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D’Angelo è morto, ma la sua eredità vive nel Soul

La leggenda del neo-soul è morta a 51 anni e i suoi album Brown Sugar, Voodoo e Black Messiah hanno ridefinito il Soul moderno unendolo all'hip hop, lasciando un’eredità viva di verità e groove

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D’Angelo, uno dei pionieri del neo-soul, è venuto a mancare il 14 ottobre 2025, all’età di 51 anni dopo una lunga lotta contro il cancro al pancreas.

Il cantante, diventato celebre a metà degli anni ’90 con l’album Brown Sugar, ha rivoluzionato la musica R&B e soul,  unendo sensualità e spiritualità con ritmi dell’hip hop dominante dell’epoca, donandoli anche qualche sfumatura jazz e funk. Questlove, batterista dei The Roots e amico del cantante lo ricorda con queste parole: “D’Angelo ha reinventato il groove. Nessuno aveva mai suonato dietro al beat in quel modo. Tutti noi, me, J Dilla, Erykah Badu, abbiamo imparato da lui cosa significa lasciar respirare il tempo.â€

D’Angelo attraverso la musica cercava l’autentico. Nei suoi dischi lasciava imperfezioni e silenzi proprio per marcare quel senso di verità. In un’intervista per il GQ dichiarò:“Non cerco la perfezione, cerco la verità. Quando registro, voglio che la gente senta l’anima, non il suono.â€

Il suo stile di musica è anche spirituale, era la lingua con cui parlava a Dio. Questo legame profondo con la fede lo portava a scrivere e pubblicare solo quando ne sentiva la necessità, senza seguire le richieste dell’etichetta discografica.

Nel 2019 è uscito il documentario Devil’s Pie: D’Angelo della regista Carine Bijlsma, dedicato alla sua carriera e al suo ritorno sul palco. Ottanta minuti in cui si scopre l’artista senza filtro durante i giorni del suo ultimo tour. Attraverso le sue parole emerge quanto fosse profondo il suo legame con la musica e il bisogno di separarsi dall’euforia del successo per ritrovare sere se stesso. Per D’Angelo non c’è mai stato il desiderio della fama, ma solo quello di condividere la sua passione. Come dice lui stesso nel film: “Io non faccio musica per il successo. Faccio musica per guarire. Per me stesso, per la gente, per il mondo.â€

Nonostante il suo forte impatto nel mondo musicale, la sua discografia è sorprendentemente breve. Sono tre gli album da lui scritti, Brown Sugar, Voodoo e Black Messiah. Tra un successo e l’altro ci sono state lunghe pause di riflessione e crisi spirituali e personali. Il suo ultimo disco è Black Messiah,  pubblicato nel 2014. Successivamente ha realizzato altri due brani: Unshaken presente nella colonna sonora del viedogioco Red Dead Redemption 2, e I Want You Forever in collaborazione con Jay-Z e Jaymes Samuel per il film The Book of Clarence.

Negli ultimi anni  D’Angelo aveva ricominciato a scrivere e a registrare, mantenendo sempre un velo di misterio e di riservatezza. Il mondo musicale ha perso una delle voce più ricche e peculiari del soul contemporaneo, ma la sua arte resterà come un’eredità viva. Come lo ricorda Questlove: “D’Angelo è l’unico artista che suona dietro al beat e lo fa sembrare naturale. Non segue il tempo, lo crea.â€

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Data articolo: Wed, 15 Oct 2025 13:05:27 +0000
Waslawa Szymborska
Amata, di Elisa Amoruso

Nel disequilibrio tra le due storie si rintraccia il difetto maggiore del film a causa di una scrittura ingombrante spesso con dialoghi e frasi di troppo. Brava comunque Tecla Insolia.

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Destini incrociati. Amata si apre citando l’inizio della poesia di Un racconto iniziato di Waslawa Szymborska: “alla nascita di un bimbo il mondo non è mai prontoâ€. Su queste parole, il film sviluppa due declinazioni diverse sul tema della maternità. Da una parte c’è Nunzia, una ragazza di 19 anni, studentessa fuori sede, che si trova ad affrontare una gravidanza non desiderata. Dall’altra invece Maddalena. Col suo compagno Luca, un affermato pianista, ha provato in tutti i modi ad avere un figlio. Stavolta sembra essere sul punto di riuscirci ma un ennesimo aborto infrange i suoi sogni.

L’inizio di tutte le cose. Amoruso pedina le due protagoniste anche nelle strade di una Roma notturna e lascia emergere una continua alternanza tra speranze e frustrazioni. Dopo l’ottimo Fuoristrada, vincitore nel 2013 alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Prospettive e lavori come Chiara Ferragni. Unposted, il cinema di Elisa Amoruso conserva ancora delle tracce documentarie evidenti per esempio, nel modo di inquadrare la periferia, o negli spostamenti nervosi di Nunzia (ottima Tecla Insolia) comprese le scene in discoteca in cui balla da sola. Quello della ragazza è una sorta di diario privato, ma anche un pensiero che si fa racconto. Più costruita e forzata invece la parte che riguarda la storia di Maddalena e Luca (Miriam Leone e Stefano Accorsi), a cominciare dalla scena iniziale del concerto, le sedute dalla psicologa (Donatella Finocchiaro) fino al modo in cui viene mostrata la crisi di coppia nel loro lussuoso appartamento.

