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La nuova Rottamazione quinquies cambia passo rispetto alla versione contenuta nel disegno di Legge di Bilancio 2025 e si presenta come una misura più sostenibile per chi ha cartelle esattoriali pendenti con il Fisco.
Nella riformulazione del suo emendamento alla Manovra, il Governo ha rivisto al ribasso il tasso di interesse applicato ai pagamenti rateali, fissandolo al 3%, con l’obiettivo di favorire l’adesione e rendere più gestibili i piani di rientro.
Il correttivo di Governo è una risposta di compromesso rispetto ad un emendamento simile presentato dalla Lega, che prevedeva un tasso ridotto al 2% rispetto all’ipotesi iniziale del 4% inserita nello schema di legge.
La Rottamazione quinquies riguarda i debiti affidati all’agente della riscossione in un arco temporale molto ampio, che va dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2023. In pratica, possono rientrare tutte le cartelle riferite a questo periodo. Restano fuori dal perimetro:
La definizione agevolata si applica ai debiti derivanti dal mancato versamento di imposte dichiarate. Accanto ai tributi, possono essere inclusi anche i contributi previdenziali dovuti all’INPS, purché non derivino da accertamento.
L’impianto della norma punta quindi a distinguere tra irregolarità dichiarative e evasione accertata, concentrando il beneficio sui debiti già emersi.
Aderendo alla rottamazione quinquies, il contribuente è tenuto a versare il capitale, ossia l’importo dell’imposta o del contributo non versato, e le spese di notifica e le eventuali spese per le procedure esecutive.
Vengono invece azzerate sanzioni, interessi di mora, aggio e sanzioni civili sui contributi previdenziali, con una riduzione importante dell’importo complessivo dovuto.
Il debito potrà essere saldato in un’unica soluzione, con scadenza fissata al 31 luglio 2026 oppure tramite un piano rateale fino a 54 rate bimestrali, pari a 9 anni. Tutte le rate avranno lo stesso importo e saranno soggette a un tasso di interesse del 3%, inferiore a quello inizialmente previsto nelle prime versioni dell’emendamento.
La perdita dei vantaggi della rottamazione scatterà in caso di mancato pagamento di due rate, anche non consecutive oppure mancato pagamento dell’unica rata, se non si sceglie la rateizzazione. In caso di decadenza, il debito torna integralmente esigibile secondo le regole ordinarie.
L’ecosistema delle startup italiane mostra segnali contrastanti. Cresce il numero delle operazioni di investimento, ma diminuiscono le risorse complessivamente raccolte. È quanto emerge dal report “Humans SIOSâ€, presentato a Milano in occasione di SIOS25 Winter, che restituisce l’immagine di un sistema dinamico ma ancora fragile nel passaggio dalla fase di avvio a quella di crescita strutturata.
Nel corso del 2025 sono stati chiusi 204 round di investimento, con un incremento del 10,5% rispetto all’anno precedente. A fronte di un aumento delle operazioni, però, la raccolta complessiva si è però fermata a 1,1 miliardi di euro, in calo del 22% rispetto agli 1,4 miliardi del 2024. Un dato che segnala una maggiore frammentazione degli investimenti e una difficoltà crescente nel sostenere round di dimensioni medio-grandi.
Il mercato risulta fortemente polarizzato. Alcune operazioni di grandi dimensioni concentrano una quota rilevante delle risorse disponibili, con pochi round che da soli valgono quasi il 40% dell’intera raccolta annuale. Tra le operazioni di maggior rilievo figurano i round di AAVantgarde Bio, Nanophoria, Exein e Hercle, a conferma di una selettività crescente da parte degli investitori.
Dal punto di vista settoriale, il fintech si conferma il comparto con il maggior numero di operazioni (16 round, pari al 7,9%), seguito da biotech, medtech e HR (13 round ciascuno) e dal deeptech (12 round). Il dato evidenzia una progressiva attenzione verso tecnologie ad alto contenuto scientifico e industriale, considerate più adatte a sostenere strategie di lungo periodo.
Sul piano geografico, la Lombardia si conferma il principale hub nazionale, concentrando il 47,3% dei deal complessivi, pari a 96 operazioni. In controtendenza, il canale dell’equity crowdfunding registra una contrazione, con una raccolta pari a 48 milioni di euro, in calo del 9,2% su base annua.
Il confronto con il resto d’Europa resta critico. Nei primi nove mesi del 2025 il mercato europeo del venture capital ha raccolto circa 33 miliardi di euro, in crescita del 7%, mentre l’Italia rimane marginale in termini di dimensioni e capacità di generare exit. Le operazioni di uscita restano poche e frammentate, un fattore che limita il reinvestimento dei capitali e la maturazione dell’ecosistema. La debolezza del sistema italiano riguarda la fascia centrale delle startup, che fatica a compiere il salto dimensionale necessario per competere su scala europea.
La crescita dei numeri, senza un rafforzamento dei capitali disponibili e delle politiche di sostegno, rischia di tradursi in una moltiplicazione di iniziative che non riescono a consolidarsi.
Conto alla rovescia per il Conto Termico 3.0, nuovo meccanismo incentivante per la transizione energetica di imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini. Mancano ancora le regole operative del GSE, che consentiranno materialmente di presentare la richiesta di contributi dopo la data spartiacque del 25 dicembre 2025, giorno in cui va in pensione in Conto Termico 2.0.
Il meccanismo sostiene con contributi a fondo perduto gli interventi di efficienza energetica e l’installazione di impianti termici alimentati da fonti rinnovabili come pompe di calore, caldaie a biomassa e solare termico. Con una dotazione di 900 milioni di euro e procedure semplificate, il Conto Termico 3.0 amplia i beneficiari e introduce nuovi incentivi per l’innovazione green, l’automazione degli edifici e la decarbonizzazione del parco immobiliare italiano.
In questa guida spieghiamo in dettaglio come funziona il Conto Termico 3.0, chi può accedervi, quali sono i requisiti tecnici, le spese ammissibili e le modalità di richiesta online tramite il portale GSE.
Il Conto Termico 3.0 è il meccanismo di sostegno in conto capitale dedicato alla diffusione di interventi di efficienza energetica e di produzione di energia termica da fonti rinnovabili negli edifici. Rappresenta l’evoluzione del Conto Termico 2.0, con ampliamento di platea, tecnologie e modalità di accesso, nonché semplificazioni procedurali e una dotazione annuale potenziata.
Il perimetro dei soggetti ammissibili comprende:
È condizione generale l’intervento su fabbricati esistenti e regolarmente accatastati, con impianti conformi alla normativa tecnica di settore e installazioni eseguite da operatori qualificati.
Il Conto Termico 3.0 consente ai cittadini di accedere agli incentivi per la sostituzione degli impianti termici con tecnologie ad alta efficienza e basse emissioni.
