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News recensioni film cinema da sentieriselvaggi.it

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the palace
The Palace, di Roman Polanski

Più che un grottesco polanskiano è un film trash. E mai le immagini del regista erano state così mono-dimensionali e fetide.

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Siamo sconcertati. Ma forse era nell’ordine delle cose che a 90 anni, uno dei più grandi registi della storia, da anni esiliato in Francia, finisse con il realizzare il suo film più oltraggioso e “spiazzante”. Il che è ovviamente anche affascinante in termini di perversione autoriale e di letture critiche di secondo, terzo e quarto grado.

Proviamo a fare un po’ d’ordine. Siamo comunque nelle Alpi svizzere, e questo è un fatto perché siamo lì, nella terra di nessuno che riunisce banchieri e cittadini di serie A. Ma le lancette del tempo vanno all’indietro, a quel 31 dicembre 1999 in attesa dell’apocalisse, degli sconvolgimenti degli anni 2000 e del millennium bug. In Tv ci sono le dimissioni di Boris Eltsin e addirittura le dichiarazioni pro-democrazia (!) del giovane Putin. Ma è tutto sullo sfondo degli schermi, perché i russi che vediamo sono mafiosi impellicciati, muniti di cadillac e borse piene di denaro e sono accompagnati da modelle viziose e ambasciatori corrotti. E la sarabanda di personaggi continua. Una ex star del cinema che tutti chiamano Bongo (Barbareschi) per le dimensioni falliche, un miliardario vecchissimo (John Cleese) sposato con una giovane dalle forme generose che sta per ereditare l’intero patrimonio. Altre vecchie signore ricche con i loro cagnolini, i gioielli e il botox in faccia, e le maschere impietose di Fanny Ardant e della Sidney Rome di Che?, il prototipo da cui, forse, Polanski voleva ripartire. E tra questi vecchi mostri c’è anche Mickey Rourke, facoltoso cliente americano dell’hotel inutilmente in cerca di una suite di suo gradimento. Ovviamente è tutto concentrato in una notte sola, dove ben presto esplode il caos tra tavoli alcolici, escrementi di cane, infarti a raffica, macchinose gag reiterate e, soprattutto, un museo delle cere davvero impressionante.

The Palace, più che un grottesco polanskiano, è un film trash. È un film trash sul trash, scritto insieme all’altro grande regista e amico Jerzy Skolimowski, e diretto con un odio sconfinato nei confronti dell’umanità, delle classi agiate, delle donne, dei potenti posticci e corrotti e, forse, del cinema stesso. Forse Polanski è arrivato troppo stanco a questo progetto, senza la leggerezza necessaria. Mai infatti le sue immagini erano state così mono-dimensionali e fetide. E mai la tensione corrosiva e conturbante dell’autore polacco era sembrata così scricchiolante e fuori misura. Che cosa abbiamo qui? Che sia il suo divertissement terminale, rabbioso e depresso? O semplicemente il prendersi gioco di tutto e tutti nel consueto cul de sac senza via d’uscita? Un giorno, magari, focalizzeremo. La scena finale prevede intanto un rapporto sessuale tra un cagnolino e un pinguino. A modo suo ha senso perché The Palace è come una sveltina “andata a male”. Da qualche parte tra l’affresco alla Buñuel e il (peggior) cinepanettone italiano ci troviamo a collocare sia questa “notte di baldorie” che Polanski si è voluto concedere, sia l’inevitabile oggetto freak partorito. Il sapore non è troppo lontano da quello dello champagne scadente, che di solito finisce con l’essere rigettato sulla moquette proprio nelle notti di Capodanno. Poi si sa, ognuno ha i suoi gusti e ogni scherzo della natura (e del cinema) può avere i suoi seguaci. E, da qualche parte, può anche esserci un fascino malato in questo film. Però stavolta noi qui ci fermiamo.

 

Titolo originale: id.
Regia: Roman Polanski
Interpreti: Oliver Masucci, Fanny Ardant, John Cleese, Joaquim De Almeida, Luca Barbareschi, Milan Peschel, Bronwyn James, Fortunato Cerlino, Mickey Rourke, Sidney Rome, Danylo Kotov, Matthew Reynolds, Marina Strakhova, Irina Kastrinidis, Teco Celio, Naike Silipo
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 100′
Origine: Italia, Svizzera, Francia, Polonia, 2023

 

 

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Data articolo: Wed, 27 Sep 2023 17:00:49 +0000
simone bozzelli
Locarno a Milano: il programma

Dal 29 settembre al 1 ottobre presso il Cinema Arlecchino. Oltre ai film ci sarà una tavola rotonda sullo stato del cinema italiano.

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Dal 29 settembre al 1° ottobre, si svolgerà la rassegna “Locarno a Milano” con una selezione di 9 tra i titoli più significativi della 76° edizione del festival. Verranno proiettati tutti in lingua originale e sottotitolati in italiano. L’evento si svolgerà presso il Cinema Arlecchino. Oltre ai film, ci sarà una tavola rotonda sullo stato del cinema italiano.

Realizzato in collaborazione con la Cineteca di Milano e Filmidee, e al supporto di Fondazione Cariplo, l’evento porta Locarno a Milano, con proiezioni, incontri con registi, tra cui Laura Ferrés, Annarita Zambrano, Basil Da Cunha e Simone Bozzelli e discussioni di attualità per scoprire nuove tendenze, talenti e prospettive nel mondo del cinema italiano.

Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival ha dichiarato: “Locarno a Milano è più che un’estensione del programma della 76esima edizione del Festival: un dialogo attivo in grado di mettere in rete il meglio del cinema mondiale con le energie più appassionanti del nuovo cinema italiano. Dalla riscoperta di un classico del cinema pre codice Hays come California Straight Ahead al cinema immaginifico di Bertrand Mandico e alla sorprendente opera prima La imatge permanent, dall’immersione sensoriale di El auge de l’humano 3 di Eduardo Williams tuffandosi nella musicalità di Manga D’Terra di Basil Da Cunha. Locarno a Milano è anche un’occasione di parola: con Simone Bozzelli, regista di Patagonia, Annarita Zambrano, autrice del sensuale Rossosperanza e Tommaso Santambrogio, rivelato da Gli oceani sono i veri continenti. Locarno a Milano è il cinema nuovo, emergente, giovane, presentato nel più grande Festival svizzero che incontra il pubblico italiano. Un dialogo appassionante che continua e si rinnova instancabile”.

Nel corso delle tre giornate sarà anche proposta la proiezione della commedia muta americana California Straight Ahead (1925) di Harry A. Pollard, sapientemente restaurata in 2k dall’unica copia in 35mm conosciuta e conservata alla Cineteca di Milano. Inoltre, per i più piccoli, sarà possibile vedere La rosa di Bagdad (1949) di Anton Gino Domenighini, anch’essa restaurata da Film Documentari d’Arte in collaborazione con l’Istituto Luce Cinecittà e il laboratorio Augustus Color di Roma.

 

Il programma

Venerdì 29 settembre

21.00

  • Rainer, a Vicious Dog in a Skull Valley, di Bertrand Mandico, 26′, Francia, 2023
  • La imatge permanent (The Permanent Picture), di Laura Ferrés, 94′, Spagna, Francia, 2023

Sabato 30 settembre

15.00

  • Find a Film! di Coline Confort, Slava Doytcheva, Federico Frefel, Alessandro Garbuio, Andrea Gatopoulos, Ambra Guidotti, Jumana Issa, Zhenia Kazankina, Bohao Liu, Diego Andres Murillo, Chiara Toffoletto, 80′, Svizzera, 2023

16.30

  • El auge del humano 3 (The Human Surge 3), di Eduardo Williams, 121′, Argentina, Portogallo, Paesi Bassi, Taiwan, Brasile, Hong Kong, Sri Lanka, Perù, 2023

19.00

  • Se ci fosse luce sarebbe bellissimo, Tavola rotonda sul giovane cinema italiano, con Simone Bozzelli, Tommaso Santambrogio e Annarita Zambrano

21.00

  • Rossosperanza, di Annarita Zambrano, 87′, Italia, Francia, 2023

Domenica 1 ottobre

11.00

  • La rosa di Bagdad, di Anton Gino Domenighini, 73′, Italia, 1949, in collaborazione con Locarno Kids la Mobiliare

15.00

  • California Straight Ahead, di Harry A. Pollard, 83′, Stati Uniti, 1925

17.00

  • Manga D’Terra, di Basil Da Cunha, 96′, Svizzera, Portogallo, 2023

19.00

  • Patagonia, di Simone Bozzelli, 112′, Italia, 2023

 

 

 

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Data articolo: Wed, 27 Sep 2023 16:05:55 +0000
womenlands
Alice nella città: il programma della 21° edizione

Tra gli appuntamenti di spicco di quest'anno anche Mare Fuori, Il ragazzo e l'airone di Miyazaki e il progetto Womenlands.

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Questa mattina i Direttori artistici Fabia Bettini e Gianluca Giannelli hanno presentato il programma di Alice nella città, la sezione autonoma della Festa del Cinema di Roma 2023, che si terrà dal 18 al 29 ottobre. Una 21° edizione che si declinerà al femminile, a partire dal primo titolo in programma To Leslie (con l’attrice candidata all’Oscar Andrea Riseborough) fino ad arrivare al progetto in collaborazione con Expo 2030 “Womenlands”, che prevede una serie di incontri con l’obiettivo di valorizzare le eccellenze femminili sia italiane che internazionali.

Tra i grandi appuntamenti di quest’anno spiccano anche le prime due puntate della quarta stagione di Mare Fuori, la serie Rai di successo con Maria Esposito e Massimiliano Caiazzo, e il nuovo film animato dell’autore giapponese Hayao Miyazaki Il ragazzo e l’airone, prodotto dallo Studio Ghibli e distribuito da Lucky Red.

La sezione, che come di consueto avrà luogo nelle location dell’Auditorium Parco della Musica, dell’Auditorium Conciliazione, del Cinema Adriano e del Cinema Giulio Cesare, aggiunge quest’anno in lista anche il Palazzo delle Esposizioni, che ospiterà la prima edizione degli SHORT FILM DAYS, spazio di networking e coproduzione rivolto ai giovani talenti del mondo del cortometraggio e ai professionisti dell’audiovisivo.

Per il programma completo consultare il sito ufficiale di Alice nella città.

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Data articolo: Wed, 27 Sep 2023 15:03:28 +0000
Renata Malinconico
Non credo in niente, di Alessandro Marzullo

L'esordio del regista è un racconto generazionale che sembra aver paura di fallire con un eccesso di virtuosismi visivi e una certa inclinazione alla maniera. Credibili comunque gli attori.

