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Società
Famiglia nel bosco. Il sindaco di Palmoli: «I bambini tornino dai loro genitori»
Data articolo:Sun, 21 Dec 2025 03:55:00 +0000 di Annalisa Teggi

«Questo caso ha suscitato il clamore mediatico perché è atipico. In altre circostanze, i bambini vengono allontanati dalle famiglie perché all’interno del nucleo domestico sono in una situazione di pericolo, perché vittime di violenza, perché vittime di genitori che fanno abuso di alcol o di sostanze stupefacenti. In questa famiglia non c’è niente di tutto questo. I bambini stanno fisicamente bene, sono curati, sono sereni, ricevono affetto dai genitori ed essi stessi sono affettuosi verso i genitori. Allora il problema qual è? È un problema culturale. Questa famiglia ha diritto di crescere i figli secondo la propria concezione di vita o lo Stato deve andare a sindacare e porre dei limiti? Dove arrivano i diritti dei genitori e dove arriva il dovere dello Stato nella tutela dei minori?».

A parlare è il sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli, ospite il 18 dicembre della Fondazione Enrico Zanotti di Ferrara per un incontro a cui Tempi ha collaborato insieme all’associazione Esserci. Le riflessioni emerse nel corso dell’evento pubblico risultano ancora più puntuali alla luce degli ultimi risvolti legati a quella che il pubblico conosce come la storia della “famiglia del bosco”: la Corte d’Appello dell’Aquila ha rigettato il reclamo dei legali contro l’ordinanza del Tribunale per i Minorenni dell’Aquila. I figli di Nathan e Catherine Trevallion restano, quindi, separati dai genitori, in una casa famiglia dove è consentito alla madre di stare con loro per parte della giornata.

«Siamo precipitati nel gossip»

Il sindaco Masciulli conosce la parabola della “famiglia del bosco” da prima che il clamore mediatico schiacciasse la vicenda con la zavorra di un gossip esasperato. Il rammarico più sentito dal sindaco di Palmoli è l’occasione che il nostro paese ha perso, mancando di interrogarsi sul nodo centrale di una storia familiare che, al di là dei contorni specifici, ci riguarda tutti.

«Speravo – sottolinea Masciulli – che fosse occasione per aprire un dibattito su questo tema in tutta l’Italia: i genitori quali valori hanno diritto di trasmettere ai figli? La legislazione che regola questa materia risale al periodo in cui i bambini venivano sottratti all’obbligo scolastico per aiutare i genitori nei lavori agricoli, ma la società è cambiata totalmente. E le leggi dello Stato italiano non rispecchiano più la nostra situazione attuale. Si poteva dunque cogliere lo spunto per aprire un dibattito che coinvolgesse le associazioni, le categorie che rappresentano i genitori, le istituzioni. Mi auguravo una mossa di questo tipo che avrebbe migliorato la vita delle persone. Invece si è precipitati nel gossip, andando a creare un clamore legato a dettagli marginali, fino anche a fare un caso sul tipo di spazzolini da denti usati dai bambini».

Il dettaglio pruriginoso per solleticare gli istinti di pancia del pubblico sono molto diversi dal resoconto dei fatti. E nella cronaca asciutta della storia sono contenuti dei tasselli che avrebbero potuto mettere sul tavolo ipotesi di un intervento costruttivo, e non oppositivo, per sostenere la libertà della famiglia, senza cadere di un isolamento dal contesto comunitario.

Un momento dell’incontro a Ferrara con il sindaco di Palmoli Giuseppe Masciulli

La famiglia nel bosco, «una famiglia affiatata»

I dati essenziali sono accaduti molto prima che i riflettori della stampa si accendessero sulla storia dei coniugi Nathan e Catherine Trevallion e dei loro tre figli. Primo: la famiglia non era sconosciuta e tagliata fuori dal contesto sociale. «Da quando sono arrivati nel 2021 – racconta il sindaco Masciulli – ho personalmente avuto contatti con questa famiglia perché, come accade nei piccoli comuni, per ogni necessità o informazione è consuetudine riferirsi al sindaco. Quando sono venuti in Comune, vedevo una famiglia molto affiatata, tre bambini sereni, sorridenti, puliti per quello che è normale in un contesto di vita in campagna e che manifestavano affetto verso i genitori e lo ricevevano».

Secondo: è nel contesto di questo rapporto istituzionale ma anche personale che poteva esserci un’alternativa virtuosa alla china drammatica dei fatti.

Nel settembre 2024 avviene l’intossicazione da funghi che colpisce tutta la famiglia Trevallion, a cui segue il ricovero ospedaliero e il sopralluogo dei Carabinieri nella casa del bosco. Ne deriva una copiosa documentazione fotografica e una breve relazione in cui si evidenziano problemi statici dell’abitato e carenze igienico sanitarie. Come previsto dalla legge, la relazione viene trasmessa non solo alla Procura di Vasto ma anche al Tribunale dei minori dell’Aquila.

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Il percorso proposto

Il sindaco Masciulli intuisce l’iter legislativo e burocratico che si profila e fa una proposta collaborativa alla famiglia: «Mentre la famiglia era ricoverata in ospedale, riesco a mettere a disposizione un’abitazione nel centro del paese. Avevo immaginato questa soluzione: al momento delle dimissioni ospedaliere, vanno ad abitare in questa casa idonea e iscrivono i bambini a scuola. Insieme al papà Nathan e agli insegnanti si era stabilito un percorso d’inserimento scolastico, anche con la compresenza dei genitori per un certo arco di tempo nelle mattinata. Proponevo che rimanessero ad abitare in questa casa di modo che, quando il tribunale dei minorenni avesse chiesto la relazione ai servizi sociali, questi ultimi avrebbero potuto relazionare in maniera positiva, cioè dichiarando che la famiglia viveva in una casa idonea, i bambini frequentavano la scuola e i problemi erano risolti».

L’obiettivo di questa proposta mette a fuoco un discrimine importante sul tema ancora molto scivoloso dei diritti di una famiglia rispetto all’intervento dello Stato. L’intento dell’intervento comunale non era quello di cambiare i connotati educativi e i valori dei Trevallion, ma di custodirne l’unità alla luce dei meccanismi legali e burocratici che potevano generarsi e di offrire il supporto della comunità cittadina.

La scelta di rifiutare questa collaborazione da parte dei Trevallion ha prodotto l’intervento a gamba tesa dei servizi sociali e tutto il dramma che ne è seguito, fomentato dalla stampa in modo esasperatamente deviato rispetto al reale vulnus della storia.

