NEWS - prima pagina - NEWS - politica - NEWS meteo

Cliccando su i link posti di seguito, si aprirà la pagina delle news relativa al titolo del link stesso


News da tempi.it

News da tempi.it

#news #tempi.it

Blog
I colpevoli della deriva antiriformista e filocinese del Pd
Data articolo:Mon, 19 May 2025 06:56:54 +0000 di Lodovico Festa

Su Open il senatore Filippo Sensi dice: «Si tratta semplicemente di una presa di posizione pubblica. C’è un referendum tra un mese, ricordiamolo. Il partito si è schierato con una linea molto chiara: quella del sì. Resta però il fatto che, come la segretaria ha dimostrato, nel Pd convivono identità, sensibilità e storie diverse. In questo senso, abbiamo sentito la necessità di prendere una posizione pubblica, per spiegare come ci comporteremo e quale sarà il nostro orientamento rispetto al referendum. Non c’è la volontà di fare una battaglia politica dentro al partito. Abbiamo semplicemente una responsabilità»
Mentre nelle Regioni governate da amministratori del Pd (dalla Campania all’Emilia fino alla Toscana), e così nei principali Comuni, presidenti e sindaci sono di orientamento riformista, il Partito democratico invece ha un gruppo dirigente di orientamento radical-massimalista: tutto ciò dipende dalla stravagante idea di Walter Veltroni di far eleggere il segretario del partito an...

Contenuto a pagamento
Per continuare a leggere accedi o abbonati
Abbonamento full
€60 / anno
oppure
Abbonamento digitale
€40 / anno

Chiesa
Leone XIV e quel “di più†offerto al mondo
Data articolo:Mon, 19 May 2025 02:55:00 +0000 di Emanuele Boffi

Se non su ciò che la Chiesa annuncia, su cos'altro potremmo fondare la nostra speranza? Solo lei sa rovesciare tutti i paradigmi, tutti i pensieri, tutte le certezze mondane: innalzare ciò che sta in basso, abbassare ciò che poniamo in alto.
Ieri, nella città dove solo ruderi e rovine ricordano ciò che un giorno imperatori e re eressero per celebrare la propria potenza, un Papa si è insediato sul soglio che fu di un semplice pescatore, un analfabeta, un peccatore, colui che per tre volte rinnegò l'amicizia con l'uomo che per tre volte gli aveva chiesto se lo amasse.
Davanti a 200 mila fedeli, a 156 delegazioni arrivate da ogni parte del mondo, JD Vance e Marco Rubio, Volodymyr Zelensky e Ursula von Der Leyen, Sergio Mattarella e Giorgia Meloni, Leone XIV ha esordito con una delle espressioni più conosciute di sant'Agostino e che meglio descrivono la natura dell'uomo di ogni tempo: «Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te».
Piazza San Pietro, ...

Contenuto a pagamento
Per continuare a leggere accedi o abbonati
Abbonamento full
€60 / anno
oppure
Abbonamento digitale
€40 / anno

Salute e bioetica
In America mai così tanti aborti (e così pochi scrupoli per le donne)
Data articolo:Mon, 19 May 2025 02:50:00 +0000 di Caterina Giojelli

Planned Parenthood festeggia: 402.230 aborti praticati nell’ultimo anno, quasi diecimila in più rispetto all’anno precedente. Il record assoluto nella storia dell’organizzazione. Lo attesta il suo ultimo rapporto annuale, pubblicato – pensate un po’ – in occasione della festa della mamma, con il titolo “A Force for Hope”.

Nel frattempo gli screening per il cancro erogati dal colosso abortista sono scesi dell’8,1 per cento, le visite di medicina generale del 13,7 per cento, i trattamenti per le infezioni urinarie del 45 per cento. Eppure, il denaro pubblico continua ad affluire: 792,2 milioni di dollari, il 40 per cento del budget totale di Planned Parenthood, provenienti dalle tasche dei contribuenti americani.

Aborti in crescita, sanità in calo

«Negli ultimi dieci anni – osserva Michael New, del Charlotte Lozier Institute – gli screening oncologici sono crollati del 54,4 per cento, i servizi prenatali del 62,8 per cento, mentre gli aborti sono aumentati di oltre il 22 per cento. Paghiamo sempre di più, per sempre meno sanità, e sempre più aborti».

Quello che non dice il rapporto è a quale prezzo. Lo ha fatto il New York Times a febbraio, con un ritratto affatto celebrativo del colosso abortista in crisi e in causa con numerosissimi pazienti e dipendenti. Aborti falliti, dispositivi intrauterini smarriti e personale senza formazione: sono solo alcune delle denunce depositate contro il fornitore di servizi sanitari.

Errori medici e cause legali

Le testimonianze raccolte dal Nyt sono agghiaccianti, a partire da quella di Nakara Alston. Che credeva di avere abortito in una clinica di Planned Parenthood ad Albany, New York – sanguinava da settimane, ma il personale della clinica le aveva assicurato di aver visto «il feto abortito e che non c’era nulla di cui preoccuparsi» – e scoprì invece al pronto soccorso che il bambino era ancora nel suo grembo. Lo partorì 12 settimane dopo l’aborto fallito e il piccolo morì poco dopo essere venuto alla luce.

La tesi è che le cliniche sono così a corto di denaro che l’assistenza ne ha risentito. Eppure il numero di pazienti si è ridotto (da 5 milioni per 900 cliniche negli anni Novanta a 2,1 milioni e 600 cliniche oggi). E l’annullamento della Roe v. Wade ha portato 498 milioni di dollari di donazioni nel solo 2022. Tuttavia, spiega il Nyt, «solo una piccola parte di questi fondi viene destinata alle affiliate statali per fornire assistenza sanitaria presso le cliniche. (…) la maggior parte del denaro viene spesa per la battaglia legale e politica per il mantenimento del diritto all’aborto». Non certo in assistenza.

Il refrain “stanza sbagliata, paziente sbagliato”

Non tutto dunque si spiega con la crociata di Trump per negare i fondi federali previsti dal Titolo X (60 milioni), l’emendamento Hyde (che proibì l’uso di fondi federali per l’aborto), o il tema della concorrenza aperto dall’Affordable Care Act, che ha ampliato le opzioni di assicurazione sanitaria per le donne a basso reddito spingendole verso operatori diversi da Planned Parenthood. Sono decine le denunce analizzate dal quotidiano.