Alla base di Amata c’è una storia vera e prende spunto da un fatto realmente accaduto a Milano quando un neonato è stato lasciato in una culla assieme a una lettera della madre. Dopo l’esordio nella finzione di Maledetta primavera nel 2020, la cineasta porta sullo schermo un’altra storia al femminile in cui mostra il disorientamento della protagonista. Al centro della trama di Maledetta primavera, c’erano i turbamenti e i desideri di Nina, una ragazzina di tredici anni. In modo ancora più evidente di quel film, Amata viene spesso sovrastato da una scrittura che ne frena lo slancio e sottolinea, rende evidente, ciò che poteva essere solo accennato. Ci sono delle frasi di troppo come quella della padrona di casa di Nunzia o domande del tipo: “come si sente a non avere figli naturali?†che risultano stridenti non tanto per il contenuto ma proprio per il modo in cui vengono pronunciate. La scrittura di Ilaria Bernardini calca la mano e, contemporaneamente, la regia di Amoruso stavolta non sembra fidarsi delle sue immagini. Ha come bisogno di qualcosa che le dia sicurezza, anche nei momenti che potrebbero sembrare apparentemente più spontanei come la telefonata di Nunzia alla madre o quello in cui la ragazza ascolta Te lo leggo negli occhi di Battiato. Ci sono dei frammenti più autentici, legati proprio alla prova di Insolia, mentre in altri casi il film prende la forma di un melodramma costruito e innaturale come nella scena della visita al ginecologo dove Maddalena si è fatta umiliare. Si rintraccia soprattutto del disequilibrio delle due storie il difetto maggiore del film, oltre al tentativo di cercare la commozione e l’immedesimazione dello spettatore. Sono mezzi questi di cui lo sguardo della regista non ha bisogno e che finiscono per annacquare e spersonalizzare il film.

Regia: Elisa Amoruso
Interpreti: Miriam Leone, Tecla Insolia, Stefano Accorsi, Donatella Finocchiaro, Mehdi Meskar, Virginia Apicella, Sveva Mariani, Naike Silipo, Alessia Franchin, Mauro Marino, Lidia Vitale, Barbara Chichiarelli, Daniele Natali, Alessandra Roca, Betti Pedrazzi, Nika Perrone, Ernestina Patrignani
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 96′
Origine Italia, 2025

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Data articolo: Wed, 15 Oct 2025 13:02:01 +0000
vision distribution
Tre ciotole, di Isabel Coixet

Il confronto impari con il romanzo di Michela Murgia limita un film segnato anche dalla letterarietà del cinema della regista. Ci sono però anche lampi sorprendenti grazie a Germano-Rohrwacher

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Fine di una storia. Elio Germano e Alba Rohrwacher ripartono da un’altra frattura che mette fine alla loro relazione dopo quella tra i loro personaggi in Troppa grazia. In tutta la parte iniziale di Tre ciotole, la dinamica del loro rapporto ormai alla fine sembra riprendere quella del film di Gianni Zanasi. Proprio qui, all’inizio, i due attori sembrano prendersi il film da soli, sostenuti da una complicità che forse scavalca anche la scrittura del romanzo omonimo di Michela Murgia pubblicato nel 2023. Tutto è rapidissimo. Il percorso in strada in motorino, il supermercato dove fanno la spesa, le tre ciotole, la discussione a casa. Fine. Oltre alla bravura dei due attori, è questo il momento più libero di questo adattamento che richiama uno dei titoli migliori di Coixet, La mia vita senza me, dove affronta come in questo film il tema della malattia.

Marta e Antonio si sono lasciati. Lei insegna educazione fisica, lui gestisce il ristorante “Senza fine”. Alla separazione reagiscono in maniera diversa. Marta si chiude in se stessa e fa fatica a mangiare. Antonio si butta invece completamente sul lavoro ma continua a pensare a lei. Un giorno però nella vita della donna cambia tutto. Su consiglio della sorella Elisa, decide di farsi visitare e scopre che la sua mancanza di appetito non dipende dalla fine della storia con Antonio.

Tre ciotole esplora le cicatrici nascoste nei personaggi, nella “vita segreta delle parole” per rifarsi a un altro film della cineasta spagnola. Sono le stesse mostrate, esplicitate sulle braccia di due studentesse di Marta che si fanno dei tagli sul braccio di nascosto mentre sono in bagno. A volte il simbolismo del cinema di Isabel Coixet è eccessivamente marcato ed è un difetto che si riscontra anhe in parte nella sua filmografia. In più c’è un confronto forte, anche impari, con il libro di Michela Murgia da cui non può sottrarsi ma che lo condiziona. A farne le spese sono soprattutto le figure della sorella di Elisa, interpretata da Silvia D’Amico e del professore di filosofia portato sullo schermo da Francesco Carril, l’ottimo protagonista della bellissima serie Dieci Capodanni; non hanno infatti quella libertà pregressa, ‘alla Zanasi’ della coppia Rohrwacher-Germano. In più appaiono ingombranti alcuni richiami come quelli di Feuerbach (il libro L’uomo è ciò che mangia) e alla cultura coreana con il cartonato della pop star che si porta in casa. Il prologo con la voce off della protagonista – a cui poi si incrocia anche quella di Antonio – evidenzia quella letterarietà di fondo comunque sempre al limite del compiacimento nel cinema di Coixet. Però in Tre ciotole ci sono anche dei lampi sorprendenti: gli sguardi su Roma mai turistici ma come tracce del vissuto dei protagonisti, i flashback del passato felice, la dimensione finalmente astratta sulle note di Sant’allegria nella versione di Ornella Vanoni e Mahmood. Lì Tre ciotole trova a tratti la sua vera identità, la sua anima, che però non trattiene e finisce per smarrire. Forse poteva essere rischioso, ma lasciare giocare da soli Germano e Rohrwacher poteva essere la vera sfida rispetto a un romanzo che porta, giocoforza, il film verso percorsi comunque già tracciati. Quelli che invece Troppa grazia accenna e poi abbandona facendo magicamente perdere il senso dell’orientamento.

