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XII - Le analogie e le differenze tra la pianta o arbusto della vite e la pianta o arbusto del mirto.


il contadino può essere considerato il maggiore interlocutore della terra e della natura vegetale delle piante. Il mirto considerato una pianta spia del tempo, e per estensione una pianta spia della condizione di persone o istituzioni cui era dedicata

Fauno, come lupo, lupino e serpente

Le considerazioni seguenti sull'interesse agrario dell'arbusto del mirto cercano di mettere in evidenza prima l'effettiva importanza della pianta per il contadino e poi il suo uso metaforico-mitico nell'area mitico-religiosa. Sarebbe controproducente e foriero di conclusioni errate fare il contrario, cioè partire dall'area mitico-metaforica per spiegarne le peculiarità e gli usi. Del resto il contadino può essere considerato il maggiore interlocutore della terra e della natura vegetale. Questa ipotesi di lavoro deriva pure dalla considerazione che sicuramente nella società della Roma antica le famiglie più importanti si dedicavano all'agricoltura e quindi conoscevano gli usi agricoli e le piante.
L'arbusto del mirto non ha molta importanza dal punto di vista alimentare. Però è significativo che la pianta fruttifichi in autunno, cioè quando il contadino deve preparare la terra per i seminativi come i cereali e anche numerosi legumi. E questa coincidenza calendariale fa del mirto una pianta spia del tempo. Ma il mirto piantato per seme ha un'altra particolarità curiosa: fruttifica dopo 4 anni circa. Se si considera che nell'agricoltura cerealicola primitiva aveva una grande importanza il periodo di riposo della terra, periodo che poteva durare anche 7, 8 o 10 anni, allora si può comprendere l'uso della pianta del mirto, da seme, come pianta che avrebbe potuto segnalare la fine del periodo di maggese o abbandono della terra. Ma se il tempo di abbandono della terra fosse stato per esempio di otto anni, è chiaro che sarebbero serviti due cicli di piante di mirto piantate per seme. Quindi, probabilmente il contadino, per non intasare i campi di piante di mirto, doveva provvedere all'estirpazione della pianta. In un articolo sui Greco-Frigi e sul mito delle nozze di Pelope e Ippodamia, colui che scrive(ovvero il webmaster) ha cercato di spiegare la figura di Mirtilo assimilandola alla pianta del mirto. Nella stessa pagina è pure proposta l'assimilazione del mitico Attys che si autoevira a una pianta di mirto, dato che i sacerdoti Galli della dea Cibele avevano anche delle foglie di mirto come loro emblema. Queste associazioni tra agraria e personaggi mitici non li troverete nei libri di mitologia greca e romana. Probabilmente perché le classi sacerdotali, in certo qual modo emanazione della classe al potere, in moltissime culture indoeuropee hanno tentato di staccare il cordone ombelicale che teneva molto ben salda la religione ingenua del lavoratore della terra con la natura, l'agricoltura e tutto il femminino. Per cui si dicevano tante assurdità sul mondo vegetale e fra queste la favola che le api non si posassero sui fiori della fava.
E si è visto che il rituale di Bona Dea a Roma era rovesciato, cioè le donne consumavano il vino puro, come eccezione, una tantum, rispetto alla norma o costume che vietava tale consumo. Ma sulla presunta vicenda del mirto estirpato è rimasto qualche racconto popolare. C'è un cunto nel Pentamerone del Basile(La mortella, I,2) che racconta le vicende di una donna nata dal grembo della madre come una pianta di mirto. Nel racconto la pianta si trasforma a un dato segnale in donna. Sette femmine del malaffare scoprono questo segreto e la fanno a pezzi. Questa scena distruttiva ricorda il massacro cui fu sottoposto Dioniso Zagreo o Dioniso cui era associato il mirto. Famose le donne greche, seguaci di Dioniso, ma soprattutto quelle della Frigia, seguaci del dio Zalmoxis, che in preda al delirio facevano azioni completamente al di fuori della norma.
Che il mirto fosse una pianta che dava un segnale lo rammenta una leggenda citata da Plinio il Vecchio in Naturalis Historia(XV, 120-121). Secondo tale leggenda due piante di mirto stavano dinanzi al tempio di Quirino, la prima detta patrizia, la seconda plebea. Quella patrizia fu per lunghi anni la più florida, esuberante e rigogliosa; per tutto il tempo che il senato (patrizi) ebbe vigore, la pianta patrizia si mantenne maestosa, mentre quella plebea era appassita e senza fronde; dopo che la pianta plebea acquistò floridezza, al contrario quella patrizia cominciò a ingiallire a partire dalla guerra Marsica(la guerra sociale del 98-91 a.C.), e corrispondentemente l'autorità del senato si affievolì e a poco a poco la maestà della pianta patrizia decadde in una marcescente sterilità(traduzione da A.Cattabiani, Florario).
Probabilmente per il suo impiego in agricoltura come pianta spia, il mirto divenne pure il simbolo di una pace ricercata, della concordia tra popoli o gruppi, dopo un periodo di scontri. Sempre Plinio il vecchio ricorda la tradizione mitica secondo cui, dopo gli scontri seguiti al ratto delle Sabine, Romani e Sabini si purificarono con il mirto nel luogo ove furono collocate le statue di Venus Cloacina(Historia naturalis, 15, 119). In questo frangente il mirto che purifica pare correlato alla castità o meglio ancora ai costumi morigerati. Ed in effetti c'è un racconto mitico riportato da Ovidio(Fasti 4.141-144) in cui si racconta che Venere, sorpresa nuda dai Satiri mentre faceva un bagno, si coprì con dei rami di mirto e sfuggì ai loro sguardi. Proprio ricordando quel racconto mitico nella festa Veneralia del primo aprile, festa dedicata al lavacro della statua della dea Venere, le devote romane si recavano ai bagni pubblici maschili, coprendosi con schermi fatti di mirto. Anche nel gesto di Venere e delle donne romane, che si coprono con rami di mirto, la pianta sembra mandare un segnale di interdizione rispetto alla lascivia, alla violenza amorosa, agli stupri. Significativo che nell'antica Roma un comandante militare che raggiungeva un obbiettivo senza fare la battaglia, senza spargimento di sangue, fosse coronato con rami di mirto. Lo ricorda Plinio il vecchio(ibidem XV, 19): pare che il primo comandante ad avere questo tipo di trionfo sia stato Publio Postumio Tiberio nel 505 a.C. per la vittoria sui Sabini.
L'associazione del mirto a una battaglia senza spargimento di sangue o a una giusta lotta è frequente nelle opere liriche antiche. Per esempio un poeta ateniese vissuto intorno al 500 a.C., Callistrato, inizia così un'ode scritta in memoria di Armodio e Aristògito(i tirannicidi):
D’un ramo di mirto il brando vo’adorno
Armodio e Aristògito si l’ebber quel giorno,
Allor che in Atene la morte a recare
Ei corsero a Ipparco tiranno sull’are
Fatte queste premesse, enumeriamo le affinità del mirto e della vite:
1)I due arbusti danno frutti dopo qualche anno dalla semina o dall'impianto;
2)i due arbusti possono essere coltivati sia per seme, sia per talea;
3) I due arbusti danno grosso modo frutti autunnali;
4)Dai frutti dei bue arbusti si può ricavare una bevanda;
5)I due arbusti, o meglio il mirto piantato per seme e la vite, sono soggetti ad una periodica estirpazione, ma per motivi differenti: il mirto, perché dopo aver segnalato un tempo di 4 anni esaurisce la sua funzione, mentre la vite ha una vita molto più lunga e può essere estirpata se diviene sterile;
6) Sia il mirto sia la vite piantati per seme non soddisfano i requisiti utilitaristici dell'agricoltura, ovvero non rendono; ma il mirto, se usato solo come pianta che segnala il tempo o meglio i 4 anni per fruttificare, è possibile che sia stato coltivato a questo scopo per poi estirparlo con relativa facilità. Infatti il mirto per seme è solitamente una pianta debole.