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Se il fondamento di Non credo in niente, o motivo ispiratore, è costituito dalla frase di Zygmunt Bauman che in esergo ne traccia il profilo di massima che con una certa coerenza resta lo sfondo dominante, assumendo anche la forma sufficientemente sfilacciata ad imitazione della società liquida che il filosofo polacco propone, è anche vero che la sostanza di questo film è, per i quattro personaggi, quello di un fallimento esistenziale e il tentativo di sfuggirci. È anche quello di un rifiuto di ogni desiderio, è quello di un adattarsi ad una vita che non preveda sorprese e di tracciare quindi una sorta di ‘parabola piatta’ delle esistenze in un crescere di antiemozioni di un esistenzialismo senza pensiero costruttivo. In altre parole, un quadro sufficientemente drammatico per una intera generazione di cui i personaggi costituiscono un campione.
Al centro ci sono quattro storie che non si incrociano e che mantengono, nella solitudine dei personaggi, quel clima di autarchico isolamento nel quale il film finisce per diluirsi. Una coppia, un violinista (Mario Russo) e una pianista (Renata Malinconico) sperano di vivere della musica che amano, ma lavorano in un ristorante di un dispotico titolare. L’insofferenza di lui e l’insoddisfazione di entrambi finirà per rompere il difficile equilibrio di coppia. Un attore (Giuseppe Cristiano) in cerca di successo vive di sesso occasionale e di speranze che non si avverano, spesso si accompagna con un suo amico meccanico (Gabriel Montesi) logorroico e per questo insopportabile. Una hostess (Demetra Bellina) disillusa dall’amore cerca una sua strada senza sapere esattamente quale. Sa solo di avere di avere una sola amica (Jun Ichikawa) e un’attrazione molto forte, ma con fatica ricambiata, per un receptionist dell’albergo (Antonio Orlando) presso il quale alloggia. Lui scrive su un suo taccuino, non si sa cosa, ma cita Rilke e Guy De Maupassant. C’è un solo personaggio soddisfatto e con qualche certezza, ma è fuori tempo per età, il “paninaro” ambulante (Lorenzo Lazzarini) dove i quattro personaggi a turno si ritrovano, con lui sempre pronto a dispensare consigli e fare le veci di uno psicologo restando felice del proprio lavoro.

Nonostante i movimenti dei personaggi per le strade di una Roma sempre notturna e quasi disabitata in felice combinazione con il solipsismo dei personaggi, Non credo in niente resta un film ‘immobile’ nella sua concezione, radicato dentro questa paura di fallire che, a sua volta, rende immobili i personaggi che nelle loro vite continuano a girare a vuoto. Con un eccesso di virtuosismi visivi e una certa inclinazione alla maniera, dalla quale sarebbe opportuno sfuggire, dopo un avvio piuttosto difficile, il film dell’esordiente Marzullo, con i pregi e difetti di un esordio che sempre vuole essere compendio assoluto di una condizione, sa mettere a frutto i temi correnti di una generazione eternamente impreparata alla contesa della vita nell’illusione di un’eterna gioventù che sfugge. In questo senso Non credo in niente – con un titolo che già annuncia la fine di ogni speranza di futuro – Marzullo firma un racconto generazionale, come si diceva, sufficientemente scomposto nel suo narrare e con il riflesso costante delle quattro vite dei suoi personaggi – gli attori tutti credibili, il che fa ben sperare – che, a loro volta, nella liquidità di questa società restano privi di punti di riferimento, come nel mare in tempesta, e piuttosto incapaci a immaginare un futuro che sentono vicino, ma senza che ne sappiano delineare i contorni in quella desertificazione dei sentimenti e dei desideri così esiziale per le loro vite. Bisogna lavorare per il futuro e di tutti quello che in silenzio e senza strepiti lavora è il poeta receptionist, gli altri travolti dalle loro stesse vite avranno destini differenti ma che non appartengono più a questo film.

Regia: Alessandro Marzullo
Interpreti: Mario Russo, Renata Malinconico, Giuseppe Cristiano, Gabriel Montesi, Demetra Bellina, Jun Ichikawa, Antonio Orlando, Lorenzo Lazzarini
Distribuzione: Daitona e Flickmates
Durata: 100’
Origine: Italia, 2023

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Data articolo: Wed, 27 Sep 2023 14:12:46 +0000
vaporwave
PORNMOD – Il fiume del porno al PostModernissimo di Perugia

In occasione di PORNMOD, la rassegna organizzata dal cinema PostModernissimo di Perugia, abbiamo incontrato il videoartista Edoardo Genzolini per parlare dell'importanza di questo linguaggio

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C’erano una volta i cinema a luci rosse. Sale interamente dedicate a contenuti pornografici ed erotici, luoghi nei quali il godimento veniva irradiato dallo schermo per poi fluire, metaforicamente o meno, tra le poltroncine. Questo tipo di sala se non è in via d’estinzione è quantomeno specie protetta (sono pochissime le sale rimaste, tra cui il Nuovo Cinema Odeon di Modena, il cinema Corallo di Bologna e il Cinema Orfeo di Palermo) a causa anche della migrazione del porno nel digitale. I corpi si sono smaterializzati in pixel, cristallizzandosi in una massa inquantificabile di video, in un numero di forme il cui unico limite sembra l’occhio di chi guarda. Lo sguardo (o anche intere parti del corpo, considerando lo sviluppo delle tecnologie del sesso) viene intercettato, le dita si muovono sullo schermo inseguendo il Bianconiglio di desiderio in desiderio, di video in video. Fino all’estremo piacere, un’esplosione biochimica che riprogramma il cervello.

Il porno rimane, così, uno dei generi centrali della contemporaneità audiovisiva. PORNMOD, rassegna organizzata dal cinema PostModernissimo di Perugia, consente al porno di riprendersi il centro della sala. Quattro serate che portano sul grande schermo visioni eccentriche del genere capaci di esplorarne diverse declinazioni, dal documentario sulle sue tecniche e i suoi interpreti (I fantasmi del fallo, 1981, di Belmonti, Miscuglio, Daopoulo; Io sono Valentina Nappi – ISVN, 2018, di Monica Stambrini) all’interpretazione autoriali (La cugina del prete, 1975, di Wes Craven).