Le spese ammissibili includono pompe di calore elettriche o ibride, generatori a biomassa, sistemi solari termici e dispositivi evoluti di regolazione e controllo della temperatura. Non sono invece finanziabili gli interventi di coibentazione dell’involucro edilizio o altri lavori edilizi.
I contributi possono essere erogati in un’unica soluzione per importi contenuti, con procedure di accesso semplificate tramite portale GSE.
Le imprese e le attività del settore terziario – come negozi, uffici, hotel, ristoranti o strutture ricettive – possono accedere al Conto Termico 3.0 per la sostituzione dei generatori a combustibili fossili con sistemi ad alta efficienza, l’installazione di pompe di calore e impianti solari termici, oltre alla digitalizzazione e automazione degli impianti di climatizzazione.
Gli incentivi possono coprire fino al 65% della spesa ammissibile e sono cumulabili con fondi regionali o europei, nel rispetto del divieto di doppio finanziamento.
Per enti locali (Comuni, Province, Regioni), scuole, ospedali, strutture sanitarie e organizzazioni del Terzo Settore, il Conto Termico 3.0 consente di finanziare fino al 100% delle spese per la riqualificazione energetica degli edifici pubblici e la coibentazione dell’involucro edilizio.
Le amministrazioni possono inoltre utilizzare i contributi per sistemi di building automation, impianti di climatizzazione a pompa di calore e progetti integrati per la gestione intelligente dell’energia, anche in ottica di comunità energetiche pubbliche.
Il Conto Termico 3.0 apre per la prima volta alle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e ai gruppi di autoconsumo collettivo. Gli incentivi coprono gli impianti termici da fonti rinnovabili, i sistemi di accumulo e le infrastrutture digitali per la gestione condivisa dei flussi energetici.
Le CER possono così combinare i vantaggi del Conto Termico con quelli dell’autoconsumo collettivo, favorendo modelli energetici locali, partecipativi e sostenibili.
I condomìni possono richiedere il contributo per la sostituzione delle centrali termiche condominiali, l’installazione di sistemi di contabilizzazione del calore e di building automation. Gli interventi sull’involucro restano esclusi per i soggetti privati, ma sono ammessi per i condomìni pubblici o misti nell’ambito di programmi locali o PNRR integrati.
Gli amministratori condominiali possono presentare la domanda per conto dei condomini, allegando la delibera assembleare e la documentazione tecnica richiesta dal GSE.
Le imprese agricole, artigiane e produttive possono beneficiare del Conto Termico 3.0 per interventi di efficientamento degli impianti termici, recupero del calore di processo, installazione di pompe di calore e generatori a biomassa per serre, laboratori e locali di produzione.
Per le aziende del Mezzogiorno, gli incentivi sono maggiorati e possono coprire fino al 75% dell’investimento ammissibile, in linea con le politiche di coesione e competitività energetica delle PMI.
| Categoria di beneficiario | Interventi ammessi | Interventi esclusi | Percentuale incentivo |
|---|---|---|---|
| Famiglie e persone fisiche | Pompe di calore, generatori a biomassa, solare termico, sistemi di regolazione e automazione | Coibentazione, cappotti, infissi, schermature solari | Fino al 65% |
| Imprese e immobili del terziario | Sostituzione impianti termici, solare termico, automazione e digitalizzazione energetica | Interventi riqualificazione energetica sull’involucro | Fino al 65% |
| Enti locali ed enti del Terzo Settore | Riqualificazione energetica completa, coibentazione, impianti termici, building automation | Nessuno, se in linea con i requisiti tecnici | Fino al 100% |
| Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) | Impianti termici da FER, accumuli, gestione energetica condivisa | Interventi edilizi non connessi alla produzione termica | Fino al 65% |
| Condomìni | Centrali termiche condominiali, contabilizzazione del calore, automazione | Involucro edilizio (salvo condomìni pubblici o misti) | Fino al 65% |
| Imprese agricole e microimprese | Generatori a biomassa, pompe di calore, recupero calore di processo | Interventi edilizi non connessi al ciclo produttivo | Fino al 75% (Mezzogiorno) |
I valori indicativi saranno confermati nei decreti attuativi del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e nelle regole applicative del GSE.
Fumata nera per le imprese del Sud che hanno ottenuto il credito d’imposta ZES Unica: nella Manovra 2026 non ci sarà il rifinanziamento aggiuntivo rispetto al bonus ripartito in misura pari al 60,3% di quanto teoricamente spettante vista lelevata affluenza di richieste pervenute. L’emendamento del Governo alla Legge di Bilancio avrebbe dovuto introdurre un’integrazione del credito concesso, pari al 14,6% dell’ammontare dell’importo richiesto con la Comunicazione sugli investimenti effettuati trasmessa entro il 2 dicembre, ma alla fine la misura è stata stralciata nella nuova riformulazione dell’emendamento.
La ripartizione del plafond disponibile per il 2025, lo ricordiamo, ha visto le imprese beneficiarie ottenere il 60,3% di quanto richiesto, mentre nel 2026 – per ogni impresa richiedente – il Governo aveva inizialmente deciso di inserire nella nuova Legge di Bilancio ulteriori risorse per elevare la percentuale di credito d’imposta utilizzabile, per un totale di circa il 75% fra prima erogazione e integrazione.
Dopo un’ennesima notte di dibattito politico in seno alla maggioranza, il maxi-emendamento di Governo è stato riscritto con lo stralcio una serie di misure (ad esempio su pensioni, TFR e riscatto di laurea) e di coperture per il rifinanziamento di strumenti per le imprese, come la ZES Unica e gli investimenti esauriti nel 2025 per la Transizione 4.0.
Il Credito d’imposta ZES, lo ricordiamo, agevola gli investimenti in beni strumentali destinati a strutture produttive nella zona economica speciale unica del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna e Umbria). Le imprese beneficiarie avevano presentato in primavera una prima comunicazione all’Agenzia delle Entrate per prenotare il bonus sulla base della previsione di spesa, seguita poi dalla comunicazione integrativa di fine anno, per attestare l’avvenuta realizzazione entro il termine del 15 novembre 2025 degli investimenti effettuati e indicare il conseguente credito d’imposta maturato. Il bonus è utilizzabile solo in compensazione, presentando il modello F24.
Nuove opportunità di lavoro nel settore pubblico qualificato. Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale – 4ª Serie speciale Concorsi ed Esami n. 98 del 16 dicembre 2025, la Banca d’Italia ha bandito un concorso pubblico per 160 posti destinati all’amministrazione centrale e alla rete territoriale dell’Istituto.
