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Ambiente e Salute nel lavoro (CGIL)

Ambiente e Salute nel lavoro (CGIL)

#salute #lavoro #ambiente #CGIL

News n. 1
La Cgil aderisce a “Fight for end fossil fuel”

“La Cgil aderisce con convinzione alla campagna internazionale ‘Fight for end fossil fuel', una mobilitazione per una rapida, giusta ed equa uscita dalle fonti fossili, che prende il via venerdì 15 settembre e terminerà il 17 settembre con una marcia a New York in occasione dell'Ambition Climate Summit convocato dal segretario generale delle Nazioni Unite”. Lo annuncia in una nota la Cgil nazionale.

“Purtroppo - afferma la Confederazione - la giusta transizione ecologica è molto lontana dal realizzarsi. Gli effetti della crisi climatica sono sempre più drammatici e le azioni necessarie per contrastare l'innalzamento della temperatura globale continuano ad essere insufficienti, prive di ambizione e non hanno carattere di urgenza e radicalità. Crescono invece i consumi, le emissioni climalteranti, i sussidi alle fonti fossili e vengono avviati nuovi progetti energetici fossili”.

Secondo il sindacato “il governo nega la crisi climatica, taglia le risorse del Pnrr per la transizione ecologica, spinge per rafforzare gli investimenti e le infrastrutture legate alle fonti fossili e rallenta sia sul versante delle rinnovabili, che nello sviluppo delle filiere strategiche per la transizione ecologica e la decarbonizzazione e annuncia un nuovo ‘Piano Mattei per l'Africa' che lascia presagire lo sfruttamento delle risorse fossili, ma anche rinnovabili del continente africano”.

Nella nota, l'invito ad intensificare la mobilitazione “per rivendicare un'ambiziosa politica climatica e sociale nel nostro Paese”. “Per questo, oltre ad aderire alla campagna ‘Fight for end fossil fuel', parteciperemo alla giornata di azione per il clima del 6 ottobre promossa dai Fridays for future. Due iniziative che si inseriscono nel percorso più ampio di mobilitazione che ci porterà alla manifestazione nazionale del 7 ottobre a Roma con oltre 100 associazioni” prosegue il comunicato. 

“Tra le nostre proposte rivendicative - ricorda in conclusione la Cgil - il rilancio dell'intervento pubblico per un nuovo modello di sviluppo fondato sulle fonti rinnovabili e la costituzione di un'agenzia per lo sviluppo che costruisca una strategia ambientalmente e socialmente sostenibile, a partire da politiche industriali per la riconversione ecologica ed energetica, il sostegno alle filiere strategiche per la decarbonizzazione, la ricerca e lo sviluppo tecnologico, assumendo l'obiettivo della piena e buona occupazione in un processo di giusta transizione definito con una governance partecipata e democratica”.

 

Data articolo: Fri, 15 Sep 2023 13:21:00 GMT
News n. 2
Una coalizione per il clima e i diritti umani

La Cgil ha deciso di partecipare alla prossima Conferenza Onu sul clima che si svolgerà a fine novembre negli Emirati Arabi Uniti. Non è stata una decisione presa a cuor leggero. L'anno scorso non avevamo partecipato alla Cop27 in Egitto contestando la decisione dell'Unfccc di far ospitare la conferenza in un Paese che non garantisce i diritti umani, con un regime repressivo che ancora assicura impunità a chi ha torturato e ucciso Giulio Regeni e che detiene in carcere oltre 60 mila prigionieri politici.

Per motivi analoghi avremmo potuto fare la stessa cosa quest'anno, ma abbiamo ritenuto che una nostra partecipazione attiva nel percorso multilaterale possa essere l'unica via percorribile per incidere maggiormente nel processo decisionale, portando avanti le nostre denunce e rivendicazioni.

Il fatto che la Conferenza si svolga in uno Stato petrolifero, con un amministratore delegato del petrolio come presidente, spinge ancora di più il movimento globale per la giustizia climatica a chiedere ai governi di concentrare i negoziati su ciò che è alla radice della crisi climatica: i combustibili fossili. Alla Cop di Dubai il mondo osserverà i leader e si aspetta che compiano progressi sostanziali nell'eliminazione dei fossili.

Questo pone una grande sfida e comporta un'enorme responsabilità per il movimento sindacale. Dobbiamo assicurarci che questa eliminazione avvenga con una transizione equa e incentrata sul lavoro. Le discussioni sul "global stocktake" e sul "just transition work programme" sono un'opportunità per fare progressi su questo tema. Come Cgil porteremo avanti la nostra azione, nell'ambito delle iniziative del movimento globale per il clima, di cui la rete sindacale è da sempre fondamentale, contribuendo anche a rafforzare le nostre collaborazioni, anche in vista dell'impegno del prossimo anno, quanto con la presidenza italiana del G7 saremo impegnati nell'organizzazione della riunione del Labour 7.

Per la Cgil l'azione per il clima deve essere attuata coniugandola con la giustizia sociale, la pace e il disarmo, l'equità e il rispetto per i diritti umani e il lavoro, a livello globale e in modo inclusivo. La giusta transizione non può essere raggiunta senza la partecipazione democratica delle comunità e della società civile organizzata. Le libertà di espressione, protesta e informazione sono essenziali nei processi decisionali così come nei progetti di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

Con queste convinzioni abbiamo aderito a una rete internazionale, la COP28coalition, che ha raccolto oltre 200 sigle di sindacati, movimenti, associazioni di tutto il mondo, e che denuncia il palese conflitto di interessi e l'illegittimità di una conferenza ospitata da un “petrostato” repressivo e presieduta da un dirigente petrolifero.

La giustizia climatica e i diritti umani sono profondamente interconnessi: non può esistere l'una senza gli altri. La COP28coalition vuole utilizzare l'attenzione politica e mediatica legata al vertice sul clima per puntare i riflettori sulla situazione di violazione dei diritti umani perpetrata contro le comunità, in particolare prigionieri di coscienza, lavoratori migranti, donne e comunità Lgbtqi+, e per essere solidali con quanti agiscono in prima linea per fermare gli impatti del cambiamento climatico e combattere le violazioni dei diritti umani negli Emirati e in tutto il mondo.

Allo stesso tempo la coalizione vigilerà affinché questa solidarietà non sia usata come arma dai ricchi Paesi industrializzati per puntare il dito contro gli Emirati ed evitare così di assumersi la responsabilità delle loro storiche e continue violazioni dei diritti umani e del loro ruolo nel creare e alimentare la crisi climatica.

Oggi la COP28coalition esce pubblicamente con una lettera indirizzata ai governi dei Paesi rappresentati nella coalizione, che verrà contestualmente pubblicata sui mezzi di informazione di tutto il mondo per ribadire il nostro appello “non può esserci giustizia climatica senza diritti umani, non possono esserci diritti umani senza giustizia climatica”, per chiedere ai leader politici di intraprendere misure concrete e immediate per affrontare la crisi dei diritti umani negli Emirati Arabi Uniti, ma non solo, e per garantire che i negoziati sul clima della Cop28 producano gli impegni ambiziosi necessari per affrontare il cambiamento climatico globale.

Ai governi chiediamo in particolare di:

1. chiedere agli Emirati Arabi Uniti di non spiare i partecipanti alla Cop28 e di porre fine alla sorveglianza statale illegale che viola le leggi e gli standard internazionali sui diritti umani;

2. invitare gli Emirati Arabi Uniti a rilasciare tutti i prigionieri di coscienza;

3. richiedere azioni contro le violazioni dei diritti delle donne negli Emirati Arabi Uniti e abrogare le leggi che discriminano le donne;

4. condannare le violazioni dei diritti Lgbtqi+ negli Emirati Arabi Uniti e abrogare le leggi che criminalizzano le persone Lgbtqi+;

5. richiedere riforme dei diritti dei lavoratori e risarcimenti per il lavoro forzato, risarcimenti per i lavoratori migranti che hanno costruito o hanno lavorato al sito delle strutture Cop28 (Expo City Dubai) in condizioni di abuso e lavoro forzato, l'impegno a proteggere i lavoratori dall'esposizione al caldo estremo e ai relativi rischi professionali, la revoca del divieto di sindacati indipendenti, l'abolizione del sistema della Kafala e la fine del traffico sessuale e delle condizioni di schiavitù sessuale a Dubai;

6. esortare gli Emirati Arabi Uniti a smettere di sostenere i violatori dei diritti umani nello Yemen e in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa;

7. ripudiare pubblicamente il greenwashing degli Emirati Arabi Uniti e l'ipocrisia sui combustibili fossili, abbandonando i piani per aumentare drasticamente la produzione statale di petrolio e gas e rettificare il profondo conflitto di interessi creato dall'amministratore delegato della compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti, Sultan al-Jaber, che funge anche da presidente dei negoziati sul clima della Cop28.

Inoltre, la coalizione esorta tutte le nazioni ad adottare impegni significativi e ambiziosi alla Conferenza Onu, a partire da un'assunzione di responsabilità da parte dei Paesi più ricchi per le loro emissioni storiche, in linea con le loro responsabilità comuni ma differenziate e le rispettive capacità, e secondo principi di equità.

La Cop28 deve produrre un impegno globale per eliminare gradualmente tutti i combustibili fossili e i sussidi che ancora li sostengono, alla velocità necessaria per mantenere l'aumento della temperatura media globale al di sotto di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.

Simona Fabiani è responsabile Politiche per clima, territorio, ambiente e giusta transizione della Cgil

Data articolo: Thu, 14 Sep 2023 12:44:00 GMT
News n. 3
L'Africa vuole fare la rivoluzione verde

Dal 4 al 6 settembre si sono tenuti a Nairobi, in Kenya, l'Africa climate week 2023 e l'African climate summit, due vertici che hanno avuto l'obiettivo dichiarato di trovare una posizione unitaria del continente in vista della Cop28 di Dubai, con particolare attenzione al tema dei finanziamenti e allo sviluppo di una dichiarazione congiunta per una transizione energetica in chiave sostenibile. Le aspettative erano anche puntate sugli annunciati investimenti per la transizione verde in Africa.

Impegni disattesi

Ricordiamo che resta ancora disatteso l'impegno assunto nel 2009 da parte dei Paesi ricchi, di contribuire con 100 miliardi di dollari l'anno in finanziamenti per il clima nelle economie in via di sviluppo. Cifra fra l'altro irrisoria rispetto a quanto necessario per eliminare i combustibili fossili, proteggere le popolazioni dai disastri climatici e coprire danni e perdite.

Il continente, che ospita quasi 1,3 miliardi di persone, è responsabile di meno del 4 per cento delle emissioni globali di Co2 e di meno dell'1 per cento delle emissioni storiche cumulative. In termini pro-capite le emissioni medie di chi vive in Africa sono di 1 tonnellata di Co2, con molti dei Paesi più poveri dell'area subsahariana come la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia e la Repubblica Centroafricana che hanno emissioni pro-capite di solo 0,1 tonnellata all'anno, a fronte delle 10,3 del Nord America, delle 10 dell'Oceania e delle 7,1 dell'Europa.

Miraggio rinnovabili

I Paesi africani sono fra i più afflitti dalle conseguenze del cambiamento climatico: inondazioni, siccità, carestie. "L'energia rinnovabile potrebbe essere il miracolo africano" ha dichiarato Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ma per loro è difficile affrontare la transizione energetica anche perché i bilanci sono sostenuti dalle esportazioni di gas e petrolio e la trappola del debito li “costringe” a impegnarsi in progetti fossili per rimborsare i prestiti del Fondo monetario internazionale, degli Stati del Nord e degli investitori privati. 

Ingerenze coloniali

Il vertice è stata un'opportunità per un nuovo corso per il continente, per garantire un futuro più sicuro e prospero per la popolazione, i suoi sistemi alimentari, le risorse idriche e la biodiversità. Prima dell'inizio dei lavori la società civile organizzata nel “Real African Climat Summit 2023” ha però denunciato l'ingerenza dei governi occidentali (Germania, Francia, Ue) e di società di consulenze e organizzazioni filantropiche (come la Bill &Melinda Gates Foundation) che hanno l'obiettivo di dirottare l'agenda del summit sugli interessi occidentali.

Ci riferiamo ai mercati del carbonio e al sequestro della Co2, legati alla capacità di assorbimento del carbonio delle foreste e della natura del continente, ma anche per il potenziale sviluppo delle energie rinnovabili e della ricerca di minerali, in un'ottica colonialista, a scapito dei bisogni del popolo e della terra africani.

Alleanza per chi?

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha offerto un'alleanza fra Europa e Africa in vista della prossima Cop28, per proporre una tariffazione globale del carbonio come soluzione per sbloccare enormi risorse per l'azione climatica in Africa. È un'idea vecchia, valida per non intaccare il business as usual e consentire alle lobby delle fonti fossili, spesso compagnie occidentali che operano in Africa e nel Sud del mondo, di continuare a esplorare e sfruttare vecchi e nuovi giacimenti di gas e petrolio pagando un piccolo prezzo per l'acquisto di crediti di carbonio. D'altra parte nei mesi scorsi molti Paesi europei, fra cui anche l'Italia, hanno firmato accordi per sostituire il gas russo con il gas africano.

La giusta direzione

La scienza ci indica una strada completamente diversa: le fonti fossili devono essere lasciate sottoterra se vogliamo avere una qualche possibilità di contenere l'incremento della temperatura entro 1,5°C. L'Europa, che ha responsabilità, condizioni economiche e tecnologie per farlo, deve affrontare la crisi climatica riducendo drasticamente le emissioni di gas climalteranti nei prossimi sei anni e mezzo e sostenere i Paesi in via di sviluppo con trasferimenti finanziari e tecnologici in un'ottica di cooperazione, senza mire imperialiste, coloniali e di sfruttamento. E questo vale anche per il nostro Paese che si appresta a presentare a novembre il piano Mattei.

