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stefano accorsi
Call My Agent – Italia

La seconda stagione della serie Sky si allontana dal tono drammatico e sferzante che appartiene alla serie francese, e ottiene un buon risultato ma meno tagliente dell'originale.

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Le seconde stagioni delle serie tv sono sempre le più difficili, costrette a rispettare le aspettative create con le prime ma anche a dare qualcosa in più. Con questo intento parte la seconda stagione di Call My Agent – Italia.

In questo caso la sfida è duplice, perché il confronto non è solo con la prima, ma anche con la fortunata serie originale francese Dix pour cent andata in onda dal 2015.
Parte del lavoro è stato già compiuto con la prima stagione, che si basa sulle solide idee dell’originale ma calate nel contesto del cinema e star italiani. In ogni puntata della serie c’è una storia autoconclusiva ma in più c’è una narrazione che coinvolge i protagonisti per tutta la durata. La carta vincente sono proprio le guest star che, generalmente una per puntata, interpretano sé stesse raccontando una verità interessante quanto scomoda che riguarda il mondo dello spettacolo: sono sempre tutti a un passo da una crisi di nervi a causa del lavoro, anche se nessuno di loro salva delle vite o corre effettivamente dei rischi. E in questi piccoli-enormi drammi trascinano anche i loro agenti, costretti a raccapezzarsi tra mille peripezie per risolvere sempre la situazione.

L’adattamento italiano Call My Agent – Italia segue all’inizio pedissequamente le orme della serie originale, riproponendone non solo la struttura vincente ma, talvolta, anche la trama dei singoli episodi, calandoli nel contesto del cinema e delle star italiane. E così a combattere contro l’età che avanza non è più Cécile de France ma Paola Cortellesi, l’attrice ossessionata dal lavoro Isabelle Huppert da noi diventa Stefano Accorsi. Ma i momenti più brillanti questa stagione li trova quando si distacca dalla trama puntata per puntata della serie francese e crea situazioni aderenti al cinema italiano che raggiungono picchi alti di divertimento. Il pesce d’aprile di Paolo Sorrentino che fa credere a tutti di avere in mente The Lady Pope, versione femminile di The Young Pope con Ivana Spagna dei panni del papa, ne è un esempio perfetto.

La seconda stagione riprende esattamente dove si era conclusa la precedente. Il futuro dell’agenzia CMA è incerto e le vicende personali dei protagonisti continuano a incastrarsi con il loro totalizzante lavoro di agenti. L’ampio respiro che prometteva, pur restando in zona sicura, Call My Agent – Italia 2 finalmente ce l’ha, e lo trova allontanandosi ancora di più dalla serie originale, non solo nella trama ma anche nel tono. Le due scelte che hanno guidato gli autori Lisa Nur Sultan (sceneggiatrice di  Sulla mia pelle), Federico Baccomo e Dario D’Amato sono molto precise: distaccarsi da Dix pour cent e marginalizzare le vicende delle guest star per approfondire le dinamiche relazionali degli agenti, veri protagonisti della serie. Il risultato è una stagione più coraggiosa della prima, in cui si tentano delle riflessioni su quello che, nel dietro le quinte dello show business italiano, risulta scomodo o addirittura indicibile. Raccomandazioni, sessismo, difficoltà a coniugare lavoro e vita privata: in questa seconda stagione si approfondisce di più il mondo dei lavoratori del cinema e meno quello delle star. Il finale ci lascia con una riflessione proprio sul tema caldissimo della violenza sulle donne, della quale sono vittime due protagoniste femminili, raccontando uno spaccato che resta sempre controverso nel mondo dello spettacolo.