Una donna in California ha subito danni ai nervi per l’impianto scorretto di un contraccettivo. In Nebraska, un medico ha inserito una spirale in una donna incinta al quarto mese. Il feto è nato morto poche ore dopo. Medici che si esercitano a inserire aghi su braccia finte o dei colleghi per mancanza di formazione. Visite di dieci minuti per paziente. Quattro appuntamenti all’ora, minimo sindacale imposto dai dirigenti. Tutto vero

Cliniche o fabbriche?

I dirigenti giustificano e storture del sistema affermando «di aver ripetutamente dato priorità alla lotta per il diritto all’aborto rispetto alle cliniche, perché la lotta politica era fondamentale per la capacità dell’organizzazione di operare». Al Planned Parenthood Action Fund (braccio di advocacy politica che ha speso 40 milioni di dollari per far eleggere candidati pro-aborto lo scorso anno), minimizzano: ci saranno sempre dipendenti scontenti pronti a raccontare aneddoti su una “spirale malfunzionante”, ma i numeri – ripetono – restano dalla parte della clinica. Numeri poco rassicuranti se è vero che la direzione impone al personale di «visitare più di quattro pazienti all’ora e che gli appuntamenti debbano durare circa 10 minuti»

Decine le cause intentate da dipendenti, a cui è stato negato il pagamento degli straordinari, la malattia in caso di infortunio, il permesso per accudire un figlio neonato. Alle cui lamentele è stato risposto che «si trovavano in un “momento di missione”, ovvero in un momento di crisi per i diritti riproduttivi così urgente da mettere in ombra le loro preoccupazioni».

Aborti fino all’ottavo mese

L’anno scorso, continua il Nyt, sempre la Planned Parenthood of Greater New York – «uno dei pochi posti in cui l’aborto è ancora legale fino a 24 settimane» – ha dichiarato che un deficit di bilancio l’avrebbe costretta a limitare i servizi per l’aborto a termine, e a introdurre di fatto un divieto di aborto a 20 settimane. Un problema puramente “contabile”, secondo il Nyt.

Anche il Colorado ha appena visto chiudere i battenti della Boulder Abortion Clinic, guidata per 50 anni dal dottor Warren Hern, 87 anni, specialista in aborti tardivi. Hern ha confessato di aver effettuato interruzioni fino a 32 settimane, in casi eccezionali anche oltre. Ma «continuare era diventato impossibile», ha detto all’Associated Press. Il costo – fino a 10.000 dollari a procedura – era ormai insostenibile per molte donne. Nessuno ha voluto prendere in carico l’attività.

«Non è aborto, è eutanasia. Lo rifarei un milione di volte»

In un’intervista a The Atlantic, Hern aveva spiegato senza remore che il criterio per lui non è mai stato l’età gestazionale, ma la “volontà della madreâ€. Anche per aborti oltre la soglia della vitalità fetale. Una donna intervistata nello stesso reportage ha raccontato di aver abortito a 35 settimane (il suo medico aveva diagnosticato molteplici anomalie cerebrali: sua figlia avrebbe avuto difficoltà a camminare, parlare, deglutire) definendo l’atto con chiarezza: «È eutanasia. Questo è il tipo di uccisione che è. Ma lo rifarei un milione di volte se dovessi».

Secondo i CDC, nel 2021 si sono verificati 6.000 aborti oltre le 21 settimane, e se i dati del Guttmacher Institute (1 milione di aborti nel 2024) sono corretti, oggi potrebbero essere oltre 10.000. Hern ha persino ammesso di aver praticato due aborti selettivi per sesso. «Una donna voleva disperatamente una bambina, un’altra no», ha spiegato. «È stata una loro scelta».

Numeri sugli aborti e propaganda

Secondo i dati raccolti dal Charlotte Lozier Institute, il 97 per cento delle donne che si sono rivolte a Planned Parenthood per una gravidanza sono state indirizzate verso l’aborto, non verso servizi alternativi come adozione o supporto prenatale.

Nel 2023 Planned Parenthood ha pagato viaggi per oltre 12.000 donne che volevano abortire in un altro Stato, per un totale di 3,4 milioni di dollari, trovando le risorse per intentare cause legali contro le leggi pro-life in Arizona, Iowa, e altrove.

Nonostante le restrizioni sempre più severe in molti stati americani e la retorica dell’emergenza, il numero di interruzioni di gravidanza negli Stati Uniti è infatti in aumento. Il Guttmacher Institute attesta che nel 2024 sono stati effettuati oltre 1 milione di aborti, il numero più alto degli ultimi dieci anni, oltre il 10 per cento in più rispetto al 2020. Un aumento attribuibile in gran parte all’espansione dell’accesso all’aborto farmacologico, che ora rappresenta circa il 63 per cento di tutte le interruzioni di gravidanza. La disponibilità di pillole abortive tramite telemedicina ha reso l’aborto accessibile a tutti.

Il caso della pillola abortiva

Il 14 maggio, durante un’audizione al Senato, il segretario alla Salute e ai Servizi Umani degli Stati Uniti, Robert F. Kennedy Jr., ha annunciato di avere ordinato alla Food and Drug Administration una revisione completa della regolamentazione e dell’etichettatura della pillola abortiva mifepristone.

Lo ha fatto in risposta ai risultati «allarmanti» di uno studio recente del Ethics and Public Policy Center, che ha analizzato oltre 865.000 richieste di rimborso assicurativo tra il 2017 e il 2023. Lo studio ha rilevato che più dell’11 per cento delle donne che hanno assunto mifepristone ha subito gravi complicazioni sanitarie entro 45 giorni dall’assunzione del farmaco, tra cui sepsi, emorragie e infezioni. Altro che “aborto casalingo sicuroâ€. Il dato è oltre venti volte più alto rispetto allo 0,5 per cento riportato nell’attuale etichetta approvata dalla FDA.

Gli aborti aumentano. Insieme ai rischi per le donne

Più di 100 organizzazioni hanno firmato una lettera aperta chiedendo il ripristino delle precedenti regolamentazioni federali sulla sicurezza del farmaco abortivo, che erano state allentate durante le amministrazioni Obama e Biden. Le modifiche precedenti avevano eliminato requisiti come la prescrizione in presenza, i controlli successivi da parte del medico e la supervisione medica durante il processo di aborto chimico.

L’America ha sostituito lo slogan “safe, legal and rare†con “safe, legal and accessibleâ€. Ma a quale prezzo? Kennedy rimette così sul tavolo il principio che l’aborto, anche in pillole, sia un atto medico con rischi clinici reali. Lo fa nei giorni in cui Planned Parenthood festeggia il record di aborti e la narrazione ufficiale, ripetuta ossessivamente da candidati democratici, headline di giornali liberal, e fundraising campaign, è che l’America sia ormai diventata un deserto in cui abortire è impossibile, dove ogni donna è potenzialmente in pericolo. I numeri dicono il contrario. Gli aborti aumentano e con gli aborti i pericoli per le donne.