Impegni finali

Il summit si è concluso con una dichiarazione finale che contiene alcuni passaggi positivi, come il proposito di focalizzare i piani di sviluppo dei Paesi africani e la creazione di occupazione sull'espansione di una giusta transizione, la produzione di energia da fonti rinnovabili per le attività industriali, pratiche agricole rigenerative e attente al clima, la protezione della natura e della biodiversità e il proposito di spostare in Africa la lavorazione delle materie prime del continente.

Questo è un aspetto importante considerato che ingenti riserve globali di cobalto, manganese e platino, fondamentali per le batterie e le celle a combustibile a idrogeno, si trovano in Africa.  Resta da vedere quanti di questi propositi verranno realizzati. La dichiarazione prosegue con intenti condivisi fra i 54 Paesi, che se non saranno fatti propri dal resto del mondo rimarranno lettera morta: il rispetto degli impegni finanziari per il sostegno all'azione climatica da parte dei Paesi più ricchi, una revisione del sistema finanziario multilaterale e del debito, l'operatività sul loss and damage, l'adozione di impegni globali e misurabili per l'adattamento.  

Risorse insufficienti

Durante il vertice sono stati annunciati impegni per 23 miliardi di dollari di investimenti per la crescita verde, la mitigazione e l'adattamento in tutta l'Africa, da parte di governi (4,5 miliardi dagli Emirati Arabi Uniti), settore privato, banche multilaterali e filantropi. Risorse importanti, inferiori a quelle previste alla vigilia del vertice e assolutamente insufficienti.

Significativi i contenuti della “People declaration” del Real climate summit che ha riunito rappresentanti dei movimenti sociali e della società civile, sindacati, donne, popolazioni indigene, giovani, persone con disabilità, media, gruppi religiosi. La dichiarazione finale richiama alla necessità di un radicale cambiamento dell'attuale sistema che antepone gli interessi delle élite al benessere delle persone e sfrutta la natura per il profitto. Richiama alle responsabilità storiche delle nazioni ricche e al potere che devono avere le persone e le comunità nel determinare le scelte future, all'equità, alla giustizia, all'uguaglianza, alla tutela dei diritti umani.

Con questi summit si intensificano le tappe di avvicinamento alla Cop 28 che si svolgerà a Dubai a fine novembre. La Cgil come sempre sarà impegnata in questo percorso, sia nel contesto nazionale che internazionale, con le proprie rivendicazioni, nelle mobilitazioni e con la partecipazione ai momenti istituzionali. 

Simona Fabiani è responsabile Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil

Data articolo: Thu, 07 Sep 2023 12:39:37 GMT
News n. 4
Quanto consuma l'intelligenza artificiale?

La possibile causa intentata dal New York Times a OpenAI per la violazione del copyright da parte di ChatGPT ha riportato all'attenzione le contraddizioni dell'utilizzo di meccanismi di intelligenza artificiale. Tra queste quello meno esplorato è l'impatto energetico e l'impronta ambientale che l'utilizzo di queste tecnologie comporta.

Quali sono gli elementi da considerare per valutare questi parametri? Di certo l'energia utilizzata per far funzionare il sistema, strettamente connessa alla potenza dell'hardware e poi la quantità di energia utilizzata per “educare” l'algoritmo e quella per alimentare i data center.

Lo sviluppo dell'intelligenza artificiale generativa (AI), quella che è alla base di chatbot come ChatGPT, ossia strumenti in grado di produrre testi o, nelle versioni più evolute, persino opere d'arte, video o musica originali a partire da un testo, necessita di una grande potenza di calcolo. Bisogna tenere conto che la cosiddetta IA generativa utilizza delle architetture che sono basate su reti neurali (modelli matematici composti da neuroni artificiali che si comportano come il cervello umano), dunque prevede milioni di parametri che devono essere addestrati.

Ed è proprio nella fase di addestramento che il consumo di energia è massimo. All'algoritmo devono essere forniti milioni di esempi perché possa imparare e l'utilizzo di grandi numeri di Gpu (unità di elaborazione grafica) richiede un consumo energetico rilevante.Tutto questo rende l'impatto energetico molto forte.

Del resto è noto che l'industria ITC, già negli anni scorsi, ha generato emissioni di carbonio pari a quelle del sistema di aviazione. E tutti sappiamo che l'utilizzo di acqua per raffreddare i data center (secondo uno studio di Nature Google ha utilizzato 15,8 miliardi di litri nel 2021e Microsoft ha dichiarato l'utilizzo di 3,6 miliardi di litri) così come la necessità di metalli rari per costruire i componenti di hardware rendono le nuove tecnologie ad alto impatto ambientale.

Secondo alcune ricerche pare che i data center cinesi siano alimentati per il 73% da elettricità generata dal carbone, il che rende evidente che anche la fonte energetica ha un peso sostanziale sull'impronta ecologica complessiva della tecnologia digitale. L'università del Colorado Riverside e dell'università del Texas di Arlington hanno poi calcolato che l'addestramento di ChatGPT-3 ha consumato 700.000 litri di acqua dolce solo per il raffreddamento del data center. Per avere una idea almeno approssimativa dell'impatto che ciascuno di noi può comportare utilizzando nuove tecnologie è bene sapere che, da quanto si calcola, scambiando solo 20 messaggi con ChatGPT, si consuma mezzo litro di acqua.

Se pensiamo che l'intelligenza artificiale è diventata gradualmente più integrata nelle nostre attività (pensiamo ad  Alexa o Siri o alla navigazione con Google Maps, alla domotica e all'internet delle cose) e sempre più lo sarà e che un sempre maggior numero di aziende utilizza sistemi di intelligenza artificiale, poter misurare l'impatto ambientale di questi meccanismi diventa fondamentale.

Nessuno mette in discussione i vantaggi che le applicazioni di IA possono portare. Sappiamo ad esempio che l'applicazione di meccanismi di IA nel settore petrolifero e del gas è utile per monitorare e migliorare la sicurezza ma anche per aumentare le prestazioni operative e per fornire modelli predittivi. Di sicuro l'uso dell'IA potrebbe migliorare significativamente la gestione delle catene di approvvigionamento.

La trasformazione della rete elettrica in smart grid, distribuite uniformemente a tutti i livelli della filiera elettrica, con i sistemi di IA che permettono di ottimizzare anche i consumi finali degli utenti addestrando la rete e permettendole di interagire con il sistema di produzione in un continuo interscambio di dati, sarà un passo avanti determinante per ottimizzare produzione, distribuzione e consumo di energia

Allo stesso modo la gestione con meccanismi di IA degli impianti di distribuzione dell'acqua per ridurre le perdite e prevenire le rotture è elemento di grande importanza anche dal punto di vista ambientale.

Ma la tecnologia è di per sè stessa fonte di contraddizioni per cui il rischio che si corre è che l'uso dell'IA, come abbiamo detto, sia di sicuro estremamente positivo ma che non si valuti correttamente il fabbisogno energetico di queste tecnologie e la loro impronta ecologica.

Ad oggi non esistono studi completi ed esaustivi sull'impatto ambientale e il consumo energetico dell'IA, in larga parte per la scarsa trasparenza delle aziende nell'indicare i processi e la complessità dei modelli utilizzati, in modo da poter effettuare una valutazione corretta.

Secondo uno studio di Sasha Luccioni (https://arstechnica.com/gadgets/2023/04/generative-ai-is-cool-but-lets-not-forget-its-human-and-environmental-costs/) la complessità di un LLM (un algoritmo deep learning in grado di riconoscere contenuti, di generarli, tradurli e anche prevederli) è determinata dai parametri, cioè dalle connessioni che gli consentono di imparare.

Più sono i parametri maggiore è l'efficacia. Ma quanti sono i parametri utilizzati, ad esempio, per ChatGPT ultima versione? La non trasparenza dei dati impedisce una corretta valutazione. Dunque, mentre in Europa si legifera con l'IA Act, regolamentando l'utilizzo dell'intelligenza artificiale, sarebbe parimenti opportuno, anche ai fini della contrattazione dei nuovi modelli produttivi, che se ne valutasse la sostenibilità ambientale imponendo trasparenza a produttori e utilizzatori, in modo da consentire scelte ragionate e applicazioni che, pur efficientando filiere e consumi, non comportino un saldo finale negativo.

Cinzia Maiolini è segretaria nazionale Filctem Cgil

Data articolo: Sun, 03 Sep 2023 06:04:00 GMT
News n. 5
Auto elettrica, una questione di classe

L'automobile elettrica, genere non proprio a buon mercato, rischia di diventare un lusso per pochi. Un ulteriore elemento di disuguaglianza in un mondo sempre più diviso tra chi può spendere e chi non può. Un lusso che però, nella cosiddetta transizione verde e in piena emergenza ambientale, nessuno può permettersi. Un lusso illogico. Se il mondo si dividerà tra chi circola su veicoli elettrici da 30-40 mila euro, e chi deve accontentarsi di mezzi a carburante e, alla fine, resta proprio a piedi, con zone urbane off limits, divieti di circolazione e trasporti pubblici inadeguati (vedi alcune aree metropolitane italiane, ad esempio), sarà una sconfitta per tutti.

Lo studio Etui

Sul tema è tornato di recente, in un approfondimento (Sulla strada per l'elettromobilità: un futuro più verde ma più disuguale?), l'Etui, l'istituto di ricerca del sindacato europeo, richiamando l'attenzione su due questioni allarmanti. Da un lato il destino non proprio chiaro della forza lavoro europea impiegata nell'automotive. Quei circa 14 milioni di lavoratrici e lavoratori da tutelare nella transizione industriale verso la mobilità elettrica. Dall'altro lato la necessità che le fabbriche europee si mettano a produrre anche auto entry level, ossia più piccole ed economiche, alla portata di tutte le tasche, mentre ora spingono solo su segmenti di fascia alta e sui mostruosi Suv. 

L'Etui parla di “rischi occupazionali e crescenti disuguaglianze, se i produttori europei continueranno ad abbandonare i segmenti di mercato inferiori dei veicoli elettrici lasciandoli ai concorrenti stranieri”. Le case automobilistiche puntano su auto di grandi dimensioni alla ricerca del profitto, e la strategia delle varie Volkswagen, Stellantis e Bmw non sembra cambiare nemmeno con le auto elettriche. 

Solo auto per ricchi?

Si tratta - ammoniscono i ricercatori dell'Etui - di un “continuo spostamento verso l'alto” che, anche “a causa degli scarsi investimenti nel trasporto pubblico e in soluzioni di trasporto integrate”, fa aumentare il pericolo di una “mobilità di classe”. O, detta in altri termini, di una mobilità per ricchi.

Per l'istituto di ricerca sindacale si deve correre ai ripari, e lo si deve fare garantendo che le auto europee di piccole dimensioni non spariscano. Gli incentivi per la costruzione di veicoli elettrici dovrebbero essere erogati sulla base di politiche industriali che tengano conto di questa priorità – si legge nello studio –, dovrebbero quindi “sostenere i modelli entry level made in Europe”. L'Ue, insomma, deve regolamentare questo mercato, altrimenti la maggior parte dei ricavi delle utilitarie vendute in Europa sarà generata in Cina

Il dominio cinese

“Il mancato aumento della fornitura di veicoli elettrici a batteria in Europa – prosegue l'Etui – potrebbe quindi comportare che i produttori stranieri offrano modelli a prezzi accessibili e conquistino un'ampia quota del mercato di massa in Europa. E con il mercato di massa arriva l'occupazione di massa”. 

La Cina, in effetti, è diventata rapidamente il leader globale nel settore dell'auto elettrica, sia per le vetture prodotte che per i veicoli in uso. Ed è dominante anche quanto a produzione e sviluppo di batterie elettriche. Un'altra area in cui l'Europa rischia di essere emarginata, se prendiamo con la dovuta attenzione una delle ultime notizie al riguardo, ossia l'accordo tra la Gotion High-Tech (multinazionale a guida cinese) e il governo marocchino per la costruzione di una gigafactory di batterie in Nordafrica, che creerà secondo le stime 25 mila posti di lavoro.

L'occupazione europea da difendere

Parlando di occupazione – osserva il ricercatore Etui Bela Galgóczi nell'introduzione allo studio –, “nessuno dei 14 milioni di posti di lavoro nel settore rimarrà intatto. Milioni di posti di lavoro scompariranno, mentre se ne stanno creando altri seppur con del tutto nuovi profili professionali e requisiti di competenze”. Ma per l'analista i rischi occupazionali aumenteranno se le case auto europee continueranno a snobbare i segmenti di mercato inferiori, lasciandoli ai cosiddetti disruptor, appunto ai nuovi marchi cinesi che stanno entrando nel mercato auto con le vetture elettriche.

Regolamentare le batterie

L'Etui ci avverte anche che la fissazione dei brand europei sui veicoli elettrici di fascia alta “non solo solleva interrogativi di giustizia sociale ma, rallentando il cambio di flotta, sta anche mettendo a dura prova il raggiungimento degli obiettivi per la tutela dal cambiamento climatico”. Produrre e vendere un Suv elettrico, infatti, comporta “una maggiore impronta di carbonio per le batterie più pesanti, ma anche un più alto livello di estrazione di minerali”. La formula è semplice: “Più pesante è l'auto, più pesante (e costosa) la batteria”, conclude Galgóczi. Anche su questo piano, una seria regolamentazione europea potrebbe essere utile.