In questo voler camminare di più sulle sue gambe, Call My Agent – Italia 2 rivela anche la profonda differenza che c’è con la sua madrina francese: quella è tagliente, questa è edulcorata. Basti pensare all’evento che dà inizio alla narrazione in entrambe le versioni: in Dix pour cent è la morte del capo dell’agenzia, che lascia tutti gli agenti allo sbando e nel lutto. In Call My Agent – Italia il direttore della CMA sceglie di abbandonarli per starsene a Bali, dove non ci sono responsabilità. Una scelta chiaramente mirata ad alleggerire il tono e a virare verso la commedia, strada presa definitivamente in questa seconda stagione, nella quale non c’è il tono sferzante con cui il cinema francese parla di sé stesso in Dix pour cent, ma si concentra sull’aspetto grottesco e assurdo di alcune vicissitudini che, chi lavora nel cinema lo sa, sono invece più che plausibili.
Ad esempio il brillante e ironico momento che vede protagonista la compianta Marzia Ubaldi nei panni di Elvira Bo, l’agente più anziano della CMA, quando a pochi minuti dall’apparizione come madrina del festival di Venezia di Sabrina Impacciatore, le fa notare che il discorso scritto per lei da chissà chi è una copia di un famoso monologo di Juliette Binoche a Cannes 2016 (ultima puntata della seconda stagione di Dix pour cent).

Non temendo di scontentare i fan della serie originale o meno, Call My Agent – Italia 2 si prende comunque maggiore responsabilità e prova a tirare fuori un prodotto più italiano possibile, accettandone i pro e i contro. Sicuramente non si accontenta di ammaliare il pubblico con la bellezza delle guest star che anche in questa stagione si susseguono maestose: Elodie, Dario Argento, Serena Rossi, Claudio Santamaria, ma chiede di più a sé stessa e ottiene un buon risultato.

 

Creata da: Fanny Herrero
Regia: Luca Ribuoli
Interpreti: Michele Di Mauro, Sara Drago, Maurizio Lastrico, Marzia Ubaldi, Sara Lazzaro, Francesco Russo, Paola Buratto, Kaze
Distribuzione: Sky
Durata: 50 minuti circa per 6 episodi (seconda stagione)
Origine: Italia, 2024

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Data articolo: Fri, 19 Apr 2024 15:35:15 +0000
videocittà
David alla carriera per il compositore Giorgio Moroder

L'artista che ha rivoluzionato la disco-music riceverà il riconoscimento durante la cerimonia dei David 2024. Sarà ospite anche al festival romano Videocittà

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Il compositore e produttore cinematografico Giorgio Moroder salirà sul palco della 69° edizione dei Premi David di Donatello per ricevere il David alla carriera. Il riconoscimento verrà consegnato il 3 maggio presso gli studi di Cinecittà, durante la premiazione in diretta su Rai 1. A condurre l’evento ci saranno Carlo Conti e Alessia Marcuzzi.

Giorgio Moroder è considerato un grande artista, pioniere della musica disco e stimato per le sue colonne sonore. Tra le sue tante sperimentazioni, l’uso del sintetizzatore ha modificato in maniera significativa la musica elettronica. Moroder, conosciuto su scala mondiale, ha collaborato con grandi esponenti della musica internazionale, come David Bowie e i Daft Punk, vincendo un Oscar per la colonna sonora del film Fuga di mezzanotte e due per la miglior canzone con Flashdance… What a Feeling e Take My Breath Away (Top Gun). I suoi sviluppi in ambito della disco-music l’hanno reso un’icona mondiale.

L’autore sarà inoltre ospite al festival romano Videocittà, uno spazio creativo per far conoscere la realtà delle immagini in movimento e promuovere l’audiovisivo in tutte le sue forme. Il festival si svolgerà dal 5 al 7 luglio al Gazometro di Roma e prevede proiezioni, talk, istallazioni audiovisive, performance e tanto altro. Un luogo di incontro, dove tradizione e innovazione si mescolano, promuovendo un’esperienza stimolante e immersiva all’insegna dell’audiovisivo.

Anche in questa edizione, oltre a Giorgio Moroder, la line up prevede numerosi ospiti, tra cui il rapper Tommy Cash, il cantautore Venerus, gli stand up comedian Daniele Tinti e Stefano Rapone, il content designer e fondatore di Vita Lenta e tanti altri.

