IL MITO DI PELOPE



Il mito di Pelope nel contesto dei miti della Frigia e della Lidia - Attys


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La montagna, la dea, Pelope, il trono di pietra

Il motivo del collegamento del mito di Pelope ai miti della Frigia, della Lidia non dipende solamente dalla mitica sua origine dalla Paflagonia o dalla Frigia; piuttosto dal fatto che in tempi storici ancora c'era una forte connessione tra questo eroe e la montagna del Sipilo, ritenuta la montagna frequentata e prediletta della Grande Madre Cibele, chiamata anche Sipylène nei pressi dell'odiernna Smirne. In questa montagna oltre che una immagine colossale in posizione assisa, intagliata in una nicchia scavata nella roccia, di origine ittita (oggi chiamata Niobe di Sypilus e probabilmente da identificarsi con l'opera ricordata da Pausania, -3, 22,4- quale costruzione di Broteas, figlio di Tantalo e Eurianassa e fratello di Pelope e Niobe)c'è il cosidetto Trono di Pelope, una rientranza naturale della roccia a forma di seggio: il seggio, anche vuoto senza la persona assisa, indicava la regalità.


Il mito di Attys e Cibele

Il mito di Pelope, figlio di Tantalo, proveniente dalla Lidia o dalla Frigia, dove il culto della "Grande Madre" era ben vivo, ha alcune somiglianze col mito di Attys. Solo che Pelope potrebbe avere carattere misterico-agrario ed essere il predecessore di una stirpe tremenda di guerrieri e di re, mentre Attys ha carattere misterico-agro-salvifico ed è il predecessore di una casta sacerdotale.
Qualche studioso(H.Graillot, su EdR, Cibele e Attis di A.Di Nola) ha ipotizzato che i 'Galli', sacerdoti di Cibele, in un'epoca precedente a quella storica e documentata in cui praticavano l'autocastrazione, addirittura offrissero la loro vita alla dea. Quindi l'offerta cannibalica di Tantalo agli dei(offerta solo gradita alla dea Demetra, dea anche della cerealicoltura) può avere una correlazione col sacrificio della vita di un giovane o fanciullo a una dea come Cibele o Grande Madre anatolica. Nemmeno Zeus(o più probabilmente il dio frigio del cielo Papas) la fece sua. La dea era diventata una cosa sola con la roccia Agdos(la montagna). Nel sonno, mentre Zeus dormiva su di essa, o mentre lottava con la dea, il suo seme cadde, ovviamente sulla roccia. Nel decimo mese la roccia Agdos partorì urlando un essere selvaggio, indomabile, bisessuale e con doppia passionalità, chiamata Agdistis. Con crudele voluttà Agdistis rubava, uccideva e distruggeva tutto ciò che le faceva piacere, non tenendo alcun conto degli dei, nè degli uomini, ritenendo se stessa l'essere più potente del cielo e della terra. Gli dei si consultavano sul modo di domare una simile tracotanza, ma esitavano. Dioniso escogitò un piano per frenarla. C'era una sorgente, alla quale Agdistis soleva andare a dissetarsi. Dioniso trasformò l'acqua di quella sorgente in vino; quando Agdistis bevve da quella sorgente, cadde nel sonno più profondo. Dioniso, che stava in agguato, fece una corda con dei capelli e legò con essa a un albero il membro maschile di Agdistis. Destatosi dal sonno Agdistis balzò in piedi, evirandosi in questo modo da sé. La terra inghiottì il sangue che colava dalle carni lacerate. Immediatamente spuntò colà un albero con un frutto: un mandorlo o secondo un altro racconto, un melograno. La figlia del re o dio fluviale Sangarios, Nana (per Kerényi un altro nome per la Grande Madre dell'Asia Minore), vide la bellezza del frutto, lo colse e lo nascose nel suo grambo. Il frutto sparì e Nana concepì un bambino. Allora suo padre la fece imprigionare come donna disonorata, condannandola a morir di fame. Ma la Grande Madre la nutrì con frutta e i cibi degli dei finché essa partorì. Sangarios ordinò di esporre il bambino. Un caprone si prese cura del lattante; quando esso venne trovato, lo si nutrì con un liquido detto latte di caprone. Il bambino ebbe nome Attis, perché nella lingua lidica, un bel bambino di dice attis, oppure perché in lingua frigia il caprone è detto attagus.
Attis era un fanciullo di meravigliosa bellezza e si dice che Agdistis se ne sia innamorato. La selvaggia divinità accompagnava il giovane ormai adulto alla caccia, guidandolo attraverso boschi impraticabili e fornendogli abbondante bottino di caccia. Mida, re di Pessinunte, volle separare Attis da Agdistis e perciò gli diede in moglie la propria figlia. Alle nozze apparve Agdistis, che con il suono di una syrinx (una sorta di flauto) suscitò la follia di tutti i partecipanti. La sposa si taglia le mammelle; Attis stesso si evirò sotto un pino, gridando: "A te Agdistis!". Così egli morì. Dal suo sangue spuntarono le viole mammole. Agdistis si pentì di ciò che aveva fatto e chiese a Zeus di resuscitare Attis. Zeus concesse che il corpo di Attis non si decomponesse mai, i suoi capelli continuassero a crescere e che il suo dito mignolo rimanesse vivo e si muovesse per sempre da solo(K.Kerényi, Gli dei della Grecia, V,3 da Pausania, VII, 17, 9-12 e Arnobio di Sicca, Adversus Nationes, V, 5-7)..