Data articolo: Mon, 21 Aug 2023 04:45:00 GMT
News n. 6
In Italia la decarbonizzazione può attendere

Ci siamo da poco lasciati alle spalle quello che è passato alla storia come il luglio più caldo di sempre a livello globale. Il sesto rapporto sul Clima dell'Ipcc poi ha mandato un messaggio altrettanto chiaro: le temperature sono già superiori di 1,1° C rispetto ai livelli preindustriali, se vogliamo evitare le peggiori devastazioni legate al superamento della soglia limite di 1,5° C dobbiamo agire ora e tagliare velocemente le emissioni.

È questo lo scenario a cui cerca di rispondere il pacchetto europeo Fit for 55, di cui l'edilizia e la revisione della Direttiva sulla prestazione energetica degli edifici (EPBD) sono uno dei pilastri. Secondo le stime dell'Ue, infatti, gli edifici sono responsabili del 40% del consumo finale dell'energia e di circa il 36% delle emissioni. Rendere case e uffici più efficienti ci consentirà di ridurre il consumo e le importazioni di gas, le bollette e le emissioni degli edifici. Inoltre intervenire sugli edifici esistenti per renderli più efficienti ci porterà in dote - e ne abbiamo avuto prova con il superbonus e gli altri bonus edilizi - anche un aumento dell'occupazione nell'edilizia senza consumare nuovo suolo.

Ma esattamente qual è il potenziale dell'efficientamento in edilizia? Quanto si potrebbe risparmiare in termini di emissioni e guadagnare in risparmio di materie prime? A queste domande risponde il primo Impact Report dell'edilizia sostenibile certificata nel Paese firmato dal Green Building Council Italia. Un rapporto da cui emerge che lo stock di edifici certificati Leed-Gbc al 2023 è in grado di generare un risparmio annuo di 170.031 tonnellate di Co2 e di 1,3 miliardi di litri d'acqua, equivalenti a un controvalore economico di 68 milioni di euro. Inoltre la costruzione e ristrutturazione di edifici certificati ‘green' ha permesso il risparmio di 324.880 tonnellate di rifiuti. E le prospettive per il futuro sono ancora più importanti: secondo lo studio gli edifici certificati tra il 2023 e il 2030 potranno generare un risparmio annuo di 474.672 tonnellate di CO2 e di 3,6 miliardi di litri d'acqua, evitando così al Paese 189 milioni di euro di esternalità negative ogni anno. Inoltre, grazie alle buone pratiche adottate nella loro realizzazione e rigenerazione, questi immobili porteranno a una riduzione nella produzione di rifiuti di ben 603.562 tonnellate. Abbattimento delle emissioni e creazione di nuovi posti di lavoro. È questo il binomio vincente con cui affrontare la sfida della transizione ecologica.

Tornando alla cosiddetta direttiva ‘case green', il testo adottato a metà marzo dal Parlamento europeo - che su quella base tratterà nel trilogo negoziale con gli altri due co-legislatori europei per arrivare alla versione definitiva della normativa - prevede che la classe di efficienza energetica G dovrà corrispondere al 15% degli edifici con le prestazioni energetiche peggiori in ogni Stato membro. E su questi edifici energivori si dovrà agire prioritariamente. Per l'Italia si tratta di circa 1,8 milioni di edifici residenziali. Rispetto alla proposta iniziale della Commissione europea, il testo dell'Europarlamento prevede target di efficienza più alti: gli edifici residenziali esistenti dovranno raggiungere la classe E entro il 2030 e la classe D entro il 2033, per quelli non residenziali e pubblici le stesse scadenze sono anticipate di tre anni. I nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero dal 2028, ma per i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà delle autorità pubbliche la scadenza è anticipata al 2026. Tutti i nuovi edifici per cui sarà tecnicamente ed economicamente possibile dovranno dotarsi di tecnologie solari entro il 2028, mentre per gli edifici residenziali sottoposti a ristrutturazioni importanti la data limite è il 2032.

Ma gli Stati avranno a disposizione molti strumenti di flessibilità e potranno esentare dai nuovi standard fino al 22% degli immobili. E si potranno rivedere gli standard minimi di prestazione degli edifici residenziali per ragioni di fattibilità economica e tecnica. I Paesi Ue stabiliranno le misure necessarie per raggiungere questi obiettivi nei rispettivi piani nazionali di ristrutturazione, che dovranno comprendere anche regimi di sostegno per facilitare l'accesso alle sovvenzioni e ai finanziamenti, in particolare per le famiglie vulnerabili. Ci sarà, infatti, un Fondo ad hoc per le ristrutturazioni edilizie in chiave energetica alimentato dal bilancio europeo, dalla Banca europea per gli investimenti e dagli Stati membri.

“È insomma una direttiva strategica anche per la visione complessiva e di sistema che esprime (approccio integrato al quartiere), per gli obiettivi di efficienza energetica, salubrità degli ambienti, predisposizione al digitale e alla auto produzione e consumo che indica, e per gli strumenti che individua (a partire dai Piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, strumenti finanziari di intervento diretto e indiretto, fino al Passaporto dell'immobile e alla centralità della qualificazione dei lavoratori)”. Così la Fillea Cgil nel suo recente e prezioso Manifesto per la Rigenerazione Urbana. 

Purtroppo anche su questa direttiva il governo italiano ha assunto una posizione di retroguardia. In pratica il nostro esecutivo pensa di tutelare gli interessi dei proprietari remando contro e con una miopia che non ha eguali, proprio mentre l'Ue puntava sull'efficienza, ha di fatto stroncato il Superbonus. 

Sulla carta il governo Meloni non mette in dubbio la necessità della transizione ecologica e del graduale taglio delle emissioni. Ma è alle specificità italiane e alla velocità di questa trasformazione che si appella per frenare di fatto la necessaria decarbonizzazione. Lo ha spiegato “benissimo” il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin: “noi abbiamo la micro-proprietà, e le famiglie risparmiamo con gli immobili – ha dichiarato a una trasmissione radiofonica - bisognerebbe valutare una gradualità diversa”. Che tradotto suona più o meno così: la decarbonizzazione, con il suo portato di lavoro di qualità, innovazione, efficienza e benessere, può attendere. Purtroppo è drammaticamente falso e pericoloso. Il recente Piano Energia e Clima finalmente trasmesso a Bruxelles certifica l'ottusità conservatrice che guida l'Esecutivo.

Rossella Muroni è Presidente Nuove Ri-Generazioni. L'articolo è stato pubblicato su Sindacato Nuovo del 31 luglio 2023

Data articolo: Wed, 16 Aug 2023 04:45:00 GMT
News n. 7
Inutile negare, la crisi climatica c'è

Qualche giorno fa una lettera firmata da cento scienziati sollecitava i giornalisti italiani a parlare di cambiamento climatico, e non di maltempo. Di parlarne basandosi su notizie scientifiche verificate, di informare sulle cause della crisi climatica e sulle sue soluzioni.

Gli scienziati ci ricordano con fermezza che le ondate di calore hanno causato 18 mila morti premature nel nostro Paese la scorsa estate e che gli impatti del cambiamento climatico nei nostri territori si stanno intensificando, ma ci rammentano anche che la crisi climatica ha precise cause determinate dalle attività umane, che la principale è l'utilizzo delle fonti fossili, ma anche la deforestazione, gli allevamenti intensivi, e così via, e che esistono soluzioni tecnologicamente ed economicamente attuabili, prima fra tutte la decarbonizzazione dell'economia.

Qualche giorno fa ha parlato di crisi climatica, conseguenze e azioni anche il nuovo presidente dell'Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell'Onu, Jim Skea: “Il mondo non finirà se diventerà più caldo di 1,5 gradi. Tuttavia, sarà un mondo più pericoloso. I Paesi dovranno lottare con enormi problemi e ci saranno molte tensioni sociali”.

E ancora: “Possiamo ancora intraprendere azioni per evitare alcune delle peggiori conseguenze del cambiamento climatico, questo dev'essere chiaro. La sensazione di essere paralizzati di fronte a una minaccia letale non ci aiuterà, è importante passare rapidamente all'azione”. Parole che il quotidiano La Verità ha semplicisticamente riassunto in questo modo: “Anche il nuovo capo dell'Ipcc frena: il mondo non sta per finire…”.

Il vizio di troppi giornalisti del nostro Paese di separare gli effetti drammatici del cambiamento climatico dalle cause che lo determinano e dalle azioni necessarie per contrastarlo fa il gioco di tutta quella politica, non solo di governo, che protegge gli interessi delle lobby del fossile invece di tutelare la popolazione, che si affanna a esprimere solidarietà alle comunità colpite da alluvioni, grandine, siccità e incendi, invece di investire in prevenzione, mentre continua a promuovere nuovi rigassificatori, oleodotti e gasdotti, centrali a gas e Ccs.

Questo colpevole negazionismo è il marchio del governo Meloni, rappresentato bene dal comportamento del ministro dell'Ambiente che si “commuove” per le parole della ragazza che ha paura per il futuro, ma si sente perfettamente a suo agio quando nel governo propongono di fare dell'Italia un hub del gas, di posticipare il phase out dal carbone, di continuare a pagare oltre 22,4 miliardi di euro all'anno per i sussidi ambientalmente dannosi, di cui 13,8 per il sostegno alle fonti fossili, di tagliare gli investimenti per l'eolico off shore e per il rischio idrogeologico. È una vergognosa follia!

Dobbiamo agire subito e con radicalità. Il primo dovere di una giusta transizione è proprio quello di accelerare i tempi per evitare le conseguenze più drammatiche della crisi climatica e sociale. È necessario bloccare tutti i finanziamenti alle fonti fossili e investire nell'adattamento, nella prevenzione, nel ripristino degli ecosistemi e nella tutela della biodiversità, per una piena e buona occupazione.

Bisogna ripensare il sistema economico, tenendo conto dei limiti del Pianeta e della necessità di garantire giustizia sociale, equità di genere, generazionale, razziale e territoriale. Per la decarbonizzazione esistono già in tutti i settori le tecnologie che possono almeno dimezzare le emissioni entro il 2030, gli investimenti nella transizione sono ancora troppo pochi ma esiste la disponibilità di capitale necessaria per recuperare il divario: è sufficiente spostare gli investimenti dalle fonti fossili alle nuove tecnologie sostenibili.

I costi dell'inazione sono più alti di quelli dell'azione e non tengono conto delle vittime. L'occupazione che si crea nella transizione ecologica è molto superiore a quella che andrà perduta nei settori delle fossili, altamente inquinanti. La transizione energetica, verso un modello decentrato e democratico basato su risparmio, efficienza e rinnovabili, garantisce autonomia, riduzione e stabilità dei costi, competitività.

La transizione ecologica è un investimento per un presente e un futuro migliori. È una partita che si gioca anche in questi giorni con le scelte che verranno fatte nel Pniec, Piano nazionale integrato per l'energia e il clima, nella revisione del Pnrr e nei progetti da finanziare con il RepowerEU. È una lotta che porteremo avanti con determinazione.       

Simona Fabiani è responsabile Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil

Data articolo: Wed, 16 Aug 2023 04:45:00 GMT
News n. 8
Luglio bollente, conseguenze spaventose

La scienza non mente. Non è faziosa, non parteggia, ma teorizza e cerca prove. E spesso trova conferme. Come nel caso delle ultime misurazioni del sistema Copernicus, un programma della Commissione europea che monitora a 360 gradi tutto quello che succede sul Pianeta, terra, mari, acqua, aria, e così via. Ebbene, Copernicus Climate Change ha rilevato che la temperatura di luglio è stata la più alta mai registrata a livello globale nella storia dell'umanità.  

Record spaventosi

"Record come questi hanno conseguenze spaventose sia per le persone che per il Pianeta, esposto a eventi estremi sempre più frequenti e intensi – ha detto Samantha Burgess, vicedirettrice del servizio di osservazione della Terra -: è urgente ridurre le emissioni globali di gas serra”.

Secondo le stime, luglio 2023 è stato più caldo di 0,72°C rispetto alla media del periodo compreso tra il 1991 e 2020 e di 0,33°C rispetto al precedente mese più caldo, il luglio 2019. Il problema non riguarda solo l'aria. “Per l'intero mese – spiega il bollettino di Copernicus -, la temperatura media globale della superficie marina è stata di 0,51°C superiore alla media registrata tra il 1991 e il 2020”. Nel golfo di Taranto e in alcune aree del Mediterraneo si sono toccati i 30°.

Ci dobbiamo preoccupare

Ma che cosa significano questi record? “Che ci dobbiamo preoccupare – afferma Gianmaria Sannino, climatologo dell'Enea -. Qui non è il meteo che non riconosciamo più, come potrebbe accadere se ci fossero una o due giornate bollenti, ma un intero mese sull'intero Pianeta che è stato il più caldo di sempre. Vuol dire che sta cambiamento qualcosa a livello più profondo, e cioè il clima. Ma questo a noi climatologi non ci sorprende. Sono anni che lo vediamo, lo raccontiamo e diciamo che bisogna correre ai ripari”.  

1° in più, un'energia immensa

Gli scienziati ci spiegano che una temperatura più alta di 1° sulla Terra significa avere un sistema climatico con molta più energia. Un grado per noi può sembrare una piccola variazione, ma per il Pianeta rappresenta una quantità di energia immensa. “Ogni grado in più è l'equivalente di cinque bombe atomiche (virtuali) fatte esplodere ogni secondo per dieci anni – aggiunge Sannino -. Ecco, questa è la quantità di energia in più che questo grado ha prodotto. È la quantità di energia che abbiamo prodotto con l'immissione di anidride carbonica in atmosfera, dopando l'effetto serra. Potete immaginare le conseguenze?”.