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Data articolo: Fri, 19 Apr 2024 15:22:12 +0000
TJF
Omaggio cinematografico a Duke Ellington e John Zorn al Torino Jazz Festival

Nell'ambito della collaborazione tra Torino Jazz Festival e il Museo del Cinema, dal 26 al 28 Aprile al Cinema Massimo si terrà un omaggio con lavori di Maresco e Almaric su Duke Ellington e John Zorn

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Straordinario appuntamento per gli appassionati di cinema e musica nell’ambito del Torino Jazz Festival, la rassegna musicale che si tiene anche quest’anno nel capoluogo piemontese dal 20 al 30 Aprile. Dal 26 al 28 Aprile infatti al Cinema Massimo della città si terrà una retrospettiva incentrata su lavori che hanno esplorato l’arte di due dei più celebrati interpreti del genere: Duke Ellington e John Zorn. Grazie alla collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino, il TJF propone una tre giorni che mette in connessione documentari che hanno esplorato in vario modo il contributo fornito dai due musicisti a uno dei fenomeni culturali più importanti dell’ultimo secolo. In attesa di Zorn IV, già annunciato, si comincia giorno 26 con il primo dei tre film che il celebre attore e regista francese Mathieu Almaric ha diretto sul sassofonista, compositore ed esploratore a tutto campo John Zorn. La collaborazione tra il Museo del Cinema e il TJF prosegue giorno 27 con un ricco programma di concerti, tra cui un omaggio a Duke Ellington con la proiezione di tre film. Tra questi, U112 – Assalto al Queen Mary, di Jack Donohue, dove la musica di Ellington fu completata da Van Cleave e Frank Comstock per consentire al musicista di partire per un tour; Paris Blues, di Martin Ritt, che valse a Ellington una nomination agli Oscar per la migliore colonna sonora di un film musicale; infine, uno straordinario incontro tra Franco Maresco e Steve Lacy, uno dei più grandi sassofonisti della scena sperimentale, immortalato durante l’esecuzione di brani del “Duca”. Questo evento presenta in anteprima proprio il film Steve e il Duca, coprodotto da Cinico Cinema, Torino Jazz Festival e Museo Nazionale del Cinema. Nel 1999, in occasione del centenario della nascita di Ellington, Maresco commissionò a Lacy l’esecuzione di dieci brani, registrati e filmati a Palermo. A vent’anni dalla morte di Steve Lacy e a cinquanta dalla morte di Ellington, ecco quindi che questo materiale inedito viene presentato in anteprima dal TJF.

Qui il programma completo

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Data articolo: Fri, 19 Apr 2024 15:09:50 +0000
They Drive By Night
A.I. Bezzerides: l’omaggio dell’American Cinematheque

La retrospettiva organizzata a Los Angeles e dedicata allo sceneggiatore di Un bacio e una pistola è anche un'occasione per riflettere sul ruolo della tecnologia all'interno dell'industria

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A partire dal 20 aprile e fino al 19 maggio l’American Cinematheque celebra lo sceneggiatore Albert Isaac “Buzz” Bezzerides, autore anche dello script di Kiss me deadly (1955), in una rassegna intitolata “Written by AI“. Sfruttando cioè il gioco di parole derivante dalle iniziali dello scrittore per ragionare delle recenti diatribe relative al ruolo dell’intelligenza artificiale all’interno dell’industria.

L’iniziativa dell’organizzazione culturale di Los Angeles, che sarà composta da 5 film, è stata inoltre pensata, così come riporta IndieWire, per riflettere sul cinema a cui Bezzerides ha contribuito a dare vita; un cinema che parla della “difficile relazione dell’umanità con le macchine, che rendono la vita più facile e alla fine portano all’autodistruzione”.

Dal già citato Kiss me deadly, adattamento del romanzo poliziesco di Mickey Spillane, a On dangerous ground, thriller di Nicholas Ray uscito qualche anno prima, nel 1951. Senza dimenticare Sirocco (di Curtis Bernhardt), action con Humphrey Bogart e Lee J. Cobb, They Drive By Night (di Raoul Walsh) e Desert Fury, diretto da Lewis Allen (1947); che insieme andranno a costituire la cinquina selezionata dall’American Cinematheque.

In un’epoca in cui lo spettro dell’intelligenza artificiale aleggia minaccioso al di sopra delle nostre teste, la retrospettiva dedicata allo sceneggiatore americano rappresenta dunque un utile spunto di riflessione. D’altronde l’unica strategia rimastaci per avere la meglio  sulle macchine potrebbe materializzarsi nel rifiuto della razionalità e del pensiero logico; e per citare proprio A.I. Bezzerides e la sua celebre risposta relativa ai potenziali livelli di interpretazione dello script di  Kiss me deadly: “La gente mi chiede dei significati nascosti nella sceneggiatura, della bomba atomica, del maccartismo, cosa significa la poesia, e così via. E posso solo dire che non ci ho pensato quando l’ho scritto. Volevo rendere ogni scena, ogni personaggio, interessante. […] Mi stavo divertendo”.

