo Jervolino (2001-2011), Luigi De Magistris (2011-2021), Gaetano Manfredi (dal 2021 ad oggi). Dunque, perché Saviano parla genericamente di politici o se la prende col governo quando avrebbe potuto benissimo fare nomi e cognomi – se proprio voleva “buttarla in politica” – di che è stato negli ultimi trent’anni il proprietario delle Vele? Forse è di questo che bisognerebbe parlare e anche di quel documento di cui hanno scritto ieri diversi giornali. Nel dossier “Restart Scampia” del 2016 la pericolosità dei ballatoi era già stata segnalata. Tragica ironia della sorte: delle sette Vele, tre sono state già abbattute, altre lo saranno, ma la Vela Celeste – quella dove si è consumata la tragedia – doveva essere “rigenerata”.
Scampia, le Vele: il ballatoio in ferro del terzo piano di un lotto si è staccato ed è crollato. 2 i morti
Bernardo Iovene nell’inchiesta “Periferie d’autore” aveva toccato con mano come si vive alle Vele
Rivedi l’inchiesta: https://t.co/cRpIqt58gr pic.twitter.com/K65axDfqSL— Report (@reportrai3) July 23, 2024
Sono stato a Scampia nel 2007 e ho fatto un giro per le Vele in compagnia dell’allora parroco don Aniello Manganiello. Già allora la situazione di degrado era nota ed evidente. Ricordo le siringhe dei tossici sparpagliate ovunque, la munnezza lasciata per strada, le ragnatele di cavi elettrici scoperti che si intrecciavano tra un appartamento e l’altro. Qualcuno diceva persino che nelle culle dei neonati scorrazzassero i topi. Nel frattempo, nulla è cambiato e per rendersene conto basta rivedere la trasmissione Report del novembre 2023 (nel video qui sopra ne trovate un estratto).