 

Regia: Isabel Coixet
Interpreti: Alba Rohrwacher, Elio Germano, Silvia D’Amico, Galatea Bellugi, Francesco Carril, Sarita Choudhury, Sofia D’Elia, Aisha Meki
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 120′
Origine: Italia, Spagna, 2025

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Data articolo: Wed, 15 Oct 2025 11:38:52 +0000
USA
GUERRE DI RETE – Chip, ora è la Cina a ricattare gli USA

Carola Frediani ci porta al centro della guerra dei chip tra Cina e USA e l'idea di una Public AI nella nuova puntata sua cybernewsletter

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Guerre di Rete – una newsletter di notizie cyber
di Carola Frediani
N. 213 – 13 ottobre 2025


Guerre dei chip, ora è la Cina a ricattare gli Usa e gli altri

Mentre siamo distratti dai continui annunci di nuovi AI tools che introducono perlopiù miglioramenti incrementali, le aziende di AI assoldano ex capi di Stato (ma assicurano che non li useranno per fare lobbying sui governi, ci mancherebbe), e la partita dei chip – molto meno glamour delle risposte dei chatbot e dei video di Sora 2 di celebrità morte – diventa un parapiglia, il cui esito dovrebbe determinare gli sviluppi non solo dell’industria AI e tech, ma anche degli equilibri mondiali.

Pechino sta infatti preparando il terreno negoziale in vista dell’atteso incontro tra il presidente Trump e il leader cinese Xi Jinping. I chip sono al centro di questo scontro, anche se non sono l’unico terreno di battaglia. Indubbiamente però il loro ruolo centrale nell’intelligenza artificiale, nelle tecnologie militari e in altri settori economici li ha messi al centro delle tensioni tra le due superpotenze mondiali, già impegnate da mesi in controversi negoziati su dazi e tecnologia.

Il mese scorso, l’autorità antitrust cinese aveva dichiarato che secondo un’indagine preliminare Nvidia avrebbe violato la legge antimonopolio del Paese in relazione all’acquisizione della società israeliana Mellanox Technologies, completata nel 2020. In realtà Nvidia sembra essersi trovata in mezzo al braccio di ferro tra Usa e Cina che ha portato quest’ultima ad accelerare gli sforzi per l’indipendenza tecnologica. L’indagine preliminare cinese infatti nasce poco dopo il dicembre 2024, quando l’amministrazione Biden aveva dato un ulteriore giro di vite sull’export hi-tech verso la Cina – impedendo ai produttori di chip di memoria avanzati (usati nei sistemi di AI) di spedire i propri prodotti in Cina senza l’autorizzazione del Dipartimento del Commercio.

Ma torniamo a giovedì scorso, quando la Cina ha annunciato anche delle nuove restrizioni (qui documento) sulle terre rare (di cui come sapete è grande produttrice), specificando che le licenze relative a determinati tipi di chip saranno concesse caso per caso. Cosa significa nel concreto? Che – scrive il FT – “le aziende straniere dovranno ottenere l’approvazione di Pechino per esportare magneti che contengono anche solo tracce di materiali di terre rare provenienti dalla Cina (…). Le restrizioni creeranno per la prima volta una versione cinese della norma statunitense sui prodotti diretti esteri, una misura che Washington ha utilizzato per bloccare le esportazioni di semiconduttori verso la Cina da paesi terziâ€.

La norma sui prodotti diretti sarebbe la foreign direct product rule (FDPR), applicata in concomitanza con le misure americane prese appunto nel dicembre 2024. Allora quelle misure limitavano l’esportazione di 24 tipi di strumenti per la produzione di chip. Ma per renderli più efficaci, gli Stati Uniti applicarono una norma extraterritoriale, la “foreign direct product rule†(FDPR), che colpiva le aziende non statunitensi che utilizzavano chip statunitensi nei loro strumenti. Tutto chiaro?

In pratica la Cina sta riproponendo lo schema americano a parti inverse.

 

Come la stanno prendendo gli americani? Alcuni analisti di think tank statunitensi non l’hanno presa alla leggera.
“La Cina ha affermato il proprio controllo totale sull’intera catena di approvvigionamento globale dei semiconduttori, imponendo requisiti di licenza di esportazione su tutte le terre rare utilizzate per la produzione di chip avanzati. Se applicata in modo aggressivo, questa politica potrebbe significare la fine del boom dell’intelligenza artificiale negli Stati Uniti e probabilmente portare a una recessione/crisi economica negli Stati Uniti nel breve termineâ€, commenta su X Dean W.Ball, senior fellow alla Foundation for American Innovation.

Secondo Ball, come risposta gli Usa non dovrebbero cedere, ma anzi rendere molto più estesi e rigidi i controlli sull’export delle apparecchiature per la produzione di semiconduttori; inoltre dovrebbero accelerare gli sforzi sulla produzione (estrazione e raffinazione) di terre rare fuori dalla Cina.

Che le misure presa dalla Cina siano potenzialmente d’impatto, se davvero applicate, sembra mettere d’accordo diversi esperti.
“Si tratta dei controlli più severi che la Cina abbia mai applicato alle esportazioniâ€, ha affermato al Japan Times Gracelin Baskaran, direttore del Center for Strategic and International Studies. “È abbastanza chiaro che dispongono degli strumenti e dei mezzi necessari per costringere non solo le aziende statunitensi, ma anche quelle di tutto il mondo a conformarsiâ€.