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Data articolo: Fri, 19 Apr 2024 13:42:50 +0000
Sony
Martin Scorsese sogna un biopic su Frank Sinatra

Nel cast oltre a Leonardo DiCaprio anche Jennifer Lawrence, nei panni della seconda moglie di Sinatra Ava Gardner. Il progetto è stato annunciato già nel 2009, e rimandato negli anni fino ad oggi

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Martin Scorsese sta pensando di realizzare il biopic su Frank Sinatra, con Leonardo DiCaprio nel ruolo principale. Il sodalizio dei due, dopo l’incontro in Gangs of New York, prosegue dopo oltre vent’anni. Nel cast ci sarà anche Jennifer Lawrence nei panni di Ava Gardner, moglie del cantante dal 1951 al 1957. Secondo Variety Scorsese si starebbe preparando a girare il film sulla vita di Sinatra immediatamente dopo quello su Gesù, adattamento tratto dal libro giapponese di ShÅ«saku EndÅ. Purtroppo, prosegue Variety, al regista mancano ancora i permessi della figlia di Sinatra, Tina, che detiene di diritti della musica e delle immagini. Sembrerebbe che Apple sia interessata al progetto, ma a produrlo potrebbe invece essere Sony.

Scorsese ha già provato a realizzare un biopic su Frank Sinatra in una produzione annunciata nel 2009 ma poi respinta da Universal. Anche in quell’occasione dei rumor parlavano della scelta del cineasta di inserire DiCaprio nel ruolo principale. Per quella trasposizione cinematografica il regista ha sottolineato la sua idea del film, spiegando che vorrebbe più attori ad interpretare lo stesso ruolo: “Non basta più raccontare solo i momenti migliori della vita di Sinatra. Per questo una strada da tentare potrebbe essere avere tre o quattro differenti Sinatra. Più giovane. Più vecchio. Mezza età. Molto vecchio. Andare avanti e indietro nel tempo. Il tutto attraversando la sua musica.â€

Ad ogni modo le voci riguardo il film che Scorsese ha provato a realizzare nel 2009 parlavano già di una insoddisfazione nei confronti delle idee del regista da parte di Tina, specialmente nel voler raccontare i legami di Sinatra con l’organizzazione criminale.

Nel 2017 il cineasta sembrava aver scelto di rinunciare definitivamente al progetto, come riportato dal Toronto Sun. “Certamente le cose sono difficili per una famiglia, e lo capisco. Ma se mi concederanno i permessi, non possono aspettarsi che io non parli di certe cose. Il problema è che era un uomo complesso; come tutti. Ma Sinatra in particolare.â€

Al momento il regista statunitense è impegnato in svariati progetti. Oltre al film su Gesù, sta realizzando una serie Apple tratta dal suo Cape Fear del 1991 e The Wager, il cui soggetto è stato tratto da The Wager: A Tale of Shipwreck, Mutiny and Murder di David Grann, lo stesso autore del saggio che ha ispirato Killers of the Flower Moon. Scorsese avrà anche una parte in un nuovo film su Dante Alighieri, In The Head of Dante, diretto da Julian Schnabel.

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Data articolo: Fri, 19 Apr 2024 12:09:40 +0000
Sol Kyang-gu
The Moon, di Kim Yong-hwa

La Corea si pensa in grande in un'avventura spaziale che guarda in faccia i modelli statunitensi con la consapevolezza del dramma geopolitico. Dal Brussels International Fantastic Film Festival 2024

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Tra Gravity, Apollo 13 e il Sopravvissuto di Ridley Scott si apre un sentiero narrativo che il sudcoreano Kim Yong-hwa intraprende con la decisione di chi ha capito come il racconto spaziale può essere anche un’efficace metafora del pensarsi patriotticamente sullo scacchiere internazionale. Lo facevano già in Giappone nei “caldi†anni Sessanta della corsa alle stelle, d’altra parte, quando L’invasione degli astromostri vedeva un eroe locale e un pilota a stelle strisce affiancati in missioni oltre i confini conosciuti e quindi, perché ora non immaginare che il secondo paese a camminare sulla Luna sia proprio la penisola asiatica? Detto e fatto con questo The Moon, presentato in questi giorni al Bruxelles International Fantastic Film Festival, contestualmente all’uscita italiana in DVD per Blue Swan.