Il bando prevede l’assunzione complessiva di 160 unità , da destinare sia alle strutture centrali della Banca d’Italia sia alle sedi dislocate sul territorio nazionale. Le risorse selezionate saranno inserite in ruoli che supportano le attività istituzionali dell’Istituto, dalla vigilanza bancaria ai servizi amministrativi e organizzativi.
La partecipazione al concorso è riservata ai candidati in possesso dei requisiti generali per l’accesso al pubblico impiego. Tra questi rientrano, in particolare:
Il bando disciplina in modo puntuale anche i titoli di studio richiesti, differenziati in base ai profili professionali per cui si concorre.
La procedura concorsuale prevede una selezione articolata in più fasi. In linea con i concorsi della Banca d’Italia, sono generalmente previste:
Le modalità di svolgimento delle prove, il calendario e le comunicazioni ai candidati saranno pubblicati secondo le indicazioni fornite dall’Istituto.
La domanda di partecipazione deve essere presentata esclusivamente secondo le modalità indicate nel bando ufficiale, entro il termine stabilito: le ore 12:00 del 27 gennaio 2026, utilizzando esclusivamente l’applicazione disponibile sul sito della Banca d’Italia.
Il testo integrale del bando, con il dettaglio dei profili, dei requisiti specifici e delle scadenze, è consultabile sul sito della Gazzetta Ufficiale e sui canali istituzionali della Banca d’Italia.
Non solo figli piccoli: anche la cura dei genitori anziani entra a far parte del welfare aziendale, che per le nuove generazioni diventa più utile di altri benefit, permettendo loro di accedere a servizi di supporto nell’ambito della conciliazione vita-lavoro
Secondo la recente indagine dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, infatti, un giovane su due tra gli appartenenti alla Generazione Z dà valore alla possibilità di beneficiare di servizi di welfare aziendale che tutelano i familiari anziani di cui sono caregiver.
Ammonta al 67%, inoltre, la percentuale di coloro che considera importante poter contare su servizi sanitari per la salute individuale, mentre un buon 57% mostra interesse verso la disponibilità di servizi sanitari per i genitori. Dietro questa tendenza, come spiega Martina Mauri, direttrice dell’Osservatorio, c’è la constatazione dell’insufficienza di servizi pubblici mirati allo stesso scopo.
Una richiesta che crescerà sempre di più e di cui registriamo una crescente consapevolezza da parte delle aziende.
Le società si affidano spesso per la gestione dei pacchetti ai provider, segnala l’Osservatorio: da un lato è una semplificazione delle procedure ma dall’altro viene meno la personalizzazione dei benefit che spesso fa la differenza in ottica di retention.
Una notte di lavoro dei tecnici dopo una giornata di scontri politici ha prodotto una nuova versione dell’emendamento di Governo alla Legge di Bilancio 2026. Il testo, arrivato all’alba di venerdì 19 dicembre in commissione al Senato, riscrive profondamente il correttivo presentato dal Governo nei giorni precedenti e segna un netto cambio di rotta: escono dalla Manovra sia il pacchetto previdenziale sia il rifinanziamento degli incentivi 4.0 alle imprese.
La soluzione individuata dall’Esecutivo Meloni sarebbe lo stralcio delle misure più controverse e il rinvio a un decreto legge collegato, da approvare entro la fine dell’anno. Vediamo tutto.
Il capitolo previdenza, che aveva portato la maggioranza a un passo dalla crisi di Governo, viene di fatto cancellato dal testo della Manovra. Restano fuori tutte le misure che avrebbero irrigidito le regole di accesso alla pensione anticipata. In particolare, vengono stralciate:
Le prime due misure hanno innescato in particolare la reazione della Lega, che ha chiesto lo stralcio immediato delle norme. Dopo ore di trattative, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha dovuto cedere alle pressioni del suo partito onde evitare una crisi politica.
Dal nuovo emendamento spariscono anche gli interventi a favore delle imprese, a partire dal rifinanziamento di Transizione 4.0 e della Zes Unica del Mezzogiorno. Misure che avrebbero dovuto compensare il taglio dei fondi di Transizione 5.0, ridotti nella rimodulazione del PNRR da 6,4 a 2,6 miliardi. Secondo le stime del ministero delle Imprese, la “lista d’attesa†delle aziende escluse dagli incentivi ammonta a circa 1,7–1,8 miliardi di euro. Il correttivo ritirato dal Governo prevedeva coperture per 1,3 miliardi, da garantire attraverso il ritorno agli sgravi di Transizione 4.0, meno generosi rispetto al nuovo schema 5.0.
Esce dalla Manovra anche la copertura assicurata dal maxi-acconto da 1,3 miliardi a carico delle compagnie di assicurazione, chiamate a versare in anticipo l’85% del contributo al Servizio sanitario nazionale.
Nel nuovo testo torna invece una misura che era già comparsa nelle prime bozze della Manovra: la ritenuta d’acconto sulle transazioni business to business.
È previsto un avvio graduale nel 2028, con aliquota dimezzata allo 0,5% e un gettito stimato in 734,5 milioni di euro. A regime, dal 2029, l’aliquota per le fatture B2B sarà dell’1% con un gettito stimato in 1,469 miliardi annui.
La misura rappresenta una delle principali leve di entrata rimaste nel correttivo.
Per evitare che lo stralcio comprometta l’impianto complessivo della Manovra 2026, il Governo punta ora su un decreto legge collegato, da approvare in Consiglio dei Ministri entro la fine dell’anno. Il provvedimento dovrebbe recuperare alcune delle misure espunte, in particolare i sostegni alle imprese.
Secondo quanto spiegato dal sottosegretario al MEF, Federico Freni, l’obiettivo è garantire che tutte le risorse promesse alle aziende trovino comunque attuazione, anche se fuori dalla legge di bilancio. «Non un centesimo in meno», è la linea ribadita dall’esecutivo.
Il calendario parlamentare prevede il passaggio finale alla Camera dopo il via libera del Senato, con voto definitivo atteso per il 30 dicembre. A poche ore dal rischio di esercizio provvisorio, il Governo tenta così un’uscita di sicurezza: alleggerire la Manovra, evitare la crisi politica e rinviare le misure più delicate a un decreto separato.
Una strategia che sposta il confronto dai conti di fine anno ai primi giorni del 2026, ma che consente all’esecutivo di arrivare al traguardo della legge di bilancio senza far saltare l’equilibrio della maggioranza.
In Italia le opportunità di lavoro non mancano, ma sono sempre più concentrate in alcuni settori specifici. A dirlo è l’ultimo aggiornamento di Eurostat sui posti vacanti in tutta Europa, che fotografa un mercato occupazionale meno espansivo rispetto agli ultimi anni, ma ancora segnato da forti difficoltà di reclutamento per molte imprese.