“Le macchine per la produzione di chip, come quelle vendute da ASML e Applied Materials, dipendono in modo particolare dalle terre rare perché contengono laser, magneti e altre apparecchiature estremamente precise che utilizzano questi elementiâ€, continua Japan Times, che ricorda come i maggiori produttori mondiali di chip – tra cui Intel, Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (TSMC) e Samsung Electronics – si affidino proprio ad ASML per la produzione di semiconduttori.
A dire il vero, c’è chi spera che in fondo si tratti solo di fare la voce grossa in vista dei negoziati (anche sui dazi) tra Trump e Xi Jinping. Ma certo non tira una bella aria.

Come fare AI fuori dalla corsa Cina-Usa e l’idea di una public AI

Intanto la macchina industriale dell’AI, spalleggiata dai governi, lavora per espandersi. Ma fuori dalla competizione Usa-Cina e dai relativi colossi tech, cosa si può fare? Un interessante pezzo del Guardian passa in rassegna alcune risposte local (dall’India a Singapore), e cita una proposta, per ora solo un policy brief, della Cambridge University. La proposta invoca un Airbus for AI, cioè una società pubblica di AI basata su una partnership coordinata tra pubblico e privato per fare in modo che lo sviluppo di questa tecnologia serva gli interessi nazionali condivisi e massimizzi il valore pubblico, “anziché concentrare i benefici in una manciata di entità private con sede nelle superpotenze globaliâ€.
“Ispirandoci ad Airbus – ragiona il documento propositivo – proponiamo che Canada, Germania, Giappone, Singapore, Corea del Sud, Spagna, Svezia, Svizzera, Francia, Regno Unito e altre potenze medie unifichino i loro attuali sforzi sovrani nel campo dell’AI in una società pubblica di AI, un laboratorio competitivo all’avanguardia per lo sviluppo e la commercializzazione dell’AI nell’interesse pubblicoâ€.

Proposta sulla carta molto interessante. Noto che non è citata l’Italia.

La Commissione Ue lancia due strategie per accelerare la diffusione dell’AI
A livello di istituzioni europee però si muove qualcosa di molto concreto.
Il 9 ottobre la Commissione europea ha annunciato le sue strategie da 1 miliardo di euro per potenziare l’uso dell’intelligenza artificiale in settori chiave, nel quadro di una spinta a ridurre la dipendenza dell’Unione dalle tecnologie statunitensi e cinesi.

A dire il vero, in queste strategie, sembra esserci un po’ di tutto, e tutto appare ancora molto fumoso.
“Nel settore sanitario, ad esempio, l’Ue creerà una rete per lo screening avanzato basato sull’intelligenza artificiale per accelerare le diagnosi negli ospedali ed estendere la copertura dei professionisti alle aree remote, ha affermato Virkkunen. L’intelligenza artificiale dovrebbe anche supportare l’industria robotica nell’adattare la produzione alle esigenze degli utenti. Per quanto riguarda la mobilità, la Commissione spera di creare una coalizione di città disposte a creare ambienti di prova per portare le auto a guida autonoma sulle strade europeeâ€, riassume Science Business.
Ma trovate tutto qua (VIDEO del discorso di Virkkunen; qui comunicato stampa).


QUI LA VERSIONE COMPLETA DELLA NEWSLETTER

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Data articolo: Wed, 15 Oct 2025 09:47:46 +0000
the marvels
RoFF 20 Preview – Nia DaCosta adatta Ibsen con Hedda

La sezione Grand Public accoglie il quarto lungometraggio diretto dalla regista newyorkese, che omaggia l'autore norvegese attraverso la riscrittura di uno psicodramma moderno

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La Festa del cinema di Roma presenta nella sezione Grand Public Hedda, il nuovo film della regista newyorkese Nia DaCosta, che rivisita la pièce teatrale ottocentesca di Henrik Ibsen innervandola dei temi del contemporaneo. Più volte definita una variante femminile di Amleto, Hedda racconta di una donna ingabbiata in un matrimonio infelice e in una vita piena di ricchezze vacue. Per presentare lei e suo marito alla società dell’Inghilterra negli anni ’50, organizza una festa nella sua sontuosa casa. Ma l’arrivo di un vecchio amore, riporta alla luce il passato di Hedda, tra tumulti interiori e giochi di potere.

«Adoro il modo in cui (Ibsen) descrive le donne, trovo la sua curiosità davvero stimolante. Ho pensato che Hedda fosse così piena di vita nonostante sembri in bilico tra la vita e la morte». Così Nia DaCosta descrive il suo rapporto con uno dei drammaturghi più importanti dell’800 teatrale.
Gosford Park e Festen – Festa in famiglia sono i lavori a cui si è ispirata per restituire una visione cinematografica dell’opera, cerando di mantenere l’azione nello spazio della casa e durante una sola notte. Allo stesso tempo opera alcune modifiche sui personaggi per creare un microcosmo in cui si muovono ambizioni, desideri e manipolazioni. Ne aumenta il numero affiancando alla protagonista, interpretata da Tessa Thompson, interpreti come Imogen Poots, Tom Bateman e Kathryn Hunter. Decide di modificare l’identità dell’amante di Hedda che dall’Eilert Løvborg di Ibsen diventa Eileen Lovborg interpretata da Nina Hoss.