L’aspetto peculiare della prospettiva scelta è il contrasto fra una missione di portata nazionale (e mondiale) e la difficoltà del compito che ricade sulle spalle dei reietti: prima fra tutte la KASC, il corrispettivo coreano della NASA, estromessa dal circuito internazionale delle agenzie spaziali dopo che la prima missione sulla Luna si era risolta in un completo disastro, con l’esplosione del razzo e la morte dell’intero equipaggio. Nondimeno la piccola nazione si è rimboccata le maniche e con le sue sole forze ha messo in piedi un altro viaggio, in cui spicca, ancora una volta, l’elemento fuori posto, ovvero il novellino Hwang Sun-woo, scelto come pilota del modulo di comando dopo una formazione da Seal e guardato perciò con una certa spocchia dai compagni più esperti. E poi c’è Kim Jae-guk – il veterano Sol Kyang-gu che ricordiamo in Oasis di Lee Chang-dong – il direttore dalla base KASC, che aveva guidato la precedente missione, per poi dimettersi sull’onta del fallimento e che ora è costretto a rientrare per dare una mano.

Già perché un incidente non previsto fa uscire di scena i compagni e costringe Hwang ad allunare da solo: e non basta! Subito dopo, una pioggia di meteoriti colpisce il satellite rendendo tutta la situazione molto critica per il giovane pilota. Sulla Terra, intanto, va in scena il gioco delle parti, con la NASA che, vistasi battuta sul campo dalla nazione in cui nessuno aveva creduto, da un lato nicchia, dall’altra cela le informazioni che potrebbero fornire sollievo agli asiatici in un momento tanto critico.

Per raccontare questo coacervo di posizioni, a metà fra il disaster movie spaziale alla Armageddon e il dramma geopolitico, il regista Kim Yong-hwa adotta lo stesso piglio muscolare con cui il cinese The Captain, di Andrew Lau (passato al Far East 2020) narrava la sopravvivenza a un disastro aereo: il che implica grande enfasi patriottica e non priva di retorica sulla resilienza di una nazione e dei suoi uomini, che unendo ingegno e una piccola dose di naiveté riescono a far fronte a ogni imprevisto.

La consapevolezza del racconto che si guarda mentre osserva quanto accade lassù, è evidente nel tono metanarrativo che scompone la vicenda in numerose sottotrame umane, mentre occhieggia al ruolo dei social media e della propaganda nella riuscita della missione. Perché il dramma del singolo diventi monito all’umanità tutta e redarguisca chi pensa ai particolarismi, in una visione tutta coreana dell’oltrepassare i confini (loro che in effetti, quello più grande da sempre lo sopportano in casa).

Tutto come da codice del perfetto space-movie “realistaâ€, insomma, come quelli citati in apertura, che però Kim piega alla bisogna: all’ostentato perfezionismo tecnico dei modelli americani, che hanno sbandierato sempre consulenze di pregio e rispetto delle dinamiche nel vuoto cosmico, il film preferisce invece un approccio più “umorale†e immersivo. Nello spazio dei coreani, pertanto, c’è rumore, i corpi sono sbalzati con pesantezza, mentre gli effetti speciali sono di eccellente livello: tutto l’artificio è indirizzato a massimizzare il risultato spettacolare e a esaltare l’eroismo di una nazione capace di unirsi superando le difficoltà. E il risultato, se si sta al gioco, è senz’altro molto coinvolgente.

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Data articolo: Fri, 19 Apr 2024 09:24:47 +0000
napoleon
Napoléon di Abel Gance apre Cannes Classics

A quasi cento anni dalla sua realizzazione, torna a nuova vita grazie al titanico restauro che restituisce la versione di circa sette ore.