Nella serata del 22 settembre, curata da Trascendanza e chiamata Variazioni sul porno – Un’immersione nell’apocalisse del porno, ha inoltre incluso ulteriori approcci. Appena attraversato l’ingresso sotto l’arco di via del Carmine, il foyer del cinema si presenta tappezzato di immagini di corpi, di membra che si attorcigliano e si intrecciano con grazia sovrannaturale. È la serie Anche le Macchine Desiderano, composta da Tremila con l’ausilio di AI, sfidando a colpi di prompt l’imposizione a non creare immagini sessualizzabili. Scendendo delle scalette (dopo essersi tolti le scarpe) si può ridiscendere nella Placenta Collettiva, installazione realizzata da Myriam Carmignani. In sala, ci si può, invece, far circuire da Delizia sonica, il sound collage di Pietro Secchi, o sottoporsi a un ciclo di irradiazione pornografica con Simulacra et simulation, estrema performance audiovisuale in diretta di Frgmnts, Simon Oak ed Edoardo Brunelli con le immagini (ancora una volta realizzate con l’AI) da Placenta Shake.

pornmod

In sala Visconti, infine, va in onda un loop. Su un tappeto visivo dai colori morbidi, con un sentore vaporwave, vaghe forme umane si sovrappongono come vapori. Una voce viene rallentata fino a mandare fuori giri i suoi versi di piacere. Il flusso aumenta pian piano la sua portata, mentre una scritta incompleta appare ogni tanto sullo schermo. Poco prima che si componga il titolo A(ga)pocalypse Now, diventa riconoscibile una tronco femminile in un atto di auto-erotismo. Solo per un attimo, prima di tuffarsi nuovamente nel flusso. Abbiamo, quindi, scambiato due chiacchiere con l’autore di A(ga)pocalypse Now, Edoardo Genzolini.

 

Com’è nata l’idea di un’installazione sul porno?

Innanzitutto, credo che in questi tempi una rassegna come PornMod, per ragionare sulle contraddizioni che si accalcano attorno al concetto di porno. A(ga)pocalypse nasce da una commissione da parte di Alessio Giovagnoni di Trascendanza. Sapeva che sono un appassionato sia del genere, sia di found footage e che sono un accumulatore seriale di immagini, un imagofago. La mia esperienza di visione nasce quando avevo 11 anni e guardavo Fuori Orario, al quale mi sono esposto quasi per caso o per destino. Accumulavo non soltanto film, ma immagini in generale dai programmi di terza serata. Qui in Umbria c’era UmbriaTV, Odeon, ReteSole che era nazionale… e io registravo e registravo e registravo. Ho conservato anche con una certa pudicizia alcune videocassette. Fino a quando Alessio mi ha chiesto di farci qualcosa. Qualsiasi cosa. Ci siamo quindi resi conto che la rispettiva visione si intersecava, si armonizzava. Prima di vedere certi pannelli, affissi qui al PostModernissimo, avevamo fatto questo montaggio che si può tranquillamente sovrapporre all’idea dell’IA applicata all’immagine dei corpi. Mi interessava quest’idea di oscenità, nel senso di qualcosa di fuori scena. Quindi, mi sono chiesto come far vedere qualcosa di pornografico senza scadere nel più prevedibili dei dibattiti, quindi verso la censura.

Da cosa nasce l’impulso a preservare tutto questo materiale?

Per me è stato qualcosa di intuitivo, non c’era una differenza tra alto e basso, tra valido e meno valido. L’immagine in sé era molto più pregnante e soddisfacente di ciò in cui era inserita. Ecco, escludendo qualsiasi tipo di giudizio, il porno sembra un esempio di cinema totale, ci pervade, il suo linguaggio ci attraversa continuamente. Siamo circondati da immagini di sesso e sul sesso, è il rimosso del desiderio a cui va data voce, che va sfogato per non farlo riemergere lateralmente e in dinamiche più pericolose.

Come hai lavorato sui materiali?

Ho montato tutto in un giorno, un giorno e mezzo. Questo credo voglia dire che il progetto era già presente nell’anticamera della mia volontà.

Anche quando si accetta la visione di una scena più spinta, più esplicita, si utilizza spesso il termine porno in senso dispregiativo, al contrario di erotico. Che ne pensi? Qual è la tua definizione di porno?

Per me è legato a ciò che non si vede, qualcosa di sfuggente. C’è Carmelo Bene che ragionava sul desiderio che desidera sé stesso, quindi un desiderio circolare, in parte vuoto. Pensando alla mia esperienza, la pornografia è stata per me un territorio franco, libero e in un certo senso sicuro. Poteva essere esclusivamente mio, preservato da commenti, da giudizi, senza che ci fosse l’obbligo di raccontarlo a qualcuno. Comunque, è interessante il fatto che sia molto difficile da definire.

Cosa ci dice il porno sul desiderio e sul futuro del desiderio?

In qualche modo il porno anticipa il desiderio, vuole dargli delle coordinate. All’interno della pornografia il desiderio è annullato proprio da queste ultime, che vengono predisposte per favorire l’automatismo. Come se dicessero: “Tu in questo momento dovresti sentire questa cosa”. Questo è vero soprattutto per la pornografia contemporanea, profondamente diversa da quella degli anni ’70, quando aveva ben altro ruolo.

C’è una cognizione storica all’interno del genere?

Quando faccio i miei film, cerco sempre di considerare sempre il punto di vista dello spettatore. È in quanto tale ti posso parlare del genere. Mi sembra che il genere, in passato, fosse molto più consapevole della sua pervasività, della sua capillarità. Ora è puro intrattenimento. Quindi non penso proprio che gli autori di oggi cerchino altro rispetto al fatto di alimentare una macchina che già funziona. Il porno è una macchina che si auto-alimenta, non avrebbe nemmeno bisogno di nuove immagini. Fondamentalmente, non gli si aggiunge nulla di nuovo. Questo trasmette una certa sicurezza anche agli spettatori, che oggi sembrano più a loro agio quando conoscono o hanno familiarizzato già con la struttura davanti a loro. Quindi, direi che nella pornografia di oggi non c’è ricerca, c’è la voglia di ritrovare ciò che già si sa. Quasi che si volesse rassicurare lo spettatore.

Nel corso del tempo, il porno ci ha abituati all’idea del godimento mediato dallo schermo. Allo stesso tempo, la distanza tra i corpi si è accentuata. Secondo te, è il successo o il fallimento della rivoluzione del porno?

