Interpetazione di un racconto popolare siciliano: Tridicinu(Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, XXXIII)

di Salvatore La Grassa

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Conclusioni(1). Il carattere dell’orco

Conclusioni(1). Il carattere dell’orco


Nei racconti popolari e d’autore (quello del Perrault) riportati, l’orco è una figura fittizia, raffazzonata come in quasi tutti i racconti popolari. La di lui moglie, l’orca, è una sua succube. Essa è poco reattiva quando si accorge che il consorte le ha ucciso i figli. Sembra per nulla esperta, quasi stupida, e dove non muoiono i suoi figli, muore bruciata essa stessa, incapace di gestire l’operazione di cottura dei fanciulli catturati. In due racconti (Le petit poucet e Il gobbo Tabagnino) non ha una sorte tragica, ma consegna all’eroe briccone tutte le ricchezze dell’orco suo consorte.
L’orco viene spesso descritto e si muove secondo uno stereotipo che circolava da parecchi secoli, risalente anche ad opere storico-geografiche che descrivevano usi cannibalici di popoli lontani. Un’opera antica greca è quella di Erodoto, una medievale è Il milione di Marco Polo. A queste opere di scrittori ed anche appassionati viaggiatori, se ne devono aggiungere altre di scrittori che hanno descritto i costumi di popoli lontanissimi standosene comodamente a casa. Una di queste opere è I viaggi di Mandeville, un resoconto di viaggi a firma di Jehan de Mandeville, scritto in lingua anglo-normanna che cominciò a circolare nel XIV secolo(1355). Benché il racconto descrivesse in realtà un viaggio immaginario, fu creduto autentico per almeno due secoli(in Pino Fasano, Letteratura di viaggio, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana). In quest’opera a proposito dei costumi di popoli del paese di Lamory(isola a nod-est di Sumatra): - pur non alterando macroscopicamente le fonti (ovvero l'opera Relatio de mirabilibus orientalium Tatarorum di Odorico da Pordenone 1280-1331, missionario francescano), Mandeville dissemina alcuni elementi che sembrano confermare la sua tendenza a delocalizzare nell’Oriente tratti pertinenti del demoniaco occidentale. Parlando del commercio di bambini gestito dai mercanti che approdano a Lamory, l’autore puntualizza che: "S’ils sont crasses, ils les mangent tantost, et s’ils sont megres ils les font encrasser" (in Martina Di Febo, Forme dell’antropofagia in alcuni testi medievali, articolo pubblicato in Letteratura, alterità, dialogicità. Studi in onore di Antonio Pioletti, Le Forme e la storia, n.s. VIII, 2015, 1, pp. 327-339).
A questi più antichi scritti se ne aggiunsero altri dediti alle descrizioni delle popolazioni del nuovo mondo, ovvero le Americhe. L’orco nelle fiabe prende le sembianze sia dei maghi e delle streghe, spesso condannati perché associati agli eretici, sia dei cosiddetti cannibali del nuovo mondo di cui i missionari cominciavano a descrivere i costumi.
A questo proposito cito un brano tratto da un’opera di Pietro Martire d'Anghiera, storico vissuto tra il XV e il XVI secolo (Arona 1457 - Granata 1526), ovvero “De Orbe novo”, un trattato in cui l’autore da un resoconto indiretto delle popolazioni che vivevano nelle Americhe. Quest’autore, vissuto in mezzo al clero di Roma e di Spagna, si rifà probabilmente ai racconti dei missionari, forse anche tramandati per interposta persona, che erano andati nel nuovo mondo. Di seguito il brano:
I pacifici isolani si lagnano che le loro isole siano assiduamente molestate dalle frequenti incursioni dei Cannibali, che si comportano non diversamente dai cacciatori quando, con la violenza e con le insidie, cacciano le fiere attraverso i boschi. Essi mutilano i fanciulli che prendono, come noi i galli e i porci che vogliamo crescere più grassi e più delicati al palato; e quando sono cresciuti e fatti più grassi, li mangiano” (Pietro Martire d'Anghiera, Mondo nuovo, Milano IEI, 1958, p. 68)