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In attesa che venga annunciato il programma di Cannes Classics, il festival annuncia la presentazione, come titolo di apertura, della versione integrale restaurata di Napoléon, opera-film che rappresenta la summa dell’opera di Abel Gance, nonché una delle vette artistiche dell’intera storia del cinema e che sarà proiettato il 14 maggio in anteprima mondiale.

Tra i titoli fondamentali del muto, il restauro di Napoléon ha richiesto sedici anni. Il festival afferma che “varie fonti sono state utilizzate per riscoprire la trama originale” del film di sette ore, con bobine trovate alla Cinémathèque française, al CNC, alla Cinémathèque de Toulouse e alla Cinémathèque de Corse, così come in Danimarca, Serbia, Italia, Lussemburgo e New York.

Il regista ed esperto di restauro Georges Mourier e il suo team hanno lavorato fotogramma per fotogramma e hanno esaminato quasi 100 chilometri di pellicola. Il festival ha affermato che le note di montaggio originali di Gance e la corrispondenza con il suo montatore, trovate alla BNF, “hanno permesso di rimontare il film nella sua versione originale”.

Celebrato dagli studiosi per le sue innovazioni tecniche ed estetiche, Napoléon ha debuttato all’Opera di Parigi il 7 aprile 1927, alla presenza del presidente francese Gaston Doumergue prima di intraprendere una tournée mondiale. Le bobine originali del film sono state successivamente sparse in tutto il mondo, alcune perse o distrutte. Il film è stato poi rimontato, di cui ad oggi sono note 22 versioni diverse.

Napoleone non è stato più mostrato nella sua versione originale, conosciuta come “Grande Versionâ€, dal 1927, con telecamere montate su cavalli e il trittico su tre schermi contemporaneamente.

Il film si sviluppa in due parti. Il primo periodo, della durata di 3 ore e 40 minuti, sarà presentato come evento di pre-apertura a Cannes e poi proiettato integralmente, con l’esecuzione dal vivo della colonna sonora, con 250 musicisti di Radio France alla Seine Musicale di Parigi il 4 e 5 luglio, nonché al festival di Radio France a Montpellier, e poi al la Cinemathèque française.

Ecco dunque che uno dei caposaldi della storia del cinema, rappresenta l’ambizione di fare dell’immagine in movimento un oggetto in grado di oltrepassare i limiti dello schermo, per tornare a dominare le platee. Una proiezione, quella di Abel Gance, che si preannuncia come uno dei momenti imperdibili di questa già ricca 77°edizione del festival.

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Data articolo: Fri, 19 Apr 2024 08:45:05 +0000
While the Green Grass Grows
37 Bolzano Film Festival Bozen – Elaborazione del lutto e Dark Tourism in concorso

Il nostro percorso nel Concorso del festival altoatesino dove il cinema è lo strumento personale e collettivo necessario ad elaborare il trauma della morte e abbracciare lo scorrere della vita

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Tra le anteprime della 37esima edizione del Bolzano Film Festival Bozen vi proponiamo un percorso che, come lo scorso anno, propone fiction e docufilm, scardinandone dettami formali e intenti, per tentare di tracciare un dialogo continuo tra l’atto ineluttabile della morte e lo scorrere della vita. Il cinema, in questo senso, può svolgere un ruolo terapeutico, creando una consapevolezza, prima personale e poi collettiva, sulla necessità e sulle modalità di elaborazione del trauma della perdita. Abbiamo scelto, all’interno del concorso, tre opere che riflettono attraverso metodi e operazioni diametralmente opposte, sull’inevitabile contrasto – ma anche sull’armonia – tra vita e morte, sulla loro difficile convivenza, sia in ambito famigliare sia in ambito collettivo.