Certi linguaggi prendono vita propria, si scollano completamente dall’intenzione originaria, per essere ripresi da altri sentimenti e altre intenzioni. Si massificano, anche perché sempre più persone li utilizzano per esprimersi. Il porno nasce inizialmente come reazione, come diversivo rispetto ad alcune convenzioni sociali. Nasce anzitutto come una cesura.

In A(ga)pocalypse, le immagini dei corpi vengono sovrapposti fino al punto di renderli irriconoscibili nel flusso, i versi di piacere vengono stretchati fino alla smaterializzazione. Che ne pensi della tendenza all’astrattismo del genere?

Il porno è un territorio molto pericoloso. Piattaforme come OnlyFans in qualche modo promuovono una forma di autorealizzazione di sé. Mi sembra però che la pornografia venga così caricata di significati che forse non vuole nemmeno avere. La responsabilizzano, le danno valori. La pornografia però mi sembra che nasca e voglia essere proprio un territorio franco, il luogo del de-pensamento e della libertà da qualsiasi vincolo, compresa la morale. Non è immorale, semmai a-morale. Ecco, parlandone in parte mi vergogno e in parte mi libero dicendo che per me il porno è stato in qualche modo una risposta in un periodo in cui sapevo che fuori un’altra non ce n’era. Era un gettarsi alla vita a nervi scoperti. Un perdersi. In questo non è stata un insegnamento, una risposta logica, quanto piuttosto una sensazione alla quale è seguita una rielaborazione. È importante non scambiare il porno per normalità. Non saprei, però, se concordare con le posizioni recentemente espresse da Rocco Siffredi. Posso dire che se non avessi avuto accesso ai porno a 13 o 14 anni, forse ora non sarei qui a parlarne con tranquillità.

Il porno sembra presentarsi come pura superficie e allo stesso tempo suggerisce l’esistenza di qualcos’altro.

Il porno resiste alle cuciture, passa attraverso le maglie con le quali lo si vorrebbe relegare. È una forma di desiderio, che forse gli antichi realizzavano con molta più facilità. Mi sembra quasi che sia espressione di una parte che noi occidentali abbiamo represso e che, inevitabilmente, è venuta e sta venendo fuori. Somiglia a un organismo o a un ecosistema, che esploriamo in virtù della nostra curiosità. Di solito, nel dibattito mainstream non si condanna direttamente la pornografia, quanto la curiosità dello spettatore. Curiosità, però, vuol dire anche prendersi cura di sé. È quindi chiaro che ci sia un tentativo inconscio di ottemperare a un’esigenza, quella di entrare in contatto con un certo di rimosso.

Sembra, da questo punto di vista, la forma d’arte che più di tutte realizza lo spirito capitalista.

Forse perché è la forma d’espressione più fragile, soggetta a manovre e manipolazioni. È un genere fragilissimo, che si fonda su terreni psicologici incerti, intimi. Sono sempre stato affascinato dai primissimi attori porno, degli anni ’20 e ’30. Chi sono e dove sono finiti quegli interpreti? Questa dimensione effimera viene colta immediatamente sia dal cinema che dal porno. Pensiamo per esempio all’uscita dalla fabbrica filmata dai Fratelli Lumiere. Questo è uno degli aspetti più interessanti. Il confronto con questa possibilità dell’oblio che inizialmente non accettavo è stato uno degli impulsi che mi ha portato ad accumulare materiali d’archivio. Non volevo dimenticare le cose che guardavo in televisione, anche se chi intorno a me diceva che erano senza valore. Ecco, per me avevano tutte pari dignità in quanto immagine. Era qualcosa che sfuggiva.

Il tuo film in questo senso è una doppia operazione: da una parte recupera materiale dall’archivio, dall’altro lo rigetta nell’oblio della ricombinazione forsennata.

Il non rendere riconoscibili i materiali è un’operazione artistica ed estetica, una sfida verso me stesso nei confronti del trattamento dell’oscenità. Come rendere visibile qualcosa di osceno, qualcosa che cerca costantemente di fuggire dalla visione? Avevo 4 VHS (il nastro magnetico lo trovo il supporto più adatto al flusso del porno), che ho sovrapposto e spanciato fino a rendere irriconoscibile qualcosa di inequivocabile. All’inizio volevo che fosse un processo spontaneo. Quando però ho visto che alcune immagini rimanevano troppo esplicite, quindi ho cominciato a lavorare in quel senso. Così il montaggio è diventato qualcosa di iper-controllato, anche se non volevo che lo fosse. Nonostante tutto, però, una sequenza di auto-erotismo, una delle poche a rimanere riconoscibile, è sfuggita al controllo. Il porno è un fiume in piena che straborda, che lo si voglia o no. In questo è più forte del cinema.

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Data articolo: Wed, 27 Sep 2023 11:29:24 +0000
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Blog GUERRE DI RETE – Identikit di OpenAI

Un nuovo estratto dalla newsletter di Carola Frediani, Guerre di rete, che ci racconta degli ultimi sviluppi dell'AI text-to-image, di TikTok e delle falle di sicurezza del nuovo iPhone

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Guerre di Rete – una newsletter di notizie cyber
a cura di Carola Frediani
N.168 – 24 settembre 2023

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Arriva DALL-E 3
OpenAI ha invece annunciato la terza versione del suo generatore di immagini DALL-E, che include più opzioni di sicurezza e ora consente agli utenti di utilizzare ChatGPT per creare i prompt.

Secondo i ricercatori di OpenAI, l’ultima versione comprenderebbe meglio il contesto. Ma soprattutto, si integra con ChatGPT. Dunque utilizzando il chatbot non è più necessario che gli utenti si inventino un proprio prompt dettagliato per guidare DALL-E 3; possono semplicemente chiedere a ChatGPT di generare un prompt che DALL-E 3 dovrà seguire.