Siamo solo all'inizio

In pratica stiamo modificando il contenuto dell'energia a disposizione del sistema climatico, che comincia a destabilizzare la circolazione dell'atmosfera. “E siamo solo all'inizio – prosegue Sannino - di una storia che potrebbe portarci a un territorio climatico molto differente da quello che abbiamo vissuto negli ultimi trenta anni, diverso da quello che stiamo vivendo adesso”.

Tutti gli studi scientifici (a dispetto dei negazionisti e degli scettici più o meno intenzionali) ci dicono che se continuiamo a questi ritmi, se non facciamo niente, non riduciamo le emissioni di gas serra, se non mitighiamo, la temperatura globale del Pianeta si innalzerà oltre i 3°. “E se quello a cui stiamo assistendo adesso è figlio di 1°, figuriamoci che cosa può succedere quando arriveremo a 3° in più – dice il climatologo -. Anche perché il cambiamento climatico non risponde in maniera lineare, ci saranno effetti a catena e a cascata: dalla fusione dei ghiacci delle Alpi, della Groenlandia, dell'Antartide, all'innalzamento del livello dei mari, a una circolazione generale differente degli oceani, i veri regolatori del clima mondiale".

Campanelli di allarme

I campanelli di allarme ci sono e sono tanti, le spie rosse si stanno accendendo da tempo. Il problema, ci dice la scienza, non è il Pianeta, che prima o poi si adatterà a un clima differente, con i suoi tempi e i suoi modi. Chi avrà difficoltà saremo noi. Ci troviamo in un'atmosfera che nessun altro essere vivente discendente dall'uomo ha mai vissuto prima. Saremo in grado anche noi di adattarci?

“Chi si occupa di clima non ha dubbi sull'origine antropica del cambiamento climatico e sugli scenari futuri – conclude Gianmaria Sannino dell'Enea -. I dati che vengono monitorati continuano a dare ragione a chi quindici anni fa diceva che stiamo andando verso un Pianeta sempre più caldo e con eventi estremi sempre più frequenti. Noi adulti sappiamo dove stiamo andando. Allora la domanda è questa: possiamo ascoltare la scienza e da bravi genitori mettere in sicurezza i nostri figli, non un'ipotetica generazione futura, ma proprio i nostri figli, chi alla fine del secolo avrà 50, 60, 70 anni. Oppure restare alla finestra e ogni anno prendere atto del cambiamento e non fare nulla. Che tipo di genitori vogliamo essere?”.

Data articolo: Wed, 16 Aug 2023 04:45:00 GMT
News n. 9
La ricetta del governo: meno rinnovabili e più fossili

Tagli, tagli e ancora tagli. La revisione del Pnrr presentata dal governo alla Commissione europea, in cui si riscrivono 144 misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per il capitolo ambiente definanzia anziché potenziare le risorse per la decarbonizzazione, toglie invece di implementare la progettualità per la transizione ecologica, diminuisce anziché aumentare l'impegno per raggiungere gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile.

Nonostante le rassicurazioni che il ministro Fitto si è premurato di dare a Regioni, Comuni, Città metropolitane e Province, turbati dalle incertezze create dai suoi annunci, confermando l'innocuità della partita di giro dei fondi da lui prospettata, le sottrazioni ci sono, eccome.

Azzerato l'eolico offshore

“Tanto per cominciare, per quanto attiene alla Missione 2 le modifiche più rilevanti riguardano il definanziamento delle misure che hanno lo scopo di introdurre produzione di energia rinnovabile da fonti più innovative (capitolo M2C2)", dichiara Simona Fabiani, responsabile Cgil nazionale Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione: "675 milioni di euro tolti agli impianti innovativi, inclusi l'eolico offshore (in mare aperto, ndr). Il motivo? L'incompatibilità dell'iter autorizzativo con i tempi di realizzazione del Piano. Eppure sono già presenti circa 70 progetti per la realizzazione di impianti di eolico offshore”.

Poi c'è l'impiego dell'idrogeno nei siti industriali cosiddetti hard to abate, cioè dove è difficile abbattere le emissioni di Co2 nell'atmosfera, in questo caso nella produzione dell'acciaio: il finanziamento viene ridotto di 1 miliardo, con l'impegno molto generico di proseguire il progetto con altre risorse nazionali, senza specificare quali sono. Per ora di sicuro c'è il taglio.

Rigenerazione dove sei?

Altri capitoli fortemente penalizzati sono quelli dei progetti di rigenerazione urbana, i piani urbani integrati, gli interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio, l'efficienza energetica dei Comuni. Per questa ultima voce, 6 miliardi di euro distribuiti per l'efficientamento energetico, la messa in sicurezza anche antisismica del territorio e degli edifici, il miglioramento dei sistemi di illuminazione pubblica.

“Stiamo parlando di ben 39.900 piccoli e 7.200 medi lavori pubblici, di cui i primi mille andavano completati entro dicembre di quest'anno e gli altri per marzo 2026", prosegue Fabiani: "Anche in questo caso viene segnalata la possibilità di ricorrere a fonti di finanziamento nazionali, e anche in questo caso le fonti non sono indicate. Quindi, l'unica cosa certa a oggi è il taglio”. Le criticità che vengono indicate riguardano tra l'altro la fase attuativa, a dimostrazione del fatto che si tratta d'interventi già finanziati e cantierizzati, con appalti aggiudicati e progettazione in corso.

Alluvione, come se niente fosse successo

La revisione del Pnrr presentata dall'esecutivo propone anche il definanziamento dell'investimento sulle misure per la riduzione e la gestione del rischio di alluvione, nonostante che la Commissione europea abbia espressamente richiamato il nostro Paese nelle sue raccomandazioni ad agire per combattere il dissesto idrogeologico, anche in riferimento alle alluvioni devastanti di maggio scorso. Rimodulazioni sono previste inoltre per gli investimenti per il trasporto rapido di massa, per il supporto alla filiera dei bus elettrici, alle infrastrutture per la mobilità sostenibile.  

Capitolo Repower Eu

“Come se non bastasse, oltre ai tagli alle rinnovabili e all'efficientamento contenuti nella rimodulazione del Piano – conclude Fabiani -, le nuove misure proposte per il RepowerEu (il piano europeo per risparmiare, produrre energia pulita e diversificare il nostro approvvigionamento, ndr) puntano anche a nuove infrastrutture per il gas. In pratica, anziché dare un'accelerata alla decarbonizzazione e alla transizione ecologica in tutti i settori economici, anziché spingere sul risparmio e l'efficienza, investire sulla prevenzione, l'adattamento al cambiamento climatico, la tutela degli ecosistemi, stiamo andando nella direzione opposta”.  

Questo governo, quindi, è ancora ostinatamente e fortemente orientato verso le fossili e non verso le energie alternative. Un'ulteriore dimostrazione? Mentre mancano il decreto per l'individuazione delle aree idonee per le rinnovabili e quello attuativo sulle comunità energetiche, è stato varato il decreto per i rigassificatori, che prevede tutte infrastrutture e le opere ritenute di interesse strategico. La priorità data alle fonti che inquinano non è un'opinione, ma un dato di fatto.

Data articolo: Thu, 10 Aug 2023 04:45:00 GMT
News n. 10
Vita, lavoro, ambiente: come cambiano le città

 

 

Data articolo: Thu, 06 Jul 2023 10:00:00 GMT
News n. 11
Inquinamento da plastica, l'accordo necessario

I primi di marzo 2022 in Senegal la quinta sessione dell'Assemblea delle Nazioni Unite per l'ambiente ha adottato una risoluzione (la 5/14) con l'obiettivo di sviluppare, entro il 2024, uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sull'inquinamento da plastica, anche nell'ambiente marino, denominato Inc-2. Dal 29 maggio al 2 giugno a Parigi si svolge la seconda sessione del comitato intergovernativo di negoziazione per sviluppare questo strumento.

Problema globale

Inc-2 dovrà avere un approccio globale per affrontare l'intero ciclo di vita della plastica. I livelli in rapido aumento di inquinamento da plastica rappresentano un grave problema mondiale che ha un impatto negativo sulle dimensioni ambientale, sociale, economica e sanitaria. In uno scenario normale e in assenza degli interventi necessari, la quantità di rifiuti di plastica che entrano negli ecosistemi acquatici potrebbe quasi triplicare, passando dai circa 9-14 milioni di tonnellate all'anno registrati nel 2016 ai 23-37 milioni di tonnellate all'anno previste entro il 2040.

Meno 80 per cento entro il 2040

Preziose le parole del discorso di apertura dei negoziati di Parigi pronunciate da Inger Andersen, direttrice esecutiva dell'Unep (il programma delle Nazioni Unite per l'ambiente), che ha sottolineato la gravità della situazione e avanzato importanti proposte con una tabella di marcia per ridurre dell'80 per cento la plastica entro il 2040.

Il sistema produttivo lineare ed estrattivo distrugge gli ecosistemi e danneggia la salute. Le comunità più povere sono quelle che soffrono maggiormente le conseguenze del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità, dell'inquinamento e dei rifiuti. Con gli impegni attuali l'inquinamento da plastica si ridurrebbe solo dell'8 per cento circa entro il 2040. Intanto diversi studi hanno dimostrato la presenza di microplastiche nel sangue umano, nei polmoni e nella placenta.

Il ciclo di vita dei prodotti

L'accordo dovrebbe quindi puntare a eliminare e ridurre l'uso di plastica guardando all'intero ciclo di vita dei prodotti, con trasparenza e con politiche per la giusta transizione. Il riciclo dei rifiuti in plastica non è sufficiente a risolvere il problema perché il volume di quella utilizzata è esagerato. Bisogna ridurre drasticamente l'uso della plastica vergine, evitarla dove non è necessaria, per esempio nel settore dei cosmetici, dell'abbigliamento e degli imballaggi, sostituendola con materiali organici.

Vanno ri-progettati i prodotti per ridurne l'impiego e prevedere lo smontaggio e il riutilizzo delle parti, la riparazione e la manutenzione invece dell'obsolescenza programmata, promuovere la diffusione di contenitori e bottiglie ricaricabili, di distributori di prodotti sfusi e dei sistemi di deposito-restituzione, la plastica monouso deve essere vietata.

Soluzioni di giustizia sociale

Non dobbiamo dimenticare l'inquinamento già esistente e le enormi quantità di plastica accumulate in terra e in mare, che devono essere recuperate e rimosse. Dobbiamo ragionare in un'ottica di giustizia sociale, cercando soluzioni che creino piena e buona occupazione in un'economia circolare e rigenerativa, senza lasciare indietro i circa 20 milioni di lavoratori informali che raccolgono rifiuti nel mondo.

Il 10 giugno 2022 è entrata in vigore la legge Salvamare che dovrebbe consentire ai pescatori di portare a terra la plastica recuperata in mare e di poter installare sistemi di raccolta di rifiuti in linea con i principi dell'economia circolare. Purtroppo però non sono ancora stati adottati i decreti attuativi e quindi anche questo processo virtuoso è bloccato.

Proposta europea sugli imballaggi

Ricordiamoci poi che il governo si oppone alla proposta di regolamento del parlamento europeo sugli imballaggi del novembre 2022 che, anche per cercare di ridurre l'utilizzo della plastica, promuove il riuso piuttosto che il riciclo. Ci sono poi enormi divari fra regioni del Nord e del Mezzogiorno sugli impianti di raccolta differenziata, trattamento e riciclo, e fra i vari obiettivi del Pnrr c'è anche quello di colmare questi divari relativi alla capacità impiantistica e agli standard qualitativi della gestione dei rifiuti fra regioni e territori con un investimento di 1,5 miliardi. Il 30 marzo 2023 è stata pubblicata la graduatoria delle proposte ammesse a finanziamento.

Seguiremo con attenzione il prosieguo dei negoziati Onu così come seguiamo le politiche nazionali, portando avanti le nostre rivendicazioni per una giusta transizione ecologica che coniughi giustizia ambientale con giustizia sociale e piena occupazione stabile e di qualità.

Simona Fabiani è responsabile Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil

Data articolo: Thu, 01 Jun 2023 14:27:42 GMT
News n. 12
Mininni, Flai: «Tutelare lavoratori e mettere in sicurezza territorio. Ma Lollobrigida non ci convoca»

“Siamo vicini alle lavoratrici e ai lavoratori colpiti dalla forte ondata di maltempo che nelle regioni dell'Emilia-Romagna e delle Marche ha causato vittime e danni non quantificabili alle produzioni agricole, alle aziende, agli stabilimenti. Le strade bloccate dall'acqua rendono impossibile la mobilità e quindi recarsi sul luogo di lavoro, se non danneggiato dalle precipitazioni e successive esondazioni. Nell'immediato servono interventi anche a sostegno del reddito con il ricorso ad ammortizzatori sociali e, per le lavoratrici e i lavoratori del comparto agricolo, cassa integrazione in deroga e blocco straordinario degli elenchi anagrafici”. Lo dichiara Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil nazionale. “La nostra organizzazione sarà vicina in ogni modo alle popolazioni in difficoltà, che in queste ore hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni e hanno bisogno di assistenza a 360 gradi”.

“Chiediamo – conclude Mininni - che passate queste ore di drammatica emergenza ci si attivi per misure strutturali che mettano in sicurezza il territorio e quindi le attività produttive. Anche con questa ennesima calamità il settore primario sta pagando il prezzo più alto in termini di produzione, lavoro, danni alle coltivazioni, alle strutture e infrastrutture. Tuttavia, con rammarico registriamo che anche oggi, nell'incontro in corso con il Ministro Lollobrigida, non sono stati coinvolti i sindacati, che rappresentano proprio quei lavoratori fortemente colpiti da quanto sta accadendo e che dovrebbero essere anch'essi una priorità per chi governa”.