Nel terzo trimestre del 2025, il tasso di posti di lavoro vacanti nell’Unione europea si è attestato al 2,1%, in calo rispetto al 2,3% del trimestre precedente e allo stesso periodo del 2024. Un rallentamento che, tuttavia, non coinvolge tutti i comparti allo stesso modo.
Le maggiori difficoltà di assunzione riguardano innanzitutto le attività commerciali. Le imprese faticano a reperire responsabili delle vendite, profili del marketing e addetti allo sviluppo commerciale, figure centrali per sostenere fatturato e competitività in una fase economica complessa. Restano elevate anche le richieste nel comparto manifatturiero, dove mancano operai specializzati, e tra gli impiegati amministrativi, una figura che continua a essere essenziale nella gestione operativa delle aziende.
Secondo Eurostat, la domanda di lavoro resta sostenuta per gli addetti alle vendite, gli operatori della logistica e gli agenti di commercio. Si tratta di ruoli strettamente legati al funzionamento delle filiere produttive e distributive, che continuano a offrire opportunità occupazionali anche in una fase di rallentamento macroeconomico. Buona la tenuta anche per la richiesta di ingegneri, con l’eccezione del ramo elettrotecnico, dove la domanda appare più contenuta rispetto ad altri ambiti tecnici.
Tra i settori più resilienti emergono la ristorazione e le professioni artistiche e culturali. Cuochi, tecnici della ristorazione e profili legati al mondo culturale continuano a essere ricercati, segno che alcuni servizi mantengono una buona capacità di assorbimento occupazionale.
Il quadro che emerge dai dati Eurostat è quello di un mercato del lavoro europeo meno dinamico, ma sempre più selettivo. Le opportunità non sono distribuite in modo uniforme: oggi contano sempre di più competenze specifiche e profili mirati, mentre il disallineamento tra domanda delle imprese e offerta di lavoro resta uno dei nodi strutturali del sistema.
Il rapporto tra imprese, professionisti e tecnologie si sta ridefinendo in base ai grandi cambiamenti che coinvolgono la sicurezza digitale e l’identità online, in continua evoluzione. Il 2025, in particolare, ha visto una notevole accelerazione dell’Intelligenza Artificiale generativa ma anche un incremento dei rischi informatici, che rendono ancora più complesso lo scenario caratterizzato dall’introduzione in Europa di normative specifiche, come l’AI Act e il nuovo eIDAS.
A rivelare le principali tendenze tecnologiche destinate a predominare nel 2026 è l’osservatorio di Tinexta Infocert, che individua tre linee dominanti per governi e imprese: la diffusione delle identità sintetiche, la governance della AI e l’adozione dell’European Digital Identity Wallet (EUDI Wallet).
Per le PMI e i professionisti, quindi, diventa sempre più determinante mettere al centro la sicurezza digitale, adottando strategie efficaci per la protezione dei dati e delle identità digitali nell’ottica di favorire la competitività e la crescita del business.
I deepfake rappresentano l’esempio più diffuso delle identità sintetiche, che combinando dati reali e informazioni generate dalla AI possono rappresentare un pericolo per la sicurezza aziendale.
Come sottolinea Tinexta Infocert, le frodi da identità sintetiche sono aumentate del 300% negli USA nei primi tre mesi nel 2025, periodo che è stato caratterizzato anche da una crescita del 100% degli attacchi deepfake.
Le previsioni per il nuovo anno non sono ottimiste: una PMI su tre rischia di subire un attacco basato su identità ibride che potrebbe causare perdite economiche, danni reputazionali e pesanti sanzioni normative. Al fine di tutelare non solo i dati aziendali ma anche clienti e partner, per le imprese diventa necessario investire in questi strumenti:
Anche la governance della AI si sta trasformando in un elemento chiave che incide non poco sulla costruzione della fiducia da parte di clienti e partner, tanto che la gestione sicura dei sistemi intelligenti sta diventando cruciale.
In questo scenario nasce il concetto di AI Trust, Risk and Security Management (TRISM), che ingloba strumenti e risorse volti a garantire sicurezza e trasparenza dei sistemi AI, conformità ai regolamenti vigenti come AI Act e GDPR, gestione etica dei dati per ridurre i rischi reputazionali.
Entro la fine del 2026 sarà disponibile il nuovo European Digital Identity Wallet (EUDI Wallet), il portafoglio di identità digitale europea che consentirà a cittadini e imprese di identificarsi online accedendo a servizi pubblici e privati in tutta la UE condividendo attributi verificabili in modo sicuro, mantenendo il totale controllo dei propri dati.
Tinexta Infocert mette in evidenza come il Wallet sia destinato a diventare una valida opportunità per le PMI, semplificando i processi di verifica dell’identità e offrendo ai clienti servizi digitali più sicuri. La strada giusta da percorrere è prepararsi in modo efficace per acquisire un vantaggio competitivo nel medio termine, sebbene non tutti gli Stati membri saranno pronti entro la deadline stabilita dalla UE.
Nel 2026, infatti, rimarrà ancora marginale l’uso avanzato delle nuove funzionalità previste dal Wallet, mentre solo entro il 2030 il 90% dei cittadini europei potrà verosimilmente utilizzare questo strumento a regime.
Il nuovo anno, quindi, sarà decisivo per la sicurezza digitale e l’identità online. Non farsi trovare impreparati diventa cruciale per le PMI e i professionisti, che possono realmente trarre benefici dai cambiamenti futuri investendo in reputazione, fiducia e competitività , assicurando la continuità del business.
=> Scopri di più sul sito ufficiale di Tinexta Infocert
Vivo in comodato (nel Comune di Torino) nell’abitazione di proprietà di mia madre: ha diritto allo sconto IMU del 50% anche se nel condominio c’è una portineria dove alloggia il custode che nel contratto di vendita è indicata come “uso portineria” mentre in quello di comodato non è presente come voce portineria?
A meno di sei mesi dall’entrata in vigore della Direttiva UE 2023/970 su equità e trasparenza retributiva, molte aziende italiane non sono ancora pronte ad affrontare il cambiamento. Il rischio non è solo normativo, ma anche organizzativo e reputazionale, in un contesto in cui il gender pay gap in Italia resta al –10,4%.
Secondo l’analisi condotta da ODM Consulting su oltre 1.000 aziende, il livello medio di readiness rispetto alla Direttiva si ferma a 2,6 su una scala da 1 a 4. Un dato che segnala una distanza ancora significativa dagli standard richiesti dall’Unione europea in materia di monitoraggio, equità e trasparenza salariale.
Più della metà delle imprese italiane adotta un approccio passivo o solo “compliantâ€. Nel dettaglio, il 30,5% non ha avviato azioni strutturate e tende a rimandare le decisioni, mentre il 24% si prepara esclusivamente a rispettare gli obblighi formali per evitare sanzioni. Solo una minoranza interpreta la Direttiva come un’occasione di evoluzione organizzativa: appena il 5,9% delle aziende ha un approccio realmente sostenibile, integrando equità e trasparenza in un percorso culturale di lungo periodo.