La nuova versione di DALL-E sarà rilasciata prima agli utenti ChatGPT Plus e ChatGPT Enterprise in ottobre. Non è specificato quando/se ci sarà una versione pubblica gratuita.

“I rappresentanti di OpenAI hanno dichiarato in un’e-mail che DALL-E 3 è stata addestrata in modo da rifiutarsi di generare immagini nello stile di artisti viventi, a differenza di DALL-E 2 che, su richiesta di un prompt, può imitare lo stile di alcuni artisti”, scrive The Verge. “ Inoltre OpenAI, forse per evitare cause legali, consentirà agli artisti di escludere la loro arte dalle versioni future del modello. I creatori possono inviare un’immagine di cui possiedono i diritti e richiederne la rimozione tramite un modulo sul sito web”.

TikTok spinge sulle etichette per i contenuti generati da AI
TikTok ha annunciato un nuovo strumento per consentire ai creatori di etichettare i propri contenuti che sono generati da una AI e inizierà anche a testare altri modi per etichettare automaticamente i contenuti generati dall’intelligenza artificiale.

Il social media aveva già aggiornato la sua policy sui media sintetici, chiedendo di etichettare quei contenuti AI che contengano immagini, audio o video realistici, come i deepfake, per prevenire la diffusione di informazioni fuorvianti.

Tuttavia, la nuova misura vorrebbe portare una maggiore trasparenza anche nella zona grigia, per cui inizierà a testare l’etichettatura di tutti i contenuti che rileverà essere stati modificati o creati con l’AI. L’azienda ha rifiutato di condividere le specifiche su come la sua tecnologia cercherà possibili contenuti AI, con la motivazione che la condivisione di tali dettagli potrebbe potenzialmente consentire ai malintenzionati di aggirare le sue capacità di rilevamento, scrive TechCrunch.

Cosa c’è dietro l’ultimo aggiornamento dell’iPhone
La ragione per cui Apple ha rilasciato in questi giorni un primo aggiornamento del nuovo iOS/iPadOS 17 (quindi 17.0.1) è che doveva chiudere alcune importanti falle di sicurezza che sono state individuate da Google e il gruppo di ricerca Citizen Lab. Secondo Google, la catena di exploit (in pratica il codice di attacco) che sfruttava tali vulnerabilità sarebbe stata sviluppata dalla società di strumenti di sorveglianza Intellexa per installare in modo surrettizio il suo spyware Predator su un dispositivo.
“La catena di exploit è stata veicolata tramite un attacco “man-in-the-middle” (MITM), in cui un aggressore si frappone tra l’obiettivo e il sito web che sta cercando di raggiungere. Se il target sta visitando un sito web utilizzando “http”, l’attaccante può intercettare il traffico e inviare dati falsi al target per costringerlo a visitare un sito web diverso. Visitare un sito web utilizzando “https” significa che il traffico è crittografato (…) Non è così quando si utilizza “http””, scrive Google sul suo blog.

Il report di Citizen Lab ha invece più dettagli su una delle vittime (un politico egiziano) e il contesto. “Dato che l’Egitto è un cliente noto dello spyware Predator di Cytrox [di proprietà di Intellexa, ndr] e che lo spyware è stato veicolato tramite un attacco detto di network injection [nel caso specifico significa che quando la vittima visita un certo sito via http, usando la connessione di un certo operatore, viene rediretto di nascosto su un altro sito, ndr] da un dispositivo collocato fisicamente all’interno dell’Egitto, attribuiamo con confidenza l’attacco al governo egiziano”, scrivono gli autori.

Di Intellexa/Cytrox e dello spyware Predator abbiamo scritto più volte sul sito e in newsletter. Segnalo in particolare il mio racconto dello scorso aprile Come è emerso il Predatorgate (grazie a un piccolo media online).


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Data articolo: Wed, 27 Sep 2023 09:54:10 +0000
Wes Anderson
La meravigliosa storia di Henry Sugar, di Wes Anderson

Si torna a Roald Dahl, ma sono lontani i tempi di Fantastic Mr. Fox. È veramente un cinema sempre più autunnale, di caduta. Da oggi su Netflix

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Wes Anderson ritorna a Roald Dahl, ma sono ben lontani i tempi di Fantastic Mr. Fox, quando si respirava un’aria di libertà vitale e l’idea di un cinema rifugio (tana delle volpi) come strategia di resistenza non si era ancora trasformato in una gabbia asfissiante. Ormai, arrivati a questo punto, in un mondo ridotto alla dimensione di un teatrino di posa, non c’è via di uscita. È come se un intero immaginario avesse definitivamente esaurito le sue energie vitali, le possibilità di espandersi, di mettere in circolo suggestioni e di rigenerarsi. Per confinarsi in una specie di ossessione, fatta di ripetizioni, psicosi, paranoie. Un immaginario che ha comunque sempre mantenuto una sua originalità e una precisa riconoscibilità, nonostante le derive infantili, ma che con il tempo è diventato una stanza dei giochi autoreferenziale e un po’ sterile. Una mansarda in cui accumulare figurine, modellini, fondali bidimensionali, oggetti da collezione. In cui la ripetizione delle situazioni e delle pose è l’unico modo per mimare il divertimento.

Persino La meravigliosa storia di Henry Sugar, nonostante i suoi quaranta minuti, svela un sistema di scatole cinesi, di cornici narrative concentriche, che appesantiscono l’intera struttura, sino a renderla inabitale. Sono quattro i narratori che si alternano: Ralph Fiennes nei panni di Roald Dahl, Benedict Cumberbatch come Henry Sugar, Dave Patel che interpreta il dottor Chatterjee di Calcutta e Ben Kingsley nei panni di Imdad Khan, l’uomo che vede senza occhi. E, nonostante siano tutti collegati, secondo le misteriose intenzioni dell’Autore, sono quattro personaggi che abitano uno spazio di solitudine, al centro esatto dell’inquadratura. Ecco. Se, come voleva Maria Profetissa, il quattro è il numero dell’unità e del tutto, qui siamo lontani dal cuore del mandala, da uno spazio sacro di contemplazione. Perché il “dispositivo” geometrico di Anderson, più che concentrare in sé il segreto dell’universo, disegna un recinto invalicabile. E quel continuo scorrere di quinte teatrali non consente un libero attraversamento, ma assomiglia a un luogo di reclusione (come siamo lontani da Gondry, in cui davvero non esiste limite…). La vita si presenta sotto forma di parvenza, in piccoli estratti, campioni da catalogare, come foglie essiccate. È veramente un cinema sempre più autunnale, di caduta.