Data articolo: Thu, 18 May 2023 05:55:51 GMT
News n. 13
Cosa sta succedendo al clima

Basta ripetere che si tratta di fenomeni estremi ed eccezionali. La pioggia che sta cadendo in Emilia Romagna e nelle Marche in queste ore, provocando vittime, allagamenti, dispersi e danni, appartiene alla categoria dei fenomeni sempre più frequenti, causati dai cambiamenti climatici. Gli scienziati ce lo ripetono da anni, oggi con una postilla: fermo restando la fluttuazioni di variabilità delle stagioni un anno con l'altro, negli ultimi tempi si stanno verificando eventi atmosferici che si attendevano fra trent'anni.

“Eravamo abituati alle previsioni del Colonnello Bernacca, con l'anticiclone delle Azzorre e le deboli perturbazioni di origine atlantica che portavano la classica variabilità primaverile in Italia e nel Mediterraneo, un giorno bello, uno brutto - ci spiega Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr -. Oggi il riscaldamento globale di origine antropica ha cambiato non solo le temperature medie, ma anche la circolazione nel nostro Mediterraneo”.

Che cosa sta succedendo?
Le correnti si stanno espandendo, circolano lungo le direttrici Sud-Nord e Nord-Sud, si muovono più lentamente e diventano più stazionarie, cioè rimangono per tanti giorni su uno stesso territorio. Quando le correnti vanno da Nord a Sud, l'incontro con un mare più caldo rispetto al passato crea contrasto termico e quindi precipitazioni più intense e violente che permangono a lungo nello stesso posto. Nel caso di piogge, queste hanno il tempo di scaricarsi maggiormente su una medesima zona, creando condizioni alluvionali. Ecco cosa sta accadendo in Emilia Romagna.  

Però questo non accade tutti gli anni, nello stesso periodo e nello stesso territorio. Perché?
Si tratta di episodi che sono sempre più frequenti e che lo saranno sempre di più nel prossimo futuro, una tendenza climatica che è abbastanza evidente nel Mediterraneo. La variabilità resta: una volta a marzo, un'altra a maggio. L'alluvione di questi giorni fa scalpore perché stanno cadendo centinaia di millimetri di pioggia su un territorio vastissimo, e perché si stanno verificando tanti danni, mentre siamo abituati a temporali localizzati magari in una vallata appenninica.

Che cosa possiamo e dobbiamo fare?
Dobbiamo adattarci a situazioni di questo tipo perché con le temperature non torneremo indietro, anzi. Speriamo di rimanere su 1,5-2 gradi centigradi di riscaldamento del Pianeta ed evitare scenari di 2, 3 o 4 gradi, in cui sarebbe difficilissimo per noi difenderci. Bisogna adottare soluzioni nell'ottica del lungo periodo e basate sulla natura. Se un fiume esonda, alziamo gli argini, ma se il livello dell'acqua aumenta ancora, saremo costretti ad aumentare ulteriormente gli argini. Ma così non risolviamo il problema.

E quindi?
Quindi se un fiume deve esondare, lasciamogli spazio, troviamo un modo per cui quando succede non crei danni né morte, non costruiamo in prossimità del suo alveo magari in maniera abusiva, anche se questo non è il caso dell'Emilia Romagna. La cura del cemento blocca, impedisce all'acqua di essere assorbita dal terreno in profondità. Così la crisi energetica: per affrontare l'emergenza non si può pensare di riaprire le centrali a carbone aumentando la produzione di gas climalteranti ma bisogna puntare sulle rinnovabili. Dobbiamo trovare soluzioni che armonizzino le dinamiche umane con quelle naturali.

Lei ha lanciato la proposta di costituire un consiglio di esperti sul clima. Con quali funzioni?
Penso a un organismo composto da scienziati indipendenti, che abbia l'obiettivo di offrire consulenza a governo e parlamento su azioni e strategie che vadano nella giusta direzione e sia in grado di affrontare le emergenze in un orizzonte di medio-lungo periodo. Questioni come il cambiamento climatico richiedono obiettivi politici pianificati per anni o decenni. Su questi temi c'è bisogno di continuità e non di interventi spot.

Data articolo: Wed, 17 May 2023 16:32:33 GMT
News n. 14
Crisi climatica, dove sono le azioni?

Cosa deve accadere ancora prima che l'azione climatica e la prevenzione diventino una priorità dell'agenda politica? Si parla di manutenzione del territorio, prevenzione, consumo di suolo solo dopo gli eventi catastrofici come quelli che ieri e oggi stanno investendo l'Emilia Romagna e le Marche. La mitigazione e l'adattamento al cambiamento climatico, invece, restano sullo sfondo, negando ostinatamente con il silenzio l'evidente connessione fra siccità, fenomeni alluvionali e franosi e Climate Change.

Poche risorse

Sul fronte delle azioni, niente o quasi. Il Pnacc, Piano nazionale di adattamento, proposto dal governo non prevede nessun finanziamento delle misure necessarie e ha tempi di partenza troppo lunghi rispetto all'emergenza che stiamo affrontando. Nel Def, Documento di economia e finanza, non c'è nessun richiamo alla prevenzione e al dissesto idrogeologico. Il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha previsto solo 50 milioni per la realizzazione di un sistema di monitoraggio e previsione e 2,49 miliardi per la gestione del rischio alluvione e la riduzione rischio idrogeologico. Gli appalti dovrebbero essere aggiudicati entro dicembre 2023 ma le risorse sono troppo poche e i tempi troppo lunghi.

Armi al posto della ripresa

Intanto il parlamento europeo ha deciso quasi all'unanimità che gli Stati membri possano attivare una procedura d'urgenza per spostare le risorse economiche del Fondo Coesione sociale e del Pnrr per destinarli alla produzione e fornitura di armi. Il Pniec, Piano nazionale clima energia, ha un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 del 37 per cento a fronte di un obiettivo europeo del 55 per cento. Deve essere aggiornato e inviato alla Commissione europea entro il 30 giugno ma al momento non c'è nemmeno un testo su cui discutere, solo un questionario online che viene spacciato per consultazione.

Politiche urgenti

Da ormai troppi anni la Cgil rivendica e propone politiche urgenti di giusta transizione ecologica, decarbonizzazione dell'economia, misure strutturali di prevenzione e manutenzione del territorio, investimenti adeguati. Vogliamo una piena occupazione stabile e di qualità al servizio del benessere dell'ambiente e delle persone. Dobbiamo intervenire finché siamo in tempo, con la radicalità e l'urgenza che ci indicano tutti i rapporti dell'Ipcc, il panel sui cambiamenti climatici dell'Onu.

Serve una legge sul clima

Serve una legge sul clima che indichi obiettivi, target e tempi certi e rapidi della decarbonizzazione, sul Pniec è necessario prima del 30 giugno un confronto fra governo, parti sociali e società civile organizzata, vanno fermati tutti i nuovi investimenti nelle fonti fossili e trasformati i sussidi ambientalmente dannosi in sussidi ambientalmente favorevoli, per recuperare risorse indispensabili per la transizione ecologica, l'adattamento al cambiamento climatico e la prevenzione. Non possiamo aspettare oltre, siamo già in un irresponsabile ritardo. 

Simona Fabiani è responsabile Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil

Data articolo: Wed, 17 May 2023 13:47:10 GMT
News n. 15
Solidarietà Flc Cgil agli attivisti di Ultima Generazione

Si terrà oggi (12 maggio) presso il Tribunale di Roma la prima udienza del processo a tre attivisti di Ultima Generazione che hanno imbrattato con vernice lavabile il palazzo del Senato per chiedere che il Governo avviasse l'eliminazione dei sussidi pubblici ai combustibili fossili. "Nonostante la vernice sia stata lavata nel giro di poche ore e nonostante sia previsto un reato di 'imbrattamento', i tre sono accusati di 'danneggiamento aggravato' e rischiano fino a 5 anni di carcere; c'è quindi una sproporzione nel reato contestato e nella pena, per chi denuncia una forte preoccupazione per il futuro del nostro pianeta". Così in una nota la Flc Cgil.

"La Flc Cgil, da sempre impegnata attivamente sui rischi legati al cambiamento climatico, anche con la partecipazione agli scioperi globali promossi da Fridays For Future, dichiara solidarietà alle ragazze e ai ragazzi di Ultima Generazione. Ci pare infatti preoccupante che il Governo criminalizzi le proteste non violente dei ragazzi e delle ragazze, decretando addirittura nuovi reati ad hoc, mentre non usa la stessa durezza contro altri reati, a partire da quello di evasione fiscale".

Data articolo: Fri, 12 May 2023 12:41:00 GMT
News n. 16
Clima, il coraggio del cambiamento

Il tempo non è un fattore indipendente per il futuro dell'umanità, non lo è per gli effetti che il nostro sistema economico e produttivo sta determinando per la sostenibilità dell'ecosistema, non lo è per il futuro dell'umanità. In scala minore non lo è per le condizioni sociali, economiche, produttive e occupazionali del nostro Paese.

Fare scelte sbagliate o anche semplicemente non scegliere lasciandosi portare dagli eventi renderà il nostro modello sociale e produttivo dipendente da chi le scelte le sta compiendo. L'Ue, con tutti i limiti del caso, ha provato in questi anni a normare con uno sguardo di medio periodo (già è molto per noi) la trasformazione imposta dall'innovazione digitale, provando a costruire un modello che mettesse al centro la tutela dell'individuo e indirizzasse politiche comunitarie anche in campo produttivo, di ricerca e sviluppo.

L'importanza dell'Europa

Va detto che la legislazione che raccogliamo e proviamo a spiegare in "Europa digitale, la sfida di un continente", segna una visione avanzata a livello globale della ineluttabile trasformazione in corso. Ed è per noi, con l'impatto che la rivoluzione digitale sta producendo nel mondo del lavoro, indispensabile conoscerla, chiederne l'applicazione, utilizzarla come strumento per contrattare da una posizione di maggiore forza nel rapporto con parti datoriali e istituzioni nazionali. 

Non siamo più nel Novecento, il tempo del lento processo di elaborazione del secolo scorso è inapplicabile a questo nuovo secolo, il lavoro cambia, gli strumenti del lavoro cambiano, la socialità cambia a un ritmo frenetico. Questo impegna un'organizzazione complessa come la nostra a uno sforzo straordinario di visione e di azione: non esiste più il tempo intermedio, quello dell'acquisizione e della consapevolezza collettiva, o almeno non esiste nelle modalità e nelle tempistiche che erano proprie del Novecento.

Pensare positivo

Con il secondo libro che presentiamo in questo numero di Idea Diffusa: ("2030. I dieci anni che hanno cambiato il mondo. Un manuale per sindacalisti audaci)" abbiamo provato a fare il salto, abbiamo pensato (confederazione e categorie) di leggere in chiave positiva il futuro del mondo e del Paese. Lo sforzo corale è stato quello di immaginare un futuro sostenibile.

Non ci siamo voluti fermare alla critica dell'attuale, a quello che si sarebbe potuto fare, ognuno nel proprio ambito: abbiamo provato a indicare una possibile risposta. Come sempre quando si forza il conosciuto e si prova a dare una risposta si rischia. Si rischia di essere imprecisi, ottimisti, settoriali, ma il senso di questo impegno era proprio quello di proporre idee, visioni, possibilità. Forse anche provocare, provocare reazioni. Forzare questo diffuso senso di irreversibilità.

Via dalla comfort zone

In questa seconda pubblicazione abbiamo chiesto, e di questo li ringraziamo, uno sforzo intellettuale anche a esperti e docenti, perché per cultura sappiamo che per costruire qualcosa di così complesso come un nuovo modello di sviluppo è necessario impegnare tutte le intelligenze a disposizione, andare oltre il proprio perimetro, oltre la propria comfort zone.

Questi due libri sono usciti in formato elettronico nella fase congressuale, perché quello è il “luogo” in cui elaborare e indirizzare le politiche dell'organizzazione. Ad aprile 2023 i libri saranno disponibili e distribuiti dalla casa editrice Futura in formato cartaceo ed epub anche all'esterno dell'organizzazione. Perché è indispensabile parlare di questi temi dentro e fuori di noi, nei luoghi di lavoro, negli spazi sociali e lì dove si può costruire un'alternativa all'attuale modello di sviluppo.

La domanda che ci dobbiamo porre guardando al prossimo decennio e alla vita delle nuove generazioni è se saremo sufficientemente coraggiosi per costruire un mondo migliore, eco-sostenibile e giusto. Scrivendo questi libri abbiamo provato ad essere intellettualmente audaci, ma è ovvio che non basta.  Le idee devono avere le gambe, devono essere praticate e per fare questo, per praticare la trasformazione bisogna essere veramente coraggiosi. Bisogna avere il coraggio di programmare il cambiamento.

Decidere su cosa investire. Individuare i nuovi lavori, sostenere una indispensabile formazione continua per adeguare le competenze, scegliere di abbandonare alcuni ambiti di attività, perché inevitabilmente saranno superati per “sostituzione professionale” o semplicemente perché quei prodotti sono dannosi per l'ambiente e l'umanità.

Sindacato determinante

Il coraggio va espresso nella riconversione delle produzioni e dei prodotti, nella formazione, nella revisione dei modelli produttivi e organizzativi, nella riduzione drastica delle ore lavorate sostenuta ridistribuendo la ricchezza generata dall'attività “non umana”. Se faremo questo non ci sarà un calo dell'occupazione, ma una trasformazione del lavoro, così come è accaduto in altre fasi della storia.

È chiaro che in questo processo il sindacato è determinante e i tempi del suo agire sono determinanti per mantenere un ruolo centrale nella rappresentanza sociale che le lavoratrici e i lavoratori, pensionate e pensionati ci hanno storicamente attribuito.