La casa nel bosco a Palmoli dove vivono Nathan Trevallion e Catherine Birmingham a cui il Tribunale per i minorenni di L'Aquila ha disposto la sospensione della potestà genitoriale dei tre figli minori, fra i 6 e gli 8 anni, che vivono con loro in un rudere fatiscente e privo di utenze e in una roulotte in provincia di Chieti
La casa nel bosco a Palmoli (Ansa)

Natale a casa

Gli ultimi risvolti confermano la separazione dei figli dai genitori. Ciò risulta molto preoccupante alla luce di quanto, invece, Masciulli legge nei dati presenti: «Le criticità evidenziate dal magistrato quando ha disposto il collocamento in struttura dei minori erano: l’abitazione inadeguata, carenze nell’istruzione scolastica e nella socializzazione. Ad oggi il problema abitazione è stato totalmente risolto, il problema istruzione è stato risolto con l’accettazione da parte della famiglia di collaborare con il Comune che dispone di una struttura con insegnanti affiancati da uno psicologo che si occupa dell’inserimento dei bambini migranti che arrivano nel corso dell’anno».

«La famiglia», prosegue, «ha accettato inoltre che i servizi sociali continuino a espletare le loro attività nell’abitazione privata in cui andranno ad abitare. Dunque, se prima c’erano delle ragioni, per quanto discutibili, nel tenere i bambini in una casa famiglia, oggi queste ragioni non ci sono più e io sto ripetendo da diversi giorni che non si capisce perché in prossimità del Natale questi bambini non possano tornare a casa».

L’aggiornamento più recente, vale a dire il rigetto della Corte d’Appello, va in direzione opposta, amplificando lo scenario peggiore a cui Masciulli ha tentato di opporre un’ipotesi di sussidiarietà: «Noi come Comune abbiamo assunto questo atteggiamento: il valore principale in assoluto è la famiglia, quindi questi bambini devono tornare a stare con i genitori. La domanda che ci siamo posti è: cosa possiamo fare? Sostenere la famiglia nel vivere secondo le sue convinzioni e nel rispetto delle leggi dello Stato. Ho dovuto però constatare che c’è un altro atteggiamento che tende a voler insegnare a questa famiglia come si vive, applicando dei principi quasi da Stato etico. Io credo che il Comune e le altre istituzioni dello Stato debbano essere di supporto alla famiglia e non a imporre un proprio modo di vedere la vita, l’istruzione e la socializzazione».

L’unità della famiglia

La ferita di questa vicenda è aperta e la china che si profila vede i bambini come vittime più segnate dagli strascichi legali. È accaduto parecchie volte che questo colpo ferale sia conseguenza diretta di un intervento mosso proprio da intenzioni che si arrogano la difesa del «superiore interesse dei minori». E poi degenerano in uno strappo dei rapporti vitali essenziali.

Per quanto il ritornello mediatico ci provi a ridurre tutto a una faccenda sentimentale da vita nella natura, a faziosità da tifoserie opposte fra presunte forme virtuose di socializzazione e nemici giurati della globalizzazione, il tema che brucia è un altro. Giuseppe Masciulli lo sintetizza – lucidamente – così: «Molti mi dicono che ho cambiato atteggiamento rispetto all’inizio dei fatti. È vero, perché ho preso atto della disponibilità della famiglia, ho visto che alcune questioni si sono risolte e siccome ritengo che il valore fondamentale sia l’unità della famiglia, oggi mi è chiaro che le ragioni di otto mesi fa per tenere i bambini fuori dal nucleo familiare oggi non sussistono più. Dobbiamo trovare altri metodi per sostenere la famiglia e non agire in maniera così drastica, creando dei traumi e delle sofferenze più gravi dei problemi che si vuole risolvere».

Esteri
Pedro Sánchez, la “Persona dell’Anno†più sbagliata dell’anno
Data articolo:Sun, 21 Dec 2025 03:45:00 +0000 di Rodolfo Casadei

Il mondo è bello perché è vario. Venerdì scorso L’Espresso, storico settimanale della sinistra italiana, usciva con una foto di Pedro Sánchez a tutta copertina e un editoriale del direttore Emilio Carelli dal titolo “Un leader capace riferimento di un’altra politicaâ€. Un occhiello recitava: «Perché il premier spagnolo è la nostra Persona dell’Anno: i successi nel suo paese, modello per l’Europa».

All’interno un’intervista di Felice Florio al premier spagnolo sotto il titolo “Più diritti più libertà. Sánchez è la persona dell’annoâ€. Sommario: «Occupazione, sviluppo, ridistribuzione della ricchezza, difesa delle conquiste civili e lotta alle big tech. Il premier spagnolo spiega a L’Espresso che lo ha scelto come figura rappresentativa di questi 12 mesi la ricetta della crescita».

«Arresti e perquisizioni in tutta la Spagna»

Lo stesso venerdì 12 dicembre i quotidiani spagnoli suonavano una sinfonia completamente diversa. “Il Psoe [il partito di Pedro Sanchez, ndt] si sta dissanguando per una corruzione senza freniâ€, titolava a tutta pagina Abc. Sommario: «Arresti e perquisizioni in tutta la Spagna legati a Cerdán, Leire e Plus Ultra nello stesso giorno in cui la Uco rivela che la rete degli idrocarburi spese “un chilo†per comprare i politici». Catenaccio: «La polizia arresta i vertici di Plus Ultra per riciclaggio di denaro chavista»; «Ãbalos, Koldo e Aldama rinviati a giudizio per sette reati nel caso delle mascherine».

Tutti i cognomi si riferiscono a esponenti di vario rango del partito socialista, tranne quello dell’imprenditore Victor de Aldama, un tempo vicinissimo al Psoe e implicato nei casi di corruzione che riguardano l’ex ministro dei Trasporti José Luis Ãbalos, il suo consigliere Koldo García Izaguirre e il segretario organizzativo del Psoe Santos Cerdán. I titoli di Abc ne ricordano due: la truffa delle aziende che hanno versato un milione di euro (“un chiloâ€) al giro di Ãbalos per non pagare 49 milioni di euro di imposte e quella delle mascherine ai tempi del Covid.

Leire è Leire Díez, nota come “la fontanera del Psoeâ€, cioè “l’idraulicaâ€, ruolo che in Italia corrisponde a “faccendiereâ€. La signora ha cercato di condizionare inchieste della polizia che avevano di mira esponenti socialisti raccogliendo informazioni compromettenti su giudici, procuratori e ispettori di polizia della Uco, l’Unità operativa centrale della Guardia Civil, il corpo di élite incaricato delle inchieste più delicate. Però il 9 dicembre è stata arrestata insieme all’ex presidente della Sepi (l’Iri spagnola) Vicente Fernández per appalti truccati e sovvenzioni illecite.