Andiamo alle differenze più significative:
1)Il mirto è un arbusto sempreverde, con portamento eretto e cespuglioso, mentre la vite non è arbusto sempreverde, ha un portamento rampicante e tende ad appoggiarsi e stendersi e svilupparsi su qualche altro albero o arbusto, ma anche sulle roccie o grosse pietre usando i cirri, ovvero organi prensili di forma allungata che si avvolgono a spirale intorno a fusti e sporgenze;
2)Da un punto di vista agricolo coltivare la vite è utile, il mirto invece è un arbusto spontaneo della macchia mediterranea, e Columella, quando ne parla, si riferisce sempre al mirto selvatico. C'è una favola di Fedro in cui Minerva fa notare al padre Giove che molti alberi dedicati agli dei non sono poi tanto utili e non portano frutti consistenti. Minerva esalta invece l'olivo a lei dedicato, ma non apprezza la querce dedicata allo stesso padre Giove, il mirto dedicato a Venere, il pino dedicato a Cibele, l'alloro dedicato a Febo, il pioppo dedicato ad Ercole(la fabula è intitolata comunemente Gli Alberi in tutela degli Dei, Libro III, XVII).
4)Probabilmente il mirto fa presa sull'olfatto per il profumo dei suoi fiori e delle sue foglie, mentre la vite fa presa soprattutto sul gusto, sulle papille gustative, anche se c'è da dire che anche Columella parlava del profumo del vino;
5)Come medicamento il vino, prodotto dalla vite, è di natura umorale, in quanto influisce sull'umore delle persone, rendendole più allegre e spensierate. La tal cosa era consentita alle donne romane una tantum, due volte per le feste di Bona Dea e probabilmente per qualche altra festa come i Vinalia. Inoltre il vino serviva come eccipiente per altri medicamenti. Il mirto, o meglio le sue bacche trattate in una certa maniera, sono ricordate da Columella come un medicamento contro la dissenteria dei bovini. E' possibile che qualche medicamento composto anche con essenza di mirto possa essere stato usato dagli antichi Romani contro le diarree provocate da ubriacatura da vino. Se così fosse stato il significato della battitura con rami di mirto della donna ubriaca sarebbe abbastanza chiaro, ma non sufficiente per spiegare gli altri miti di Fauno e Bona Dea.
In conclusione, cercando di interpretare cosa volesse dire il mito di Fauno quando quest'ultimo fustigava la moglie o la sorella ubriaca fino a farla morire, si può congetturare che da allora, dal tempo di quella punizione, la vite, vera pianta protagonista dei rituali di Bona Dea, venisse moltiplicata con le talee, abbandonando l'uso di coltivarla per seme. Così scompariva la figura maschile che da il seme, sostituita da quella di un serpente che da la fertilizzazione o il calore necessario alla salute della pianta. Ma il serpente in cui si trasforma Fauno, dio anche dei lupi, altri non è che l'offerta che probabilmente si soleva fare ai serpenti custodi della casa, spesso associati ai Lari nelle pitture delle case romane. Se ai Lemuri, spiriti affini ai Lari, si offrivono nelle Lemuria(festività romana che si celebrava il 9, 11 e 13 maggio, e ci sono studiosi che considerano i Lemuri molto vicini se non identici ai Lari, almeno in origine dato che il rito dei Lemuria si considerava istituito da Romolo per placare lo spirito del fratello Remo) le fave scure, si può ipotizzare che il serpente che possiede Fauna non è altri che la leguminosa offertagli, di cui prende magicamente le proprietà fertilizzanti. E probabilmente si tratta del lupino, fra l'altro la leguminosa per il sovescio consigliata da Columella per la terra di una vigna da estirpare perché sterile. Si ricorda che in greco il lupino era chiamato thermos(e Pausania ricorda pure una Demetra thermasia venerata in Argolide, Periegesi II, 34, 6 e 12), come se desse calore al terreno. Ed il lupino pianta ha pure qualche somiglianza con un serpente velenoso in quanto contiene delle sostanze che possono nuocere alla salute, specie a quella degli ovini e dei caprini che ne mangiano i baccelli. Infatti i lupini possono essere mangiati con tranquillità solo dopo averli tenuti per parecchio tempo in acqua, oppure lessati o in salamoia.