Presentato all’anteprima mondiale del Toronto International Film Festival, Hedda è il quarto lungometraggio scritto e diretto da Nia DaCosta. Da una parte l’autrice sigilla un legame con le grandi produzioni e i franchise, a partire dal remake del 2021 Candyman con cui diventa la prima donna afroamericana in testa al Box Office USA e successivamente con The Marvels, il sequel di Captain Marvel del 2019. Dall’altra cavalca una libertà e una versatilità autoriale e produttiva con il suo lungometraggio d’esordio nel 2018 Little Woods, con un budget di circa 800mila dollari, per firmare oggi il secondo capitolo di 28 anni dopo – Il tempio delle ossa, in uscita nel 2026. Stavolta rimaneggia un testo teatrale provocatorio che ha avuto già molteplici adattamenti, come la versione televisiva del 1962 prodotta da BBC con protagonista Ingrid Bergman, e quella cinematografica del 1975 diretta da Trevor Nunn, con cui Glenda Jackson ottenne una nomination agli Oscar come attrice protagonista.

Il film, scritto e diretto per Orion Picture della MGM e Plan B e in uscita su Prime Video dal 28 ottobre, verrà presentato nella sezione Grand Public e Nia DaCosta sarà accolta dalla Direttrice Artistica della Festa del Cinema, Paola Malanga, con il Premio Progressive alla Carriera.

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Data articolo: Wed, 15 Oct 2025 07:00:34 +0000
Victor Kossakovsky
IDFA 2025 – Annunciato il programma

Il festival olandese (13 - 23 novembre) ha reso noti i film della sua 38° edizione. Circa 250 film tra sezioni competitive e collaterali e 76 paesi rappresentati

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L’International Documentary Film Festival (IDFA) di Amsterdam (13 – 23 novembre) ha annunciato il programma della sua 38a edizione, la prima sotto la guida della nuova direttrice artistica Isabel Arrate Fernandez.
L’apertura del festival sarà affidata alla proiezione di tre cortometraggi, ognuno dei quali affronta le difficili realtà politiche del nostro tempo: As I Lay Dying, di Mohammadreza Farzad e Pegah Ahangarani, documenta le proteste del Movimento Verde Iraniano a Teheran, scoppiate dopo le elezioni politiche del 2009, ritenute truccate dall’opinione pubblica; Intersecting Memory, di Shayma’ Awawdeh, segue il viaggio personale della regista palestinese attraverso i ricordi della Seconda Intifada; happiness, di Firat Yücel affronta invece i problemi di un gruppo di attivisti e immigrati ad Amsterdam in relazione al loro consumo di immagini provenienti da diversi scenari di guerra (Palestina, Sudan, Congo, ecc.), e al conseguente desiderio di distogliere lo sguardo dallo schermo.

La direttrice del festival ha commentato la scelta di inaugurare la manifestazione con queste opere con le seguenti parole: “Noi crediamo che la selezione di questi film rappresenti l’esempio di un festival che esplora le tematiche principali del presente, facendo spazio a nuove voci, forme innovative e prospettive insolite.â€

Intersecting Memory - Shayma Awawdeh

Fernandez ha poi proseguito la sua riflessione, affermando: “Questi artisti ci ricordano l’esistenza di uno spazio per la riflessione e la connessione. Ci forniscono altre prospettive, aprendo dibattiti sul cinema – su ciò che ci tocca, cosa è più urgente e che importa veramente. Attraverso loro, diventiamo parte del coraggio dei registi e artisti che rifiutano di arrendersi – che continuano a sostenere la propria visione artistica e l’impegno verso le storie che ritengono contino veramente.â€

La parte competitiva dell’IDFA è suddivisa in due sezioni: il Concorso Internazionale e il Concorso Envision. Entrambe le categorie comprendono 12 film: la prima raccoglie opere di registi esordienti e affermati, mentre la seconda si concentra sulla sperimentazione di nuovi linguaggi espressivi.
Tra i titoli del Concorso principale figura Silent Flood dell’ucraino Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk (regista di Pamfir), che racconta la vita di una comunità religiosa insediata nei pressi di un fiume nella parte occidentale del paese. Nel Concorso Envision sono invece presenti Trillion, secondo capitolo della “Trilogia dell’Empatia†del regista russo Victor Kossakovsky, iniziata con Gunda nel 2020 – un film che riflette sulla salute delle acque oceaniche e sugli effetti della pesca intensiva, e Il quieto vivere di Gianluca Matarrese, già presentato nelle Giornate degli Autori di Venezia 82.

Il quieto vivere

Nelle due sezioni dedicate alle anteprime mondiali – Luminous e Frontlight – spiccano, nella prima: Do or Die della regista argentina Toia Bonino e del detenuto Marcos Joubert, girato interamente con un cellulare dietro le sbarre; House of Hope di Marjolein Busstra, che segue le vicende di una coppia di insegnanti palestinesi in Cisgiordania; Paikar del regista afgano-olandese Dawood Hilmandi, che documenta il tentativo del cineasta di riconciliarsi con il padre nel suo Paese d’origine.

Ampio spazio è dedicato alle storie palestinesi anche nella sezione Frontlight, dove film come Gaza’s Twins, Come Back to Me di Mohammed Sawwaf e Steal This Story, Please! di Carl Deal e Tia Lessin si concentrano su diversi aspetti del complesso scenario umanitario e mediatico della Striscia: nel primo, una madre cerca disperatamente di raggiungere i suoi due neonati in terapia intensiva in mezzo ai bombardamenti, mentre nel secondo i registi mettono in evidenza il ruolo fondamentale del giornalismo nella difesa della democrazia e della libertà di stampa.

Tra gli ospiti d’onore, si segnala la presenza della cineasta portoghese Susana de Sousa Dias, che sarà al centro di una masterclass e di una retrospettiva, composta da dieci delle sue opere.

