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Descrizione(da Wikipedia):
«Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale
nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico»
Così Herbert Marcuse inizia la sua opera forse più importante, L'uomo a una dimensione, 1964. È questo un Marcuse più pessimista rispetto ad Eros e civiltà, meno disponibile ad arrendersi a un ordine sociale che appare totalitario, che permea di sé ogni aspetto della vita dell'individuo e, soprattutto, che ha inglobato anche forze tradizionalmente "anti-sistema" come la classe operaia. In questo modello la vita dell'individuo si riduce al bisogno atavico di produrre e consumare, senza possibilità di resistenza. Marcuse denuncia il carattere fondamentalmente repressivo della società industriale avanzata che appiattisce in realtà l'uomo alla dimensione di consumatore, euforico e ottuso, la cui libertà è solo la possibilità di scegliere tra molti prodotti diversi.
Tolleranza repressiva
Nelle moderne democrazie occidentali i valori, che una volta erano propri di
una parte della società (la classe borghese), si sono diffusi a tutti
gli altri soggetti sociali, che si appiattiscono sull'ordine esistente: è in
questo quadro che Marcuse elabora il concetto di tolleranza repressiva, ovvero
il momento nel quale la libertà va a coincidere col permissivismo. Nelle
democrazie occidentali, a livello teorico, si parte dall'assunto che nessuno
possiede la verità assoluta, allora la scelta viene affidata
alla collettività, che può scegliere liberamente tra diverse
interpretazioni politico-etico-culturali della realtà; è proprio
a questo punto del processo "democratico" che si innesca il meccanismo
repressivo: l'amministrazione totale dell'esistenza da parte della società impedisce,
di fatto, una scelta che sia veramente libera, il contrario del relativismo
democratico, ovvero un diffuso conformismo. In altre parole all'uomo viene
data la possibilità di scegliere, ma non vengono forniti gli strumenti
per farlo in modo veramente indipendente. Anche il pensiero filosofico è asservito al senso comune, è unidimensionale.
Marcuse critica alcune delle più importanti correnti del pensiero novecentesco
sulla base dell'incapacità da parte di queste dottrine di opporre un
radicale rifiuto al sistema esistente: il neopositivismo giudica l'attendibilità di
una proposizione in base alla constatazione empirica, la filosofia analitica
rispetto alla conformità col linguaggio comune. La ragione e il linguaggio
non sono più strumenti in grado di assolvere al compito principale della
filosofia, cioè trascendere la realtà esistente, restando fedeli
al contenuto universale dei concetti.
Democratica non-libertà
La società tecnologica avanzata riduce tutto a sé, ogni dimensione "altra" è asservita
al potere capitalistico e ai consumi, conquistata dal dominio "democratico" della
civiltà industriale; una società che condiziona i veri bisogni
umani, sostituendoli con altri artificiali. È in questo senso che Marcuse
formula la condanna della tecnologia, che conterrebbe già insita nella
sua natura un'ideologia di dominio.
Possibilità di cambiamento
Questa "democratica non-libertà" permea tutto di sé,
niente le sfugge, neanche gli strati tradizionalmente anti-sistema come la
classe operaia, che si è pienamente integrata nel sistema stesso. Ma
esistono ancora dimensioni al di fuori di esso, "al di sotto della base
popolare conservatrice"? Marcuse risponde affermativamente: vanno ricercate
negli emarginati, nei reietti, nei perseguitati, nei disoccupati, in coloro
cioè, che non sono ancora stati fagocitati dalla società repressiva.
Il
filosofo tedesco, non a caso, chiude la sua opera con una citazione da Walter
Benjamin:
«è
solo per merito dei disperati che ci è data una
speranza»
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