Data articolo: Sat, 29 Apr 2023 04:30:00 GMT
News n. 17
Crisi climatica, cosa fare

Il 20 marzo l'Ipcc ha pubblicato il rapporto di sintesi del Sesto rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici (AR6). Il report integra i risultati di tre gruppi di lavoro e di tre rapporti speciali, fra cui lo Special report per contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C del 2018. È la sintesi di cinque anni di studi e analisi interdisciplinari sul clima che riassume informazioni sulle conseguenze della crisi climatica causata dalle attività umane, ma anche sulle opportunità esistenti per contrastare la crisi climatica e progredire verso lo sviluppo sostenibile, dando priorità alla riduzione del rischio, all'equità e alla giustizia.

L'impatto della crisi climatica

Il report parte da un'analisi dello stato attuale e delle tendenze. La temperatura globale è già cresciuta di 1,09°C dal periodo preindustriale. Nel 2019 le emissioni erano circa il 12% in più rispetto al 2010 e il 54% in più rispetto al 1990, ed erano prodotte per il 79% dai settori energetici, industriali, dei trasporti e dagli edifici e per il resto da agricoltura, silvicultura e altri usi del suolo. Circa 3,3-3,6 miliardi di persone vivono in contesti altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici.

L'aumento degli eventi meteorologici e climatici estremi ha esposto milioni di persone a una grave insicurezza alimentare e a una ridotta sicurezza idrica. Gli impatti negativi più drammatici riguardano molte località e comunità in Africa, Asia, America centrale e meridionale. Le conseguenza però sono pesanti anche per l'Italia sia in termini di dissesto idrogeologico che di siccità, basti pensare ai 6 miliardi di perdite stimate l'anno scorso in agricoltura, sapendo che quest'anno la situazione potrebbe essere peggiore.

In tutte le regioni gli eventi di calore estremo hanno provocato mortalità, sono aumentate le malattie di origine alimentare e idrica legate al clima e l'incidenza delle malattie trasmesse da vettori. Le azioni di adattamento e mitigazione al cambiamento climatico non sono adeguate. Per l'adattamento i principali ostacoli sono la carenza di finanziamenti, anche alla ricerca, la scarsa volontà politica, il poco senso di urgenza e la lentezza dell'azione. Per la mitigazione esiste un divario fra gli impegni assunti e i percorsi di mitigazione necessari per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C.

Serve un'azione immediata

Per recuperare questo gap è necessaria un'azione immediata con profonde riduzioni delle emissioni in questo decennio. Senza un rafforzamento delle politiche si prevede una crescita della temperatura media globale fino a 3,5°C. Con il crescere delle temperature gli impatti e i rischi legati al clima aumentano, e saranno sempre più complessi e di difficile gestione. L'insicurezza alimentare e l'instabilità degli approvvigionamenti, causati dal clima, per esempio, aumenteranno e interagiranno con altri fattori non climatici come la competizione per la terra tra espansione urbana e produzione alimentare, pandemie e conflitti.

Per fronteggiare questa situazione, è urgente attuare un'azione a breve termine con processi di mitigazione e di adattamento ambiziosi che implicano cambiamenti dirompenti nelle strutture economiche e produttive esistenti. Per evitare conseguenze distributive negative sui lavoratori e sulle fasce più vulnerabili della popolazione globale e di ogni singolo paese, servono riforme fiscali, finanziarie, istituzionali e normative coerenti con gli impegni climatici e occorre integrare le politiche per il clima nelle politiche macroeconomiche, attivando percorsi partecipati e contrattati di giusta transizione a partire dalla creazione di nuova e buona occupazione in un sistema economico sostenibile, equo e a basse emissioni.

Opportunità di cambiamento

A fronte di una crisi climatica, sanitaria e sociale sempre più drammatica esiste una grande opportunità di cambiamento che può salvarci dalla devastazione ecologica e sociale che si prospetta se il sistema attuale non verrà profondamente modificato e che apre nuovi scenari in cui il valore del lavoro, dell'equità, del benessere del pianeta e degli esseri viventi sostituisce l'attuale sistema basato su profitto per pochi, sfruttamento del lavoro e degli ecosistemi, crescita di divari e disuguaglianze.

Le tecnologie necessarie per questa transizione ecologica esistono e un'azione accelerata fornisce co-benefici per il contrasto alla crisi climatica, sulla qualità della vita, dell'aria, della salute, sulla produzione agricola e sulla sicurezza alimentare, sull'innovazione, sulla conservazione della biodiversità, sull'autonomia energetica e per la giustizia sociale.

Investire nell'azione climatica riduce la spesa dei danni derivanti dall'inazione, i costi sanitari, i costi energetici. Fra le opzioni per la mitigazione il report dell'Ipcc mette in evidenza lo sviluppo delle energie rinnovabili, la tutela e il ripristino degli ecosistemi naturali, il passaggio a un'alimentazione sostenibile e salutare, la forestazione, la riduzione delle emissioni di metano e protossido di azoto in agricoltura (per esempio con il passaggio a un'agricoltura biologica, riducendo i concimi azotati, gli allevamenti intensivi, il consumo di carne e gli sprechi alimentari), edifici efficienti, mobilità efficiente, collettiva ed elettrica, autoproduzione di energia da fonti rinnovabili, efficienza energetica e dei materiali, materiali da costruzione sostenibili, economia circolare.

Per rispondere all'aumento delle temperature già in essere il report cita varie opzioni di adattamento fra cui l'affidabilità energetica e un sistema energetico resiliente, l'uso efficiente della risorsa idrica, la gestione della biodiversità e la connettività degli ecosistemi, l'agroforestazione, l'agricoltura e la pesca sostenibili, la gestione e la difesa delle zone costiere, una gestione sostenibile del suolo e della pianificazione urbana, infrastrutture verdi e servizi ecosistemici, ma anche il miglioramento dei servizi sanitari, ammortizzatori sociali, gestione del rischio da disastri, migrazioni, pianificazione di reinsediamenti.

Servono risorse

Tutti questi interventi necessitano di adeguati finanziamenti pubblici e privati, di spesa in ricerca e innovazione tecnologia, ma prima ancora di politiche macroeconomiche, politiche industriali, pianificazione e piani e misure di giusta transizione definite in processi partecipativi che coinvolgano a pieno le comunità e con la contrattazione con i lavoratori e le organizzazioni sindacali. Purtroppo l'azione politica è molto lontana dalla strada della “salvezza” indicata dalla scienza.

Anche in Europa il percorso verso la riduzione delle emissioni del 55% al 2030 e la neutralità climatica al 2050 è accidentata e tutta in salita, segnata da grandi contraddizioni, determinate anche da un'impostazione liberista che riconosce l'intervento pubblico solo come temporaneo e straordinario, a partire da un rinnovato interesse per il gas e il nucleare. Eppure la transizione verde e digitale sono le colonne portanti di un green deal europeo finalizzato allo sviluppo sostenibile e inclusivo.

Il ruolo delle tecnologie digitali

Le tecnologie digitali possono svolgere un ruolo determinante nel raggiungimento della neutralità climatica, nella riduzione dell'inquinamento e nel ripristino della biodiversità, come indicato dalla comunicazione della Commissione europea nella relazione di previsione strategica 2022.

Possono dare un contributo, per esempio, con la digitalizzazione dell'energia e dei trasporti per una mobilità sostenibile e multimodale, i contatori intelligenti, l'aumento dell'efficienza energetica, il miglioramento dell'efficienza dei processi industriali e della progettazione dei prodotti per la circolarità, l'efficienza energetica e idrica degli edifici, la riduzione dell'uso di acqua, pesticidi, fertilizzanti ed energia in agricoltura e tanto altro.

Se non accompagnata, invece, dalla crescita della capacità e delle infrastrutture di generazione delle energie rinnovabili e dall'efficienza energetica, l'impiego in costante crescita di tecnologie digitali, dell'informazione e della comunicazione, delle piattaforme online e della realtà virtuale può costituire un ulteriore aggravamento della crisi climatica.

L'azione politica

La coerenza è quindi la chiave dell'azione politica. Solo se useremo con coerenza tutti gli strumenti finanziari, fiscali, economici, tecnologici, programmatori e democratici, guidati dagli obiettivi di sviluppo sostenibile, azione climatica e giustizia sociale, potremmo raggiungere una giusta transizione ecologica e sociale, compresa la piena e buona occupazione.

Data articolo: Sat, 29 Apr 2023 04:30:00 GMT
News n. 18
Un futuro da costruire

Il volume, già dal titolo, 2030 - I 10 anni che hanno cambiato il mondo, non solo riporta la narrazione dell'impegno collettivo del sindacato nell'interpretare l'attuale contesto sociale ed economico, ma anche lo sforzo esercitato per immaginare e ridisegnare un futuro sostenibile, equo, partecipato, democratico, insomma migliore.

Si tratta di un libro che affronta le sfide che ci attendono da qui al 2030 e, in particolare, la transizione verde e la trasformazione digitale. Tuttavia, l'ambizione è stata fin dal primo momento di produrre un “manuale”, per la contrattazione e per le politiche pubbliche. Gli autori, docenti ed esperti che ci hanno pregiato dei loro ragionamenti, le compagne e i compagni del centro confederale e delle categorie, hanno guardato tutti al futuro partendo dalle proprie esperienze e mettendo dentro i propri elaborati di conoscenza, progettazione e speranza.

I nostri “esperti” militanti si sono concentrati prevalentemente sull'analisi del contesto e sulle opportunità offerte già dall'attuale ventaglio di tecnologie disponibili per la sostenibilità. Nello specifico, Andrea Roventini ha scandito innanzitutto le scelte da non fare, sottolineando che “non esiste la neutralità tecnologica, ma, dati alla mano, ci sono tecnologie giuste e sbagliate”, per poi indicare le potenzialità degli investimenti pubblici e, in generale, del ruolo economico dello Stato. Anche Lelio De Michelis, per ritrovare il necessario “ottimismo della volontà”, ha voluto “capire l'oggi” con una compiuta disamina critica del neoliberismo per poi “immaginare il domani” rilanciando un rinnovato conflitto tra capitale e lavoro come motore degli eventi del prossimo futuro, esortando a una nuova alleanza fra Lavoro ed Ecologia, per governare e non subire la tecnologia. Sulla stessa scorta si inserisce la stimolante riflessione di Piero De Chiara, che argomenta, da un lato, la necessità di promuovere una società pubblica per la rete intelligente e, dall'altro, di cambiare “destino” al sindacato affinché crei “valore del lavoro” e non più del capitale, invitando a rafforzare la democrazia economica e industriale.

Le compagne e i compagni dell'Area delle politiche per lo sviluppo hanno provato altresì ad aggiornare l'idea di progresso che superi i limiti del Secolo breve, consapevoli che la straordinaria accelerazione determinata dall'innovazione tecnologica e dal cambiamento climatico ci impongono di pensare a un diverso modello sociale, al cambiamento del sistema produttivo, alla centralità della questione ambientale, alla stessa definizione e formazione di ricchezza prima ancora che agli strumenti necessari per la sua redistribuzione.

Mi ha molto convinto, e in alcune parti colpito, riscontrare nelle elaborazioni delle categorie quanto la nostra comunità, fatta di esperienze e storie diverse, sia capace di ritrovarsi in un pensiero deterministico e non solo critico: l'idealità, oltre alla profondità, dei nostri dirigenti converge perfettamente nella proiezione di un futuro che collochi l'intera umanità e il mondo del lavoro con essa in un mondo diverso, dove solidarietà, inclusione, partecipazione democratica, conoscenza e innovazione diffusa, attenzione per l'ambiente interno ed esterno ai luoghi di lavoro possano determinare il vero progresso economico, sociale, culturale. Lo sviluppo, per essere consolidato e sostenibile, deve avere la capacità di tenere assieme tutto questo.

Si deve agire per determinare il rispetto e la cura del pianeta in cui viviamo e degli esseri che con noi lo abitano, oltre che i temi più direttamente scrivibili alle questioni sociali, più propri della nostra iniziativa. Diversamente ci troveremo a perpetrare un modello che predilige rendite, accumulazione finanziaria, diseguaglianze e sfruttamento.

Infine, credo sia utile esaltare la capacità degli autori di indicare le piccole e le grandi rivoluzioni da mettere in campo, dalla contrattazione nelle singole realtà produttive all'attenzione e alla compartecipazione nella progettazione dei luoghi in cui si vive, dal rispetto dei diritti del singolo e all'idea di società. Solo attraverso questa azione corale, sul piano sindacale come culturale, si può immaginare di cambiare rotta e cambiare destinazione al futuro. Solo utilizzando tutte le intelligenze, tutte le capacità, tutte le energie, quelle del sindacato – possibilmente unitario – assieme alle tante altre forze positive presenti nel nostro Paese – penso alle molte associazioni che con noi si impegnano per migliorare la società e la stessa economia, ogni giorno, o ai giovani che incontriamo nelle iniziative e nelle mobilitazioni, specie quelle per l'ambiente – si può determinare un cambiamento del lavoro, dei luoghi, dei rapporti di forza. Un cambiamento che coinvolga tutte e tutti e, soprattutto, sia positivo per tutte e tutti.

Questo libro può rappresentare uno dei nostri strumenti più utili per interpretare il presente e, soprattutto, per “creare il futuro”, segna le azioni da mettere in campo nell'esercizio del nostro ruolo politico e negoziale, nella nostra funzione sociale, nel rinnovamento generazionale, dentro e fuori di noi, nella battaglia culturale a cui siamo chiamati a partecipare, nel ruolo storico che ci spetta compiere.

