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di Salvatore La Grassa
TAG: Giuseppe Pitré, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, Francesca Leto, Salvatore Salamone Marino, Matri-drau, brutta fine di un ciabattino ozioso, signora in cerca di una serva, il ciabattino diventa servo, Matri-drau come ermafrodito, ermafroditi considerati mostri, condanna a morte ermafroditi, scelta sessuale irreversibile dell'ermafrodito, ginandro, androgino
TAG: intersessuale, ermafrodito, Le piacevoli notti, Francesco Straparola, convento di suore, Herculine Barbin, parodia della letteratura sacra, Decamerone, Giovanni Boccaccio, Leo Frobenius

Grandi sono, graziose donne, i secreti della natura e innumerabili, né è uomo
  al mondo che quelli imaginar potesse. Laonde mi ho pensato di raccontarvi un
  caso, il quale non è favola, ma intervenuto poco tempo fa nella cittá di
  Salerno.
  In Salerno, cittá onorevole e copiosa di bellissime donne, trovavasi
  un padre di famiglia della casa di Porti, il quale aveva una sola figliuola,
  ch'era nel fior della sua bellezza, né passava il decimosesto anno.
  Costei, che Filomena si chiamava, era da molti per la sua bellezza molestata
  e addimandata in moglie. Il padre, vedendo il pericolo grande della figliuola,
  e temendo che non le avenisse qualche scorno per esser cosí stimolata,
  deliberò di porla nel monasterio di San Iorio della cittá di
  Salerno, non giá che facesse professione, ma che le donne la tenessero
  fino ch'ella si maritasse. A costei, essendo nel monasterio, sopravenne una
  violente febbre, la qual era curata con ogni sollecitudine e diligenza. Andarono
  al principio alla cura di lei alcuni erbolai, che con gran giuramenti promettevano
  in breve tempo farle ricuperare la pristina sanitá; ma nulla facevano.
  Il padre le mandò medici pratichi e eccellenti, e alcune vecchie che
  promettevano darle rimedi presentanei, che subito guarirebbe. 
  A questa bella e graziosa giovane s'era grandemente enfiato il pettignone,
  il quale era venuto a guisa di una grossa palla. Per il che era molestata da
  tanti dolori, che altro non facea che pietosamente lamentarsi, di modo che
  parea esser giunta all'ultimo termine della sua vita. I parenti, mossi a pietá della
  misera giovane, le mandarono cirugi degni e molto approbati nell'arte cirugia.
  I quali ben videro ed esaminarono il luogo della enfiazione, ma altri dicevano
  doverglisi sopraporre radici di altea cotte e miscolate con grasso di porco,
  perché levarebbono il dolore e la enfiazione; altri altre cose, e altri
  negavano che far si dovesse alcuno delli rimedi allegati. Tutti finalmente
  furono d'accordo, che tagliar si dovesse il luogo enfiato per rimuover la materia
  e la causa del dolore. Il che deliberatosi, vennero tutte le monache del monasterio
  e molte matrone con alcuni propinqui della graziosa giovane.
  E uno di detti cirugi, il quale di gran lunga tutti gli altri avanzava, preso
  il coltello feritorio, percosse leggermente e con gran destrezza in un volger
  d'occhi il loco enfiato; e perforata la pelle, quando si credeva che di tal
  buco uscir ne dovesse o sangue o marza, ne uscí un certo grosso membro,
  il quale le donne desiderano e di vederlo si schifano. Non posso astenermi
  dal ridere scrivendo la veritade in luogo di favola. Tutte le monache, stupefatte
  per tal novitá, piangevano da dolore, non per la ferita, né anco
  per la infermitá della giovane, ma per la lor causa, perciò che
  elle averebbeno piú tosto voluto che quello che palesamente era occorso,
  fusse intravenuto occultamente. Imperciò che per onor suo fu subito
  mandata la giovane fuori del monasterio. Or quanto l'averebbeno carissimamente
  dentro conservata! Tutti li medici non poteano piú da ridere.
  E cosí in un tratto la giovane risanata divenne uomo e donna. E referisco
  per bugia quello che è la veritá, che di poi la vidi con gli
  occhi miei vestita da uomo con l'uno e l'altro sesso.
Molto probabilmente una delle soluzioni per consentire una vita degna e tranquilla
  ai nati con evidenti segni di incertezza nell’apparato sessuale era anche
  la loro chiusura in convento o in monastero. Non si sono fatte molte ricerche,
  ma qualcosa si trova cercando nel maggiore motore di ricerca su internet.
  Herculine Barbin, per esempio, fu dai suoi messa in convento per avere una
  educazione cristiana. Nel 1978 Foucault ha curato la pubblicazione delle memorie
  di Herculine Barbin, detta Alexina B., un intersessuale, come si chiama adesso
  l' ermafrodito, francese vissuto nell’Ottocento. Nelle memorie si legge
  che ad Herculine Barbin, nata nel 1838, soprannominata Alexina, alla nascita
  fu attribuito il sesso femminile. Fu quindi educata come una bambina, in un
  convento. Con l’adolescenza scoprì di essere attratta dalle compagne,
  si innamorò di una di esse e ne divenne amante. Per questo fu processata,
  e la sentenza decretò la sua trasformazione legale in uomo, stabilendo
  che il suo vero sesso fosse quello maschile, e che i medici che l’avevano
  visitata da neonata avevano commesso un errore: in una società dominata
  dal dogma dell’eterosessualità obbligatoria, se un soggetto si
  innamora delle donne, allora è un uomo. Così Alexina fu costretta
  a indossare abiti maschili.