Di seguito, si riportano i titoli delle due sezioni competitive del festival (per le altre, si può consultare la pagina dedicata sul sito dell’IDFA):

Concorso Internazionale

All My Sisters, di Massoud Bakhshi
December, di Lucas Gallo
Flana, di Zahraa Ghandour
Flood, di Katy Scoggin
A Fox Under a Pink Moon, di Mehrdad Oskouei
The Kartli Kingdom, di Tamar Kalandadze, Julien Pebrel
Mailin, di María Silvia Esteve
Palimpsest: The Story of a Name, di Mary Stephen
The Shipwrecked, di Diego Gutiérrez
Silent Flood, di Dmytro Sukholytkyy-Sobchuk
Synthetic Sincerity, di Marc Isaacs
Those Who Watch Over, di Karima Saïdi

Concorso Envision

Amílcar, di Miguel Eek
Blood Red, di Martin Imrich
Confessions of a Mole, di Mo Tan
Fordlândia Panacea, di Susana de Sousa Dias
Holy Destructors, di Aiste Žegulytė
I Want Her Dead, di Gianluca Matarrese
Love-22-Love, di Jeroen Kooijmans
Our Body Is an Expanding Star, di Semillites Hernández Velasco, Tania Hernández Velasco
Past Future Continuous, di Morteza Ahmadvand, Firouzeh Khosrovani
Powwow People, di Sky Hopinka
Treat Me Like Your Mother, di Mohamad Abdouni
Trillion, di Victor Kossakovsky

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Data articolo: Tue, 14 Oct 2025 17:04:50 +0000
The Brink Of Dreams
The Brink Of Dreams, di Nada Riyadh e Ayman El Amir

Un documentario appassionato ma incapace di trovare uno sguardo davvero incisivo sul contesto che racconta. Così procede per fiammate ma rischia di ingolfare gli spazi su cui vuole ragionare

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Sul palco contro il bigottismo, il sentimento conservatore, il pregiudizio di una società che vorrebbe le donne soggette a leggi ormai incomprensibili e per portare il pubblico, spesso composto in maggioranza di uomini, di fronte alle loro responsabilità.

In The Brink of Dreams arte e militanza si incrociano come ne I gatti persiani, solo che la lotta stavolta si fa in strada, con il teatro più che con la musica dal vivo. È tra i vicoli di un piccolo villaggio copto nel sud dell’Egitto, infatti, che un gruppo di ragazze cerca di portare avanti la loro lotta, organizzando spettacoli che, con piglio punk, provano a portare all’attenzione del loro pubblico i loro problemi quotidiani, tra matrimoni combinati (o organizzati quando le ragazzine sono ancora troppo piccole), l’atteggiamento patriarcale intrinseco della loro cultura, il desiderio di emanciparsi dalla stretta dei loro padri.

E per raccontare le loro giornate The Brink of Dreams adotta il respiro del documentario osservazionale, tutto a bordo strada, pronto ad annidarsi nelle case, a seguire le giornate delle giovani attrici, a raccontare le corsie del piccolo negozio dove lavora una di loro, ma soprattutto il backstage degli spettacoli, i lavori di ammodernamento della scuola, la costruzione delle drammaturgie.

Arriva fino alle chiese cristiano-copte del piccolo paese e questa immersione nel sincretismo nordafricano è forse uno dei momenti migliori di un film che rischia di essere quasi inglobato dal suo sguardo, che forse fa un po’ fatica a staccarsi dal suo approccio così integralmente realista. Riyadh ed El Amir evitano di uscire eccessivamente dal seminato. Lasciano che a marcare il passo del film siano le ragazze protagoniste ma allo stesso tempo rinunciano troppo presto a orientare le loro immagini, a costruire su di esse una vera drammaturgia.

Così tuttavia al film manca mordente sulla lunga distanza e The Brink of Dreams sembra reggersi soprattutto su palpiti e picchi improvvisi. È un racconto dal registro un po’ troppo convenzionale che però a momenti sembra illuminarsi: bastano una domanda fatta al pubblico da una delle attrici durante uno spettacolo che sembra rompere un muro della società, la sincerità con cui le ragazze raccontano in una scena i loro sogni, un padre che, preoccupato, prova a capire come mai la figlia non vada più al corso di teatro.

Ma c’è anche il finale, con la ricerca di stabilità, la convenzionalità borghese, i matrimoni, i figli, il graduale allontanamento dalla scuola e dal palco. Sono dettagli che irrompono all’improvviso nel quadro e sembrano contenere se non distruggere quell’idea di rivoluzione che aveva alimentato il racconto fino a quel momento e che ora non può che riposizionarsi.

Forse allora la scrittura di The Brink of Dreams è un fatto cercato, voluto. Forse è l’unico approccio possibile per raccontare l’apatia dell’oppressione silenziosa a cui sono sottoposte le giovani protagoniste, una vera e propria pasta che ingolfa il racconto ma finisce per trascinare con sé anche quel mondo, quei personaggi, che sarebbero dovuti essere vettori perfetti delle riflessioni militanti del film.

