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Recensione
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Recensione: Anzio, immediato dopoguerra. La diciottenne Teresa si è innamorata di
un certo Duilio, garzone in un negozio di ferramenta. Ma al padre della ragazza
questo Duilio non va proprio giù, e arriva perfino a schiaffeggiarlo una volta che lo
sorprende a chiacchierare con la figlia nella piazza del paese lo schiaffeggia.
Lui, Duilio, zitto, bianco per la mortificazione, non reagisce, ma da quel giorno non si fa più vedere.
Via libera per un certo Sisto, figlio del capostazione di Campo di Carne, un
bel tipetto coi baffi, ma con una faccia depravata: si prende Teresa, la porta
a vivere con lui al casello. Le sorelle e il padre di lui la trattano come una
serva, anche dopo che è rimasta incinta. Della sua famiglia non ne parliamo
proprio: un giorno Teresa incontra per strada uno dei suoi fratelli maggiori
e lui la picchia selvaggiamente, la lascia a terra svenuta e sanguinante, quando
lo viene a sapere Sisto si fa una risata e dice che ha fatto bene. Il padre poi
non le parla più da quando è scappata di casa e si rifiuta di prepararle
una dote. E senza dote Sisto non la sposa. Quando capisce che sta per partorire,
Teresa prende l’autobus da sola e va all’ospedale San Giovanni. Chiede
un letto, le dicono “Aspetti qua!”, si siede su una panca e sta lì per
ore. È tanto ingenua che crede che i figli si partoriscano dal culo. Ripensa
alla sua infanzia. Quando è nata tutti credevano fosse morta e la stavano
per buttare nell’immondizia, poi dalla sua bocca grande e nera è uscito
un grido rabbioso e hanno capito che era viva. Teresa ricorda la madre, una ragazzina
costretta ad accudire tanti figli malvolentieri, ricorda i nonni severi e maneschi,
la povertà, l’ignoranza, il padre che guai a contraddirlo o a farlo
arrabbiare perché diventava una furia, la scuola una noia insopportabile
che per fortuna è finita presto, i lavori pesanti in casa sin da piccola,
fratelli che sono partiti e fratelli che sono morti.
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