Interpretazione di un racconto popolare: La mammana di la principissa-fata(Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, LV)

di Salvatore La Grassa

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Il racconto enigmatico della mammana della principessa fata

Il racconto enigmatico della mammana della principessa fata


Nel finale del racconto popolare è messo l’accento sulla considerazione della protagonista, sbalordita per aver cambiato la sua posizione sociale per un atto di generosità nei confronti della principessa fata, quando quest’ultima faceva parte della comitiva delle principesse fate e veniva alla sua finestra a chiederle del cibo che stava in quel momento preparando.
Nel finale la stessa principessa, quando incontra la mammana, afferma che altrimenti, senza quel sostentamento, sarebbe morta durante la notte.
Lo studioso che studia i racconti popolari trova enigmatico il racconto della Messia e probabilmente neanche la raccontatrice era consapevole del messaggio del racconto. Di sicuro la chiusa finale separa i ricchi e coloro che loro si legano e tutti gli altri che hanno i denti sempre puliti, per il continuo tremore della bocca quando si patisce il freddo.
Dal racconto si evince che la mammana è un tipo venale, una persona avida. Infatti comprende che fornendo maggior cibo alla principessa viene ricambiata con un numero maggiore di monete d’oro.
E forse dall’oro bisogna partire per tentare di svelare l’enigma del racconto. La principessa fata, insieme ai giganti, vive in un mondo segreto o secretato e in cui si naviga nell’oro. L’oro e la segretezza sono caratteri di un mondo che può essere fatato, ma anche demonico. Se nel racconto fosse stato riferito il tipo di cibo che la mammana procurava alla principessa, forse avremmo potuto tracciare ipotizzare la motivazione dello scambio molto favorevole alla mammana. Perché la principessa fata sarebbe morta la notte stessa se non avesse ricevuto del cibo dalla mammana? Si può supporre che facendo parte di quella comitiva segreta le era interdetto di mangiare? Certo i denari per comprare il cibo non le dovevano mancare. Seguendo il racconto si comprende che la principessa fata ha un tesoro di monete d’oro, ma, come il re Mida, non può nutrirsi di oro.
Ma nel momento in cui chiedeva da mangiare, la principessa fata, ipoteticamente tenuta a un digiuno che si ipotizza di tipo rituale, commetteva sacrilegio? Purtroppo nessuna notizia ci viene da Giuseppe Pitré nelle note dopo il racconto e alcun altro racconto, con qualche somiglianza o motivo in comune, viene ricordato dallo studioso siciliano. Si può ipotizzare che coloro che facevano parte della comitiva erano tenuti a una forma di digiuno o limitazione importante del cibo in tavola. Forse questo tipo di comitiva faceva questa penitenza di digiuno nei quaranta giorni della quaresima?
Ma una donna in attesa, in effetti, non può osservare questo tipo di penitenza. In effetti nel racconto la principessa fata chiede del cibo per nove mesi meno un giorno e non per quaranta giorni. Quindi probabilmente chi faceva parte della confraternita doveva fare del digiuno sempre, ovvero finché ne faceva parte. E probabilmente oltre a un certa dieta di tipo alimentare, che comunque permetteva di vivere, ogni partecipante doveva astenersi dai rapporti sessuali. Probabilmente per la doppia regola del digiuno alimentare e sessuale il racconto popolare assegna il nome di fata alla principessa: ella è fata per via del fatto che ha partorito pur avendo fatto parte di una confraternita che obbligava a un certo tipo di digiuno alimentare e al digiuno sessuale. Probabilmente, presso il popolo a Palermo, quando si citava la comitiva delle principesse fate, ci si riferiva ironicamente a qualche avvenimento che strideva con le regole imposte a coloro che frequentavano tale comitiva o confraternita di donne: cioè che era accaduto che altre donne partecipanti erano rimaste incinte.


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