La Plus Ultra è una compagnia aerea spagnola che è stata salvata dalla suddetta Sepi nel 2021 con un prestito di 53 milioni di euro, che anziché per scopi industriali sono stati usati per ripagare prestiti contratti con entità del regime venezuelano; in poche parole: per riciclare denaro chavista. Da qui gli arresti di proprietario e presidente del Consiglio di amministrazione.

«Le trame del Psoe»

Lo stesso 12 dicembre El Mundo titolava: “Il protetto della Montero usava il suo appoggio per continuare coi suoi trucchiâ€. Catenaccio: «Gli investigatori credono che Vicente Fernández ha mantenuto il controllo della Sepi “nell’ombra†dopo le sue dimissioni»; «Due trame del Psoe nei due grandi nuclei di denaro pubblico». Montero è María Jesús Montero, vicepresidente del governo e ministro delle Finanze, già assessore alle Finanze dell’Andalusia. A quel tempo consigliere legale in capo e poi revisore dei conti del governo andaluso era Vicente Fernández, che fu poi nominato a capo della Sepi quando la Montero entrò nel governo nazionale.

Protesta contro Pedro Sánchez davanti alla sede del Psoe a Madrid sull’onda delle indagini per corruzione che da mesi colpiscono esponenti di primo piano del partito socialista spagnolo, 5 luglio 2025 (foto Ansa)
Protesta contro Pedro Sánchez davanti alla sede del Psoe a Madrid sull’onda delle indagini per corruzione che da mesi colpiscono esponenti di primo piano del partito socialista spagnolo, 5 luglio 2025 (foto Ansa)

I «due grandi nuclei di denaro pubblico» di cui parla El Mundo sono il ministero dei Trasporti di cui era ministro Ãbalos e la Sepi di cui era presidente Fernández. L’editoriale esordisce così:

«L’operazione avviata dalla Procura nazionale e dall’Uco contro la Sepi non è solo un episodio nel groviglio di indagini giudiziarie che hanno caratterizzato questa legislatura: conferma che la corruzione è stata sistemica. Se i sospetti saranno confermati, essa ha preso piede nella sala macchine stessa dello Stato, per mano non di attori minori, ma di funzionari pubblici ai massimi livelli. Alla nota macchinazione che circondava l’allora ministro dei Trasporti, José Luis Ãbalos, si aggiunge ora quella legata all’ex presidente della Sepi, Vicente Fernández, braccio destro di María Jesús Montero e nominato anch’egli da Pedro Sánchez al momento del suo arrivo al potere. Che la Guardia Civil stia cercando prove di corruzione in questa azienda è di straordinaria gravità: la Sepi gestisce gli investimenti e le partecipazioni strategiche dello Stato – 6 miliardi di euro all’anno – ed è un nodo cruciale nella struttura economica nazionale».

Il ministero dei Trasporti gestisce 11 miliardi.

Nessuna pietà nemmeno dal “Paísâ€

Sarà stato più gentile El País, quotidiano notoriamente filosocialista? No. Il 12 dicembre la prima pagina del quotidiano madrileno portava il seguente titolo: “Informativa della Uco: la trama spese un milione per «comprare la volontà di Ãbalos»â€. Sommario: «Il caso idrocarburi interessa tre ministeri, secondo la Guardia Civil». Poco più sotto un altro titolo, senza pietà: “Si dimette un altro dirigente del Psoe per accuse di molestie sessualiâ€. L’editoriale a pagina 10 si intitola “Un colpo dopo l’altro†e si riferisce agli arresti della Leite e di Fernández. Sommario: «Il succedersi di casi di corruzione e molestie sessuali rendono urgente una risposta drastica e senza scuse da parte del Psoe».

Il Pedro Sánchez immaginario dell’“Espressoâ€

Nell’intervista di Florio a Sánchez non c’è nemmeno un vaghissimo accenno a questi scandali, che affliggono il governo da più di un paio di anni e che nei sondaggi hanno fatto perdere quasi cinque punti ai socialisti rispetto alle elezioni del 2023 (dal 31,7 di allora al 27 per cento di oggi). Buona parte del botta e risposta fra giornalista e leader politico è dedicata ai successi economici della Spagna, che ha conosciuto una crescita del Pil nettamente sopra la media europea negli ultimi tre anni: +2,7 per cento nel 2023, +3,5 per cento nel 2024 e probabilmente +2,9 per cento quest’anno. Nell’intervista Sanchez si inorgoglisce per i 22 milioni di persone impiegate, record storico della Spagna.

Quello che L’Espresso non spiega, ma che Tempi e altre testate hanno cercato di spiegare, è che il boom del Pil spagnolo è dovuto in buona parte all’aumento della popolazione prodotto dall’immigrazione soprattutto di latinoamericani nel paese: in Spagna risiedevano 47 milioni e 940 mila abitanti alla fine del 2022, oggi sono 49 milioni e 442 mila. Gli immigrati sono stati impiegati soprattutto in settori a basso reddito e a bassa qualifica, che gli spagnoli di nascita snobbano. La Spagna infatti resta fanalino di coda della Ue per percentuale di disoccupati sul totale degli attivi: 10,5 per cento (contro il 6 per cento dell’Italia). Il tasso di occupazione spagnolo è del 53,1 per cento, contro il 62,7 per cento italiano.

Pure i buoni rapporti con Maduro

L’unica domanda che Florio fa riguardo al Venezuela (senza citarlo per nome) non concerne lo scandalo del riciclaggio di denaro venezuelano attraverso una compagnia aerea spagnola che ha ricevuto 53 milioni di euro di denaro pubblico pur disponendo di pochi aerei e di pochi voli solo su Cuba e sul Venezuela; e nemmeno la controversa politica del governo spagnolo nei confronti del regime venezuelano e dei suoi oppositori. Si chiede a Sánchez che cosa pensi delle uccisioni extragiudiziarie di sospetti narcotrafficanti in acque internazionali da parte degli Stati Uniti. Naturalmente il primo ministro spagnolo risponde che la messa in discussione del diritto internazionale è preoccupante.