  Nel 1860 il suo stato di nascita è rettificato, da quel momento il suo
  nome è Abel. Barbin, aiutato da un benefattore, si trasferisce a Parigi
  dove nessuno lo conosce e può vivere la sua nuova vita di uomo. Qui,
  non adattandosi alla nuova identità che gli è stata imposta e
  soffrendo per la lontananza dai suoi affetti, dopo qualche tempo, nel 1868,
  si suicida. 
  La novella dello Straparola si deve inquadrare nel prolifico filone della parodia
  della letteratura sacra. Gli scrittori toscani del duecento e del trecento
  furono i maestri di tale filone, a cominciare da Giovanni Boccaccio. Memorabili
  due suoi racconti sulle monache di clausura, racchiusi nel Decamerone: Masetto
  di Lamporecchio(III, 1), La badessa e le brache del prete (IX, 2).
  Oltre a questa novella dello Straparola non ci sono altri racconti popolari
  o popolareggianti che contengono una storia di ermafroditi. Ho trovato un falso
  ermafrodito in un racconto africano raccolto da Leo Frobenius (La sorella col
  pene, Decamerone nero, racconto della popolazione Munci). In questo racconto
  l'amante di una ragazza andata in sposa a un uomo di un altro villaggio si
  traveste da donna e fa credere che sia la sorella della sua amante. L'amante
  invita a una festa la donna e suo marito. La festa avverrà nel suo villaggio
  l'indomani, quindi li invita a recarsi con lui presso casa sua per il pernottamento.
  Ma nella sua casa c'è un solo letto. L'amante, travestita da sorella della
  sposa, si dice disposto a dormire sull'uscio dietro la porta, ma il marito
  si offre per dormire fuori e lascia che a letto vadano insieme la
  moglie e la presunta sorella. Ovviamente moglie e amante fanno l'amore anche
  più di una volta. Appena albeggia la moglie esce fuori e va alla sorgente per
  lavarsi e prendere l'acqua che serve per la giornata. Il marito entra nella
  capanna e trova la presunta sorella della moglie ancora dormiente e alquanto
  svestista con il pene in mostra. Il marito prende il coltello e vorrebbe tagliare
  il pene alla presunta sorella della moglie, ma poi è preso dalla decisione
  di ucciderla. Ma non decide e prende tempo. Poi arriva la moglie e il marito
  l'avverte che sua sorella ha il pene. La moglie ribatte che non ha mai saputo
  che sua sorella avesse il pene, e comincia a gridare che sua sorella ha il
  pene, probabilmente per avvertire l'amante. Altre persone del villaggio sentono
  le grida della moglie e qualcuno risponde che una sorella col pene deve essere
  allontanata da una coppia di sposi, mentre qualche altro dice che il pene di
  una donna, ovvero di un ermafrodita, non è atto alla copula. Il marito rientra
  nella capanna e chiede alla presunta sorella se il suo pene è atto alla copula.
  L'amante dice che il membro non funziona e allora il marito si rasserena e
  desiste dal fare offesa alla presunta sorella. Ovviamente il narratore presume
  che la tresca tra la donna sposata e il suo amante continuerà senza problemi.
  Probabilmente i nostri narratori e le nostre narratrici popolari non hanno
  nemmeno preso in considerazione la storia di persone con difetti sessuali. “Dio
  ne libera” dice la popolana quando si accenna a casi di ermafroditismo.
  Ogni neonato di casa propria per la popolana è perfetto, non in quanto
  lo sia veramente, ma perché così deve apparire, perché già l’apparire
  perfetti scongiura quasi magicamente la disgrazia, il destino malevole. Non
  per niente i napoletani dicono: “Ogni scarrafone è bell’ ‘a
  mamma soja”. E questo atteggiamento della madre popolana fa si che un
  bambino cresca e acquisti la sua identità e la sua sicurezza.
  Tutto quello che ho illustrato in questo scritto ci fa comprendere come sia
  difficile cambiare la mentalità alle persone che hanno pochi studi,
che vedono solo il bianco e il nero e tralasciano le tante sfumature di grigio. E probabilmente a Borgetto in un dato periodo tra il popolo giravano critiche sul compromesso che la chiesa diocesana di Monreale aveva deciso di adottare sulle pratiche sessuali considerate anormali.
La novellatrice Francesca Leto ebbe a raccontare, come sopra ricordato, anche
un altro racconto in cui era parte antagonista una coppia di orchi. Si tratta
del racconto di Tridicinu,
personaggio ultimo, minimale, che mette alla berlina una coppia di orchi, coppia
che era in contrasto, anche se non apertamente, col potere del re. In questo
racconto gli orchi non esibiscono alcun tipo di comportamento anomalo, non sono
cannibali o per lo meno non riescono nell'intento di esserlo, non hanno code
da
nascondere.
Probabilmente
l'opera
di
Tridicinuriporta un rituale di "mondo alla rovescia", rituale che veniva celebrato nel tredicesimo mese, quando questo mese di pochi
giorni serviva per raccordare il vecchio col nuovo ciclo di anni.