Data articolo: Sat, 29 Apr 2023 04:30:00 GMT
News n. 19
Due libri per immaginare il futuro

Alla fine di un quadriennio congressuale, e come summa dell'approccio che abbiamo avuto ai cambiamenti che hanno attraversato questi anni, abbiamo deciso di scrivere due libri. Un libro rappresenta un momento di riflessione, di necessario e accurato pensiero. E, tanto più è collettivo, tanto maggiore è l'elaborazione che ne scaturisce.

Si parte spesso con una convinzione ma poi, leggendo i contributi degli altri, approfondendo percorsi, esperienze, intenti e risultati, si esce dalla redazione di un testo diversi da come vi si è entrati.

Grazie allo stimolo dell'area delle Politiche europee e internazionali della Cgil, ogni giorno in rapporto con ciò che accade nel mondo, e come Ufficio 4.0 insieme al gruppo 4.0 (e cioè come compagni e compagne che da tempo lavorano insieme affrontando la molteplicità dei temi collegati al “digitale”) abbiamo deciso fosse il momento di fare ordine su tutta la materia digitale normata o in via di normazione in Europa. 

Una specie di summa, ovviamente incompleta poiché le cose sono in itinere e l'attività non si ferma, che vuole offrire uno spaccato concreto della volontà europea di normare uno spazio digitale comune a livello continentale. Del resto in questi anni avevamo già raccontato, con iniziative e contributi scritti ( su Idea Diffusa) cosa stesse accadendo in Europa.

Con “Europa digitale: la sfida di un continente” (Futura Editrice) abbiamo l'ambizione di incuriosire chi non ha ancora avuto occasione di approcciare in modo organico questi temi e di sostenere chi invece li ha già maneggiati in fase di contrattazione.

L'idea di fondo è che uno sguardo alle norme sovranazionali consentirà a ciascuno di noi di avere chiaro il quadro di regole entro cui muoversi per svolgere al meglio il proprio ruolo. Tra quei regolamenti, quelle direttive, quelle indagini, ci sono strumenti utili di contrattazione anche per la tutela di lavoratrici e lavoratori.

E, nella stessa ottica ma con sguardo più ambizioso, insieme alle compagne e ai compagni dell'Area Sviluppo e con il contributo di illustri esperti, abbiamo voluto immaginare il nostro mondo tra 10 anni. “2030, i dieci anni che hanno cambiato il mondo: un manuale per sindacalisti audaci” (Futura Editrice) è la somma delle risposte che abbiamo provato a dare, ciascuno nel suo ambito, alle sfide che già oggi chiamano in causa il nostro operato.

Come sarà il mondo tra 10 anni dipenderà anche dalle azioni che avremo messo in campo, non temendo l'audacia delle soluzioni possibili in nessun campo. Forse non sarà il migliore dei mondi possibili ma, di certo, avremmo fatto tutto il possibile perché lo fosse.

Entrambe le pubblicazioni sono frutto di un lavoro collettivo, perché questo risponde all'idea della necessaria continua collaborazione tra persone che hanno messo la propria intelligenza, la propria esperienza e la propria passione al servizio degli interessi comuni.

Data articolo: Sat, 29 Apr 2023 04:30:00 GMT
News n. 20
Clima e lavoro, alleanza possibile

Schierati su due trincee opposte, a guardarsi male e a farsi la guerra in modo neanche tanto velato. Ce lo hanno dipinto così il rapporto tra ambiente e lavoro, nemici storici perché difendono interessi diversi, del capitale naturale da una parte e dell'occupazione dall'altra, impossibili da far convivere.

E invece non è così. La dimostrazione arriva dalla nuova Allenza Clima Lavoro, un'inedita coalizione per la mobilità sostenibile e la giusta transizione, che nasce con obiettivi ambiziosi: allargare il campo dell'impegno e della proposta comune tra sindacato e organizzazioni ambientaliste, promuovere azioni di sensibilizzazione e di mobilitazione pubblica, incalzando il mondo della politica, delle istituzioni e delle imprese.

Ne fanno parte la campagna Sbilanciamoci!, Cgil Piemonte, Fiom Cgil, Kyoto club, Motus-E, Transport&Environment Italia, Legambiente, Wwf e Greenpeace, accomunati da un'unica convinzione: la giusta transizione, che fa bene al clima, all'economia e ai lavoratori, è necessaria e urgente, e deve essere accelerata per recuperare il tempo perduto, a partire dall'obiettivo della mobilità sostenibile e dell'auto elettrica.

"Abbiamo bisogno di uno scatto in avanti – spiega Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci! -. Il governo e le istituzioni devono credere di più nella elettrificazione del Paese e nella sfida di un modello di sviluppo che mette al centro la mobilità sostenibile, le energie rinnovabili, l'idea di una nuova economia. Per questo ci siamo uniti e per questo ci impegneremo”.

Secondo i promotori lo stop alla produzione dei motori alimentati a benzina e diesel dal 2035 chiede al governo a un cambio di passo: servono politiche più incisive per un modello industriale diverso che sappia coniugare gli obiettivi della decarbonizzazione con la salvaguardia dell'occupazione, che certamente potrà beneficiare della transizione all'elettrico.

"Provocatoriamente se vogliamo difendere i posti di lavoro, se vogliamo assumere giovani italiani e non slovacchi, e lo dico al governo dei 'patrioti' di questo Paese, abbiamo bisogno di aumentare le auto elettriche, esattamente il contrario di quello che dice Salvini – afferma Giorgio Airaudo, segretario generale Cgil Piemonte -. Per attrarre capitali, investimenti e, se possibile, un altro produttore”.

Basta dare un'occhiata ai dati: 1 auto su 4 prodotta in Italia è elettrica, la 500 elettrica ha incrementato le vendite. Dall'altra parte, ci vogliono 3 milioni di punti di ricarica entro il 2030, ma oggi mancano installatori, tecnici specializzati, produttori e un piano di formazione univoco tra scuole, università, centri di ricerca.

“In Italia il problema dell'automotive ce lo trasciniamo da 12 anni e non ha a che fare con la transizione ecologica – afferma Michele De Palma, segretario generale Fiom Cgil -. È sufficiente dire che i lavoratori degli stabilimenti di Stellantis sono in ammortizzatori sociali in maniera permanente da 10 anni a questa parte. Il vero nodo del nostro Paese è che ci stiamo concentrando sulla conservazione. Abbiamo poche risorse, ma se non le investiamo sull'innovazione di prodotto e non solo di processo, corriamo il rischio di perdere il capitale più importante, e cioè la conoscenza e la capacità di innovare”.

Data articolo: Mon, 03 Apr 2023 04:59:00 GMT
News n. 21
Un mondo sempre più arido

Dovremmo festeggiarla, ma di fatto c'è poco da festeggiare. La Giornata mondiale dell'acqua, che è stata istituita dall'Onu nel 1992 e si celebra in tutto il mondo il 22 marzo, arriva in un momento in cui i cambiamenti climatici e l'emergenza siccità non hanno smesso di mettere in ginocchio l'Italia dalla scorsa estate.

Il 2022 è stato dichiarato dalla Società meteorologica l'anno “tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni”, con un saldo negativo pluviometrico complessivo del 30 per cento. Il 2023 è stato finora il più caldo di sempre: il Cnr rileva come a gennaio e febbraio si sia misurata una temperatura di 1,44 gradi più alta rispetto alla media storica dei primi due mesi.

Siccità preoccupante

Il Nord continua a soffrire, con precipitazioni al di sotto della media nel primo bimestre, il Po in affanno e i grandi laghi che hanno percentuali di riempimento dal 19 per cento del lago di Como al 36 per cento del lago di Garda, fino al 40 di quello Maggiore.

Una situazione allarmante che non riguarda soltanto il nostro Paese: secondo l'ultimo rapporto del Joint Research Centre della Commissione europea, gli impatti della siccità sono già visibili in Francia e Spagna oltre che nell'Italia settentrionale, e sollevano preoccupazioni per l'approvvigionamento idrico per uso umano, l'agricoltura e la produzione di energia.

La maggior parte dell'Europa meridionale e occidentale è interessata da notevoli anomalie dell'umidità del suolo e della portata dei fiumi a causa di un inverno eccezionalmente secco e caldo. L'equivalente in acqua della neve sulle Alpi è molto al di sotto della media storica, ed è addirittura inferiore a quello dell'inverno 2021-2022. 

Paesi a secco

Non va meglio fuori dal Vecchio continente. In Argentina la più grande siccità degli ultimi 60 anni ha quasi dimezzato il raccolto di soia, di cui il Paese è primo esportatore mondiale, e sta acuendo la crisi economica. L'ovest degli Stati Uniti è a secco di precipitazioni da decenni, come anche la Somalia, l'Etiopia e il Cile. La siccità è un problema ormai strutturale in molte aree del mondo ma la sua frequenza, durata e intensità è in costante crescita a causa del cambiamento climatico.

Secondo le stime delle Nazioni Unite, di questo passo i 3,6 miliardi di persone che oggi vivono in aree con scarsità d'acqua per almeno un mese all'anno, diventeranno 4,8 miliardi entro il 2050. E a ogni aumento di un grado della temperatura media globale corrisponde una riduzione delle rese agricole: grano meno 6 per cento, riso meno 3, mais meno 7. Insomma, la crisi alimentare mondiale di quest'anno potrebbe diventare cronica. Nel 2020 fino al 19 per cento della superficie terrestre globale è stata colpita da siccità estrema: un valore che tra il 1950 e il 1999 non aveva mai superato il 13 per cento.

Cambiare subito

Da qui il tema del World Water Day di quest'anno che è un monito lanciato dalle Nazioni Unite: accelerare il cambiamento per risolvere la crisi idrica e igienico-sanitaria. E la Conferenza sull'acqua convocata a New York dall'Assemblea generale dal 22 al 24 marzo che chiama i governi, le aziende e gli individui a intraprendere azioni e impegni concertati per raggiungere gli obiettivi concordati a livello internazionale, compresi quelli contenuti nell'Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile. 

“Poiché l'acqua riguarda tutti noi, abbiamo bisogno che tutti agiscano – scrive l'Onu nel suo appello -. Tu e la tua famiglia, la scuola e la comunità potete fare la differenza cambiando il modo in cui usate, consumate e gestite l'acqua nelle vostre vite”. 

Perdite e sprechi

Se partiamo dall'Italia scopriamo che ci sarebbe davvero tanto da fare. La relazione annuale dell'Arera, l'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, ci segnala che in media viene dispersa dalle tubature il 43,7 per cento dell'acqua: in Sicilia si sale al 49 per cento, in Sardegna al 59, in Molise e Lazio addirittura siamo oltre il 60. In pratica, perdiamo 157 litri di acqua al giorno per abitante.

Nel frattempo, la bolletta è diventata sempre più cara: secondo i calcoli di Cittadinanzattiva la spesa media a famiglia nel 2022 è arrivata a 487 euro, con un aumento del 5,5 per cento rispetto al 2021 e in crescita in tutti i capoluoghi di provincia, a eccezione di Forlì-Cesena dove cala dello 0,6.

Oltre al record delle perdite ne deteniamo un altro, quello del prelievo di acqua per uso potabile: secondo l'Istat, con 9,2 miliardi di metri cubi, ovvero 25,1 milioni al giorno, 422 litri per abitante, siamo al primo posto tra i Paesi Ue. Una grande quota, cioè 2,80 miliardi (il 30,5 per cento) proviene dal distretto idrografico del fiume Po.

Ricette contro la crisi

“Non si tratta di un'emergenza nuova perché è almeno da 50 anni che si moltiplicano gli allarmi in Italia e nel mondo sulla situazione delle acque dolci – scrivono Marigrazia Midulla e Andrea Agapito Ludovici nel recente report del Wwf ‘L'ultima goccia' -. Una notizia positiva è l'investimento che ha annunciato il governo (a marzo dell'anno scorso, ndr) per 1,38 miliardi di euro (in parte su Pnrr per 900 milioni e in parte sul programma React Eu, per 482 milioni) per adeguare la rete idrica di distribuzione e ridurre le perdite”.

Ma per il Wwf è fondamentale limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, cosa che ridurrebbe i rischi legati all'acqua in tutte le regioni e settori: “In presenza di elevati livelli di riscaldamento, misure di risparmio idrico e di efficienza potrebbero non essere sufficienti per contrastare la ridotta disponibilità della risorsa”.

Per Legambiente occorre partire dalle città per adattarsi alla scarsità idrica del Paese. L'associazione ha fotografato il potenziale che avrebbero la raccolta delle acque meteoriche in ambiente urbano e il riutilizzo di quelle reflue per l'agricoltura: 22 miliardi di metri cubi all'anno, corrispondenti a circa tre volte la capacità contenuta nei 374 grandi invasi in esercizio, che ammonta a circa 6,9 miliardi di metri cubi.

“Il governo passi dalle parole ai fatti – dichiara il direttore generale dell'associazione Giorgio Zampetti -, con una strategia idrica nazionale che preveda interventi di breve, medio e lungo periodo. Oltre alle proposte dedicate all'ambiente urbano, è fondamentale non dimenticare tutte le altre azioni necessarie per tutelare e preservare la risorsa acqua”.

Data articolo: Wed, 22 Mar 2023 05:05:41 GMT
News n. 22
Crisi idrica, si passi ai fatti

Il 22 marzo è la Giornata mondiale dell'acqua, il tema di quest'anno: accelerare il cambiamento per risolvere la crisi idrica e igienico-sanitaria. Come mette in evidenza il sito del World Water Day 2023, siamo molto lontani dal raggiungere l'Obiettivo di Sviluppo sostenibile n. 6, di garantire acqua e servizi igienico-sanitari per tutti entro il 2030. Miliardi di persone, scuole, aziende, centri sanitari, fattorie e fabbriche non hanno l'acqua potabile e i servizi igienici di cui hanno bisogno.