Lunedì scorso sul Wall Street Journal si leggeva, in un articolo intitolato “Il governo spagnolo si ingrazia Maduro†scritto da Madrid:

«La Spagna potrebbe giocare un ruolo costruttivo nell’esercitare pressioni su Maduro e sui suoi compari affinché abbandonino il potere. I venezuelani, molti dei quali lavorano qui in impieghi umili nonostante la loro formazione qualificata, potrebbero tornare alle loro città di nascita e ricostruirsi una vita. Invece i socialisti e i loro alleati di coalizione difendono il regime venezuelano. Il governo spagnolo non riconosce la vittoria del candidato di opposizione Edmundo González alle elezioni presidenziali del luglio 2024 anche se i risultati sono stati documentati. Il primo ministro Pedro Sánchez rifiuta di congratularsi con la leader dell’opposizione María Corina Machado per il premio Nobel per la pace che le è stato assegnato. E non chiama Maduro “dittatoreâ€Â».

Pedro Sánchez uomo dei diritti e della libertà? No, grazie.

@RodolfoCasadei

Sport
“Festa popolare� La Coppa d’Africa è una grande operazione industriale e politica
Data articolo:Sun, 21 Dec 2025 03:30:00 +0000 di Francesco Caremani

C’è un dettaglio che dice più di mille conferenze stampa: la Coppa d’Africa 2025 non si presenta come “festa popolareâ€, ma come un evento che sa già dove vuole stare nella catena del valore. Non solo stadi pieni e bandiere: lounge, pacchetti premium, accordi media a raffica, investimenti su aeroporti e trasporti. Il Marocco – che la ospita dal 21 dicembre al 18 gennaio – prova a trasformare un torneo in una certificazione di affidabilità: organizzativa, economica e geopolitica.

Sotto i riflettori, la Coppa d’Africa è sempre stata una festa: tamburi, colori, notti lunghe. In Marocco, però, la festa viene “messa a bilancioâ€. Nove stadi in sei città, 24 nazionali, 52 partite: l’AFCON 2025 è progettata come una prova generale del Mondiale 2030 e, insieme, come una dichiarazione di potenza ordinata. Il punto è che l’AFCON oggi è, prima di tutto, un’industria. E come tutte le industrie vive di tre parole poco romantiche ma decisive: diritti, sponsor, flussi.

Il calcio come prodotto televisivo

La CAF sa che la partita vera, fuori dal campo, è la distribuzione. Non è un caso che abbia annunciato un’espansione delle partnership europee, con l’idea (non banale) di tornare o entrare su canali free-to-air in alcuni mercati: più pubblico, più “valore percepitoâ€, più appetibilità per gli sponsor. Qui il tecnicismo è semplice: i diritti tv sono il prezzo che un’emittente paga per trasmettere le gare. Se aumenti copertura e accessibilità, aumenti la vetrina. E la vetrina, nello sport globale, è moneta.

Nei documenti della CAF il peso economico è esplicito: nel budget 2024-2025 (anno non AFCON) la voce “TV & Media†vale 76,13 milioni di dollari e le sponsorship 55,73 milioni, su ricavi totali previsti di 149,86 milioni. Tradotto: il motore principale non è il botteghino, è lo schermo. E quando il torneo arriva, il salto è brutale. La CAF, nella relazione finanziaria 2023-2024, registrava “revenue from competitions†per 148,62 milioni (quasi il doppio dell’anno precedente), con un risultato netto positivo per l’esercizio. Non è un dettaglio contabile: la CAF ha registrato un profitto di 72 milioni di dollari dall’ultima Coppa d’Africa in Costa d’Avorio (contro i 4 milioni del 2021). Il title sponsor TotalEnergies, per esempio, non è un logo sul backdrop: ha esteso la partnership con la CAF su più competizioni e più anni, includendo AFCON Marocco 2025. È un patto classico: il brand compra centralità emotiva e visibilità continentale; la confederazione compra entrate prevedibili (e quindi potere negoziale).

Flussi: turismo e “premiumizzazione†degli stadi

Lo stadio non è più solo biglietto e seggiolino. La CAF vende esperienze: i pacchetti ufficiali hospitality partono da 16.500 dirham a persona per formule “Follow my team†(tre gare del girone incluse). Tradotto: l’AFCON si posiziona anche su pubblico corporate, diaspora e di lusso. E qui si innesta il Marocco, che sta costruendo la cornice economica attorno al torneo: lo dimostrano il prestito AfDB da 270 milioni di euro per aggiornare infrastrutture aeroportuali e il piano per portare la capacità a 80 milioni di passeggeri entro il 2030 (da 38 milioni attuali). A novembre il Paese ha già segnato un record turistico con 18 milioni di arrivi. Il messaggio è lineare: “siamo un hubâ€.

L’evento come prova generale del 2030

Questa AFCON, per Rabat, vale anche come “esame pubblico†prima del Mondiale 2030 co-ospitato con Spagna e Portogallo; con tre partite inaugurali in Argentina, Paraguay e Uruguay. Nove stadi (nuovi o rinnovati) in sei città: è infrastruttura, ma è anche racconto nazionale. E il racconto nazionale – quando lo sport diventa politica industriale – tende a suonare così: modernità, efficienza, attrazione di investimenti. In questo quadro, si capisce perché Rabat tratta l’AFCON come “industria di Statoâ€: reputazione che attira capitali, infrastrutture che accelerano cantieri, diplomazia che si fa evento. Fin qui la parte luminosa, quella che nei dossier si chiama “legacyâ€: eredità. Ma ogni legacy porta una controdomanda.

Chi paga, chi incassa, chi viene lasciato fuori

Ogni torneo-industria ha il suo tallone d’Achille: la percezione interna. Si registrano proteste e critiche interne sulla priorità data ai progetti di prestigio rispetto a sanità e istruzione: è il conflitto classico dei mega eventi, solo che in Marocco si intreccia con una strategia molto ambiziosa di posizionamento regionale e internazionale. E aggiunge un altro livello, più scivoloso: l’attenzione sui diritti e sulla gestione migratoria, in un Paese ponte dove la politica delle frontiere è parte della postura geopolitica. E quindi la domanda finale – “cosa resta davvero?†– merita una risposta meno poetica e più ingrata: resta ciò che entra nelle routine.

Se le infrastrutture (aeroporti, trasporti, riqualificazioni urbane) ridurranno tempi e costi anche dopo la finale, il beneficio è reale; se restano cattedrali-evento, il conto torna sotto forma di frustrazione. Un dato “certificabileâ€, oggi, è che la pressione sociale produce anche reazioni di bilancio: Reuters riporta che per il 2026 è previsto un aumento della spesa per sanità e istruzione di 140 miliardi di dirham (15 miliardi di dollari), +16 per cento, circa il 10 per cento del pil.

