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News welfare e previdenza da collettiva.it (CGIL)

News welfare e previdenza da collettiva.it (CGIL)

#scioperi #lavoro #vertenze #CGIL

News n. 1
Caro affitti: Flc, sosteniamo protesta degli studenti

“Sosteniamo la mobilitazione delle studentesse e degli studenti che in varie città d'Italia tornano a mobilitarsi contro il caro affitti e chiedono misure urgenti per poter studiare e lavorare in Italia”. A dirlo è la Flc Cgil, rilevando “improrogabile l'apertura di un confronto col governo sul tema complessivo del diritto allo studio da troppo tempo sotto attacco”.

Per il sindacato “la mancanza di studentati pubblici e di borse di studio, il caro affitti che minaccia seriamente il diritto all'abitare, assieme all'inflazione che erode il potere d'acquisto degli italiani, sono tutti temi da affrontare urgentemente. Il governo non può continuare a ignorare le istanze dei ragazzi e delle ragazze”.

Data articolo: Mon, 25 Sep 2023 12:31:00 GMT
News n. 2
Pensioni, Cgil: rilanciare previdenza complementare

“Il Governo rimedi all'errore commesso con il decreto 98/2023, con il quale, senza alcuna condivisione con le parti sociali, ha deciso di assegnare ad un soggetto privato le funzioni e le risorse per la promozione della previdenza complementare. Come Cgil riteniamo fondamentale rilanciare la previdenza complementare a partire dai giovani, ma crediamo sia sbagliato, nel metodo e nel merito, quello che il Governo ha deciso di fare con questo blitz, e chiediamo che nei decreti attuativi previsti a ottobre si faccia un passo indietro”. Questa la prima richiesta avanzata dalla segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione al tavolo di questa mattina (18 settembre) con l'osservatorio del ministero del Lavoro per la spesa previdenziale, che oggi aveva all'ordine del giorno la previdenza complementare. 

La dirigente sindacale spiega poi che “abbiamo ribadito le necessità di introdurre un semestre di silenzio/assenso e di istituire di una sede protetta per garantire che la scelta delle lavoratrici e dei lavoratori di trattenere il Tfr in azienda sia ragionata e soprattutto libera. Abbiamo chiesto - aggiunge - che la previdenza complementare sia riconosciuta al personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico”. 

Per Ghiglione “è importante riportare la tassazione sui rendimenti a parametri precedenti e più vantaggiosi per chi aderisce, ed è fondamentale promuovere le condizioni, anche attraverso la leva fiscale, perché i fondi negoziali investano nell'economia reale, innanzitutto al fine di creare nuova e buona occupazione e determinare un maggiore sviluppo del Paese. Il progetto avviato da Assofondipensione e Cassa Depositi e Prestiti è un primo tassello, bisogna fare di più”.

“Torniamo a ripetere – conclude la segretaria confederale della Cgil – che gli incontri tecnici in assenza di un'interlocuzione vera con il Ministero sui punti affrontati e senza un confronto degno di tale nome con il Governo rischiano di diventare appuntamenti di facciata, incapaci di produrre alcun risultato. Se è una scelta politica ne prendiamo atto, e il 7 ottobre saremo in piazza anche per rivendicare le nostre proposte sulla previdenza”.

Data articolo: Mon, 18 Sep 2023 11:43:29 GMT
News n. 3
Contro la miseria serve universalità

L'Alleanza contro la povertà ha presentato in Senato otto proposte per rispondere all'aumento delle diseguaglianze e correggere la legge che abroga il reddito di cittadinanza sostituendolo con due strumenti che fanno arretrare il nostro Paese al confronto con gli altri paesi europei.

La responsabilità più grande di governo e maggioranza è, non solo aver lasciato senza sostegno economico migliaia di famiglie, ma aver frammentato la platea di quanti si trovano in una condizione di fragilità, distinguendo in maniera artificiosa tra occupabili e non occupabili. Un solo esempio. Perché avere bambini e bambine nel nucleo familiare automaticamente rende non occupabile chi magari ha 40 anni e un tasso di scolarità medio, mentre aver compiuto 55 anni e aver conseguito solo la terza media rende occupabili?

Si tratta di una distinzione artificiosa che sembra avere come unico scopo quello di ridurre la platea di chi ha diritto al sostegno e, soprattutto, aver trasformato il diritto a non essere abbandonato attraverso una misura universalistica in una “gentile concessione” discrezionale.

Si deve cambiare

Per questo come prima cosa l'Alleanza contro la povertà chiede che venga corretta la legge 85/2023 che abolisce il Reddito di cittadinanza e istituisce l'Assegno di inclusione e il Supporto alla formazione e al lavoro, dividendo, appunto, tra occupabili e non occupabile i poveri. Dice Antonio Russo, portavoce dell'Alleanza contro la povertà: “Riteniamo che l'obiettivo principale che ci si dovrebbe porre sia quello di un ritorno a una misura universale, che sia cioè rivolta a tutti quei nuclei familiari che si trovano in una difficile condizione economica, indipendentemente dall'età dei loro componenti”.

Ma Russo fa un passo in più. Secondo l'Istat i poveri in Italia sono 5 milioni e 600 mila e questo Governo, con l'abolizione del Rdc e con la fine di una risposta universalistica al fenomeno della povertà – l'unico paese in Europa – ha reintrodotto un'idea antica e superata dalla storia, quella cioè secondo cui i poveri sarebbero tali per colpa loro. Secondo il portavoce “non possiamo pensare che quasi sei milioni di persone sono povere per colpa loro, quella povertà è il prodotto di un'economia e di una finanza che di per sé produce diseguaglianze”.

La maggioranza svela sé stessa

Dell'Alleanza contro la povertà, insieme ad altre organizzazioni che ogni giorno si misurano con le fragilità e le diseguaglianze, è fondatrice la Cgil Daniela Barbaresi, segretaria confederale, era alla presentazione del documento con le otto proposte e ascoltando la viceministra al lavoro Maria Teresa Bellucci, ha commentato: “Il Governo ha scientemente deciso di dare seguito a una precisa impostazione ideologica e culturale che colpevolizza la povertà. Ignora – per non dire alimenta – il lavoro povero, marginalizza chi non ha figli e riduce il perimetro pubblico, depotenziando i servizi pubblici a favore di quelli privati”.

“Il decreto lavoro – ha aggiunto la dirigente sindacale - ha introdotto misure che ben poco hanno a che vedere con la lotta alla povertà e alle disuguaglianze, e molto hanno a che vedere, invece, con una visione della società e di un sistema di welfare che divide le persone vulnerabili tra chi è ritenuto meritevole di essere sostenuto per uscire da una condizione di bisogno e chi deve essere disposto a tutto per sopravvivere”.

La politica si svegli

Bisogna fare in fretta, visto che proprio in queste settimane la maggioranza sta lavorando alla legge di bilancio. E non è un caso che le 35 organizzazioni che compongono l'Alleanza abbiano scelto una sede istituzionale come il Senato e abbiano chiesto al Governo di ascoltare. “Vogliamo riportare il dibattito sulla povertà nelle sedi della politica – ha sottolineato Russo –. Questo tema deve diventare centrale rispetto al dibattito politico. Anche per affrontare una questione di cui quasi non si discute: oltre ai quasi 6 milioni di cittadini e cittadine in povertà assoluta ci sono milioni di persone in povertà relativa. Quali strategie vanno attuate per evitare che precipitino verso il basso?”.

Le richieste dell'Alleanza

Per l'Alleanza bisogna innanzitutto tornare all'universalismo, perché i diritti devono avere risposte universali. E poi: reintrodurre la soglia reddituale di accesso differenziata per coloro che sono in locazione a 9.360 euro; allentare il vincolo di residenza per gli stranieri abbassandolo da 5 a 2 anni; rivedere la scala di equivalenzaindicizzare soglia reddituale e sostegno all'affitto per evitare che venga tagliato da inflazione e aumento dei prezzi; ridefinire l'offerta congrua di lavoro anche in base all'età e ad altri fattori di fragilità, altrimenti il concetto di occupabilità diventa ancor più incongruo di quanto già non lo sia.

E poi, proprio perché ci si dimentica che una parte consistente di chi percepiva il Rdc in realtà un lavoro lo aveva, occorre migliorare la cumulabilità reddito-lavoro. Necessario – anche - consentire la partecipazione volontaria ai progetti di utilità collettiva (Puc) anche a chi avrà diritto all'Assegno di inclusione e non solo agli occupabili. Infine, bisogna prevedere più risorse umane e finanziare per i Comuni che oggi non sono in grado di dare risposte in tempi congrui a quanti si rivolgono ai propri uffici.

Non è buonismo

Lo ha sottolineato Russo: “È previsto dalla Costituzione che sia lo Stato a farsi carico delle fragilità e a ridurre le diseguaglianze” e lo ha ribadito Barbaresi affermando: “Il 7 ottobre saremo in piazza, per ricordare al Governo che – come è scritto nell'art. 3 della Costituzione – è compito della Repubblica, delle istituzioni pubbliche, rimuovere ogni ostacolo che, limitando la libertà e l'uguaglianza delle persone, ne impedisce il pieno sviluppo e la partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese”.

SCARICA LE PROPOSTE DELL'ALLEANZA

Data articolo: Mon, 18 Sep 2023 11:23:16 GMT
News n. 4
Regione che vai diritto alla cura che trovi

Scrivo per raccontare una storia privata perché in quanto cittadino mi sento responsabile di far di tutto perché i diritti che la Costituzione individua come fondamentali siano tali per tutti i cittadini e cittadine del Paese. Ho 60 anni, da tre anni assisto mia moglie colpita dalla SLA, una malattia che, oltre a consumare chi ne è affetto, assorbe tutte le energie fisiche, mentali ed economiche della famiglia che se ne prende cura. Noi viviamo a Roma e le risorse che il SSN e la Regione Lazio ci hanno messo a disposizione, pur tra complicazioni e inceppamenti burocratici, sono, direi, più che adeguate.

Abbiamo accesso a medicinali, apparecchiature costose e copertura medica, infermieristica e assistenziale adeguata a supportare al meglio mia moglie Beatrice e tutta la famiglia nel difficilissimo compito di gestire questa malattia. Aver constatato sulla mia pelle di vivere in una comunità che è in grado di prendersi cura dei suoi cittadini più fragili mi ha reso sinceramente felice e orgoglioso. Fino a quando non ho cominciato a notare che questo non accade allo stesso modo su tutto il territorio nazionale. Tra i tanti casi ho letto di un signore di Firenze che si è visto costretto a scrivere a quotidiani nazionali per ottenere un servizio di fisioterapia a domicilio che per noi è invece di facile accesso.

Ancora, in un ospedale romano dove siamo stati per delle terapie fortemente invasive, ho conosciuto una famiglia di Terni, quindi di nuovo una regione diversa dalla nostra, che, esattamente nelle nostre stesse condizioni, non sembra avere diritto neanche ad una minima frazione dei servizi ai quali noi abbiamo accesso.

Sdegno è il sentimento che mi ha invaso per aver scoperto di vivere, in realtà, in una nazione che non è in grado di assicurare eguale accesso a tutti i suoi cittadini al diritto fondamentale alla salute. Sono  indignato di fronte alla scoperta che, se non dolo, quantomeno c'è stata in questi anni una negligenza colpevole nell'azione politica e legislativa per impedire che un diritto così importante e universale come la salute sia negato ad un cittadino solo perché, per sorte, vive nel posto sbagliato. E non oso nemmeno immaginare cosa potrebbe succedere se venisse approvata l'autonomia differenziata.

Mi sono chiesto cosa posso fare per cambiare lo stato delle cose: candidarmi alle prossime elezioni? Costituire una associazione che promuova la eguale distribuzione territoriale delle risorse nella sanità? Forse. Ma ora sono troppo impegnato a stare vicino a mia moglie e alla mia famiglia per poter soltanto pensarlo.

Eppure se è vero che il patto che unisce noi cittadini, la nostra Costituzione, ci impone di esserne attori e custodi, non posso non agire in qualche modo. Spero che anche questo mio piccolo sfogo possa contribuire, anche in misura minima, a correggere almeno una delle insopportabili disuguaglianze che siamo riusciti a far crescere in questi ultimi anni nel nostro paese.

Data articolo: Mon, 11 Sep 2023 12:45:00 GMT
News n. 5
Sanità: Fp Cgil Sicilia, annunciata class action

Fp Cgil Sicilia annuncia una class action contro il governo regionale per violazione del diritto alla salute. L'iniziativa è stata decisa dopo la scoperta dello scandalo sulle liste d'attesa, che venivano gonfiate e bloccate in favore dell'attività libero professionale intramoenia: “È una ulteriore conferma di come la sanità dell'isola sia profondamente disorganizzata”.

Secondo il segretario generale Gaetano Agliozzo e la segretaria regionale Monica Genovese “questo improprio e inqualificabile modo di operare si traduce di fatto in un grave danno per i cittadini, costretti a pagare le prestazioni oppure a rinunciarvi”.

Le richieste della Cgil

Per i rappresentanti sindacali è necessario mettere in atto il piano di riorganizzazione di tutta la rete ospedaliera. Andrà quindi discusso prioritariamente il tema delle liste d'attesa e bisognerà “porre immediatamente fine al valzer delle nomine con assunzioni di responsabilità nelle scelte”.