Blog
Evasioni
Data articolo:Mon, 19 May 2025 02:15:00 +0000 di Annalisa Teggi

È durata un paio di giorni la fuga di Emanuele De Maria e si è conclusa con il suo suicidio dalle terrazze del Duomo di Milano. La sua storia sovrabbonda di materiale per i patiti di crime, ma può essere significativo anche solo limitarsi a tratteggiare i contorni, come si faceva da piccoli per ricalcare le figure.
De Maria aveva già tentato la fuga dopo l’omicidio del 2016 per cui, poi, era stato condannato e stava scontando la pena nel carcere di Bollate. Detenuto modello, aveva ottenuto un lavoro come receptionist in un hotel. Paradossalmente sensato mettere un carcerato a cimentarsi con l’accoglienza, gl’incontri, l’ospitalità. Ma è stata un’occasione che ha portato De Maria a un altro omicidio, quello di una collega dell’albergo, e all’accoltellamento di un uomo, fortunatamente scampato da morte. Di fronte alla ricaduta nella violenza, De Maria è fuggito, ha girato per Milano fino a salire sull’edificio che rappresenta una dimora aperta a tutti, costruito dalla carità del popolo. ...

Contenuto a pagamento
Per continuare a leggere accedi o abbonati
Abbonamento full
€60 / anno
oppure
Abbonamento digitale
€40 / anno

Società
Per crescere bisogna fidarsi. E sfidarsi
Data articolo:Mon, 19 May 2025 02:15:00 +0000 di Caterina Giojelli

Tutti vorrebbero lavorare con Pietro Trapletti. E per “tutti†non intendiamo solo vip, diplomatici, big della musica, moda e lusso – che già lo fanno. A dire il vero, Trapletti non ha speso un solo nome per raccontarsi a Tempi. Ha parlato di papà, mamma, moglie e figli. Autisti, colleghi e amici. Se cercate gossip da Davos, dalla Fashion Week o dall’ultimo evento a Miami, qui non c’è. Si parla di Giovanni XXIII, di un bambino che cerca la playa, mentre fuori i cavalli pascolano e la pioggia ingrossa il lago di Endine. Ed è proprio questo a dire tutto dell’imprenditore che abbiamo davanti. Leader nella mobilità di alta gamma, ma soprattutto uno che incarna il claim: non importa dove andare, ma con chi. Lo dicono i suoi clienti e lo ripetono soprattutto i suoi collaboratori, da Dubai a Parigi a New York fino al piccolo comune di Casazza, provincia di Bergamo: «Tutti dovrebbero lavorare con Trapletti».

Quando Pietro Trapletti ha preso in mano l’azienda di famiglia aveva diciassette anni e aveva «tutt’altro per la testa. Ma papà mi aveva sempre coinvolto nei suoi affari, parlavamo molto e lo facevamo sul serio». Dopo pranzo, la domenica, sedevano a ricopiare le bolle degli autisti. «Scrivevano con una calligrafia terribile, e lui voleva che ogni documento allegato alla fattura fosse chiaro, leggibile. Mi diceva: “Se lavoriamo bene, dobbiamo farlo anche nei dettagliâ€Â». Eugenio Trapletti era fatto così: meticoloso, curioso, instancabile. Tecnico capo-fuochista in ospedale, poi autista di ambulanze, quindi delle auto blu, aveva aperto l’attività a 43 anni, con la voglia di fare bene. «Usava i primi Excel, le agende elettroniche, i Blackberry. Non aspettava il futuro: lo cercava. E soprattutto era attentissimo alla relazione con i clienti. Si fece un ufficio a Trezzo sull’Adda: era il primo comune del distretto milanese, e questo gli consentiva di stampare il prestigioso prefisso “02†sul biglietto da visita». Poi, un giorno, disse al figlio: «Dobbiamo chiudere. Io non sto bene». E Pietro rispose: «Adesso no. Se vuoi, quando starai meglio deciderai tu. Ma oggi decido io». Eugenio si aggravò in pochi giorni, lo guardò e disse: «Là fuori è un mondo di lupi. Tu non ce la farai mai». Non era un giudizio: «Era una sfida».

Pietro Trapletti, fondatore e Ceo di Balsamo Srl
Pietro Trapletti, fondatore e Ceo di Balsamo Srl

«Prova, inventati qualcosa»

Nel 2002, in appena diciannove giorni, Pietro perse suo padre. «Ci siamo seduti con mio cugino e ci siamo chiesti: cosa vogliamo fare?». In quel momento aveva tre autisti, la quarta superiore ancora da concludere, e clienti che lo chiamavano: «Scusa Pietro, sei uscito da scuola? Posso chiederti per il prossimo servizio?». Quella fiducia, quella scommessa sul figlio di Trapletti, fu un dono. «Un’eredità morale che mi educò fin da subito alla responsabilità». Le relazioni che Eugenio aveva costruito negli anni si rivelarono decisive. «Pietro, se tu vai avanti, noi siamo contenti», gli dissero allora i clienti di sempre. Un atto di fiducia che il ragazzo non avrebbe mai dimenticato.
La quinta superiore la frequentò alle serali. Accanto, c’era sempre mamma Gina, che lo sostenne con discrezione, pur rimanendo defilata dalle dinamiche di un’azienda che dal 2006 avrebbe portato il suo cognome da ragazza: Balsamo. Furono anni decisivi in cui Trapletti comprese che fare impresa, per suo padre, non era solo un mestiere, ma il senso della vita. «Tuttavia mi rendevo conto che il servizio al cliente iniziava e finiva nel trasporto con conducente: sufficiente per ottenere un giudizio positivo, ma non per garantirci una scelta futura. Così ho cercato di concentrarmi sul “prima†e sul “dopoâ€, su come costruire valore con una struttura complessa».

Per realizzarla Trapletti sapeva di aver bisogno di un team e di un atto di umiltà. «Io voglio fare questa cosa e farla in grande, ma non ho le competenze», ammise, ingaggiando un consulente esterno. «Mi aiuti?». La stessa richiesta la fece alla fidanzata che sarebbe diventata la sua group commercial director, ma soprattutto sua moglie e madre dei suoi figli. E ad altri amici, fino a dare vita a un team locale, proprio a Casazza, un terreno fertile per coltivare talenti. La visione di Trapletti si estese presto all’estero. «Ok, ma cosa devo fare?», gli chiese la tirocinante a cui affidò la ricerca dei collaboratori. «Se lo sapessi lo farei io… Prova, inventati qualcosa». Era il 2013. L’evoluzione fu rapida, si iniziò a curare ogni aspetto del viaggio: l’attesa, l’accoglienza, la relazione di lungo periodo. «I clienti non sceglievano più solo un tragitto, ma un’accoglienza. Volevano sentirsi unici».