Il divario più rilevante riguarda il monitoraggio. In molte realtà mancano strumenti e processi per misurare indicatori fondamentali come il gender pay gap o le differenze retributive tra ruoli di pari valore. Non mancano criticità anche sulla trasparenza: dalla richiesta della retribuzione ai candidati – pratica vietata dalla Direttiva – fino all’accesso limitato alle informazioni sulle retribuzioni medie e sui criteri di progressione economica.
Dall’analisi emerge che la cultura organizzativa incide più della dimensione aziendale nel garantire politiche retributive eque. Le imprese con pratiche HR strutturate, attenzione ai benchmark di mercato e politiche inclusive registrano livelli di readiness più elevati. La dimensione aziendale aiuta, ma non è decisiva. Area geografica e settore, invece, incidono solo marginalmente.
Costruire sistemi retributivi equi e trasparenti non risponde solo a un obbligo normativo. L’equità salariale incide direttamente su engagement, fidelizzazione e capacità di attrarre talenti, soprattutto tra le generazioni più giovani.
Oggi il 51% dei lavoratori ritiene che nella propria azienda manchino strumenti equi per gestire retribuzione, crescita e sviluppo. La quota di chi valuta un cambio di lavoro sale al 50% tra i più giovani, ma scende sotto il 25% nelle aziende dove l’equità è percepita come reale.
Il gap retributivo penalizza le donne in tutte le categorie professionali. Il divario è più marcato tra operai (–12,3%), dirigenti (–10,6%) e impiegati (–10%), mentre risulta più contenuto tra i quadri (–5,7%).
Nonostante una maggiore presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate, le donne restano sottorappresentate ai vertici aziendali. Una volta raggiunte le posizioni apicali, però, le differenze retributive tendono ad annullarsi.
La Direttiva UE 2023/970 rappresenta una svolta per le politiche retributive. Letta solo come un adempimento, rischia di diventare un costo. Interpretata come un’opportunità , può invece trasformarsi in uno strumento per rafforzare l’organizzazione, migliorare il clima interno e rendere le imprese più attrattive in un mercato del lavoro sempre più competitivo.
L’emendamento del Governo alla Manovra 2026 ritocca le future agevolazioni per la transizione delle imprese, allungando la durata dell’incentivo ma eliminando le aliquote maggiorate per investimenti che abilitano un risparmio energetico 5.0. Eliminate poi alcune categorie di impianti fotovoltaici agevolabili e introdotto il vincolo che limita l’incentivo ai beni prodotti nell’Unione Europea.
Allo stesso tempo, sono riformulati gli emendamenti di maggioranza con il nuovo elenco di beni agevolabili 4.0 contenuti originariamente negli allegati A e B della Manovra 2017, ossia tutti i beni materiali e immateriali che si possono acquistare il modo agevolato.
Per l’applicabilità degli incentivi resta poi confermata la necessità di un decreto attuativo, ragion per cui non si potrà partire il 1° gennaio 2026.
Stralciate invece le nuove risorse (1,3 miliardi) che avrebbero dovuto rifinanziare il credito d’imposta Transizione 4.0 esaurito a fine 2025.
Nella Manovra 2026, l’iper-ammortamento sugli investimenti produttivi delle imprese in ottica 4.0 e 5.0 prevede aliquote differenziate a seconda della tipologia di spesa: per l’acquisto nel 2026 di beni immateriali e materiali (ossia hardware e software digitali e interconnessi) è previsto un ammortamento al 180% fino a 2,5 milioni di euro, al 100% da 2,5 a 10 milioni e al 50% da 10 a 50 milioni, in modo inversamente proporzionale all’intensità dell’investimento, con un meccanismo premiante per le PMI.
Queste aliquote restano immutate mentre invece, con il maxi-emendamento di Governo, sono state eliminate quelle maggiorate al 220%, al 150% e al 90% a fronte di progetti che producono anche un risparmio energetico. In pratica, il fatto che il progetto di digitalizzazione abiliti o meno una riduzione dei consumi diventa irrilevante ai fini dell’incentivo, perché si applica sempre la stessa aliquota.
Va invece incontro alle imprese l’allungamento delle tempistiche, per cui l’iperammortamento si può utilizzare fino al 30 settembre 2028 e non più solo nel 2026.
Resta incentivato l’acquisto di impianti fotovoltaici senza che siano trainati da un progetto più ampio di digitalizzazione ma solo se i moduli sono ricompresi nelle lettere b) e c) dell’articolo 12 del decreto 181/2023. Vengono quindi esclusi quelli della lettera a) dello stesso provvedimento, ovvero quelli con un’efficienza a livello di modulo almeno pari al 21,5%, che prima erano ammessi.
Infine, viene introdotto il nuovo vincolo in base al quale tutti i beni incentivati con l’iperammortamento devono essere prodotti nell’Unione Europea.
L’atteso aggiornamento degli allegati A e B alla Legge 232/2016 con tutti i beni agevolabili non è contenuto nell’emendamento del Governo ma nella riformulazione di un emendamento di maggioranza, che introduce molte nuove tecnologie compresa l’Intelligenza Artificiale, in considerazione dell’evoluzione tecnologica che ha interessato l’IT per il Business nell’ultimo decennio. Si tratta per lo più di beni che nella pratica erano già agevolati ma che ora vengono indicati con maggior precisione nella legge. Potrebbero inoltre esserci anche nuovi software prima non ammessi, nonché l’estensione dell’incentivo a quelli anche non acquistati nell’ambito di un progetto di digitalizzazione dei macchinari.
Con la Manovra 2026 il Governo avrebbe voluto intervenire sulla disciplina del TFR versato al Fondo Tesoreria INPS per le aziende con più di 50 dipendenti, accendendo i timori dei lavoratori sulla possibilità di “perdere†la disponibilità anticipata del trattamento di fine rapporto o l’importo pieno maturato.
Dopo aspre polemiche, tuttavia, l’emendamento è stato riscritto e tutta la parte relativa al capitolo previdenziale è stata per il momento stralciata. Non è detto che rispunti in un successivo provvedimento nel corso del 2026, di riforma organica delle pensioni.
In realtà , in tema di TFR per le grandi aziende, si voleva intervenire solo sul modo in cui si calcola la soglia, ampliando la platea delle imprese coinvolte (che quindi non potranno “aggirare il vincolo” per tenere in azienda gli accantonamenti per autofinanziarsi). Il meccanismo del Fondo Tesoreria è infatti operativo già da anni e non incide sul diritto del dipendente a ricevere il proprio TFR; la scelta dell’Esecutivo Meloni rispondeva semmai a esigenze di finanza pubblica, rafforzando la liquidità del sistema previdenziale e migliorando i saldi di cassa dello Stato.