Qui serve un confronto per capire che non è un’anomalia marocchina ma un modello: la Costa d’Avorio, alla vigilia dell’AFCON 2023, stimava investimenti oltre 1 miliardo di dollari fra strade, stadi e infrastrutture collegate al torneo. Anche lì: promessa di “hub†e discussione su costi e benefici reali. E serve un precedente per ricordare che le scelte non nascono oggi: la CAF stessa rievoca il Marocco del 1988, quando l’AFCON era ancora soprattutto un rituale continentale e molto meno una piattaforma commerciale globale. Oggi, con un calcio che vive di capitale e di audience, la festa è diventata business.

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Bussola etica (senza moralismi, ma con contabilità)

La misura non è “bello o bruttoâ€. È: trasparenza dei contratti, ricaduta sui territori, qualità del lavoro generato, accessibilità (prezzi, trasporti, sicurezza), tutela di chi è più vulnerabile – dai lavoratori ai migranti – quando l’evento alza la pressione sul controllo sociale. E soprattutto: quanto di questa ricchezza resta nella vita quotidiana, non solo nei rendering. Il Marocco, insomma, sta provando a far convivere due narrazioni: quella dello Stato efficiente che investe e quella dei cittadini che chiedono che l’efficienza non finisca tutta negli stadi.

L’AFCON come industria funziona solo se la reputazione non è un fine, ma un mezzo: per portare risorse e ridistribuire fiducia. Altrimenti la Coppa resta una vetrina perfetta, con dietro, sempre più visibile, il cartello scritto a mano: “Gli stadi ci sono; i servizi?â€. Perché l’AFCON in Marocco è un laboratorio chiarissimo: uno Stato che usa il calcio per accelerare infrastrutture e reputazione, e una confederazione che spinge l’evento verso un modello sempre più “globaleâ€, vendibile, premium. Il rischio è quello di sempre: che il torneo funzioni benissimo come spettacolo… e lasci irrisolta la domanda più concreta. Quando il fischio finale spegne le luci, cosa rimane nei quartieri, e a chi?

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Un libro da rovinare di sottolineature
Data articolo:Sun, 21 Dec 2025 03:15:00 +0000 di Ubaldo Casotto

Conoscevo la passione di Lodovico (Vichi) Festa per l’architettura e l’urbanistica. Quasi una fissazione. E come sa chiunque sia transitato per la redazione del Foglio (lì conobbi Vichi), “a fissaziuni jè peggiu da malatiaâ€, proverbio siciliano con cui ci ammoniva Peppino Sottile, la fissazione è peggio della malattia. Però mi ci è voluta la lettura di Non sapendo fare a maglia, questa intrigante, godibilissima e preziosa (quindi utile) raccolta di citazioni con commento, per capire la ragione vera dell’articolo d’apertura del primo numero del Foglio il 30 gennaio 1996. Un editoriale del direttore e fondatore con la sigla dell’Elefantino? Una nota politica? Il rogo della Fenice di Venezia? Niente di tutto questo: una colonna di quattromilacinquecento battute intitolata “Le Cittàâ€, con notizie da San Pietroburgo, Londra, Madra Kobe e Città del Messico.
Pietre e persone, «poi le ciclabili»
Nel libro che ho rovinato di sottolineature la parola città appare per la prima di numerose volte a...

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Oreste, il lavoratore seriale
Data articolo:Sun, 21 Dec 2025 03:10:00 +0000 di Fabio Cavallari

Oreste ha sessantacinque anni e nessuna fedina lavorativa pulita. Non ha mai ucciso nessuno, ma ha assassinato almeno dieci carriere. Ha fatto il magazziniere, l’agente immobiliare, l’animatore nei villaggi e per un mese pure il poeta su commissione. “Mi pagavano a sentimento”, dice.

Non ha mai trovato il lavoro “giustoâ€. E ne va fiero. “Il lavoro fisso è una forma elegante di prigione”, spiega a chi lo chiama fallito. “Io preferisco l’ergastolo a tempo determinato”.

Curriculum come ex voto

Quando gli parlano di pensione si fa il segno della croce. “La pensione è la morte civile, ti tolgono pure la scusa per lamentarti”. Vive in un monolocale pieno di curriculum appesi come ex voto. Ogni tanto li guarda e sospira: “Almeno io ci ho provato con tutti”.

Gli amici sono andati in pensione e fanno nordic walking. Lui cammina pure, ma per raggiungere la fermata del bus che lo porta al nuovo lavoro stagionale. Dice che è felice così: “Non ho costruito niente, ma ho montato tutto”. Quando qualcuno gli chiede se non si sente stanco, sorride: “Solo i morti smettono di cercare”. Poi si infila i guanti da lavoro, e aggiunge: “Io finché respiro, faccio straordinari di vita”.

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Finalmente il Buono scuola nazionale!
Data articolo:Sat, 20 Dec 2025 15:18:56 +0000 di Raffaele Cattaneo

Nella Legge Finanziaria in approvazione in questi giorni al Senato, e che passerà poi alla Camera per la votazione definitiva prima di Capodanno, per la prima volta nella storia del nostro Paese viene riconosciuto e introdotto nella normativa nazionale quello che è stato il simbolo della storica battaglia lombarda per la libertà di educazione.

Ciò sarà possibile attraverso un emendamento a firma della senatrice Mariastella Gelmini, di Noi Moderati, riformulato e condiviso dal Governo e già approvato dalla Commissione Bilancio del Senato.

Voglio dire subito con chiarezza che si tratta solo di un primo risultato, che non conclude la battaglia per arrivare alla piena libertà di educazione. È però un risultato dal forte valore simbolico, di cui occorre riconoscere il grande merito a chi lo ha conseguito, perché rompe un tabù che per decenni ha bloccato ogni passo avanti su questo terreno.

Lo stanziamento di 20 milioni di euro per il 2026 va nella direzione di riconoscere in modo concreto il diritto dei genitori a scegliere il percorso formativo più adatto per i propri figli. Il contributo potrà arrivare fino a 1.500 euro per studente ed è destinato agli alunni delle scuole paritarie secondarie di primo grado e del primo biennio delle scuole secondarie di secondo grado, con un limite ISEE fissato a 30 mila euro.

Un paletto significativo

Si tratta di un sostegno mirato, pensato per accompagnare le famiglie meno abbienti che affrontano un sacrificio economico significativo per garantire ai propri figli la scelta educativa da loro ritenuta migliore. Una scelta che oggi, troppo spesso, è possibile solo a costo di rinunce pesanti o viene semplicemente esclusa per ragioni economiche.