Si passi ai fatti

Per accelerare il cambiamento, abbiamo bisogno di più azione. La sintesi del VI Rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici pubblicato il 20 marzo afferma con chiarezza che “L'insicurezza alimentare e idrica legata al clima è destinata ad aumentare con l'aumento del riscaldamento”. In Italia stiamo misurando gli effetti pesantissimi di una crisi idrica che è destinata a peggiorare progressivamente nei prossimi anni.

Agire significa mettere in campo, con la dovuta urgenza, tutte le misure possibili sul versante della mitigazione e dell'adattamento, ma questo non sta succedendo né a livello globale né in Italia.

Inerzia pericolosa

Il governo italiano è latitante e reazionario su questi temi. Non fa politiche di mitigazione, osteggia i provvedimenti europei volti ad accelerare la decarbonizzazione dell'economia, è in ritardo nella revisione del Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) e per il decreto attuativo sulle comunità energetiche. L'adattamento è solo un piano nazionale vuoto di misure concrete, senza risorse dedicate, con tempi lunghissimi di realizzazione e nessuna visione strategica.         

La crisi idrica è percepita dall'esecutivo come l'ennesima emergenza, scollegata dalla crisi climatica e sociale, dal modello di gestione privatistica del servizio idrico integrato e dalle necessarie scelte di politica industriale, finanziarie e di ricerca e innovazione per la giusta transizione verso lo sviluppo sostenibile. È con questa logica emergenziale che il governo sta lavorando a un decreto con le misure per contrastare gli effetti della siccità utilizzando 7,8 miliardi di risorse già stanziate dal Pnrr e altri fondi europei e nazionali, puntando a sbloccare i fondi con semplificazioni e deroghe, una cabina di regia interministeriale che dovrà definire un piano acqua straordinario e un commissario con poteri esecutivi.

Una visione più ampia

Quello che è urgentemente necessario è, invece, una visione sistemica della transizione ecologica e dello sviluppo sostenibile, la volontà politica di orientare le scelte di politica industriale, fiscale, della ricerca e dell'occupazione verso la transizione ecologica e la decarbonizzazione, la coerenza fra l'utilizzo dei fondi europei, le risorse ordinarie, le azioni e il rispetto degli SDGs e dell'Accordo di Parigi.

La siccità non va affrontata come questione emergenziale, ma con politiche strategiche e infrastrutturali, puntando al recupero delle acque reflue e piovane, all'uso efficiente della risorsa e alla riduzione delle perdite idriche delle reti, con la ripubblicizzazione attraverso un investimento pubblico che sostenga gli enti locali in questo processo ma soprattutto inserendo la questione all'interno dall'azione per la transizione ecologica, affrontandola in tutta la sua complessità con politiche integrate e interconnesse guidate da percorsi di partecipazione democratica, coinvolgimento delle comunità e contrattazione e confronto con le parti sociali.

Simona Fabiani è responsabile Politiche per clima, territorio, ambiente, trasformazione green e giusta transizione della Cgil

Data articolo: Wed, 22 Mar 2023 05:03:34 GMT
News n. 23
Ristrutturiamo le reti idriche

Ormai è un fatto assodato: la siccità in Italia è un fenomeno strutturale, con il quale dovremo convivere e sul quale dobbiamo intervenire. Non è più possibile liquidarla come evento che capita una volta ogni tanto.

Ne è convinto Corrado Oddi, del Forum italiano dei Movimenti per l'acqua, che però fa notare come il governo si accinga a varare la solita ricetta, basata su una logica emergenziale e sulle grandi opere.

“Le ipotesi fatte dal governo – spiega Oddi - sono campate in aria e prive di efficacia. Abbiamo sentito parlare di commissariamento e d'interventi tipo grandi invasi che hanno un impatto ambientale negativo e poi non risolvono il problema. Il vero grande nodo è quello della ristrutturazione delle reti idriche perché disperdiamo più del 40 per cento della risorsa". 

Quindi per Oddi ci vorrebbero almeno 10 miliardi di euro d'investimenti nei prossimi cinque anni, mettendo mano al Pnrr che dà poche risorse all'acqua e chiedendo un contributo ai soggetti privati, a partire dalle grandi multiutility, che hanno fatto grandi profitti con le privatizzazioni. 

Data articolo: Wed, 22 Mar 2023 05:01:42 GMT
News n. 24
La nostra rabbia è energia rinnovabile

Sono arrabbiati e vogliono trasformare la loro rabbia in energia rinnovabile. Per questo scendono di nuovo in piazza in una sessantina di città italiane e nel resto del mondo per l'ennesimo sciopero del clima venerdì 3 marzo, giornata di mobilitazione a cui aderisce anche la Cgil. “Abbiamo perso l'abitudine di contarli anche per non farli sembrare sempre tutti uguali – precisa Alessandro Marconi, portavoce nazionale dei Fridays for Future -. Per interrompere la ritualità. Ma noi continueremo a manifestare e a scioperare finché non verremo ascoltati e le nostre richieste accolte”.

Una lunga lista di rivendicazioni su energia e trasporti, i primi due settori per emissioni di CO2, sugli extraprofitti e i sussidi ambientalmente dannosi, sulla giustizia sociale e l'ecotransfemminismo, su un modello di sviluppo sbagliato che tuttora, nonostante le evidenze scientifiche, continua a puntare sulle fonti fossili.

Dal 2018 a oggi con i Global Climate Strike avete coinvolto milioni di giovani, attivisti e sindacalisti di tutto il mondo con una partecipazione impensabile fino a qualche tempo fa. Siete ancora motivati a scioperare, nonostante i governi sordi e la politica assente?
La lotta che facciamo è complessa, integra molti aspetti della società con richieste radicali. È per questo che in pochi anni è difficile che si concretizzino risultati evidenti. Qualche progresso c'è stato, ma si va troppo lenti, è necessario che si acceleri significativamente. Dall'altra parte però sta cambiando la percezione da parte della popolazione. Anche la politica sta iniziando a occuparsi di crisi climatica, almeno sulla carta, nei programmi elettorali. Quello che non cambia è ciò che facciamo. Riconoscere l'esistenza del problema non basta. Bisogna agire.   

Facendo cosa, per esempio?
Le grandi compagnie del fossile subito dopo l'inizio del conflitto in Ucraina hanno innalzato alle stelle i loro ricavi a causa della guerra e del rincaro dei prezzi. Gli Stati si sono fatti trovare impreparati e i governi sono dovuti correre ai ripari aiutando le famiglie. Nel caso di Eni, per esempio, gli utili, superiori al 700 per cento, sono stati ottenuti sfruttando la guerra e la speculazione finanziaria e attingendo direttamente dalle bollette. La tassa sugli extraprofitti, pari a 3,7 miliardi di euro in totale sui 10,4 netti del 2022, non è stata reinvestita in progetti legati alle energie rinnovabili ma destinata a un meccanismo che distribuisce i dividendi agli azionisti.

Nell'agenda climatica dei Fridays for Future individuate nelle comunità energetiche rinnovabili solidali la chiave per affrontare la crisi. In cosa consistono?
Sembra un modello utopistico, invece è realizzabile. Il pubblico potrebbe finanziare una comunità energetica da 10 megawatt in ogni comune, in grado di coprire il 50 per cento del fabbisogno di energia elettrica di un territorio. Questa produzione andrebbe integrata da altre fonti ma consentirebbe una riduzione delle emissioni in modo molto rapido, in linea con gli obiettivi Ue al 2030. Tra i benefici immediati: abbassamento dei costi dell'elettricità, creazione di posti di lavoro, sviluppo delle tecnologie rinnovabili, promozione di comunità resilienti e partecipative.

L'attuale governo continua a battere la vecchia strada delle fonti fossili, come quelli precedenti, e a non investire in efficienza e risparmio energetico, rinnovabili e sviluppo delle produzioni nazionali strategiche per una giusta transizione ecologica. La guerra non ci ha insegnato niente?
Evidentemente no. Speravamo che dal conflitto in Ucraina si potesse imparare qualcosa, capire che il modello di sviluppo basato sulle fossili stava inquinando anche il rapporto tra Paesi, legandoci a Stati autoritari e liberticidi, Russia e non solo. Ma anziché cambiare strada e batterne altre alla ricerca di soluzioni alternative, il governo ha messo in campo le stesse risposte. Per questo il 3 marzo dobbiamo scendere in piazza e dobbiamo essere in tanti.

Data articolo: Fri, 03 Mar 2023 05:30:00 GMT
News n. 25
Tutte le piazze del Global climate strike

Venerdì 3 marzo in tutto il mondo torna in piazza il popolo dei Fridays for Future. Fermare il cambiamento climatico. Limitare il riscaldamento globale. Agire con urgenza. Queste le richieste che risuonano nelle piazze dal 2018, primo anno delle proteste, quando Greta Thunberg si accampò davanti al Parlamento di Stoccolma.

Da allora, all'attivista svedese si sono aggiunti milioni di giovani, è nato un movimento globale in difesa del pianeta che quest'anno si darà appuntamento in più di trecento manifestazioni indette per il Global climate strike. La mappa completa delle iniziative si trova qui. Qui invece le iniziative previste in Italia. Di seguito alcune delle manifestazioni principali.

Londra
Regno Unito
Davanti al Parlamento
11:00-16:00
Azione diretta non violenta

Manchester
Regno Unito
St. Peter‘s Square
11.00
Sciopero

Belfast
Regno Unito
Davanti al municipio
12.00-13.00
Sciopero

Dublino
Irlanda
Davanti al municipio
12.00-13.00
Sciopero

Bergen
Norvegia
Centro città
12.00-13.00
Dimostrazione

Stoccolma
Svezia
Davanti al Parlamento svedese
12:00
Sciopero

Bruxelles
Belgio
Place Simon Bolívar
11:00
Sciopero

Brema
Germania
Marktplatz
10.00
Sciopero

Hannover
Germania
Goseriede
11:00
Sciopero

Vienna
Austria
Platz der Menschenrechte (punto d'incontro, seguito da una marcia di protesta verso Ballhausplatz)
11:30-15:00
Sciopero

Salisburgo
Austria
Alter Markt
14:100-16:00
Dimostrazione

Tarbes
Francia
Davanti al municipio
12.00-13.00
Incontro

Vigo, Pontevedra
Spagna
Davanti al municipio
12.00-13.00
Sciopero

Lubiana
Slovenia
Kongresni trg
13.00-14.00
Sciopero

Istanbul
Turchia
Karaköy/Liceo Saint Benoit
14.40-15.30
04 mar 2023

Trieste
Piazza Oberdan
09:00
Sciopero

Torino
Piazza Castello
Giovedì 2 marzo 23:00 – 02:30
Sciopero

Firenze
Piazza Santa Maria Novella
09:00-14:00
Sciopero

Roma
Piazza della Repubblica
09:30-12:00
Sciopero

Palermo
Piazza Verdi
09:00-13:00
Sciopero

Setif
Algeria
Davanti al municipio
12.00-13.00
Sciopero

Dakar
Senegal
Davanti al municipio
12.00-13.00
Giovedì 2 marzo
Incontro

Kinshasa
Repubblica Democratica del Congo
Davanti al municipio
12.00-13.00
Sciopero

Nairobi
Kenya
Stadio Kasarani
9:00
Manifestazione

Mombasa
Kenya
Piazza del Tesoro
9:00
Sabato 4 marzo
Manifestazione

Durban
Sudafrica
Musgrave
10:00-10:40
Campagna di sensibilizzazione

Arabia Saudita
Davanti al municipio
12.00-13.00
Azione diretta non violenta

Sulaymaniyah
Iraq
Davanti al municipio
17:00
Manifestazione

Ottawa
Canada
Davanti al Parlamento
12.00-13.00
Manifestazione

Toronto
Canada
Università di Toronto, davanti alla Sidney Smith Hall
13:00-14:00
Sciopero

Boston
Usa
24 Beacon St
12.00-13.00
Sciopero

New York
Usa
Davanti al municipio
12.00-13.00
Incontro

Philadelphia
Usa
Davanti al municipio
13:00-14:30
Sciopero

Seattle
Usa
Davanti al municipio
12.00-13.00
Sciopero

San Diego
Usa
San Diego Waterfront Park (1600 Pacific Hwy
17:00-18:30
Dimostrazione

Las Vegas
Usa
Downtown Container Park 707 E Fremont St
16:30
Sciopero

Tijuana, Baja California
Messico
Davanti al municipio
12.00-13.00
Mercoledì 1 marzo
Manifestazione

Monterrey, Nuevo Leon
Messico
Davanti al municipio
15:30-19:30
Sciopero

San Salvador
El Salvador
Davanti al municipio
12.00-13.00
Sciopero

Bogotà
Colombia
Davanti al municipio
12.00-13.00
Sciopero

Quito
Ecuador
Luoghi strategici a livello nazionale
11:00
Azione diretta non violenta

Varanasi
India
Istituto di scienze BHU Campus
12.00-13.00
Incontro

Nuova Delhi
India
Marcia dalla stazione della metropolitana ITO al Segretariato
15:00-17:00
Sciopero

Sendai, Miyagi
Giappone
Davanti al municipio
14.00-17.00
Sciopero

Lipa, Batangas
Filippine
Sottodivisione Nuvista Homes
17.30-18.00
Sciopero

Melbourne
Australia
Biblioteca statale di Victoria
12.00-14.00
Dimostrazione

Sydney
Australia
Davanti al municipio
12.00-15.00
Sciopero

Auckland
Nuova Zelanda
In attesa di conferma
Te Komititanga Place
Sciopero

Data articolo: Fri, 03 Mar 2023 05:30:00 GMT

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