Perché il piano sia effettivo, aggiungono Agliozzo e Genovese, occorre favorire l'occupazione stabile e gli stanziamenti. “I protocolli sulle stabilizzazioni sia nel comparto sia nella dirigenza medica – affermano - vanno immediatamente applicati, dando risposte ai circa 14 mila precari del settore”. Se le richieste di maggiori risorse finanziarie e professionali non dovessero trovare risposta la Fp Cgil Sicilia “è pronta a scendere in campo per salvaguardare il diritto alla salute dei siciliani”.

Data articolo: Mon, 11 Sep 2023 08:59:00 GMT
News n. 6
Sanità: Cgil, servono almeno cinque miliardi al Ssn

“Chiediamo, a partire dalla prossima legge di bilancio, l'aumento di almeno cinque miliardi l'anno per i prossimi dieci anni per la sanità”, argomenta la segretaria confederale Cgil Daniela Barbaresi: “Risorse che occorrono per il potenziamento dei servizi di prevenzione, ospedalieri e territoriali al fine di garantire a tutte e tutti il diritto alla salute e frenare il processo di privatizzazione del servizio sanitario nazionale”

Gli investimenti dedicati al Ssn servono a “superare gli insostenibili tempi di attesa, la rinuncia alle cure, e a rilanciare le politiche del personale sanitario che sta soffrendo da anni”. A oggi, il confronto della spesa pubblica nella sanità con Paesi europei come Francia e Germania “è impietoso, sia in termini assoluti sia in rapporto al pil”.

Conclude Barbaresi: “La necessità di garantire un forte investimento al servizio sanitario nazionale in termini economici e organizzativi è il primo dei dieci punti indicati come priorità assoluta nella piattaforma della Cgil presentata un anno fa e che ci porterà di nuovo in piazza il 7 ottobre prossimo”.

Data articolo: Fri, 08 Sep 2023 09:20:00 GMT
News n. 7
A rischio la salute pubblica

I dati li ha diffusi la Fondazione Gimbe, dopo aver elaborato quelli ufficiali forniti dall'Ocse, la spesa media nel Vecchio continente per la sanità pubblica è pari al 7,1% del Pil, in Italia siamo all'6,8. Siamo al 13esimo posto per spesa in rapporto al prodotto interno lordo, ma il confronto con gli altri Paesi a noi più simili è davvero impietoso: in Germania sono al 10,9%, in Francia all'11,8 e in Spagna al 7,8. Ed è bene ricordare che l'Organizzazione mondiale della Sanità ha definito 6,5% del Pil la spesa sanitaria la soglia sotto la quale è a rischio la salute pubblica di un Paese.

Numeri inaccettabili

In realtà, se si osserva la spesa sanitaria pro-capite, le cose, se possibile, vanno ancora peggio. Ci attestiamo al 16esimo posto nella classifica dell'Ocse spendendo ben 873 dollari in meno per ciascun cittadino, a confronto con la spesa media in Europa. “In Italia la spesa sanitaria pubblica pro capite nel 2022 è pari a 3.255 dollari, al di sotto sia della media Ocse (3.899 dollari) con una differenza di 644 dollari, sia della media dei paesi europei (4.128 dollari) con una differenza di 873 dollari”. E se facciamo somme e moltiplicazioni (numero di abitanti e spesa sanitaria per ciascuno di loro) e traduciamo in euro ci accorgiamo che ogni anno da noi si spendono ben 47,6 miliardi in meno della media. E il governo non riesce a stanziare nemmeno i 4 miliardi promessi per adeguarci all'inflazione e all'aumento della spesa in energia.

Una crisi che arriva da lontano

Ciò che appare evidente dallo studio di Gimbe è che mentre gli altri Paesi hanno sostanzialmente mantenuto le risorse per i propri sistemi sanitari, da noi il declino è costante. Secondo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione, “l'Italia tra i Paesi del G7 è stata sempre ultima per spesa pubblica pro-capite, ma se nel 2008 le differenze con gli altri Paesi erano modeste, con il costante e progressivo definanziamento pubblico degli ultimi 15 anni sono ormai divenute incolmabili. E se per fronteggiare la pandemia tutti i Paesi del G7 hanno aumentato la spesa pubblica pro-capite dal 2019 al 2022, l'Italia è penultima poco sopra il Giappone”.

Cosa succederà?

Prevedere il futuro è cosa assai difficile ma non impossibile. Entro poche settimane il governo dovrà presentare in Europa e al Parlamento la legge di Bilancio per il prossimo anno, e ha già ha fatto sapere di non avere risorse. Non solo, a leggere l'ultimo Documento di economia e finanza presentato a Camera e Senato la scorsa primavera, si sa che Meloni e i suoi ministri hanno deciso di ridurre ulteriormente il finanziamento per la sanità pubblica portandolo, entro il 2026, al 6,2% del Pil. Ma se già quest'anno una Regione come l'Emilia Romagna rischia di chiudere in deficit il bilancio sulla sanità cosa succederà il prossimo anno? Altro che riduzione delle liste di attesa e incrementi economici per gli operatori.

A rischio la tenuta del sistema e la salute degli italiani

“Chiediamo con forza, a partire dalla prossima legge di Bilancio, l'aumento di almeno 5 miliardi l'anno per i prossimi 10 anni per garantire il potenziamento dei necessari servizi di prevenzione, ospedalieri e territoriali al fine di garantire a tutte e tutti il diritto alla salute e frenare il processo di privatizzazione del Ssn, accelerato dalla destra al governo. È necessario superare gli insostenibili tempi di attesa, la rinuncia alle cure, e rilanciare le politiche del personale sanitario che è quello che sta soffrendo da anni”. Lo afferma Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil, riflettendo sui dati diffusi dalla Fondazione Gimbe.

Rete ospedaliera e territorio

Era il 2015 quando fu approvato il decreto del ministro della Salute n. 70 che riduceva i posti letto ospedalieri a 3,7 ogni 1000 abitanti. Contemporaneamente, quello stesso provvedimento prevedeva che al fine di tutelare il diritto alla salute dei cittadini e delle cittadine andava costruita la sanità territoriale. Il Covid ha drammaticamente dimostrato come la riduzione dei posti letto sia stata realizzata eccome, mentre questa seconda gamba del decreto 70 è rimasta pressoché lettera morta. C'è voluta la pandemia e il Pnrr per definire un piano di implementazione delle strutture territoriali definito nel decreto 77 scritto dall'allora ministro Speranza. Ebbene il ministro Fitto, che il Pnrr dovrebbe realizzare, ha invece stabilito il taglio di 414 case di comunità su 1350, 76 centrali operative territoriali su 600, 96 ospedali di comunità su 400 per un totale di ben oltre 2 miliardi di risorse in meno.

Chi difende il Ssn?

Il ministro della Salute continua ad affermare che vuole tutelare e anzi rilanciare la sanità ma non è chiaro affatto come intenda farlo. Nella prossima legge di bilancio ci saranno le risorse necessarie per i rinnovi contrattuali? E per un piano straordinario di assunzioni? E verrà abolito il tetto per la spesa del personale come da tempo chiede la Cgil? E ancora, con la nota di aggiornamento del Def verrà cancellato il definanziamento del Fondo sanitario da qui al 2026? A questo proposito, dice ancora Barbaresi, “al ministro Schillaci chiediamo meno annunci e più risposte concrete e all'altezza delle evidenti necessità se si vuole evitare il collasso del Ssn: aumentare in maniera consistente e stabile il finanziamento della sanità pubblica, sia in termini assoluti che in rapporto al Pil, per allineare l'Italia entro il 2030 a Paesi europei come Francia e Germania, rispetto ai quali è attualmente impietoso il raffronto”.

La mobilitazione non si ferma

Il tempo è davvero scaduto, la confederazione di Corso di Italia lo sostiene da molto, conclude infatti la segretaria della Cgil: “La necessità di garantire un forte investimento al Servizio sanitario nazionale in termini economici e organizzativi è il primo dei 10 punti indicati come priorità assoluta nella piattaforma della Cgil presentata un anno fa, che ci ha portati alla manifestazione nazionale del 24 giugno scorso e che ci porterà di nuovo in piazza il 7 ottobre prossimo”.

Data articolo: Thu, 07 Sep 2023 04:48:54 GMT
News n. 8
Anche la sanità dell'Emilia-Romagna soffre

Nonostante abbia superato l'esame della erogazione dei livelli essenziali di assistenza, anche in questa Regione il servizio sanitario è in sofferenza: medici e infermieri che abbandonano i servizi, gettonisti e cooperative in sostituzione dei dipendenti pubblici, sotto organico e difficoltà a reperire medici e infermieri. Ne parliamo con Massimo Bussandri, segretario generale della Cgil della Emilia-Romagna

L'Emilia-Romagna è tra le regioni quella che riesce meglio a rispondere ai bisogni di salute dei cittadini, eppure c'è una grossa sofferenza anche da voi, che cosa sta succedendo?
È vero, anche per il 2022 l'Emilia-Romagna si è confermata prima Regione benchmark per la ripartizione del Fondo sanitario nazionale, questo certifica che ci sono ancora livelli d'eccellenza, però le difficoltà anche da noi ci sono. La situazione è sempre più preoccupante, soprattutto per quel che riguarda la tenuta finanziaria del sistema, e sono anni che la Regione riesce a chiudere il bilancio della sanità mettendo risorse fresche, oltre quelle del Fsn. Tra il 2000 e il 2022 ha iniettato nel sistema sanitario regionale circa un miliardo di euro di risorse proprie, cioè ricavate da avanzi di bilancio o da poste spostate da altri capitoli di spesa per coprire i buchi lasciati dalla ripartizione del Fondo sanitario nazionale. Per il 2023, l'assessore Donini ha annunciato un disavanzo potenziale di 400 milioni di euro. Ci auguriamo ovviamente che questo disavanzo possa essere colmato, ma la possibilità della Regione di attingere da altre poste di bilancio per tappare le falle della sanità è al fondo del barile. Siamo molto preoccupati

Questo ha, evidentemente, conseguenze...
Certo, innanzitutto la ridotta capacità di dare risposte ai cittadini e alle cittadine, dall'allungamento delle liste d'attesa alle condizioni di stress del personale costretto a operare sopportando carichi di lavoro inaccettabili.

Parliamo allora del personale. Proprio in questi giorni sui giornali locali e nazionali si racconta di un aumento preoccupante di abbandono del Ssr di medici e infermieri, soprattutto dalle strutture di Bologna. Personale sanitario spesso proveniente da altre regioni, che non riesce più a sopportare il costo della vita elevato rispetto al salario.
Sono due questioni che si intrecciano: da una parte livelli salariali in generale in sanità, ma soprattutto per alcune professioni, assolutamente inadeguati. Dall'altro il tema del caro affitti e del carovita di Bologna in particolare, che stiamo ovviamente cercando di affrontare. Rimane il fatto che un salario medio di 1.700 euro al mese per gli infermieri non è adeguato. visti i carichi di lavoro e di responsabilità. In ogni caso, la criticità finanziaria della sanità in Emilia-Romagna affonda le sue radici nelle politiche scellerate di tutti gli ultimi governi che hanno tagliato risorse al Fondo sanitario nazionale, situazione ulteriormente aggravata dal governo Meloni che ci porterà nel giro di tre anni a un livello di Spesa sanitaria pari al 6,2 % del Pil.

Le risposte della Regione non sempre vi hanno convinto
Abbiamo criticato, in passato, la risposta di adattamento che l'Emilia-Romagna ha messo in campo invece di reagire. Lo scorso anno, ad esempio, sono stati appaltati pezzi dei pronto soccorso di Modena, Reggio Emilia e Ferrara con il risultato che medici di quei servizi si sono licenziati per andare a lavorare nelle cooperative a cui veniva appaltato quello stesso servizio, guadagnando così il doppio. Pura follia. Per fortuna, grazie soprattutto alle nostre rivendicazioni, oggi siamo entrati in una fase nuova, si sta lavorando a un progetto importante di riorganizzazione dell'emergenza e urgenza, rimarranno riservati ai pronto soccorso i casi più gravi e sul territorio verranno istituiti nuovi centri di assistenza e urgenza per dare risposte ai casi a minore complessità clinica. Ovviamente, tutto all'interno del sistema pubblico. L'obiettivo è quello di sgravare i pronto soccorso, una delle criticità più forti del sistema, dai codici bianchi e verdi. Ma anche questa riorganizzazione richiede risorse finanziarie e professioni.

A questo proposito, il taglio del Pnrr previsto dal governo per case e ospedali di comunità che impatto avrà da voi che siete una delle regioni ad avere sperimentato le case della salute?
Siamo molto preoccupati. Le risorse previste dal Pnrr per il potenziamento di tutti i servizi di medicina territoriale per noi sono importanti, servono per completare un percorso che, come dici tu, da noi era già stato avviato da tempo attraverso le case della salute e altre forme di medicina territoriale. Adesso il rischio è che con il sottofinanziamento del sistema sanitario queste strutture implementate dal Pnnr rimangano gusci vuoti di professionalità, cattedrali nel deserto. Per questo ben venga la legge di iniziativa popolare proposta dalla Regione e licenziata nelle settimane scorse: ha due contenuti fondamentali, il primo portare il finanziamento della spesa sanitaria progressivamente al 7,5% del Pil e, in secondo luogo, eliminare il tetto di spesa per l'assunzione del personale. Ovviamente è una proposta nata in Emilia-Romagna ma a carattere nazionale. Proposta di legge che sosteniamo e raccoglieremo le firme necessarie per portarla in Parlamento, perché quel testo accoglie una parte importante della nostra piattaforma nazionale sulla sanità e di quello che abbiamo sempre sostenuto in questa Regione. Quindi in realtà noi di questa iniziativa siamo stati precursori e sponsor.