In linea di principio, il buono scuola non dovrebbe essere assoggettato ad alcun limite ISEE, perché si tratta di riconoscere un diritto costituzionalmente tutelato, come la sanità o la giustizia. Per questi diritti nessuno pensa di inserire limiti reddituali o patrimoniali. Tuttavia, le risorse ancora limitate impongono una scelta, e mi pare equo concentrare questo contributo su chi ha più bisogno. È un primo passo, realistico e politicamente sostenibile.

In futuro sarà certamente necessario incrementare le risorse destinate al buono scuola, ma intanto viene posto un paletto significativo su un obiettivo che era inserito nel programma di governo del centrodestra e che il Presidente Meloni aveva più volte ricordato. Un impegno che oggi inizia a tradursi in un atto normativo concreto.

Un valore culturale

Resta comunque il valore del principio introdotto dalla norma. Il sistema scolastico ed educativo, per essere realmente paritario, deve esserlo anche sul piano economico. Deve terminare la discriminazione economica che oggi colpisce le famiglie che scelgono le scuole paritarie, ovvero scuole pubbliche non statali, che svolgono una funzione riconosciuta dallo Stato e che contribuiscono in modo significativo al pluralismo educativo del Paese. Famiglie costrette a pagare due volte. La prima attraverso le imposte fiscali, come tutti, la seconda attraverso rette spesso di migliaia di euro.

Si tratta dunque di una notizia importante per migliaia di famiglie e per l’intero sistema educativo. Questo intervento non ha solo un valore finanziario, ma anche culturale e istituzionale. Riconosce il ruolo delle scuole paritarie all’interno del sistema pubblico di istruzione e riafferma il principio della libertà di scelta educativa dei genitori, nel pieno rispetto di quanto previsto dalla Costituzione.

Libertà di educazione

La misura è stata accolta con favore anche dalle principali associazioni di famiglie e scuole paritarie, che hanno richiamato esplicitamente il fondamento costituzionale della libertà di scelta educativa.

È un passo nella direzione di una scuola più libera, più inclusiva e più attenta ai bisogni delle famiglie, capace di valorizzare tutte le energie educative presenti nella società.

Ci attendiamo passi ulteriori, ancor più significativi. Intanto salutiamo con grande favore e apprezzamento questo primo segnale della volontà di passare dalle parole ai fatti.

Mi auguro che a nessuno venga in mente di usare le risorse nazionali per sostituire quelle già messe a disposizione, per lo stesso obiettivo, a livello regionale e locale. Sono e devono rimanere risorse aggiuntive. La Lombardia, nel suo bilancio approvato ieri, conferma i propri stanziamenti. Lo facciano anche tutti gli altri enti che si dicono amici delle famiglie e della libertà di educazione.

Scuola
Libertà di educazione. Primo sì al buono scuola nazionale
Data articolo:Sat, 20 Dec 2025 03:55:00 +0000 di Emanuele Boffi

Scuole paritarie: c’è una buona notizia che potrebbe diventare ottima. Ieri in Commissione bilancio al Senato è arrivato un primo ok al buono scuola nazionale per gli studenti meno abbienti che frequentano gli istituti non statali. È stata approvata la formulazione definitiva dell’emendamento di Noi Moderati, a firma Gelmini e Versace, che ora sarà sottoposta al vaglio del Senato e poi, dopo Natale, alla Camera. La misura prevede un contributo fino a 1.500 euro per i nuclei familiari con un Isee non superiore a 30 mila euro e riguarda gli studenti che frequentano le scuole paritarie secondarie di primo grado o il primo biennio delle secondarie di secondo grado.

Soddisfazione è stata espressa dal leader di Nm Maurizio Lupi che ha sottolineato la «significativa affermazione di principio per cui in una legge di Bilancio dello Stato viene riconosciuto concretamente il principio della libertà di scelta delle famiglie, a cui la nostra Costituzione riconosce il diritto e il dovere dell’educazione dei figli». E da Mariastella Gelmini: «Il cosiddetto “buono scuola” per le paritarie è una misura di libertà e di civiltà».

La promessa di Meloni

È un altro passo in avanti verso una effettiva parità, come era stato promesso questa estate dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni dal palco del Meeting di Rimini:

«E se vogliamo avere il coraggio di portare altri mattoni nuovi nel mondo dell’educazione, io penso che non dobbiamo avere timore nel completare il percorso avviato in questi anni, trovare gli strumenti che assicurino alle famiglie, in primis alle famiglie con minori capacità economiche, di esercitare pienamente la libertà educativa sancita dalla Costituzione. L’Italia rimane l’ultima nazione in Europa senza un’effettiva parità scolastica e io credo che sia giusto ragionare sulla questione con progressività, con buon senso, ma soprattutto sgombrando il campo da quei pregiudizi ideologici che per troppo tempo hanno impedito di affrontare seriamente il tema».

Chi invece ha perso una buona occasione per tacere è la senatrice del Movimento 5 stelle Barbara Floridia che ha criticato la misura coi soliti vecchi argomenti della propaganda statalista. «Forse le famiglie che mandano i figli alla scuola pubblica valgono meno di chi li manda alle scuole private?», ha detto.

Sono i vecchi slogan di chi finge di non conoscere cosa dica la legge Berlinguer del 2000 e quanto le scuole paritarie facciano risparmiare alle casse dello Stato. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, oltre a salutare come un fatto positivo l’approvazione dell’emendamento, ha ricordato che «come chiarito in modo inequivocabile dagli uffici Studi di Camera e Senato, continuiamo a incrementare le risorse destinate alla scuola italiana: le spese autorizzate a favore del bilancio del ministero dell’Istruzione e del Merito aumentano infatti per il 2026 di circa 960 milioni di euro. L’incidenza della spesa per la scuola sul bilancio dello Stato crescerà nel 2026, passando dal 6,2 al 6,3 per cento. Siamo ora in attesa dell’approvazione di un altro importante emendamento che stanzia 20 milioni di euro aggiuntivi per l’acquisto dei libri di testo sempre in favore delle famiglie meno abbienti».

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L’annosa questione dell’Imu

A questa notizia se ne aggiunge una seconda che mette fine a una questione ventennale. Un articolo della legge di bilancio chiarisce che le scuole paritarie non devono corrispondere l’Imu, a condizione che la retta media sia al di sotto del “Costo medio per studente” stabilito ogni anno dal ministero dell’Istruzione.

«Finalmente – ha scritto in una nota il network Sui tetti -, la legge di bilancio 2026 apre una breccia contro la discriminazione a danno delle famiglie meno abbienti, inserendo un iniziale buono-scuola, che, secondo i virtuosi esempi di Lombardia e Veneto, offre uno strumento concreto di libertà per l’educazione dei propri figli». Tutto questo è stato possibile grazie all’impegno di alcuni ministri, Valditara, Giorgetti e Roccella, i sottosegretari Frassinetti e Mantovano e, come ricorda anche Sui tetti, grazie al lavoro di alcuni parlamentari come «Gelmini, Lupi, Lotito, Malagola, Gusmeroli, Malpezzi, Paroli, Cesa, Gasparri, Malan, Romeo».