Leggi anche

Alla conquista del mondo

Il primo milione di fatturato arriva nel 2015, ma Trapletti lo associa «a quando alcuni del mio team hanno deciso di assumersi responsabilità che prima non avevano. Ogni passo in avanti dei nostri è stato un passo in avanti per tutti». Nel 2017 nasce la Mobility Technical Management, a Roma, per occuparsi dei rapporti istituzionali e diplomatici, operando in Europa, Asia e Oceania. Le richieste dall’estero per eventi, concerti e missioni delicate si moltiplicano. Entrando nella sede di Bergamo notiamo i cartelli destinati alle varie auto (spiccano i loghi di Leonardo, Eni, Hugo Boss, Chanel, Damiani, Fendi, Miu Miu), le foto di Lady Gaga e Mick Jagger, degli U2 e dei Maneskin che scendono da una macchina Balsamo. Ma Trapletti è riservato come una tomba e non ne cita neanche uno.

«Una volta ci chiesero di replicare a New York ciò che avevamo fatto a Roma con la presentazione di un gioiello. Non un servizio, ma un’esperienza. Il problema non era trovare l’auto giusta, ma creare quel clima umano che solo una cura italiana sapeva offrire». Così, nel 2020, nasce la collaborazione con la Mobility Angel Corporation di New York, per il mercato Usa, Canada e America Latina. Poi, nel 2022, l’ingresso nella Société Parisienne de Gestion de la Mobilité a Parigi, per seguire i mercati francese, del Benelux e africano. Oggi Trapletti ha acquisito il 100 per cento di entrambe le società. Il fatturato del 2024? Oltre 25 milioni di euro. Collaboratori? Oltre 900 nel mondo. Dipendenti? Un centinaio, di cui il 50 per cento ha meno di 30 anni.

Le spoglie di Giovanni XXIII

«Sì, ho pensato di trasferirmi. Ma poi ho capito che tornare qui, in questa valle, è ciò che ci tiene lucidi. Se restassimo troppo a lungo nei mondi del lusso, rischieremmo di dimenticare chi siamo». Ogni giorno si parte per missioni diplomatiche, tour, al seguito di artisti e capi di Stato. Ma il centro rimane lì, dove tutto è iniziato. Dove c’era un padre, e ora ci sono dei figli. «Sono piccoli, ma li coinvolgo. Racconto le difficoltà, devono sapere che si può sbagliare. Che vale la pena di provarci. L’impresa, se ha senso, è anche una scuola di libertà». Un’estate aveva dato il permesso al primogenito di “andare da solo†a recuperare qualcosa dalla spiaggia all’hotel. Il piccolo aveva preso la via sbagliata per il mare fino a incontrare un passante. «Mi scusi… Dónde está la playa?». Era tornato orgogliosissimo di essersela cavata: «Papà, ce l’ho fatta». E Trapletti, che lo aveva seguito a distanza senza mai perderlo di vista, lo sapeva.

A tutte queste cose pensava nel 2022, quando ricevette una chiamata riguardante il rientro delle spoglie di papa Giovanni XXIII da Roma a Sotto il Monte. Un incarico delicato, che univa logistica, simbolo e memoria. «Non potevo non esserci. Non era solo un servizio, ma un atto di gratitudine verso il mio territorio. Ho guidato di notte, pensavo a mio padre, a tutto quello che era successo. E mi sono detto: sono grato. Ho il dovere di continuare». Anche durante la pandemia, aveva scelto di non mollare. Nessun alibi, nessuno in cassa integrazione, nessun taglio. Invece: formazione, telefonate, progettazione. «I clienti ci dicevano: ma voi perché lavorate ancora? E noi: perché oggi si semina. Perché domani, se ci sarete ancora, vogliamo esserci anche noi». Un impegno che si tradusse anche in azioni concrete per la comunità, dal reperimento di mascherine al supporto per i rimpatri.

Delle due l’una: o Pietro Trapletti è un imprenditore fuori moda, o è il precursore assoluto dell’impresa del futuro. Parla di amicizia, di missione, di bene comune, non come slogan: come realtà quotidiana. Lo ribadisce spiegando la sua adesione al Manifesto del Buon Lavoro della Compagnia delle opere: «Durante il Covid ho ricevuto solidarietà da imprenditori molto più “avanti†di me, che mi hanno preso per mano, mi hanno accolto in una compagnia, un’amicizia operativa per cercare di creare valore per la società».

Leggi anche

«Lasciate giocare i giovani»

Insiste sul senso dell’opera: «Io ho una responsabilità: creare il contesto. Ma poi sono i miei ragazzi che devono giocare in attacco. L’azienda deve esistere anche senza di me». Così ha iniziato un percorso di crescita per i suoi collaboratori: «Alcuni erano bravissimi, ma avevano paura di esporsi. Dovevano imparare a metterci la faccia. Quanto ai giovani, se li lasci giocare, fanno miracoli». Ma nessun miracolo sarebbe possibile senza “quel†dono. Chiamatelo fiducia, speranza, quella che Eugenio Trapletti aveva sfidato nel figlio adolescente. La stessa che Pietro Trapletti ripone in chiunque accetti la responsabilità di fare bene. Là fuori è un mondo di lupi. Per questo tutti vorrebbero lavorare con Pietro Trapletti.

***

Una versione di questo articolo è pubblicata nel numero di maggio 2025 di Tempi. Il contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Interni
Milano non è Londra
Data articolo:Sun, 18 May 2025 02:55:00 +0000 di Lorenzo Margiotta

Con questa intervista Tempi apre una serie di dialoghi con figure del mondo della cultura, delle istituzioni, dell'università, delle professioni e dell'imprenditoria milanesi. A ciascuno chiederemo il proprio sguardo su Milano, sui suoi problemi e sulle sue risorse, in una parola sulla sua "identità", con un occhio sul presente capace di comprendere la storia e di spingersi al prossimo futuro.
* * *
Gianni Biondillo si definisce un “pazzo fanatico†di Carlo Emilio Gadda. Architetto, scrittore, si occupa di cinema, fotografia, letteratura, psicogeografia. In questa sorta di “nebulosa della culturaâ€, come la definisce, ha sempre messo al centro della sua narrazione Milano, in tutte le sue forme possibili e immaginabili. Dalla Milano delle fabbriche, lui figlio di immigrati provenienti dal Sud Italia, ha visto mutare profondamente la morfologia della città, urbanistica e non solo. Fino all’avvento del “modello Milanoâ€, la metropoli dallo standing internazionale consolidatosi nell’ultimo d...