La campagna in difesa della sanità pubblica in Emilia-Romagna si inserisce anche nel percorso di mobilitazione nazionale della Cgil?
Certo, in vista del 7 ottobre stiamo già lavorando in tutti i territori, abbiamo dato il via alle assemblee con lavoratori e lavoratrici, con loro stiamo ragionando su tutti questi temi che riguardano il futuro del Paese. Anche il progetto sull'autonomia differenziata, che ovviamente contrastiamo, non è solo un disegno di rottura della coesione geografica e sociale del Paese, è proprio un progetto classista. Quando diciamo che è un progetto che rischia di far andare avanti le regioni del Nord, non è vero! È un progetto tarato sui ricchi delle regioni del Nord e che sarà devastante anche per le persone che noi rappresentiamo, perché il disegno ultimo di quel progetto è proprio lo smantellamento del perimetro pubblico e il consegnare la sanità pubblica al sistema delle assicurazioni private, consegnare la scuola pubblica agli interessi dell'impresa, consegnare le politiche pubbliche al mercato. Per questo c'è un intreccio forte tra la manifestazione del 7 ottobre e il disegno di rilancio dei princìpi e dei valori della Costituzione con le battaglie che stiamo portando avanti in Emilia-Romagna, in particolare appunto, a difesa della sanità pubblica.

Data articolo: Thu, 07 Sep 2023 04:47:59 GMT
News n. 9
Pensioni, il governo non fa la sua parte

“Oggi, in assenza della ministra, abbiamo ribadito all'Osservatorio le nostre proposte su lavori gravosi e usuranti e sulle misure che riguardano le donne. Noi continuiamo a fare la nostra parte ma, anche sulla previdenza, non si può dire lo stesso della ministra e del governo”. È quanto dichiara la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione a margine dell'incontro sulla previdenza in corso in sede tecnica al dicastero del Lavoro e delle Politiche sociali. 

La dirigente sindacale specifica che “abbiamo chiesto di allargare la platea dei lavori gravosi, anche attraverso un unico elenco, estendendo quella attualmente prevista per l'Ape sociale, anche per i precoci. Inoltre, abbiamo chiesto di aprire una riflessione sulla misura delle prestazioni, non solo sul diritto, per evitare penalizzazioni economiche sui trattamenti pensionistici”.  Sugli usuranti “è necessario estendere il riconoscimento ad altri settori e professioni lavorative, rivendendo l'attuale meccanismo di riconoscimento del lavoro notturno”.

Per le donne poi, prosegue, “occorre individuare criteri che diano risposte alle carriere discontinue e ai bassi salari anche attraverso il riconoscimento del lavoro di cura, in modo da garantire l'accesso senza penalizzazioni, e ripristinare opzione donna con i requisiti previgenti”.

Ghiglione conclude ribadendo che “resta il problema del metodo. Nessun riscontro, solo indiscrezioni giornalistiche che rivelano che tutti gli impegni assunti in campagna elettorale, a partire dai famosi 41 anni di servizio come criterio di accesso alla pensione, sono slogan per acquisire voti. Per questo – aggiunge infine – la previdenza rimane un'importante prerogativa della nostra mobilitazione, a partire dalla manifestazione del 7 ottobre a Roma”.

Data articolo: Tue, 05 Sep 2023 15:28:42 GMT
News n. 10
Gli esodati del reddito di cittadinanza

Questa promessa elettorale, purtroppo, è stata mantenuta. L'avevano annunciato in campagna elettorale, e il reddito di cittadinanza è stato abolito. Dal 1 luglio a oggi, via sms, è stato comunicato a 188 mila cittadini e cittadine che l'assegno non sarebbe più arrivato, buttandoli nella disperazione.

Perché tanto clamore, si saranno domandati dalle parti di Palazzo Chigi, visto che era scritto nero su bianco in legge di Bilancio e ribadito nel decreto del 1 maggio? Forse, sarebbe da rispondere, chi percepisce quell'assegno i giornali non li legge e forse non ascolta nemmeno i Tg. E ancora, sempre dalle fila della maggioranza, ci si domanda come mai tanto clamore visto che come annunciato dal 1 settembre prenderà il via la piattaforma per registrare la propria disponibilità a partecipare a un corso di formazione e così aver diritto a 350 euro al mese?

Occupabili?

Se si è poveri, senza o con lavoro, perché è bene ricordare che una parte consistente dei percettori di reddito di cittadinanza un lavoro l'aveva ma con salario talmente basso da dar diritto all'assegno, e si ha un'età compresa tra i 18 e i 59 anni, senza figli minori e senza disabili in famiglia, si è occupabili per decreto. Ma davvero per loro un lavoro ci sarà?

A sentire Nicola Ricci, segretario generale della Cgil di Napoli e Campania, non sarà così: “Non occorre essere catastrofisti su quello che si abbatterà nei prossimi mesi nel Paese spazzando via il reddito di cittadinanza. Le manifestazioni di piazza di questi giorni rafforzano l'idea che il governo Meloni non ha la percezione vera delle realtà del Mezzogiorno e di una città come Napoli, dove le diseguaglianze, la povertà, la mancanza di lavoro e la precarietà non si affrontano con misure insufficienti come l'assegno di inclusione e per i numeri che si prospettano (tra i 120 mila e i 135 mila nel nostro territorio) non credibili per una loro immediata occupazione”.

Oggi nel limbo

La legge dispone che, abolito il reddito di cittadinanza – ed è bene ricordare che chi lo avuto assegnato nel 2023 riceverà solo 7 mensilità, per questo dal 1 luglio ogni mese alcuni lo perdono –, gli occupabili dal 1 settembre potranno iscriversi alla piattaforma gestita dall'Inps per richiedere il supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) che, se rispettati alcuni requisiti, darà diritto a 350 euro per al massimo 12 mensilità con l'obbligo di sottoscrivere una sorta di patto per cui ci si impegna a frequentare corsi di formazione e accettare le offerte di lavoro che si riceveranno. Ci sono tre modi per presentare la domanda per accedere al Sfl: attraverso lo spid direttamente sul sito dell'Inps, attraverso i patronati e, dal 1 gennaio 2024, anche attraverso i Caf.

I non occupabili, invece, verranno presi in carico dai servizi sociali dei comuni e avranno diritto all'assegno di inclusione (Adi), ovviamente previa richiesta.

La domanda che sorge spontanea, però, è: dal momento in cui non arriva più l'assegno del Rdc a quando cominceranno i corsi di formazione e quindi si riceverà l'assegno di 350 euro, come vivranno gli ex percettori del reddito di cittadinanza?

In Toscana si teme l'irregolarità

In Toscana i numeri sono diversi rispetto alle regioni del Sud. Solo l'1,7% della popolazione, contro il 4,2% nel Paese, è stato percettore del reddito di cittadinanza. Corrisponde a 32 mila nuclei familiari, circa 63 mila persone, per un importo medio mensile di 527 euro, senza più assegno dal 1 luglio in attesa che da settembre si debba partecipare a corsi di formazione di cui al momento non si ha notizia. E nel frattempo? Nulla. E questo – ovviamente – vale non solo in Toscana ma in tutto il Paese.

Dice Paola Galgani della Cgil Toscana: “In realtà, anche da noi il rischio è che queste persone, non ricevendo più il Rdc, non entrino in un percorso di lavoro regolare ma di lavoro nero. Peraltro il governo fa un sacco di promesse ma al momento non si è attivato nessun meccanismo per far incontrare domanda e offerta di lavoro. Da noi, penso ad esempio a Firenze dove le famiglie che percepivano l'assegno sono circa 2.000, queste persone sono conosciute e sono realmente in condizione di disagio. E la polemica fatta dai nostri imprenditori e commercianti, che denunciavano di non riuscire a trovare lavoratori perché i giovani preferivano il Rdc, è fuori luogo. Innanzitutto perché da noi i percettori dello strumento non erano i giovani, e poi perché, visto che l'assegno medio era di poco più di 500 euro al mese, bisognerebbe si domandassero qual è il salario e che tipo di diritti danno ai lavoratori. In realtà il reddito di cittadinanza è stato anche uno strumento che ha consentito di ribellarsi a uno sfruttamento inaccettabile”.

Torino in cerca di soluzioni

Nel capoluogo piemontese i percettori del reddito di cittadinanza nel 2023 sono 15.666 famiglie che corrispondono a 26.802 persone. Dal primo luglio in poi, allo scadere del settimo mese di percezione dell'assegno in 6.115 sono rimasti senza contributo e classificati come non occupabili. Saranno via via presi in carico dai servizi sociali e avranno un assegno dal Comune fino al 31 dicembre, invece 6.436 sono occupabili e quindi destinati ai servizi per l'impiego.

È preoccupata Gabriella Semeraro, segretaria della Camera del Lavoro, tanto da aver chiesto al patronato e ai Caf di inviare una mail ai 5 mila che avevano fatto domanda di Rdc attraversa il sistema servizi della Cgil, spiegando loro cosa sarebbe successo e quali le possibili alternative. Riflette la segretaria: “Dobbiamo domandarci quali politiche attive del lavoro mettere in campo. Insomma anche i cosiddetti occupabili sono in realtà persone fragili. Se è vero che tutto è demandato ai centri per l'impiego, come si muoveranno per trovare lavoro da offrire? Innanzitutto occorre capire che offerta di lavoro esiste realmente per queste persone, appunto fragili. Forse occorre pensare a creare lavoro anche attraverso il terzo settore e la cooperazione, insomma le strutture regionali insieme agli assessorati regionali al lavoro e al governo devono pensare a creare lavoro specifico per questi cosiddetti occupabili che in ogni caso sono portatori di un disagio. L'offerta di lavoro deve essere calibrata e costruita attraverso politiche regionali. Sono convinta che mettendo insieme politiche attive, incentivi, costruzione di percorsi queste persone – almeno in parte - si possono recuperare. Ovviamente, la situazione al Sud è molto diversa e occorre tenerne conto”.

Al Sud la situazione è assai difficile

Chiosa infatti ancora Ricci: “Per i numeri elevati di chi sta perdendo il reddito di cittadinanza, entro dicembre intorno alle 130 mila persone, siamo preoccupati perché, a fronte delle dichiarazioni del ministro del Lavoro, sappiamo per certo che la Regione Campania non è nelle condizioni di iniziare i vari corsi di formazione, i centri per l'impiego non hanno la capacità organizzativa e di personale per affrontare questi flussi, i servizi sociali dei comuni hanno identiche difficoltà con l'aggiunta di dover accogliere le persone per lunghe procedure, ma su tutto è evidente che il nostro mercato del lavoro non ha migliaia di possibilità di offerte di lavoro se non di tipo precario e per giunta in un unico settore, quello del turismo e della ristorazione, oggi già di per sé con carenze contrattuali e normative”.

Data articolo: Thu, 31 Aug 2023 04:30:00 GMT
News n. 11
Rdc, il governo lascia le persone nella disperazione

Mentre in Germania, per contrastare la congiuntura economica, si innalzano salario minimo e importo della misura di sostegno al reddito, con un incremento del 12% per 5 milioni di percettori, nella consapevolezza che nei momenti di crisi bisogna poter contare sullo stato sociale, in Italia il reddito di cittadinanza viene cancellato con le persone e le famiglie che, pur trovandosi nella stessa condizione di povertà, si troveranno ad accedere a percorsi e strumenti profondamente diversi in base a criteri assolutamente arbitrari: ci sarà chi potrà accedere all'assegno di inclusione, chi al supporto per la formazione e il lavoro, e chi invece resterà fuori da ogni misura di sostegno e lasciato solo.

Ma in queste settimane estive, l'accanimento verso i poveri si è sostanziato anche con le affermazioni davvero incommentabili di diversi esponenti del governo: dalla ministra Calderone che, nel suo mondo incantato, non vede nessun allarme sociale, al ministro Lollobrigida che si vanta dell'attenzione dei “successi” della carta acquisti “Dedicata a te”, come se un contributo una tantum di 382 euro, meno di un caffè al giorno, possa essere una risposta sufficiente a chi si trova in difficoltà economiche. Per non parlare delle farneticazioni sui poveri la cui alimentazione sarebbe migliore di quella dei ricchi. Affermazioni non degne di chi rappresenta le istituzioni al massimo livello e che sono l'espressione del disprezzo del governo verso chi si trova in condizioni di povertà e bisogno estremo, peraltro in un momento in cui i rincari proprio dei beni alimentari hanno superato il 10%.

La verità è che il governo, nella sua foga ideologica, lascia sole le persone nella loro disperazione sottintendendo sempre una colpevolizzazione di coloro che si trovano in condizione di povertà che dovrebbero “dimostrare interesse a mettersi in gioco per inserirsi nel mondo del lavoro”, come ha affermato nei giorni scorsi il sottosegretario Duringon. Se sei povero, se sei disoccupato, se sei in difficoltà, per il governo la colpa è tua che non fai abbastanza per uscire dalla tua condizione, peraltro dimostrando di voler ignorare che se si è imprigionati nella spirale fatta di precarietà, lavoro povero, discontinuo o part time, si può essere poveri anche lavorando.

Ma come pensa il governo che debbano sopravvivere coloro che perdendo il Rdc non potranno accedere a nessun sostegno? E con cosa faranno la spesa coloro che dal 1° settembre potranno accedere al Supporto per la formazione e il lavoro in attesa di frequentare effettivamente i corsi?

E basteranno 350 euro per vivere e pagare l'affitto dopo che il governo ha anche azzerato i fondi per l'affitto e contro la morosità incolpevole?

