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di Salvatore La Grassa
TAG: Giuseppe Pitré, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, Agatuzza Messia, Giovambattista Basile, Pentamerone, Giovanni Patuano, Matri-drau, tipo Amore e Psiche, Il ceppo d'oro, Il tronco d'oro, Marvizia, Lu re d'amuri
TAG: senso del peccato, metafora atto sessuale, uccello verde come pappagallo, uccello metafora del membro maschile, statua d'oro alla suocera mamma-draga
Nel racconto Marvizia della Messia prevale il senso del peccato,
anche se non viene ammesso esplicitamente che ci sia stato rapporto sessuale
tra la protagonista e Uccello Verde. Probabilmente, poiché fino alle nozze
Marvizia non parla direttamente con Uccello Verde, ma solo per il tramite
dello schiavo giagante Alì, si può congetturare che la Messia, o
un raccontatore precedente nella trasmissione orale del racconto, abbia voluto
sottolineare la correttezza formale dei rapporti prematrimoniali della protagonista. Il
giagante Alì ricorda il genio della lampada del racconto di Aladino
di Mille e una notte. Nella fiaba Aladino e la lampada magica il
protagonista strofina l'anello fatato e spunta il genio gigante che si mette
a sua disposizione per l'esecuzione di qualsiasi comando. Nel racconto della Messia ci sono
invece l'anello e il libro(con le formule magiche) del comando. Notevole
che alla fine risultano vincenti Marvizia e due uomini, ovvero Tuoni-e-lampi
e Alì, triade che si contrappone alla triade della prima notte di nozze,
quella formata da Tuoni-e-lampi e due donne( Marvizia e la figlia
del pecoraio). E' difficile discernere se questa triade vincente sia un residuo
della potenza della sciamana cui poteva succedere di avere un marito in terra e uno in cielo(ma
non meno reale), oppure se fosse contemplato nella fantasia della raccontatrice(Messia
o precedente nella linea di trasmissione orale del racconto), come
situazione gradevole per la regina della casa, avere una servitù anche
maschile, tipo eunuco, che facesse i lavori di casa più pesanti.
Nel racconto di Giovanni Patuano il senso del peccato non è avvertito. Rusidda
ama un essere misterioso, ma reale che si trasforma, da uccello verde diviene
un bell'uomo. Poiché sono due gli uomini del regno sotterraneo si può congetturare
che ancora insiste sul racconto il residuato della sciamana che non doveva
necessariamente osservare le regole matrimoniali del clan. Ma c'è nel
contempo uno svilimento della protagonista in quanto per ricompensa viene
dato al padre, che si priva della figlia, un sacchetto di monete d'oro, anche se dietro questa
transizione, scambio donna-oro, potrebbe intravedersi la consuetudine molto diffusa del prezzo
della sposa.
Il protagonista maschile non vorrebbe rivelare il suo nome: in quanto, probabilmente,
far conoscere il proprio nome potrebbe facilitare un attacco di forze avverse.
Queste credenze sono diffuse soprattutto nelle culture dove si sono sviluppate
le società segrete. E' probabile che il nome da non rivelare sia quello scelto
o assegnato nella società segreta, non il nome assegnato dal clan o dalla
famiglia. Partendo da queste supposizioni è possibile che l'incontro tra Rusidda
e il Re d'amuri sia avvenuto nella sede di una confraternita in cui erano
ammesse ragazze, chiamate sorelle o sorelline. Il Propp tratta l'argomento
nel capitolo quarto, denominato La grande casa del volume Le
radici storiche dei racconti di fate. Dal fatto che si chiamassero sorelle,
le ragazze che frequentavano le confraternite, si evince che secondo la consuetudine quelle
ragazze non potevano intrecciare importanti storie amorose, perché il
clan o famiglia di appartenenza le aveva probabilmente già destinate ad un
promesso. Quindi le ragazze non potevano pretendere di conoscere il nome segreto
del ragazzo della confraternita segreta con cui stabilivano un rapporto amichevole.
Ma al cuor non si comanda e poteva succedere che un rapporto amichevole si
trasformasse in rapporto amoroso completo, per cui la ragazza rimaneva incinta.
E Rusidda rimane incinta, come naturale conseguenza del rapporto amoroso
col Re d'Amuri. E' il trionfo dell'amore e nel racconto non c'è alcun sotterfugio,
nessuna reticenza come nel racconto della Messia.
Nel racconto del Patuano c'è una fine della sposa, quella imposta dalla
mamma-draga, analoga al racconto della Messia. Esse scompaiono: nel nulla
nel racconto della Messia, sotto terra nel racconto del Patuano. Viene uccisa
invece nel cunto del Pentamerone proprio da quello che doveva essere il suo
sposo: non si evidenzia nel cunto il ceto, la provenienza di questa ragazza, descritta
come una donna piena di difetti vistosi, ma viene specificato che ha avuto
a che fare con un pecoraro. La mamma-draga nel racconto del Patuano non ha
una morte violenta: per la contrarietà di non essere riuscita a mantenere le mani in testa per evitare magicamente
la nascita del nipote, invece ha una botta di sangue, un colpo apoplettico mortale. E' stato il Re d'Amuri a mettere in giro che fosse morto. Il suo modo d'agire ricorda l'episodio mitico della serva di Alcmena, Galantide,
la quale aveva comunicato a Ilizia e alle Moire che la sua padrona aveva partorito. Quest'ultime, cui Era aveva
imposto di stare a gambe incrociate per impedire magicamente la nascita di Eracle, si alzarono per andare a vedere se veramente Alcmena avesse partorito, e lasciarono la posizione delle gambe incrociate. Mentre nel racconto del Patuano la mamma-draga si ripromette di non fare partorire Rusidda e affinché questo accada tiene le mani sulla testa. Ma all'annuncio della morte del figlio la mamma-draga affranta comincia correre e toglie le mani dalla testa,
per cui Rusidda partorisce.
Nel cunto del Pentamerone la mamma-draga o orca si autoelimina
sbattendo violentemente la testa contro il muro. Nel racconto della Messia viene
trasformata in statua d'oro e sotterrata, ma poi inspiegabilmente dissotterata e messa su un carro in giro
per il paese. Forse voleva dire la Messia che quando si parla della suocera
defunta è doveroso ricordarla come una persona preziosa?.