il lupino, la leguminosa, considerato nei due aspetti di natura e di cultura

Sopra un'illustrazione in cui si evidenzia come il lupino possa essere considerato in natura un lupo e anche un serpente velenoso. E' lupo perché le sue vittime sono ovini e caprini che mangiano i suoi baccelli, è serpente perché per uccidere si comporta come un serpente velenoso. Ma il lupino trattato e manipolato, cotto o lessato, il lupino culturale è benefico. Rispetto alla terra, alla madre terra, è pure salutare, ovvero la sua coltivazione, finalizzata al sovescio oppure no, da calore. Gli antichi ancora non conoscevano il come e il perché fosse benefico alla terra, e, pertanto lo collegavano a un dio particolare, vicino all'animalità (è incestuoso come un animale), fortemente legato a una divinità femminile che presiedeva alla fecondità degli animali e delle piante.
Il quadro di simbologie mitico-agrarie sopra presentato chiarisce pure il termine lupa, che si dava alle donne che nell'antica Roma facevano le prostitute nei lupanari. Non si ricorreva certamente alla lupa per fare figli, l'uomo procreava con la leggittima moglie e/o anche con concubine e amanti. Ma i disegni divini sono imperscrutabili come narrano i miti di molte culture sul tema della nascita di gemelli, nascita ritenuta infausta presso quasi tutte le culture antiche.
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