E la partecipazione a progetti utili alla collettività, alle attività del servizio civile o di volontariato, aumenterà concretamente la loro occupabilità e le loro opportunità di inserimento lavorativo o semplicemente sono soluzioni che trasudano una logica risarcitoria se non punitiva verso chi accede a un contribuito pubblico?

Una situazione di forte preoccupazione condivisa ampiamente anche dai sindaci, che l'allarme sociale lo lanciano eccome, fortemente preoccupati di come potranno farsi carico di dare risposte alle tante persone e famiglie che si stanno già rivolgendo loro ma che si trovano senza adeguate risorse economiche e professionali e che a loro volta sono stati lasciati soli dal governo a farsi carico del problema della povertà e della fragilità crescenti.

C'è poi il problema del forte impatto che la cancellazione del reddito di cittadinanza ha in tante aree del Paese e soprattutto in quelle del Sud, dove al disagio di tante famiglie, alle difficoltà economiche e occupazionale di interi territori, si sommano anche le maggiori difficoltà del sistema di welfare pubblico.

È necessario che, a partire dalla legge di Bilancio, venga realizzato un forte rafforzamento dell'infrastrutturazione sociale per rispondere ai bisogni crescenti e molteplici delle persone in condizioni di difficoltà e disagio (economico, abitativo, educativo, sociale, assistenziale ecc.), per poterle accompagnare con strumenti di vera presa in carico garantendo loro interventi e servizi pubblici, e sostegni. Ma soprattutto è necessario ripristinare uno strumento di sostegno al reddito che abbia carattere universale per contrastare la povertà perché, in un Paese che voglia considerarsi civile, nessuno e in particolare chi si trova in difficoltà, deve essere lasciato solo e perché è responsabilità della Repubblica, come prevede la Costituzione, si preoccupi di rimuovere le cause di diseguaglianze e povertà, indicatori di arretratezza e profonda ingiustizia sociale.

Anche per questo, dopo una campagna capillare di assemblee in tutti i luoghi di lavoro e nei territori, il 7 ottobre saremo di nuovo in piazza in una grande manifestazione nazionale a Roma per un'altra idea di Paese, di società, di giustizia sociale.

Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil

Data articolo: Thu, 31 Aug 2023 04:28:00 GMT
News n. 12
Rdc: Cgil, il governo lascia le persone nella disperazione

“La ministra Marina Calderone continua a rassicurare che non ci sarà nessuna bomba sociale, ma la verità è che il governo, nella sua foga ideologica, sta lasciando le persone sole nella loro disperazione”. Ad affermarlo la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi, secondo la quale “in queste settimane estive l'accanimento verso i poveri si è sostanziato anche con le affermazioni davvero incommentabili di diversi esponenti del governo: dalla ministra Calderone che, nel suo mondo incantato, non vede nessun allarme sociale, al ministro Lollobrigida che si vanta dei “successi” della Carta acquisti “Dedicata a te”, come se un contributo una tantum di 382 euro, meno di un caffè al giorno, possa essere una risposta sufficiente a chi si trova in difficoltà economiche”.

Per Barbaresi: “A partire dalla prossima legge di Bilancio è indispensabile realizzare un forte rafforzamento dell'infrastrutturazione sociale per rispondere ai bisogni crescenti e molteplici delle persone in condizioni di difficoltà e disagio. Ma soprattutto è necessario ripristinare uno strumento di sostegno al reddito che abbia carattere universale”.

“In un Paese che si definisce civile, nessuno dev'essere lasciato solo e in particolare chi si trova in difficoltà. È responsabilità della Repubblica, come prevede la Costituzione, preoccuparsi di rimuovere le cause di diseguaglianze e povertà, indicatori di arretratezza e profonda ingiustizia sociale. Anche per questo, dopo una campagna capillare di assemblee in tutti i luoghi di lavoro e nei territori, il 7 ottobre saremo di nuovo in piazza a Roma per una grande manifestazione nazionale per indicare - conclude Barbaresi - La Via Maestra dell'attuazione della Costituzione”.

Data articolo: Wed, 30 Aug 2023 15:04:28 GMT
News n. 13
Giù le mani dalle pensioni

Allarme pensioni. Se fossero confermate le indiscrezioni uscite oggi sui giornali – secondo cui il governo, a caccia di risorse per la Finanziaria, si appresterebbe a bloccare ancora una volta l'indicizzazione degli assegni –, sarebbe un colpo durissimo per una delle categorie più colpite e indifese rispetto all'aumento esponenziale dell'inflazione. Come fa notare lo Spi Cgil, "saremmo di fronte a una scelta sbagliata e grave, oltre che presa senza mai aver aperto un confronto con il sindacato". Oltretutto il governo, continua il sindacato dei pensionati della Cgil, "con l'intervento dello scorso anno (valido anche per il 2024), ha definito un meccanismo per blocchi fortemente iniquo e penalizzante in particolare per le pensioni che superano di oltre 5 volte il trattamento minimo".

Come certifica l'ufficio parlamentare di bilancio, ricorda lo Spi, "i pensionati sono i soggetti che hanno meno possibilità di difendersi dall'inflazione; inoltre su di loro e sui lavoratori dipendenti grava il peso dell'Irpef di questo Paese". L'indicizzazione è dunque decisiva "per salvaguardare il potere di acquisto eroso da un aumento dei prezzi e da rincari di mutui, spese sanitarie e beni di prima necessità che non hanno adeguato contrasto. Obiettivo del governo dovrebbe essere migliorare quel meccanismo, non peggiorarlo, invece dopo tanti annunci e tante promesse, si svela ancora una volta il vero volto di questo esecutivo: debole con i forti e forte con i deboli".

Come sindacato dei pensionati, lo Spi Cgil "è sempre pronto al confronto, ma davanti a decisioni come queste le iniziative di mobilitazione non potranno che continuare ed essere rafforzate. Insieme alla Cgil vogliamo risposte per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e dei pensionati. Ancora un taglio sulla loro pelle è una ragione in più per scendere in piazza in tante e tanti il prossimo 7 ottobre a Roma".

Molto duro anche il giudizio della Cgil che con la segretaria confederale Lara Ghiglione sottolinea come “nonostante i tanti slogan e le promesse elettorali, questo governo sulle pensioni non farà nulla, anzi, sino ad oggi, è riuscito a fare peggio dei governi precedenti”. 

“In questi mesi - aggiunge la dirigente sindacale - si è continuato a tagliare sul capitolo previdenziale, prima con la scorsa legge di Bilancio, a partire dalla rivalutazione dell'importo pensionistico, poi con il fondo precoci e l'azzeramento di altre misure di flessibilità esistenti, come opzione donna”. 

“Riteniamo che il confronto aperto con le parti sociali sia finto, non è mai stata data alcuna risposta, e purtroppo non solo sulle pensioni. Sui diversi capitoli previdenziali - sottolinea Ghiglione - conosciamo le posizioni di questo esecutivo solo leggendo i giornali. Se le notizie di oggi, veicolate su alcuni organi di stampa, fossero vere, sarebbero scelte gravi e non condivise con chi rappresenta lavoratori e pensionati”. 

“Se il Governo - prosegue la segretaria confederale - ipotizza di intervenire nuovamente sulla rivalutazione delle pensioni, con un ennesimo taglio, riteniamo sia una scelta assolutamente sbagliata che contrasteremo, a partire dalla mobilitazione messa in campo nelle prossime settimane. Verrebbero colpiti ancora una volta i pensionati che hanno lavorato e versato i contributi per 40 anni e oltre”. 

“Per questo è necessario che il prossimo 5 settembre, al tavolo di confronto sulle pensioni, sia presente anche la ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone. Il Governo deve dirci cosa vorrà fare sulle pensioni, basta bugie, in assenza di risposte - conclude Lara Ghiglione - la previdenza resterà una delle tante ragioni della nostra mobilitazione che ci riporterà in piazza a partire dal prossimo 7 ottobre a Roma”.

Data articolo: Tue, 29 Aug 2023 17:27:00 GMT
News n. 14
Reddito di cittadinanza, una tragedia annunciata

Non hanno idea di cosa sia realmente il mercato del lavoro. O lo sanno e non gli interessa. Affermare che basta avere tra i 18 e i 59 anni, non avere figli né disabili a carico per esser definiti occupabili è una mistificazione della realtà e nasconde la volontà di dar vita a un esercito di riserva di lavoratori e lavoratrici costretti ad accettare qualunque condizione salariale e di lavoro.

Si spiega così l'avversione di una parte del mondo delle imprese al reddito di cittadinanza che aveva reso meno ricattabili le persone. Così come aver tagliato proprio quelle risorse del Pnrr che dovevano servire a ricucire gli strappi della società a cominciare dalle periferie delle grandi città, e a costruire la sanità di territorio, dà il senso di quale idea del Paese ha la destra al potere. Ne parliamo con la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi

È vero, era scritto in legge di Bilancio e declinato nel cosiddetto decreto Lavoro del 1° maggio, ma l'sms di annuncio della sospensione del Rdc arrivato a 169 mila persone, per loro, è stato un fulmine a ciel sereno.
Purtroppo è successo quello che denunciavamo da mesi. Questa è la cronaca di una tragedia annunciata. Centinaia di migliaia di persone e famiglie che percepivano il reddito di cittadinanza ora sono lasciate sole e senza sostegno: una bomba sociale a cui è stata accesa la miccia. Una situazione già drammatica e ulteriormente aggravata dall'improvvido invio dell'sms da parte dell'Inps, che non ha fornito alcuna indicazione se non comunicare la fine del sostegno economico a tutti coloro che perdono il Rdc. Il decreto Lavoro, varato dal governo, ha definitivamente abolito l'unico strumento di carattere universale di contrasto alla povertà presente in Italia, introducendo una nuova misura che divide la platea delle persone in condizioni di difficoltà, tra coloro che potranno accedervi e coloro che ne saranno escluse a prescindere dalle reali condizioni economiche e di bisogno. Una scelta crudele e profondamente ingiusta che non ha eguali in Europa. L'ufficio parlamentare di Bilancio ha stimato in 500 mila nuclei e oltre 800 mila persone la platea di popolazione che avrebbe potuto beneficiare del Rdc e che sarà esclusa dall'assegno di inclusione. Un'inclusione a geometria variabile che dà sostegno ad alcuni, ma lascia fuori tanti altri.

Occupabile, secondo il governo, è chiunque abbia tra i 18 e 59 anni, senza figli o genitori anziani o disabili da accudire. Anche questa caratterizzazione appare almeno bizzarra, visto che la maggior parte di chi ha figli o madre e padre anziano lavora. Ma a leggere i dati si scopre che la maggior parte dei cosiddetti occupabili ha oltre 50 anni e un livello di scolarità basso. Dove sono i posti di lavoro per loro?
Quello dell'occupabilità è criterio non solo arbitrario, ma privo di logica: non tiene conto della effettiva condizione delle persone e tratta in maniera diversa persone e famiglie che si trovano nella stessa condizione di povertà e disagio. Molte delle persone considerate “occupabili” sono lontane da tempo dal mercato del lavoro o hanno competenze ed esperienze inadeguate e difficilmente spendibili. Inoltre il governo sembra voler ignorare le caratteristiche del mercato del lavoro stesso, che in ampie aree del Paese, a partire da quelle del Sud, presenta criticità strutturali che dovrebbero essere affrontate. Altrimenti, forse, molti degli esclusi un lavoro lo avrebbero già. Da questo punto di vista, le dichiarazioni della ministra del Lavoro e delle politiche sociali di voler trovare “un posto in tempi rapidi per chi perde il Reddito” appaiono quanto meno velleitarie se non presuntuose. O semplicemente rendono evidente l'intenzione del governo di creare un esercito di riserva di lavoratori costretti ad accettare qualunque condizione.

Altra questione che il governo sembra non vedere: molti percettori del Rdc un lavoro in realtà ce l'hanno, ma con un salario talmente basso da dar loro diritto all'assegno. Ora come faranno?
Il governo non tiene in minimo conto la piaga del lavoro povero, che non garantisce un reddito adeguato per vivere dignitosamente a tanti, troppi, lavoratori e lavoratrici imprigionati nella spirale di precarietà, part time spesso involontari, appalti e subappalti e bassi salari. Basti pensare che quasi un terzo dei lavoratori dipendenti privati, soprattutto donne e giovani, percepisce retribuzioni lorde annue inferiori a 10 mila euro.

Una delle critiche che la Cgil mosse al Rdc, così come venne riformulato dal governo Conte 1, era che assegnare anche il ruolo di politiche attive del lavoro a uno strumento di tipo universalistico di contrasto alla povertà non avrebbe funzionato. Avevate ragione?
Il reddito di cittadinanza aveva criticità che abbiamo sempre evidenziato ed era migliorabile, ma è indiscutibile che prevedeva una risposta economica per tutti coloro che si trovavano in condizioni di bisogno, per poi attivare percorsi di inclusione lavorativa e sociale. Da oggi, una parte consistente di persone in difficoltà, sarà lasciata sola senza alcun sostegno economico. Ma cosa succederà a chi resta fuori? Chi non avrà la possibilità di partecipare ai corsi previsti dal supporto per la formazione e lavoro unico modo per accedere ai 350 euro al mese di sostegno - ma solo per la durata dei corsi - che non partiranno prima dell'autunno, come potrà vivere senza avere i soldi per mangiare o pagare l'affitto prima, durante e dopo l'avvio dei percorsi formativi? È questa la scelta crudele di un governo ostile con i poveri, ritenuti colpevoli della loro condizione, mentre un Paese civile dovrebbe preoccuparsi di rimuovere le cause della povertà, indicatore di arretratezza e profonda ingiustizia sociale. Ci sono poi incongruenze e disallineamento tra la cancellazione del reddito di cittadinanza e le tempistiche dei nuovi strumenti e ritardi intollerabili di cui chiediamo conto al governo: se già con la legge di Bilancio aveva deciso di cancellare lo strumento, perché in questi mesi non è stato fatto niente? Dove sono i decreti attuativi dei nuovi strumenti? Dov'è la formazione? Dov'è il rafforzamento dei servizi pubblici dei territori che dovranno accompagnare le persone nei percorsi di inclusione sociale e lavorativa? E dov'è il lavoro?