Contenuto a pagamento
Per continuare a leggere accedi o abbonati
Abbonamento full
€60 / anno
oppure
Abbonamento digitale
€40 / anno

Chiesa
La faticosa “pace disarmata e disarmante†dei cristiani d’Arabia
Data articolo:Sun, 18 May 2025 02:50:00 +0000 di Giancarlo Giojelli

Il missionario al mio fianco che incontro per caso (per caso?) nel grande abbraccio della piazza ha una sorta di strano sussulto quando sente le prime parole di papa Leone XIV, “pace†e “pontiâ€: lui ne sa qualcosa. Non posso fare il suo nome, rischierebbe troppo; peggio ancora, con lui rischierebbero tanti amici che ha lì, nella terra dove il cristianesimo ha le radici più antiche ma dove non è possibile pregare Gesù, non è possibile amministrare un sacramento, non è possibile riunirsi nel nome di Cristo.

Lui, padre Filippo (è un nome di fantasia, ma quello vero lo renderebbe subito identificabile e questo non si può), viene dall’Est Europa, si è fatto prete sotto il comunismo, in un altro paese dove la fede era già motivo di sospetto, e professarla pubblicamente rendeva chiunque agli occhi del potere un potenziale nemico dello Stato, poco adatto a ricoprire cariche pubbliche, cittadino di serie B.

Le celebrazioni “segrete†di un prete in incognito

Ora Filippo è missionario nei paesi arabi, e il suo compito è proprio quello di viaggiare in Arabia Saudita. Qui la fede cristiana professata non è ammessa, nonostante ci siano più di un milione e duecentomila cattolici. La maggior parte di loro sono espatriati filippini con un permesso di lavoro temporaneo. Lo Stato saudita ha bisogno di loro per tanti lavori, non fa discriminazioni, tranne una: non possono professare la loro fede, portare articoli religiosi, oggetti che richiamino il loro credo. E libri di qualsiasi culto che non sia l’islam.

L’intera terra saudita è territorio sacro all’islam e c’è una polizia speciale che vigila, la Saudi Arabia Mutaween, in lingua araba la polizia religiosa. Essere scoperti a pregare o portare un Vangelo o un crocefisso comporta la perdita del posto di lavoro, se va bene, ovviamente annunciare il Vangelo in pubblico è un crimine grave. Se poi un musulmano si converte ad altra religione (e si calcola che vi siano almeno sessantamila musulmani convertiti segretamente al cristianesimo) il crimine si chiama apostasia, e può comportare la pena di morte se l’imputato non abiura pubblicamente. Non si ha notizia di esecuzioni di questo tipo nel recente passato, ma va detto che i cristiani sono molto attenti a non farsi scoprire.

«Funziona così», racconta a Tempi padre Filippo: «Nessuno sa che sono un sacerdote, o meglio non lo sanno le autorità. Ma i cristiani a Riyad mi conoscono e quando arrivo mi chiamano, mi vengono a prendere, mi portano in case private o in locali affittati per feste di matrimonio o compleanno. Non hai idea di quanti riescono a stiparsi in una casa privata, in un piccolo capannone. A Pasqua erano 23 mila, sparsi in diverse località con cinque sacerdoti a celebrare. Io ero sommerso dalla folla, l’altare scompariva nella calca. Abbiamo pregato a bassa voce, tutti hanno ricevuto il sacramento. Quando mi invitano a cena mi apparto in un angolo, confesso, battezzo. Niente altro. Ma è un rischio grande, se scoperto come minimo io sarei processato ed espulso, ma loro perderebbero tutto. Casa e lavoro. È una profanazione, la terra della Arabia Saudita è tutta una grande moschea senza confini se non il deserto. E il cielo».

Leggi anche

«Il primo ponte è la nostra preghiera sommessa»

La Chiesa cattolica ha diviso la terra di Arabia in due vicariati. A Nord c’è il vescovo Aldo Berardi, francese di origine italiana, religioso dell’Ordine Trinitario, l’antico ordine fondato nel 1198 per riscattare gli schiavi prigionieri dei pirati musulmani. Berardi è il pastore di oltre 2 milioni e settecentomila battezzati che vivono in Bahrein, Kuwait, Qatar e, appunto, Arabia Saudita. Qui la diocesi non può essere riconosciuta, non esiste nemmeno di fatto come struttura, ma esistono i cristiani «tempi vivi, cuori vivi di Cristo», mi dice il missionario che ho incontrato in mezzo alla folla in piazza San Pietro, e mi racconta della cattedrale di nostra Signora d’Arabia in Bahrein ad Awali, dove è venuto nel 2022 papa Francesco. Si commuove un poco ricordando le centinaia di migliaia di pellegrini arrivati da tutti i paesi arabi.

Il secondo vicariato comprende l’Arabia meridionale, gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman e lo Yemen, più di un milione di cattolici guidati dal vescovo Paolo Martinelli, padre cappuccino milanese.

Padre Filippo è un fiume in piena, un fiume di entusiasmo e carità. «I ponti sono una realtà viva che vedo crescere», mi dice. «Non puoi capire, tu vivi in città dove ci sono più chiese che fedeli, dove entrare a pregare, partecipare a una Messa, parlare con un sacerdote sono cose scontate: non ti rendi conto del grande dono, immenso dono che vivete. Noi vogliamo vivere in pace la nostra fede, quella “pace disarmata e disamante†che sta citando il Papa, e la nostra preghiera sommessa ma non tacita è il primo ponte. E non sai come e quanto mi ha commosso quando un cristiano mi ha raccontato che in ospedale a Riyad un gruppo di amici si era riunito attorno al letto di suo padre morente e a un certo punto hanno cominciato a pregare. È un gesto proibito, pericoloso, eppure i medici si sono fermati in silenzio, e quando il padre è morto si sono avvicinati con rispetto. È stato un grande segno quella morte. Un gesto che ha unito oltre ogni immaginazione».

