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di Salvatore La Grassa
TAG: Giuseppe Pitré, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, Agatuzza Messia, principessa-fata, generazione partenogenetica, gemelli, parto gemellare, dar da mangiare a donna in attesa, comitiva delle principesse-fate, un sacco di monete d'oro per il servizio della mammana, avvenimenti segregati per mezzo di giganti, giganti a servizio della comitiva delle principesse-fate, Tesmoforie, esclusione figura maschile, prostituzione d'alto bordo, dolci con sesamo e miele con la forma di genitali femminili, dolci chiamati mylloi, ricchezza del mondo infero, mammana e ruffiana, mammana venale, racconto elaborato a uso di adolescenti in formazione, mammane e donne altolocate
L’ipotesi che il racconto della Messia sia una deriva dei riti delle
Tesmoforie ha veramente pochi punti di sostegno nel racconto, ma forse per
un carattere particolare della principessa fata si può tracciare un
legame con le partecipanti alle Tesmoforie. Quest’ultime erano chiamate
melissai, ovvero api. Il mondo dell’alveare fino a poco tempo fà è stato
un mondo favoloso, su cui gli uomini hanno fantasticato e proiettato i loro
bisogni e desideri. Gli antichi greci e gli antichi romani credevano che le
api derivassero dalle piante, dal legno degli alberi, oppure credevano che
si autoriproducessero senza un concorso di tipo eterosessuale, oppure ancora
che venissero fuori dalle carcasse di tori e leoni. La principessa del racconto
siciliano partorisce due figli maschi, ma del padre non si fa cenno. Ai suoi
ordini stanno dei giganti come fosse Gea, la madre primordiale, o una Grande
Madre delle antichissime religioni dell’area mediterranea che aveva come
servitori i Cabiri, che si credevano fossero nani, ma che venivano chiamati
anche Grandi Dei; anche Gea e le Grandi Madri avevano la caratteristica della
partenogenesi, così anche Era che partorì Efesto, il dio fabbro
e del fuoco in maniera partenogenetica. Nel racconto siciliano molto probabilmente
la principessa è considerata una fata per questa capacità autoriproduttiva.
Il fatto che la principessa fata abbia a disposizione tanto oro la connette
alle antiche dee dei morti e degli inferi che solitamente nei miti hanno ricchezze
immense. Queste ricchezze possono pure dipendere dai giganti, che molto probabilmente
nei miti dell’antica Grecia erano anche fabbri e costruirono il fulmine,
donato poi a Zeus. Poiché i giganti fabbri sapevano trasformare i metalli
col fuoco, probabilmente nei racconti fantastici è possibile che trasformassero
altri metalli in oro.
Ma non è una palese contraddizione collegare la principessa
alla Grande Madre se la prima è costretta a mangiare ogni giorno per sopravvivere?
Certo, ma probabilmente il collegamento antico nel racconto della Messia non
si comprende più, per cui colui o colei che ha reimpostato di recente
il racconto, ha usato altre chiavi interpretative per dare un significato alla
ricerca del cibo da parte della principessa fata.
Prima del tentativo di esporre queste altre chiavi interpretative ho cura di
ricordare che sia nei riti di Eleusi, sia nelle Tesmoforie, riti entrambi proprio
delle due dee, Demetra e Persefone, c’era una manducazione. Nei riti
eleusini, in epoca classica, era prevista da parte degli iniziati la manducazione
del ciceone, una sorta di bevanda realizzata con farina grossa di orzo frammista
a menta e acqua; nelle Tesmoforie di Atene al terzo e ultimo giorno le partecipanti
festeggiavano e non si limitavano nel mangiare e bere; nelle Tesmoforie di
Siracusa si preparavano con sesamo e miele dei dolci con la forma dei genitali
femminili, questi dolci erano chiamati mylloi e venivano offerte alle Due Dee
e consumate nel giorno culminante della festa(da Eraclito di Siracusa, Istituzioni,
in Ateneo, I sofisti a banchetto, XIV, 647a).
Per comprendere al meglio il racconto della Messia si deve considerare il contesto
in cui questa raccontatrice si cimentava nel presentare e interpretare le situazioni
e i personaggi dei racconti. I suoi ascoltatori erano giovinette e adolescenti,
e fra quest’ultimi,
lo stesso Giuseppe Pitré e le sue cugine.
Premesso ciò, si può relazionare all’inverso il dar da mangiare
della mammana alla principessa, ovvero si può relazionare al digiuno che il
reuzzo impone a Caterina la sapienti, protagonista del racconto omonimo (Pitré, VI), raccontato
pure dalla Messia. In quest’ultimo racconto il reuzzo si vuole vendicare
dello schiaffo ricevuto da Caterina quando era andato a prendere lezioni nella
sua scuola, aperta e gratis per tutti. Per vendicarsi il reuzzo sposa Caterina,
ma una volta sposatala e dopo averla condotta nel suo palazzo, la deposita
in uno scantinato cui si accede attraverso una botola. La mammana da a mangiare
a una donna fata, mentre il reuzzo lascia digiuna una donna non fata, sapiente,
ma senza doti magiche. Ma che c’azzecca? C’azzecca perché la
principessa, frequentando quella comitiva di cui accenna alla fine, ha acquisito
delle doti straordinarie. Praticamente è vicina alle api, alle dee che
figliano in maniera partenogenetica ed ha bisogno solo di cibarsi quel tanto
per portare a termine la gravidanza, che lei stessa ha deciso di attuare e
portare a termine. C’è sicuramente nel racconto sulla mammana
una esclusione degli uomini, come nei rituali delle Tesmoforie. Non per niente
ho riportato che a Siracusa il dolce della festa, composto da sesamo e miele,
aveva la forma dei genitali femminili. Anche nel mito di Demetra è una
donna(Iambe, la serva di Metanira e Celeo secondo l’inno omerico, o Baubo,
la moglie di Disaule, secondo la versione orfica) a porgere il ciceone a Demetra,
travestita da donna non più giovane e non in grado di avere figli.
Mentre Caterina deve rincorrere il reuzzo nei suoi viaggi, sedurlo e poi sposarlo
nuovamente, la principessa fata fa da sola con il solo aiuto della mammana.
Ascoltando questo racconto gli ascoltatori e le ascoltatrici adolescenti ancora
non vengono edotti circa la causa della nascita dei bambini, ma grazie alle
vicende di Caterina
la sapienti ne sapranno un po' di più.