Interpetazione di un racconto popolare siciliano: Tridicinu(Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, XXXIII)

di Salvatore La Grassa

TAG: Giuseppe Pitré, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, Francesca Leto, Salvatore Salamone Marino, Patri-drau, Matri-drau, convito cannibalesco, il briccone, il maestro ladro, il tredicesimo mese, il briccone, il fanciullo e l'orco, il nano e l'orco, tempo di congiunzione tra un grande anno lunisolare e il successivo, periodo liminare, classi umili prendono in giro i maggiorenti, orco nel bosco con moglie, orco nel bosco con moglie e figli(in alcune varianti), il furto ai danni dell'orco come prova di valore, imprese assegnate su richiesta dei rivali gelosi o dei fratelli invidiosi, Capodanno, fine e inizio d'anno, uso e consumo di dolcetti tipici di fine autunno e inizio inverno, moglie dell'orco finisce nel forno e la sua carne in tavola, l'orco corre per invitare i parenti e gli amici al convito cannibalesco, Erisittone sradicatore di alberi sacri, Nodey nipote del pope, nei giorni festivi lo spettacolo dei condannati a morte



El Tredesìn, racconto tratto da La novellaja milanese di Vittorio Imbriani

El Tredesìn, racconto tratto da La novellaja milanese di Vittorio Imbriani


C’era una volta un pover’uomo. Aveva tredici bambini, e non sapeva proprio come fare a dargli da mangiare. Un giorno disse ai suoi bambini:
– Andiamo in campagna, andiamo da qualche parte, a vedere se si può trovare qualcuno che mi possa dare un po’ di pane o qualche altra cosa da mangiare.
Capitarono in una campagna dove videro una casa con una corte, ed entrarono. C'era una donna, e Tredicino le chiese se aveva qualcosa da dargli, che lui aveva tredici bambini. E lei gli rispose:
– Pover’uomo, mi rincresce, ma ora non posso darvi nulla, perché vi devo nascondere, perché se torna a casa mio marito, che è il mago, potrebbe mettersi a mangiare i vostri bambini. E allora, prima bisogna che vi metta in cantina, e che gli dia da mangiare. Poi dopo glielo dirò, e allora vi farò venire su e darò da mangiare anche ai vostri bambini.
E il mago tornò a casa come aveva detto la donna, tornò a casa e disse:
– Ucci ucci, sento odor di cristianucci.
– Siediti qui a mangiare, prendi questo, perché qui non c’è nessuno da mangiare!
Dopo che ebbe ben mangiato, lei gli disse:
– Eh, caro mio, ho proprio nascosto in cantina un pover’uomo con tredici bambini. Guarda che anche noi abbiamo dei bambini. E allora, vedi bene che si deve dar da mangiare anche quei poveri bambini.
E così, li fecero venire su, e a questi bambini gli diedero da mangiare. E lui disse:
– Bene, adesso mettili tutti a letto. E ai nostri mettigli in testa la berretta bianca e ai suoi una cuffia rossa.
E così andarono a letto. Lui, Tredicino, fece addormentare tutti i suoi bambini, e poi piano piano andò a levare la cuffia ai suoi bambini e la mise in capo ai bambini del mago; e quella che portavano i bambini del mago la mise in capo ai suoi. E così il mago la mattina si svegliò, si alzò, prese i bambini con la cuffia rossa e li ammazzò tutti, e poi se ne andò.
E allora Tredicino, che era rimasto sveglio perché lui se l’era immaginato che ci fosse sotto qualcosa, e che il mago lo volesse tradire, prese i suoi bambini, li fece vestire e scapparono via di corsa. Quando la moglie del mago andò a svegliare i suoi bambini, li trovò che erano tutti morti. Tornò a casa il mago e lei gli disse:
– Ma che hai fatto tu? tu hai ammazzato tutti i nostri bambini!
Allora il mago disse:
– Brutto birbante di un Tredesìn! aveva capito che volevo ammazzargli i bambini! lui ha scambiato le cuffie e io ho ammazzato i miei.
E intanto Tredicino camminava e camminava, senza sapere come fare a tirare avanti con tutti questi bambini. Capitò che un servitore del re sentì di questa cosa capitata al Tredesim, e la raccontò al re, per vedere se poteva dargli qualcosa a questo pover’uomo, che non sapeva come fare a mantenere i suoi bambini. E lui, il re gli disse:
– Senti cosa gli devi dire: se gli riesce di andare dal mago a rubargli quel suo pappagallo, io gli darò una bella somma.
Tredicino disse:
– Ma come posso farcela? Basta, proverò ad andarci quando lui non è in casa, che forse con sua moglie da sola riuscirò a rubarlo.
E così andò, e c'era la moglie, aveva in mano il pappagallo per portarglielo via, quando arrivò il mago. Il mago gli disse:
– Ah! tu sei qui? Me ne hai già fatta una, e ora sei tornato a farmi la seconda.
Lo legò, e poi disse alla moglie:
– Sta’ ben attenta, ora vado a prendere l’acqua ragia, perché gli voglio dar fuoco. Intanto tu prendi questo ceppo e l’ascia e spezzalo. Perché così quando torno a casa metto su quel ceppo e l’acqua ragia e lo brucio.
Lei, povera donna, dava colpi sul ceppo, ma non ce la faceva a spezzarlo, perché era duro duro. Allora Tredicino le disse:
– Povera donna, slegami un momento che te lo spezzo io, e via! poi mi rileghi, così quando tuo marito torna trova la legna bell’e tagliata.
Lei lo slegò e appena fu sciolto lui andò a prendere il pappagallo e scappò. Tornò il mago e non trovò più né Tredicino né il pappagallo. Allora cominciò a picchiare la moglie, perché l’aveva slegato e l’aveva fatto scappare, e fece una baruffa del diavolo. Intanto Tredicino andò a portare al re il pappagallo del mago. Il re tutto contento gli fece un bel regalo, e gli disse:
– Adesso mi devi fare un’altra cosa. Io desidero che tu vada a rubare la coperta che ha sul letto, quella coperta tutta piena di campanelli.
– Caro il mio re, ma come posso fare per prendergli una coperta tutta piena di campanelli?
– Devi riuscire a prenderla in tutti i modi.
E Tredesìn partì. Arrivò mentre la moglie del mago era di sotto a fare le sue faccende, e lui andò di sopra con della bambagia e si mise a riempire tutti quei campanelli perché non suonassero, poi quando ebbe finito si nascose. La sera il mago andò a letto, e Tredicino aspettò che si fosse addormentato ben bene, poi cominciò a tirarla giù e piano piano la tirava giù. Si svegliò il mago e disse:
– Chi c’è qui, che mi sento tirare la coperta?
E Tredicino:
– Gnau, gnau! – faceva finta di essere un gatto.
Lo fece riaddormentare ben bene, e poi un pezzetto per volta riuscì a tirargli giù la coperta, e via! se ne andò con la sua coperta. Il Mago la mattina si svegliò, cercò la coperta ma non la trovò, la cercò da tutte le parti. Cerca e ricerca, non ci fu modo di trovarla da nessuna parte:
– Ah, quel brutto birbante del Tredesìn, me l’ha fatta per la terza volta! Ma se mi capita fra le mani... se un domani riesco ad averlo fra le mani io lo ammazzo, perché me ne ha fatte troppe.
Intanto Tredicino andò dal re. Il re gli disse:
– Bravo! sei proprio bravo, ci sei riuscito! Voglio darti una grande somma, che puoi starci bene. Ma ora devi farmi un’altra cosa, e poi farò di te un gran signore. Devi farmene un’altra: e poi sarai proprio un signore. Tu devi trovare il modo di consegnarmi il mago.
– Come posso fare io? Se il mago ora mi acchiappa, mi ammazza! Basta, farò di tutto, per farle anche questa.
Ci pensò: si vestì in un modo tutto diverso dal solito, si mise una barba finta e poi andò. Disse alla moglie del Mago:
– Dite voi, vostro marito è in casa?
– Sì, che c’è: vado subito a chiamarlo.
E così Tredicino gli disse:
– Son venuto qua da lei per chiederle un piacere. Deve sapere che ho ammazzato uno che chiamano Tredicino, e devo fargli la cassa da morto, ma per farla mi mancano le assi. Son venuto da lei a vedere se mi può dare delle assi.
Disse il mago:
– Bravo! hai fatto proprio bene ad ammazzarlo, le assi te le do subito. Vieni, vieni! Ti aiuterò anch’io a farla, la cassa, per rinchiuderci quel brutto birbante. Dai, vieni ti aiuto anch'io a farla, la cassa per metterci dentro quel birbantone. Dai!
Gli diede delle assi; e Tredicino si mise a lavorare per fare la cassa. E intanto il mago stava sempre lì a guardarlo. Fece tutta la cassa, che mancava solo di chiuderla, e quando ebbe fatto:
– Ora non so più come andare avanti, perché non ho la misura per vedere se può andar bene. Mi pare che Tredicino sia grande come lei. Provi un po’ ad andarci dentro lei, che così vedo se va bene, perché è grande come lei. Se va bene a lei, andrà bene anche al Tredesìn.
– Bene, aspetta, che ora mi ci metto subito dentro. Guarda, guarda se va bene.
Appena fu dentro, Tredicino prese il coperchio e in un batter d’occhio, tic tac, l’aveva già inchiodato alla cassa. Però in questa cassa aveva fatto dei buchi in modo che il mago potesse respirare, perché al re glielo doveva consegnare vivo. Là vicino c’erano dei suoi amici per aiutarlo a portare la cassa, erano là ad aspettare e la portarono alla corte del re. La consegnarono al re; e il re fu molto felice quando vide che erano riusciti a consegnargli il mago vivo e vegeto. Gli regalò una grandissima somma, che gli bastò per fare il signore per tutto il resto della sua vita.

Illustrazione di Gustave Dore' per la fiaba Le petit Poucet

(Traduzione in italiano di Adalinda Gasparini)


Tutti gli articoli su Tridicinu