While the Green Grass Grows è il primo titolo da cui partiamo nel nostro personale resoconto. Un titolo ambiguo per l’ultima opera di Peter Mettler, documentarista svizzero-canadese, vincitore assoluto dello scorso festival svizzero Visions du Réel. Il progetto di Mettler è un mastodontico progetto di più di undici ore, diviso poi in sette parti, girato fra il 2019 e il 2021, di cui abbiamo potuto visionare solo un piccolo estratto, di circa 160 minuti. Mettler riprende a partire dal 2019 la sua quotidianità durante gli ultimi giorni di vita dei suoi genitori, emigrati settant’anni prima in Canada dalla Svizzera. Per lui riprendere tutto ciò che vede e vive, minuto per minuto, è l’unico modo che conosce per elaborare la sua esistenza. Avere un terzo occhio sulla vita davanti a sè lo aiuta (e ci aiuta) a sviluppare dei continui interrogativi. Cosa sto osservando in questo preciso istante? Qual è il mio personale rapporto con questo oggetto o con gli agenti atmosferici che riprendo, con la mia famiglia, con la vita che sto vivendo? L’idea del regista è quella di una continua immanenza della vita ancora prima della nascita o dopo la morte di ciascuno. Un concetto impossibile da decifrare ma che c’è, esiste, ed è percepibile nell’essenza della natura che ci circonda. Vivere, per Mettler, significa quindi lasciare che la videocamera riprenda e si sintonizzi con lo scorrere della vita. Nel frattempo, il documentarista inserisce un ulteriore riferimento: diversi materiali d’archivio di suoi film precedenti, dai primissimi cortometraggi fino al viaggio per incontrare il Dalai Lama. In tutte queste immagini d’archivio Mettler ritrova sempre stesso, anche a differenza d’anni. Il cinema, in questo senso, è anche una forma di reincarnazione della sua vita, dove tutto ritorna, anche solo per qualche istante, a vivere, a farsi immagine in movimento.

Souvenirs of War è invece la seconda tappa del nostro percorso. Il documentario del regista tedesco Georg Zeller racconta il fenomeno del Dark Tourism in Bosnia, dove i vecchi teatri di guerra del conflitto degli anni Novanta sono diventati attrazioni turistiche. Alla massimizzazione del profitto cercata attraverso la spettacolarizzazione della guerra con turisti invitati a giochi di combattimento lungo l’ex linea del fronte, un’altra fetta della popolazione risponde con il tentativo di sviluppare una memoria collettiva. Così, alcuni ex veterani e figli di vittime della guerra cercano di trarre il meglio dalla loro pesante eredità traumatica. Srebrenica e l’assedio di Sarajevo vengono raccontati con le lacrime agli occhi, a denti stretti. Lo shock post traumatico della guerra in Jugoslavia è un dramma che colpisce trasversalmente generazioni di uomini e donne bosniaci ancora oggi, trent’anni dopo la fine del conflitto. La riflessione sul valore della memoria, collegata al fenomeno del Dark Tourism, ricorda per certi versi quella fatta Sergei Loznitsa nel suo Austerlitz, dove il turismo si esauriva in azioni meccaniche e compulsive, uccidendo il senso ultimo di un percorso introspettivo all’interno del campo di concentramento e del museo di Sachsenhausen. A qualche anno di distanza, Zeller racconta come la memoria possa offuscarsi anche in chi avrebbe il compito di custodirla e conservarla, trasmettendola “a chi non c’era”. Il cinema, anche in questo caso, cerca di spingere ad una riflessione condivisa, richiamando ad una responsabilità, tanto personale quanto collettiva.

Il punto di arrivo del nostro viaggio tra le pieghe del concorso altoatesino è, infine,  Südsee, terza opera della regista tedesca Henrika Kull. In questo caso ci troviamo sì in un film di finzione ma la contingenza con l’attualità è ancora più forte di quella dei documentari appena trattati. Il film ci racconta tre giorni della vita di Anne e Nuri, due giovani che si conoscono solo grazie a un amico comune. I due si recano spontaneamente insieme a casa dei genitori di Nuri, sulle montagne tra Tel Aviv e Gerusalemme. Entrambi hanno studiato in Germania, lei è tedesca, lui vorrebbe prendersi la cittadinanza e scappare da “quell’inferno†che è Israele. Sullo sfondo, incombe il conflitto (che non ha coordinate storiche precise) tra l’esercito israeliano e Hamas e i due, al sicuro da guerra e sofferenza, trascorrono due giorni intimi in una piscina sotto la cupola di ferro. Mattina e sera passano nell’anonimato più totale. Citazioni colte, qualche birra, un paio di canne e qualche discorso sulle proprie tormentate relazioni amorose. Fuori dal centro dell’inquadratura si percepiscono dei bombardamenti. La morte vicina geograficamente ma lontano dallo sguardo (anche qui verrebbe da pensare ad un’altra opera ben più rinomata che ha fatto discutere da questo punto di vista), eppure la villetta sulle montagne di Gerusalemme diventa un luogo asfissiante, in cui la paura della morte e il senso di inadeguatezza nei confronti della vita raggiungono inaspettatamente i protagonisti del racconto. L’esistenza del popolo palestinese viene menzionata con indifferenza, la pace non è contemplata. Può esistere solo e unicamente una costante e infinita tensione, che è anche quella sessuale totalmente inespressa durante il soggiorno dai due non-amanti. E mentre ad esplodere è il dramma della guerra, Anne e Nuri rimangono bloccati nella loro solitudine interiore.