La preghiera ecumenica per la pace presieduta da pope Francesco nella cattedrale di Nostra Signora d’Arabia, Awali, Bahrein, 4 novembre 2022 (foto Ansa)
La preghiera ecumenica per la pace presieduta da pope Francesco nella cattedrale di Nostra Signora d’Arabia, Awali, Bahrein, 4 novembre 2022 (foto Ansa)

Il fascino di una presenza

Due anni fa, nel 2023, i due vicariati hanno celebrato un giubileo dedicato alla memoria dei santi Areta e compagni, i primi martiri d’Arabia, sterminati nel 523 a Najran, località che oggi fa parte dell’Arabia Saudita e porta il nome di al-UkhdÅ«d. Monsignor Berardi ha detto ai media vaticani che «è stato un anno di grazia, gioia e riflessione: ha segnato il cammino dei cristiani in terra d’Arabia». Si è entusiasmato nel vedere migliaia di persone in pellegrinaggio attraversare ogni giorno le porte sante aperte nei due vicariati e riflettere profondamente sull’essenza dell’essere cristiani. «È vero, questa nostra zona è musulmana ma i martiri d’Arabia sono vissuti prima della fondazione dell’islam. Per ritrovare il senso storico di questa presenza cristiana molti pellegrini sono andati anche sul luogo dell’eccidio. Questa è una realtà “unica†in cui i migranti “ritrovano†nella Chiesa quella che un tempo era la loro terra di origine, costruiscono legami, ecco: ponti. Sono migranti o, per meglio dire, degli “expatâ€, poiché qui nessuno resta a lungo o prende la cittadinanza. Persone che ritornano o emigrano in altri paesi ma la Chiesa con i suoi sacramenti, la sua dottrina, i suoi riti universali e le sue celebrazioni li fa sentire a casa».

In questi giorni il presidente americano Trump ha viaggiato in tutta l’Arabia, ha stretto le mani dei potenti, ha tracciato “ponti†di ben altro genere, cementati da miliardi di petrodollari. «Nessuno si aspettava che si parlasse di libertà religiosa, quella ha bisogno di altri ponti costruito di ben altra materia», dice sorridendo il missionario. «E la Chiesa cresce “per attrazioneâ€, nel fascino di una presenza, non nel potere del denaro o nella egemonia di una cultura».

La guerra non è lontana. «Noi, che siamo in mezzo», ha detto monsignor Berardi, «preghiamo con ancora più forza per la pace. La missione ha caratteristiche particolari nel Golfo in cui è vietato il proselitismo: convertirci sempre di più personalmente. Qui essere missionari significa esserlo per se stessi, sviluppando questa identità cattolica, la moralità cattolica, la spiritualità che ci fa essere riconosciuti. Tanti non possono venire in chiesa, per questo stiamo riflettendo su come raggiungerli attraverso strade diverse».

I viaggi di papa Francesco negli Emirati Arabi prima (2019) e poi in Bahrein (2022) hanno garantito «ancora maggiore riconoscimento e visibilità», una presenza fondata sui valori di «generosità e solidarietà», ha aggiunto il vescovo in una dichiarazione ad Asia News. «Si insiste molto sul tema della coesistenza, che significa rispetto dell’altro e va oltre la stessa tolleranza che non implica l’incontro. La coesistenza è un passo in più», spinge a ragionare su come «vivere insieme, il rispetto nella diversità».

Paolo Martinelli, vicario apostolico dell'Arabia meridionale, al Meeting
Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale, al Meeting di Rimini (foto Meeting)

Martinelli: «Le nostre chiese sempre piene di fedeli e di entusiasmo»

Migliore è la situazione nel vicariato della Arabia Meridionale. Abu Dhabi, nel 2019, è stato il luogo di incontro tra il Papa e i massimi rappresentanti delle religioni islamiche; qui il Pontefice e il grande imam di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, hanno sottoscritto insieme il documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune.

Il vescovo Paolo Martinelli sottolinea parlando con Tempi la crescita della fede tra il popolo. Un popolo nuovo che nel nome di Cristo unisce tanti popoli. «La situazione negli Emirati Arabi è molto buona», ci dice. «Godiamo di libertà religiosa, sia per le celebrazioni eucaristiche che per la catechesi. Le nostre chiese sono sempre piene di fedeli che partecipano con grande entusiasmo. I nostri fedeli provengono da oltre cento nazioni, parlano lingue diverse e appartengono a riti diversi, ma abbiamo la stessa fede cristiana, abbiamo lo stesso battesimo, siamo membra dell’unico corpo di Cristo. Qui sperimentiamo l’unità della Chiesa in un modo particolarmente intenso. Quando papa Francesco ha celebrato la Messa qui ad Abu Dhabi nel febbraio del 2019 durante l’omelia ci ha detto che noi formiamo una “polifonia della fede†che dà gloria a Dio. Anche in Oman è garantita la libertà religiosa. Il popolo omanita è mite e ospitale. I nostri fedeli si radunano per la Santa Messa e per la catechesi regolarmente. Il rapporto con le autorità locali è molto buono. Diversa è la situazione nello Yemen dopo 10 anni di guerra civile. Nonostante le gravi difficoltà che hanno costretto molti cristiani a lasciare il paese, nel Nord ci sono due comunità di suore di madre Teresa di Calcutta, le Missionarie della carità, che fanno uno straordinario lavoro di accoglienza di malati e di anziani».

Il dialogo possibile

Diverso, chiediamo, è quanto succede in alcune realtà del vicariato dell’Arabia settentrionale, dove sussistono forti limitazioni, per esempio sulle celebrazioni. Perché questa differenza? «Ogni paese nel Golfo ha una propria storia e tradizione», risponde monsignor Martinelli. «Gli Emirati Arabi Uniti, fin dalla loro fondazione, sono stati molto aperti a persone di culture e religioni diverse. In questo paese quasi il 90 per cento della popolazione è migrante. Si contano persone di oltre 200 nazioni diverse. È un po’ nel Dna di questo paese, nato nel 1971, la coesistenza tra persone di fedi diverse e culture diverse. Non a caso papa Francesco è venuto qui per firmare il documento sulla Human Fraternity insieme al grande imam di Al-Azhar. Qui è nata la Abrahamic Family House, un unico centro in cui sono presenti una moschea, una chiesa cattolica dedicata a san Francesco d’Assisi e una sinagoga: una grande esperienza di dialogo e di condivisione nel profondo rispetto delle differenze religiose».

Penso a padre Filippo, che sta ripartendo per quella terra dove in mezzo al deserto fioriscono inaspettati germogli che lui è chiamato a curare, uno per uno: «La vita dell’uomo singolo, dimenticato, ignoto», scriveva Karl Popper, «le sue pene, le sue gioie, la sua sofferenza e la sua morte, questo è il contenuto dell’esperienza umana attraverso i secoli». Parole che riecheggiano in quelle del missionario: «Nel cristianesimo conta ciò che pochi pescatori hanno dato al mondo, non le imprese dei conquistatori romani».