Altre versioni del mito di Attis


Pausania riporta pure un'altra versione del mito rifacendosi al poeta Ermesianatte di Colofene vissuto tra il IV e il III sec. a. C. Nel territorio di Dime in Acaia(Peloponneso) Pausania(VII, 17, 9-12) osserva un santuario eretto alla Madre Dindimene(dal monte Dindimo) e ad Attis e a questo proposito ricorda la storia di Attis per come l'aveva raccontata il poeta di Colofene. Attis o Atte era figlio del frigio Colao ed era nato con un difetto tale che non gli avrebbe permesso di generare. Adulto, emigrò in Lidia e celebrava per i Lidi i Misteri della Madre, conquistandosi tanta stima presso la dea, che Zeus, sdegnatosi, mandò un cinghiale a devastare i campi dei Lidi. Nel cercare di uccidere il cinghiale Attis e con lui altri Lidi morirono ad opera della fiera selvaggia. Per questa storia, rammenta Pausania, i Galati di Pessinunte non toccano i cinghiali. Questa morte ad opera del cinghiale accomuna Attis con Adone: l'adolescente conteso da Persefone e Afrodite, ucciso da un cinghiale mandatogli contro dal dio della guerra Ares.
Erodoto narra a sua volta una storia mitica su Atis, figlio del ricchissimo re di Lidia Creso(I, 35-45). La storia mitica coinvolge ancora la Frigia. Il frigio Adrasto, figlio del re Gordio e discendente di Mida(pare che nell'antica Frigia i re si chiamassero in successione Gordio e poi Mida), sceglie proprio la Lidia quale luogo d'esilio e di purificazione, dopo aver involontariamente ucciso suo fratello. Adrasto fu ben accolto da Creso tanto che, quando durante una battuta di caccia ad un cinghiale, devastatore di raccolti, ne uccise accidentalmente il figlio Atis, ottenne il perdono dall'affranto re. Ma non riuscì a superare il rimorso e, in preda all'angoscia, si suicidò sulla tomba del ragazzo. Da mettere in evidenza che i due figli di Creso, secondo Erodoto, avevano delle partcolarità che li allontanavano dal mondo della caccia e della guerra: uno era sordomuto, mentre ad Atis un oracolo aveva profetizzato che sarebbe morto per via di una punta di ferro. Quindi il padre, Creso, gli aveva proibito di cimentarsi e di prepararsi alla guerra con armi di ferro e pertanto lo teneva quasi segregato. Quando si organizzò la caccia al cinghiale devastatore Atis volle partecipare e convinse il padre rassicurandolo che non poteva certo morire per opera di un cinghiale dato che non aveva parti di ferro.
A questo punto si può evidenziare una caratteristica che accomuna i personaggi che in queste storie mitiche rappresentano Attis: tutti quanti non sono bravi cacciatori. E nelle società in cui la forza militare e guerresca è considerata vitale per la sopravvivenza, il non superare le prove di caccia, significava non avere accesso alla regalità e ad un incarico di comando.

Statua di Attis nel campo della Grande Madre a Ostia-RM


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