Non si sarebbe trattato quindi di una misura che incide sui diritti dei lavoratori ma di un intervento volto a ridurre l’autofinanziamento delle imprese così da trasferire risorse dal circuito privato a quello pubblico. Spieghiamo meglio.
Il Fondo Tesoreria INPS è stato istituito nel 2007 per raccogliere il TFR maturando dei lavoratori dipendenti delle aziende con almeno 50 addetti che non hanno destinato il trattamento di fine rapporto a una forma di previdenza complementare. In questi casi, il datore di lavoro accantona il TFR maturato mese per mese e lo versa obbligatoriamente all’INPS senza poterlo trattenere più in azienda. La finalità è di natura finanziaria e di sistema, ma il TFR resta giuridicamente di proprietà del lavoratore. Con la novità in Manovra 2026, questo meccanismo si applicherà a tutte le aziende con almeno 50 dipendenti e non soltanto a quelle che raggiungevano questa soglia all’avvio dell’attività . Dunque, si estende massivamente la portata dello strumento.
No. Il dipendente non perde il diritto al TFR e non ne viene espropriato. Il TFR continua a maturare regolarmente ed è sempre un credito individuale del lavoratore. Il Fondo Tesoreria non è infatti un fondo pensione né una forma di investimento: è un conto di tesoreria gestito dall’INPS che sostituisce il datore di lavoro nella funzione di custodia delle somme.
Alla cessazione del rapporto di lavoro, il dipendente ha diritto a ricevere l’intero TFR maturato. Il meccanismo è il seguente: il lavoratore presenta la richiesta di TFR e il datore di lavoro anticipa materialmente il pagamento al dipendente; l’INPS rimborsa successivamente il datore di lavoro per la quota di TFR versata al Fondo Tesoreria. Dal punto di vista del lavoratore, quindi, nulla cambia nei tempi e nel diritto alla liquidazione: il pagamento resta dovuto integralmente.
Anche in presenza del Fondo Tesoreria INPS, il pagamento al lavoratore avviene tramite il datore di lavoro. L’INPS non eroga direttamente il TFR al dipendente, salvo casi particolari di insolvenza aziendale. Questo significa che il dipendente non deve presentare domande all’INPS e il TFR viene liquidato con le modalità ordinarie. Di fatto, l’INPS interviene solo nei rapporti finanziari con l’azienda.
I tempi di pagamento del TFR non dipendono dal Fondo Tesoreria ma dalla disciplina generale applicabile al rapporto di lavoro e dai contratti collettivi. In linea generale, il TFR deve essere corrisposto entro un termine congruo dalla cessazione del rapporto, che nella prassi varia da poche settimane a qualche mese.
L’intervento che avrebbe voluto inserire il Governo in Manovra (e per ora stralciato) si inseriva nel solco di una disciplina già vigente da quasi vent’anni e interviene solo su profili di gestione e razionalizzazione del flusso finanziario verso il Fondo Tesoreria. Dal punto di vista del lavoratore, il collocamento del TFR presso il Fondo Tesoreria INPS non modifica né l’importo finale del trattamento né i diritti connessi.
In conclusione, cambia il soggetto che custodisce le somme, non la tutela del lavoratore né il diritto a ottenere integralmente il proprio trattamento di fine rapporto. Peraltro, resta invariata la possibilità per il lavoratore di destinare il TFR maturando a un fondo pensione. In quel caso, le somme non transitano dal Fondo Tesoreria INPS e seguono la disciplina della previdenza complementare. La scelta finale sul TFR continua quindi a spettare al lavoratore, secondo le regole già in vigore.
Marcia indietro a tutta velocità del Governo sul riscatto di laurea. Nel giro di poche ore è stata già accantonata la proposta di modifiche che mirava a ridurre drasticamente la validità dei periodi riscattati. L’esecutivo Meloni ha riformulato l’emendamento alla Manovra 2026 dopo le polemiche, anche interne alla maggioranza, che avevano costretto la stessa Presidente del Consiglio ad intervenire per sedare gli animi ed annunciare immediati interventi.
Sparisce anche l’allungamento delle finestre mobili per la pensione anticipata a partire dal 2032.
La modifica ora archiviata prevedeva che dal 2031 l’operazione di riscatto della laurea perdesse progressivamente peso ai fini della maturazione del requisito per la pensione anticipata: a partire da 6 mesi in meno nel 2031 per arrivare a due anni e mezzo decurtati nel 2034. Depositata il 16 dicembre in commissione Bilancio, la misure ha suscitato talmente tante critiche da richiedere un intervento di Giorgia Meloni affinché il taglio fosse quanto meno non retroattivo per chi aveva già pagato per riscattare i periodi di studio, fino all’annuncio del ritiro tout court della misura stessa.
Stralciata dal maxi-emendamento di Governo alla Manovra 2026 anche l’altra stretta sulle pensioni anticipate, ossia l’estensione delle finestre mobili per la pensione anticipata. In base alla prima versione del correttivo, l’applicazione sarebbe comunque stata diluita nel tempo a partire dal 2032, con la decorrenza dell’assegno portato da tre a quattro mesi, che sarebbero poi diventati cinque nel 2033 e sei mesi nel 2034. Non veniva toccato il requisito pensionistico (che resta a 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne, in entrambi i casi con adeguamento alle aspettative di vita) ma prorogato il momento in cui il lavoratore inizia a percepire il trattamento previdenziale.
Adesso, però, con la riformulazione dell’emendamento, presentata il 19 dicembre dopo un’altro braccio di ferro interno alla maggioranza, anche questa misura viene eliminata dalla Manovra 2026.
Si trattava di una misura che avrebbe prodotto risparmi prospettici, concentrati in annualità in cui si prevede un picco di spesa previdenziale e su trattamenti tendenzialmente alti perché richiedono molti anni di contributi. Vedremo se il Governo la riproporrà nel corso del 2026, in altri provvedimenti.
Non solo con il DURC: per utilizzare benefici normativi e contributivi, le imprese devono essere in regola con le disposizioni contro il lavoro nero e a tutela della sicurezza di cui al comma 1175 della Legge 296/2006, potenziate negli ultimi anni dal Decreto 19/2024, di cui l’INPS chiarisce l’applicazione illustrando le azioni di verifica e le procedure di recupero delle agevolazioni già fruite laddove emergessero irregolarità , anche pregresse.