Dove sono questi provvedimenti e questi strumenti?
Semplicemente il governo scarica sulle amministrazioni locali, a loro volta in forte difficoltà per la mancanza di personale e di risorse economiche, il problema della povertà e del disagio di tante famiglie e il peso di provare a dare le risposte che il governo ha deciso di non far dare più dallo Stato. Ma saranno soprattutto le persone in condizione di fragilità e bisogno, a pagare il prezzo più altro di una scelta sbagliata. Per questo è necessario prorogare l'erogazione del reddito di cittadinanza per mettere tutti i soggetti istituzionali coinvolti nelle condizioni di mettere a punto il sistema e soprattutto ripristinare uno strumento universale di contrasto alla povertà per non lasciare le persone sole nella loro disperazione come molte già oggi sono.

Se la povertà non è una colpa individuale, ma il risultato di politiche economiche e sociali che aumentano le diseguaglianze, che effetti potranno avere i tagli ai progetti del Pnrr che riguardano rigenerazioni urbane e periferie?
Disinvestire sulla rigenerazione urbana significa rinunciare all'obiettivo di ridurre emarginazione e degrado sociale. Significa abbandonare anche gli anziani, quella fetta di popolazione sempre più crescente che necessita di attenzione al mantenimento il più a lungo possibile della loro autonomia. Banalmente non pensare a come renderli autonomi nell'uscire di casa, nell'attraversare una strada o passeggiare sui marciapiedi è l'evidenza che si ritengono un peso e se va bene da sfruttare economicamente nelle Rsa. C'è bisogno di ripensare città, paesi e quartieri a misura d'uomo e non di auto. Serve potenziare servizi e infrastrutture sociali di comunità, progettare servizi di vicinato, abbattere barriere architettoniche e incentivare i giovani all'autonomia ed emancipazione. Quale occasione migliore di un grande piano di rigenerazione urbana? Ma anche su questo il governo si volta da un'altra parte preferendo i condoni e strizzando l'occhio agli evasori.

Povertà è anche non potersi curare. Meno 30 per cento di case di comunità, meno 24 per cento di ospedali di comunità sempre determinati dai tagli al Pnrr, che effetti determineranno?
Quei tagli pesanti determinano un inaccettabile stravolgimento degli obiettivi del Pnrr, che sono: rispondere ai bisogni di salute delle persone potenziando la sanità di territorio attraverso case e ospedali di comunità, centrali operative, l'assistenza domiciliare perché la casa sia il principale luogo di cura, riqualificando gli ospedali per renderli sicuri anche dal punto di vista sismico, e superare le insopportabili diseguaglianze tra persone e territori che si traducono in notevoli divari nelle aspettative di vita che arrivano fino a 3 anni tra chi vive nelle realtà del Nord e chi al Sud. È evidente che per il governo la pandemia non ha insegnato nulla.

A settembre riprende, allora, la mobilitazione per contrastare le politiche di questo governo.
Una mobilitazione per chiedere cambiamenti concreti per il lavoro, contro la precarietà, per il contrasto alla povertà, per l'aumento dei salari e delle pensioni, per la sanità e la scuola pubblica, per la pace, l'ambiente, per la giustizia sociale, per la difesa e l'attuazione della Costituzione per unire l'Italia e non per dividerla. Una mobilitazione che, dopo assemblee nei luoghi di lavoro e nei territori, ci porterà in piazza in una grande manifestazione nazionale a Roma il 7 ottobre per affermare un'altra idea di Paese, società, sviluppo.

Data articolo: Thu, 17 Aug 2023 04:30:00 GMT
News n. 15
Poveri al lavoro, poveri in pensione

In pensione dopo i 70 anni, con assegni da mille euro al mese. È la prospettiva che attende gli under 35 da poco entrati nel mercato del lavoro, delineata da una recente ricerca realizzata dal Consiglio nazionale dei giovani (organi consultivo della presidenza del Consiglio) insieme a Eures: salari troppo bassi, carriere sempre più precarie e discontinue, con contratti a termine e atipici, stage e tirocini più o meno efficaci, tempo parziale involontario, sono le condizioni, ulteriormente accentuate se si è donne, che portano a questo risultato.

Niente di nuovo per il sindacato

“Nulla di nuovo per noi", sostiene Ezio Cigna, responsabile Politiche previdenziali Cgil nazionale: "Anzi, una conferma di quello che sosteniamo da anni: è necessaria una vera riforma previdenziale, a partire dal futuro delle giovani generazioni”. La ricerca sottolinea infatti quanto sia grave la distorsione dell'attuale sistema pensionistico, che non soltanto proietta nel tempo disuguaglianze reddituali, senza alcuna dimensione redistributiva, ma addirittura punisce i lavoratori con i redditi più bassi, costretti a rimanere nel mercato del lavoro per più tempo.

Al lavoro nove anni in più

Prendiamo l'esempio di un ragazzo che ha iniziato a lavorare nel 2020 a 22 anni: per lui l'età pensionabile scatterà a 71 anni, il dato più alto tra i principali Paesi europei. Rispetto all'età pensionabile attuale, infatti, in Italia serviranno nove anni in più, otto e mezzo in Danimarca, quattro in Grecia, mentre la media Ue è di 1,7 anni. Francia e Germania sono appena sotto, con rispettivamente 1,5 e 1,3 anni, mentre in Spagna, Austria e Svezia non ci saranno differenze tra chi è nato nel 2000 e chi è nato 50 anni prima.

Salari da fame

E veniamo alla questione dei salari. La ricerca evidenzia come i nostri giovani siano penalizzati da salari più bassi. Nel 2021 gli under 25 hanno ricevuto in media 8.824 euro all'anno, il 40 per cento della retribuzione media complessiva, mentre quelli tra 25 e 34 anni hanno percepito 17.076 euro, pari al 78 per cento della media. E alle donne va anche peggio. 

“Sempre nel 2021 più di un under 35 su quattro ha guadagnato meno di 5 mila euro all'anno", spiega Cigna: "Arriva al 16,3 per cento la quota dei giovani con una retribuzione compresa tra i 5 mila e i 9.999 euro, contro il 12,3 per cento osservato per gli altri lavoratori”.

Carriere discontinue

Ai bassi salari si aggiungono carriere discontinue e contratti precari. Nel decennio 2011-2021 la quota dei giovani con contratto a tempo indeterminato è scesa dal 70,3 al 60,1 per cento; nello stesso periodo è aumentata l'incidenza dei rapporti a termine e quella degli atipici, salita dal 29,6 al 39,8 per cento.

Un patto intergenerazionale

“È necessario rafforzare il patto intergenerazionale, soprattutto in un sistema previdenziale a ripartizione come il nostro, dove i contributi dei lavoratori attivi servono a pagare gli assegni di chi si trova già in pensione", prosegue il dirigente sindacale: "Se questa sfida non verrà colta, se non si daranno certezze ai giovani sulla loro futura pensione, incentivandoli a rimanere attivi nel mercato e a versare i contributi, si rischia davvero di andare incontro a una crisi profonda dell'attuale sistema”.

Anche negli ultimi incontri con il governo la Cgil ha fatto presente che bisogna introdurre una pensione contributiva di garanzia, inserendo elementi di solidarietà all'interno del sistema e agendo attraverso il mix tra anzianità ed età di uscita. Il che vuol dire: più crescono contribuzione ed età, più dovrebbe aumentare l'assegno di garanzia, valorizzando tutti i periodi degni di tutela come la disoccupazione, la formazione, le politiche attive, stage, tirocini e così via.

Emergenza giovani: il governo che fa?

I tavoli di confronto sul tema delle pensioni non hanno però determinato alcun passo in avanti, né per chi è vicino al traguardo pemsionistico tanto meno per i giovani, totalmente dimenticati da questo esecutivo.

“Esiste un'emergenza giovani nel nostro Paese", afferma la segretaria confederale Cgil Lara Ghiglione: "Lo dicono chiaramente tutti i dati, lo abbiamo ribadito anche nell'incontro dello scorso 11 luglio con il governo. Parlare di giovani significa contrastare la precarietà e aumentare i salari, da qui bisogna partire. Strada esattamente opposta a quella intrapresa nell'ultima legge di bilancio e con il decreto lavoro, con l'allargamento dei voucher e la proroga dei contratti a termine”.

Conclude Lara Ghiglione: “In assenza di risposte, la previdenza resterà una delle tante ragioni della nostra mobilitazione che ci riporterà in piazza a Roma il 7 ottobre per una grande manifestazione nazionale”.

Data articolo: Fri, 11 Aug 2023 14:15:54 GMT
News n. 16
Rdc: Cgil-Fp Calabria, governo attacca i più deboli

Sono 14.384 in Calabria i destinatari del “famigerato” messaggio con cui l'Inps comunicherà (o ha già comunicato) la sospensione del reddito di cittadinanza. “Una misura – spiegano Cgil e Fp Cgil regionali – che ha rappresentato l'àncora cui i cittadini più deboli socialmente ed economicamente si sono aggrappati per non sprofondare dalla povertà alla disperazione”.

In una regione come la Calabria, in cui “le opportunità di trovare un lavoro stabile, dignitoso e a tempo indeterminato sono rarissime, tanto che sono attualmente ancora presenti consistenti bacini di precariato o tempo parziale involontari anche nei servizi pubblici, è una misura che colpirà in maniera pesante chi in questi anni è riuscito a fatica a sbarcare il lunario”.

Cgil e Fp sottolineano che il reddito di cittadinanza “non è stato solo una misura di sostegno per disoccupati e fragili, ovvero chi non può lavorare, ma ha ristorato anche chi ha un lavoro talmente povero da non raggiungere la soglia minima di sussistenza”.

La disposizione di sospensione allo scadere del settimo mese prevede che, in presenza di un componente nel nucleo famigliare minore, disabile o ultra 60enne, per continuare a percepire il reddito fino a dicembre si venga presi in carico dai servizi sociali e che, in caso di sospensione, sia prevista la riattivazione comprensiva degli arretrati non percepiti se la presa in carico sia effettuata dai servizi sociali entro il 31 ottobre.

“Questo – riprendono Cgil e Fp regionali – è il primo scoglio pressoché insormontabile, atteso che in Calabria gli ambiti territoriali e i Comuni sono particolarmente carenti di queste figure professionali, nonostante i fondi stanziati e la possibilità di assumere e stabilizzare anche in deroga ai vincoli di contenimento della spesa del personale al fine di conseguire il previsto livello di garanzia di erogazione dei servizi, ovvero un assistente per ogni 5 mila o 6.500 abitanti secondo la grandezza del Comune, finanziato strutturalmente dal ministero del lavoro”.

Per il sindacato regionale, insieme alla “grave carenza di personale che andrebbe colmata al più presto, sono da considerare le difficoltà tecniche della presa in carico (i sistemi dei Comuni non dialogano con quelli dei Centri per l'impiego) dopo la valutazione che, certamente, richiederà il tempo necessario. Un tempo di sospensione che potrebbe generare gravissimi disagi per chi è in condizioni di assoluto bisogno di un sostegno economico semplicemente per vivere”.

La sospensione ricade anche sui nuclei famigliari che non presentano caratteristiche di fragilità, ma che al loro interno hanno un membro tra i 18 e i 59 anni, quindi occupabile. In tal caso dovranno rivolgersi ai Cpi per sottoscrivere il patto di servizio e a cui, a partire dal 1º settembre, potranno richiedere il Supporto per la formazione e il lavoro per cui è prevista da gennaio un'indennità di partecipazione per 12 mensilità, pari a 350 euro, in presenza di Isee non superiore a 6 mila euro.

“Non meno profonda – continuano Cgil e Fp – è questo caso la nostra preoccupazione, per due motivi: innanzitutto i Cpi della Calabria non sono attrezzati ancora a fronteggiare con celerità questo drammatico carico di lavoro, a cominciare dalle sedi non ancora sistemate, sovraffollate di personale e utenti perché carenti delle caratteristiche strutturali necessarie, almeno nei grossi centri di Cosenza e Reggio Calabria, con sistemi informatici non aggiornati alla normativa vigente e strumentazioni carenti”.

In secondo luogo perché “conosciamo bene l'esigua offerta di lavoro in Calabria, in ragione della scarsa presenza di attività produttive, ma anche della debolezza delle politiche attive che, seppur rafforzate dalle recenti nuove assunzioni ancora in via di completamento, non hanno mai strutturato efficaci percorsi di formazione e riqualificazione delle persone che hanno necessità di rientrare nel mercato del lavoro”.

Cgil e Fp così concludono: “Ignorare questo contesto di allarmanti vulnerabilità significa abbandonare alla disperazione migliaia di persone che comunque resteranno senza un minimo reddito per fronteggiare le necessità quotidiane e mettere in difficoltà le lavoratrici e i lavoratori che dovranno occuparsi di loro, un grave attacco alle persone più deboli che ancora una volta segna il profilo di questo governo”.

