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Recensione
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Recensione: I sedici pezzi che compongono il volume, tutti risalenti alla piena maturità dell’autore, confermano la sua vocazione di slavista e spaziano dai classici della letteratura russa, agli autori che egli idoleggia, pescando a piene mani dai margini della Mitteleuropa agli estremi confini della cultura slava, perché non sa resistere alla “gioia dell’arabesco” di Andrey Belyj, alla “truculenza da istrione” di Majakovskij . Ma non basta; alcune di queste pagine sono un resoconto personale, prima ancora che critico, di un incontro con un poeta molto amato da Ripellino, conosciuto in Italia proprio grazie alle sue traduzioni: Boris Pasternak. E la recensione si trasforma in testimonianza, delle parole del poeta dotate di “una gravità battesimale”, della sua recitazione “identica al suo stile poetico: un balbettio trafelato, un susseguirsi di scatti, di ingorghi, di brusche interruzioni”, della sua figura, ritratta così in seguito ad una visita a Peredelkino, il 15 settembre 1957: “All’ingresso della dacia, che ormai sembra far parte d’una topografia onirica, incontrammo la moglie del poeta, in un nero vestito all’antica, da cui pendeva una nera coda di stoffa: il contegnoso vestito e i capelli tinti di nero le davano l’aria d’una stanca diva del muto. Due cani abbaiarono. Poi, come scollandosi dal tronco di un albero, apparve Boris Leonidovic Pasternak in giacca di tela azzurra e calzoni di tela color latte: cordiale, con gli occhi sgranati, barcollante come un sonnambulo”.
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