Esteri
Un prestito «razionale» per aiutare l’Ucraina a trattare la pace
Data articolo:Sat, 20 Dec 2025 03:45:00 +0000 di Leone Grotti

La macchina della retorica, in Europa e non solo, non si ferma mai. E così all'indomani del Consiglio europeo, che ha deciso di prestare 90 miliardi all'Ucraina senza però intaccare gli asset russi congelati in Belgio, è tutto un parlare di pavidità e fallimento.
Soldi o sangue
Il più citato dalla stampa è il premier polacco Donald Tusk, che si è esercitato in una modernizzazione dell'aut aut draghiano: «Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?». Tusk l'ha messa giù così: «La scelta è semplice: o i soldi oggi o il sangue domani. E non parlo solo dell'Ucraina, ma anche dell'Europa».
Parole che hanno fatto breccia nel cuore di molti, ma non in quello di tutti. Grazie soprattutto all'opposizione di Italia e Francia, alla fine tra i Ventisette ha vinto una linea pragmatica, in grado di perseguire gli obiettivi strategici dell'Ue, senza però rischiare troppo. Il premier belga Bart De Wever l'ha spiegata così: «È chiaro che molte persone non hanno apprezzato l'accordo. Volevano punire ...

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Sport
Da dove comincia la crisi della Fiorentina (e chissà quando finirà)
Data articolo:Sat, 20 Dec 2025 03:15:00 +0000 di Sandro Bocchio

Per ritrovare l’ultima vittoria in Serie A occorre risalire al 25 maggio e all’avversaria contro cui dovrà giocarsi (quasi) tutto. Giornata conclusiva della stagione 2024-25, Udinese-Fiorentina 2-3. Viola sesti e pronti a un ambizioso salto di qualità. Sette mesi dopo, l’incubo sportivo. Sei punti in classifica e nessun successo in 15 partite, due allenatori che si sono già alternati in panchina e turno pre-natalizio con l’Udinese, nel triste catino di un Franchi in perenne ristrutturazione. Un appuntamento che la Fiorentina affronta sull’onda dell’ennesima sconfitta, quella incassata giovedì sera in Conference League a Losanna. Un torneo in cui era stata protagonista con le due finali nel 2023 e nel 2024 e la semifinale nell’ultima edizione, e che ora la vede obbligata agli spareggi per raggiungere gli ottavi.

Ma l’Europa resta l’ultimo dei problemi viola. Il primo, quello principale, è evitare una retrocessione che manca dal 2002, dai giorni terminali dell’impero Cecchi Gori, prima del fallimento. E la Fiorentina si presenta all’ennesimo appuntamento che conta seguendo il solito schema all’italiana: turnover spinto in coppa, per risparmiare i titolari, più ritiro immediato (per tacere dei patti squadra-tifosi). Buona fortuna…

La morte di Barone è l’inizio della crisi della Fiorentina

La crisi attuale può avere una precisa data di origine. Il 19 marzo 2024 quando, dopo due giorni di ricovero, muore Joe Barone. Era stato vittima di un malore nel ritiro prima della partita con l’Atalanta. Era l’uomo intorno al quale ruotava la Fiorentina, l’uomo di fiducia in Italia del patron Rocco Commisso, poco propenso a muoversi dagli Stati Uniti. Un personaggio ruvido con tutti, senza sconti: poteva essere un collega dirigente, un giornalista o un tifoso. Magari non sapeva molto di calcio, ma che era perfetto per il compito da assolvere: fare in modo che tutto funzionasse al meglio, in società, come nella squadra. Non a caso viveva a tempo pieno al Viola Park.

Il presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, con l'allora direttore generale Joe Barone in tribuna al Franchi, il 2 ottobre 2022
Il presidente della Fiorentina, Rocco Commisso, con l’allora direttore generale Joe Barone in tribuna al Franchi, il 2 ottobre 2022 (foto Ansa)

Morto Barone, lontano Commisso, la Fiorentina non ha più avuto una figura cui guardare con certezza. E i nodi sono venuti tutti al pettine quest’anno. Infelice la scelta di richiamare Stefano Pioli in panchina, con scelte mai convincenti nell’assetto tattico. Peggio ancora la campagna acquisti, con una spesa di 92 milioni e acquisti top finora rivelatisi clamorosi flop: i 25 milioni al Cagliari per Piccoli (un gol in campionato) e i 16 al Parma per Sohm (inconcludente a centrocampo). A questo si sono aggiunti la crisi di Kean, passato dal ruolo di vice capocannoniere del compagno in azzurro Retegui – con 19 gol – a attaccante da due sole reti. Se l’alternativa sono il già citato Piccoli e il quasi 40enne Dzeko, i conti si fanno facilmente.

Poi la crisi perenne di Gudmundsson, un centrocampo dove il solo Mandragora prova a dare idee, una difesa friabile e un De Gea non più infallibile tra i pali, aiutano a spiegare il contesto. Un contesto in cui Pioli, dopo essersela presa con Allegri (che in estate non piazzava la Fiorentina in zona Champions), non ha trovato soluzioni, fino allo stucchevole balletto dimissioni sì-dimissioni no e al conseguente licenziamento dopo il ko interno con il Lecce del 2 novembre. Paolo Vanoli non ha fatto meglio in termini numerici del predecessore (0,4 punti a match per entrambi) e, se possibile, ha spento ancor più la squadra, come si è visto in Svizzera.

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Tifoseria depressa e stadio non finito

Una depressione che si allarga fino alla tifoseria, incredula per quanto sta accadendo. Sono lontanissimi i tempi in cui si sognava lo scudetto con la proprietà Della Valle e Prandelli in panchina. Non c’è stato più il coraggio di puntare su allenatori emergenti come Italiano e Palladino, autori delle fortune recenti del club. Chi può, prova ancora a ironizzare, ma con un sorriso amaro. I tifosi più accesi, quelli della Fiesole, ne hanno piene le tasche. Quelli più tranquilli, come il Centro Coordinamento Viola Club, hanno fatto sapere di non riconoscersi nella proprietà.