Cultura
Eric Voegelin, filosofo dell’ordine e della verità
Data articolo:Sun, 18 May 2025 02:35:00 +0000 di Carlo Marsonet

Eric Voegelin (1901-1985) è stato forse uno degli ultimi autentici filosofi. Autore prolifico e certamente complesso, è ormai quasi dimenticato, e si capisce anche perché: parlare di trascendenza, verità e ordine di questi tempi è qualcosa che desta sospetto nei contemporanei. Espunto qualsiasi riferimento alla dimensione religiosa e ultraterrena dell’esistenza umana sia dal discorso accademico sia da quello pubblicistico, è evidente che ogni autore che ne tratti è considerato o un rudere intellettuale o un pericoloso conservatore. Del resto è Voegelin stesso che nota nei suoi ricordi autobiografici di essere stato apostrofato come un fascista e persino un nazionalsocialista (sic!).

Ma chi era questo filosofo tedesco naturalizzato americano? In italiano disponiamo di qualche sua gemma tradotta. Pensiamo, per esempio, alla pubblicazione in corso della monumentale opera in cinque volumi di Ordine e storia per Vita e Pensiero e con la cura di Nicoletta Scotti Muth: il terzo volume, dedicato a Platone e Aristotele, è stato tra l’altro presentato all’Istituto Bruno Leoni con gli interventi della curatrice, Sergio Belardinelli e Lorenzo Ornaghi. Ma consideriamo anche le ormai classiche traduzioni de La nuova scienza politica (Borla, con un saggio fondamentale di Augusto Del Noce sulla critica alla modernità del tedesco), Il mito del mondo nuovo (Rusconi, con introduzione di Francesco Alberoni) e, un po’ meno risalente, ma comunque di vent’anni fa, Dall’illuminismo alla rivoluzione (Gangemi, a cura di Dario Caroniti). Per un’introduzione essenziale ma esaustiva a questo grande del Novecento – corredata da un glossario finale assai utile per meglio comprenderne le argomentazioni – è ora nuovamente disponibile, in formato ebook, Eric Voegelin. The Restoration of Order di Michael P. Federici (Gateway).

Totalitarismo e modernità

Nato a Colonia, in Germania, si mosse poi con la famiglia a Vienna, dove sarebbe poi diventato allievo di Hans Kelsen e avrebbe frequentato i seminari di Ludwig von Mises. Viaggiò negli Stati Uniti e lì iniziò ad allontanarsi dall’epistemologia moderna, orientata a questioni metodologiche e relativistiche senza prendere in considerazione la realtà trascendente.

Costretto ad abbandonare l’Austria dopo l’Anschluss, Voegelin raggiunse gli Usa dove sarebbe poi rimasto a insegnare per l’intera vita, a parte qualche anno trascorso a Monaco tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. L’esperienza totalitaria lo avrebbe però segnato in maniera cruciale. Quella che andava maturando era una riflessione sul suo significato: il totalitarismo era un nemico della modernità o piuttosto una conseguenza della modernità stessa?

Alla base di questa risiede per Voegelin una pulsione gnostica: l’idea, detto brutalmente, che la salvezza dell’uomo non sia raggiungibile altrove, ma a questo mondo. Lo gnosticismo, in sostanza, non è altro che l’immanentizzazione dell’eschaton cristiano. E il totalitarismo non è che una espressione, l’espressione finale di quella presunzione di potere rifare l’uomo e costruire il paradiso in terra. Ma per Voegelin tutta la modernità è segnata da questa hybris, una rivolta contro il trascendente: l’illuminismo, il positivismo, lo scientismo sono altre manifestazioni di una tale tendenza. Manifestazioni dell’andare oltre i limiti dell’umano, sacrificando l’ordine, lo spirito e la verità sull’altare di idoli terreni: «La morte dello spirito è il prezzo del progresso».

Temporale e spirituale

Scrive Voegelin ne La nuova scienza politica: «La speculazione gnostica superò l’incertezza della fede mediante un ripiegamento della trascendenza e conferendo all’uomo e alla sua azione intramondana un significato di compimento escatologico. A mano a mano che questo processo di immanentizzazione progrediva sul piano dell’esperienza, l’attività di civilizzazione si trasformò in uno sforzo mistico di autosalvazione. La forza spirituale dell’anima, che nel cristianesimo era consacrata alla santificazione della vita, poteva essere ora consacrata alla più seducente, più tangibile e, dopo tutto, tanto più facile creazione di un paradiso terrestre».

Egli non riteneva né possibile né auspicabile restaurare un ordine passato, diciamo pre-moderno. Ciò che reputava fondamentale era tuttavia la riscoperta del rapporto profondo tra dimensione temporale e spirituale, ovvero tra ordine terreno e ordine trascendente. Nel momento in cui viene infatti soppresso ogni riferimento di natura religiosa, l’uomo smarrisce l’ancora che gli consente di maturare quell’ordine interiore spirituale cruciale per l’ordine civile. In questo senso, ad esempio, egli contrastava l’interpretazione totalitaria del pensiero platonico: al contrario, Platone era per Voegelin colui che aveva posto chiaramente la questione, per la quale senza verità, un ordine non può reggere. Assassinando Dio in nome della salvezza terrena, si creano le condizioni per una ben poco auspicabile schiavitù eterna: una schiavitù dal potere, ma anche dalle proprie passioni.

Blog
Centotrent’anni di caccia all’armeno cristiano. E la nostra indifferenza suicida
Data articolo:Sun, 18 May 2025 02:30:00 +0000 di Ubaldo Casotto

Bisogna leggerlo questo Non ti scordar di me. Storia e oblio del Genocidio Armeno di Vittorio Robiati Bendaud. Bisogna leggerlo con l’attenzione che chiede e con la fatica che comporta. Perché fa conoscere in profondità, con accuratezza storica e svisceramento culturale, quello che alcuni (pochi) credono già di sapere. E che tanti (i più) ignorano, per disattenzione o per negazionismo. Entrambi gli atteggiamenti comportano una responsabilità morale, quella che un sacerdote mi ha insegnato essere la forma più quotidiana e più grave del peccato: la dimenticanza.
Che cosa sia questa smemoratezza in cui ci culliamo lo si capisce per opposizione: nel linguaggio dei fiori il non ti scordar di me, che dà il titolo a questo saggio, è simbolo di fedeltà e amore eterno. Quell’aver presente l’altro e l’essere al suo fianco che è il tratto essenziale del divino: «Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele» (Geremia 31,3).
«Armeni parassiti come gli ebrei»
Non stupisca quest...