Data articolo: Fri, 11 Aug 2023 14:03:00 GMT
News n. 17
Sulmona, presidio Cgil all'ospedale: no al trasferimento di servizi

Protesta nel piazzale dell'ospedale di Sulmona, in Abruzzo, contro il trasferimento temporaneo del servizio di endoscopia, dal capoluogo peligno a Pescina. La manifestazione è stata organizzata dalla Cgil a seguito della disposizione diramata dalla Asl second la quale, nelle more dei lavori di riqualificazione con il Pnrr dell'ala Bolino e dell'abbattimento dell'ala vecchia, ha deciso di spostare il servizio nel primo piano dell'ex struttura ospedaliera di Pescina.

Al momento la Asl sta cercando i locali nel nuovo blocco ospedaliero di Sulmona. "La pressione sindacale, politica e mediatica, soprattutto questa protesta, hanno sicuramente inciso"- intervengono Anthony Pasqualone e Francesco Marelli della Cgil che chiedono la revoca immediata del trasferimento e l'attivazione di una cabina di regia per il potenziamento della rete sanitaria dal momento che endoscopia diventa il simbolo della battaglia.

 

Data articolo: Fri, 11 Aug 2023 12:49:00 GMT
News n. 18
Flc Abruzzo, stabilizzare subito il personale Ata

“Le immissioni in ruolo che si svolgeranno nei prossimi giorni sono nettamente inferiori alle disponibilità: sono soltanto 292 su 811 posti, mancano quindi all'appello 519 impiegati”. A dirlo è la Flc Cgil Abruzzo, dopo l'incontro informativo sugli organici tenutosi con l'Usr Abruzzo, commentando le immissioni in ruolo per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole della regione per l'anno scolastico 2023/24.

Sul personale Ata la Flc Cgil ha chiesto in più occasioni “un incremento di organico e la stabilizzazione del personale che possa consentire alle scuole di affrontare meglio le tante incombenze quotidiane”. In particolare, nelle segreterie “la complessità del lavoro amministrativo ha superato i livelli di guardia anche a causa degli adempimenti legati all'attuazione del Pnrr e dell'elevato numero di personale con contratti a termine”.

Riguardo il profilo di Dsga (Direttore dei servizi) per l'Abruzzo “sono previsti 20 posti su 54 disponibilità, da poter utilizzare per le future procedure concorsuali (procedure selettive per i facenti funzione e i concorsi ordinario e riservato). Permane quindi il problema dei posti scoperti che non sarà possibile ricoprire in tempo utile per l'avvio dell'anno scolastico 2023/2024 e le scuole prive di Dsga dovranno ancora avvalersi degli assistenti amministrativi facenti funzione”.

La Flc Cgil si ritiene “totalmente insoddisfatta per il permanere del limite assunzionale legato alla copertura del solo turn over. Su questo punto, a livello nazionale, abbiamo chiesto un impegno politico preciso per un intervento normativo (di modifica della legge 107/2015) e verificheremo l'impegno del ministero di ragionare su un intervento una tantum che aumenti le facoltà assunzionali”.

Restano inoltre irrisolte le criticità relative agli organici, che negli anni hanno dovuto subire ripetuti tagli. “In Abruzzo – conclude la categoria – nell'arco di 15 anni, sul personale Ata è venuto meno il 25% dei posti, mentre il carico di lavoro è in costante crescita nelle scuole, anche per le esigenze connesse all'attuazione del Pnrr e per tutte le altre numerose incombenze che non sono affatto diminuite”.

Data articolo: Fri, 11 Aug 2023 12:03:22 GMT
News n. 19
Il nuovo piano sanitario? Inutile e carente

Tante promesse e nessuna scelta concreta. Il piano socio sanitario 2023-2025 approvato dal consiglio regionale delle Marche il 9 agosto riceve una bocciatura piena da Cgil, Cisl e Uil perché secondo i sindacati non contiene niente in grado di portare a un reale miglioramento della sanità.

Dopo il Covid la nuova programmazione avrebbe dovuto affrontare i nodi strutturali che la pandemia ha messo in luce e non limitarsi a enunciazioni di principio. “È necessario iniziare a risolvere i problemi che hanno contorni ben precisi – scrivono i sindacati in una nota -: si chiamano liste di attesa, pronto soccorso, sanità territoriale, integrazione socio-sanitaria, rette per le residenze degli anziani, prevenzione, ruolo del privato, potenziamento delle dotazioni organiche, per superare le critiche situazioni di lavoro in cui si dibattono da anni gli operatori. Invece il piano che è stato approvato non affronta nessuno di questi temi”.

Sul potenziamento della sanità territoriale, cruciale per il futuro, è carente perché non chiarisce i criteri e le modalità di sviluppo delle case e degli ospedali di comunità. È inadeguata l'attenzione che il documento della giunta riserva all'integrazione socio sanitaria, che presuppone il rafforzamento dei distretti, genericamente evocato, e la coincidenza dei confini di questi ultimi con quelli degli ambiti territoriali sociali, della quale si evita accuratamente di parlare, oltre alla diffusione dei percorsi diagnostico terapeutici assistenziali in tutta la regione.

In merito alla questione della non autosufficienza, non si propongono correttivi alle criticità del sistema della residenzialità e semi residenzialità, che sono il sottofinanziamento, la disomogenea distribuzione territoriale, le rette eccessivamente alte a carico dell'utente.

“Anche sul versante delle reti ospedaliere il piano è lacunoso – sostengono Cgil, Cisl e Uil -, non affronta alcuna valutazione delle necessità di riequilibrio territoriale, di superamento delle duplicazioni e delle ridondanze esistenti”. Infine, la creazione ipotizzata di ospedali di base in zone particolarmente disagiate è incompatibile con le attuali carenze di personale e inadeguata alle reali esigenze dei cittadini.

“La manifestazione del 15 luglio ad Ancona – concludono i sindacati -, a cui hanno partecipato migliaia di persone, ha dimostrato che i marchigiani chiedono una sanità diversa e più rispondente ai problemi che quotidianamente incontrano. Noi continueranno nel nostro impegno per apportare correttivi al sistema con il confronto sui tavoli tematici previsti dal dipartimento Salute della Regione, congiuntamente ad Ars e alle aziende sanitarie regionali”.

Data articolo: Thu, 10 Aug 2023 10:58:36 GMT
News n. 20
Una rimodulazione malata

Next Generation Eu è, come ben si ricorda, il grande piano di finanziamenti europei per consentire all'Unione e ai singoli Stati di riprendersi dopo il biennio della fase più acuta del Covid. La pandemia avrebbe dovuto aver reso evidente come il potenziamento dei servizi sanitari, a cominciare dalle reti territoriale, fosse indispensabile.

Il Pnrr italiano

La traduzione italiana del piano europeo aveva delineato il potenziamento della sanità di territorio attraverso case e ospedali di comunità, centrali operative, il potenziamento della presa in carico soci- sanitaria e l'aumento della quota di non autosufficienti cui dedicare l'assistenza domiciliare perché “la casa deve diventare il luogo delle cure”.

Bello sulla carta, anche se probabilmente già in fase di redazione del Pnrr si sarebbe potuto, e forse dovuto, appostare più risorse per la sanità, ma sin da subito sono cominciate le dolenti note. Innanzitutto, la mancanza di un piano straordinario di assunzioni di quanti nelle case di comunità dovrebbero operare. E poi la revisione.

I tagli alla Missione 6

Perché ridurre il numero di case e ospedali di comunità? Ritardi nella costruzione? No, non di questo si tratta, ma di non voler destinare quanto stanziato per l'aumento dei costi causati dall'inflazione anche alla sanità. E allora via 414 case di comunità su 1.350, via 76 centrali operative territoriali su 600, via 96 ospedali di comunità su 400, per un totale di ben oltre 2 miliardi di risorse in meno.

“Sostenere che le risorse mancanti a raggiungere gli obiettivi originari del Pnrr si potranno finanziare diversamente o, peggio, prenderle dal Fondo per l'edilizia sanitaria è, a essere buoni, una finzione", dice Cristiano Zagatti, coordinatore Area Stato sociale Cgil nazionale: "Le risorse di quel fondo sono già tutte destinate, pensare di utilizzarle per case e ospedali di comunità significherebbe non ristrutturare ospedali e non costruire quelli nuovi già previsti”.

Per di più, qualora si trovassero le risorse mancanti, non ci sarebbero comunque più i termini temporali che invece il Pnrr impone. Aggiunge, infatti, il dirigente sindacale: “Aver previsto tempistiche per il raggiungimento degli obiettivi che potranno essere successive alla metà del 2026 suona come una resa da parte del governo. Una sconfitta per l'intero Paese”.

E non finisce qui

A essere ridotti, secondo il progetto che il Governo Meloni ha inviato a Bruxelles, ci sono anche i fondi per il Fascicolo sanitario elettronico (Fse). L'effetto di questa decisione sarà inevitabilmente una limitazione della possibilità di uniformare a livello nazionale i contenuti dei documenti digitali sanitari, le funzioni e l'esperienza utente, l'alimentazione e consultazione da parte dei professionisti della sanità.

Davvero rabbia, visto che tra gli obiettivi che l'Europa ha consegnato ai singoli Stati, insieme ai miliardi di euro, c'è la riduzione dei divari territoriali e sociali. Ebbene, con i tagli alla Missione 6 i divari territoriali e sociali italiani si approfondiranno. Eppure l'Italia ha ottenuto quasi 200 miliardi, stanziamento molto consistente, proprio perché le diseguaglianze da colmare sono notevoli. Ed è purtroppo evidente quanto, ad esempio, il diritto alla salute tra Nord e Sud del Paese non sia uguale.

Mortalità diseguale

A luglio ha fatto caldissimo in tutto il Paese: dai numeri elaborati dal Dipartimento epidemiologico della Regione Lazio, ricavati da una proiezione del ministero della Salute, si scopre che sono 1.500 i morti in più al Sud a causa delle alte temperature. A fare la differenza non sono stati i gradi, ma il sistema sanitario. Possiamo solo immaginare cosa potrebbe accadere nella malaugurata ipotesi che venisse approvata l'autonomia differenziata del ministro Calderoli. E ci piacerebbe sapere il 30% in meno di case di comunità e il 24% in meno di ospedali di comunità dove non saranno realizzati.

Una riforma per il governo irrealizzabile

Sembra davvero che la pandemia non abbia insegnato nulla. Senza case di comunità, la costruzione della sanità di territorio, di cui il Covid ha drammaticamente dimostrato la necessità, non è realizzabile. Per altro vale la pena ricordare che nessuna risorsa ordinaria, perché quelle del Pnrr non possono essere utilizzate per il personale, è stata stanziata per assumere medici, infermieri e professionisti della salute che le case e gli ospedali rimanenti dovranno riempire. “La rimodulazione della Missione 6 - conclude Zagatti - determina le premesse per un inaccettabile stravolgimento del disegno originario, allontanandosi dai bisogni delle persone”.

Data articolo: Thu, 10 Aug 2023 04:45:00 GMT
News n. 21
Reddito di cittadinanza: Cgil, serve proroga fino al termine del 2023

"Deludente l'assenza di concrete risposte da parte della ministra Calderone. Ribadiamo con forza la nostra richiesta di prorogare almeno fino al termine del 2023 il Reddito di cittadinanza, unico strumento universale di contrasto alla povertà, affinché nessuno venga lasciato solo". Così la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi a commento di quanto dichiarato dalla ministra del Lavoro e delle Politiche sociali nel corso del Question Time di oggi alla Camera sul Rdc.

"Il governo, indulgente con gli evasori e spietato con i poveri - sostiene la dirigente sindacale - continua ad andare avanti senza ascoltare nessuno, con un atteggiamento di crudeltà e insofferenza verso chi si trova in condizioni di bisogno. Una ragione in più - conclude Barbaresi - per proseguire la mobilitazione per non lasciare soli coloro che stanno peggio e per cambiare le politiche sbagliate dell'esecutivo".

 

Data articolo: Wed, 02 Aug 2023 15:07:00 GMT
News n. 22
Storia di Ida, senza lavoro e senza sostegni

Si fa presto a dire occupabile: secondo i criteri del governo Meloni Ida Friouchen certamente lo è, ha 58 anni, non ha figli minori né anziani o disabili a carico. Eppure è dal 2016 che cerca un'occupazione senza trovarla. Come lei tante e tanti, perché i criteri definiti per legge non hanno nulla a che vedere con la reale possibilità di trovare un lavoro con un salario dignitoso.

Lo spiega bene Ilaria Manti di Nonna Roma, l'associazione che si occupa di marginalità nella capitale e che già da mesi ha lanciato la campagna “Ci vuole un reddito”. “Il problema - dice - è che non c'entra niente la definizione di occupabilità con l'immissione nel mercato del lavoro. Basti pensare che buona parte dei percettori del Rdc un lavoro l'aveva, ma con salari talmente bassi da dar diritto al reddito”.

La storia di Ida

Quella di Ida Friouchen è una storia emblematica. È nata in Marocco ed è arrivata in Italia 40 anni fa, ha studiato si è laureata in psicologia e specializzata in psicologia infantile. La sua origine nord-africana certo non l'ha favorita, ma ha sempre lavorato forte della sua formazione: come mediatrice culturale, come psicologa, anche in una residenza per anziani nel centro della capitale. Manteneva se stessa e il figlio. Poi dopo la perdita del figlio si è ammalata e dopo quattro anni ha perso lavoro e casa. “Ho pagato l'affitto per ben 32 anni, era arrivato a 950 euro al mese, ma allora stavo bene e guadagnavo”.