L'allenatore della Fiorentina Paolo Vanoli accanto alla panchina nello stadio Artemio Franchi di Firenze. Vanoli è stato chiamato al posto di Pioli per uscire dalla crisi
Perplesso. L’allenatore della Fiorentina Paolo Vanoli (foto Ansa)

La Fiorentina non è più il simbolo unificante di una città che fatica a ritrovare un’anima, tra eccessi di turismo e brand acchiappa-stranieri. Lo stesso Franchi è il riassunto plastico della situazione. Commisso avrebbe voluto un impianto nuovo e di proprietà, non se ne è fatto nulla. Nella ristrutturazione dello stadio non vuole mettere soldi, a meno che non gli venga garantita carta bianca nella gestione (cosa che non succederà). E i lavori vanno a rilento. Ad agosto 2026 avrebbe dovuto essere pronta la curva Fiesole per i 100 anni del club, invece ritardi vari hanno spostato la data a febbraio 2027, mentre per la riapertura totale dello stadio si prevede uno slittamento al 2029-30. Ma che Fiorentina riaccoglierà?

Esteri
Che vergogna i silenzi e le ambiguità della sinistra sugli attacchi agli ebrei
Data articolo:Sat, 20 Dec 2025 03:00:00 +0000 di Antonio Gozzi

Per gentile concessione dell’autore ripubblichiamo un articolo di Antonio Gozzi apparso su Piazza Levante.

* * *

Sono a Roma nel mio ufficio di piazza di Montecitorio e nella piazzetta davanti alla Camera una ventina di militanti pro Pal continuano a gridare slogan contro Israele (dal fiume al mare), contro il sionismo, contro gli ebrei.

Siamo a meno di 48 ore dalla strage di Sydney, un attentato organizzato da due estremisti (padre e figlio) che hanno fatto giuramento di adesione all’Isis; un gesto di odio e violenza inauditi che colpisce al cuore la comunità ebraica che stava festeggiando, in un clima di pace e serenità, la festa dell’Hanukkah, la festa delle luci, una festa che celebra la libertà religiosa, la resistenza culturale e il prevalere della luce sulle tenebre.

Nella tradizione ebraica il tema delle luci e delle tenebre ha un significato teologico, morale e simbolico molto profondo. Non indica solo il contrasto fisico tra giorno e notte, ma soprattutto quello tra ordine e caos, bene e male, conoscenza e ignoranza, presenza e assenza di Dio.

La strage di Sydney dimostra ancora una volta che, in Occidente, l’antisemitismo è una piaga devastante molto più diffusa di quello che pensiamo.

Tra le persone uccise sulla spiaggia c’è Alex Kleitman, un uomo di 87 anni che era sopravvissuto all’Olocausto, ucciso, come tutte le altre vittime, solo e semplicemente perché era ebreo. Si continuano a uccidere ebrei in quanto tali, a Sydney, come ad Amsterdam, come a Parigi, a prescindere dalla loro nazionalità, dalle loro convinzioni politiche, dal loro status sociale, si uccidono solo perché ebrei.

Il messaggio è chiaro: non siete al sicuro da nessuna parte, nemmeno mentre accendete una candela su una spiaggia dall’altra parte del mondo.

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Di fronte a tutto ciò noi non possiamo non vedere e non sapere, non possiamo fare finta di niente e voltarci dall’altra parte come fecero purtroppo in molti, anzi moltissimi, in Occidente a partire dal 1938 quando in Germania e poi in Italia iniziarono le persecuzioni che portarono alla Shoah.

È il momento di decidere da che parte stare dicendo parole chiare e ferme su coloro che demonizzano lo Stato ebraico, sui politici che tollerano e giustificano slogan genocidari e manifestazioni nelle quali in testa ai cortei ci sono striscioni che inneggiano alla strage del 7 ottobre come un atto di resistenza, su politici e su quei partiti che per cavalcare l’onda pro Pal, conseguente al conflitto di Gaza, non hanno il coraggio di dire parole chiare contro l’antisemitismo e di difesa degli ebrei che in tutto il mondo vengono di nuovo perseguitati e uccisi.

L’odio contro gli ebrei è un’emergenza anche in Italia ma chi tenta di affrontare il problema spesso subisce un paradossale linciaggio morale.

La lotta all’antisemitismo in questo momento imbarazza soprattutto la sinistra. Non abbiamo sentito finora i leaders delle forze di sinistra da Schlein a Conte, da Fratoianni a Bonelli condannare con forza la strage di Sydney e l’antisemitismo dell’estremismo islamico da cui trae origine.

Non abbiamo sentito da loro una parola sull’incredibile decisione di un magistrato italiano d’appello di bloccare l’espulsione di un imam torinese che aveva detto pubblicamente che il 7 ottobre è stato un atto di resistenza e che è considerato molto pericoloso dai nostri organi di sicurezza e dal magistrato di primo grado che ne aveva autorizzato l’espulsione.

Muti come pesci, che vergogna!

Ma, recentemente, abbiamo addirittura ascoltato un ex ministro del Pd dire che con Hamas bisogna fare i conti e che secondo lui se si esclude Hamas non c’è una vera rappresentanza dei palestinesi nei negoziati internazionali sulla crisi di Gaza.

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Nonostante questi silenzi assordanti, queste ambiguità e questo sbandamento c’è chi – ma sono pochi –, anche a sinistra, ha coraggio.

Il senatore del Pd Graziano Delrio, innanzitutto, che ha depositato una proposta di legge intitolata “Disposizioni per la prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo e per il rafforzamento della Strategia nazionale per la lotta all’antisemitismo nonché delega al governo in materia di contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme onlineâ€. Peccato che quella iniziativa è stata subito contrastata dal capogruppo del Pd al Senato Francesco Boccia, che ha affermato che l’iniziativa di Delrio doveva intendersi come presa a titolo personale e non rispecchiava la linea del partito, senza spiegare però il perché. Il Pd non è d’accordo su iniziative contro l’antisemitismo?

Anche Italia viva di Matteo Renzi ha preso una posizione forte e chiara contro l’antisemitismo. La senatrice Raffaella Paita, capogruppo di Iv a Palazzo Madama, in un coraggioso intervento in aula ha avuto la forza di affermare: «Siamo e saremo sempre al fianco delle equilibrate parole di Liliana Segre e mai dalla parte del linguaggio scomposto di Francesca Albanese, perché sostenere che l’attacco a La Stampa sia un monito è una vergogna, perché chiedere che si scusi un sindaco che cita i fatti del 7 ottobre mi indigna e non ho alcuna paura a dirlo. Perché occorrono equilibrio e responsabilità nelle parole, perché le parole hanno conseguenze reali».

È proprio così. La campagna di propaganda e odio antiebraico che si è sviluppata ovunque in questi mesi sta mostrando i suoi tragici effetti.


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