Titolo originale: id.
Regia: Nada Riyadh e Ayman El Amir
Interpreti: Majda Masoud, Haidi Sameh, Myriam Nassar, Lydia Haroun, Marina Samir, Monika Youssef
Distribuzione: Kitchen Film
Durata: 102′
Origine: Egitto, Francia, Danimarca, Qatar, 2024

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Data articolo: Tue, 14 Oct 2025 17:01:20 +0000
Ugo Bienvenu
Il Trieste Science+Fiction Festival festeggia i 25 anni. Annunciato il programma

L'evento legato alla cultura fantascientifica celebra la sua venticinquesima edizione, che si terrà dal 28 ottobre al 2 novembre con molti eventi legati al sci-fi e al fantasy e incontri con autori

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Il Trieste Science+Fiction Festival, l’evento dedicato alla fantascienza nelle varie discipline artistiche, festeggia quest’anno la sua 25ª edizione che si terrà dal 28 ottobre al 2 novembre presso il Politeama Rossetti, il Teatro Miela, la Piazza della Borsa e la Sala Xenia. Per festeggiare l’importante compleanno, oltre alle cinquanta anteprime e ai concorsi,  si terranno numerosi eventi per esplorare il sci-fi nella sua multidisciplinarietà: videogiochi, letteratura, fumetti, musica, arti visive e performative.

“Per la sua 25a edizione, il Trieste Science+Fiction Festival ha messo insieme un programma variegato e sfaccettato che, ancora una volta, saprà innovare, provocare, emozionare, stupire e, naturalmente, intrattenere – ha dichiarato il direttore artistico del festival Alan Jones – Come sempre, il festival attinge alle vivide immaginazioni di una comunità globale di registi, artisti e scrittori (nuovi, indipendenti e affermati) sempre pronti a discutere con passione del proprio lavoro, sia sul palco che fuori. E, come sempre, ovunque ci conducano queste menti visionarie, l’attualità non è mai troppo lontana, poiché il genere fantascientifico, in continua evoluzione, continua a offrire commenti pungenti sul presente più crudo attraverso il filtro di un futuro straordinario.”

A inaugurare il festival, il 28 ottobre verrà proiettata l’anteprima italiana de L’Homme qui rétrécit di Jan Kounen, che presenzierà in sala. Si tratta dell’adattamento del romanzo Tre millimetri al giorno di Richard Matheson, nel quale il protagonista si ritrova a fronteggiare numerose disavventure dopo essersi rimpicciolito a causa di radiazioni. A seguire, il caso mediatico del Torino Film Fest The Ugly Stepsister di Emilie Blichfeldt, una rivisitazione della Cenerentola dei Fratelli Grimm in chiave body horror.

Il 29 ottobre, al Teatro Miela, alla presenza del regista Michael Almereyda sarà proiettato il documentario John Lilly and the Earth Coincidence Control Office, un film-saggio sulla vicenda del neurofisiologo e “psiconauta” John C. Lilly e i suoi esperimenti con delfini e sostanze psichedeliche.

Giovedì 30 ottobre, l’anteprima italiana di Egghead Republic, diretto da Pella KÃ¥german e Hugo Lilja, già vincitori del Premio Asteroide al Trieste Science+Fiction Festival 2019 con Aniara. Si tratta di una satira implacabile del giornalismo balordo e degli eccessi indie sleaze, tratto dal romanzo post-nucleare di Arno Schmidt del 1957. Inoltre, al Teatro Miela, verrà proiettato Orwell 2+2=5 di Raoul Peck, una riflessione sulla deriva autoritaria della società contemporanea a partire dal romanzo 1984 e dal diario del suo autore George Orwell.

Il 31 ottobre invece sarà la volta dell’anteprima italiana di Bulk, di Ben Wheatley, che presenterà il suo film a mezzanotte. Spaziando dal franchise videoludico Zelda fino alle arti delle marionette, il regista con questo titolo intende tornare alle origini, all’artigianalità che lo ha sempre contraddistinto.

Il primo novembre, Arco di Ugo Bienvenu. Si tratta di un film animato su due bambini,  la piccola Iris e un misterioso ragazzo arcobaleno, e il loro viaggio per ripotarlo a casa. Alle 20.00, invece, l’anteprima internazionale Orion di Jaco Bouwer, già vincitore del premio Asteroide nel 2021 per Gaia; il film è un intenso thriller fantascientifico in cui un esperto di controspionaggio che viene incaricato di aiutare un astronauta affetto da amnesia per scoprire chi ha ucciso il suo equipaggio.

Film di chiusura del 25ª Trieste Science+Fiction Festival sarà Chien 51 di Cédric Jimenez, che verrà proiettato fuori concorso al Rossetti domenica 2 novembre:un thriller distopico che mostra Parigi divisa in tre zone in base alle classi sociali e un’intelligenza artificiale chiamata “ALMA†rivoluziona il lavoro della polizia, finché il suo inventore non viene assassinato, costringendo due agenti di polizia a indagare.

La giuria del Premio Asteroide sarà presieduta da Gabriele Mainetti, autore di opere interessanti quali Lo chiamavano Jeeg Robot, Freaks Out e La città proibita. Il regista parteciperà anche a due eventi aperti al pubblico: il 31 ottobre, terrà un incontro con il pubblico nell’ambito videoludico degli IVIPRO DAYS, mentre in seguito presso il Rossetti presenterà La mosca di David Cronenberg e District 9 di Neill Blomkamp.

Tra gli ospiti importanti, anche il pluripremiato scrittore di fantascienza Ted Chiang, autore del racconto Storia della tua vita che ha ispirato il film cult Arrival di Denis Villeneuve – in proiezione il 2 novembre al Rossetti. L’autore, il 30 ottobre in Piazza della Borsa, terrà un dialogo sull’intelligenza artificiale con il giornalista Matteo Bordone nell’ambito di Mondofuturo, mentre sabato 1 novembre affronterà il tema del linguaggio insieme alla linguista Vera Gheno nell’incontro Wor(l)dbuilding – creare universi con le parole.