Una vita diversa

All'improvviso cambia tutto. La perdita del figlio, poi una grave malattia invalidante, quindi lo sfratto. Racconta ancora Ida: “Vivo in una cameretta con uso della cucina e bagno in un palazzo occupato. Nel 2019 ero davvero in difficoltà e mi sono rivolta a Nonna Roma che mi ha dato pacchi alimentari. E siccome non mi piace star senza far nulla ho cominciato a fare la volontaria da loro”. 

Certo la voglia di lavorare non le manca, ha mandato il suo curriculum a moltissimi datori di lavoro ma non è stata mai chiamata. Eppure sono centinaia di migliaia le posizioni scoperte e i datori di lavoro si lamentano di non trovare con chi coprirle, ma a Ida non è arrivata nessuna offerta di lavoro nonostante la sua specializzazione. Immaginiamo quante ne arrivano a chi magari può offrire solo il diploma di terza media

Che alternativa?

La domanda sorge spontanea ma la risposta di Ida è lapidaria: “Al momento nessuna. Da questo mese non mi arrivano più i 500 auro del reddito di cittadinanza e non so come fare a comprare le medicine”. Già, perché ogni giorno assume ben 13 farmaci, più della metà dell'assegno serve – meglio serviva - a comprare le medicine non a carico del servizio sanitario, ma per lei vitali.

E non serve nemmeno affermare che si sapeva dalla scorsa legge di bilancio e poi dal decreto lavoro del 1° maggio che da agosto l'erogazione del reddito sarebbe finita: i farmaci vanno assunti lo stesso. La sua storia è paradossale anche per un'altra ragione. Nel 2021 Ida si è rivolta a un Caf e, presentando tutte le certificazioni necessarie, ha inviato la domanda di riconoscimenti dell'invalidità civile. Sono passati quasi due anni e l'Inps ancora non ha fissato nemmeno l'appuntamento per la visita.

Il problema è la comunicazione?

Da un paio di giorni le televisioni trasmettono uno spot amichevole, fatto apposta per mitigare la fredda comunicazione dell'sms inviato dall'Inps. Si vuol suggerire l'idea che il Rdc verrà rimodulato e che ci saranno alternative. Sembra davvero una nuova beffa. “Il problema non è la comunicazione o l'sms", afferma Ilaria Manti: "Resta il fatto che 169 mila nuclei familiari sono senza sostegno al reddito".

L'esponente di Nonna Romacosì continua: "I programmi di formazione per gli occupabili che però hanno già perso il reddito, a oggi non sono ancora pronti e non si sa quando partiranno. Non solo, daranno diritto a un assegno di avviamento al lavoro ben al di sotto del Rdc medio. È stato detto che proprio le persone più in difficoltà verranno prese in carico dai servizi sociali, ma questa cosa è un altro boomerang, nasconde un enorme rischio bomba sociale che grava sui Comuni e sui servizi sociali, sovraccarichi e sottodimensionati”.

Contro i poveri, contro la povertà

L'idea dietro il Reddito di inclusione e poi il Rdc era di affrontare il tema della povertà e di come aiutare gli individui a emanciparsi, con il lavoro certo, ma non solo. Questo governo, invece, secondo l'esponente di Nonna Roma “sta facendo la guerra ai poveri, non alla povertà. Invece di pensare a percorsi di emancipazione dal bisogno, elargisce ad alcuni atti caritatevoli e gli altri si arrangeranno. Ovviamente questo andrà solo a favorire il lavoro nero e anche le criminalità organizzate. Sono i dati a dimostrarlo: il reddito di cittadinanza, permettendo alle persone di essere meno ricattabili, ha contrastato lavoro nero e mafie”.

Lontani dall'Europa

La verità è che con l'eliminazione del reddito di cittadinanza ci allontaniamo sempre più dagli altri Paesi europei e non solo. In tutti esistono strumenti di contrasto alla povertà e di inclusione sociale. In Italia, invece, si elimina ciò che c'è e si espande la logica dei bonus e delle una tantum come la carta acquisti di meloniana ideazione, poco più di 300 euro per acquistare generi alimentari decisi però dal governo. E ancora: no al salario minimo e sì alla precarizzazione ulteriore del lavoro. Avanti tutta verso il Medioevo! 

Data articolo: Wed, 02 Aug 2023 04:37:45 GMT
News n. 23
«Liquidati con un sms»

Dal 1° agosto 169 mila nuclei familiari in Italia perderanno il reddito di cittadinanza, l'unico strumento di protezione sociale che in questi anni ha salvaguardato milioni di persone dalla povertà. Il tutto con un semplice sms arrivato a poche ore dalla cessazione della misura. A Roma, oggi, una delle tante piazze dove si è dimostrato davanti alla sede dell'Inps. In questo video le voci dei manifestanti: di chi ha perso il reddito o lo sta perdendo, degli esponenti dei sindacati e delle associazioni della società civile che stanno partecipando alla protesta contro chi sta facendo della povertà un nemico.

Natale Di Cola, segretario generale della Cgil di Roma e Lazio: "Abbiamo scritto una lettera al presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, e al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, per chiedergli di intervenire nei confronti del governo". La lettera è stata firmata da Cgil Roma e Lazio, Acli, Forum del Terzo settore, Numeri Pari, Arci e Nonna Roma. 

Data articolo: Tue, 01 Aug 2023 15:05:25 GMT
News n. 24
Reddito di cittadinanza, è guerra ai bisognosi

Finisce l'epoca del reddito di cittadinanza, stoppato dal governo con la manovra di bilancio 2023. Da oggi (martedì 1° agosto) 169 mila nuclei familiari che hanno già fruito quest'anno di sette mensilità non lo riceveranno più, ad avvisarli un sms dell'Inps inviato nei giorni scorsi. Per tantissimi, dunque, l'ultima rata è stata quella di luglio. E altri 80 mila lo perderanno da oggi a dicembre.

“Il governo fa cassa sui più poveri”, commenta il segretario generale Cgil Maurizio Landini: “Sono mesi che se ne parla, ma il governo non ha preparato nulla e oggi si dimostra che non sono nemmeno in grado di offrire un'opportunità di lavoro a chi ne ha bisogno. Scaricano la questione sui Comuni, stanno raccontando delle balle”.

Una bomba sociale, dunque, che sta provocando in tutta Italia tensione sociale e proteste da parte degli ex percettori. La Cgil, con i suoi centri servizi, si trova in prima fila: dalla Puglia all'Abruzzo e alla Toscana, da Potenza a Catania, le sedi del sindacato sono invase da migliaia di famiglie disperate che chiedono aiuto e sostegno.

Puglia

“In queste ore le nostre strutture sono prese d'assalto, in presenza e con telefonate: le persone sono disperate, non sanno come fare ora senza quel sussidio”. A dirlo è la segretaria generale Cgil Puglia Gigia Bucci: “Dal 1° gennaio 2024 il reddito di cittadinanza sarà abrogato per tutti. Siamo di fronte a un governo che fa cassa sui poveri, sul disagio sociale, che favorisce gli evasori e si accanisce sulle aree più deboli del Paese”.

Per Bucci la misura è stata uno strumento “utile per attenuare le povertà crescenti nel Paese”. L'esponente sindacale ricorda che in Puglia “il 27,5% delle famiglie vive in condizioni di povertà relativa. Il superamento del reddito di cittadinanza porterà a un aumento della povertà proprio in aree dove il mercato del lavoro è più debole e i salari più bassi, come nel nostro caso”.

La segretaria generale Cgil stigmatizza anche i “titoli sprezzanti e vergognosi che abbiamo letto su alcuni giornali della destra, si è parlato di ‘pacchia finita'. Vivere con poco meno di 600 euro al mese - questo il reddito medio percepito dai beneficiari in Puglia - è una pacchia? Siamo al darwinismo sociale, al classismo ottocentesco, questa è la destra italiana”.

Bucci cita anche i report di Anpal e Inps sull'emergenza sociale. “In Puglia oltre 80 mila persone sono povere benché occupate”, conclude: “Oltre il 90 per cento dei rapporti di lavoro attivati è precario e a tempo. Il mercato del lavoro, in alcuni settori come agricoltura e turismo, è legato alla stagionalità, quindi a impieghi frammentati e con forti irregolarità. Il 19,8% dei beneficiari del reddito di cittadinanza percepiva la misura di sostegno benché occupato”.

Abruzzo

“Un sms dell'Inps ha generato disperazione e sconforto tra chi già quotidianamente doveva fare i conti la povertà”, spiega la Cgil regionale. In Abruzzo sono 14.700 (su complessivi 24.200 mila) i percettori del reddito o pensione di cittadinanza che da oggi rimangono senza sussidi. Le province più interessate dallo stop sono Pescara (4.100 nuclei familiari) e Chieti (4 mila), l'importo medio mensile ammontava a 530 euro.

Gli ex percettori del reddito ora passano in carico ai servizi sociali dei Comuni, che possono eventualmente riattivare la misura (ma solo fino al 31 dicembre). “Gli uffici comunali – prosegue la Cgil – non sono in grado di smaltire il lavoro che questa nuova incombenza comporta, sia per strutturali carenze di personale sia per mancanza d'informazioni su come attivarsi e nei confronti di chi, visto che non sono ancora chiari alcuni passaggi nei rapporti con i Centri per l'impiego né chi saranno coloro che potranno effettivamente essere presi in carico”.

La Cgil sottolinea che questo è “un lavoro complesso e che va svolto con la massima urgenza: tanto più tempo passerà, quanto più queste persone rimarranno senza quell'unica somma che adesso gli consente di andare avanti”. E conclude, rimarcando la necessità “di una proroga della scadenza per dare il tempo alle strutture comunali di acquisire tutte le informazioni necessarie e organizzare un'adeguata presa in carico di un'utenza particolarmente fragile”.

Toscana

“Le sedi dei nostri servizi in questi giorni registrano un aumento delle telefonate e delle richieste di informazioni di percettori del reddito di cittadinanza, altamente preoccupati per il venir meno della misura”, commenta la Cgil regionale, garantendo “a tutti che non verranno lasciati soli, ma continueremo a seguirli e assisterli nelle pratiche di tutela individuale, in attesa di capire meglio quali saranno i percorsi”.

Con la fine della misura “tante persone si ritrovano senza sostegni”. La Cgil regionale, allora, lancia “un allarme sociale per le misure del governo” e rivendica all'esecutivo “che queste persone hanno bisogno di risposte”. E così conclude: “La responsabilità politica di questa scelta sul reddito di cittadinanza è tutta del governo che continua nella guerra ai poveri, anziché alla povertà. Anche per questo torneremo a scendere in piazza”.

Basilicata

“La cancellazione del reddito di cittadinanza è una scelta sbagliata, che sottende una visione colpevolizzante della povertà da parte del Governo Meloni”. A dirlo sono Vincenzo Esposito (segretario generale Cgil Potenza) e Giuliana Pia Scarano (segretaria generale Fp Cgil Potenza): “In una inaccettabile logica punitiva, invece di investire sul lavoro e sulla solidarietà, si abbandona da un giorno all'altro chi è in condizioni di bisogno”.

Per i due esponenti sindacali quanto sta accadendo “è la miccia che farà esplodere la situazione nella quale versano i Centri per l'impiego e i servizi sociali dei Comuni. Tutto questo mentre la Regione Basilicata si permette il lusso di non destinare risorse al Fondo unico autonomie locali (Fual) e ai Piani sociali di zona”.

Esposito e Scarano rilevano che “l'impatto si scaricherà sia sui Centri per l'impiego sia sui servizi sociali. Ma nei Centri mancano all'appello ancora circa 30 unità, mentre nei servizi sociali, nonostante la presenza di risorse, non si sono ancora in larga parte fatte le stabilizzazioni degli operatori previste in deroga ai vincoli di contenimento della spesa del personale. Occorre evitare che i lavoratori, in quanto prossimi all'utenza, restino soli ad affrontare questa gravissima situazione sociale”.

Sicilia

“Troncare la speranza di un domani migliore a migliaia di famiglie catanesi in difficoltà è disumano”. Giudizio netto, quello del segretario generale Cgil Carmelo De Caudo sull'interruzione del reddito di cittadinanza a 8.974 nuclei familiari. Una revoca che pone Catania al quarto posto nella graduatoria per stop alla misura (dopo Napoli, Roma e Palermo): “Persone che non possono pagare affitti e che non trovano lavoro si sono viste ‘bocciare' ogni possibilità di sostegno dal governo. Tutto ciò, attraverso un freddo sms”.

Per la Camera del lavoro si tratta di un nuovo allarme che pregiudica una situazione già drammatica. “Senza sostegno per troppe famiglie è impossibile sopravvivere”, prosegue Carmelo De Caudo: “Altrettanto impossibile è che le responsabilità di queste persone vengano ora scaricate sui Comuni che non hanno le possibilità economiche né il personale per intervenire con efficacia”. Il segretario generale, inoltre, smentisce che “si tratti di cittadini che non cercano lavoro. Molti di loro hanno superato i 50 anni e sono tagliati fuori dal mercato, vorrebbero lavorare ma non trovano opportunità”.

Secondo le nuove regole, chi è occupabile potrà chiedere di frequentare un corso di formazione, ma questo (nel migliore dei casi) non avverrà prima di settembre. “Non può essere questa la soluzione per i nostri concittadini, siamo pronti a far sentire la nostra voce”, conclude De Caudo: “Le prossime settimane saranno di impegno massimo. I nostri governanti devono comprendere che gli atteggiamenti punitivi e le scelte poco concrete non portano da nessuna parte”.