Eppure non mancavano gli spunti per liberare tutte le suggestioni del testo di partenza, a cominciare da questo prodigio del vedere senza occhi, con l’illuminazione delle mente e le aperture del cuore. Ma Wes Anderson guarda la sua malattia, proprio come Henry Sugar. Si guarda morire. Ma, a differenza del suo protagonista, sembra non aver più nulla da donare. Anzi, è chiaramente alla ricerca di qualcuno o qualcosa che sappia restituirgli vita. Sarà questo il reale motivo di tutti quegli “a parte”, dei continui sguardi in macchina dei personaggi. Ci chiedono aiuto, forse. Per essere finalmente liberati.

 

Titolo originale: The Wonderful Story of Henry Sugar
Regia: Wes Anderson
Interpreti: Benedict Cumberbatch, Ralph Fiennes, Dev Patel, Ben Kingsley, Rupert Friend, Richard Ayoade
Distribuzione: Netflix
Durata: 37′
Origine: USA, UK 2023

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Data articolo: Wed, 27 Sep 2023 08:06:01 +0000
rudy valdez
Carlos. Il viaggio di Santana, di Rudy Valdez

Un lungo viaggio nella storia di Carlos Santana che però fatica a decollare ed emoziona solo raramente. Utile per conoscerlo, riscoprirlo o amarlo. Ma niente di più. In sala fino a domani.

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Un lungo viaggio nella storia di Carlos Santana. Comincia nel 1955 e arriva ai giorni d’oggi. Anzi è lo stesso chitarrista e compositore messicano che, inquadrato in primo piano, parla direttamente al pubblico e riavvolge il nastro della sua vita all’indietro. Si comincia con il viaggio a Tijuana con Carlos bambino in auto con la madre e i suoi fratelli alla ricerca del padre che se ne era andato via di casa, una figura fondamentale per l’artista che lo ha iniziato alla musica e inizialmente gli ha fatto suonare, come lui, il violino. Poi a metà degli anni Sessanta c’è la tappa fondamentale al Fillmore Auditorium d Bill Graham dove Carlos andava ad ascoltare i suoi musicisti preferiti. Di seguito la formazione del gruppo, i Santana Blues Band, la grande popolarità raggiunta con Woodstock, la crisi con lo scioglimento della band (“Eravamo stanchi di noi”) deteriorata dal troppo successo e dal gran numero di concerti in un anno, circa 312. Inoltre i cambiamenti negli anni Settanta, la fase spirituale fino al grande rilancio con l’album Supernatural con la partecipazione di artisti come Bobby Martin, Rob Thomas, i Matchbox 20, Eric Clapton, Lauryn Hill, Wyclef Jean, Maná, Dave Matthews, Eagle-Eye Cherry, Everlast e KC Porter, che ha venduto circa 30 milioni di copie nel mondo e ha vinto 8 Grammy Awards, tra cui quello come album dell’anno.

Il marchio produttivo sembrava già una sicurezza; c’è infatti la mano di Brian Grazer e Ron Howard, la stessa che aveva portato sullo schermo sontuosi (The Beatles: Eight Days a Week) o interessanti (Pavarotti) documentari musicali per la celebrazione di una figura fondamentale della musica per oltre 50 anni fondendo jazz, blues, musica Mariachi e rock n’ roll. Ma malgrado l’enorme lavoro sull’archivio arricchito dai filmati più intimi della famiglia nel passato e nel presente, Carlos. Il viaggio di Santana fatica a decollare e riesce ad emozionare raramente e lo fa solo in parte quando mostra il successo di Supernatural e il legame profondo che si è instaurato negli anni con il capo della Columbia Clive Davis. Per il resto il prologo iniziale con il regista Rudy Valdez e lo stesso Santana già raffredda l’entusiasmo perché troppo parlato e al limite di una celebrazione smisurata di cui il film non aveva bisogno che ha già lasciato emergere un sospetto poi confermato nel corso del documentario: Carlos è troppo presente, guida la sua storia, non si lascia scoprire se non attraverso le sue frasi. Così anche tutti i preziosi filmati vengono depotenziati e perdono quell’impatto emotivo che avrebbero avuto con una narrazione più oggettiva, distante, ma non per questo meno partecipata. Restano dei frammenti e un percorso cronologico sicuramente utile per conoscere, riscoprire o amare come sempre Carlos Santana. Ma la sua figura nel presente offusca quella del passato, anzi il suo passato.

 

Titolo originale: Carlos
Regia: Rudy Valdez
Distribuzione: Nexo Digital
Durata: 87′
Origine: USA, 2023

 

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Data articolo: Tue, 26 Sep 2023 18:30:09 +0000
videogiochi
Verso un sciopero degli attori contro i produttori di videogiochi

SAG-AFTRA minaccia un nuovo sciopero, stavolta rivolto alle grandi aziende videoludiche, in difesa degli attori

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Mentre il duro sciopero di attori, sceneggiatori e addetti ai lavori a Hollywood si avvia verso una conclusione, SAG-AFTRA (il sindacato degli attori in America) ha autorizzato un successivo sciopero; stavolta contro le aziende produttrici di videogiochi: Activision, Epic Games, Voice Works Production inc., Formosa Interactive LLC, sono solo alcuni dei grandi nomi incriminati.