Le violazioni alla sicurezza sul lavoro che compromettono l’utilizzo di benefici sono contenute nell’allegato A del Decreto del Ministero del Lavoro 30 gennaio 2015. Questo documento, spiega l’INPS con la Circolare 16/2025, continuerà a rappresentare il riferimento per stabilire la regolarità o meno della posizione del datore di lavoro. E la verifica sulle eventuali violazioni sarà fatta attraverso l’interrogazione, in cooperazione applicativa tra INPS, INAIL, INL, GdF e Carabinieri, del “Portale Nazionale del Sommerso“.
In questo modo, l’Istituto verificherà che non ci siano provvedimenti sanzionatori in corso nei confronti delle aziende che chiede agevolazione.
Il primo requisito per accedere agli incentivi contributivi resta comunque il DURC: l’esito negativo della verifica sulla regolarità contributiva determina il recupero dei benefici per tutti i periodi per i quali, alla data dell’interrogazione della procedura “Durc OnLineâ€, il sistema restituisce un esito di irregolarità . Le aziende devono poi rispettare accordi e contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative.
Attenzione: contrariamente a quanto avviene per il DURC, nel caso di violazione di questa regola, l’INPS procede a recuperare i benefici fruiti dal datore di lavoro solo in relazione ai lavoratori per i quali è stata accertata la violazione e per il periodo in cui la stessa si è prodotta.
Se le violazioni vengono sanate, la legge (comma 1175-bis della Legge 296/2006) prevede una mitigazione del recupero dei benefici normativi e contributivi: quando la regolarizzazione avviene entro i termini previsti dal verbale di accertamento, le agevolazioni fruite non sono oggetto di recupero. Se però la posizione debitoria viene rilevata d’ufficio o in seguito a ispezioni, l’unico beneficio che si può ottenere è una riduzione delle sanzioni del 50%.
Nel caso in cui la violazione non sia sanabile, il recupero dei benefici è limitato al doppio dell’importo oggetto di verbalizzazione.
Badge digitale nei cantieri per garantire il rispetto delle regole in materia di sicurezza sul lavoro, multe potenziate per il mancato rispetto delle norme sulla patente a crediti, nuove disposizioni sulla formazione obbligatoria e nuove premialità per le aziende virtuose: sono le novità del nuovo Decreto approvato in via definitiva alla Camera, con il dichiarato obiettivo di ridurre gli incidenti e promuovere la cultura della prevenzione dei rischi.
Si tratta del disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto 31 ottobre 2025, n. 159. Le misure del provvedimento, che mira a promuovere un modello di responsabilità condivisa tra imprese e istituzioni, valgono circa 900 milioni di euro. Vediamone in dettaglio le principali.
A partire dal 1° gennaio 2026, l’INAIL sarà autorizzato a rivedere le aliquote contributive legate all’andamento infortunistico, introducendo un sistema di bonus-malus che premi i datori di lavoro con un trend positivo in materia di sicurezza e penalizzi chi non rispetta gli standard previsti.
Per accedere alla Rete del lavoro agricolo di qualità , le imprese dovranno inoltre dimostrare di non aver subito, negli ultimi tre anni, condanne penali o sanzioni amministrative in materia di sicurezza. A tali aziende verrà riservata una quota specifica delle risorse programmate dall’INAIL, destinata a finanziare progetti di prevenzione e innovazione tecnologica nei processi produttivi.
Con un approccio innovativo alla prevenzione dei rischi, si promuove tra le imprese con più di 15 dipendenti la raccolta e l’analisi dei cosiddetti near miss, ossia i mancati infortuni. Le aziende che adotteranno sistemi avanzati di monitoraggio e tracciamento potranno accedere a incentivi economici e premialità INAIL.
Inoltre, per le attività a rischio elevato, viene prevista la possibilità di effettuare visite mediche straordinarie qualora il datore di lavoro ritenga che il dipendente possa trovarsi sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti, a tutela dell’intera sicurezza aziendale.
Una delle principali novità riguarda la vigilanza sui subappalti pubblici e privati, con controlli mirati da parte dell’INAIL e dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Si punta poi sugli strumenti digitali per rafforzare la tracciabilità dei lavoratori, grazie anche al nuovo badge elettronico di cantiere e alla patente a crediti obbligatoria per i lavoratori dei settori a rischio.
Parallelamente, verranno individuati nuovi ambiti di attività ad alto rischio – oltre a quello edile – nei quali la tracciabilità e la formazione obbligatoria diventeranno requisiti essenziali per l’accesso ai cantieri.
Nei cantieri diventa obbligatorio il badge digitale, che consente di rilevare le presenze e abilitare i controlli incrociati sulla regolarità contributiva e sul rispetto delle norme di sicurezza. Il badge riporta informazioni specifiche come la data di assunzione o gli estremi del subappalto e contiene un codice anti-contraffazione che ne garantisce attendibilità e tracciabilità . Una sorta di tessera di riconoscimento precompilata con i dati identificativi dei lavoratori assunti tramite la piattaforma SIISL (Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa), in modo da garantire la trasparenza delle catene di subappalto.
Già sperimentata in diversi cantieri (ad esempio nella ricostruzione post-sisma in Emilia Romagna e per la realizzazione di infrastrutture a Roma e a Milano), ora diventa obbligatoria per tutte le imprese che gestiscono un cantiere, anche se lavorano in appalto o subappalto.
Il Decreto Sicurezza Lavoro introduce anche multe più salate per chi non rispetta le norme sulla patente a crediti. Il documento, introdotto in via obbligatoria dal 2024, si basa su un meccanismo simile a quello della patente di guida: in caso di incidenti sul lavoro si perdono punti, che possono essere incrementati attraverso iniziative di formazione. Al di sotto di una determinata soglia, l’impresa o il lavoratore autonomo non possono operare in cantiere fino a quando non risalgono sopra il livello minimo previsto. In caso di incidenti mortali o di grave entità , l’Ispettorato del Lavoro può sospendere la patente a crediti fino a un massimo di 12 mesi.
Il decreto rafforza gli obblighi formativi, estendendo l’aggiornamento periodico dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) anche alle imprese con meno di 15 dipendenti. L’obiettivo è assicurare un livello uniforme di competenze in tutti i settori produttivi, anche nelle microimprese.
Un accordo Stato-Regioni definirà i criteri di accreditamento e i requisiti minimi degli enti che erogano la formazione, innalzando gli standard qualitativi e riducendo il rischio di corsi improvvisati o inefficaci.
Il decreto introduce nuove disposizioni in materia di formazione (prevedendo un ruolo specifico per il sistema scolastico e per l’INAIL), vieta la possibilità di destinare gli studenti a mansioni o luoghi che presentano rischi nell’ambito delle iniziative di formazione scuola-lavoro ed estende anche la copertura assicurativa obbligatoria anche agli infortuni occorsi durante il tragitto casa-lavoro.