 

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Data articolo: Tue, 14 Oct 2025 15:44:31 +0000
Zoë Bleu Sidel
RoFF 20 Preview – Dracula, la visione di Luc Besson del classico gotico

Il 29 ottobre ci sarà l'anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma la versione romantica del romanzo di Bram Stoker, dall'autore di Dogman, alla quale ci sarà il regista e il cast principale

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A qualche mese di distanza dal Dracula di Radu Jude, il 29 ottobre al Roma Film Festival verrà presentata in anteprima italiana la nuova trasposizione del classico gotico, Dracula – L’amore perduto, scritto e diretto da Luc Besson. Si tratta di una lettura romantica dell’opera di di Bram Stoker, dal quale il regista è stato attratto perché a Caleb Landry Jones piaceva molto come ruolo da interpretare, dopo il precedente Dogman.

Tuttavia, la versione bessoniana si distacca molto dal romanzo originale per abbracciare l’estetica e soprattutto la trama di Dracula di Bram Stoker: dopo essere condannato al vampirismo per aver rifiutato Dio nel XV secolo a causa della morte dell’amata moglie, e aver vagato nei secoli alla ricerca del suo amore reincarnato, finalmente nel 19ª quando incontra Mina la speranza gli si riaccende e inizia a corteggiarla. Questa sinossi ricorda fin troppo il cult di Francis Ford Coppola, capace di imprimere nella cultura pop immagini e simboli quasi più forti della fonte letteraria stessa. Dopotutto, come afferma Besson durante l’intervista a Deadline, per lui Dracula è “una storia d’amore su un uomo che attende per 400 anni la reincarnazione della moglie. È questo il vero cuore della storia, aspettare un’eternità per il ritorno dell’amore.”

Nel cast, oltre al vampiro interpretato da Caleb Landry Jones, compaiono anche Zoë Bleu nei panni di Mina (la controparte dell’iconica Lucy di Coppola), Matilda De Angelis in quelli di Maria e Christoph Waltz nel ruolo del prete.

Ad accompagnare Besson durante la lavorazione del film ritroviamo alcuni suoi fedeli collaboratori, tra cui lo scenografo Hugues Tissandier, che ha realizzato per il regista i set di più di dieci film, tra cui Giovanna d’Arco e Valerian e La città dei mille pianeti. Besson si è anche avvalso dell’aiuto dell’armiere britannico Terry English, creatore dell’armeria di Giovanna d’Arco, per creare l’armatura di Dracula, mentre i costumi sono stati affidati a Corinne Bruand. La colonna sonora e la fotografia sono state firmate rispettivamente da Danny Elfman e Colin Wandersman.

Il film arriverà nelle sale italiane il 30 ottobre.

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Data articolo: Tue, 14 Oct 2025 14:00:25 +0000
Troma
RoFF 20 Preview – The Toxic Avenger, il ritorno alla regia di Macon Blair

Torna sul grande schermo il vigilante del franchise di culto degli anni '80, che ha dato vita a serie d'animazione, musical e videogiochi

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Dopo il suo esordio alla regia nel 2017 con I Don’t Feel at Home in This World Anymore, presentato al Sundance Film Festival, che gli ha assegnato il Gran Premio della Giuria, Macon Blair, attore e sceneggiatore statunitense, torna alla regia con il reboot della saga cult di The Toxic Avenger. Il film sarà presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public.

Il franchise originale, ideato dalla casa di produzione e distribuzione indipendente Troma Entertainment, si compone di quattro film – The Toxic Avenger (1984), The Toxic Avenger Part II (1989), The Toxic Avenger Part III (1989) e Citizen Toxie: The Toxic Avenger IV (2000) – e ha ispirato una serie di fumetti Marvel, una serie di cartoni animati, videogiochi e musical.

La Troma,  fondata nel 1974 da Lloyd Kaufman e Michael Herz, e attiva tutt’oggi sul web, nasce con l’intento di produrre film indipendenti a basso costo, di genere splatter ed erotico, ma è la serie The Toxic Avenger a farne la fortuna e a codificarne lo stile demenziale, tra il fantascientifico e il politicamente scorretto. Il film, inizialmente poco conosciuto, diventa grazie al passaparola un cult movie e porta la Troma a produrre e distribuire le prime opere di registi come James Gunn (Tromeo and Juliet) e Oliver Stone (The Battle of Love’s Return). La saga segue le vicende di un custode maltrattato da tutti, che un giorno, in seguito all’ennesimo episodio di bullismo nei suoi confronti, cade in un fusto di rifiuti tossici e si trasforma in un essere mutante dall’aspetto orribile e dalla forza sovrumana.

Oggi, Macon Blair, grande fan della Troma e della serie The Toxic Avenger, riporta quella storia sul grande schermo con un cast composto da Peter Dinklage nel ruolo del protagonista, al fianco di Kevin Bacon, Taylour Paige, Elijah Wood (già presente nel primo film di Blair) e lo stesso regista, che interpreterà una parte nel film. In un intervista a Dreadcentral lo stesso Kaufman della Troma ha affermato che “Macon Blair conosce la Troma meglio di me. Ha visto tutto. Ha visto il cartone animato, ha visto lo speciale di Halloween, ha visto tutto. Ho letto la sceneggiatura ed è meglio dell’originale, quindi lascio fare a lui”.

Il film, che prima di approdare a Roma era già stato presentato al Fantastic Film Fest nel 2023, è stato prodotto dalla Legendary Pictures con il ritorno dei produttori originali, Kaufman e Herz, e dopo varie difficoltà nella ricerca di una distribuzione, verrà distribuito in Italia da Eagle Pictures a partire dal 30 Ottobre 2025.

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Data articolo: Tue, 14 Oct 2025 12:00:21 +0000

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