Lazio

“Siamo fortemente preoccupati per le pesanti ricadute economiche e sociali per decine di migliaia di famiglie, e per le ripercussioni negative sulle lavoratrici e sui lavoratori dei servizi sociali, dell'Inps e dei Centri per l'impiego”. A dirlo è la Cgil Roma e Lazio, assieme ad altre associazioni, in una lettera inviata al presidente della Regione Lazio Francesco Rocca e al sindaco di Roma Roberto Gualtieri.

“Nel Lazio – spiegano – sono 120 mila le famiglie che percepiscono il reddito di cittadinanza, principalmente nella Capitale. Ma almeno il 60% di loro non potranno beneficiare dal 1° gennaio 2024 dell'assegno di inclusione, perché nei loro nuclei non sono presenti né minori né persone con disabilità. E già dal mese di agosto per circa 15 mila famiglie non ci sarà più alcuna misura di sostegno al reddito”.

Cgil e associazioni firmatarie sono anche preoccupate per il “rischio dell'acuirsi dell'emergenza abitativa: molti dei percettori grazie al sussidio, ora venuto meno, riuscivano a pagare il canone dell'affitto”. Ai due rappresentanti istituzionali chiedono di sollecitare il governo per ottenere una proroga delle sospensioni e maggiori risorse per rafforzare i servizi sociali, necessarie “per evitare l'esplosione di una bomba sociale e compensare gli effetti negativi del taglio del reddito di cittadinanza”.

Campania

"In giugno a Napoli erano 133 mila i nuclei familiari che beneficiavano del reddito di cittadinanza. A fine anno, quindi, ci ritroveremo con 360 mila persone che non avranno più un sostegno economico". Così il segretario generale Cgil Napoli e Campania Nicola Ricci, intervenendo alla trasmissione di Raiuno Uno Mattina Estate: "Già sette mesi prima dell'avvio della procedura di cancellazione del reddito di cittadinanza tutti sapevano, ma i Centri per l'impiego non si sono fatti trovare pronti a intrecciare offerta e domanda di lavoro, lasciando da soli Comuni e Inps”.

A Napoli si stanno svolgendo manifestazioni di protesta e di fronte a questo "serve senso di responsabilità da parte di tutti. Se non si fa un'operazione di chiarezza e verità, e si mettono Inps e Centri per l'impiego nella possibilità di dare risposte a queste persone, non si farà altro che gettare benzina sul fuoco. Responsabilmente tutti i soggetti in campo, a partire dai sindacati, non possono consentirlo".

Ricci evidenzia che a Napoli "il reddito di cittadinanza ha compensato anche salari legati a lavori di poche ore, seppure in trasparenza. Vedersi ridurre della metà il sostegno, da 700 a 350 euro, senza una prospettiva di occupabilità e per appena dieci mesi non serve a nulla. Soprattutto se la platea è composta anche da over 55".

Per il segretario Cgil "in un sistema di politiche attive del lavoro bisogna programmare le scadenze. C'è una parte di Italia che non può stare al passo con questa riforma, che riteniamo sbagliata, per questo abbiamo chiesto almeno sette mesi di proroga. E poi c'è un problema di banche dati che non comunicano. L'incrocio tra domanda e offerta non ci può essere in queste condizioni. Per accedere a questa nuova misura bisognerà sostenere dei colloqui che vanno dai 40 ai 50 minuti, quindi immaginiamo cosa succederà negli uffici dei Centri per l'impiego e dei servizi sociali, che sono da tempo alle prese con carenza di personale".

Friuli Venezia Giulia

"Il taglio del reddito di cittadinanza non è certo un fulmine a ciel sereno, trattandosi di uno degli obiettivi programmatici della coalizione di centrodestra che da quasi un anno governa il Paese", commenta Villiam Pezzetta, segretario generale Cgil Friuli Venezia Giulia: "Proprio il fatto che si tratti di una misura annunciata, e prevista già dalla legge di bilancio, rende ancora più criticabili le sue modalità, a partire dall'annuncio del taglio via sms".

Continua il sindacalista: "Si è tagliato senza curarsi delle pesanti ripercussioni sociali di questa scelta, scaricata di punto in bianco sui Comuni e sui loro servizi, già poveri di risorse umane e finanziarie. Tutto questo a opera di un governo che ha scelto di portare da 65 mila a 85 mila euro il tetto per l'accesso dei lavoratori autonomi alla flat tax, di concentrare il taglio delle aliquote fiscali sui redditi medio-alti, di non aumentare il prelievo sulle rendite finanziarie e gli extra-profitti, di rimandare a oltranza il confronto sull'introduzione del salario minimo e di limitare a uno sgravio temporaneo del cuneo contributivo i benefici per i lavoratori dipendenti, a fronte di un costo della vita che negli ultimi due anni è aumentato del 20%".

Se l'obiettivo fosse quello di favorire l'accesso al lavoro dei cosiddetti “occupabili”, continua l'esponente sindacale, "la transizione dal reddito di cittadinanza all'assegno di inclusione e le modalità di presa in carico delle fasce più deboli avrebbero dovuto essere definite in anticipo, condivise per tempo con gli organi di rappresentanza dei Comuni. Non è stato così, e questo è emblematico".

Altrettanto emblematica, conclude Pezzetta, è l'incertezza "sulla platea di beneficiari che saranno colpiti dal taglio tra agosto e dicembre. Platea che stimiamo in almeno 800 mila famiglie a livello nazionale e 7 mila in Friuli Venezia Giulia. Dal taglio sono esclusi infatti soltanto i titolari di pensione di cittadinanza, le altre famiglie con componenti over 60, quelle con minori o disabili e quelle che sono (o meglio saranno) prese in carico dai servizi sociali dei Comuni. In tutti gli altri casi la scure cala dopo l'erogazione della settima mensilità di reddito nel corso del 2023".

Umbria

"Stimiamo che circa 2.500 nuclei familiari in Umbria, di cui oltre 1.600 in provincia di Perugia, perderanno da oggi il reddito di cittadinanza dopo la scellerata decisione del Governo Meloni di accanirsi contro i poveri”. A dirlo è Simone Pampanelli, segretario generale Cgil Perugia, sottolineando come il sindacato sia al lavoro in questi giorni per cercare di aiutare e accompagnare le persone che si vedono private, dall'oggi al domani, di questa vitale forma di reddito.

“Le nostre sedi - spiega Pampanelli - sono sempre aperte per accogliere le tante persone che si sentono abbandonate e disorientate e si stanno chiedendo cosa succederà adesso. Per capirlo, con i nostri servizi stiamo effettuando una prima estrazione di dati sulle pratiche di Rdc da noi gestite”. Tra queste, in almeno 450 casi il sindacato ha riscontrato la perdita del diritto al sostegno economico, con conseguente necessità di verificare la possibilità di fare domanda per il "Supporto per la formazione e il lavoro" già da agosto. Inoltre, chi perde il reddito di cittadinanza potrebbe avere necessità di rifare la domanda per l'assegno unico universale per i figli a carico, cosa che prima era inclusa nello stesso Rdc. 

“Siamo di fronte a una vera emergenza sociale, causata da scelte politiche molto chiare, una guerra dichiarata ai poveri in un Paese che ha cento miliardi di evasione fiscale all'anno", continua Pampanelli: "Siamo di fronte a un governo forte con i più deboli e debolissimo con i forti, come dimostra la vicenda Santanché. Per di più, quest'emergenza oggi viene scaricata sui territori e sui Comuni, che non hanno risorse e strumenti per fronteggiarla. Le persone che si rivolgono a noi sono disperate, non sanno come fare senza quel sussidio che era per loro vitale".

Pampanelli così conclude: "Faremo tutto quello che è possibile per non lasciare sole le persone più fragili in questo momento davvero drammatico. Perché, nonostante i tentativi del governo di dividere i buoni dai cattivi, è la povertà stessa a rendere le persone fragili, e la povertà è oggi una realtà enormemente diffusa anche sul nostro territorio”.

Calabria

“Sono 14.384 i destinatari del famigerato sms – dicono Cgil e Fp Cgil Calabria – con cui l'Inps ha comunicato la sospensione del reddito di cittadinanza che ha rappresentato l'àncora cui i cittadini più deboli socialmente ed economicamente si sono aggrappati per non sprofondare dalla povertà alla disperazione”.

Il sindacato rileva che in Calabria, una regione dove “le opportunità di trovare un lavoro stabile, dignitoso e a tempo indeterminato sono rarissime, tanto che sono attualmente ancora presenti consistenti bacini di precariato o part time involontari anche nei servizi pubblici, questa misura colpirà in maniera pesante chi in questi anni è riuscito a fatica a sbarcare il lunario”.

Cgil e Fp ricordano di aver chiesto “al governo di prorogare i termini almeno fino al momento in cui si siano create le condizioni di continuità per non lasciare indietro nessuno”. Alle istituzioni locali, Regione, Comuni e Inps, chiedono di “attivare con urgenza tavoli di confronto per superare le criticità che si presenteranno”.

Lombardia

In Lombardia sono 7.364 le persone cui è stato sospeso il reddito di cittadinanza. “Con questa abolizione il governo sta lasciando migliaia di persone in povertà assoluta. È una vergogna”, commenta Monica Vangi, segretaria Cgil Lombardia: “La superficialità con cui è stato fatto, inviando un sms da Inps, è emblematico di come la destra al governo stia affrontando una situazione drammatica, scaricando la responsabilità sui servizi pubblici che con organici ridotti all'osso dovranno sostenere le richieste agli sportelli”.

Prosegue Monica Vangi: “I requisiti previsti per accedere al nuovo Assegno di inclusione, oltre a essere molto stringenti, sono peraltro discriminatori”. Un esempio? “Il requisito dei due anni continuativi di residenza in Italia rischia di discriminare i lavoratori stranieri, stagionali in particolare, che tornano nel Paese di residenza per periodi prolungati”.

Sulla questione interviene anche Valentina Cappelletti. “Il sistema delineato dalle due nuove misure previste dal governo, l'Assegno per l'inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro, non tiene in alcuna considerazione l'esperienza già maturata nella presa in carico dei percettori di reddito di cittadinanza”, commenta la segretaria Cgil Lombardia.

“Il 70% dei percettori – prosegue – aveva un livello di scolarizzazione uguale o inferiore alla licenza media inferiore, basse o assenti competenze digitali, saltuarie o nulle esperienze lavorative precedenti e comunque in qualifiche professionali basse, assenza di mezzi propri per spostarsi e una condizione soggettiva di scoraggiamento”.

Senza un intervento “paziente su tutti questi fattori, il reinserimento occupazionale è semplicemente uno slogan privo del benché minimo riferimento alla realtà. Inoltre, i nuovi requisiti dimenticano l'esistenza della povertà di chi pure ha un lavoro. Una persona di 30 anni che lavora in condizione precaria, pur in possesso dei requisiti economici, non riceverà alcun sostegno”.

Vangi e Cappelletti evidenziano che “oltre a peggiorare di nuovo le norme sul mercato del lavoro, reintroducendo i voucher e favorendo il ricorso ai contratti a termine, con gli ovvi impatti negativi sul reddito di chi lavora, il governo preferisce lasciare senza sostegno economico chi è più in difficoltà, a differenza di quanto avviene in tutti i Paesi europei”.

Le due esponenti sindacali così concludono: “Ancora una volta la trappola del lavoro povero e la colpevolizzazione di chi è in condizione di povertà vanno di pari passo. Per parte nostra attiveremo un'immediata interlocuzione con i Comuni e con la Regione Lombardia per individuare percorsi di presa in carico delle persone che hanno perso il reddito di cittadinanza e che necessitano di interventi e servizi per sopperire il venir meno del sostegno economico”.

Data articolo: Tue, 01 Aug 2023 14:17:00 GMT
News n. 25
Previdenza complementare, 30 milioni ai privati

Con un l'emendamento al decreto Pa 2 sulla previdenza complementare, presentato da Italia Viva e appoggiato da FdI e dal Governo, quasi 30 milioni di soldi pubblici andranno ai privati. In una nota la Cgil definisce "inaccettabile" il fatto che, grazie a questo intervento, le funzioni del Comitato per la promozione e lo sviluppo della previdenza complementare, ente terzo voluto dal Parlamento, vadano ad una struttura privata, Assoprevidenza, "garantendogli la piena disponibilità di 29,5 milioni di euro di risorse pubbliche. Viene spontaneo chiedersi la ragione di una scelta del genere, per noi assolutamente sbagliata", attacca la Confederazione.

Il Comitato era stato istituito nel 2011 con una risoluzione votata dalla Commissione lavoro della Camera che impegnava l'Esecutivo a "investire fortemente sulle potenzialità del sistema dei fondi pensione in particolare valutando l'opportunità di sostenere eventuali iniziative organizzative, promozionali e di informazione, anche su impulso degli enti e delle strutture interessati, dirette a mettere a sistema i fondi medesimi".

"Da tempo - prosegue la Confederazione - ribadiamo con forza la necessità di rilanciare le adesioni della previdenza complementare negoziale, rendendola effettivamente accessibile anche a chi lavora nelle piccole imprese e ai giovani. C'è un tavolo al ministero del Lavoro - si ricorda - che dovrebbe discutere proprio di questo tema il prossimo 18 settembre, ma il Governo decide di andare avanti in autonomia, come su tutte le altre materie oggetto del confronto".

"Questo fatto conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che i tavoli in essere sulla previdenza sono inutili e servono solo a prendere tempo", si legge infine.

Data articolo: Mon, 31 Jul 2023 11:45:40 GMT

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