Probabilmente nel brano succitato viene descritto un cannibalismo di tipo guerresco che tende a sterminare il nemico. Nell’antica Europa casi isolati di cannibalismo avvennero in occasioni di città assediate per lungo tempo. Gli abitanti delle città assediate sopravvivevano grazie a forme di cannibalismo. Presso gli antichi Romani vennero accusati di cannibalismo i primi cristiani. Poi nell’alto medioevo si diffusero prima le accuse di cannibalismo verso gli ebrei e poi verso gli eretici, questi ultimi collegati al demoniaco. Nella mitologia greca il cannibalismo viene considerato spesso come una sorta di pazzia: vedi il cannibalismo del lupo mannaro collegato alle divinità lunari, vedi la furia cannibalesca delle Baccanti, ovvero delle tre sorelle di Semele (Autonoe, Agave e Ino) cui Dioniso infonde la pazzia per la loro incredulità e che scambiano il nipote Penteo per un animale da preda. Presso i greci ci sono pure forme di cannibalismo guerresco, tipo quello dell’eroe tebano Tideo: al tempo della guerra di Tebe, Tideo, ferito a morte da Melanippo, chiede ad Anfiarao, accorso in sua difesa ed ucciso o ferito a morte l'avversario(dal destriero nero), di porgergli il di lui cervello per divorarlo. Infine si può supporre che sia esistito un cannibalismo sotto forma di sacrificio umano agli dei, sacrificio che nella cultura greca fu connesso al peccato di hybris di coloro che avevano organizzato tali eventi.
I novellatori spesso evidenziano una caratteristica sensoriale dell’orco cannibale, egli sente l’odore di carne umana. Sembra quindi che l’orco abbia sviluppato l’olfatto come alcuni animali mammiferi. Di conseguenza dovrebbe sapere riconoscere l’odore dei suoi familiari e dei suoi animali, distinguendolo da odori estranei alla sua cerchia. In alcuni racconti, e fra questi Le petit poucet del Perrault, il novellatore ha avuto la sensibilità di non contraddire questa caratteristica sensoriale dell’orco cannibale. Modifica la capacità olfattiva dell’orco: egli sente la differenza tra carne viva e carne morta. Anche presso un autore letterato di fiabe, Joseph Jacobs (29 agosto 1854-30 gennaio 1916), folclorista australiano, viene riportata questa differenza. In una sua fiaba abbastanza famosa in cui un fanciullo riesce a rubare oggetti preziosi e magici ad un orco, Jack e il fagiolo magico, la moglie dice al marito orco che sente odore particolare di carne: "non sai ancora riconoscere la differenza tra l'odor di carne viva e l'odor di carne morta". Dice questo perché aveva cucinato carne di animali(carne morta) e nello stesso tempo aveva nascosto il fanciullo Jack; nel racconto del Perrault la moglie dell’orco dice al marito che sta confondendo per carne viva l’odore sprigionato dal vitello appena spellato, ma quello è convinto del fatto suo e seguendo il suo fiuto scopre Puccettino e i fratelli sotto il letto.
Comunque nel racconto milanese, in cui l’orco sente odor di criastianucci, la contraddizione è palese, perché l’orco non si fida del suo olfatto e segue, mezzo addormentato, i sensi della vista per distinguere gli estranei dai familiari. Avviene questo perché la fiaba orale solitamente non è opera ripensata dai novellatori: il più delle volte, come l’hanno ascoltata, così la ripetono; anche se non mancano novellatori o novellatrici analfabete che reinterpretano e modificano il racconto: penso alla famosa novellatrice del Pitré, Agatuzza Messia.
Lo scambio delle cuffie o berrette da notte per sottrarsi alla malvagità dell’orco è un espediente che si trova in quasi tutte le fiabe che narrano la vicenda di fanciulli che sono finiti prigionieri di un orco(S. Thompson, La fiaba nella tradizione popolare, Il Saggiatore, 1967, p.64), per cui è probabile che il riferimento all’olfatto straordinario dell’orco sia succedaneo all’espediente. Coloro dei raccontatori che inserirono per primi l’odorato straordinario dell’orco non si accorsero, però, che entravano in contraddizione: questa disattenzione si presta ad interpretare l’orco come uno stupido, oltre che un malvagio. Il che forse non fa bene alla fiaba.
In tre delle fiabe cui accenniamo (Tridicinu, Corvetto, Le petit poucet) c’è una costante che sembra la chiave per un tentativo di interpretazione del senso della fiaba ed anche della sua genesi. L’orco è sommamente interessato all’organizzazione di una festa con i suoi amici e parenti. Egli va personalmente ad invitare amici e parenti e lascia altre incombenze alla moglie. L’orco in questo frangente si dimostra attivo nel mantenere delle relazioni sociali. Egli sicuramente non è un lupo solitario, come per esempio il lupo mannaro o l’uomo selvatico; egli vuole condividere le sue prede. Il racconto popolare, la fiaba e l’eroe e qualche volta il re(il re che aiuta il gobbo Tabagnino donandogli un bastone magico) gli impediscono di attuare questo disegno.

Illustrazione Gustave Dorè per Le petit poucet, l'orco seguendo il suo fiuto scopre Puccettino e i fratelli sotto il letto

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