Istituito anche un fondo per le borse di studio (dai 3mila ai 7mila euro) per gli orfani di vittime di incidenti sul lavoro.
Il decreto interviene infine sul piano organizzativo, prevedendo il potenziamento degli organici dell’INAIL e del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro. Le risorse derivanti dalle sanzioni amministrative incassate dalle ASL saranno vincolate al finanziamento di attività di sorveglianza epidemiologica, formazione del personale e potenziamento dei servizi SPRESAL (Servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro).
La fatturazione elettronica continua a offrire una fotografia puntuale dell’andamento economico del Paese. I dati relativi a ottobre 2025, elaborati dal Dipartimento delle Finanze sulla base dei flussi mensili delle e-fatture, mostrano un quadro di crescita moderata ma stabile dell’imponibile Iva, con forti differenze territoriali e settoriali che aiutano a leggere dove si concentra oggi la produzione di valore in Italia.
Nel periodo gennaio–ottobre 2025 l’imponibile Iva rilevato tramite fatturazione elettronica è aumentato del 2,8% rispetto allo stesso periodo del 2024. La dinamica è trainata quasi interamente dai soggetti diversi dalle persone fisiche, che rappresentano oltre il 93% dell’imponibile complessivo e registrano un incremento del 3%, mentre le persone fisiche mostrano una crescita più contenuta (+0,5%).
La distribuzione territoriale conferma una forte concentrazione dell’imponibile in poche regioni. La Lombardia si colloca nettamente al primo posto, con una quota pari al 30,5% del totale nazionale e un aumento dell’imponibile del 3,7%, che da solo contribuisce per oltre un punto percentuale alla crescita complessiva.
Segue il Lazio, con un peso del 16% e un incremento del 3,4%. Veneto ed Emilia-Romagna si attestano entrambe intorno all’8–9%, mentre il Piemonte raggiunge circa il 6%. Il restante 30% dell’imponibile è distribuito tra le altre regioni, a conferma di una struttura economica fortemente polarizzata.

Guardando alle sole persone fisiche, la Lombardia resta la prima regione per peso (19,6%), ma il divario con il resto del Paese si riduce. Il Veneto emerge come seconda regione (9,6%), seguita da Lazio e Campania. Tra i soggetti diversi dalle persone fisiche, invece, la concentrazione è ancora più marcata: Lombardia e Lazio insieme superano il 47% dell’imponibile nazionale.
Dal punto di vista settoriale, il commercio all’ingrosso e al dettaglio si conferma il comparto con il peso maggiore sull’imponibile totale, pari al 26,7%, con una crescita dell’1,1% su base annua. Subito dopo si collocano le attività manifatturiere, che rappresentano il 23,1% del totale e mostrano un incremento dello 0,8%.
Tra le persone fisiche spiccano invece le attività professionali, scientifiche e tecniche, che concentrano il 26,9% dell’imponibile e registrano una crescita del 2,6%. Questo dato segnala una progressiva centralità delle professioni e dei servizi ad alta intensità di competenze nei flussi fiscali.

La lettura dei dati della fatturazione elettronica conferma il ruolo di questo strumento non solo come presidio di contrasto all’evasione, ma anche come termometro in tempo reale dell’economia. La concentrazione territoriale e settoriale dell’imponibile evidenzia dove si genera la base imponibile su cui poggiano le entrate Iva e fornisce indicazioni preziose anche in chiave di programmazione economica e fiscale.
Il caro affitti non è più un tema “da grandi città â€: sta diventando un freno strutturale per famiglie e lavoratori. In media, in Italia il canone di locazione pesa per il 35% sulla retribuzione netta, superando la soglia del 30% che viene spesso usata come spartiacque oltre cui il bilancio familiare entra in zona rischio. Ma è nelle aree metropolitane che i numeri diventano difficili da ignorare: Milano arriva al 76%, Roma al 65%.
Secondo l’analisi CDP, l’aumento della tensione abitativa è legato soprattutto ai canoni, più che a differenze marcate nelle retribuzioni tra province. E si innesta su trend che hanno spinto i prezzi a correre più dei redditi: domanda di affitti nelle grandi aree urbane, mobilità interna verso i poli economici, costi di costruzione più elevati e un’offerta immobiliare spesso non allineata ai bisogni reali.
Il caro affitti mostra il suo volto più critico a Milano e Roma, dove il rapporto tra canoni e redditi ha superato livelli di sostenibilità .
Nel capoluogo lombardo, l’affitto medio di un’abitazione arriva ad assorbire fino al 76% della retribuzione netta, trasformando l’accesso alla casa in una barriera economica per una quota crescente di lavoratori. Anche a Roma la situazione resta tesa, con un’incidenza che supera il 65% dello stipendio, ben al di sopra della soglia del 30% considerata critica per l’equilibrio finanziario delle famiglie.
Per fotografare l’impatto, CDP utilizza un indicatore semplice: il rapporto tra il canone mensile medio di un appartamento di 60 mq e la retribuzione netta media. Il risultato è una mappa dell’Italia in cui la forbice tra città è ampia, ma con alcuni picchi molto chiari.
| Città | Quota di stipendio per l’affitto di casa |
|---|---|
| Milano | 76% |
| Roma | 65% |
| Bologna | 48% |
| Sassari | 46% |
| Firenze | 45% |
| Napoli | 45% |
| Cagliari | 43% |
| Torino | 42% |
| Venezia | 39% |
| Bari | 39% |
| Messina | 39% |
| Genova | 34% |
| Reggio Calabria | 28% |
| Palermo | 26% |
| Catania | 25% |
| Media Italia | 35% |
Quando l’affitto assorbe quote così alte del reddito, la conseguenza non è solo sociale: si riduce anche la mobilità lavorativa. CDP stima che in Italia circa 1,2 milioni di famiglie vivano condizioni di disagio abitativo (definito, nell’impostazione richiamata dal report, come spesa per affitto o mutuo oltre il 30% del reddito familiare netto). Questo peso si concentra soprattutto tra affittuari e in comuni medio-grandi, con ricadute sulla possibilità di spostarsi per studio o lavoro e sulla capacità dei territori più dinamici di attrarre forza lavoro.
La lettura più utile, per un consumatore medio, è che il caro affitti non va interpretato solo come rincaro generalizzato: è un fenomeno molto “geograficoâ€. Nelle città in cui il rapporto tra canoni e salari diventa estremo, la sostenibilità dell’affitto dipende sempre più da variabili come condivisione dell’alloggio, scelta di zone periferiche (con impatto su tempi e costi di trasporto) o soluzioni ibride. In questo quadro, iniziative di housing a canoni calmierati per lavoratori (service housing) vengono indicate da CDP come leva per ridurre la pressione nelle aree con maggiore domanda di lavoro e maggiore costo abitativo.