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Data articolo: Fri, 19 Apr 2024 07:24:38 +0000
Steve Della Casa
Steve Della Casa nuovo Conservatore della Cineteca Nazionale

Il critico cinematografico ed ex direttore del Torino Film Festival è stato eletto con piena approvazione del Cda e del comitato scientifico.

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Il nuovo presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia Sergio Castellitto, con piena approvazione del Cda e del comitato scientifico, ha eletto Steve Della Casa come nuovo Conservatore della Cineteca Nazionale, istituzione che conserva il patrimonio filmico italiano (circa 120.000 pellicole, di cui 2000 disponibili per la diffusione culturale) e si occupa della conservazione, dell’incremento e del restauro delle opere.

Steve Della Casa è un critico cinematografico e direttore artistico italiano che dopo aver diretto la sezione “Spazio Italia” sin dalla sua fondazione, ha rivestito la carica di direttore del Torino Film Festival dal 1999 al 2002 e dal 2022 al 2023. Dal 1994 conduce “Hollywood Party”, uno dei più famosi programmi radiofonici di Radio 3. Autore di numerosi saggi e volumi cinematografici, collabora con il quotidiano La Stampa e ha presieduto la Torino Film Commission. Ha vinto poi il Nastro d’argento, assegnato dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici, per il miglior documentario sul cinema con I tarantiniani, firmato insieme a Maurizio Tedesco. Dal 2015 è autore televisivo per la serata dedicata ai David di Donatello.

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Data articolo: Thu, 18 Apr 2024 17:26:26 +0000
Vita da gatto
I film in sala della settimana (15-21 aprile)

Tra i nuovi film in sala ci sono Civil War, Back to Black, Cattiverie a domicilio, Non volere volare, Vita da gatto e Il cassetto segreto.

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Le novità in sala da lunedì a domenica 21. I nostri film della settimana sono Civil War e Berchidda Live. Un viaggio nell’archivio Time in jazz uscito lunedì scorso.

15 aprile

Berchidda Live. Un viaggio nell’archivio Time in Jazz – Italia 2023 – 94′ – (la recensione) – 4/5 (Leonardo Lardieri)

La canzone della terra – Norvegia 2023 – 90′ – (la recensione) – 3.6/5 (Marco Bolsi)

Ennio Doris. C’è anche domani – Italia 2024 – 122′ – (la recensione) – 1/5 (Matteo Pivetti)

 

18 aprile

Back to Black – Frasncia, UK; USA 2024 – 122′ – (la recensione) – 3/5 (Pompeo Angelucci)

Brigitte Bardot Forever – Polonia 2021 – 122′ – (la recensione) – 2.5/5 (Matteo Di Maria)

Il cassetto segreto – Italia 2024 – 132′ – (la recensionel’intervista) – 3.7/5 (Sergio Sozzo)

Cattiverie a domicilio – UK, USA, Francia, 2023 – 100′ – (la recensione) – 3.2/5 (Simone Emiliani)

Civil War – UK, USA 2024 – 119′ – (la recensione) – 4/5 (Riccardo Baiocco)

Non volere volare – Islanda, UK, Germania 2023 – 97′ – (la recensione) – 3/5 (Antonio D’Onofrio)

Toxicily – Francia, Italia 2023 – 75′

Vita da gatto – Francia, Svizzera 2023 – 83′ – (la recensione) – 3.5/5 (Valeria Di Brisco)

 

21 aprile

Flora – Italia 2023 – 73′ – (la recensione)

 

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Data articolo: Thu, 18 Apr 2024 17:01:48 +0000

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