Contenuto a pagamento
Per continuare a leggere accedi o abbonati
Abbonamento full
€60 / anno
oppure
Abbonamento digitale
€40 / anno

Economia
Occorre puntare sul protagonismo dei giovani artigiani lombardi
Data articolo:Sat, 17 May 2025 13:43:03 +0000 di Redazione

La piazza della Regione come vetrina del ‘saper fare lombardo’, con l’obiettivo di valorizzare sempre più la qualità degli artigiani di Lombardia, terra protagonista in Europa e nel mondo anche grazie alla forza e all’eccellenza dei propri maestri dell’artigianato. Sabato 17 maggio a Milano si è svolta la seconda edizione ‘Festival Made in Lombardia’, l’evento dedicato ai giovani artigiani più importante d’Italia, voluto e organizzato da Regione Lombardia e Unioncamere in collaborazione con la startup ‘Eccellenza Italiana’.

A fronte del grande successo della scorsa edizione, Regione ha dunque deciso di riproporre la kermesse in cui 40 giovani maestri del ‘saper fare’, provenienti dalle diverse province lombarde, hanno lavorato in piazza Città di Lombardia mostrando cosa significhi essere artigiani oggi: la piazza coperta più grande d’Europa si è trasformata in un grande laboratorio e in una grande bottega dove vedere all’opera la qualità artigiana lombarda.
Lo spirito della manifestazione, rivolta soprattutto a studenti delle scuole superiori e laureandi, è valorizzare la figura dell’artigiano presso le nuove generazioni. Sul palco principale si sono susseguiti discorsi ispirazionali, workshop e incontri interattivi con esperti di fama nazionale e internazionale nei diversi settori del comparto, dalla moda al design, dall’enogastronomia all’intrattenimento.

“È importante – ha evidenziato l’assessore regionale allo Sviluppo economico e promotore dell’iniziativa, Guido Guidesi – innescare un cambio di approccio al mondo dell’artigianato, che deve tornare ad essere attrattivo per i giovani, in modo da non disperdere l’enorme patrimonio lombardo di conoscenze ed ingegno. È necessario valorizzare le tante positività che questi mestieri custodiscono e raccontare le storie di successi di grandi artigiani che oggi, ad esempio, esportano in tutto il mondo. Come Regione vogliamo continuare a scommettere sui giovani, sul loro entusiasmo e sulla loro capacità di coinvolgimento; anche grazie a queste iniziative abbiamo la conferma che, se stimolati, i ragazzi hanno potenzialità straordinarieâ€.

Tra le novità dell’edizione di quest’anno, un numero ancora maggiore di artigiani coinvolti: dalla liuteria cremonese al vetro soffiato, fino all’arte ceramica. La piazza si è animata con una folta partecipazione di pubblico. Il palco centrale ha ospitato dimostrazioni dal vivo durante tutta la giornata. Dalla creazione su misura di borse in tela alle lavorazioni del legno da parte di scultori artigiani, fino a tante altre espressioni del ‘saper fare’ che rendono la Lombardia un punto di riferimento del panorama europeo.

“La Lombardia – ha proseguito Guidesi – esprime un ‘saper fare’ unico, frutto di una straordinaria cultura del lavoro che ha consentito alla nostra terra di primeggiare, dal punto di vista economico e sociale, in Europa e non solo. Il nostro sostegno al comparto dell’artigianato è assoluto e si declina in misure specifiche a supporto degli investimenti delle imprese, così come nella strategia delle filiere per agevolare le connessioni tra mondo produttivo, mondo accademico e scientifico e istituti formativi. Ma occorre, appunto, anche un cambio di passo in termini di mentalità: lavorare nell’artigianato significa spesso scegliere una solida stabilità professionale, avere la soddisfazione del fare, esprimersi attraverso la creatività e diventare interpreti e custodi di tradizioni uniche innovandole e rinnovandoleâ€. La sfida è partita e la Lombardia si candida ad essere anche in questo caso protagonista con il rilancio dell’artigianato attraverso la forza dei giovani.

Regione Lombardia, oltre a eventi come Festival ‘Made in Lombardia’, che rientra nel percorso di valorizzazione della ‘Qualità artigiana’, mette in campo bandi e strumenti per supportare concretamente le imprese artigiane. Uno di questi riguarda nello specifico il sostegno alle Attività storiche e di tradizione, per le quali Regione ha istituito un apposito albo che viene aggiornato ogni anno: ad oggi ne sono state riconosciute 3.902 e 486 di queste sono Botteghe Artigiane Storiche, 161 riconosciute nell’ultimo anno. Al riconoscimento è affiancata una misura di agevolazione finalizzata a supportare gli investimenti delle attività storiche iscritte nell’elenco regionale che riguardano restauro e conservazione immobiliare, rinnovo delle insegne, attrezzature, macchinari e arredi, innovazione e miglioramento della qualità dei servizi e le operazioni connesse al passaggio generazionale e alla trasmissione di impresa: solo per quanto riguarda il 2024, il bando ha sostenuto circa 100 artigiani con circa 2,5 milioni di agevolazioni. Regione sostiene anche, con altrettanto vigore e determinazione, la fase di avvio di nuove attività e l’autoimprenditorialità attraverso l’erogazione di contributi a fondo perduto sui costi connessi alla creazione delle nuove aziende: nelle prime tre edizioni del bando Nuova Impresa sono state 253 le nuove imprese che hanno avviato la propria attività in settori artigianali grazie al sostegno regionale. Rilevanti anche il Bando Transizione digitale delle imprese lombarde che mira a portare la singola impresa ad assumere consapevolezza dei propri punti di forza e debolezza per elaborare un progetto di miglioramento del posizionamento digitale: la dotazione in campo è di 20 milioni di euro. Rilevante anche il un bando regionale Misura Investimenti – Linea Microimprese specifico per le aziende che intendono puntare sulla crescita dimensionale: 25 i milioni messi a disposizione. Si può trovare inoltre il Voucher formativo aziendale che sostiene lo sviluppo delle competenze delle PMI lombarde per la transizione industriale e la sostenibilità, con una dotazione di 5 milioni di euro. Tra gli strumenti regionali a disposizione degli artigiani figura anche Confidiamo nella ripresa – Energia che sostiene le PMI lombarde penalizzate dalla crisi energetica in corso favorendo l’accesso alla liquidità per fronteggiare l’aumento dei costi.


News su Gazzetta ufficiale dello Stato, Corte costituzionale, Corte dei Conti, Cassazione, TAR