La maggioranza dei voti a favore di un eventuale sciopero è stata del 98.2%. Le parole di Duncan Crabtree-Ireland, direttore esecutivo nazionale e capo negoziatore sono state: “Dopo cinque tornate di trattative, è diventato evidente che le società di videogiochi non sono disposte a impegnarsi in modo significativo sulle questioni cruciali: compensi ridotti dall’inflazione, uso non regolamentato dell’intelligenza artificiale e sicurezza. Resto fiducioso che saremo in grado di raggiungere un accordo che soddisfi le esigenze dei membri, e se queste società non sono disposte a offrire un accordo equo, la nostra prossima mossa saranno i picchetti”. Lo sciopero non è ancora stato attuato, resta piuttosto la minaccia che questa eventualità venga messa in atto, nel caso in cui le grandi compagnie produttrici di videogiochi non siano disposte a scendere a patti con le richieste del sindacato e degli scioperanti.

Tra lo sfruttamento dell’intelligenza artificiale e il calo dei salari, coloro che lavorano nei videogiochi si trovano ad affrontare molti degli stessi problemi di coloro che lavorano nel cinema e in televisione”, le parole di Ray Rodriguez, responsabile dei contratti. “Questa autorizzazione allo sciopero afferma con forza che dobbiamo raggiungere un accordo che compenserà equamente questi artisti, fornirà misure di sicurezza basate sul buon senso e consentirà loro di lavorare con dignità. Il sostentamento dei nostri membri dipende da questo”.

A Variety, un portavoce del sindacato spiega: “Continueremo a negoziare in buona fede per raggiungere un accordo che rifletta gli importanti contributi degli artisti rappresentati da SAG-AFTRA nei videogiochi. Abbiamo raggiunto un accordo provvisorio su oltre la metà delle proposte e siamo ottimisti sulla possibilità di trovare una soluzione al tavolo delle trattative”

Questo nuovo passo dei sindacati verso la tutela degli attori nei riguardi del mondo videoludico (che comprende l’utilizzo della voce, motion capture, stunt e altre performance) svela delle nuove questioni riguardo l’andamento delle nuove forme audiovisive. Il fatto che ora si accosti l’utilizzo dell’attore televisivo o cinematografico equiparandolo al videogioco è un chiaro segno della nascente tendenza ibrida e sfumata della fruizione che cambia. Noi di Sentieri Selvaggi ragioniamo su questi temi già da un po’ e nelle pagine (sia online che cartacee) proponiamo una riflessione ampia su questa nuova frontiera digitale. L’IA sembra non essere più il solo strumento che cambierà un setting prestabilito, e forse sarebbe ora di accettare appieno anche il videogioco come mezzo espressivo del 21esimo secolo, con tutte le influenze che è in grado di subire/offrire.

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Data articolo: Tue, 26 Sep 2023 16:43:23 +0000
musica
I Am a Noise apre il Festival dei Popoli 64

Il film su Joan Baez, inaugura l'apertura del Festival e la selezione Let the Music Play, interamente dedicata al documentario musicale

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Svelate le prime anticipazioni della 64esima edizione del Festival dei Popoli (14-12 novembre) che si svolgerà a Firenze e che sarà presieduto da Vittorio Iervese, con la direzione artistica di Alessandro Stellino e quella organizzativa di Claudia Maci.
Il festival si inaugura con la prima visione italiana di I Am a Noise, di Miri Navasky, Maeve O’Boyle e Karen O’Connor, facente parte della sezione Let the Music Play curata da Emanuele Sacchi. L’opera verte sulla vita della cantautrice e attivista Joan Baez, che con la sua musica e personalità ha segnato una intera generazione al fianco di personaggi come Bob Dylan e Martin Luther King.

A seguire, Stranger in My Own Skin di Katia deVidas che è il frutto di oltre 200 ore di filmati girati nell’arco di 10 anni dalla sua compagna, regista e musicista. Gli abissi della dipendenza e lo stile di vita sfrenato dietro i backstage, sono solo alcuni dei temi trattati nel documentario. Pete Doherty sarà ospite del festival a Firenze, e si esibirà in uno showcase live dopo la proiezione del film il 12 novembre.
Squaring the Circle di Anton Corbjin, invece, racconta di come siano nate le idee delle copertine più iconiche della storia del rock – come il prisma di The Dark Side of the Moon o il design lisergico di House of the Holy dei Led Zeppelin – con l’intervento di volti noti come Paul McCartney, Peter Gabriel, Roger Waters e Robert Plant. Il regista sarà, inoltre, presente in sala per introdurre il film.

E questo è solo un assaggio. Infatti, la sezione Let the Music Play prosegue con Kissing Gorbaciov di Andrea Paco Mariani e Luigi d’Alife, che ci riporta indietro nel tempo (e più precisamente alla fine degli anni ’80) quando i gruppi musicali rock sovietici si esibivano oltre cortina. Il film sarà, inoltre, accompagnato dalle testimonianze di uno dei gruppi italiani rock punk più sovversivi: i CCCP.
A seguire, in anteprima assoluta ANTI-POP di Jacopo Farina che, focalizzandosi sulla vita del cantante Cosmo, narra le attuali problematiche dello spaesamento generazionale.

Ma c’è spazio anche per la musica classica: il regista polacco Jakub Piatek dà voce alle frustrazioni intime e professionali dei ragazzi che partecipano al celebre Concorso Pianistico internazionale di Chopin, che si svolge a Varsavia ogni 5 anni. Il film Pianoforte disegna una realtà crudele ma onesta, a dispetto di quanto mostrato nei programmi televisivi di talent che hanno come scopo primario lo show e l’audience.
La selezione si conclude con Caiti Bleus di Justine Harbonnier. La speranza e la fatica di raggiungere un sogno: quello di fare della propria passione un lavoro tra i continui ostacoli della vita.

 

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Data articolo: Tue, 26 Sep 2023 16:21:36 +0000

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